s t u d î Il paradigma ermeneutico della nuova interpretazione di Platone L’idea di un “sistema platonico” Piergiorgio Della Pelle I l paradigma esegetico della cosiddetta nuova interpretazione di Platone, a duemilaquattrocento anni di distanza dall’opera del filosofo, risulta essere una delle propaggini più estreme e interessanti della critica filosofica specialistica contemporanea1. Nell’ambito di In particolare, per la nuova interpretazione di Platone si rimanda principalmente a K. Gaiser, Das Platonbild. Zehn Beiträge zum Platonverständnis, Hildesheim 1969; Id., Exoterisch/esoterisch, in (hrsg. v.) J. Ritter, Historisches Wörtherbuch der Philosophie, Bd. 2, Basel-Stuttgart 1972, 866-867; Id., Il discorso delle Muse sul fondamento dell’ordine e del disordine. Interpretazione e commento storico filologico di Repubblica VIII 545 D-547A, Milano 1998; Id., La metafisica della storia in Platone. Con un saggio sulla teoria dei Principî e una raccolta in edizione bilingue dei testi platonici sulla storia, Milano 1988 19912 19933 ; Id., Plato’s enigmatic “Lecture on the Good”, in Phronesis 25 (1980), 5-37; Id., Platone come scrittore filosofico. Saggi sull’ermeneutica dei dialoghi platonici, Napoli 1984; Id., Platons esoterische Lehre, in (hrsg. v.) Koslowski, Gnosis und Mystik in der Geschichte der Philosophie, Zürich-München 1988, 13-40; Id., Platons ungeschriebene Lehre. Studien zur systematischen und geschichtlichen Begründung der Wissenschaften in der Platonischen Schule, Stuttgart 1963 19682 19983, trad. it. parz., Milano 1994; Id., Platons Zusammenschau der mathematischen Wissenschaften, in Antike und Abendland 32 (1986), 89-124; Id., Protreptik und Paränese bei Platon. Untersuchungen zum Form des platonischen Dialogs, Stuttgat 1959; Id., Quellenkritische Probleme der indirekten Platonüberlieferung, in (hrsg. v.) H.-G. Gadamer u. W. Shadewaldt, Idee und Zahl. Studien zur platonischen Philosophie, Heidelberg 1968, 31-84; Id., Testimonia Platonica. Le antiche testimonianze sulle dottrine non scritte di Platone, Milano 1998; H. Krämer, Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie, (in Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, philosophisch-historische Klasse, Jahrgang, 1959, n. 6), Heidelberg 1959, Amsterdam 19672; Id., Die grundsätzlichen Fragen der indirekten Platonüberlieferung, in (hrsg. v.) H.-G. Gadamer u. W. Shadewaldt, Idee und Zahl. Studien zur platonischen Philosophie, 106-150; Id., Die platonische Akademie und das Probleme einer systematischen Interpretation der Philosophie Platons, in Kantstudien 55 (1964), 69-101; Id., ΕΡΕΚΕΙΝΑ ΤΗΣ ΟΥΣΙΑΣ, Zu Platon, Politeia 509B, in Archiv für Geschichte der Philoso1 49-60 tale orizzonte interpretativo, che è venuto a svilupparsi prevalentemente attorno alla Scuola di Tubinga e, poi, a quella di Milano dalla fine degli anni Cinquanta ad oggi, sembra interessante, a questa analisi, soffermare l’attenzione in particolare su due dei suoi pilastri fondamentali: il resoconto critico di Aristotele della dottrina del Maestro e gli ἄγραφα δόγματα, le “dottrine non scritte”, il cui senso e i cui contenuti sarebbero rintracciabili, primariamente, al di fuori del corpus platonicum. L’accentuazione più o meno intensa data a questi riferimenti pare costituire la variabile principale delle posizioni della due Scuole che, come punti di confronto critici, si rapportano, in negativo, con il Platone di Schleiermacher2, e, in positivo, con quello di Zeller e Robin3. PP phie 51 (1969), 1-30; Id., La nuova immagine di Platone, Napoli 1986; Id., Mutamento di paradigma nelle ricerche su Platone, in Rivista di Filosofia Neoscolastica 78 (1986), 341352; Id., Neues zum Streit um Platons Prinzipientheorie, in Philosophische Roundschau 27 (1980), 1-38; Id., Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei principî e sulle dottrine non scritte di Platone con una raccolta di documenti fondamentali in edizione bilingue e bibliografia, Milano 1982 20016; Id., Retraktationen zum Problem des esoterischen Platon, in Museum Helveticum 21 (1964), 137167; Id., Über den Zusammenhang von Prinzipienlehre und Dialektik bei Platon. Zur Definition des Dialektikers Politeia 534 B-C, in Philologus 110 (1966), 35-70, poi in J. Wippern (hrsg. v.), Das Problem der ungeschriebenen Lehre Platons. Beiträge zum Verständnis der Platonischen Prinzipienphilosophie, Darmstadt 1972, 394-448, trad. it. in ed. aggiornata e rivista dall’autore, Milano 1989 19964; G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, CUSL, Milano 1984 19864, poi Vita e Pensiero, Milano 19875 200321; ed. Id., Verso una nuova immagine di Platone, Milano 1994. 2 Cf. F.D.E. Schleiermacher, Platons Werke, T.I Bd. 1, Berlin 1804 18553; T. I Bd. 2 e T.II Bd.1 1805; T. II Bd. 2 1807; T. II Bd. 3 1809; T. III Bd. 1 1828. 3 Cf. L. Robin, La théorie platonicienne des Idées et des Nombres d’après Aritote, F. Alcan, Paris 1908, poi G. Olms, Hildesheim 19682 19983; E. Zeller, Die Philosophie der 49 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” 1. Le “dottrine non scritte” nell’interpretazione di Schleiermacher ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 PP Il primo di questi termini di confronto pare essere storicamente e filosoficamente significativo allorché si analizza la storia della stessa Scuola di Tubinga, la prima a presentare l’idea della nuova interpretazione. In Germania, difatti, la lettura e la stessa grande opera di traduzione operata da Schleiermacher tra il 1804 e il 1828, sono state, e sono, senza dubbio, il modello esegetico di riferimento della interpretazione moderna e contemporanea di Platone e dei suoi dialoghi. Nella Einleitung ai Platons Werke4 Schleiermacher, prospettando una linea interpretativa, affronta due questioni che paiono essere fondamentali per comprendere le successive intenzioni critiche della nuova interpretazione di Platone. Tra queste, in particolare, vi è a) l’affermazione della sostanziale omogeneità e identità tra l’insegnamento platonico all’interno e fuori dall’Accademia, cioè nell’insegnamento orale non vi sarebbe nulla di più di quanto Platone non abbia sostenuto nei dialoghi; b) all’interno dell’intera opera platonica, ma non nei singoli dialoghi, è possibile rintracciare una dimensione di sistema, secondo una precisa intenzione5. Questi due aspetti sono tenuti reciprocamente assieme da Schleiermacher in quanto, nell’affermare a) si sostiene una sorta di indipendenza dei dialoghi dalla tradizione indiretta, una autosufficienza tale che è possibile affermare b), in quanto il corpus platonicum sarebbe da sé completo e assumerebbe una propria fisionomia indipendentemente dalla differenza individuabile tra dottrine esoteriche ed essoteriche. I diversi dialoghi, presenterebbero altresì una Griechen. Eine Untersuchung über Charakter, Gang und Hauptmomente ihrer Entwicklung, Tübingen 1844-1852, poi in ed. riveduta come Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt, 5 voll., Tübingen-Leipzig 1859-18682, poi in 6 voll., Leipzig 1909-19223. 