CAPITOLO 13
Gaetano A. Lanza
Filippo Crea
Lo scompenso cardiaco rappresenta una delle manifestazioni cliniche più importanti e frequenti, iniziale
o evolutiva, di molte patologie cardiache. Un’adeguata comprensione dello scompenso cardiaco non può
prescindere da una conoscenza appropriata di come si
esplica normalmente l’attività meccanica del cuore. Per
questo motivo, prima di trattare gli aspetti fisiopatologici e clinici dello scompenso, si ritiene utile rivedere
brevemente la fisiologia della funzione contrattile del
muscolo cardiaco, insieme ai meccanismi di regolazione
della gittata cardiaca.
FISIOLOGIA DELLA CONTRAZIONE CARDIACA
Il muscolo cardiaco (miocardio) è costituito da cellule
(o fibre) muscolari striate, i miocardiociti, che vengono
stimolate a contrarsi in maniera coordinata a ogni battito
dalla corrente di depolarizzazione elettrica generata normalmente dal nodo seno-atriale (si veda il Capitolo 6).
La finalità principale dell’attività contrattile cardiaca è di
garantire un adeguato flusso di sangue a tutti gli organi.
La quantità di sangue che è espulsa dal cuore a ogni contrazione (sistole) è detta gittata sistolica. Essa rappresenta
solo una parte del volume telediastolico, vale a dire della quantità di sangue presente nella cavità ventricolare
al termine della fase di rilasciamento del ciclo cardiaco
(diastole). Il prodotto della gittata sistolica per il numero
di battiti cardiaci al minuto (frequenza cardiaca) dà la
portata cardiaca, che corrisponde, quindi, alla quantità
di sangue che il cuore espelle in circolo in un minuto, ed
è sostanzialmente identica per la parte destra e sinistra
del cuore.
La sistole cardiaca può essere divisa in due fasi. Nella fase
iniziale, molto breve, l’eccitazione delle fibre miocardiche ventricolari produce un aumento della pressione
endocavitaria senza accorciamento delle fibre muscolari
(contrazione isometrica), che causa la chiusura delle valvole atrioventricolari. Successivamente, l’aumento della
pressione intraventricolare determina l’apertura delle
valvole semilunari aortica e polmonare, dando inizio
all’espulsione del sangue; le fibre miocardiche si accorciano (contrazione isotonica), il volume dei ventricoli si
riduce, e quindi un equivalente volume di sangue viene
spinto nell’aorta e nell’arteria polmonare (fase espulsiva).
Dopo aver raggiunto un massimo, la pressione intraventricolare comincia a ridursi, in quanto le fibre muscolari
si rilasciano; quando essa, nel ventricolo sinistro, diviene
inferiore alla pressione aortica (e, nel ventricolo destro,
295
Scompenso
cardiaco*
inferiore a quella polmonare), le valvole semilunari si
richiudono.
Inizia a questo punto la diastole ventricolare, che può
essere divisa anch’essa in due fasi. In una prima fase,
molto breve, il rilasciamento dei ventricoli avviene senza variazione del volume (rilasciamento isometrico).
Quando la pressione intraventricolare, che continua progressivamente a diminuire per effetto del rilasciamento
muscolare, diviene più bassa di quella presente negli
atri, si aprono le valvole atrioventricolari e inizia la fase
protodiastolica, di riempimento rapido dei ventricoli.
L’aumento della pressione endocavitaria che consegue
al riempimento ventricolare rallenta il flusso di sangue
dagli atri ai ventricoli nella mesodiastole. In telediastole (o presistole), tuttavia, un nuovo impulso elettrico
ha origine nel nodo del seno e si propaga agli atri, che,
contraendosi, determinano un nuovo aumento di flusso
verso i ventricoli. L’impulso giunge quindi ai ventricoli,
dando origine a una nuova sistole. Le fasi del ciclo cardiaco, con le principali variazioni di pressione e di volume
a livello cardiaco e vascolare, e la relazione con l’attività
elettrica cardiaca sono schematicamente illustrate nella
Figura 13.1.
2
2
Meccanica del muscolo cardiaco
La meccanica della contrazione cardiaca è stata studiata a
fondo dai fisiologi in studi sperimentali, che hanno consentito di individuarne i principi fondamentali e definirne
i parametri quantitativi.
Gli studi basilari sono stati eseguiti isolando un muscolo
papillare cardiaco da un animale. In questi esperimenti,
l’estremità inferiore del muscolo prelevato è fissata a uno
strumento che misura la tensione, mentre quella superiore
è fissata al braccio lungo di una leva; all’altro braccio della
leva può essere attaccato un peso, che non grava comunque sul muscolo a riposo, perché un fermo impedisce al
braccio lungo di sollevarsi (Figura 13.2 a).
Quando il muscolo viene eccitato elettricamente, le miofibrille contenute nelle cellule miocardiche si accorciano,
cioè il muscolo si contrae. Se nulla impedisce al muscolo
di contrarsi liberamente (come quando nessun peso è
attaccato alla leva), la velocità con cui esso si accorcia è
la massima possibile (velocità massima, o Vmax). Il valore
numerico della Vmax (in millimetri al secondo) è una misura della contrattilità del muscolo, che è una proprietà
intrinseca del muscolo stesso.
Se si applica al braccio corto della leva un peso che agisce sul muscolo solo dopo che la contrazione ha avuto
*Si ringrazia R. Satolli per il prezioso contributo alla precedente edizione del capitolo.
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Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Pressione 120
(mmHg)
100
80
Aorta
Ventricolo si
nistro
60
40
20
Atrio sinistro
Ventricolo sinistro
tricolo destro
Ven
Arteria polmonare
a
0
Atrio sinistro
Atrio destro
c
z
Atrio
Atrio destro
Ventricolo destro
Eiezione
Sinistro
Eiezione
CTAP
Destro
CM
CP AT
AA
CA
AM
Sinistro
Toni
CLICK
S1
S4
Curva di volume
del ventricolo sinistro
S2 SAM
C
a
Polso giugulare
Figura 13.1
Fasi del ciclo
cardiaco.
Lo schema
illustra i rapporti
temporali
tra i diversi eventi
del ciclo cardiaco.
y
Ventricolo
Destro
Attività
meccanica
Movimenti
valvolari
v
x
z
S3
v
x
E
y
A
IC
Apicocardiogramma
SFW
IR
P
ECG
T
o
RFW
QRS
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
Sec
In alto sono riportate le curve di pressione nelle quattro camere cardiache (atrio e ventricolo sinistro, atrio e ventricolo destro) e in aorta e arteria polmonare. Le lettere dell’alfabeto minuscole a, z, c, x, v, y indicano le diverse onde caratteristiche della curva di pressione atriale. Sotto le curve di pressione è indicata l’attività meccanica degli atri e dei ventricoli. Le parti evidenziate
in giallo delle barre di attività meccanica dei ventricoli indicano le fasi di contrazione e di rilasciamento isometrici. Successivamente sono indicati i movimenti di apertura (A) e chiusura (C)
delle valvole polmonare (P), aortica (A), tricuspide (T) e mitrale (M). S1, S2, S3 e S4 indicano il I, II, III e IV tono. Viene anche indicato lo schiocco di apertura della valvola mitrale (SAM), che
si può tipicamente ascoltare in caso di stenosi di questa valvola. Seguono la curva di volume del ventricolo sinistro (che ne indica le fasi di riempimento e svuotamento), la curva del polso
giugulare (con le stesse notazioni della curva di pressione atriale) e l’apicocardiogramma (che registra i movimenti dell’apice cardiaco e che presenta: 1) un’onda A in corrispondenza della
contrazione atriale; 2) una salita isometrica [IC] con un apice E all’inizio dell’eiezione; 3) un’onda negativa durante il rilasciamento isometrico [IR] sino a un punto minimo [O] corrispondente all’apertura della valvola mitrale; 4) due tratti di riempimento rapido [RFW] e lento [SFW]). L’elettrocardiogramma alla base dello schema consente di valutare i rapporti tra attività meccanica e attività elettrica del cuore.
inizio (e per tale motivo prende il nome di postcarico, o
afterload), per potersi accorciare il muscolo deve sollevare
il peso; ne deriva che esso impiega parte della forza sviluppata con la contrazione per sollevare il carico e parte
per accorciarsi. È facile constatare che quanto maggiore
è il peso applicato, tanto minore è la velocità di accorciamento. Se il carico è troppo pesante per poter essere
sollevato, il muscolo si mette regolarmente in tensione,
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ma non si accorcia per niente (la velocità di accorciamento è cioè zero).
I risultati di questi esperimenti si possono riassumere in
un grafico in cui si pone sull’asse orizzontale la forza che
il muscolo sviluppa sollevando valori crescenti di peso
e sull’asse verticale la velocità con cui avviene, di volta
in volta, l’accorciamento. La curva che ne risulta è detta
curva forza-velocità (Figura 13.3).
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Fermo
Leva
Figura 13.2
Preparato
sperimentale
per lo studio
della contrazione
miocardica.
Fermo spostato in alto
Leva
Muscolo
papillare
Postcarico
Postcarico
Muscolo
stirato
Precarico
2
Trasduttore
di tensione
a
b
(a) Il fermo sulla leva è posto in modo che il muscolo papillare non sia stirato in condizioni di riposo. Variando il peso che il muscolo deve sollevare durante la contrazione (postcarico), si
ottengono i dati necessari per costruire la curva forza-velocità illustrata nella Figura 13.3. (b) Se il fermo viene spostato in alto si ottiene un certo grado di stiramento del muscolo a riposo; in
pratica una parte del carico agisce sul muscolo già prima della contrazione (precarico). Variando il precarico, a parità di postcarico, si ottengono i dati necessari per costruire la famiglia di
curve illustrata nella Figura 13.5.
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sottolineare che esso agisce sul muscolo prima della contrazione. Nella Figura 13.2 b il precarico è indicato come
una frazione del carico totale, il quale varia in funzione
della posizione del fermo sulla leva, che determina uno
stiramento più o meno elevato del muscolo.
Ripetendo gli esperimenti con valori di precarico crescenti
e mantenendo il postcarico costante, si può constatare che
la velocità di accorciamento è tanto maggiore quanto più
le fibre vengono stirate a riposo dal precarico. Dunque,
se la lunghezza delle fibre miocardiche prima dell’inizio
della contrazione viene aumentata, aumenta l’efficienza
Vmax
Velocità di accorciamento (mm/sec)
Nel cuore in attività i ventricoli si contraggono sempre
contro una resistenza che si oppone all’espulsione del
sangue, e quindi all’accorciamento delle fibre muscolari.
Questa resistenza è rappresentata per il ventricolo sinistro
dalla pressione in aorta (che all’inizio della sistole è circa
80 mmHg) e per il ventricolo destro dalla pressione in arteria polmonare (che all’inizio della sistole è circa 5 mmHg).
È evidente, quindi, che nel cuore in attività la velocità di
accorciamento delle fibre è sempre inferiore alla velocità
massima, ossia quella misurabile nella condizione sperimentale del muscolo libero di accorciarsi senza alcun
carico da sollevare. Un equivalente della velocità massima
di accorciamento delle cellule miocardiche può tuttavia
essere calcolato indirettamente e indica, come detto, la
contrattilità (o stato inotropo) del muscolo cardiaco.
La contrattilità può essere influenzata da vari fattori. Le catecolamine, per esempio, l’aumentano, mentre
l’ipotiroidismo la riduce. La contrattilità miocardica è
inoltre ridotta in molte condizioni di scompenso cardiaco. Com’è facile capire, l’aumento della contrattilità
sposta in alto la curva forza-velocità del miocardio
(Figura 13.4), mentre la sua diminuzione la sposta in basso.
Oltre alla contrattilità, un’altra proprietà del muscolo
cardiaco che contribuisce in modo fondamentale a regolarne la funzione contrattile è quella responsabile del
comportamento descritto dalla legge fondamentale del
cuore di Starling, dal nome del fisiologo londinese Ernest
Henry Starling, che per primo la descrisse all’inizio del
Novecento.
Per comprendere questa legge, si riconsideri il dispositivo sperimentale con il muscolo papillare. Se, rispetto al
precedente esperimento, si solleva di qualche millimetro
il fermo che blocca verso l’alto il braccio lungo della leva, per effetto del peso applicato all’altro braccio le fibre
muscolari saranno in parte stirate già prima della contrazione e acquisteranno una lunghezza a riposo leggermente
superiore alla loro lunghezza naturale (Figura 13.2 b). Un
trasduttore applicato all’estremità inferiore del muscolo
permette di misurare la tensione alla quale, con questo
accorgimento, il muscolo viene sottoposto a riposo. A
tale valore viene dato il nome di precarico (o preload), per
10
Vo
0
5
10
Carico (g)
Figura 13.3
Curva forzavelocità.
Il grafico mostra come, aumentando il carico cui il muscolo cardiaco è sottoposto durante
la contrazione, ossia il peso (espresso in grammi) che il muscolo deve sollevare durante
la contrazione (postcarico nella Figura 13.2), riportato sull’asse delle ascisse, la velocità di
accorciamento del muscolo (espressa in mm/sec), riportata sull’asse delle ordinate, si riduce progressivamente. La velocità massima (Vmax) si ha con un carico zero, mentre
quando il carico raggiunge un valore tale per cui il muscolo non si accorcia per nulla,
la velocità è pari a zero (V0).
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298
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Figura 13.4
Curva forzavelocità ed effetti
di variazioni
dell’inotropismo.
Basale
Con noradrenalina
Velocità di accorciamento (mm/sec)
15
10
5
0
1
2
Carico (g)
3
La curva inferiore (basale) è ottenuta come nell’esperimento relativo alla Figura 13.3. La
curva superiore è ottenuta ripetendo lo stesso esperimento in presenza di noradrenalina.
Come si vede, l’effetto inotropo del farmaco sposta la curva forza-velocità verso l’alto; per
ogni determinato carico, cioè, si osserva una velocità di accorciamento maggiore rispetto
alle condizioni basali.
della contrazione. Si ottiene cioè una curva forza-velocità
spostata in alto, anche se in questo caso lo spostamento
della curva non è parallelo, come avviene per variazioni
della contrattilità, in quanto la V max non si modifica
(Figura 13.5). Tuttavia, l’aumento della contrazione determinato da un aumento del precarico si verifica fino a un certo
livello di stiramento (detto massimale), oltre il quale non si
verifica alcun ulteriore aumento della contrazione. In vivo,
l’effetto fisiologico principale della relazione tra lunghezza
iniziale della fibra ed efficienza della contrazione è quello
di regolare con immediatezza eventuali variazioni del riempimento diastolico dei ventricoli. Maggiore, infatti, è
il riempimento diastolico, maggiore sarà lo stiramento
delle cellule miocardiche (in particolare subendocardiche)
e maggiore sarà, entro certi limiti, la velocità di contrazione. Ciò consente, in ultima analisi, di armonizzare la
funzione dei due ventricoli evitando oscillazioni eccessive
del volume di sangue intravascolare contenuto nel circolo
polmonare e nel circolo sistemico.
Meccanismi intracellulari
della contrazione miocardica
Le proprietà delle fibre cardiache descritte nel paragrafo
precedente hanno ovviamente delle basi a livello cellulare
e molecolare.
Le cellule miocardiche contengono fasci di miofibrille,
disposte lungo l’asse maggiore della cellula. Le miofibrille
sono costituite da una serie di sarcomeri, minuscoli ci-
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lindri che rappresentano la più piccola unità contrattile
del miocardio.
Il sarcomero, a sua volta, è costituito essenzialmente da
due proteine filamentose, l’actina e la miosina, disposte
parallelamente al suo asse maggiore. La relazione tra i
filamenti di actina e di miosina nel sarcomero conferisce
a questo il classico aspetto a bande visibile al microscopio
elettronico (Figura 13.6). I filamenti di miosina occupano
il centro del sarcomero. I filamenti di actina sono invece
saldamente fissati alle due estremità del sarcomero stesso,
formando le bande Z. In condizioni di riposo, actina e
miosina si sovrappongono in parte, costituendo la banda scura A del sarcomero. Le bande chiare I sono invece
costituite soltanto da filamenti di actina.
Tra le due proteine si formano ponti, visibili al microscopio elettronico, costituiti da siti che contengono un enzima capace di scindere l’adenosin-trifosfato (ATP). Durante
la contrazione, grazie all’energia liberata dall’ATP, questi
ponti si saldano e si sciolgono ciclicamente, facendo scorrere con forza i filamenti di actina su quelli di miosina. In
tal modo le bande Z si avvicinano, il sarcomero si accorcia
e così pure si accorciano in toto le fibre miocardiche. La velocità e la forza dello scivolamento dipendono dal numero
di ponti che si possono attivare contemporaneamente. Il
numero di ponti dipende a sua volta dalla sovrapposizione
reciproca di actina e miosina all’inizio della contrazione e
quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero.
La lunghezza ottimale del sarcomero per la contrazione è
compresa tra 2,0 e 2,2 mm. Al di sotto di tale lunghezza i
filamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro
del sarcomero, riducendo così la possibilità di ponti con la
miosina. Al di sopra di 2,2 mm i filamenti di actina si allontanano dal centro del sarcomero e anche in questo caso
si riduce la sovrapposizione con la miosina (Figura 13.7).
In condizioni di rilasciamento (diastole) la formazione dei
ponti è inibita da due proteine associate ai filamenti di
actina: la tropomiosina e la troponina. Quando la cellula
miocardica viene eccitata, questa inibizione viene rimossa
grazie all’azione degli ioni calcio, che si legano alla troponina e ne modificano la struttura.
Più in dettaglio, durante la fase di plateau del potenziale
d’azione elettrico (fase 2), una piccola quantità di Ca 2+
attraversa la membrana cellulare e raggiunge il reticolo
sarcoplasmatico (si veda Figura 13.6). Eccitato dal modesto flusso di Ca2+ proveniente dall’esterno, il reticolo
libera massicciamente gli ioni calcio che contiene, lasciandoli diffondere verso le miofibrille, dove appunto
si legano alla troponina e consentono la formazione di
ponti. L’accoppiamento tra eccitazione elettrica della cellula e contrazione meccanica dipende dunque dal flusso
di Ca2+ verso le miofibrille.
Successivamente il reticolo sarcoplasmatico, grazie a una
pompa ionica che utilizza energia generata dall’idrolisi
dell’ATP, riprende ad accumulare attivamente Ca2+, riducendone la concentrazione nelle miofibrille, sino a che
prevale nuovamente sulle proteine contrattili l’inibizione
da parte del complesso troponina-tropomiosina, che dà
inizio al rilasciamento. Contemporaneamente, anche
attraverso la membrana cellulare viene espulsa la piccola
quota di Ca2+ entrata in precedenza, sempre con processi
attivi che consumano energia, cosicché la cellula diventa
pronta per una nuova contrazione.
01/07/15 13:46
Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Figura 13.5
Curva forzavelocità ed effetti
di variazioni
del precarico.
