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Pubblicato il 18 Dicembre 2012
Nel teatro Filarmonico di Verona apertura della Stagione lirica 2013
Macbeth d'un fascino infinito
servizio di Sergio Stancanelli
VERONA - Non ho mai amato “Macbeth” di Giuseppe Verdi sotto l’aspetto musicale, e tanto meno sotto
quello della vicenda narrata da William Shakespeare: e trovandomi in partenza per una vacanza, che
prevedo non breve, ospite della scultrice e pittrice Hastianatte nel suo castello di Zoagli, avevo
meditato di lasciare Verona prima della prima dell’opera. Ho rimandato le vacanze invece, dopo avere
presenziato alla conferenza stampa indetta dalla fondazione Arena per presentare ai giornalisti il nuovo
allestimento, illustrato dagli artefici del lavoro alla presenza degli interpreti. Dico sùbito che, dopo una
perplessità iniziale sulla scena prima dell’atto primo, incredibilmente difforme dalla prescrizione
librettistica - dovuta più ad Andrea Maffei (non menzionato sul Dizionario Utet né su l’Enciclopedia Le
maschere) che a Francesco M. Piave - , la messa in scena – che appare dapprima sbalorditiva, poco a
poco conturbante, di poi decisamente coinvolgente, d’una originalità assoluta e d’una ricchezza inventiva poco meno che
infinita, – sbaraglia la consueta opposizione agli allestimenti d’avanguardia, perché se tutte le modernizzazioni fossero come
queste, ben venga – io dico – l’avanguardismo nella scenografia, nei costumi, nella regia. E nella danza anche, dove Maria
Grazia Garofoli ha creato un altro capolavoro per ricchezza inventiva, originalità di movenze, grazia e compostezza, e ad un
tempo furore nella follia, pur nell’esibizione d’un erotismo estremo latente e non scopertamente esposto (l’edizione è quella
del 1863 per la rappresentazione parigina, dove le danze, obbligatorie per tradizione, risultano in verità fuori luogo, ed oltre
tutto, musicalmente son prolisse).
Le scene, di autore non fatto noto, così come i costumi e la regia (per evitarne il linciaggio da parte del pubblico alla fine dello
spettacolo, ha ipotizzato qualcuno avverso alle attualizzazioni), son coordinate, così come i costumi e la regia, da Stefano
Trèspidi, che io credo sia in realtà l’autore del tutto. Oltre alla ricchezza poco meno che sterminata, come s’è detto, delle
invenzioni scenografiche, delle allusioni costumistiche, delle trovate e fantasie registiche, e, ripeto, alla bellezza suggestiva
delle danze, per la gran parte dello spettacolo (quattro atti: 50 minuti, 30 minuti, intervallo di 20, 32 minuti, intervallo di 20, 36
minuti: totale tre ore e un quarto, più non meno d’un quarto d’ora di applausi finali, questa volta ben meritati) v’è al centro del
palcoscenico un video di dimensioni colossali, che vomita in continuazione immagini, curate da Amerigo Daveri, d’ogni
genere, a colori e in bianconero: io credo in parte trovatiche o recuperate, in parte – la maggior parte – realizzate
appositamente. La ricchezza di queste immagini che si avvicendano sullo schermo in un succedersi l’una a l’altra in un
continuum senza fine, cinema più che foto, è di per sé sola dimostrativa della fantasia e dell’impegno: son convinto che a
me, se senza aiuti, non sarebbe bastata una vita per realizzarle e assiemarle. Senza dimenticare gli effetti visivi quali
fumogeni, nebbiogeni, radianti, luminosi e colorati prodigati senza economia - mancavano solo i profumi, che possiamo
suggerire per la prossime repliche – insolitamente limitati al palcoscenico e non come spesso accade invadenti anche la
platea.
A questo punto devo dire che, mentre da un lato ho finalmente apprezzato l’opera, che nella prima versione del ’47 fu la
decima del bussetano, e che sotto la direzione del giovane Omer Meir Wellber, di nascita e nazionalità tenute segrete, è
apparsa in alcune parti incredibilmente precorritrice di Richard Wagner, per quanto riguarda gli aspetti visivi - fuori
discussione che ci si trovi di fronte al più bello allestimento di quest’opera fra i tanti fino ad ora visti - , ho il dubbio che si tratti
del più bello, originale, geniale, fantastico, e pur funzionale, allestimento ch’io abbia mai visto di qualsivoglia opera, in
qualsiasi teatro ed in ogni tempo. Di questo devo dar atto – come ho dato atto nel corso di una conversazione avuta con lui
durante il secondo intervallo – al sovrintendente Francesco Girondini, cui dopo la fine della rappresentazione ho
ulteriormente lodato l’impagabilità di tutte le voci.