4 Cf. F.D.E. Schleiermacher, Einleitung in Platons Werke, T. I Bd. 1, 5-36. 5 Cf. Ivi, 11-13. 50 possibilità di categorizzazione secondo la loro rilevanza rispetto al sistema. Ma, ciò che pare essere fondamentale, oltre a tale suddivisione, è l’idea stessa che Schleirmacher espone anche nelle Vorlesungen über Plato del 1819-1823, nelle quali Platone viene presentato come «il primo filosofo sistematico (erster systematischer Philosoph)»6. Tale visione da parte di Schleiermacher, che pare essere guidata dalla sua impostazione ermeneutica, ha la volontà di presentare il pensiero di Platone concentrandosi sui dialoghi, ma, al contempo, una certa considerazione, inevitabilmente, è rivolta anche alla trattazione aristotelica delle dottrine platoniche. Se da un lato vi è da evidenziare il fatto che la critica abbia ravvisato, talvolta, una certa ambiguità su quest’ultimo punto da parte di Schleiermacher7, dall’altro, sembra altrettanto degno di nota sottolineare quanto Aristotele sia considerato senz’altro, dal filosofo tedesco, come una fonte attendibile per meglio chiarire alcuni aspetti degli insegnamenti di Platone, dal momento che lo Stagirita li esporrebbe facendo riferimento agli scritti a oggi noti. In proposito, però, vi è da dire che Schleiermacher non nega l’esistenza di insegnamenti platonici perduti o orali, ma reputa che questi siano già contenuti negli scritti e che non abbiano una rilevanza tale da modificare interamente o significativamente le conoscenze già desumibili dai dialoghi8. Attestandosi su tale linea, Schleiermacher ammette la possibilità di parlare di una distinzione tra dottrine esoteriche ed essoteriche solo se tale differenziazione non stia a indicare una partizione all’interno dell’insegnamento platonico, bensì una differente condizione del lettore rispetto a esse9. Ovvero solamente il lettore che si «eleva» a comprendere, dall’interno, Id., Geschichte der Philosophie, Berlin 1839, 98. Cf. T.A. Szlezák, Platon und die Schriftlichkeit der Philosophie. Interpretationen zu den frühen und mittleren Dialogen, Berlin 1985, 366-367, trad. it., Milano 1988 19923, 454. 8 Cf. F.D.E. Schleiermacher, Einleitung in Platons Werke, 9. 9 Cf. Ivi, 16-17. 6 7 89-90 (2014) s t u d î l’insegnamento che è nei dialoghi, può giungere a una interpretazione delle dottrine non scritte, come si legge nella Einleitung, difatti, la volontà platonica è quella di «costringere il lettore alla produzione di idee proprie»10. Per tali ragioni, sarebbe così possibile distinguere tra una esoterica «esteriore» e una esoterica «interiore», ove quest’ultima, coinvolgendo il lettore, lo porterebbe realmente a comprendere l’insegnamento platonico11. Mantenendo questa posizione di sostanziale indipendenza dei dialoghi platonici da quanto tramandato dalla tradizione indiretta (legata agli scritti e che nulla aggiungerebbe a essi) viene sostenuta dal filosofo tedesco una visione di un Platone che non avrebbe affidato alle dottrine non scritte una funzione di chiusura di un «sistema» per il pensiero platonico, già conchiuso nei dialoghi, né quella di chiave attraverso la quale accedere a insegnamenti sconosciuti ai più, che potrebbero essere desunti, con una più profonda comprensione, dai testi. Come Dilthey ha osservato, l’interpretazione platonica di Schleiermacher è incentrata «sulla ricerca dei collegamenti che uniscono dall’interno le opere principali di Platone in una unità filosofica»12, ed è questo il senso da attribuire all’idea di sistema proposta da tale lettura. 2. Il “non scritto” nella nuova interpretazione di Platone. La teoria dei Principî Il primo nucleo attorno a cui si svilupperà la nuova interpretazione di Platone, come noto, Tanto che, per Schleiermacher, «l’unico senso in cui qui si può parlare di esoterico ed essoterico» è quello di intendere questa partizione come indicatrice di «uno stato mentale del lettore». Ibid. 11 Cf. F.D.E. Schleiermacher, Einleitung in Platons Werke, 16-17. Inoltre, cf. M. Erler, Der Sinn der Aporien in den Dialogen Platons: Übungsstücke zur Anleitung im philosophischen Denken, Berlin-New York 1987, 12 n. 65, trad. it., Milano 1991, 55 n. 65. 10 W. Dilthey, Die Ubersetzung des Platon, in Leben Schleiermachers, Bd. 2, ora in Gesammelte Schriften, XIV Bd., Göttingen1966, 682, trad. it., Brescia1994, 117. 12 49-60 prende avvio sin dagli studi condotti tra la fine degli anni Cinquanta e inizio Sessanta da Konrad Gaiser e Hans Krämer, i cui lavori risultano costituire l’ossatura di quella che sarà la Scuola di Tubinga. Questo orientamento esegetico, nel rivendicare una funzione centrale e di maggior rilievo per l’insegnamento orale platonico, concentra la propria peculiarità critica in merito soprattutto sul Fedro e sull’excursus della Settima Lettera. Nel primo, Platone illustrando il rapporto tra il vero filosofo e la scrittura, spiega come questi non metta mai per iscritto «τὰ τιμιώτερα», le cose di maggior valore (278 B-E)13. Queste ultime, pertanto, sarebbero riservate all’insegnamento orale, come confermerebbe la Settima Lettera, ormai sciolti i dubbi sulla sua autenticità14, ove Platone afferma che vi sono cose attorno alle quali non ha intenzione di scrivere e che riguardano «τὰ μέγιστα» PP Cf. K. Gaiser, Nachwort zur zweiten Auflage in Platons ungeschriebene Lehre2, 581-582, trad. it. 336; H. Krämer, Il paradigma romantico, in Verso una nuova immagine di Platone, 90-92; Id., Platone e i fondamenti della metafisica, 99-108; M. Migliori, Dialettica e verità. Commentario filosofico al “Parmenide” di Platone, Milano 1990, 72; G. Reale, I tre paradigmi storici nell’interpretazione di Platone e i fondamenti del nuovo paradigma, in Verso una nuova immagine di Platone, 28-29; T. A. Szlezák, Oralità e scrittura nella filosofia. Il nuovo paradigma nell’interpretazione di Platone, in Verso una nuova immagine di Platone, 101-102. 14 Per un’idea sul dibattito circa l’autenticità della Settima Lettera in Germania nel Novecento sino agli anni Sessanta, cf. W. Andreae, Die philosophischen Probleme in den Platonischen Briefen, in Philologus 78 (1923), 3487; W. Bröcker, Die philosophische Exkurs in Platons siebentem Brief, in Hermes 91 (1963), 416-425; E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, I, Die Sprache, Berlin 1923, trad. it., Firenze 1987, 72-74; H.