Economia 20e
Paul A. Samuelson, William D. Nordhaus, Carlo A. Bollino
© 2014 McGraw-Hill Education (Italy) srl
Adam Smith, padre fondatore dell’economia
“A quale scopo fatichiamo e ci affanniamo in questo mondo? Qual è il fine
dell’avarizia, dell’ambizione, del perseguimento della ricchezza, del potere e della
supremazia?” Così scriveva lo scozzese Adam Smith (1723-1790) che rappresentò per
la scienza sociale dell’economia quello che Isaac Newton fu per la scienza esatta della
fisica celeste. Smith rispose a queste domande in The Wealth of Nations (1776) in
cui spiegò l’ordine naturale autoregolamentato in cui l’olio dell’interesse personale
lubrifica la macchina economica in modo pressoché miracoloso. Riteneva infatti che la
fatica e l’affanno avessero l’effetto di migliorare la sorte della gente comune: “Il
consumo è l’unico fine e scopo dell’intera produzione”.
Smith fu il primo sostenitore della crescita economica.
All’alba della Rivoluzione Industriale sottolineò i grandi passi compiuti nella
produttività grazie alla specializzazione e alla divisione del lavoro. In un esempio
diventato famoso descrisse la produzione specializzata di una fabbrica di spilli come
un’attività in cui “un uomo svolge il filo, un altro lo raddrizza e un terzo lo taglia”.
Questo processo consentiva a 10 persone di produrre 48 000 spilli al giorno mentre se
“tutti avessero lavorato indipendentemente nessuno di loro sarebbe riuscito a produrre
non venti, ma neppure uno spillo al giorno”. Smith riteneva che dalla divisione del
lavoro derivasse “una ricchezza universale che si estende alle classi più umili”.
Immaginate che cosa penserebbe se ritornasse oggi e vedesse che cosa hanno
prodotto altri due secoli di crescita economica!
Smith riempì centinaia di pagine scagliandosi contro innumerevoli dimostrazioni di
insensatezza e interferenza dello Stato. Prendiamo in esame il caso di un mastro
artigiano che tentava di introdurre migliorie nel suo lavoro di tessitura. La gilda
cittadina stabilì che “se un tessitore decide di lavorare un pezzo secondo la propria
inventiva dovrebbe ottenere dai giudici cittadini il permesso di utilizzare i fili del
numero e della lunghezza che desidera dopo che la questione è stata esaminata da
quattro tra i mercanti più anziani e quattro tra i tessitori di più vecchia data della
corporazione”.
Smith sostenne che tali restrizioni, a prescindere dal fatto che fossero imposte dallo
Stato o dai monopoli, sulla produzione o sul commercio estero, limitassero l’adeguato
funzionamento del sistema di mercato e finissero per colpire sia i lavoratori sia i
consumatori.
Con questo non si vuole affermare che Smith fosse un apologeta del sistema: essendo a
favore della gente comune, diffidava di qualsiasi potere consolidato, dei
monopoli privati quanto delle monarchie istituzionalizzate ma, come molti grandi
economisti, aveva imparato dalla ricerca che la strada per l’inferno è lastricata di buone
intenzioni. In particolare, il principio della “mano invisibile” rimane il contributo
imperituro di Smith all’economia moderna.