10
Velocità di accorciamento (mm/sec)
Precarico
(g)
Lunghezza iniziale
del muscolo
(mm)
1 basale
11,7
2
12,4
4
13,0
6
13,3
8
13,4
2
5
0
299
5
10
Carico (g)
Il grafico riporta cinque curve di forza-velocità ottenute in condizioni basali (∆) e dopo aver stirato il muscolo cardiaco a riposo (prima di stimolare la contrazione) con un piccolo peso,
di entità progressivamente crescente (precarico), in modo che la lunghezza iniziale del muscolo aumenti progressivamente. Per ogni determinato carico cui il muscolo è sottoposto durante
la contrazione, la velocità di accorciamento risulta tanto maggiore quanto maggiore è la sua lunghezza iniziale. È questa la base della legge di Starling. Come si può vedere dal grafico,
lo stiramento iniziale del muscolo non causa alcuna modifica della contrattilità intrinseca del muscolo. Infatti, non vi è alcun aumento della velocità massima in nessuna delle condizioni
di aumento del precarico. Ciò è diverso da quello che si può osservare nella Figura 13.4, in cui la stimolazione inotropa provoca anche un aumento della velocità massima di contrazione.
a
b
c
d
Banda I
FIBRILLA
Capillare
Filamenti
di actina
Z
Dischi
intercalari
Nucleo
Cellula
o fibra
M
Z
Fibrille
Sarcolemma
Reticolo sarcoplasmatico
Sistema longitudinale
Sistema a T
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Disco intercalare
Cisterne terminali
Banda a 1,5 µm
SARCOMERO
Filamenti
di actina
e miosina
Filamenti
di miosina
SEZIONI
TRASVERSE
Figura 13.6
Disegno
schematico
del sarcomero.
Il disegno illustra
la struttura
della cellula
miocardica, delle
miofibrille in essa
contenute e dei
sarcomeri, che
rappresentano
le unità
elementari
contrattili delle
miofibrille.
01/07/15 13:46
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Figura 13.7
Lunghezza
ottimale del
sarcomero.
6
Miosina
b
c
a
z
Actina
Forza (% del massimo)
300
5
4
3 2
C
100
1
B
80
60
40
20
0
a
1
b
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
Lunghezza del sarcomero (µm)
(a+b)
Miosina
1
(b+c)
2
(b)
3
(b-c)
4
(a)
5
c
Actina
(1/2 b)
6
La velocità e la forza di accorciamento del sarcomero (a) dipendono dal numero di ponti tra actina e miosina che si possono attivare contemporaneamente. Questo numero dipende, a sua
volta, dalla sovrapposizione reciproca tra actina e miosina prima della contrazione, e quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero. Come si vede in (b), la lunghezza ottimale del sarcomero
è compresa tra 2 e 2,2 mm, cui corrisponde una sovrapposizione ottimale tra actina e miosina (esempio 3 in c) e, quindi, la massima forza sviluppata dal sarcomero.
Al di sopra di 2,2 mm (esempi 1-2 in c) i filamenti di actina si allontanano dal centro del sarcomero, per cui si riduce la sovrapposizione con la miosina e, quindi, viene meno il legame ottimale tra le due proteine contrattili del sarcomero. Al di sotto di tale lunghezza (esempi 4-5-6 in c), d’altro canto, i filamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro del sarcomero,
riducendo così, anche in questo caso, la possibilità di stringere ponti con la miosina.
Si deve sottolineare che quanto maggiore è il flusso di
Ca2+ verso le miofibrille, tanto maggiore è la velocità con
cui si formano e si sciolgono ciclicamente i ponti tra
actina e miosina e quindi, a parità di altri fattori, tanto
maggiori sono la velocità di contrazione e, pertanto, la
contrattilità.
Contrazione ventricolare
Nel considerare i principi che regolano l’attività contrattile dei ventricoli del cuore in situ, si possono assumere il
volume e la pressione delle cavità ventricolari come analoghi, rispettivamente, alla lunghezza e alla tensione delle
fibre del muscolo papillare isolato negli studi sperimentali. Anche se considerazioni analoghe possono essere fatte
ovviamente per il ventricolo destro, nella trattazione che
segue ci si riferirà principalmente al ventricolo sinistro,
che, per semplicità, si assumerà abbia le caratteristiche
geometriche di una sfera.
In un ventricolo, la lunghezza delle fibre a riposo dipende
dal volume di riempimento ventricolare in telediastole,
che assume perciò il significato fisiologico di precarico. In
base alla legge di Starling, quanto più aumenta il riempimento in diastole, tanto maggiori sono l’accorciamento
successivo delle fibre e l’espulsione di sangue. Il volume di
riempimento, a sua volta, è in relazione con la pressione
ventricolare in telediastole (pressione di riempimento),
che è più facile da misurare e perciò è di solito utilizzata
come stima del precarico. La relazione tra pressione e vo-
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lume di riempimento dipende anche dalle caratteristiche
di distensibilità del ventricolo in diastole.
Il postcarico, d’altro canto, è costituito dall’insieme delle
resistenze che il ventricolo deve superare per espellere il
sangue. In termini più rigorosi, esso rappresenta lo sforzo
(stress) di parete (forza per unità di superficie della parete)
cui il ventricolo è soggetto durante la sistole. Secondo una
legge fisica, che porta il nome del fisico francese Pierre Simon de Laplace, lo sforzo di parete (S) è uguale al prodotto
della pressione endocavitaria (P) per il raggio della cavità
(r) diviso 2 volte lo spessore (h) della parete (S = Pr/2h).
In base a questa legge, quindi, il ventricolo si trova a
sopportare un aumento del postcarico sia in caso di un
aumento della pressione, sia in caso di un aumento del
raggio, e quindi del volume ventricolare. L’aumento di
spessore della parete, viceversa, comporta una riduzione
del postcarico.
Lo stato inotropo, o contrattilità, del ventricolo, infine,
corrisponde al valore medio dello stato inotropo delle
singole fibre e dipende essenzialmente dalle condizioni
metaboliche delle cellule, in particolare, come visto, dalla
concentrazione intracellulare di calcio.
Relazioni fra pressione, volume
e funzione ventricolare
Tenendo conto di quanto detto nei paragrafi precedenti,
anche per il ventricolo è possibile costruire sperimentalmente dei grafici che mettono in relazione le condizioni
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
del muscolo prima della contrazione (telediastole) con le
prestazioni in sistole (Figura 13.8).
Si immagini un dispositivo sperimentale che consenta di
modificare il riempimento (precarico) di un ventricolo mantenendo costanti gli altri fattori (inotropismo e postcarico).
Per ogni aumento del precarico si osserverà un aumento
della gittata sistolica, sino a quando non si arriva a distendere le fibre alla loro lunghezza ottimale. Oltre questo punto
ogni ulteriore distensione produce una riduzione della gittata sistolica. In condizioni fisiologiche, tuttavia, questa condizione non è mai raggiunta perché la lunghezza ottimale
delle fibre è quasi coincidente con la massima distensibilità
elastica della parete ventricolare. In condizioni patologiche,
invece, la distensibilità delle cellule può andare oltre quella
massima ottimale, per cui un’ulteriore distensione delle
cellule finisce con il determinare una diminuzione della
forza di contrazione e, quindi, della gittata.
La relazione precarico-gittata può essere espressa in un
grafico in cui si ponga sull’asse orizzontale il precarico
e su quello verticale la gittata sistolica. La curva che ne
risulta è detta curva di funzione ventricolare o di Starling
(in quanto rispecchia i principi della legge di Starling).
Normalmente la curva presenta una parte ascendente (dove
la gittata aumenta con il precarico) e un plateau (la gittata
rimane costante pur aumentando ulteriormente il precarico). In condizioni patologiche, come notato in precedenza,
la curva presenta, dopo il plateau, una parte discendente,
la quale indica che, aumentando il precarico oltre un certo
livello, la gittata diminuisce (si veda Figura 13.8).
Si immagini ora di ripetere le misurazioni dopo aver fatto
variare lo stato inotropo del ventricolo, per esempio con
una stimolazione adrenergica. Per ogni valore di precarico
si osserva allora una gittata sistolica maggiore rispetto
a quanto osservato in assenza di stimolo inotropo. Nel
grafico (Figura 13.8) la porzione ascendente di questa
curva è più ripida e il plateau di gittata massima più ele-
vato. La stimolazione inotropa, quindi, sposta la curva
di funzione ventricolare in alto. Ovviamente si osserverà
l’inverso in caso di depressione dell’inotropismo cardiaco.
Esiste, dunque, per ogni ventricolo un’intera famiglia di
curve di funzione ventricolare, ciascuna in relazione a un
particolare stato inotropo.
Restano da considerare gli effetti del postcarico sulle curve
di funzione ventricolare. Come precisato in precedenza, il
postcarico, in base alla legge di Laplace, può aumentare per
due ragioni: per un incremento della pressione nel ventricolo in sistole o per un aumento del raggio del ventricolo.
Se si aumenta la pressione aortica e si ripetono le misurazioni per disegnare una curva di funzione ventricolare, si
osserverà, per ogni valore di precarico, una gittata sistolica
minore rispetto alle misurazioni basali. Un aumento del
carico di pressione, quindi, sposta la curva di funzione
ventricolare in basso. Lo stesso avviene per un aumento
del carico di volume, ma in grado assai minore. La ragione
di ciò risiede ancora una volta nella legge di Laplace, nella
cui formula entra il raggio e non il volume ventricolare.
Se il volume del ventricolo, per esempio, raddoppia, il
raggio (e quindi il postcarico), per evidenti ragioni geometriche, varia solo in proporzione alla radice cubica di
2 (1,26 circa), cioè in pratica aumenta del 26%. Inoltre, lo
spostamento in basso della curva di funzione ventricolare
è parzialmente attenuato dall’aumento del precarico che
opera attraverso il meccanismo di Starling.
È da osservare che, oltre alle curve di funzione del ventricolo in sistole, è possibile costruire anche curve che descrivono le proprietà elastiche del ventricolo in diastole.
Infatti, se si aumenta progressivamente il volume di riempimento diastolico e si misurano i corrispondenti valori di
pressione che si vengono a ottenere in ventricolo, si può
osservare che, sino a quando il volume di riempimento
ventricolare è limitato, il suo aumento determina solo
un modesto aumento della pressione intraventricolare
Curve di funzione ventricolare
Gittata
o lavoro
sistolico
Curve di pressione-volume
Pressione
telediastolica
Rid
ott
ad
No
rm
ale
iste
n si
bilit
à
Aum
ent
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co
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Ri
a
trattilità
a con
dott
Volume telediastolico
b
lità
ale
ibi
rm
ens
t
No
s
i
d
ntata
Aume
Volume telediastolico
Le curve di funzione ventricolare si costruiscono mettendo in relazione in un grafico il precarico (volume telediastolico del ventricolo) con la prestazione contrattile (gittata o lavoro sistolico).
Queste curve sono spiegate dalla legge di Starling, in base alla quale un aumento del precarico determina un aumento della gittata sistolica. Da notare che in presenza di insufficienza miocardica, oltre un certo limite di volume telediastolico, la gittata si riduce. Le curve di pressione-volume si costruiscono mettendo in relazione in un grafico il volume telediastolico con la
pressione telediastolica del ventricolo.
013_RUGARLI_0295_0326.indd 301
301
2
Figura 13.8
(a) Curve
di funzione
ventricolare
in condizioni
normali, di ridotta
contrattilità
(insufficienza
ventricolare)
o di aumentata
contrattilità
(stimolazione
inotropa).
(b) Curve di
pressione-volume
in diastole
in condizioni
normali, di ridotta
distensibilità
ventricolare
(ipertrofia)
e di aumentata
distensibilità
ventricolare
(dilatazione
senza ipertrofia).
01/07/15 13:46
302
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
(in quanto il ventricolo è distensibile). Quando il ventricolo
è vicino ai valori massimi di riempimento, invece, anche
un piccolo aumento del volume di riempimento determina
un aumento rilevante della pressione intraventricolare.
La relazione tra volume e pressione in diastole può essere
espressa da un grafico in cui si pone sull’asse orizzontale
il volume telediastolico e su quello verticale la pressione
telediastolica. Ne risulta una curva, detta di pressionevolume, che presenta un andamento quasi orizzontale
all’inizio e si impenna poi progressivamente per valori più
elevati di volume (si veda Figura 13.8). La curva riflette la
distensibilità (o compliance) ventricolare. Quando il ventricolo diviene più rigido la curva si sposta verso l’alto e
a sinistra; cioè, per uno stesso volume di riempimento il
ventricolo presenta una pressione diastolica più elevata.
È da osservare che la distensibilità ventricolare è determinata in parte dal rapporto fra fibre elastiche e collagene
nell’interstizio e dallo spessore della parete ventricolare.
Pertanto un aumento del collagene interstiziale rende
il ventricolo più rigido. Tuttavia, la distensibilità non è
una proprietà del ventricolo puramente passiva. Durante
le prime fasi della diastole, infatti, essa dipende anche
dal processo di rilasciamento che avviene in questa fase.
Questo processo che, come visto, comporta la rimozione
degli ioni calcio dal legame con la troponina e il loro accumulo nel reticolo sarcoplasmatico, è un processo attivo,
che richiede consumo di energia (la pompa del calcio
consuma ATP). Per questa ragione, in alcune circostanze
patologiche (per esempio, ipertrofia o ischemia miocardica), esso può risultare incompleto o rallentato, causando
così un’alterazione della distensibilità, e quindi del riempimento ventricolare. Inoltre, anche alcune condizioni
patologiche del pericardio (per esempio, la pericardite
costrittiva e il tamponamento cardiaco) influiscono sulla
distensibilità ventricolare.
+
Infine, il ventricolo si riempie anche per effetto di un’azione
attiva di risucchio del sangue. L’energia richiesta per questo
effetto di “pompa aspirante” si ritiene derivi dalla forza
elastica accumulata dal cuore durante la sistole. Tale meccanismo può essere compromesso in condizioni patologiche
caratterizzate da una riduzione della contrattilità e della
gittata sistolica, in quanto, quando la sistole è meno energica, anche l’aspirazione diastolica risulta meno efficace.
REGOLAZIONE DELLA PORTATA CARDIACA
Il cuore adatta costantemente la propria gittata ai bisogni
metabolici dell’organismo grazie al gioco combinato dei
tre fattori che determinano la gittata sistolica (precarico,
inotropismo, postcarico) più un quarto fattore, la frequenza cardiaca (Figura 13.9).
Normalmente, a riposo, la portata cardiaca è di circa
5 L/min, mentre la gittata sistolica oscilla tra 65 e 85 mL.
Quando occorre, tipicamente in corso di esercizio fisico,
il cuore aumenta la propria gittata, e lo fa soprattutto attraverso un aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità. Gli ambiti entro cui possono avvenire questi utili
aumenti della frequenza e della contrattilità prendono il
nome di riserva di frequenza e riserva di contrattilità. Da
notare che l’aumento della frequenza cardiaca, riducendo
la durata della diastole, potrebbe determinare una riduzione del riempimento ventricolare (precarico), e quindi della gittata; tuttavia, il riempimento ventricolare in diastole
viene abitualmente mantenuto a valori normali grazie a
un aumento del ritorno venoso o anche, in alcune condizioni patologiche, a meccanismi di ridistribuzione della
massa di sangue circolante, che contribuiscono a impedire
che esso scenda al di sotto di valori che garantiscono una
normale efficienza della contrazione.
Ritorno
venoso
+
Precarico
Frequenza
cardiaca
+
Forza/velocità
di contrazione
Contrattilità
Figura 13.9
Lo schema
riassume
i rapporti tra
i vari fattori che
entrano in gioco
nella regolazione
della gittata cardiaca.
Il segno più (+)
indica un aumento,
quello meno (−)
una riduzione.
013_RUGARLI_0295_0326.indd 302
+
Gittata
cardiaca
+
Gittata
sistolica
+
Postcarico
–
+
Pressione
arteriosa
+
Resistenze
periferiche
+
01/07/15 13:46
Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Inoltre, il cuore può fare fronte a una riduzione patologica
della contrattilità o a un aumento del postcarico attraverso un aumento del precarico che consenta di mantenere
comunque a livelli adeguati l’efficacia della contrazione.
Ovviamente, esiste un limite oltre il quale l’aumento di
riempimento dei ventricoli è impossibile, o per lo meno
controproducente, in quanto lo stiramento eccessivo delle
fibre miocardiche porta a una contrazione meno efficiente;
inoltre, l’aumento eccessivo del diametro ventricolare,
come visto, fa aumentare lo sforzo di parete, ossia il postcarico. L’ambito entro cui il riempimento ventricolare può
utilmente aumentare prende il nome di riserva di precarico.
Si vedranno ora in dettaglio i singoli fattori che regolano
la gittata sistolica e la portata cardiaca.
Frequenza cardiaca
La portata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per
la frequenza cardiaca. Perciò, in condizioni fisiologiche, la
frequenza cardiaca contribuisce in misura considerevole
ad adeguare la portata cardiaca.
Durante un esercizio fisico moderato, per esempio, la frequenza cardiaca aumenta parallelamente all’entità dello
sforzo, mentre la gittata sistolica resta quasi costante o
aumenta di poco. L’aumento della frequenza cardiaca in
questa condizione dipende dalla stimolazione che il sistema nervoso simpatico, la cui attività aumenta durante lo
sforzo, esercita sulla velocità di scarica del nodo del seno,
oltre che dall’eliminazione dell’effetto inibitorio del vago
sullo stesso nodo seno-atriale (l’attività vagale è infatti
inibita durante sforzo).
Quando la frequenza cardiaca supera i 170-180 bpm
(o anche valori più bassi con l’aumentare dell’età), la durata
della diastole diviene troppo breve per consentire un buon
riempimento del cuore. Di conseguenza la gittata sistolica
diminuisce e ciò impedisce ulteriori aumenti della portata
cardiaca. È questo il limite della riserva di frequenza.
Precarico
Se si fa aumentare artificialmente la frequenza cardiaca
in un soggetto a riposo (per esempio, stimolando l’atrio
destro con un catetere elettrodo introdotto da una vena
periferica), la portata cardiaca resta pressoché invariata.
Poiché la portata cardiaca è data dal prodotto della frequenza cardiaca per la gittata sistolica, ne deriva che la
gittata sistolica si riduce, e ciò dipende dal fatto che anche
il ritorno venoso per ogni singolo battito si riduce, mentre
quello complessivo (per minuto) rimane costante.
Durante l’esercizio fisico l’aumento della frequenza cardiaca produce un cospicuo aumento della gittata. Ciò può
avvenire perché contemporaneamente aumenta il ritorno
venoso al cuore, grazie all’effetto di spremitura sul circolo
venoso dei muscoli periferici e all’aumento del tono venoso, per cui la gittata sistolica resta invariata o aumenta.
L’adeguamento della portata cardiaca alle esigenze dei tessuti richiede in ogni caso il mantenimento di un precarico
ottimale. Questo dipende da diversi fattori.
Volume totale di sangue
Riduzioni brusche della massa liquida circolante, superiori
al 15% del totale (emorragie acute), determinano una
013_RUGARLI_0295_0326.indd 303
303
riduzione rilevante del precarico. Variazioni minori o
croniche del volume totale di sangue, d’altro canto, non
hanno effetti significativi sul riempimento ventricolare.