-G. Gadamer, Dialektik und Sophistik im siebenten platonischen Brief, Heidelberg 1964, ora in Gesammelte Werke 6 (da ora GW6), Tübingen 1999, 90-115, trad. it., Genova 1983, 237-368; W. Jaeger, Paideia., Bd. II, Berlin 1944 19542, 136-138, ora in W. Jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, Bd. II, Berlin, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1989, 652-654; G. Müller, Die Philosophie im pseudoplatonischen 7. Brief, in Archiv für Philosophie 3 (1949), 251-279; H. Patzer, Mittelbarkeit der Erkenntnis und Philosophenregiment im 7. Platobrief, in Archiv für Philosophie 5 (1954/55), 19-36; J. Stenzel, Über den Aufbau der Erkenntnis im VII. Platonischen Brief, in Jahresbericht des philol. Vereins 1921 63-84; Id., Kleine Schriften zur griechischen Philosophie, Darmstadt 1956, 85-106. 13 51 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 PP (341b1), ciò che è più importante, ovvero, «τὰ ἄκρα καὶ πρῶτα» (344d4), espressione che il paradigma esegetico della nuova interpretazione, intende nel senso di “Principî”, in linea con Aristotele, Giamblico e Teofrasto15. In tale direzione, dunque, la lettura tubinghese presenta l’ipotesi per cui Platone non abbia messo per iscritto una parte rilevante e significativa del suo insegnamento, la più alta e complessa (riservata all’insegnamento orale per i soli membri dell’Accademia) che sarebbe proprio relativa ai Principî. Da questo punto di vista, in tale impostazione, non emerge nulla di significativamente differente rispetto alla posizione di Schleiermacher, che ammette, comunque, l’esistenza di dottrine orali al di fuori dei testi platonici. Tuttavia, occorre sottolineare che all’epoca di Schleiermacher l’autenticità della Settima Lettera non era stata ancora dimostrata e che, nei propri lavori, egli non prende posizione circa l’originalità, o meno, dello scritto16. Al di là di questa notazione di ordine storico, l’impostazione schleiermacheriana non rifiuta la possibilità che le dottrine orali possano parlare dei Principî, ma non contempla l’ipotesi per cui esse contengano al loro interno un qualcosa di nuovo e indipendente rispetto a quanto già riscontrabile nei dialoghi. Con ciò, d’altra parte, non si vuol sostenere che tra la Scuola di Tubinga e la posizione di Schleiermacher vi possa essere una convergenza certa sullo stesso senso da attribuire all’idea di “Principio” nel pensiero platonico, ma semplicemente che, in linea teorica, non è da escludere la possibilità che Schleiermacher non accetti che le dottrine non scritte trattino dei Principî, fintanto che queste non sostengano qualcosa di differente da quanto già apprendibile dall’insegnamento scritto tramandato da Platone stesso. 2.1 La Scuola di Tubinga: Gaiser e Krämer In quello che è considerabile tra i primi testi da cui ha preso avvio la nuova interpretazione di Platone della Scuola di Tubinga: Platons ungeschriebene Lehre17 di Konrad Gaiser, pubblicato nella sua prima edizione nel 1963 (già redatto nel 1960 come tesi d’abilitazione), è visibile un’attenzione rilevante a ciò che egli chiama la teoria dei Principî, attraverso cui è ripercorsa la filosofia della storia di Platone; intento rintracciabile anche nella seconda edizione dell’opera, del 1968, sostanzialmente immutata nei contenuti, eccezion fatta per l’aggiunta di un Nachwort18. Ora, è significativo osservare come negli anni trascorsi tra le due edizioni, in Germania, il dibattito attorno alle dottrine non scritte si sia attivato con una considerevole vivacità, certo, dietro interesse anche di Hans-Georg Gadamer, da sempre studioso di testi platonici19, e il cui nome era stato portato Cf. K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre. Cf. Id., Nachwort zur zweiten Auflage in Platons ungeschriebene Lehre2, 575-591, trad. it. 331-345. 19 Cf. H.-G. Gadamer, Amicus Plato magis amica veritas, in Platos dialektische Ethik und andere Studien zur platonischen Philosophie, Hamburg 1968, ora in GW6, 7189, trad. it. Genova 1983, 269-292; Id., Das Wesen der Lust nach den platonischen Dialogen, tesi di dottorato accolta dalla Facoltà di Filosofia dell’Università di Marburgo il 15 maggio 1922; Id., Dialektik und Sophistik im siebenten platonischen Brief, 90-115, trad. it. 237-368; Id. und W. Schadewaldt (hrsg. v.), Idee und Zahl. Studien zur platonischen Philosophie, Heidelberg 1968; Id., Plato und die Dichter, Frankfurt am Main 1934, ora in Gesammelte Werke 5 (da ora GW5), Tübingen 1999, 187-211, trad. it. Genova 1983, 187-215; Id., Platon und die Vorsokratiker, in Epimeleia: Die Sorge der Philosophie um den Menschen, Festschrift für Helmut Kuhn zum 65. Geburtstag, hrsg. v. F. Wiedmann, München 1964, ora in GW 6, 58-70, 17 18 Cf. K. Gaiser, La metafisica della storia in Platone, 205 n. 5; H. Krämer, Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie, 21-23; Id., Platone e i fondamenti della metafisica, 101-105. 16 Senza dubbio, occorre evidenziare quanto la citazione della Settima Lettera platonica effettuata da Schleiermacher non sia supportata da una presa di posizione di tal genere in quanto è inserita nell’ambito di un riferimento alle posizioni di Wilhelm Gottlieb Tennemann. Questi, che aveva rilevato una distinzione tra esoterico ed essoterico, nel suo Geschichte der Philosophie (pubblicato in undici volumi tra il 1798 e il 1819) aveva accostato l’ultima parte del Fedro all’excursus della lettera, con l’intento di avvalorare la tesi della autenticità di quest’ultimo. Cf. F.D.E. Schleiermacher, Phaidros. Einleitung, in Platons Werke, 52; W.G. Tennemann, Geschichte der Philosophie, Bd. II 6 A., Leipzig 1799, 205-221. 15 52 89-90 (2014) s t u d î all’attenzione della comunità scientifica mondiale a seguito della pubblicazione, nel 1960, di Wahrheit und Methode20. Il Nachwort gaiseriano, difatti, si inserisce nell’ambito di un considerevole dibattito svoltosi a Heidelberg, su iniziativa di Gadamer, nel settembre del 1967, rintracciabile nel volume Idee und Zahl, curato dal filosofo tedesco e da Wolfgang Schadewaldt, maestro di Gaiser e Krämer21. Nel quadro di questa discussione, nel Nachwort, Gaiser, consolidando le proprie posizioni e marcando le distanze dalla interpretazione hegeliana, nota: nel nostro secolo […] l’affinamento dell’interpretazione storica ha poi gradatamente mostrato che in Aristotele e in altri autori antichi si è tramandato qualcosa come una dottrina sistematica dei Principî di Platone22. Annotazione che, riportando una delle idee principali del testo gaiseriano, mette ben in mostra il punto di partenza della ricerca tubinghese e, al contempo, rivela l’oggetto stesso trad. it. Genova 1984, 41-55; Id., Platos dialektische Ethik: Phänomenologische Interpretationen zum Philebos, Hamburg 1931 19682, ora in GW 5, 5-163, trad. it. Genova 1983, 3-184; Id., Platos Staat der Erziehung, in H. Berve (hrsg. v.), Das neue Bild der Antike, Bd. I, Leipzig 1942, 19442, 317-333, ora in GW5, 249-262, trad. it. Genova 1984, 217-235; Id., Platos Traktat über Argumentation, in Logique et analyse 6/24 (1963) 11-24. In merito, sia consentito rimandare a P. Della Pelle, La filosofia di Platone nell‘interpretazione di Hans-Georg Gadamer, Milano 2014. 