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Zaggia Alice
IIIC RIM
novembre 2016
ADAM SMITH E L’ECONOMIA POLITICA
Sintesi del DVD a cura di Alessandro De Nicola, all’interno della Collana di Espresso- Repubblica
Quella che oggi è conosciuta con il termine di “economia politica” è una scienza sociale molto recente (nata
nel XVIII secolo) che studia l'attività dell'uomo rivolta all'ottenimento delle risorse necessarie a soddisfare i
suoi bisogni.
I due personaggi dalla quale questa scienza sociale prende piede sono:
Adam Smith: filosofo ed economista scozzese che gettò le basi dell’economia politica classica
con il suo elaborato “La ricchezza delle nazioni” (1776)
 Attraverso questo libro si ha la nascita del pensiero economico
Quesnay: economista francese che realizzò il Tableau économique (base teorica della scuola
fisiocratica)
La scuola classica prende questo nome sia perché è stata la prima vera scuola del pensiero economico, sia
perché ritene rilevante nello studio dei fenomeni economici l’esistenza delle tre classi sociali: la classe dei
lavoratori salariati, il cui reddito è il salario, che deve essere necessariamente di susssitenza; la classe dei
proprietari terrieri o rentiers, il cui reddito è rappresentato dalla rendita delle terre date in affitto ai
capitalisti imprenditori, che per Smith è la classe improduttiva per eccellenza, e la classe dei capitalisti
imprenditori, il cui reddito è il profitto, che in parte consumano ma in massima parte accumulano per
reinvestirlo nella produzione di nuovi beni.
Il motore dell’economia sono gli investimenti e la classe più innovativa e produttiva è quella dei caputalisti
imprenditori.
1) CHI ERA ADAM SMITH
Adam Smith si può definire come il padre dell’economia politica e del pensiero economico.
Tutti gli economisti che gli sono succeduti hanno tenuto conto delle sue affermazioni e dei suoi scritti,
spesso però anche mal interpretando ciò che Smith invece affermava.
Lui fu il primo a concepire l’economia come un “atto con conseguenze imprevedibili”, con conseguenze
quindi impossibili da pianificare poiché ogni nostra azione produce effetti dalle conseguenze spesso
inintenzionali. Proprio per questo motivo è impossibile controllare l’andamento del mondo (Principio di
Serendipità).
La scuola economica dominante che si era affermata prima di lui era quella Mercantilista, che si basava
principalmente su due punti:
La ricchezza viene dall’esportazione
L’economia era diretta dal potere (dai re e dai loro consiglieri)
Ciò che fece Smith fu quello di teorizzare ciò che invece lui vedeva, ossia che:
La ricchezza viene dallo scambio di beni
La ricchezza delle nazioni proviene dall’interesse individuale dei produttori:
“Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo,
ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro
interesse personale”
 TEORIA DELLA MANO INVISIBILE (di cui parlerò meglio più avanti): Secondo Smith, gli
individui sarebbero spinti da una ‘mano invisibile’ a operare in modo da assicurare benefici
alla comunità, pur perseguendo i propri vantaggi individuali.
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Teoria ottimistica + Principio liberista: il commercio deve essere lasciato
libero, poiché è grazie al libero commercio che si può avere la pace
Teoria mal interpretata da molti suoi colleghi: Adam Smith è stato visto per
molto tempo come “il teorico dell’egoismo” (egoismo inteso come
sopraffazione)
In “La ricchezza delle nazioni” e nella “Teoria dei sentimenti morali” Adam Smith dà vita a moltissime altre
teorie di cui parlerò più avanti.
2) IL SECOLO DI ADAM SMITH
Il periodo e l’atmosfera nei quali Adam Smith vive sono quelli dell’XVIII secolo.
Questo secolo è stato un periodo costituito da moltissimi cambiamenti e da un grande fermento
intellettuale conosciuto anche come “Il secolo dei lumi”.
Adam Smith si muove infatti in un contesto che gli ha permesso di osservare e di teorizzare tutto ciò che
vedeva; siamo nel secolo della Prima Rivoluzione Industriale (partita dall’Impero Britannico – prima potenza
mondiale), delle affermazioni dei diritti naturali della persona, delle libertà individuali e civili e dai concetti
filosofici di libertà individuali e civili (Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America – 4 luglio
1776) e dell’inizio della rottura dell’assetto mercantilista (esso sosteneva che la ricchezza provenisse solo
dall’esportazione) a seguito di un nuovo pensiero che si diffonde negli imperi coloniali: il commercio è
fondamentale.
3) LE TEORIE DI ADAM SMITH
LA TEORIA DEI SENTIMENTI MORALI
“La teoria dei sentimenti morali” viene esposta da Adam Smith nell’omonimo libro (1759).
Ci sono due grandi teorie riguardanti i sentimenti morali:
Morale basata sulla ragione (attraverso la logica)
Morale basata sul sentimento (Adam Smith)
Adam Smith sostiene che l’uomo è portato per natura ad avere simpatia verso gli altri; questo significa che
l’uomo esamina il modo attraverso il quale approva o meno la condotta delle altre persone per mezzo del
suo immedesimarsi simpatetico.
Lui stesso definisce il concetto di simpatia: essa è la capacità che ciascuno possiede di ritrovare le proprie
emozioni nella coscienza degli altri, ossia vivere determinate esperienze giudicando le azioni degli altri
partendo da quelle che sarebbero le nostre “se fossimo al loro posto”.
Sostiene poi che l’accordo tra le emozioni della persona osservata e quelle simpatetiche dello spettatore,
produce nello spettatore stesso approvazione morale mentre il disaccordo tra le emozioni produce
disapprovazione. La conseguenza logica è quindi: approvare le opinioni di qualcuno significa adottarle, cioè
che anche noi faremmo la stessa cosa.