Con l’orchestra dell’Arena in istato di grazia, così come il coro areniano istruito da Armando Tasso, cantano il polacco Andrzej
Dobber nella parte del generale Macbeth e Roberto Tagliavini in quella del generale Banco, Susanna Bianchini e Francesca
Micarelli in quelle di lady Macbeth e della sua dama di compagnia, Massimiliano Pisapia e Giorgio Misseri sono MacDuff e
Malcolm, in doppie parti prestano le loro voci Dario Giorgelè e Seung Pil Choi: quest’ultimo è anche una delle apparizioni,
insieme con Vittoria Sancassani ed Alberto Testa (non son menzionati gl’interpreti di Duncan e di Ecate, la cui presenza per
altro è muta). Il canto di tutti i solisti nessuno escluso, è di una bellezza assoluta, e ricorda le voci di un tempo quando gli
interpreti di un’opera venivano privati della carrozza, portati in trionfo, divinizzati da un apprezzamento senza limiti e pur non
sufficiente a rifletterne il valore. Non in alcuno una intonazione imperfetta, un volume di voce d’un decibel sopra o sotto il
dovuto: e mi piace menzionare in particolare la mezzosoprano, non tanto per la sua avvenenza, la cordialità in conferenza
stampa e il cenno di saluto rivoltomi dal palcoscenico, quanto per la vocalità superba, insieme con una padronanza del
palcoscenico – e della platea, visto che il regista l’ha fatta recitare anche frammezzo al pubblico – che ne fa un’attrice
completa.
Il cronista, entrato nel teatro in compagnia della soprano Anna M. Pistoja poco prima dell’orario d’inizio fissato per le 20.30,
ha trovato una platea praticamente deserta, sì che s’è trasferito dalla 12ª fila assegnatagli alla 1ª. In via dei Mutilati alcuni
giovani tra cui la violinista Daniela Bozzolo gli avevano consegnato un volantino il cui contenuto egli ha promesso di
trasmettere al giornale senza però poter garantire che sarebbe stato in tutto o in parte, o in riassunto, pubblicato, forte di
un’esperienza precedente quando la notizia della lettura di un comunicato da parte della Bozzolo dal palcoscenico del teatro,
prima di un concerto, non aveva trovato ospitalità. Trasmetto comunque al mio Direttore il testo del volantino, pregandolo di
dargli voce pur nel lasciare ai redattori e distributori della protesta, SLC / FISTel / UILCom / FIALS, ogni paternità dell’iniziativa.
Alle 20.30 una voce dagli altoparlanti ha invitato a spegnere i cellulari e informato che lo spettacolo sarebbe cominciato con
mezz’ora di ritardo per causa di una agitazione sindacale. Nella mezz’ora prima del nuovo orario d’inizio, il teatro si è
pressoché riempito di spettatori in ogni ordine di posti. Non formulo ipotesi in merito allo strano e inspiegabile fenomeno.
Un discorso lungo meriterebbe il programma di sala, un opuscolo di ben 64 + 4 pagine, quasi un libro, con riassunto della
trama, presentazione, divagazioni, libretto, elenco dei componenti dell’Orchestra e del Coro, biografie degli interpreti: queste
ultime, che per la loro prolissità nessuno legge, occupanti ben quindici pagine, che, ho detto al Sovrintendente, potrebbero
venir ridotte a poche righe, lasciando invece spazio a una preziosa ampia dichiarazione d’intenti del regista-scenografo, atta
ad esplicare agli spettatori, tra cui il cronista, tante allusioni suggestive, sì, ma non facilmente da tutti comprensibili. Il dottore
Girondini si è dichiarato pienamente d’accordo. Su questo argomento potremo ritornare, se il dottore Tromboni consentirà, in
un secondo tempo.
Crediti fotografici: Foto Ennevi per fondazione Arena di Verona
Nella miniatura in alto: il direttore Omer Meir Wellber
Al centro: Macbeth (Andrzej Dobber) e Lady Macbeth (Susanna Bianchini)
In basso: una delle tante scene d'assieme disegnate dal regista Stefano Trèspidi