20 Cf. H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, Tübingen 1960, 19754, ora in Gesammelte Werke 1, Tübingen 1999, trad. it. della ed. del 19652, Fabbri, Milano 1972, poi edito da Bompiani, Milano 1983, 200414. 21 Cf. H.-G. Gadamer u. W. Schadewaldt (hrsg. v.), Idee und Zahl. Studien zur platonischen Philosophie.Occorre annotare che Schadewaldt è stato un filologo classico, che ha riservato la parte più consistente e rilevante dei suoi studi alle traduzioni di Omero e Sofocle. 22 A sostegno di quell’humus filosofico e filologico che ha nutrito tale posizione, Gaiser, oltre all’amico e collega Krämer, espressamente cita: «L. Robin, W. Jaeger, J. Stenzel, F. Solmsen, H. Gomperz, H.-G. Gadamer, Wilpert, Sir David Ross, C.J. de Vogel». K. Gaiser, Nachwort zur zweiten Auflage in Platons ungeschriebene Lehre2, 575, trad. it. 331. 49-60 e la struttura che essa attribuisce al pensiero platonico, assai distanti dall’esegesi schleirmacheriana. Per prima cosa, difatti, vi è da osservare come il tentativo di indagine di Gaiser in proposito è quello di rintracciare l’insegnamento orale platonico muovendo dagli scritti di Aristotele e di altri autori che, trattando il pensiero di Platone, avrebbero fatto riferimento alle dottrine non scritte. A questa acquisizione va altresì aggiunto il fatto che lo studioso tedesco dichiara che si tratta di una «dottrina sistematica dei Principî», che, senza dubbio, in merito è l’aspetto più rilevante. Difatti, in tal modo, non solo si ammette qualcosa come una dottrina platonica relativa ai Principî rintracciabile nei testi dei pensatori coevi che hanno fatto riferimento a Platone, ma se ne afferma persino la struttura sistematica. Tralasciando per un istante il senso attribuibile al termine «sistema» in riferimento alla filosofia platonica, affermare l’esistenza di una sistematica dei Principî si presenta così, da un lato, come un modo per completare il pensiero dell’ateniese attribuendogli una architettura, attraverso cui tutti i differenti e vari dialoghi sarebbero orientati in una comune direzione strutturale che sorregge la gnoseologia e l’assiologia platoniche, dall’altro, la teoria dei Principî, sarebbe il culmine, il momento più alto, l’insegnamento più profondo e non comunicabile ai più, sicché, i dialoghi non sarebbero altro che un supporto, una prima via d’accesso, per i molti, a una parte dell’insegnamento platonico, ma non alla sua interezza e al suo senso più profondo. Nella disamina che nel testo del 1963 Gaiser conduce su questa dottrina dei Principî è visibile come la sua stessa esistenza e quella di un sistema nel pensiero platonico siano ipotesi portate avanti e colte in strettissima connessione, presentate come possibilità che si sostengono reciprocamente. In maniera specifica questa relazione pare essere sostenuta dalla funzione e dalla rilevanza che sono attribuite alla matematica platonica, intesa come vera e propria scienza nel suo distacco da quella pitagorica. Platone, difatti, avrebbe compiuto una chiara PP 53 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 operazione di «“matematizzazione” universale del pensiero filosofico»23, che Gaiser individua avviata dalla «identificazione di Idee e Numeri», nella «posizione ontologica centrale dei “mathematika”» e, a livello metodologico, «in riferimento all’interpretazione ontologica della serie dimensionale matematica e della teoria del logos»24. Proseguendo nell’illustrare la propria tesi, lo studioso tedesco asserisce come per Platone: da un lato, con la matematica è dato un ambito di verifica in cui i rapporti strutturali della concatenazione ontologica si trovano come in un punto cruciale e possono essere distinti come uno spettro, e, dall’altro, le specifiche leggi e regolarità matematiche ricevono dalla dottrina dei Principî la loro più autentica fondazione25. PP Questa affermazione, sul cui sfondo si colloca l’ammissione del carattere evolutivo del pensiero platonico nei differenti dialoghi (nel senso di una progressiva matematizzazione dell’ontologia), indica una direzione di sviluppo tanto nella filosofia, quanto nella matematica platonica, che va nel verso di una riduzione logica delle cose ai Principî, ammettendo al contempo la possibilità di dedurre queste dagli stessi26. La fondazione della matematica come scienza è così individuata da Gaiser in Platone proprio attraverso l’ammissione di una dottrina dei Principî che regge e rende possibile la regolarità della struttura matematica e ontologica delle cose. Questa fondazione di cui qui si tratta, d’altra parte, è presentata come se fosse 23 K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre2, 294, trad. it. 214. 24 Ibid. 25 Ibid. 26 «Crediamo di poter dire che Platone ha posto i matematici del suo tempo dinnanzi al compito di trovare le leggi che servono al filosofo per spiegare in modo sistematico metessi e corismo, diairesis e symploke dell’essere, per ricondurre in generale tutte le cose ai Principî mediante una riduzione logica (analisi) e per poterle derivare attraverso una corrispondente deduzione (sintesi) dai Principî stessi». K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre2, 303, trad. it. 223. 