Distribuzione del volume di sangue
Il sangue circola continuamente, ma, se si fotografa la
situazione in un determinato istante, si osserva che una
quota di sangue è all’interno del torace, mentre il resto si
trova distribuito alla periferia dell’organismo. Il precarico
dipende dal volume di sangue intratoracico (volume centrale), il quale, a sua volta, è determinato da diversi fattori:
• posizione del corpo: in piedi una quota maggiore di
sangue occupa le posizioni declivi, per cui il volume
centrale diminuisce;
• tono venoso: la parete delle vene è capace
di contrarsi, riducendo la quota di sangue periferico
e aumentando quella centrale; ciò avviene durante
l’esercizio fisico o quando la pressione arteriosa cala
bruscamente;
• spremitura muscolare: la contrazione dei muscoli
scheletrici (con il gioco delle valvole venose)
tende a spingere una quota maggiore di sangue
verso il torace, aumentando, quindi, il volume
centrale;
• pressione intratoracica: in inspirazione la pressione
intratoracica è negativa, per cui in questa fase
del respiro il volume di sangue centrale aumenta;
la pressione intratoracica diviene positiva nello
pneumotorace iperteso o, temporaneamente, durante
accessi di tosse o altre situazioni di espirazione a
glottide chiusa; in questi casi il volume centrale
diminuisce, con effetti anche cospicui sul
riempimento cardiaco.
2
Distensibilità cardiaca
È la capacità del cuore di aumentare di volume senza aumento eccessivo della pressione intracavitaria e dipende
sia dalla distensibilità del miocardio sia da quella del pericardio. La prima si riduce in caso di ischemia, ipertrofia
o fibrosi del tessuto miocardico, la seconda in caso di
versamento pericardico o di pericardite cronica costrittiva.
Effetto aspirante
Il rinculo del cuore e la forza elastica accumulata durante
la sistole producono un effetto di risucchio sul sangue
proveniente dalle vene nella fase iniziale della diastole;
questo effetto risulta compromesso in caso di ridotta
contrattilità o di un’alterazione della matrice extracellulare miocardica con aumento del contenuto di collagene.
Contrazione atriale
La sistole atriale contribuisce efficacemente a completare
il riempimento dei ventricoli nella parte finale della diastole. La perdita della contrazione atriale in caso di fibrillazione atriale può comportare una sensibile riduzione del
riempimento ventricolare e, quindi, della gittata sistolica.
Frequenza cardiaca
La riduzione del tempo a disposizione per il riempimento
ventricolare (durata della diastole) comporta, a frequenze elevate (oltre i 150-180 bpm, a seconda dell’età), una
riduzione del precarico.
01/07/15 13:46
304
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Contrattilità miocardica
Durante l’esercizio fisico, oltre alla frequenza cardiaca e
al ritorno venoso, aumenta anche la forza contrattile del
miocardio. In questa situazione, infatti, aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico e, quindi, la quantità di noradrenalina liberata dalle terminazioni nervose
simpatiche del cuore, con conseguente aumento della
stimolazione dei recettori b-adrenergici del miocardio. Il
grado di stimolazione nervosa dei recettori b-adrenergici
cardiaci rappresenta il meccanismo fisiologico più importante alla base della riserva di contrattilità del cuore.
Altri fattori possono però influenzare, positivamente o
negativamente, l’inotropismo cardiaco.
Catecolamine circolanti
La noradrenalina, liberata soprattutto dalle terminazioni
nervose simpatiche, e l’adrenalina, rilasciata soprattutto
dal surrene, o altre catecolamine somministrate a scopo
terapeutico, come la dopamina e l’isoproterenolo, stimolano la contrattilità miocardica.
Farmaci inotropi positivi
I glicosidi cardioattivi (digitale e simili), gli inibitori della
fosfodiesterasi (amrinone e derivati), la caffeina, la teofillina, il calcio e i farmaci calcio-sensibilizzanti (come il
levosimendan) sono tutte sostanze in grado di aumentare
la forza contrattile del miocardio.
Ipossia, ipercapnia, acidosi
Le gravi alterazioni del trasporto e della diffusione dei gas
nel circolo e dell’equilibrio acido-base del sangue deprimono in misura rilevante la forza contrattile del cuore.
Si può quindi determinare un pericoloso circolo vizioso
quando la funzione respiratoria è compromessa per motivi
cardiaci (come nell’edema polmonare acuto), in quanto
ciò contribuisce a deprimere a sua volta la contrattilità
miocardica.
Sostanze inotrope negative
Diversi gruppi di farmaci riducono la contrattilità miocardica. Tra di essi vi sono anzitutto i b-bloccanti, ma anche
i calcio-antagonisti non diidropiridinici, diversi antiaritmici, anestetici locali e generali e i barbiturici. Anche un
eccesso di alcol può ridurre la contrattilità cardiaca.
Postcarico
Il postcarico ha un effetto negativo sulle prestazioni ventricolari ed è proporzionale alla pressione ventricolare
sistolica e al raggio del ventricolo. In sistole, la pressione
ventricolare sinistra è uguale a quella aortica, che a sua
volta, secondo una nota legge fisica, equivale al prodotto
della portata cardiaca per le resistenze vascolari (in formula: P = Q × R, dove Q è la portata e R la somma delle
resistenze periferiche che si oppongono al flusso del sangue). Tali resistenze sono localizzate soprattutto a livello
delle prearteriole e delle arteriole (vasi di resistenza), ma
in parte dipendono anche dall’elasticità dei grandi vasi,
soprattutto della stessa aorta.
Durante l’esercizio fisico la portata cardiaca aumenta e ciò
causa, sulla base della precedente formula, un aumento
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della pressione aortica e quindi del postcarico, con riduzione dell’efficienza contrattile. Per limitare questo
effetto negativo, si verifica per via riflessa una dilatazione
dei vasi di resistenza (soprattutto nei distretti muscolari)
che limita l’aumento della pressione.
In altri casi la pressione, e quindi il postcarico, può aumentare acutamente per un incremento improvviso delle
resistenze vascolari (per esempio, una vasocostrizione
cutanea causata dal freddo). In questi casi il ventricolo,
sottoposto a un postcarico maggiore, espelle una gittata sistolica minore. Resta così in ventricolo una quota
maggiore di sangue al termine di ogni sistole. Questa
quota si aggiunge al normale riempimento diastolico,
aumentando il precarico. Entro pochi battiti la maggiore
dilatazione del ventricolo in diastole riporta la gittata
sistolica ai valori di partenza. In altre parole, per adattarsi
a un aumento del postcarico il cuore sfrutta la riserva di
precarico, in modo da mantenere costante la gittata. Questo adeguamento ha però un prezzo che risulta evidente,
se si considera il lavoro del cuore. Il lavoro di una pompa
che espelle un volume V di liquido a una pressione P è
proporzionale al prodotto di P × V. Nel caso del cuore, il
lavoro per ogni sistole è dato dal prodotto della pressione
sistolica media per il volume della gittata sistolica. Quindi, quando il cuore si adatta a un aumento di pressione
aumentando il suo volume, così da mantenere costante
la gittata sistolica, esso finisce comunque per compiere
un lavoro maggiore. Ciò comporta, per ogni contrazione,
un maggiore consumo di energia e, quindi, di ossigeno.
Oltre a ciò, un aumento di pressione comporta anche
un minore rendimento cardiaco, che è definito come
il rapporto tra lavoro svolto ed energia spesa, e che già
di base nel cuore è piuttosto basso (20-25% circa dell’energia consumata). Infatti, il lavoro effettivo (ossia la
gittata sistolica) rimane costante, a dispetto dell’aumento
del consumo energetico conseguente all’aumento della
pressione arteriosa.
Quando la contrattilità del cuore è ridotta, l’adattamento
a un aumento brusco del postcarico è più difficile. Infatti, il cuore insufficiente sfrutta già in condizioni di base
parte della riserva di precarico per mantenere una gittata
normale; inoltre spesso la sua distensibilità è ridotta. Esso
non può quindi aumentare di molto il riempimento per
far fronte a un aumento acuto delle resistenze periferiche. Ne consegue che, quando il cuore presenta una
significativa insufficienza contrattile, un aumento acuto
delle resistenze periferiche (e quindi della pressione e del
postcarico) può determinare una riduzione della portata
cardiaca, tanto maggiore quanto più depressa è la contrattilità miocardica.
Questi concetti possono essere espressi con un grafico in
cui sull’asse orizzontale si pongono le resistenze vascolari periferiche e su quello verticale la portata cardiaca
(Figura 13.10). Il comportamento del cuore normale è
rappresentato da una retta orizzontale (nessuna variazione della gittata con l’aumentare delle resistenze),
che deflette solo a valori estremi delle resistenze. Il
comportamento di un cuore con contrattilità ridotta è
rappresentato, invece, da una linea discendente (riduzione della gittata con l’aumento delle resistenze) tanto
più inclinata verso il basso quanto più è compromessa
la contrattilità miocardica.
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
305
Figura 13.10
Curve di
resistenze-gittata.
Gittata
cardiaca
Normale
Ipertensione
Iperte
Mod
erata
i
Gr
av
e
ins
nsuf
ficie
nza
mio
car
dic
con
scom
pen
so
a
za
en
i ci
uf
f
nsion
e
2
ica
ard
oc
mi
Resistenze all’eiezione
Nel cuore normale un aumento acuto delle resistenze all’eiezione ventricolare, causato, per esempio, da una vasocostrizione periferica, non provoca alcuna variazione della gittata, salvo che
per valori estremi di vasocostrizione. Nel cuore insufficiente, invece, ogni aumento delle resistenze si accompagna a una riduzione della gittata cardiaca. La riduzione è tanto più marcata
quanto più grave è il grado di insufficienza contrattile del miocardio.
Scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco (o insufficienza cardiaca) è una
condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del
cuore di pompare una quantità di sangue (portata cardiaca) adeguata alle necessità metaboliche dell’organismo
o, comunque, di essere in grado di farlo solo a spese di
un aumento delle pressioni di riempimento in una o più
camere cardiache e nel circolo venoso a monte.
Numerose malattie cardiache possono determinare o evolvere verso una condizione preclinica o clinica di scompenso cardiaco, e l’attuazione di alcune misure terapeutiche
può in molti casi prevenirne o ritardarne lo sviluppo.
Inoltre è possibile ridurre l’incidenza dello scompenso
cardiaco nella popolazione anche prevenendo lo sviluppo
delle malattie cardiache che ne sono potenziali cause (per
esempio, cardiopatia ischemica, ipertensione ecc.), mediante controllo dei fattori di rischio che le determinano.
Sulla base di queste considerazioni e dell’idea di un approccio globale al problema dello scompenso cardiaco,
finalizzato non solo al trattamento ma anche alla prevenzione, è stata proposta una classificazione dello scompenso in quattro stadi (Figura 13.11). Nei primi due (A e B)
sono inclusi pazienti che, in effetti, non hanno alcuna
evidenza (clinica o subclinica) di scompenso, ma nei quali appropriati interventi possono ridurre la probabilità
che essi possano sviluppare uno scompenso cardiaco in
futuro. Gli ultimi due stadi (C e D) includono, viceversa,
pazienti con evidenza di scompenso di gravità crescente,
che necessitano specifici tipi di trattamento.
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Epidemiologia
Lo scompenso cardiaco è una condizione patologica di frequente riscontro per il medico. In Europa la prevalenza oscilla dal 2 al 3%; pertanto circa 15 milioni di persone ne sono
affetti. Un numero simile di pazienti ha disfunzione ventricolare sinistra in assenza di sintomi di scompenso cardiaco.
L’incidenza dello scompenso nella popolazione aumenta
con l’età e raddoppia (o più) per ogni decennio dai 40 agli
80 anni. Essa è quindi destinata ad aumentare in futuro, a
causa sia dell’allungamento della vita media della popolazione sia, ancor più, dell’aumento dell’attesa di vita dei
pazienti affetti da diverse forme di cardiopatie che possono
sfociare nello scompenso. Nell’età adulta lo scompenso è
più frequente negli uomini che nelle donne, a causa della
maggiore prevalenza di cardiopatia ischemica; la differenza
tende comunque ad annullarsi con il passare degli anni.
Eziologia
Dal punto di vista clinico è utile classificare le cause dello
scompenso in due categorie: 1) cause primarie, che comprendono molte delle malattie che colpiscono il cuore,
delle quali la cardiopatia ischemica, in primo luogo, e
la cardiomiopatia dilatativa idiopatica sono quelle più
frequentemente responsabili di scompenso (Tabella 13.1);
2) cause precipitanti, che rendono evidente uno scompenso cardiaco subclinico, determinano l’aggravamento
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306
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Figura 13.11
Classificazione
dello scompenso
cardiaco in stadi
dell’ACC/AHA.
STADIO A
Nessuna cardiopatia
ma alto rischio
di patologie
che danno scompenso
STADIO B
Pazienti con malattia
cardiaca strutturale,
ma senza sintomi
di scompenso
Sviluppo di patologia
cardiaca strutturale
Esempio
Pazienti con:
• ipertensione
• cardiopatia
ischemica
• diabete mellito
• uso di farmaci
cardiotossici
• storia familiare
di cardiomiopatie
STADIO C
Pazienti con malattia
cardiaca
strutturale e sintomi
di scompenso
Comparsa di sintomi
di scompenso cardiaco
Esempio
Pazienti con:
• pregresso IMA
• disfunzione sistolica
nel ventricolo sinistro
• valvulopatie
asintomatiche
STADIO D
Scompenso
refrattario che necessita
di interventi
specializzati
Sintomi di scompenso
cardiaco refrattari, a riposo
Esempio
Pazienti con:
• malattia cardiaca
strutturale nota
• dispnea, faticabilità,
ridotta tolleranza
allo sforzo
Esempio
Pazienti con:
• sintomi gravi
nonostante terapia
massimale (pazienti
con frequenti
ospedalizzazioni
che richiedono
supporto terapeutico
speciale)
La classificazione serve a identificare non solo il grado di gravità dei sintomi in pazienti con evidenza di scompenso (stadi C-D), ma anche i soggetti o pazienti esenti da un quadro di scompenso, ma a rischio per la presenza di malattie cardiache che possono evolvere verso un’insufficienza cardiaca (stadio B) o pazienti che, pur non avendo patologie cardiache in atto, sono
tuttavia ad alto rischio di sviluppare cardiopatie in grado di evolvere verso uno scompenso (stadio A).
di uno scompenso preesistente o precipitano uno scompenso acuto. Per il clinico è importante identificare sia la
malattia cardiaca che è la causa di base dello scompenso
sia i fattori precipitanti. Infatti, il trattamento delle cause
sottostanti può prevenire o contenere il peggioramento
dello scompenso cardiaco, o anche risolverlo del tutto,
mentre il trattamento dei fattori precipitanti può consentire il ritorno a uno stato di stabilità clinica.
Cause primarie
Una condizione di scompenso cardiaco è nella maggior
parte dei casi il risultato di un’insufficiente funzione miocardica. Questa può essere determinata primariamente
dalla perdita di una quota rilevante di tessuto miocardico,
come nell’infarto miocardico (la causa più frequente di
scompenso cardiaco nei Paesi occidentali), oppure da
alterazioni strutturali e funzionali diffuse del miocardio,
come nella cardiomiopatia dilatativa non ischemica o nelle miocarditi, o anche in alcune forme di cardiomiopatia
dilatativa su base ischemica senza apparente evidenza di
infarto (si veda il Capitolo 7).
L’insufficienza miocardica può anche essere secondaria a
un carico di lavoro cronico eccessivo, il quale può essere
Tabella 13.1 Eziologia dello scompenso cardiaco
Cardiopatia ischemica
Miocardiopatia dilatativa idiopatica
Cardiopatia valvolare
Cardiopatia ipertensiva
Altro
013_RUGARLI_0295_0326.indd 306
65,0%
18,0%
5,0%
5,0%
7,0%
dovuto, a sua volta, a un sovraccarico di pressione (come
nell’ipertensione arteriosa sistemica o polmonare o nelle
stenosi valvolari aortica o polmonare), o un sovraccarico di volume (come nelle insufficienze delle valvole sia
atrioventricolari sia semilunari) (si veda il Capitolo 8).
Molto raramente, l’insufficienza miocardica si può manifestare per un sovraccarico di volume determinato da
patologie extracardiache che impongono al cuore una
gittata persistentemente elevata (come l’anemia grave e
l’ipertiroidismo).
Alcune malattie miocardiche, d’altro canto, possono causare
uno scompenso cardiaco determinando principalmente una
compromissione della funzione diastolica del miocardio
(come la cardiomiopatia ipertrofica e quella restrittiva).
Lo scompenso cardiaco deve essere distinto da altre forme
di insufficienza circolatoria, nelle quali la funzione di
trasporto di ossigeno ai tessuti è compromessa per un’alterazione di una (o più di una) delle altre componenti del
sistema (massa ematica, concentrazione di emoglobina
ossigenata, letto vascolare). Un esempio di quadro clinico
di insufficienza circolatoria non attribuibile a un’insufficienza miocardica o cardiaca è, per esempio, lo shock
ipovolemico da emorragia acuta.
In sintesi, bisogna ricordare che insufficienza miocardica,
insufficienza cardiaca e insufficienza circolatoria non sono
sinonimi, ma concetti di estensione crescente, ciascuno
dei quali comprende i precedenti in una famiglia più
ampia (Figura 13.12).
Cause precipitanti
I pazienti con insufficienza cardiaca sono spesso sufficientemente compensati (vale a dire asintomatici, almeno a riposo, e in condizioni cliniche stabili) grazie a meccanismi
01/07/15 13:46
Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Insufficienza
miocardica
Primitiva:
– cardiopatia ischemica
– miocardiopatie
– miocarditi
Secondaria:
– ipertensione arteriosa
– cardiopatie valvolari
– cardiopatie congenite
– sindrome da alta gittata
Insufficienza
cardiaca
– Ipertensione acuta grave
– Cardiopatie valvolari
(acute e croniche)
– Cardiopatie congenite
– Sindrome da alta gittata
– Ostruzione AV
– Ostruzione all’efflusso
– Tamponamento cardiaco
Insufficienza
circolatoria
– Riduzione della volemia
– Anemia acuta
– Vasodilatazione
307
Figura 13.12
Relazione tra
insufficienza
miocardica,
cardiaca e
circolatoria.
2
Esso mostra come l’insufficienza miocardica, che è caratterizzata da un deficit funzionale meccanico del muscolo cardiaco, costituisca una parte dell’insufficienza cardiaca, la quale più generalmente comprende tutti i casi in cui la presenza di malattie cardiache impedisce al cuore di garantire un’adeguata gittata cardiaca. L’insufficienza cardiaca, a sua volta, è una parte della più
generale condizione di insufficienza circolatoria, che comprende tutti i casi in cui non si riesce a garantire un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo.
endogeni di compenso (si veda in precedenza e oltre) e/o
a un appropriato trattamento farmacologico.
Tuttavia diversi fattori, che sopraggiungono in modo più
o meno improvviso, possono alterare l’equilibrio, talora
precario, raggiunto dal paziente e causare un aggravamento
del quadro clinico, determinando un peggioramento della
funzione cardiaca o imponendo al cuore un carico di lavoro
supplementare.