LA TEORIA DELLA MANO INVISIBILE
“La teoria della mano invisibile” (La ricchezza delle nazioni), come già accennato sopra, è una teoria
innovativa. Adam Smith sosteneva che, studiando il sistema economico, si può percepire l’esistenza di una
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mano invisibile che guida gli individui e che, grazie ad essa, gli individui, pur perseguendo semplicemente
ed unicamente il proprio interesse personale, finiscono per conseguire il raggiungimento di un fine
ulteriore: l’interesse dell’intera società.
Questo è l’ottimale funzionamento di un sistema economico. È un meccanismo perfetto, esempio di
liberalismo economico dove non è necessario l’intervento dello Stato per apportare cambiamenti di ogni
genere, anzi, detto intervento sarebbe dannoso poiché interromperebbe e distorcerebbe il meccanismo
della mano invisibile. Tale concetto fondamentale è superato anche perché potrebbe funzionare solo in
un’economia di mercato caratterizzata da una “concorrenza perfetta” (che è un sistema economico
impossibile da trovare nella realtà, anche se studiato a fondo dagli economisti.
LA TEORIA DELLE CONSEGUENZE ININTENZIONALI
Questa teoria si rifà al principio che l’economia è un insieme di atti con conseguenze imprevedibili. Ciò
significa che è impossibile pianificare tutto nel minimo dettaglio perché ogni nostra azione può avere, nella
maggior parte dei casi, conseguenze imprevedibili. Proprio per questo si considera il modello dell’economia
pianificata (o collettivista) uno standard non più valido da seguire: è un modello nel quale lo Stato pianifica
tutto dall’alto (cosa produrre e come produrlo) e che impedisce la concorrenza e riduce le motivazioni
personali dell’individuo che concorrono al progresso materiale e/o spirituale della società.(Costituzione
italiana, articolo 4)
LA DIVISIONE DEL LAVORO
Concettualmente la divisione del lavoro esiste da sempre:
Antichità: modello tradizionale-familiare (ogni componente della famiglia aveva il proprio
compito)
Mondo antico-medievale (sviluppo di arti e mestieri)
Periodo pre-industriale (il lavoro veniva suddiviso tra maestranze specializzate)
Nella teoria di Adam Smith la divisione del lavoro assume un ruolo di fondamentale importanza sia nello
sviluppo che nella capacità di produzione (quantità e qualità). Secondo lui la divisione del lavoro aumenta
l’abilità del lavoratore a svolgere una particolare operazione nel processo produttivo e riduce i tempi morti;
così facendo si crea una specializzazione del lavoro che crea soddisfazione nel lavoratore. Tutto ciò porta
nel breve periodo ad un incremento della produttività di ciascun lavoratore, nel medio periodo aumenta la
produttività della singola impresa, nel lungo periodo fa crescere l’economia stessa. Questo porta ad una
notevole efficienza del sistema economico che permette un miglioramento di qualità e quantità delle
produzione, con l’impiego della stessa quantità di macchine e con l’investimento dello stesso numero di
capitali.
In poche parole, la divisione del lavoro, intesa come pura teoria, consente al lavoratore di specializzarsi in
una singola mansione e di aumentare tutta la produttività del lavoro, riducendo contemporaneamente i
tempi morti della produzione; tutto a parità di capitali investiti e mezzi di produzione.
La divisione del lavoro pur essendo un concetto valido, è stato estremizzato a partire dal 1800 circa quando
è stato trasformato in sfruttamento della forza lavoro con il cosiddetto “lavoro a cottimo”.
RUOLO DELLO STATO
Adam Smith si può anche considerare il padre del principio del “Laissez faire” (ideologia che non richiede
alcun ruolo per lo Stato).
Secondo lui, infatti, lo Stato non deve mai interferire nell’economia poiché quest’ultima deve essere nelle
mani di una collettività organizzata. Gli unici ambiti in cui lo Stato può intervenire sono:
Garanzia dei contratti
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Funzione di Giustizia, ordine pubblico e difesa dei confini
Regolamentazione della Attività Bancaria
Costruzione e garanzia di infrastrutture
Lotta contro i monopoli
4) L’EREDITA’ DI ADAM SMITH
Adam Smith è stato un grandissimo filosofo, economista ed umanista.
Entrambi i suoi libri e tutte le sue idee, concetti ed affermazioni hanno avuto una forte influenza sugli
economisti successivi e sono stati oggetti di ricerche e di nuove considerazioni sia in ambito economico sia
in ambito filosofico.
Attualmente c’è una scuola economica di pensiero che si basa molto sui concetti fondamentali portati
avanti da Adam Smith: La Scuola Austriaca. Essa si potrebbe quindi definire la “figlia” più originale di Smith,
poiché ha una concezione liberale dell’economia e appoggia la Teoria delle conseguenze inintenzionali
riconoscendo l’impossibilita di qualsiasi sistema economico pianificato (la società è fatta da interazioni di
individui le cui azioni possono avere conseguenze inintenzionali: è difficile, se non impossibile prevedere e
calcolare tutto).
Smith elabora anche la teoria del valore lavoro, in base alla quale il valore di un bene si misura dalle ore di
lavoro che sono state necessarie a produrlo.
Questa teoria, che sarebbe stata successivamente ripresa da Ricardo e da Malthus, si sarebbe poi rivelata
un errore, commesso dal teorico del liberismo e fatto proppro dal teorico del socialismo(Marx).
Sistematizzazione degli appunti e approfondimenti personali a cura di Alice Zaggia, rivisti da Sara Marsico
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