54 proprio la dottrina dei Principî a conferirle il carattere di «scienza sistematica (systematische Wissenschaft)»27 oltre che puramente teorica. Questa sistematicità pare così essere possibile in virtù della fondazione sui Principî, che fa sì che vi siano le leggi e le regolarità che ricorrono nell’ambito della matematica, in maniera da organizzare l’architettura numeri-idee, nell’ottica di quel progressivo oltrepassamento della matematica pitagorica che Platone compie. Il senso di questa sistematicità, d’altronde, pare ancora più significativo allorché è attribuito da Gaiser all’intera filosofia platonica, in cui nuovamente si rinnovano quella riduzione logica e quella deduzione che si sono viste andare dalle cose ai Principî e viceversa. Accanto all’opera di Gaiser, nello stesso ambiente tubinghese, in quel periodo, Hans Krämer, anch’egli allievo di Wolfgang Schadewaldt, presenta nel 1959 lo studio Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie28, nel quale è data una rilevante importanza alle cosiddette dottrine non scritte di Platone, con particolare riferimento alla Lettera Settima29. Interesse nuovamente ribadito attraverso l’analisi operata dallo studioso tedesco nel saggio del 1966 Über den Zusammenhang von Prinzipienlehre und Dialektik bei Platon (zur Definition des Dialektikers Politeia 534 B-C)30, in cui, nel contesto della Repubblica, è individuato il rimando tanto all’insegnamento orale platonico, quanto alla dottrina dei Principî. Come si osserva nella edizione italiana, in conclusione del lavoro, occorre notare come Krämer faccia convergere la propria analisi verso l’affermazione di una «struttura sistematica della filosofia platonica»31 e ribadisca la valenza dell’inseIvi, 304, trad. it. 224. Cf. H. Krämer, Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie. 29 Cf. Ivi, 22-28, 400-404 e 457-467. 30 Cf. Id., Über den Zusammenhang von Prinzipienlehre und Dialektik bei Platon (zur Definition des Dialektikers Politeia 534 B-C). 31 Id., Dialettica e definizione del Bene in Platone. Interpretazione e commentario storico-filosofico di 27 28 89-90 (2014) s t u d î gnamento orale «nell’ambito dell’Accademia, ossia nella dottrina dei Principî e nelle linee fondamentali di una concezione sistematica, che da essa derivano»32. Con questa ammissione, anche Krämer prospetta la forma sistematica della filosofia platonica, derivandola dalla dottrina dei Principî, rintracciabile nell’insegnamento orale, a cui le opere platoniche farebbero riferimento e di cui darebbe conto anche Aristotele. Per questo motivo, nel testo del 1966, lo studioso tedesco analizzando la Repubblica mette in mostra l’Idea del Bene e la sua natura di Principio, al fine di porre in luce le convergenza tra questa e i Principî delle dottrine non scritte, analizzando, in particolare, i libri VI e VII del dialogo platonico e i riferimenti ai corsi περί τἀγαθοῦ a cui si richiama la tradizione indiretta. La discussione e la definizione da parte di Krämer di questo significativo nodo teoretico, rappresentato dall’intendere il pensiero platonico come una filosofia sistematica, sono per extenso presentate nel 1982 in Platone e i fondamenti della metafisica33. Nella seconda parte del libro: La struttura filosofica della teoria dei principî, affrontando la questione de Il contenuto della teoria platonica dei principî e il suo significato ermeneutico e storico, il lavoro esamina per primo, direttamente, il tema de «La forma sistematica della filosofia platonica»34. Nell’analizzare l’insegnamento non scritto platonico, la dottrina dei Principî è posta, così come per Gaiser, su un livello superiore alla teoria delle idee, riprendendo in qualche modo quella intenzione già vista di riduzione logica dalle cose (e dalle idee), e di deduzione dai Principî. La necessità di un piano ulteriore, al di là di quello delle idee, è in un certo senso giustificato attraverso il medesimo ragionamento che ha condotto all’ammissione delle stesse e dei Principî rispetto alle cose, alla necessità di ricondurre la molteplicità a unità. Essendo le idee plurali, «Repubblica» VII 534 B3-D2, 63. 32 Ivi, 63-64. 33 Cf. Id., Platone e i fondamenti della metafisica. 34 Cf. Ivi, 153-178. 49-60 allora vi è una esigenza di ricondurre anch’esse ai Principî e Krämer nell’illustrare il contenuto della dottrina non scritta, individua, come noto, i Principî supremi dell’ἕν e dell’ἀόριστος δυάς35. Pare necessario, altresì, ricordare come in tal modo non è negato il μέγιστον μάθημα dell’Idea del Bene di Repubblica (505a), ma è identificato con il Principio dell’ἕν, dell’uno, a cui ogni cosa è ricondotta. Trovando nuova luce nella tradizione non scritta, circa la funzione di tale Principio, è così posto accanto a esso, quello della dualità indeterminata, dell’ἀόριστος δυάς, che assieme al primo forma una diade che non ammette alcun altro principio cui sottostare36. Da questa coppia originaria, incausata, di Principî è derivato tutto ciò per cui restano validi i principî logici, che si collocano in una relazione gerarchica tra loro e con i primi, a seconda della mescolanza tra uno e molteplice, a partire da questi Principî universali, sino alle cose sensibili. Ora, è significativo osservare come l’idea di un sistema della filosofia platonica, se, da un lato, è chiusa da questi Principî supremi, dall’altro, è strutturata secondo l’accennata gerarchia, che per Krämer, dopo di questi, presenta: le idee, gli enti matematici e le cose sensibili. Questo impianto sistemico svelato da Krämer è così colto sia dal punto di vista gnoseologico, sia da quello ontologico, sia da quello assiologico, dal momento che i due Principî dell’ἕν e dell’ἀόριστος δυάς sono letti nella loro polifunzionalità: nel rendere possibile la conoscenza, nell’essere generatori dell’essere, che è unità della molteplicità, e nel fungere da principio del valore. Sicché lo studioso tedesco attraverso la ricostruzione di un precipuo contenuto della dottrina dei Principî, che inserisce all’interno del pensiero platonico, (ri)organizza PP 35 L’attenzione attribuita a questi due Principî nella lettura di Krämer è visibile sin da Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie, 254-sgg. 36 Cf. H. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica, 151-237; Id., Über den Zusammenhang von Prinzipienlehre und Dialektik bei Platon (zur Definition des Dialektikers Politeia 534 B-C). 55 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 e (ri)costruisce un vero e proprio sistema, che fonda la sua ragion d’essere appunto su questa dottrina non scritta e che, in ultima analisi, è la vera condizione di pensabilità di una struttura sistematica dell’insegnamento platonico. 