In questi casi è importante individuare la causa che ha
determinato l’aggravamento, perché spesso si tratta di
condizioni reversibili che possono essere risolte con una
terapia appropriata. Se il paziente supera la crisi acuta e la
causa precipitante può essere eliminata, è spesso possibile
recuperare il precedente stato di equilibrio. Nella gestione
successiva del paziente si dovrà avere particolare cura di
evitare l’esposizione alla causa o alle cause che hanno precipitato l’aggravamento dello scompenso. I fattori che più
frequentemente sono implicati come cause precipitanti di
uno scompenso cardiaco sono indicati di seguito.
Stress fisico, psichico, alimentare, ambientale Ogni brusco cambiamento delle condizioni di vita che
comporti per il cuore un sovraccarico di lavoro (caldo,
freddo, eccesso di sale nella dieta, emozioni, superlavoro
ecc.) può rendere manifesto o peggiorare uno scompenso.
Ipertensione Bruschi aumenti della pressione arteriosa impongono al
cuore, come visto, un significativo aumento del lavoro,
che può far precipitare o aggravare uno scompenso.
Aritmie La comparsa di aritmie è un evento frequente nei pazienti
cardiopatici e può fare precipitare uno scompenso cardiaco in equilibrio precario. In caso di tachiaritmie si ha una
marcata riduzione della durata della diastole, cosicché il
riempimento ventricolare può risultare insufficiente a mantenere un’adeguata portata cardiaca; nelle bradiaritmie,
d’altro canto, se la frequenza cardiaca è molto bassa, per
mantenere la portata cardiaca a valori sufficienti può essere
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richiesto un aumento della gittata sistolica al di sopra delle
possibilità del ventricolo insufficiente. Inoltre, spesso le
aritmie comportano una dissociazione tra attività atriale
e attività ventricolare, con perdita dell’apporto atriale al
riempimento ventricolare, che in pazienti con insufficienza
cardiaca di una certa gravità può essere determinante per
mantenere una sufficiente portata cardiaca. La perdita della
sistole atriale è anche la causa principale, insieme all’elevata
frequenza cardiaca, dell’aggravamento dello scompenso
quando si sovrappone una fibrillazione striale, che è peraltro
una delle aritmie più frequenti in presenza di uno scompenso cardiaco. Infine, in caso di frequenti aritmie ventricolari
o di tachicardia ventricolare, può contribuire alla riduzione
dell’efficienza contrattile ventricolare anche la perdita della
normale sincronizzazione della contrazione miocardica
conseguente all’attivazione anomala dei ventricoli.
Infezioni sistemiche Le infezioni possono precipitare uno scompenso cardiaco
sia in quanto determinano un aumento del lavoro cardiaco
(a causa dell’abituale tachicardia secondaria all’iperpiressia), sia per un aumento di citochine proinfiammatorie circolanti, che possono deprimere la contrattilità miocardica.
Aumento della portata cardiaca La richiesta di un aumento della portata cardiaca, per
motivi fisiologici (per esempio, durante una gravidanza)
o per lo sviluppo di alcune condizioni patologiche (per
esempio, anemizzazione, tireotossicosi), può essere causa
di aggravamento o anche del primo manifestarsi di uno
scompenso cardiaco prima clinicamente latente.
Malattie renali L’insufficienza renale, acuta e cronica, è associata a una
ridotta escrezione di sodio, che può esacerbare la ritenzione idrica tipica dello scompenso.
Embolia polmonare L’embolia polmonare è una patologia acuta che richiede
un pronto riconoscimento e trattamento. In alcuni casi
01/07/15 13:46
308
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
f­ enomeni microembolici, piuttosto che causare un quadro tipico di embolia polmonare, possono determinare
un aumento della pressione nel circolo polmonare che si
manifesta con un aggravamento di uno scompenso del
ventricolo destro (si veda il Capitolo 22).
Riduzione inappropriata della terapia La causa più frequente di peggioramento dello scompenso
cardiaco è probabilmente un’inappropriata autoriduzione della terapia farmacologica da parte del paziente; è
quindi importante spiegare bene al paziente che qualsiasi
variazione del trattamento deve sempre essere concordata
con il curante.
Assunzione di farmaci controindicati
o di sostanze tossiche L’assunzione di farmaci che riducono la contrattilità cardiaca (come molti farmaci antiaritmici, i calcio-antagonisti non diidropiridinici, dosi eccessive di b-bloccanti e alcuni farmaci antineoplastici) o di farmaci che aumentano
la ritenzione idrica (come gli estrogeni e i farmaci antinfiammatori, sia steroidei sia non steroidei) sono un’altra
causa frequente di peggioramento di uno scompenso
cardiaco. Inoltre, lo scompenso può essere aggravato da
un’assunzione eccessiva di bevande alcoliche o sostanze
tossiche come, per esempio, la cocaina.
Nuove malattie cardiache Il sovrapporsi di una nuova malattia cardiaca (infarto miocardico, endocardite infettiva, miocardite) alla cardiopatia
di base può fare precipitare, spesso in maniera catastrofica,
un’insufficienza cardiaca in equilibrio precario.
Fisiopatologia
In presenza di una riduzione della contrattilità miocardica o di un sovraccarico di lavoro cardiaco, le conseguenze emodinamiche più immediate sono rappresentate
dall’aumento della pressione venosa a monte e/o dalla
riduzione della gittata sistolica a valle della camera insufficiente. L’organismo reagisce con una serie di meccanismi di compenso che hanno lo scopo di mantenere la
portata cardiaca su valori normali. Nei gradi più lievi di
scompenso questi aggiustamenti riescono a garantire un
adeguato flusso ematico in qualunque condizione. Nei
casi di scompenso moderato, tuttavia, essi potranno consentire il mantenimento di una normale portata cardiaca
solo a riposo, ma non sotto sforzo (quando è richiesto
un aumento rilevante della gittata stessa). Nei casi più
gravi, infine, essi saranno incapaci di garantire una gittata
sufficiente anche per sforzi lievi, o addirittura a riposo.
Va peraltro osservato che, sebbene i meccanismi di compenso consentano di garantire, per un periodo più o
meno lungo, un soddisfacente compenso di circolo, essi,
soprattutto quando il loro grado di attivazione è elevato,
possono progressivamente comportare effetti negativi
sulla funzione cardiocircolatoria, che finiscono con il
contribuire a peggiorare, in un circolo vizioso, il quadro
clinico dello scompenso cardiaco.
I principali meccanismi di compenso che consentono al
cuore di garantire una funzione di pompa soddisfacente
in presenza di un’insufficienza cardiaca sono:
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• meccanismo di Starling;
• meccanismi neuroendocrini;
• ipertrofia miocardica e rimodellamento ventricolare.
Del primo di questi meccanismi si è parlato ampiamente
in precedenza e si è visto come esso consenta una regolazione rapida della funzione cardiaca. Si vedrà ora
come si attua e cosa comporta l’attivazione degli altri
due meccanismi.
Meccanismi neuroendocrini
L’attivazione di meccanismi neuroumorali consente di
ottenere un compenso rapido della funzione cardiaca. La
riduzione della gittata cardiaca, infatti, determina immediatamente una serie di reazioni neuroumorali finalizzate
a ripristinare valori normali della gittata stessa e mantenere una normale perfusione degli organi. Uno schema
dei principali meccanismi di compenso e delle loro conseguenze è illustrato nella Figura 13.13.
Una delle prime e importanti conseguenze di una riduzione della gittata sistolica, mediata da riflessi nervosi a
partenza da strutture barocettoriali e chemocettoriali, è
l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Questa determina, come già accennato nei paragrafi precedenti, un aumento sia della frequenza sia della contrattilità cardiaca.
Essa, inoltre, produce una vasocostrizione arteriolare nei
distretti più sacrificabili dell’organismo (soprattutto cute, muscoli scheletrici e organi addominali), favorendo
la ridistribuzione del flusso verso organi vitali (cuore e
cervello), che hanno, peraltro, una regolazione delle resistenze vascolari in gran parte autonoma e indipendente
da influenze neuroumorali.
Un’altra fondamentale sequenza di meccanismi di adattamento nello scompenso consegue alla riduzione del flusso
a livello del rene. La ridotta gittata cardiaca determina una
riduzione della pressione nelle arteriole glomerulari. Ne
consegue una complicata sequenza di eventi che ha come
risultato una ritenzione di acqua e sodio. Nella risposta
renale all’ipoperfusione riveste un ruolo centrale l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA),
che contribuisce a mantenere la vasocostrizione arteriolare.
Inoltre, tanto la stimolazione a-adrenergica quanto l’attivazione del sistema RAA promuovono il trasporto di sodio
nei tubuli prossimali e causano ritenzione idrosalina, che
è finalizzata ad aumentare il ritorno venoso di sangue al
cuore, con l’intento di rispristinare un’adeguata portata
cardiaca. Il sodio e l’acqua trattenuti, infatti, espandono
solo il volume del compartimento extracellulare dell’organismo, in quanto il sodio è espulso attivamente dalle cellule e l’acqua lo segue passivamente per gradiente
osmotico. Il compartimento extracellulare comprende
l’interstizio e il letto vascolare. Quindi, la ritenzione idrosalina aumenta il volume ematico e il volume del liquido
interstiziale. Il volume ematico totale influenza il riempimento ventricolare (precarico) e pertanto il suo aumento
tende a migliorare la funzione cardiaca.
Può contribuire a questi meccanismi di compenso anche
una maggiore liberazione, da parte dell’ipofisi, di arginina-vasopressina (ormone antidiuretico), che pure induce
vasocostrizione e ritenzione idrica. La liberazione di arginina-vasopressina avviene sia per sollecitazioni osmotiche
(aumento della pressione osmotica del liquido extracellulare
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
conseguente alla ritenzione di sodio), sia per sollecitazioni
non osmotiche (la diminuzione della gittata sistolica è
avvertita dai barocettori carotidei come un segnale di diminuzione del volume di fluido circolante). È perciò possibile
che nello scompenso cardiaco si abbia iponatriemia, che
peraltro è un indicatore prognostico negativo.
Oltre ai vari fattori neuro-ormonali circolanti, possono
contribuire a determinare un aumento delle resistenze
periferiche e ridistribuzione della portata cardiaca anche
sostanze vasocostrittrici, prodotte in vari distretti vascolari, che agiscono come fattori locali di regolazione del
circolo. Una delle più importanti di queste è l’endotelina,
che è prodotta dalle cellule endoteliali.
Agli altri meccanismi neuro-ormonali si aggiunge, nelle
fasi finali dello scompenso cardiaco, un’elevata produzione di alcune citochine, in particolare il fattore di necrosi
tumorale (TNF, Tumor Necrosis Factor), che è probabilmente responsabile del quadro di cachessia che si presenta
nello scompenso terminale.
Un meccanismo puramente periferico di adattamento
all’ipoperfusione è costituito, infine, da una maggiore
estrazione di ossigeno dal sangue arterioso che perfonde
i tessuti da parte delle cellule; ciò determina una diminuzione della saturazione di O2 nel sangue venoso misto, che
può scendere dal normale 70% a meno del 55%.
Effetti negativi dei meccanismi di compenso
Come notato in precedenza, i meccanismi neuroumorali
di adattamento circolatorio, validi ed efficaci nel breve
Vasopressina
(ADH)
termine, possono finire con l’essere controproducenti e
nocivi a lungo termine. Per esempio, la vasocostrizione,
utile inizialmente per ridistribuire il flusso ematico verso
gli organi vitali, alla lunga comporta un aggravio di lavoro
per il cuore (aumento del postcarico) e può instaurare un
circolo vizioso che tende a far peggiorare lo scompenso.
Nel caso di un cuore insufficiente, infatti, l’aumento delle
resistenze periferiche finisce con il comportare un’ulteriore riduzione della portata cardiaca; questa, a sua volta,
determina un’ulteriore vasocostrizione per ridistribuire
il flusso insufficiente, e così via in una spirale negativa.
La base razionale per l’uso di vasodilatatori arteriosi nella
terapia dello scompenso (in particolare dei farmaci che
inibiscono l’aumentata attività del sistema RAA) sta proprio nell’intento di interrompere questo circolo vizioso.
Analogamente, anche la ritenzione di sodio e acqua operata dal rene ipoperfuso, finalizzata, come visto, a garantire
un adeguato ritorno venoso al cuore, può finire con l’essere inappropriata e avere alcune conseguenze negative.
Essa, infatti, consente un miglioramento della gittata
sistolica sino a quando la relazione precarico-gittata non
raggiunge il plateau della curva di Starling. Al di là di
questo limite l’espansione del volume ematico finisce con
l’essere associata a una riduzione della gittata. Peraltro,
a causa del deficit contrattile cardiaco, le curve di Starling sono spostate in basso e, quindi, il plateau in queste
condizioni è raggiunto prima che nel cuore normale. La
base razionale per l’uso dei diuretici e dei vasodilatatori
venosi nello scompenso sta proprio nell’intento di ridurre
309
2
↓ Sensibilità β-AR
↓ Riserve norepinefrina
↓ Innervazione simpatica
↑ Aritmie
↑ Attività SNS
↓ Flusso renale
↑ Ritenzione sodio
↑ Riassorbimento H2O
↑ Secrezione di renina
Vasocostrizione
periferica
Rimodellamento
ventricolare
Renina
ET-1
Aldosterone
↑ Angiotensina II
Figura 13.13
Principali
meccanismi
neuroendocrini
di compenso
nello scompenso
cardiaco, innescati
dalla riduzione
della gittata
sistolica e dalla
conseguente
stimolazione
di chemocettori
e meccanocettori
localizzati nel
miocardio,
nell’aorta e nel
bulbo carotideo.
Sono illustrati i più importanti effetti dell’attivazione del sistema nervoso adrenergico, del sistema renina-angiotensina-aldosterone, oltre che della vasopressina (o ormone antidiuretico, ADH)
e dell’attivazione vascolare locale che determina un aumento della produzione di endotelina 1 (ET-1).
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310
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
il volume ematico totale, o di ridistribuirlo verso la periferia, nei casi in cui esso abbia superato i limiti utili per il
miglioramento della prestazione cardiaca o rischi di produrre un’eccessiva trasudazione interstiziale (pericolosa
soprattutto nei polmoni).
Meccanismi di controregolazione
Indipendentemente dagli interventi farmacologici,
anche l’organismo prevede meccanismi di controregolazione che tendono a bilanciare, almeno in parte,
l’eccessiva e persistente vasocostrizione e la ritenzione
di acqua e sodio promosse dai meccanismi di compenso. Uno dei più importanti è rappresentato dai peptidi
natriuretici, sostanze vasoattive prodotte dalle cellule
muscolari degli atri (peptide natriuretico atriale) e dei
ventricoli (peptide natriuretico di tipo B) in risposta a
uno stiramento delle loro pareti che, come dice il nome, favoriscono l’escrezione urinaria di sodio. L’effetto
diuretico e natriuretico e quello vasodilatatore di questi
peptidi tendono a ridurre il volume ematico, e quindi
il precarico. In aggiunta a ciò, i peptidi natriuretici frenano l’attività del sistema simpatico, della vasopressina
e del sistema RAA.
Anche a livello renale vengono prodotte sostanze con
effetti vasodilatatori, le prostaglandine, che contrastano
in parte gli effetti dell’angiotensina sull’albero vascolare
e contribuiscono a sostenere la filtrazione glomerulare
quando il flusso renale si riduce a livelli critici, nelle fasi
avanzate della malattia. Per questo motivo i farmaci antinfiammatori che inibiscono le prostaglandine possono
peggiorare il quadro di scompenso.
Un ulteriore meccanismo di protezione dagli effetti negativi dei vari fattori neuroendocrini è rappresentato
dalla ridotta espressione sulle membrane cellulari (down
regulation) dei loro recettori specifici. In termini generali,
qualsiasi stimolazione prolungata di recettori da parte
di un ormone o di un neurotrasmettitore comporta alla
lunga una riduzione del numero o della sensibilità dei
recettori stessi. Tipicamente, la down regulation dei recettori b-adrenergici cardiaci durante lo scompenso tende
a preservare le cellule miocardiche dagli effetti negativi
dell’eccessiva stimolazione simpatica (apoptosi, aritmogenicità). Tuttavia, quando essa è eccessiva e prolungata
finisce con il determinare una marcata riduzione della
risposta inotropa e cronotropa del cuore alla stimolazione adrenergica, con compromissione del meccanismo
di compenso. In questa situazione l’uso dei b-bloccanti,
limitando la down regulation causata dall’intensa stimolazione adrenergica, può paradossalmente ripristinare
una certa sensibilità dei b-recettori alle catecolamine,
determinando così un miglioramento della funzione
ventricolare.
Il risultato del complesso gioco dei meccanismi neuroormonali di adattamento che intervengono nello scompenso cardiaco è un equilibrio precario, che diventa
sempre più precario con il progredire dello scompenso.
In alcune fasi lo stato di compenso è adeguato, in altre,
invece, possono prevalere un’eccessiva vasocostrizione
e/o un’eccessiva ritenzione idrica, che, in un cuore già
in difficoltà, finiscono con il causare un ulteriore sovraccarico e, quindi, un ulteriore peggioramento della sua
efficienza.
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Ipertrofia miocardica
e rimodellamento ventricolare
L’ipertrofia miocardica costituisce un altro meccanismo di
compenso che il cuore mette in atto per migliorare la sua
efficienza contrattile in condizioni di insufficienza cardiaca persistenti nel tempo. Essa è pertanto un meccanismo
di compenso cronico.
Non sono noti esattamente tutti i meccanismi molecolari attraverso cui un maggior carico di lavoro produce
ipertrofia. Probabilmente lo stimolo iniziale è l’aumento
dello sforzo di parete che porta all’attivazione di canali
ionici sensibili alle sue variazioni. Un secondo messaggero intracellulare agisce poi sul nucleo, attivando alcuni
geni normalmente latenti. Ne risulta un doppio effetto:
una crescita quantitativa della cellula, con aumento del
numero delle fibrille, dei sarcomeri e dei mitocondri, e
una variazione qualitativa delle proteine che vengono
sintetizzate per realizzare tale crescita.
Il primo effetto è legato soprattutto all’attivazione di
alcuni proto-oncogeni, come c-fos e c-myc, che fanno
parte del normale meccanismo che regola la crescita e la
divisione cellulare. Il secondo effetto sembra consistere,
invece, nella sintesi di varianti (isoforme) delle proteine
contrattili o di altre proteine cellulari, con riattivazione,
in particolare, della sintesi di isoforme fetali. Ciò avviene, per esempio, per la miosina, la cui isoforma fetale dà
una contrazione più lenta, ma caratterizzata da maggiore
rendimento, cioè con minore consumo di energia a parità
di lavoro, rispetto all’isoforma presente nell’adulto. La
produzione di isoforme fetali nei cuori ipertrofici è stata
dimostrata anche per le altre proteine che costituiscono le
fibre miocardiche e sembra finalizzata, complessivamente,
a garantire un maggiore risparmio energetico, sebbene a
prezzo di una minore funzionalità. Ciò vale anche per la
pompa ATP-dipendente che accumula gli ioni calcio nel
reticolo sarcoplasmatico durante la diastole, consentendo
il rilasciamento dei miocardiociti; il conseguente rallentamento di questo processo aiuta a spiegare la significativa
disfunzione diastolica che caratterizza di solito il cuore
ipertrofico. Anche le modificazioni della struttura del
ventricolo che conseguono all’ipertrofia contribuiscono
a spiegare la disfunzione diastolica tipica di questa condizione. Insieme alle modificazioni dei miocardiociti,
infatti, vi è nell’ipertrofia cardiaca la produzione di una
maggiore quantità di collagene interstiziale, dovuta a
un’aumentata attività dei fibroblasti. L’ipertrofia miocardica, quindi, è in genere accompagnata da un certo grado di
fibrosi, che conferisce una minore distensibilità alle pareti.
