La testimonianza di Simona Nathalie , una piccoletta di prima elementare, con la testa bollente e il corpicino tremante era sdraiata sulla panca. È ammalata ma come sempre è stata mandata fuori casa senza molta attenzione. Ho seguito tutta la trafila. Prima ho comprato un nuovo libretto sanitario, poi ho fatto la fila per pagare la consultazione dal medico e quando l’impiegato è arrivato mi ha fatto passare avanti. “Ma non segui l’ordine d’arrivo dei pazienti?” gli ho detto. C’era altra gente prima di me. Lui ha sorriso e ha continuato a segnare. Mi ha scritto la visita e siamo andate a pagare e poi a sederci fuori dalla studio del dottore. La bambina scotta ancora di più e io già mi immagino il peggio. È così facile vedere smettere di respirare un bambino qui. La gente mi guarda e mi chiede se è mia figlia. Cosa posso rispondere? “SI”. Anche il dottore mi fa passare avanti e durante la visita mi chiede cosa penso di fare al mio rientro. Cosa penso di fare per quest’Africa. Mi metterò a cercare fondi? Il cervello comincia fumarmi. “Possiamo pensare alla bambina?” Allora le prende la temperatura, 38,7 e nient’altro. Sarà malaria. Prescrive diverse medicine e l’ospedalizzazione. Fino ad adesso nessuno è venuto ad avvisarmi perciò sarò io la garde malade, la persona che la assisterà. Il dottore mi guarda e ridacchia. Starà pensando “ oh questi bianchi folli!”. Sono andata a pagare e mi hanno trovato una stanza a malapena. La pediatria è stracolma. Casi di anemia, malaria. Meningite. La stagione secca fa alzare tantissima polvere che veicola i vari virus e gli sbalzi di temperatura del mattino presto e la sera indeboliscono il sistema immunitario. Le infermiere non mi sembrano per niente dolci.. Il lingala suona un po’ come il tedesco. Imperioso. Pieno di imperativi e senza per favore . Nathalie si stende sul materasso nudo in attesa delle lenzuola e le iniettano la perfusione di chinino. Le gocce scendono piano piano. Il chinino è pericolosissimo se entra in circolo a grande velocità. Geme un po’. Poi si acquieta. Allora mi guardo intorno. In ospedale ci sono già stata, ma mai come assistente di un paziente. È come vedere tutto per la prima volta. La stanza spoglia, le pareti sgretolate, odore di pipì, le padelle del cibo a terra sotto il comodino con i cucchiai sporchi. Un bambino con gli occhi sgranati che mi fissa apatico, un altro malnutrito senza forza in braccio alla mamma. Da quando sono qui è il primo che vedo in questo stato. Veramente come quelli dei film. Ossa. Ossa e ossa. Una testa enorme per di più. Non parla. Mangia quelle grosse larve bianche boccheggiando come un pesce. La testa gli pende all’indietro. Il pisellino una cosa grinzosa in mezzo a due ossa lunghe, le gambe. Chiudo gli occhi e caccio indietro le lacrime. Li riapro e chiedo alla signora some stava. Così mi dice che ha avuto la meningite, è debole, ha le febbre, la tosse, sono lì da tre settimane. Lei non ha nessuno a darle il cambio. È sempre con il suo bambino. Intanto la mia malata si muove e mi indica qualcosa con il ditino. E cosa mi chiede? Con la testa che scoppia, sudata, senza nessuno, con l’ago infilato nel braccio? Cosa può chiedere una bambina minuscola che vive con la nonna che lascia lei e i suoi fratellini soli in casa per tre giorni per andare al campo ( è questo che abbiamo saputo della sua famiglia) sdraiata vicino ad una bianca che ha pagato per lei usando i soldi che erano nella tasca sinistra? “Mbongo”. Soldi. È questo che mi ha detto. Questo . Dapprima un’ondata di rabbia, poi la rassegnazione. Non è certo colpa sua. Ripete, fa quello che le hanno insegnato , quello che vede. Ho pensato che quello che stavo facendo era inutile. Che ci facevo là io?