2.2 La Scuola di Milano: Giovanni Reale e Maurizio Migliori Se la Scuola di Tubinga, con Gaiser e Krämer, ha avviato e dotato di nuova forza la lettura del pensiero platonico, alla luce delle dottrine non scritte, senza dubbio a diffondere e promuovere la nuova interpretazione di Platone hanno contribuito in maniera determinante il lavoro e gli studi di Giovanni Reale e di Maurizio Migliori, che hanno, a loro volta, chiarito e consolidato il nuovo paradigma esegetico. Il primo, fondatore della Scuola di Milano, ha rappresentato una figura di mediazione e conciliazione tra l’idea di “sistema” della filosofia platonica dei tubinghesi e quella degli altri interpreti contemporanei in dialogo con essi. Come si legge nel volume Per una nuova interpretazione di Platone 37, per lo studioso italiano: PP non bisogna intendere il “sistema” in senso hegeliano o neoidealistico, ossia come una sorta di Ableitungssystem, bensì in quel senso che, fin dalle sue origini con i Presocratici, […] significa considerare tutte le cose in ottica unitaria in funzione di concetti-chiave, che si riferiscono a un concetto base. E questo senza chiusure dogmatiche e irrigidimenti sistematicistici e deduzionistici38. Cf. G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone. Ivi, 131-132. Nel mettere a fuoco la tematica del sistema platonico, Reale esplicitamente lega la sua stessa possibilità di esistenza all’ammissione di una dottrina dei Principî: «Con la rivalutazione della tradizione indiretta, oltre che un radicale ridimensionamento della questione della genesi del pensiero platonico, si impone anche un ridimensionamento altrettanto radicale, e, anzi, ancora più radicale della questione che per molti studiosi ha costituito un autentico dilemma, vale a dire la questione della “unità” o”non unità” del pensiero platonico, ossia della sua sistematicità (nel senso di coerenza unitaria) o nonsistematicità (problematicità) […]. La tradizione indiretta, 37 38 56 Questa chiarificazione, che prende posizione circa la natura del «sistema» platonico, consente di cogliere un duplice ordine di questioni. Anzitutto, il riferimento al concetto di sistema hegeliano e neoidealistico è volto proprio a inquadrare in che senso (come i tubinghesi hanno fatto), si possa parlare di un System, svincolando questo termine dalla ingente eredità che Hegel, e l’intera filosofia successiva, vi hanno attribuito. Quindi è necessario intendere in che senso possa essere pensata una sistematica filosofica greca anche laddove, ad esempio, Krämer ha individuato una deduzione delle cose dai Principî. Da questo punto di vista, lo studioso italiano pare riprendere e sviluppare le posizioni tubinghesi allorquando sottolinea che, pur essendo presente in Platone una deduzione dai due Principî supremi da cui derivano «i Numeri ideali, così come le Idee che hanno struttura numerica […] e, di conseguenza, tutte le cose»39, tuttavia Platone non si è limitato a questa deduzione, e, a guisa di riprova, ossia come argomentazione di rincalzo essenziale, ha presentato anche uno schema generale di divisione categoriale dell’intera realtà allo scopo di dimostrare come tutti gli esseri siano effettivamente riportabili a due Principî, in quanto derivano dalla loro mescolanza40. Questa seconda accezione, peculiare della recezione della tradizione indiretta operata dalla nuova interpretazione di Platone, collima con il senso di «sistema» che essa attribuisce al pensiero platonico, ma, al contempo, palesa qualche debito nei confronti della derivazione non autarchica delle dottrine non scritte. Difatti, qui Reale, rifacendosi agli studi dei tubinghesi, non casualmente, parla di una «deduzione categoriale» e ciò pare essere più che un semplice rivelandoci quali fossero per Platone i Principî primi e supremi del reale e indicandoci i nessi fondamentali che legano tutte le realtà ai Principî, colma esattamente quella lacuna che i dialoghi presentano» (ivi, 130). 39 Ivi, 252. 40 Ibid. 89-90 (2014) s t u d î richiamo ad Aristotele e alla dottrina delle categorie. Ammettere l’esistenza di una proto-dottrina categoriale in Platone consente così non solo di sostenere l’esistenza di un continuum tra i due pensatori, ma permette, soprattutto, di leggere alcuni dei passaggi in cui lo Stagirita rinvia alle dottrine orali platoniche, come se il resoconto critico da questi condotto sul pensiero platonico e l’esposizione della propria dottrina operata da Aristotele, si definissero a vicenda. Sostenendo la volontà platonica di intendere una divisione categoriale del reale, se da un lato si leggono i due principî dell’ἕν e dell’ἀόριστος δυάς alla stregua dell’idea di ἀρχή aristotelica, dall’altro si presenta una divisione categoriale che, in Platone, riguarderebbe gli esseri, che Reale chiama “idee generalissime”41, riprendendo il termine «metaidee» di Krämer42. Questa distinzione categoriale, che per Reale riguarderebbe gli esseri per sé e gli esseri che sono in rapporto ad altro, fa sì che, attraverso l’idea platonica di mescolanza, l’intera realtà sia riconducibile ai due Principî, rintracciabili nelle dottrine non scritte. Ciò, in un senso deduttivo che oltrepassa quello per cui da essi derivano: i numeri ideali, le idee con struttura numerica e le cose (secondo una logica emanatica), andando invece verso il secondo tipo di deduzione presentata (che pare rispondere a una logica analitica) proprio in quanto si riconosce una divisione categoriale del reale, che consente di ricondurre ciò che è mescolato ai due Principî. Occorre altresì notare che questa duplice deduzione, per quanto derivata dalle posizioni dei tubinghesi, sia palesata dai lavori dello studioso italiano, che presenta una idea di «sistema» platonico differente da quella colta dalla esegesi tedesca della nuova interpretazione. Difatti, nel tentativo di svincolare questo Cf. ivi, 253-254. H. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica, 205-206. Sembra qui utile rammentare come Krämer mutui il termine dal libro VII di Resp. (516A6-7), in particolare dall’espressione «μετὰ τούτο – ὔστερον δὲ – ἐκ δὲ τούτου», riferendosi, nel particolare, alle coppie identità-diversità, eguaglianza-diseguaglianza e pari-dispari. 41 42 49-60 concetto da una rigidità stringente, volendo intenderlo nella direzione di un «considerare tutte le cose in ottica unitaria in funzione di concetti-chiave, che si riferiscono a un concetto base», ribadendone il senso di «unitarietà» e «coerenza nel suo insieme»43, Reale propone di pensare il sistema platonico rifacendosi a quell’idea che Bergson esprime in La pensée et le mouvant, per la quale «un filosofo degno di questo nome non ha mai detto che una cosa sola»44. Questa idea di «sistema» che Reale, per la Scuola di Milano, presenta, muove indubbiamente dai medesimi presupposti dei tubinghesi, ovvero dalla considerazione della tradizione indiretta, per colmare il vuoto del non scritto platonico. Affermando così l’esistenza dei due principî dell’ἕν e dell’ἀόριστος δυάς, di una divisione categoriale, dei numeri e della struttura numerica delle idee, e mostrando, in aggiunta, una maggiore consapevolezza di questa duplice accezione di deduzione che ha condotto la Scuola italiana a problematizzare la stessa possibilità di parlare di un sistema platonico. All’interno della Scuola di Milano, su questa stessa direzione si colloca Maurizio Migliori, che nell’accettare la possibilità di esistenza di un sistema platonico, la lega anch’egli alla affermazione del ruolo chiarificatore e conclusivo che i Principî tramandati dalle dottrine non scritte assumerebbero nel pensiero di Platone. Esprimendo l’utilità di accettare e recepire la tradizione indiretta, Migliori ribadisce la necessità di leggere i dialoghi platonici alla luce di quest’ultima, al fine di chiarire al meglio e completare i passi e i momenti più oscuri e “misteriosi” dei dialoghi platonici, quali, ad esempio, il Parmenide. Difendendo la posizione integrativa, tra dialoghi e tradizione indiretta, propria della nuova interpretazione, lo studioso italiano a sua volta critica «la natura dogmatica (in senso tecnico) della tradizionale affermazione della autosufficienza degli scritti ai fini della ricostruzione del sistema di Plato43 44 PP G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, 132. H. Bergson, Le pensée et le mouvant, Paris 1934, 122. 