Le variazioni della geometria del ventricolo che va incontro a ipertrofia sono diverse a seconda del tipo di sovraccarico a cui il cuore è sottoposto, sebbene, in generale,
l’ipertrofia si sviluppi in modo da mantenere lo sforzo di
parete il più possibile entro limiti normali (Figura 13.14).
Così, se l’ipertrofia miocardica è causata da un sovraccarico di pressione del ventricolo, si avrà un ispessimento
delle pareti, mentre i volumi ventricolari non saranno
sostanzialmente modificati (ipertrofia concentrica). Per la
legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore della
parete ventricolare limita l’aumento di sforzo causato
dall’aumento di pressione. Se, viceversa, l’ipertrofia è causata da un sovraccarico di volume, si avrà una dilatazione
della camera ventricolare che consente di fronteggiare
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
la necessità di una maggiore gittata sistolica (ipertrofia
eccentrica). Ne consegue un incremento del postcarico,
ma, anche in questo caso, un aumento dello spessore della
parete ventricolare limita l’aumento dello sforzo di parete.
Le modificazioni prodotte dall’ipertrofia permettono
al cuore di sostenere, sino a un certo punto, il maggior
carico di lavoro che viene richiesto. Se il grado di ipertrofia (ed eventualmente della fibrosi associata) diventa
eccessivo, esso finisce con il determinare una notevole
alterazione dell’equilibrio energetico cellulare e con il
compromettere sia la funzione sistolica sia quella diastolica. Con il persistere del sovraccarico, inoltre, l’architettura dei ventricoli si altera e si assiste a una progressiva
dilatazione della cavità, con assottigliamento e fibrosi
delle pareti, che finisce per compromettere l’utilità dell’ipertrofia stessa.
Agli effetti negativi che si hanno in caso di ipertrofia eccessiva contribuisce anche la possibilità che si verifichino
ischemia miocardica, causata dal maggior lavoro cardiaco
e da un insufficiente sviluppo del microcircolo coronarico,
associato ad alterazioni funzionali.
311
Progressione dell’insufficienza miocardica
I meccanismi responsabili del peggioramento clinico di
uno scompenso cardiaco sono molteplici e non sempre
facilmente identificabili.
Come visto, se le cause dello scompenso persistono,
i meccanismi di compenso descritti in precedenza possono diventare progressivamente insufficienti a mantenere
uno stato di compenso emodinamico e possono essi stessi avere effetti nocivi sul cuore. Esempi di questi effetti
negativi sono l’effetto proaritmico causato dall’eccessiva
attivazione simpatica, la fibrosi causata dall’attivazione
del sistema renina-angiotensina e l’ischemia miocardica
favorita dall’ipertrofia. Ovviamente, il peggioramento
della patologia cardiaca di base o il sopravvenire di insulti cardiaci acuti (per esempio, un infarto, una miocardite, un’endocardite ecc.) costituiscono altre condizioni
frequenti di aggravamento del quadro di scompenso.
Indipendentemente dai meccanismi, l’incremento più o
meno progressivo e graduale di un sovraccarico di lavoro
(pressorio e/o di volume) del cuore si rende responsabile
in diversi pazienti di un progressivo peggioramento della
2
Normale
–
Sovraccarico pressorio
Sovraccarico di volume
Aumento della pressione
sistolica
Aumento del volume
diastolico
Aumento sistolico di S
Aumento diastolico di S
Aggiunta in parallelo
di miofibrille
Aggiunta in serie
di sarcomeri
+
Ispessimento della parete
+
Dilatazione della cavità
–
Ipertrofia
concentrica
Ipertrofia
eccentrica
Figura 13.14
Schema dei
meccanismi
e delle
caratteristiche
dell’ipertrofia
miocardica
da sovraccarico
di pressione
o di volume.
Nel sovraccarico di pressione le pareti ventricolari si ispessiscono grazie a una replicazione parallela dei sarcomeri. Ciò comporta un aumento più spiccato dello spessore di parete (h) rispetto al raggio della cavità (r). Per la legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore (h) compensa l’aumento di pressione (P), in modo da far crescere di poco il postcarico o stress di
parete (S). Nel sovraccarico di volume, invece, la cavità si dilata grazie a una replicazione in serie dei sarcomeri e ciò consente di incrementare la gittata sistolica. L’aumento r che ne consegue comporterebbe un aumento di postcarico, ma anche questo viene compensato da un corrispondente modesto aumento di h.
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312
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
funzione contrattile miocardica e dei sintomi di scompenso che, alla fine, può portare all’exitus.
Le cause cellulari e molecolari del deterioramento contrattile del miocardio non sono tuttora molto chiare, ma
esso può riflettere una perdita progressiva di miociti (in
particolare per apoptosi), una riduzione progressiva della
loro attività contrattile, in assenza di una riduzione del
loro numero, o entrambi i meccanismi, che possono variamente coesistere, eventualmente con un peso diverso
a seconda della causa primaria dello scompenso cardiaco.
Conseguenze fisiopatologiche
dell’insufficienza cardiaca conclamata
Quando i meccanismi di compenso dell’insufficienza
cardiaca non sono in grado di garantire una normale
funzione circolatoria compaiono, in modo più o meno
evidente, i segni dell’aumento della pressione venosa a
monte e dell’ipoperfusione a valle del cuore insufficiente
(stadi C e D dello scompenso cardiaco).
Congestione venosa
L’aumento della pressione venosa che consegue all’insufficienza cardiaca, per qualsiasi causa essa si verifichi, si
trasmette a monte sino ai capillari, dove produce alterazioni negli scambi di acqua e ioni. Com’è noto, la parete
dei capillari è impermeabile alle proteine e agli elementi
corpuscolati del sangue, mentre lascia passare liberamente
acqua, ioni e piccole molecole. Semplificando, gli scambi
tra sangue e liquido interstiziale sono regolati dalla differenza tra la pressione idrostatica nei capillari (che tende a
fare uscire acqua verso l’interstizio) e la pressione osmotica del plasma (che tende a trattenere e richiamare acqua
nel letto vascolare). Man mano che la pressione idrostatica
nei capillari aumenta, sino a raggiungere o superare quella
osmotica (che è in media di 25 mmHg), la fuoriuscita di
acqua verso l’interstizio diviene nettamente prevalente e
si assiste alla formazione di edema interstiziale. Nel caso
del polmone, se la quantità di acqua nel circolo aumenta
e supera la possibilità di drenaggio da parte del sistema
linfatico polmonare, essa inonda gli alveoli e l’edema
diventa alveolare.
Ipoperfusione degli organi periferici
Quando i meccanismi di compenso non sono più in grado
di garantire una portata cardiaca sufficiente a soddisfare le
loro esigenze metaboliche, diversi organi danno segni di
sofferenza e non svolgono più adeguatamente le proprie
funzioni.
L’ipoperfusione dei tessuti in genere produce ipossia periferica e, nei casi gravi, acidosi, a causa dell’aumento del
metabolismo anaerobico che la accompagna.
L’ipoperfusione del rene, oltre un certo limite, produce
insufficienza renale che, nei gradi estremi di shock cardiogeno, arriva sino all’anuria completa. Anche in casi non
particolarmente gravi si possono riscontrare iperazotemia
e aumento della creatininemia.
La congestione epatica (dovuta all’aumento della pressione venosa sistemica) associata all’ipoperfusione può
condurre, nei casi gravi, alla necrosi centrolobulare, con
le relative manifestazioni metaboliche dell’insufficienza
epatica.
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Termini descrittivi (classificazione)
dello scompenso cardiaco
Nel corso degli anni sono stati utilizzati diversi termini
per descrivere caratteristiche particolari dello scompenso
cardiaco, riferite, in genere, al prevalere di un particolare meccanismo patogenetico o fisiopatologico o al tipo
di presentazione clinica. Sebbene questi termini spesso
non rispecchino in modo adeguato i meccanismi e le
manifestazioni cliniche dello scompenso, possano talora
generare confusione e siano tutto sommato spesso mal definiti, essi sono ancora ampiamente utilizzati nella pratica
clinica per la loro capacità di sintetizzare alcuni aspetti
dello scompenso.
Scompenso cardiaco acuto e cronico
Mentre il termine scompenso cardiaco cronico indica uno
stato di insufficienza cardiaca, più o meno compensata
e sintomatica, stabile nel tempo, il termine scompenso
cardiaco acuto indica in genere la comparsa improvvisa
o in breve tempo di sintomi e/o segni di insufficienza
cardiaca importanti, che richiedono un trattamento più
o meno rapido o urgente.
Si deve osservare come uno scompenso cardiaco acuto
possa verificarsi in pazienti che presentano una funzione
contrattile del miocardio del tutto normale, a causa di
patologie che impongono improvvisamente al cuore un
carico di lavoro eccessivo, come, per esempio, una grave
crisi ipertensiva, la rottura di un lembo valvolare per endocardite o anche un improvviso ostacolo al riempimento
cardiaco (come nel tamponamento cardiaco o per un’ostruzione dell’ostio mitralico).
Quadri clinici specifici, particolarmente gravi, di scompenso cardiaco acuto sono l’edema polmonare acuto e lo
shock cardiogeno.
Scompenso cardiaco destro e sinistro
Le patologie cardiache che causano uno scompenso possono compromettere esclusivamente o prevalentemente
una delle sezioni (destra e sinistra) del cuore, con ovvie implicazioni fisiopatologiche e cliniche. Infatti, se lo
scompenso è dovuto alla compromissione del ventricolo
e/o dell’atrio sinistro, l’aumento della pressione venosa, la
congestione e l’dema si verificano nel circolo polmonare
(scompenso cardiaco sinistro); se, viceversa, esso è dovuto
alla compromissione del ventricolo e/o dell’atrio destro,
gli stessi processi patologici hanno luogo nella circolazione venosa sistemica (scompenso cardiaco destro).
Nello scompenso cardiaco sinistro prevarranno i sintomi di
dispnea e i segni di stasi polmonare all’auscultazione toracica, mentre nello scompenso cardiaco destro prevarranno
i segni di una significativa congestione venosa periferica
(turgore delle giugulari, edemi periferici, epatomegalia).
Lo scompenso cardiaco sinistro è di gran lunga più frequente, e ciò perché le malattie cardiache che più spesso
sono causa di insufficienza cardiaca (la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa e i vizi valvolari importanti)
coinvolgono esclusivamente o prevalentemente le sezioni
sinistre del cuore.
L’interessamento esclusivo o predominante delle cavità
destre nello scompenso è meno frequente e si verifica
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
in genere per condizioni patologiche che interessano
primitivamente il circolo polmonare (cuore polmonare
cronico; si veda il Capitolo 14). Più spesso, viceversa, lo
scompenso delle cavità destre del cuore consegue a quello
delle cavità sinistre, per la ripercussione che le alterazioni
del circolo venoso polmonare hanno, a lungo termine, sul
circolo arterioso del polmone stesso. Alcune patologie,
d’altro canto, possono colpire contemporaneamente le
sezioni destre e sinistre del cuore (cardiopatia ischemica,
miocarditi, miocardiopatie), determinando fin dal principio uno scompenso cardiaco biventricolare o globale.
Scompenso cardiaco sistolico e diastolico
Si è già visto come la compromissione della funzione
contrattile del miocardio ventricolare sia la causa più frequente di scompenso cardiaco (scompenso sistolico). D’altro canto, in diversi casi sintomi di scompenso possono
essere presenti in pazienti con normale funzione sistolica
a causa di un’alterata funzione diastolica, dovuta a una
ridotta distensibilità miocardica. Questa, se importante,
può compromettere il riempimento diastolico ventricolare, causando un aumento delle pressioni endocavitarie
telediastoliche e, quindi, nel circolo venoso a monte e,
nei casi più gravi, può compromettere anche la gittata
sistolica (scompenso diastolico; Figura 13.15).
Le cause di uno scompenso diastolico (detto anche scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata) sono soprattutto le patologie del miocardio che causano ipertrofia
e/o fibrosi delle pareti ventricolari (come l’ipertensione
313
arteriosa, la cardiomiopatia ipertrofica e la cardiomiopatia restrittiva). Una disfunzione diastolica, tuttavia, è
anche presente in pazienti con ridotta funzione sistolica.
Quest’ultima, d’altro canto, può subentrare alla lunga
in condizioni inizialmente caratterizzate da una pura
disfunzione diastolica, per cui la separazione di queste
due forme di scompenso è spesso arbitraria.
Scompenso anterogrado e retrogrado
Questi termini si riferiscono, rispettivamente, alla prevalenza di sintomi o segni di scompenso dovuti alla ridotta
perfusione periferica conseguente alla riduzione della gittata
cardiaca (quindi dovuti alle ripercussioni anterograde alla
camera ventricolare insufficiente) o di sintomi o segni di
scompenso dell’ipertensione venosa a monte della camera
ventricolare insufficiente (quindi dovuti alle ripercussioni
retrograde della disfunzione cardiaca). Anche in questo caso,
tuttavia, la distinzione è sottile. I segni di congestione venosa spesso si associano a una grave compromissione sistolica
e quindi della perfusione anterograda. D’altro canto una
ridotta perfusione renale anterograda induce ritenzione di
liquidi e quindi favorisce i segni di scompenso retrogrado.
2
Scompenso a bassa gittata e ad alta gittata
Lo scompenso cardiaco classicamente si associa a una riduzione della portata cardiaca; esso quindi è, o tende a essere,
a bassa portata. Tuttavia, esistono alcune condizioni, peraltro rare, in cui lo scompenso cardiaco si manifesta perché
l’organismo richiede un flusso ematico molto superiore
Disfunzione
diastolica VSn
Riduzione del volume
telediastolico VSn
Alterato
riempimento VSn
Ridotta gittata
sistolica
Aumento di pressione
telediastolica VSn
Ingrandimento
atriale sinistro
Attivazione
neuro-ormonale
Aumento di pressione
in atrio sinistro
Stasi atriale
e nelle vene polmonari
Rimodellamento
sfavorevole VSn
Edema
Congestione/edema
polmonare
Ritenzione
idrosalina
Fibrillazione
atriale
Rischio
tromboembolico
Figura 13.15
Meccanismi
attraverso cui
la disfunzione
diastolica del
ventricolo sinistro
può portare
a segni e sintomi
di scompenso
cardiaco.
Si sottolinea come anche lo scompenso di tipo diastolico, causando aumento della pressione atriale sinistra, favorisca lo sviluppo di fibrillazione atriale.
VSn = ventricolo sinistro.
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Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
al normale, che il cuore, pur non presentando di per sé
alterazioni patologiche, almeno inizialmente, non riesce
a garantire. Queste forme vengono definite di scompenso
ad alta gittata. In pratica, allo scopo di aumentare la portata in risposta alle aumentate richieste dell’organismo,
il cuore è sottoposto a un sovraccarico di volume simile
a quello che si verifica nelle gravi insufficienze valvolari.
In alcuni casi, inoltre, la patologia primitiva, responsabile
delle aumentate richieste metaboliche dell’organismo, determina anche una compromissione diretta della funzione
contrattile del miocardio, facilitando così la comparsa
dello scompenso. In generale, le cause dello scompenso
ad alta gittata sono abbastanza facilmente individuabili e
il loro trattamento consente di risolvere efficacemente lo
scompenso. Di seguito sono elencate le principali condizioni in grado di causare uno scompenso ad alta gittata.
Ipertiroidismo L’aumento della portata cardiaca in questi casi è dovuto
al maggiore metabolismo tissutale causato dall’eccesso di
ormoni tiroidei. La tireotossicosi, inoltre, a lungo termine
può compromettere il metabolismo cardiaco. La presenza
di segni di ipertiroidismo, di tachicardia o di tachiaritmie
atriali refrattarie alle terapie consuete dovrebbe far sospettare la diagnosi.
Anemia In caso di anemia importante, un aumento della gittata
cardiaca è necessario per mantenere un normale trasporto di ossigeno ai tessuti. L’ipossia miocardica e l’anemia
possono inoltre causare una compromissione dell’attività
contrattile del miocardio.
Fistole arterovenose In presenza di fistole periferiche arterovenose una quota
del sangue pompato dal cuore non attraversa i capillari
tissutali, ma passa direttamente dal circolo arterioso a
quello venoso; per mantenere la perfusione degli organi
la portata cardiaca deve di conseguenza aumentare. Una
condizione analoga si ha nella malattia di Paget, per la
presenza di un aumento del flusso ematico a livello osseo.
Beri-beri, alcolismo Un grave deficit di tiamina può determinare non solo i
disturbi nervosi periferici tipici del beri-beri, ma anche
una notevole vasodilatazione periferica, con aumento
marcato del ritorno venoso; questo deficit, inoltre, può
anche compromettere il metabolismo miocardico, riducendo la produzione di energia per la contrazione. Il
beri-beri è ormai rarissimo in Occidente; tuttavia, una
forma di scompenso ad alta gittata da deficit vitaminico
si può verificare negli alcolisti cronici, sebbene in questo
caso sia comunque più frequente uno scompenso cardiaco
dovuto agli effetti tossici diretti dell’alcol sul miocardio
(cardiomiopatia alcolica).
Manifestazioni cliniche
dello scompenso cardiaco
I sintomi e i segni clinici principali che si possono riscontrare all’anamnesi e all’esame obiettivo dei pazienti con
scompenso cardiaco sono riassunti nella Tabella 13.2, in
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Tabella 13.2 Criteri di Framingham per la diagnosi
di scompenso cardiaco*
Criteri maggiori
• Dispnea parossistica notturna
• Distensione delle vene del collo
• Rantoli
• Cardiomegalia
• Edema polmonare acuto
• Ritmo di galoppo da III tono
• Aumento della pressione venosa (> 16 cm H20)
• Reflusso epatogiugulare
Criteri minori
• Edemi periferici
• Tosse notturna
• Dispnea da sforzo
• Epatomegalia
• Versamento pleurico
• Riduzione della capacità vitale di un terzo del normale
• Tachicardia (frequenza cardiaca > 120 bpm)
Criteri maggiori o minori
• Perdita di peso > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al trattamento
*La diagnosi è ritenuta certa in presenza di due criteri maggiori o di un
criterio maggiore e due criteri minori.
cui vengono anche suddivisi in criteri maggiori e criteri
minori per la diagnosi clinica sulla base di quanto suggerito dai risultati dello studio di Framingham. La loro
patogenesi è sempre riconducibile in qualche modo alla
congestione venosa o all’ipoperfusione periferica ed essi
possono combinarsi in vario modo nel singolo paziente
a comporre diversi quadri clinici variamente determinati
dalle cause di base e di quelle scatenanti dello scompenso,
dalla rapidità di insorgenza e dalla gravità della disfunzione ventricolare.