57 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 PP ne»45. Muovendo da questa impostazione, è così sostenuta, la tesi per cui dalla tradizione indiretta possa essere ricavato quel «nucleo di dottrine che costituivano la Protologia non scritta di Platone»46, che, «malgrado la povertà di testi a noi giunti», «è decisiva sul piano ermeneutico e dotata di una sorta di primato contenutistico»47, laddove, invece, quella scritta per quanto «ricca di elementi filosoficamente pregnanti, dotata di un maggiore grado di certezza e autenticità» è «insufficiente da sola a darci l’intero e vero sistema platonico»48. Nello studio di Migliori del 1990 nel quale compaiono tali osservazioni, è senza dubbio da rimarcare la valenza ermeneutica che viene attribuita al paradigma della nuova interpretazione, in maniera particolare ove è asserita la produttività di questo tipo di analisi per lo studio del pensiero platonico in generale, come avviene, precipuamente nel testo, per il Parmenide. Nell’analisi di quest’opera, ad esempio, il proponimento è quello di risolvere e portare a svolgimento le tesi dialettiche presentate nei «diversi intrecci possibili tra Essere e Non Essere»49, al fine di mostrare la specifica dialettica sottesa nel testo, mantenendo, in proposito, la tensione e l’attenzione verso l’Uno, con l’intento di inquadrare quello sviluppo dialettico dei Principî, non svolto nel dialogo da Platone, tra «Uno e Non Uno, tra Unità e Diade»50. Non essendo esposto questo aspetto nello scritto, ove però è presentata la parte relativa alle idee generalissime (o metaidee), il dialogo resterebbe avvolto da quel mistero che può essere sciolto solamente comprendendo che vi è una teoria dei Principî, orale, che ultima e «È infatti significativo – aggiunge – che molti abbiano interpretato la proposta di recuperare la tradizione indiretta come una totale svalutazione dei dialoghi, cioè come l’affermazione di una assolutezza del non scritto» (M. Migliori, Dialettica e verità. Commentario filosofico al “Parmenide” di Platone, 70 n. 8). 46 Ivi, 75. 47 Ivi, 76. 48 Ivi, 77. 49 Ivi, 512. 50 Ibid. 45 58 chiude un sistema qui solamente tratteggiato. Su questa linea Migliori pare attestarsi anche in altri studi, nei quali, ancora una volta, in consonanza con la nuova interpretazione, alla luce della dottrina dei Principi, individua quella Protologia non scritta che, come emergerebbe anche dall’esame del Filebo51, sarebbe il punto più alto, nonché la condizione di possibilità, del sistema platonico. In tal senso, collocandosi su una direttrice dell’idea di sistema prossima a quella di Reale, Migliori consolida le posizioni della Scuola italiana, ribadendo il senso di unitarietà da attribuire a questa idea e ponendo l’accento sulla dimensione verticale nella quale essa si svilupperebbe. Occorre senza dubbio evidenziare come nei recentissimi sviluppi di questa tradizione di studi, considerata dallo stesso Reale un paradigma ermeneutico che «non è costituito da dogmi, ma presenta una impostazione metodologica di ricerca scientifica»52, la lettura dell’idea di un sistema platonico ha trovato ulteriore sviluppo nella monumentale opera di Migliori Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone del 2013. Lo studioso italiano, in una lettura sistematica ed estesa dell’intero corpus platonicum, pare esplicitare il punto fondamentale della posizione della nuova interpretazione allorché, nello indicare precisamente la propria idea di un «sistema» platonico «ad un tempo chiuso quanto aperto»53, scrive: Nello specifico Il Filebo, giungendo presso i vestibili dei Principi primi «porta alla Protologia platonica, soprattutto per quanto concerne i vertici del sistema: il Bene, la figura delle divinità, le Idee-numeri» (M. Migliori, L’uomo fra piacere, intelligenza e bene. commentario storico-filosofico al “Filebo” di Platone, Milano 1993, 486). 52 G. Reale, Autotestimonianze e rimandi dei dialoghi di Platone alle “Dottrine non scritte”, 253. 53 «L’andamento paradigmatico della ricerca platonica implica l’individuazione dei Principî (la via in su) come premesse adeguate alla soluzione dei tanti problemi che l’analisi filosofica ha scoperto; ciò implica però anche una costante verifica (la via in giù), con la possibile/probabile scoperta di nuove difficoltà precedentemente non analizzate» (M. Migliori, Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, v. I, 442). 51 89-90 (2014) s t u d î la ricerca platonica ha un andamento paradigmatico, o se si preferisce ermeneutico, nel senso che consente di risolvere le aporie che l’analisi ha evidenziato. Per questo propone Idee e Principî come postulati54. In tale direzione, assume ancora più significato l’intenzione di individuare sin dai dialoghi una traccia della dottrina dei Principî platonica, “il gioco ‘maggiore’”55, che va oltre la teoria dell’Uno rigettata dallo stesso Platone nel Parmenide, in vece della quale Migliori presenta e ricostruisce una idea di una dualità, in cui la realtà è intesa nei termini di una uni-molteplicità56. Al di là dello stringente vincolo teoretico che ancora una volta sembra legare l’idea di sistema platonico alla teoria dei Principî, e la relativa sua problematicità storico-filosofica, l’approccio sistematico-ermeneutico di Migliori sembra concretizzare gli intenti ultimi della nuova interpretazione, proponendo un tipo di lettura che considera entrambe le prospettive in direzione verticale, in basso, quella dialogica, intesa nel senso di un «grande protrettico»57 e, in alto, quella della «teoria dei Principî»58, che convergono, nelle loro differenze, in un’idea unica di sistema. 