Sintomatologia
I sintomi principali dello scompenso cardiaco riguardano
la funzione respiratoria, l’attività muscolare, la diuresi e
le funzioni cerebrali.
La valutazione del livello di attività fisica che determina la
comparsa di sintomi (dispnea e fatica muscolare in primo
luogo) consente di precisare il grado di capacità funzionale
del paziente, che è strettamente dipendente dalla gravità
dell’insufficienza cardiaca. Sulla relazione tra sintomi e
attività fisica si basa la classificazione funzionale di gravità
dello scompenso cardiaco della New York Heart Association,
che è quella più utilizzata nella pratica clinica (Tabella 13.3).
Funzione respiratoria La dispnea è senz’altro il sintomo più frequente e caratteristico dello scompenso e consiste in una sensazione
di fatica a respirare associata a una sensazione di fame
d’aria o mancanza di respiro. Essa è conseguenza della
congestione polmonare, che provoca edema interstiziale
e riduce perciò la distensibilità dei polmoni e l’ossigenazione del sangue. Ciò fa aumentare il lavoro dei muscoli
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Tabella 13.3 Classificazione funzionale dei pazienti
cardiopatici della New York Heart
Association (NYHA)
Classe I
Pazienti senza limitazioni dell’attività fisica.
­L’attività fisica abituale non causa sintomi
Classe II
Lieve limitazione dell’attività fisica. Il paziente
è asintomatico a riposo, ma l’attività fisica
­abituale causa sintomi
Classe III
Grave limitazione dell’attività fisica. Il paziente
è asintomatico a riposo, ma un’attività fisica
anche inferiore a quella abituale causa sintomi
Classe IV
Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fisica
senza avere disturbi. Il paziente può presentare
sintomi di scompenso cardiaco anche a riposo.
I disturbi aumentano se viene intrapresa una
qualsiasi attività fisica
respiratori, che possono per di più essere male ossigenati
per effetto dell’ipoperfusione periferica, e contribuisce a
determinare la sensazione di mancanza di aria.
Nei casi lievi o iniziali di scompenso la dispnea si manifesta solo per sforzi intensi, o comunque in condizioni
che richiedono un aumento del lavoro e della portata
cardiaca. In alcuni pazienti, nelle fasi iniziali, il sintomo
dominante può essere una tosse stizzosa. Nei casi più gravi
la dispnea compare anche per sforzi di lieve entità e, nei
casi avanzati, anche a riposo.
Oltre che con gli sforzi, nei casi più gravi la dispnea può
comparire con la semplice assunzione della posizione
supina, per cui il paziente ha la necessità di assumere o
mantenere la posizione eretta per poter respirare normalmente (condizione definita ortopnea). Pertanto, quando
questi pazienti vanno a letto sono costretti a dormire
con due o più cuscini per evitare la comparsa di dispnea,
e quelli con maggiore insufficienza cardiaca sono a volte
costretti a trascorrere intere notti seduti sul letto o su una
poltrona per evitare o contenere la dispnea. Il motivo per
cui la posizione supina facilita la comparsa di dispnea risiede nel fatto che essa aumenta il ritorno venoso al cuore,
facilitando così la congestione polmonare.
Per motivi analoghi i pazienti con insufficienza cardiaca
possono andare incontro durante la notte a episodi improvvisi di dispnea (dispnea parossistica notturna). Oltre
alla posizione supina, altri fattori possono contribuire in
questo caso a facilitare la comparsa della dispnea, come
una depressione del centro del respiro durante il sonno,
che facilita l’ipossia, e la riduzione del tono simpatico, che
priva il miocardio di uno stimolo importante per la sua
efficienza contrattile. In questi casi il paziente si sveglia
improvvisamente con sensazione di difficoltà respiratoria
e un respiro affannoso e sibilante, talora accompagnato da
tosse stizzosa. L’edema interstiziale, infatti, può comprimere i bronchioli, provocando un aumento delle resistenze delle vie aeree (asma cardiaco). In genere, il paziente
si mette a sedere sul letto con i piedi penzoloni o si porta
alla finestra alla ricerca di aria. Nei casi lievi i sintomi mi-
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315
gliorano rapidamente con la posizione eretta, mentre nei
casi più gravi migliorano solo lentamente o non migliorano affatto senza un intervento terapeutico, soprattutto
qualora si verifichi un edema polmonare conclamato,
il quale si manifesta quando la congestione polmonare
è tale da provocare, oltre all’edema interstiziale, anche
edema alveolare (si veda oltre, Edema polmonare acuto).
Attività muscolare I sintomi relativi all’attività muscolare, secondari all’ipoperfusione dei muscoli, sono piuttosto frequenti, ma
spesso sfumati e aspecifici, e consistono nella facile comparsa di astenia durante attività fisica.
Funzione renale Nello scompenso cardiaco le alterazioni della diuresi sono
spesso tipiche. La diuresi, infatti, è spesso contratta di
giorno, mentre frequentemente migliora di notte (nicturia), costringendo il paziente ad alzarsi anche più volte
per la minzione. Questo comportamento deriva dal fatto
che durante le ore diurne l’ipoperfusione del rene può
essere importante (per la ridotta gittata cardiaca), per cui
la diuresi è ridotta. Di notte, con la posizione clinostatica,
la portata cardiaca aumenta come conseguenza dell’aumento del ritorno venoso; ne deriva un aumento della
perfusione renale, la quale migliora anche per la riduzione
della vasocostrizione delle arteriole renali. Nelle fasi più
avanzate dello scompenso l’ipoperfusione renale diventa
costante e produce oliguria (meno di 500-600 mL nelle 24
ore), con aumento dell’azotemia e della creatininemia.
Quando la portata cardiaca è gravemente ridotta, si giunge
all’anuria completa.
2
Attività cerebrale Sintomi di alterata funzione cerebrale compaiono solo nei
casi di grave riduzione della portata cardiaca, in particolare quando coesistono gravi alterazioni vascolari cerebrali.
Normalmente, infatti, la redistribuzione della portata
cardiaca del flusso ematico cerebrale protegge l’encefalo
dall’ipoperfusione. Quando si manifestano, i sintomi
cerebrali consistono in perdita di memoria, difficoltà di
concentrazione, insonnia e ansietà nei casi cronici.
Nei casi acuti (edema polmonare e shock cardiogeno), si
osservano confusione mentale, agitazione, sonnolenza e,
infine, stato comatoso.
Segni
Diversi segni clinici indicativi di uno scompenso cardiaco
possono essere variamente rilevati, a seconda delle cause e
della gravità dello scompenso, mediante un attento esame
fisico del paziente.
Esame generale L’esame della cute nel paziente scompensato permette
di evidenziare l’eventuale presenza di vasocostrizione o
di edema.
L’edema periferico, come la dispnea, è una manifestazione frequente e tipica dello scompenso cardiaco. Come
si è detto, esso non è solo il risultato dell’aumento di
pressione nelle vene e nei capillari sistemici, ma anche
della ritenzione idrosalina operata dal rene per effetto
dell’ipoperfusione. In pazienti con puro scompenso sini-
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316
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
stro prolungato, infatti, vi può essere edema in assenza
di congestione venosa sistemica. D’altro canto, in casi di
scompenso destro insorto acutamente l’edema è inizialmente assente, nonostante un aumento notevole della
pressione venosa sistemica. Ciò avviene perché, prima che
si manifesti un edema periferico, è necessario un marcato aumento del liquido extracellulare, cosa che richiede
alcuni giorni per verificarsi.
L’edema compare prima nelle parti declivi, e cioè ai piedi
e alle caviglie, dove la pressione idrostatica venosa è più
elevata, ed è tipicamente simmetrico (interessa cioè entrambi gli arti inferiori). Nei casi meno gravi, esso compare
durante il giorno ma viene riassorbito durante la notte, in
seguito all’aumento del ritorno venoso e della diuresi, ed
è assente al mattino. Nei pazienti costretti a letto l’edema
compare prima in regione sacrale.
La presenza di edema si apprezza in genere bene alla semplice ispezione cutanea. Tuttavia, nelle forme più sfumate
la sua presenza può essere meglio evidenziata comprimendo la cute con un dito in aree cutanee abitualmente più
esposte allo sviluppo di edema (tipicamente la regione
pretibiale); la digitopressione, infatti, determina, in presenza di edema, un piccolo affossamento della cute, che
scompare lentamente (segno della fovea).
Nei casi più gravi di scompenso prolungato, l’edema può
divenire generalizzato (anasarca), coinvolgendo gli arti superiori, il torace (versamento pleurico), l’addome (ascite) e
i genitali. Se l’edema non viene risolto e persiste nel tempo,
esso può provocare indurimento della cute, con formazione di aree discromiche (caratterizzate da macchie brune o
rossastre), soprattutto sul dorso del piede e alle caviglie.
La costrizione dei vasi cutanei è un meccanismo compensatorio dell’ipoperfusione periferica e mira a garantire un
flusso adeguato agli organi più importanti. Essa diventa
clinicamente evidente solo nei casi gravi di scompenso
cardiaco, in particolare nello shock cardiogeno. In questi
casi la cute appare pallida, fredda e madida di sudore; le
estremità sono cianotiche. Nei casi estremi di vasocostrizione, aree cutanee cianotiche si aggiungono al pallore e
all’ipotermia, rendendo la cute diffusamente marezzata,
soprattutto agli arti.
Da notare che lo scompenso cardiaco cronico grave può
portare a uno stato finale di cachessia, con perdita di peso e anoressia, una condizione indotta dall’aumentata
produzione di alcune citochine, soprattutto il fattore di
necrosi tumorale.
Esame cardiovascolare L’ispezione del paziente consente di effettuare una valutazione della pressione venosa centrale, che è elevata nelle
condizioni di scompenso con insufficienza ventricolare
destra. La pressione venosa centrale si valuta osservando
il grado di turgore delle vene giugulari in posizione semiseduta (a 45°). In questa posizione, quando la pressione
venosa è normale, le giugulari sono solo parzialmente distese. Per una valutazione migliore è opportuno svuotare
le vene giugulari facendovi scorrere due dita, uno in senso
craniale e l’altro in senso caudale, e lasciando poi riempire
la vena solo dal basso (mantenendo la pressione sulla vena
solo con il dito craniale). Se la vena si riempie sino in cima
o quasi, la pressione venosa è aumentata. In alcuni casi
una compressione sostenuta sull’addome fa comparire
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una distensione delle vene giugulari prima assente, segno
che prende il nome di reflusso epatogiugulare.
L’esame obiettivo cardiaco spesso rivela alcuni reperti
piuttosto tipici, che sono presenti indipendentemente
dalla causa dello scompenso, come una frequenza cardiaca
tendenzialmente elevata (per effetto dell’ipertono simpatico), un cuore dilatato (spostamento dell’itto a sinistra
e in basso o aumento dell’aia cardiaca alla percussione) e
un ritmo di galoppo all’auscultazione, dovuto in genere
alla presenza di un III tono cardiaco, che, in aggiunta al
I e II tono, fa assumere al reperto auscultatorio cardiaco
caratteristiche che ricordano, appunto, un “galoppo”
(galoppo protodiastolico).
A questo punto va ricordato che la presenza di un III
tono è un reperto abitualmente fisiologico nei bambini
e nei giovani. Viceversa, il suo riscontro in un soggetto
adulto è un segno fortemente indicativo di insufficienza
miocardica ed è comunque quasi sempre un segno di
patologia cardiaca, per cui impone un approfondimento
diagnostico.
Il III tono è prodotto dalla brusca decelerazione del riempimento ventricolare al termine della parte iniziale della
diastole e si rende udibile quando il flusso di sangue che
riempie il ventricolo in diastole è aumentato (per esempio,
insufficienza mitralica o tricuspidale, o shunt sinistro-destro), oppure quando è ridotta la distensibilità delle pareti ventricolari, come avviene appunto nello scompenso,
nell’ipertrofia miocardica o nella pericardite costrittiva. Il
III tono è un rumore di tonalità bassa, che si ascolta meglio
con la campana del fondendoscopio in area apicale, con
il paziente inclinato sul fianco sinistro, quando origina,
come è nella maggior parte dei casi, dal ventricolo sinistro.
Quando origina dal ventricolo destro, d’altro canto, esso
si ascolta meglio in regione parasternale sinistra al IV o V
spazio intercostale, con il paziente in posizione supina.
In diversi pazienti può apprezzarsi, da solo o in aggiunta
al III tono, anche un IV tono, che è legato al rumore generato dalla spinta di sangue in un ventricolo con ridotta
distensibilità, dalla sistole atriale (galoppo presistolico).
La presenza sia di III che di IV tono conferisce ai toni
cardiaci, all’auscultazione, le caratteristiche di un ritmo
a quattro tempi.
Altri segni auscultatori cardiaci dello scompenso possono
essere un’aumentata intensità della componente polmonare del II tono (per l’aumento della pressione arteriosa
polmonare) e la comparsa di soffi sistolici da insufficienza
della valvola mitrale o tricuspide, che spesso consegue
alla dilatazione delle rispettive camere ventricolari e allo
sfiancamento dei rispettivi anelli atrioventricolari secondario alla dilatazione ventricolare.
La pressione arteriosa, nei pazienti con scompenso cronico, è abitualmente normale o modestamente ridotta,
soprattutto la sistolica e la differenziale, a meno che non
sussista una condizione di ipertensione arteriosa di base.
Quando la pressione differenziale è ridotta, il polso risulta
piccolo (vale a dire con una ridotta escursione di ampiezza apprezzabile alla palpazione). Misurando la pressione
con lo sfigmomanometro, si può rilevare talora, in casi di
grave insufficienza ventricolare, la presenza di un polso
alternante, che nei casi più evidenti si può apprezzare
anche con la semplice palpazione dei polsi periferici.
Il polso alternante consiste nella successione regolare di
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
contrazioni cardiache energiche e contrazioni deboli, per
cui a una pulsazione forte ne segue una più debole.
Nei casi di scompenso cardiaco acuto la pressione arteriosa, d’altro canto, è talvolta inizialmente elevata in quanto
una crisi ipertensiva può essere la causa precipitante dello
scompenso acuto.
Esame del torace L’esame obiettivo toracico è in genere normale nei casi di
scompenso lieve. Quando l’aumento della pressione nelle
vene e nei capillari polmonari provoca trasudazione di
liquido nel tessuto polmonare, si cominciano ad ascoltare
rumori umidi in corrispondenza delle basi polmonari.
Questi rumori si definiscono come rantoli crepitanti e
accompagnano l’inspirazione; tipicamente essi non si
modificano dopo i colpi di tosse, a differenza dei rantoli
di origine bronchiale. I rantoli possono interessare solo i
campi inferiori, estendersi ai campi medi o essere diffusi
a tutto l’ambito auscultatorio toracico, per livelli crescenti
di gravità dello scompenso sinistro.
Quando l’edema interstiziale e la congestione della mucosa bronchiale comprimono le vie aeree terminali, si
possono ascoltare anche ronchi e sibili. In caso di edema
polmonare acuto i rantoli divengono rapidamente grossolani e si diffondono progressivamente a tutto l’ambito
polmonare (cosiddetta marea montante).
Nello scompenso cronico, l’aumento della pressione nei
capillari pleurici (che drenano sia nel sistema venoso sistemico sia in quello polmonare) determina talvolta un versamento pleurico, più frequentemente a destra (idrotorace).
Esame dell’addome L’esame obiettivo addominale può mettere in evidenza
anzitutto un’epatomegalia, che si verifica quando l’aumento della pressione venosa sistemica da scompenso
destro o globale provoca congestione delle vene epatiche.
Se l’aumento di volume è acuto, l’organo risulta dolente
alla palpazione.
Se la congestione epatica si prolunga, la compressione prodotta dalle venule sugli epatociti produce atrofia centrolobulare con segni clinici e di laboratorio di danno epatico
(alterazioni enzimatiche, iperbilirubinemia ecc.). Quando
la congestione venosa sistemica e l’epatomegalia sono
gravi e prolungate, si può apprezzare anche splenomegalia.
Nei casi di scompenso grave, inoltre, può comparire ascite,
che è provocata da un prolungato aumento della pressione nelle vene epatiche e nei capillari peritoneali. Essa
si manifesta più frequentemente nei casi di scompenso
destro da ostruzione al riempimento cardiaco (stenosi
della tricuspide o pericardite).
precedenza, sono rilasciati dal miocardio in caso di aumento della tensione parietale e hanno elevata sensibilità
nell’identificare la presenza di un sovraccarico ventricolare,
per cui la loro negatività praticamente esclude la diagnosi
di scompenso. Al momento, tuttavia, non è ben definito
il valore al di sopra del quale essi dovrebbero essere considerati diagnostici e va tenuto anche presente che diverse
condizioni che causano un aumento del lavoro cardiaco in
assenza di insufficienza (per esempio, aritmie, ipossiemia,
ischemia, ipertrofia) possono causare un loro aumento.
Anche un lieve aumento della troponina, non necessariamente causato da ischemia miocardica, è spesso osservato in pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto in
pazienti con fibrillazione atriale e/o insufficienza renale.
Infine, gli esami di laboratorio sono utili per identificare
possibili cause precipitanti di scompenso cardiaco come
tireotossicosi, anemia e infezioni subcliniche.
317
2
Elettrocardiogramma
Sebbene l’elettrocardiogramma possa fornire informazioni
utili a identificare le cause primarie dello scompenso,
non esistono segni ECG specifici di scompenso. Tuttavia,
l’ECG mostra spesso anomalie di vario tipo, dai segni di
ipertrofia ventricolare, con segni di sovraccarico, a segni
di ingrandimento atriale, ad anomalie della conduzione
intraventricolare a vari tipi di aritmie. Esso può inoltre
rivelare la presenza di onde Q patologiche indicative di
infarti miocardici pregressi. Un ECG completamente normale nei pazienti con scompenso cardiaco è molto raro.
Radiografia del torace
Informazioni importanti nel paziente scompensato possono essere ottenute da una radiografia del torace e riguardano principalmente le dimensioni del cuore e la presenza
e il grado della congestione polmonare (Figura 13.16).
Le dimensioni del cuore si valutano calcolando il rapporto
cardiotoracico, cioè il rapporto tra il diametro trasverso
Esami diagnostici
Esami di laboratorio
Gli esami di laboratorio di routine sono importanti per
valutare la presenza di alterazioni della funzione renale o
epatica o alterazioni degli elettroliti sierici spesso associate
allo scompenso cardiaco.
Utile per la diagnosi di un’origine cardiaca di sintomi
compatibili con uno scompenso (dispnea in primo luogo)
è il dosaggio del peptide natriuretico di tipo B e del suo
precursore NT-proBNP. Questi peptidi, come notato in
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Figura 13.16
Radiografia del
torace di un
paziente con
scompenso
cardiaco.
La radiografia mostra una marcata cardiomegalia, con aumentato rapporto cardio-toracico
(0,78); si notano anche una congestione ilare e un piccolo versamento pleurico basale
bilaterale.
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318
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
dell’ombra cardiaca e il diametro trasverso del torace a livello dei seni costo-frenici. Normalmente questo rapporto
è inferiore a 0,5, vale a dire il diametro cardiaco non supera
la metà di quello toracico. La valutazione della congestione polmonare consente di avere un’indicazione della
gravità dello scompenso. Quando la pressione nei capillari
polmonari (che normalmente non supera i 10-12 mmHg)
è solo leggermente aumentata (13-18 mmHg), infatti, si
osserva soltanto la cosiddetta inversione del circolo; si
rendono cioè maggiormente evidenti i vasi venosi dei
campi polmonari superiori, che normalmente, per ragioni
di pressione idrostatica, sono meno visibili rispetto a quelli
dei campi inferiori. Se la pressione capillare è più alta (sino
a 23 mmHg), gli ili appaiono ingranditi e sfumati e i fasci
bronchiolo-vascolari presi d’infilata mostrano una superficie sfumata causata da edema interstiziale perivascolare.
Se l’aumento di pressione è persistente compaiono le strie
di Kerley, cioè strie radio-opache dello spessore di pochi
millimetri, a decorso orizzontale, prevalenti nei campi
inferiori (si osservano soprattutto nella stenosi mitralica).
Quando, infine, la pressione capillare polmonare supera
i 25 mmHg, si osservano i segni radiografici dell’edema
polmonare franco, cioè opacità più o meno omogenea di
entrambi i campi polmonari (polmone “bianco”).
Ecocardiogramma
L’ecocardiogramma mono-bidimensionale e color Doppler è senz’altro l’esame che contribuisce più di ogni altro a identificare le cause dello scompenso cardiaco e a
valutarne la gravità.
Facilmente eseguibile, non invasivo e privo di rischi, questo esame consente di identificare rapidamente molte delle patologie cardiache (coronariche, miocardiche, valvolari e del pericardio) in grado di causare uno scompenso.
L’ecocardiogramma consente, in particolare, di esaminare
adeguatamente la funzione contrattile globale e regionale
del ventricolo sinistro e, sebbene con minore precisione,
del ventricolo destro.
A tal proposito, esso permette di calcolare facilmente la
frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVSn), che
costituisce il parametro più importante e più largamente
utilizzato nella pratica clinica per indicare lo stato della contrattilità miocardica e anche uno dei parametri prognosticamente più importanti nei pazienti cardiopatici. Essa esprime
la percentuale di sangue espulsa dal ventricolo durante la
sistole sul totale del volume di sangue in esso contenuto al
termine della diastole ed è ottenuta con la formula:
(VTDS − VTS)
FEVSn = ____________
​    × 100
VTDS
dove VTDS e VTS indicano il volume telediastolico e telesistolico del ventricolo sinistro, che sono facilmente
misurabili all’ecocardiogramma. Normalmente, la FEVSn è
compresa tra 60 e 75%, ed è comunque superiore al 50%.
La sua riduzione è tanto maggiore quanto maggiore è la
compromissione della contrattilità globale del ventricolo
sinistro.
La valutazione della funzione sistolica ventricolare nei
pazienti affetti da cardiopatia organica è estremamente
importante, in quanto una riduzione subclinica della funzione ventricolare sinistra spesso precede i sintomi e i segni
di scompenso. Il suo riconoscimento può pertanto aiutare
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a prevenire l’evoluzione verso lo scompenso conclamato.
L’ecocardiogramma Doppler consente anche un’adeguata valutazione della funzione diastolica dei ventricoli
mediante analisi Doppler del flusso atrioventricolare (si
veda il Capitolo 2).
Altri esami diagnostici
Anche altre metodiche di imaging possono essere utilizzate ai fini della valutazione dei volumi ventricolari
e della FEVSn, come, in particolare, l’angioscintigrafia,
la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica
cardiaca e, in pazienti che necessitano di cateterismo
cardiaco, la ventricolografia. Questi metodi, però, sono
meno pratici, più costosi, richiedono l’uso di isotopi o
di mezzo di contrasto e, nel caso della ventricolografia,
sono invasivi, senza offrire significativi vantaggi rispetto
alla metodica ecocardiografica. Essi pertanto trovano indicazione per la valutazione della funzione ventricolare
solo in casi selezionati.
Prognosi e stratificazione del rischio
In media, la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco
non è buona. Nelle statistiche del passato la probabilità
di morte entro 4-5 anni dall’insorgenza dei sintomi era
del 50% negli uomini e del 30% nelle donne. In caso di
scompenso grave, la probabilità di morte saliva al 65% a
un anno e superava l’80% a 3 anni. La metà circa delle
morti dei pazienti con scompenso cardiaco è improvvisa,
mentre negli altri casi si assiste a un progressivo deterioramento cardiaco. Tuttavia, grazie ai progressi conseguiti
con l’impiego di farmaci che contrastano il rimodellamento del miocardio, la mortalità nello scompenso cardiaco
appare oggi ridotta e l’impianto di defibrillatori cardiaci
automatici (ICD, Implantable Cardioverter Defibrillators)
in pazienti ad alto rischio ha ridotto anche l’incidenza di
morte improvvisa. Restano, tuttavia, numerosi i casi che
risultano progressivamente refrattari a tutti i trattamenti.
Quando uno scompenso grave non risponde a una terapia razionale condotta con tutti i presidi disponibili, la
mortalità entro pochi mesi è elevata.
La prognosi è più favorevole nei casi in cui lo scompenso cardiaco è determinato da cause primarie rimovibili,
come una valvulopatia o una cardiopatia ischemica con
un’ampia area di miocardio ibernato (si vedano i Capitoli
7 e 8). La risoluzione della patologia di base, infatti, può
in questi casi determinare un miglioramento anche consistente della funzione meccanica cardiaca.
Vi sono diversi fattori (clinici e laboratoristici) che consentono di predire la prognosi in pazienti con scompenso
cardiaco cronico (Tabella 13.4). Tra questi la gravità dei
sintomi (classe NYHA), la frazione di eiezione, la capacità
di esercizio, la funzione renale e i livelli ematici di BNP/
NT-proBNP sono tra i marcatori prognostici più importanti e utili dal punto di vista clinico.
Manifestazioni cliniche
di scompenso cardiaco acuto grave
L’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno sono
manifestazioni gravi di scompenso cardiaco che possono costituire l’esordio drammatico di un’insufficienza
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Tabella 13.4 Principali variabili prognostiche
nello scompenso cardiaco congestizio
Variabili cliniche
• Età
• Eziologia ischemica
• III tono, segni di congestione
• Classe NYHA
• Disfunzione renale, diabete
• Aumentata frequenza cardiaca
• Bassa pressione arteriosa
Variabili biochimiche
• Sodiemia
• Creatinina/clearance della creatinina
• Emoglobina
Neuro-ormoni
• Fattore natriuretico tipo B (BNP)/pro-BNP
• Fattore natriuretico atriale
Variabili elettrocardiografiche
• Fibrillazione atriale
• Durata del QRS/blocco di branca sinistra
• Ipertrofia ventricolare sinistra
• Aritmie ventricolari complesse
• Ridotta variabilità della frequenza cardiaca
Variabili ecocardiografiche e radiografiche
• Frazione di eiezione ventricolare sinistra
• Indice di contrattilità regionale
• Volume telediastolico/telesistolico del ventricolo sinistro
• Funzione ventricolare destra
• Rapporto cardio-toracico alla radiografia del torace
Variabili funzionali
• Capacità di esercizio
• Consumo massimo di O2 durante test ergometrico
• Distanza percorsa al test del cammino di 6 min
Variabili emodinamiche
• Indice cardiaco
• Pressione telediastolica ventricolare sinistra
cardiaca, come può avvenire più tipicamente quando la
causa dello scompenso è acuta (per esempio, un infarto
esteso del miocardio), oppure rappresentare un serio aggravamento di uno scompenso cardiaco cronico. L’edema
polmonare è trattato qui di seguito. Lo shock cardiogeno
è trattato nel Capitolo 4.
Edema polmonare acuto
L’edema polmonare acuto si manifesta quando la pressione nei capillari polmonari aumenta al di sopra di
25 mmHg; oltre questi livelli, infatti, l’equilibrio tra pressione idrostatica e pressione oncotica del sangue favorisce
la trasudazione di liquido nell’interstizio e negli alveoli
polmonari (Figura 13.17). Ne segue una compromissione
sia degli scambi gassosi sia della funzione polmonare meccanica (ventilazione). L’ipossia e l’acidosi che ne derivano
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provocano un ulteriore peggioramento della funzione
cardiaca, con riduzione della portata e ulteriore aumento
delle pressioni capillari polmonari, generando così un
circolo vizioso. Anche in senso anterogrado, la riduzione
della portata cardiaca attiva un altro circolo vizioso. Essa,
infatti, stimola il sistema adrenergico che, attraverso la
vasocostrizione cutanea, muscolare e splancnica, tende
a mantenere la perfusione cerebrale e cardiaca. Questo
spiega la tachicardia, l’ipertensione, l’aspetto cutaneo
caratterizzato da pallore e profusa sudorazione e la contrazione della diuresi. L’aumento delle resistenze vascolari
periferiche, però, comporta un ulteriore aumento del carico di lavoro per il cuore e, quindi, tende a peggiorare l’insufficienza cardiaca, con ulteriore riduzione della portata.
Il paziente in edema polmonare acuto si presenta, in
genere, agitato, seduto sul letto, fortemente dispnoico
e tachipnoico, con respiro che, a seconda della gravità
dell’edema, è caratterizzato da espirazione prolungata con
sibili e ronchi, da inspirazione rumorosa e gorgogliante e,
nei casi più gravi, dall’emissione con la tosse di un espettorato schiumoso, talvolta rosato. La cute del paziente si
presenta fredda e sudata e le estremità e le labbra sono
cianotiche. Il polso è in genere tachicardico; la pressione
è spesso, anche se non sempre, elevata, soprattutto la
diastolica, il che comporta spesso una riduzione della
pressione differenziale. La diuresi risulta ridotta. All’auscultazione toracica si apprezzano rantoli inspiratori su
tutti i campi polmonari. L’analisi dei gas ematici e dell’equilibrio acido-base rivela ipossia, acidosi (metabolica e
respiratoria) e spesso ipercapnia.
319
2
Vasi linfatici
Spazi
perivascolare
e interstiziale
Vene
Alveoli
Capillari
H2O
Lamina di
surfattante
Alveoli
Pressione
idrostatica
Pressione
osmotica
Endotelio
capillare
Membrana
basale
Capillari
Pneumocito di primo ordine
Pneumocito di secondo ordine
Versante
sottile
Versante
spesso
Setto interalveolare
Assorbimento fisiologico
di liquido dai polmoni
Figura 13.17
Meccanismo
dell’edema
polmonare.
Quando, in seguito a un aumento della pressione idrostatica all’interno dei capillari, secondario a un aumento della pressione venosa a valle, si forma un eccesso di liquido
nell’interstizio polmonare, questo non può essere smaltito per via linfatica e trasuda negli
alveoli.
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320
Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Alcuni pazienti possono riferire anche dolore retrosternale. Ciò si può verificare quando la causa scatenante
dell’edema polmonare è un infarto miocardico acuto
o un’ischemia miocardica grave, oppure, al contrario,
se l’ipossia causata dall’edema polmonare finisce con il
provocare ischemia in pazienti con stenosi coronariche.
Se non si interviene con un trattamento tempestivo, l’edema polmonare tende a peggiorare progressivamente
sino all’arresto del respiro, oppure evolve verso lo shock
cardiogeno (caduta della pressione) e l’arresto cardiaco.
L’obiettivo principale del trattamento è quello di ridurre
in modo marcato il precarico e, in caso di elevata pressione arteriosa, anche il postcarico.
Tabella 13.5 Principali presidi farmacologici nella terapia
dello scompenso cardiaco
Scompenso cardiaco
Cronico
ACE-inibitori e antagonisti
recettoriali dell’angiotensina II
b-bloccanti
Nitrati
Vasodilatazione venosa
periferica
Riduzione del precarico
Idralazina
Vasodilatazione arteriolare
Diuretici dell’ansa e tiazidici
Aumento dell’escrezione
di Na+ e liquidi
Riduzione del precarico
Antialdosteronici
Blanda azione diuretica
Risparmio di K+
Glicosidi digitalici
Attività inotropa positiva
Riduzione della frequenza
cardiaca durante fibrillazione
atriale
Terapia dello scompenso cardiaco cronico
Misure generali
Il paziente dovrebbe seguire norme di vita che evitino
di imporre al cuore un lavoro eccessivo per le sue capacità. Il riposo a letto o in poltrona è indispensabile
in caso di scompenso acuto. Nei casi cronici possono
essere indicati periodi di riposo programmati.
Un’eccessiva restrizione dell’attività fisica, tuttavia,
può avere effetti deleteri, favorendo fenomeni di
tromboembolia venosa e l’ipotonia muscolare, con
ulteriore riduzione della tolleranza per lo sforzo. Studi
condotti in anni recenti hanno evidenziato come una
cauta attività fisica, laddove possibile e calibrata sulle
capacità e lo stato clinico del paziente, non solo non è
controindicata, ma migliora i sintomi, la tollerabilità
dell’esercizio e la qualità della vita dei pazienti con
insufficienza cardiaca.
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Inibizione degli effetti
dell’angiotensina II
Riduzione del postcarico
Effetti antiadrenergici
Miglioramento della
risposta adrenergica
Effetto “antiaritmico”
Terapia
Gli obiettivi della terapia dello scompenso cardiaco
sono due, il miglioramento dei sintomi e il miglioramento della prognosi. Infatti, non tutti i farmaci che
migliorano i sintomi dello scompenso cronico migliorano la prognosi. Per esempio, nello scompenso cronico gli ACE-inibitori e i b-bloccanti migliorano sia la
prognosi sia i sintomi, mentre i diuretici migliorano i
sintomi ma non la prognosi e i farmaci inotropi, con
l’eccezione forse della digitale, possono migliorare i
sintomi ma peggiorano la prognosi. I farmaci inotropi sono peraltro indicati solo in alcuni pazienti con
scompenso refrattario o shock cardiogeno.
È da sottolineare poi che il trattamento deve comprendere gli interventi medici o chirurgici diretti a correggere o rimuovere, laddove possibile, la causa primaria
dello scompenso, come una coronaropatia, un vizio
valvolare, una cardiopatia congenita ecc. Analogamente, il trattamento deve comprendere misure dirette a
prevenire o eliminare eventuali cause precipitanti dello
scompenso (infezioni, aritmie, embolia ecc.).
I principali tipi di farmaci utilizzati nella terapia dello
scompenso cardiaco, insieme ai loro effetti principali
in questo contesto, sono riassunti nella Tabella 13.5.
La Figura 13.18 mostra inoltre lo schema progressivo
di trattamento dei pazienti dallo stadio A allo stadio D
dello scompenso.
Principali effetti nello
scompenso cardiaco
Acuto
Diuretici dell’ansa
Aumento dell’escrezione
di Na+ e liquidi
Riduzione del precarico
Nitrati
Vasodilatazione venosa
periferica
Riduzione del precarico
Nitroprussiato di sodio
Vasodilazione sia venosa
sia arteriosa
Riduzione di precarico
e postcarico
Glicosidi digitalici
Attività inotropa positiva
Riduzione della frequenza
cardiaca durante la
fibrillazione atriale
Amine simpaticomimetiche
Attività inotropa positiva
Effetto diuretico a basse dosi
Inibitori della fosfodiesterasi
Attività inotropa positiva
Effetto vasodilatatore
arterioso
Morfina
Vasodilatazione venosa
periferica
Riduzione del precarico
Azione antidolorifica
e sedativa
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
Oltre agli sforzi fisici intensi, il paziente con scompenso cardiaco deve evitare anche stress emotivi
eccessivi, condizioni ambientali sfavorevoli (per
esempio, temperatura e umidità elevate, che impongono al cuore un carico eccessivo di lavoro) ed
eccessi alimentari. La dieta deve essere leggera e il
peso deve essere mantenuto su valori quanto più
possibile vicini a quelli ideali. L’assunzione di sale,
infine, deve essere contenuta il più possibile per
evitare un aumento della ritenzione idrica e, quindi,
del precarico.
ACE-inibitori
Questi farmaci svolgono un ruolo fondamentale nel
trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cronico. Essi, infatti, riducono la mortalità e migliorano
i sintomi e i segni dello scompenso, migliorando di
conseguenza, anche la qualità della vita. Da notare
che i vantaggi prognostici degli ACE-inibitori si osservano già nei pazienti che presentano disfunzione
ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici.
Essi agiscono inibendo l’enzima che converte l’angiotensina I in angiotensina II, ovvero l’ACE (Angiotensin Converting Enzyme), da cui deriva il
termine ACE-inibitori. Riducendo la produzione di
angiotensina II (che, come visto, è aumentata nello
scompenso), gli ACE-inibitori determinano anzitutto vasodilatazione periferica, riducendo così le
resistenze vascolari e interrompendo il circolo vizioso che dall’accentuata vasocostrizione cutanea
e splancnica porta, per l’aumento del postcarico, a
un ulteriore peggioramento della funzione e della
portata cardiaca (si veda Figura 13.10). Inoltre, il
migliore svuotamento ventricolare, conseguente alla
riduzione delle resistenze all’eiezione, determina
anche una riduzione del volume sistolico residuo, il
che porta anche a una riduzione del precarico, con
effetti benefici sulla pressione venosa polmonare
(si veda oltre, Diuretici).
Da notare che gli ACE-inibitori agiscono anche riducendo gli effetti nocivi diretti sul cuore dell’angiotensina II, che, in eccessive quantità, alla lunga
causa ipertrofia delle cellule miocardiche, seguita
da apoptosi e fibrosi, con rimodellamento negativo
del miocardio ventricolare. Alcuni degli effetti favorevoli degli ACE-inibitori, infine, sembrano mediati
dall’inibizione della produzione tissutale locale di
angiotensina II, che è stata dimostrata essere presente
in diversi organi, compreso il cuore.
Ipotensione e aumento della creatinina sono tra gli
effetti collaterali più frequenti degli ACE-inibitori.
Attenzione bisogna prestare, inoltre, alla possibilità
di iperpotassiemia, soprattutto quando essi sono somministrati in associazione con i diuretici risparmiatori
di K+ e in pazienti con insufficienza renale. Tra gli
altri effetti collaterali importanti è da ricordare la
possibilità, per quanto molto rara, di edema angioneurotico (dovuto a un aumento delle concentrazioni
di bradichinina), mentre tra quelli più frequenti vi è
la comparsa di tosse secca e spesso stizzosa.