3. Il «sistema» dinamico aperto del pensiero platonico In merito a questo aspetto non bisogna però disconoscere quanto la stessa Scuola di Tubinga abbia inteso il termine “sistema” nella direzione di una peculiare tipologia, difatti, se Gaiser nell’indicare «come va inteso il concetto di “sistema platonico”» afferma che: M. Migliori, Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, v. I, 17. 55 Ivi, 126-132. 56 Ivi, 497-502. 57 Ivi, 142-190. 58 Ivi, vol. II, 1285. 54 49-60 questa qualifica non significa che si trattasse di un complesso di proposizioni rigidamente conchiuso, scolastico, stabilito una volta per tutte. Fino a oggi vi è nelle singole scienze, e ciò vale anche per la ontologia nel suo insieme, il tipo del sistema vivente-dinamico, che in tanto è “aperto”, in quanto cerca di rappresentare la realtà in modo sempre e solamente ipotetico ed aperto59, in un senso simile, lo stesso Krämer, indagando «la pretesa di validità della sistematica platonica», asserisce: «si può […] parlare di una istanza non dogmatica ma euristica, rimasta in alcuni particolari a livello di abbozzo, e quindi di un sistema aperto»60. Convergendo sull’idea di questo «sistema» come «aperto», l’intento dei due studiosi è quello di allontanare la possibilità di intendere il pensiero platonico all’interno di un sistema rigido e definito, come quello hegeliano o neoplatonico, e di chiarirne la dimensione sistematica aperta, che resta, pur sempre, dipendente e derivante dalla interpretazione fornita agli ἄγραφα δόγματα. In proposito è altrettanto degno di nota evidenziare la posizione di Reale, non solo nei suoi studi, ma anche nell’incontro svoltosi a Tubinga il 3 settembre 1996 alla presenza di Gadamer, della Scuola di Tubinga, con Krämer e Szlezák, della Scuola di Milano, con lo stesso Reale, Migliori e Girgenti e di altri studiosi di Platone, quali Figal, Oehler, Arana, Brague e Halfwassen61. In questa occasione, il pensatore italiano, ribadendo nuovamente la propria tesi e riproponendo il motto bergsoniano, significativamente, argomenta: PP io ricorderei in primo luogo che in Italia il termine «sistema», per molti, non ha lo stesso significato che esso ha qui in Germania. Per noi il concetto K. Gaiser, La metafisica della storia in Platone, 192. H. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica, 177-178. 61 Cf. ed. G. Girgenti, Platone tra oralità e scrittura. Un dialogo tra Hans-Georg Gadamer e la scuola di Tubinga e Milano e altri studiosi (3 settembre 1996 – Tubinga), Milano 2001. 59 60 59 P . G . D e l l a P e l l e — L ’ i d e a d i “s i s t e m a p l ato n i c o” di sistema è moltro più «dinamico»: voi tedeschi lo intendete in senso hegeliano, esplicitamente o comunque implicitamente, ossia come una forma di conoscenza che ha la pretesa di essere conoscenza assoluta dell’assoluto. Ebbene io escluderei che in Platone si possa parlare di un sistema in senso hegeliano. Ma, se vogliamo, non se ne può parlare nemmeno in senso procliano62. ProspettivA ·persona· 89-90 (2014), 49-60 E, ritornando all’idea bergsoniana, intendendo il sistema nel senso di una «unità di fondo», conclude: «Cosa è questa “sola cosa” che Platone ha detto in vario modo? È il Bene»63. Secondo la lectio di Reale, dunque, il “sistema” platonico dovrebbe essere inteso non solo nei termini di apertura, ma anche in quelli di dinamicità, in quanto esso oltre a non aver la pretesa di giungere a una conoscenza assoluta dell’assoluto, è il Bene stesso, che regge l’intero insegnamento platonico, idea verso la quale si tende, a pretendere una conoscenza di tipo assoluto. Difatti, l’obiettivo di una definizione del Bene in Platone, per Reale, come emergerebbe da Resp. VII, 534 B3-D1, per quanto possibile, non è immediata e certa, ma è raggiungibile dal dialettico «come in battaglia, passando attraverso tutte le prove». Per questo motivo, lo studioso italiano sostiene che «Platone considera la conoscenza del Bene assoluto come raggiungibile per l’uomo»64. Reale interpretando i dialoghi, ovvero gli scritti platonici, come queste “prove”, assegna alle dottrine non scritte il compito di elaborare tale definizione, che in Repubblica è visibile allorché s’intende l’Idea del Bene come Uno. Così, il sistema aperto e dinamico che Reale legge pare non pretendere una sistematicità assoluta, ove l’assoluto è conosciuto assolutamente, ma una sistematicità dinamica, in cui il Bene, μέγιστον μάθημα, è definito dal dialettico che lo ri-conosce come assoluto nella sua definizione di unitarietà, la stessa che consente di reggere un PP «sistema» che, in fondo, non dice altro che lo stesso Bene-Uno. Sicché il Bene non è l’assoluto hegeliano, in quanto, la sua universalità non è derivata da un impianto deduttivo che ne consente la conoscenza assoluta, bensì, la definizione, che solo il dialettico può fornire, è ottenuta attraverso una serie di prove che non pretendono una conoscibilità assoluta, ma una conoscenza raggiungibile e possibile. In tal senso, l’idea di «sistema» platonico che la nuova interpretazione presenta, più che essere intesa nell’ottica di una interconnessione tra le opere platoniche in un quadro di insieme, è volta a mostrare l’esistenza di un unico discorso nel pensiero platonico che si sviluppa sul duplice livello dei dialoghi e degli ἄγραφα δόγματα. Nello specifico, sarebbe proprio la teoria dei Principî, riscontrabile in questi ultimi, a chiudere dall’alto l’architettura del «sistema», completando l’insegnamento platonico nella sua interezza. Sicché, la gerarchia verticale che va dalle cose ai Principî e viceversa, mostrando quel duplice senso di deduzione che Reale ha riscontrato, svela oltre che l’univocità del pensiero platonico, nella direzione del Bene-Uno, anche un’idea di “sistema” non chiusa negli schematismi tipici di quello hegeliano e procliano, ma aperta dalla non autarchia degli scritti platonici e dalla loro dipendenza da una teoria superiore, che pare difendere, e al contempo superare, la peculiarità della forma testuale dialogica. Il “non scritto”, completando tale sistematicità, consente così di avvicinarsi all’idea del Bene e alla sua definizione, attraverso un percorso di conoscenza inteso nella sua dinamicità, dettata sia dalla necessità di raggiungere questa definizione da sé, attraverso la dottrina platonica, sia dalla stessa universalità di un Bene conoscibile non assolutamente, ma possibilmente, solo attraverso la comprensione di quella teoria dei Principî che, per la nuova interpretazione, è il fondamento stesso del «sistema» platonico. Ivi, 53. Ibid. 64 Ed. G. Girgenti, Platone tra oralità e scrittura, 54. 62 63 60 89-90 (2014)