STADIO D
• Sintomi refrattari
al trattamento
• Necessità di interventi
speciali
STADIO C
• Danno cardiaco
strutturale
• Sintomi attuali
o precedenti
321
2
Trapianto
VAD
Inotropi
STADIO B
• Danno cardiaco
strutturale
• Nessun sintomo
Team multidisciplinare
Chirurgia della mitrale
STADIO A
• Pazienti ad alto
rischio
• Nessun sintomo
ICD se FEVSn < 30-35%
Resincronizzazione cardiaca se QRS > 120 msec
Aggiunta di ARB e/o antialdosteronici
ACE-I (o ARB) e β-bloccanti in tutti, diuretici per la ritenzione idrica
ACE-I (o ARB) e β-bloccanti
Trattare ipertensione, diabete, dislipidemia
Riduzione dei fattori di rischio, educazione del paziente e dei familiari
Figura 13.18
Schema di
prevenzione
dello scompenso
cardiaco e di
trattamento
progressivo dei
pazienti con
scompenso
cardiaco
conclamato,
in base agli
stadi della
classificazione
ACC/AHA dello
scompenso.
ACE-I = ACE inibitori; ARB = antagonisti del recettore dell’angiotensina; FEVSn = frazione di eiezione del ventricolo sinistro; ICD = defibrillatore impiantabile;
VAD = assistenza ventricolare meccanica.
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Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
Antagonisti recettoriali dell’angiotensina
Questi farmaci, detti anche sartani, hanno effetti
complessivamente simili agli ACE-inibitori. Essi antagonizzano gli effetti dell’angiotensina II con un
meccanismo, però, di inibizione recettoriale diretta, per la precisione a livello dei suoi recettori AT-I,
presenti soprattutto a livello dei vasi di resistenza.
Studi recenti mostrano effetti clinici comparabili a
quelli degli ACE-inibitori in pazienti con scompenso
cardiaco, con possibilità di minori effetti collaterali,
come ipotensione e tosse. Cosa importante, un trial
clinico molto recente ha riportato una migliore sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco con
bassa funzione ventricolare sinistra trattati con una
combinazione di un sartano e di un inibitore della neprilisina, una endopeptidasi che degrada diversi peptidi endogeni vasoattivi, come i peptidi natriuretici,
rispetto a pazienti trattati solo con un ACE-inibitore,
per cui è possibile che questa combinazione, attualmente non disponibile, diventi una terapia di prima
scelta in questi pazienti.
b-bloccanti
Mentre per lungo tempo i b-bloccanti sono stati considerati controindicati in pazienti con scompenso
cardiaco a causa del loro effetto inotropo negativo,
oggi, al contrario, sono ritenuti, in assenza di controindicazioni assolute, farmaci indispensabili nel
trattamento di questa patologia. Diversi studi, infatti,
hanno dimostrato un beneficio significativo sulla
sopravvivenza, sulla funzione ventricolare (che paradossalmente, come detto, migliora) e sui sintomi
e segni dello scompenso. Da notare che anche con i
b-bloccanti l’effetto positivo sulla prognosi si osserva già in pazienti che presentano una disfunzione
ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici.
I meccanismi attraverso cui questi farmaci determinano benefici nei pazienti con scompenso cardiaco
sono verosimilmente molteplici. Contrastando l’attività simpatica, i b-bloccanti riducono la frequenza
cardiaca, e quindi il lavoro cardiaco, con conseguente
riduzione delle richieste energetiche e del consumo
di ossigeno da parte del cuore. La riduzione della frequenza cardiaca, inoltre, favorisce un migliore flusso
coronarico, con effetti benefici sulla funzione complessiva del cuore, in particolare in pazienti con cardiopatia ischemica. Infine, i b-bloccanti riducono la
suscettibilità alle aritmie ventricolari e migliorano il
bilancio autonomico simpato-vagale, effetti entrambi
che possono ridurre l’incidenza di morte improvvisa.
D’altro canto, nei casi di scompenso avanzato, nel
quale la risposta inotropa cardiaca al sistema nervoso
simpatico è gravemente compromessa per lo sviluppo
di down regulation recettoriale, i b-bloccanti possono favorire la riattivazione di una quota di recettori
b-adrenergici sufficiente a migliorare la contrattilità
miocardica in risposta agli stimoli simpatici.
Sebbene siano efficaci, i b-bloccanti vanno comunque
utilizzati con attenzione nei pazienti con scompenso,
in quanto una depressione della funzione ventrico-
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lare è sempre possibile, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento o in caso di aumento delle dosi.
La terapia andrebbe quindi cominciata sempre in
ambiente ospedaliero, iniziando con dosi molto basse e aumentando le dosi molto gradualmente sino a
quelle massime tollerate.
Le controindicazioni all’uso dei b-bloccanti comprendono bradicardia sinusale (FC < 60 bpm) o altre
bradiaritmie, ipotensione (pressione arteriosa sistolica
< 90-100 mmHg) e storia di asma bronchiale.
Nitrati
Quando somministrati acutamente, soprattutto per via
venosa, i nitrati (nitroglicerina, isosorbide dinitrato)
hanno un notevole effetto vasodilatatore venoso. Ciò
determina una ridistribuzione della massa ematica
dal centro verso la periferia e una marcata riduzione
del ritorno venoso. Questi farmaci hanno quindi un
effetto simile a quello dei diuretici, anche se, in questo caso, il volume totale di liquido nell’organismo
rimane invariato. Come per i diuretici, anche con i
nitrati bisogna fare attenzione a evitare un’eccessiva
riduzione del precarico.
Sebbene questi farmaci siano molto utili nelle fasi
acute di uno scompenso cardiaco, come descritto in
seguito, la loro utilità nella somministrazione cronica,
per via transdermica o per via orale, è dubbia, sia al
fine di migliorare i sintomi sia allo scopo di migliorare la prognosi, soprattutto in pazienti trattati in
modo ottimale con diuretici, ACE-inibitori o sartani
e b-bloccanti.
Vasodilatatori arteriosi
Si fanno rientrare in questa categoria farmaci che
agiscono direttamente sui vasi arteriosi di resistenza,
causando quindi vasodilatazione arteriolare e riduzione marcata del postcarico. Tra di essi vi sono i calcioantagonisti diidropiridinici e l’idralazina.
Gli studi clinici non hanno dimostrato un beneficio
prognostico dei calcio-antagonisti diidropiridinici in
pazienti con scompenso cardiaco. Ciò è verosimilmente da attribuire all’attivazione riflessa del sistema
nervoso simpatico che consegue all’ipotensione spesso piuttosto marcata che questi farmaci determinano
e che, come visto, può innescare effetti deleteri in
pazienti con scompenso.
L’associazione di idralazina e nitrati ha mostrato risultati favorevoli sulla prognosi, ma i dati disponibili
non sono così solidi come quelli ottenuti per ACE-inibitori, sartani e b-bloccanti. Inoltre, l’uso prolungato
dell’idralazina causa spesso rilevanti effetti collaterali.
Pertanto, il valore attuale di questi dati rimane dubbio, considerata l’efficacia di farmaci più tollerati e
con maggiore evidenza di benefici.
Diuretici
I diuretici sono farmaci cardine nel trattamento
dei sintomi dello scompenso cardiaco, mentre non
sembrano avere effetti significativi sulla prognosi a
medio-lungo termine. Essi aumentano l’eliminazione
01/07/15 13:47
Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
di sodio e acqua con le urine e perciò riducono il
volume ematico circolante e il liquido interstiziale,
diminuendo così il precarico e, di conseguenza, la
congestione venosa. L’uso dei diuretici riduce la necessità di una restrizione eccessiva dell’assunzione
di sale.
I diuretici più usati nello scompenso sono di due tipi
principali: i diuretici dell’ansa e i diuretici tiazidici.
I primi hanno effetti diuretici più rapidi e potenti, e
agiscono principalmente inibendo il riassorbimento
di ioni Na+, K+ e Cl- nel braccio ascendente dell’ansa di
Henle; il volume urinario è aumentato sia per la perdita
di acqua associata all’eliminazione di questi ioni, sia
per un’inibizione del riassorbimento di acqua libera.
I farmaci tiazidici hanno effetti diuretici più lenti, ma
più prolungati; essi agiscono principalmente riducendo
il riassorbimento di ioni Cl- nel braccio prossimale del
tubulo convoluto distale e nella parte iniziale dell’ansa
di Henle, con associato volume di acqua.
I diuretici sono utili in tutte le forme di scompenso,
ma devono essere dosati con cura per evitare l’ipovolemia, con conseguente eccessiva riduzione del
riempimento cardiaco e della portata cardiaca. Essi
possono, inoltre, causare ipokaliemia (per perdita
eccessiva di K+ nelle urine) e alcalosi metabolica (per
perdita di ioni H+). Evitare l’ipokaliemia è particolarmente importante, perché essa può causare una
sindrome dell’intervallo QT lungo, con comparsa
di aritmie ventricolari gravi (si veda il Capitolo 6), e
peggiorare un eventuale quadro di tossicità digitalica
come descritto in seguito.
Altri effetti collaterali dei diuretici comprendono
astenia e, in caso di tossicità, nausea, vomito e letargia. A livello metabolico si possono osservare iperazotemia, iperuricemia, ipertrigliceridemia e anche
iperglicemia.
Diuretici risparmiatori di potassio
Questi farmaci hanno solo una blanda azione diuretica e sono anzitutto utilizzati in associazione ai
diuretici dell’ansa e ai diuretici tiazidici allo scopo
di evitare la perdita eccessiva di potassio con le urine, e quindi l’ipopotassiemia, da questi causata. Essi comprendono principalmente farmaci ad azione
antialdosteronica, che contrastano la perdita di K+
bloccando lo scambio di questo ione con gli ioni Na+
e H+, promosso nei tubuli distali e nei dotti collettori
dall’aldosterone. Alcuni diuretici risparmatori di K+,
come la bumetanide, agiscono tuttavia direttamente
(in modo indipendente dall’aldosterone) sul tubulo
distale e sul dotto collettore.
In studi recenti i farmaci antialdosteronici si sono
dimostrati in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco già in terapia ottimale,
migliorando la funzione ventricolare sinistra e la
capacità fisica e riducendo sia la mortalità totale sia
la morte improvvisa. Il meccanismo di questi benefici
non è chiaro. Tuttavia, oltre a evitare gli effetti negativi dell’ipopotassiemia, questi farmaci sembrano
contrastare l’azione profibrotica dell’aldosterone.
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L’effetto collaterale più pericoloso dei farmaci risparmiatori di K+ è l’iperkaliemia, che può svilupparsi
con una certa frequenza in pazienti con insufficienza renale e in pazienti anziani, soprattutto quando
essi sono associati a farmaci inibitori dell’angiotensina (ACE-inibitori e sartani), per cui devono essere
somministrati con attenzione in queste situazioni.
Tra gli effetti collaterali più tipici dei farmaci antialdosteronici vi è la ginecomastia.
Glicosidi digitalici
I glicosidi digitalici sono in pratica gli unici farmaci ad
azione inotropa positiva disponibili per il trattamento
dello scompenso cardiaco cronico e sono stati usati largamente per molti anni in questi pazienti. Essi agiscono inibendo la pompa sodio-potassio della membrana
delle fibre miocardiche, con l’effetto ultimo di aumentare la disponibilità di calcio intracellulare per la
contrazione. Oltre a ciò, i glicosidi digitalici riducono
la frequenza cardiaca e la conduzione atrioventricolare
(soprattutto per aumento del tono vagale).
Sebbene la somministrazione di digitale possa sortire
effetti benefici sui sintomi e sui segni di scompenso, la somministrazione a lungo termine non si è
rivelata in grado di migliorare la prognosi e in alcuni studi è stata addirittura associata a un aumento
della mortalità, per cui il suo uso routinario non è
più consigliato. La digitale può essere utile, tuttavia,
nei casi di scompenso complicato da fibrillazione o
flutter atriale con elevata frequenza ventricolare, in
quanto questi pazienti traggono giovamento dalla
sua capacità di ridurre la frequenza ventricolare.
L’eccessivo accumulo di glicosidi digitalici nel sangue
può determinare un tipico quadro di intossicazione
digitalica, che comprende manifestazioni sia cardiache sia extracardiache. Tra le prime vi è la possibilità
sia di bradiaritmie (seno-atriali o atrioventricolari) sia
di tachiaritmie (giunzionali o ventricolari), dovute
a un aumento dell’eccitabilità delle cellule miocardiche. I sintomi extracardiaci di intossicazione digitalica comprendono, nelle forme più lievi, senso di
nausea e conati di vomito, mentre, nei casi più gravi,
possono comparire visione gialla e sintomi di delirio.
Le concentrazioni sieriche di digossina aumentano
in caso di insufficienza renale, per cui il rischio di
intossicazione digitalica è maggiore in questi pazienti
se non si ha cura di ridurre la dose. L’ipokaliemia e
l’ipomagnesiemia, d’altro canto, possono favorire
gli effetti tossici della digitale. Nel sospetto di intossicazione digitalica, il dosaggio della digossinemia
consente di confermare o escludere la diagnosi.
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2
Terapia non farmacologica
In pazienti con scompenso cardiaco grave (classe
NYHA III-IV), che rimangono sintomatici a dispetto di una terapia medica ottimale e che presentano
all’ECG un QRS slargato (≥ 120 msec) con morfologia
a blocco di branca sinistra, è possibile ottenere un
miglioramento del quadro clinico con l’impianto
di un pacemaker biventricolare. Il principio su cui
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Parte 2 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO
si basa questa terapia risiede nel fatto che, a causa
della turba di conduzione intraventricolare, nella
maggioranza di questi pazienti, parte dell’inefficienza
contrattile del ventricolo sinistro è dovuta alla perdita
della sincronizzazione della contrazione dei due ventricoli e delle varie regioni del ventricolo sinistro (in
particolare del setto interventricolare e della parete
posteriore). L’applicazione di due elettrodi stimolatori
(uno nel ventricolo destro e uno a livello della parete
posteriore del ventricolo sinistro), che rispondono in
modo sincrono all’attività atriale, consente di ripristinare in gran parte la sincronia della contrazione
ventricolare, migliorando la gittata sistolica e, quindi,
il quadro clinico. Questa terapia, definita di risincronizzazione cardiaca, si è dimostrata anche in grado di
migliorare la prognosi dei pazienti con indicazione al
trattamento. Non essendo essa esente da complicanze
legate alla procedura, la sua attuazione va prospettata
a pazienti che rientrano nelle indicazioni cliniche per
le quali si è dimostrata efficace.
In pazienti con grave insufficienza cardiaca cronica
refrattaria a qualsiasi forma di trattamento, l’unica
possibile terapia rimane il trapianto cardiaco. L’intervento di trapianto cardiaco presenta ormai un’alta
percentuale di successi e una buona sopravvivenza
(oltre il 60% a 5 anni), grazie al miglioramento dei
trattamenti immunosoppressivi, purché esso venga
eseguito in pazienti ben selezionati. Un problema
del trapianto, tuttavia, è rappresentato dalla limitata
disponibilità di donatori.
Un’alternativa, ancora sperimentale e utilizzabile solo
in pochissimi centri specializzati, è in questi casi l’impianto di un cuore artificiale meccanico che sostituisce
parzialmente (o totalmente) la funzione di pompa del
cuore; ciò può essere soprattutto utile per consentire la
sopravvivenza di un paziente in previsione e in attesa
di un intervento di trapianto di cuore.
In pazienti con grave riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra, infine, è da considerare
l’impianto di un ICD, il quale riduce significativamente la morte improvvisa di questi pazienti interrompendo eventuali aritmie fatali. L’indicazione
all’ICD è categorica in pazienti sopravvissuti a un
arresto cardiaco o in cui è stato documentato un
evento aritmico potenzialmente fatale (prevenzione
secondaria). D’altro canto, sono tuttora discusse le
indicazioni all’impianto di ICD a scopo profilattico
in pazienti che non hanno mai avuto in precedenza
eventi aritmici gravi (prevenzione primaria). Sulla
base di alcuni studi clinici le linee guida sull’argomento tendono a indicare l’impianto di un ICD in
tutti i pazienti con FEVSn < 30-35%. Tuttavia, appare
chiaro che la maggior parte di questi pazienti non ha
eventi aritmici anche a lungo termine, per cui sarebbe auspicabile, anche a causa dell’eccessivo costo di
questi dispositivi, la possibilità di individuare gruppi di soggetti che effettivamente hanno un rischio
significativamente alto di andare incontro a morte
improvvisa e che quindi possono trarre effettivo beneficio dall’impianto del dispositivo.
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Terapia dello scompenso
con funzione sistolica preservata
(scompenso diastolico)
Nei pazienti nei quali lo scompenso è prevalentemente legato a un aumento delle pressioni intraventricolari per un’alterazione della funzione diastolica,
l’obiettivo principale è di ridurre, con un oculato uso
dei diuretici, le pressioni di riempimento ventricolare,
in modo da eliminare o contenere i sintomi di congestione venosa a monte (dispnea, edemi periferici),
evitando però di causare una riduzione eccessiva del
precarico, che potrebbe determinare una riduzione
significativa della gittata cardiaca. Sono inoltre utili
i farmaci che possono migliorare il rilasciamento
ventricolare, come, in particolare, gli ACE-inibitori,
o che prolungano il tempo di riempimento diastolico
riducendo la frequenza cardiaca, come i b-bloccanti.
Sebbene il trattamento farmacologico migliori i sintomi e i segni di scompenso, non vi è attualmente
dimostrazione che esso comporti in questi casi anche
un miglioramento della prognosi.
Terapia dello scompenso acuto
Sotto il termine scompenso acuto si possono far rientrare tre tipi principali di condizioni che hanno
in comune caratteristiche di gravità che rendono
necessario un trattamento intensivo, più o meno
urgente, al fine di evitare un’evoluzione infausta
in breve tempo. Queste condizioni comprendono
fasi subacute di aggravamento dei segni e sintomi
di scompenso (contrazione marcata della diuresi,
aumento della dispnea e/o degli edemi periferici,
riduzione della pressione arteriosa) che risultano refrattari all’abituale trattamento cronico e quadri di
più immediata gravità quali l’edema polmonare acuto
e lo shock cardiogeno.
Le fasi subacute di aggravamento dello scompenso
impongono un’attenta valutazione delle possibili
cause dell’aggravamento. Queste ultime possono
risiedere banalmente in una riduzione dell’aderenza
del paziente al trattamento farmacologico. In altri
casi la causa è da ricercare nell’assunzione di farmaci che determinano ritenzione idrosalina come
i FANS. In altri casi ancora, il peggioramento dello
scompenso cardiaco è dovuto a un’infezione che
può essere anche subclinica o al peggioramento di
una coronaropatia nota o non ancora diagnosticata
o al sovrapporsi di un’aritmia come la fibrillazione
atriale. È ovvio che in questi casi è importante identificare e curare la causa dell’aggravamento dello
scompenso. In molti casi, tuttavia, non è possibile
identificare una causa del peggioramento, che può
invece essere espressione di un peggioramento dello
scompenso stesso, per sua natura progressivo. In
questi casi diventa necessario intensificare la terapia
farmacologica e non farmacologica dello scompenso
come illustrato nel trattamento dello scompenso
cronico.
Il trattamento dello shock cardiogeno è trattato nel
Capitolo 4.
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Capitolo 13 - Scompenso cardiaco
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