AUTOCRITICA PRESUPPOSTA E POSIZIONI REALI IN E. MONTALE (1) Parlare di intuizione del mondo e della vita in un poeta in genere e in un poeta come Montale, non significa mai trovare in senso assoluto la chiave dei suoi versi: le idee filosofiche o meglio gli influssi di pensiero esercitati sul poeta rimangono sempre occasione, pur aiutandoci, indubbiamente, ad avviarci verso la conoscenza sempre più sicura dell'opera complessiva. La sua poesia, sempre libera ed irripetibile, mai si lascia dedurre ma sempre puntualmente ed individualmente intuire o sentire. Entro tali limiti è lecito chiedersi quale sia l'atteggiamento del Montale nei riguardi di alcuni orientamenti di pensiero. Si è parlato di contingentismo, o meglio di influssi di tale corrente, si è fatto, e anche dallo stesso poeta, il nome di Boutroux e del Bergson. (Si veda a tale proposito: E. Montale: intenzione, intervista immaginaria in: Giacinto Spagnoletti - Poesia italiana contemporanea - Guanda). Egli ci dice infatti: « ma forse negli anni in cui composi gli "Ossi di Seppia » agì in me la filosofia dei contingentisti francesi, del Boutroux soprattutto ». E' certo che il poeta non approfondì mai sistematicamente gli studi filosofici e ciò gli sarà di vantaggio e di svantaggio nel tempo stesso, come si vedrà. « Non penetrò, — sempre a suo dire — la teoria dell'atto puro gentiliana », rimasta per lui imbrogliatissima, il Croce gli apparve più chiaro. Dell'esistenzialismo lesse « pochi testi ». E del resto, come era naturale, le sue concezioni metafisiche di base risultarono eccessivamente sincretistiche, una specie di convivenza o adiacenza degli opposti in affermazioni come queste: « il miracolo è per me evidente come la necessità »; « immanenza e trascendenza non sono separabili ». Ma non occorre insistere su ciò: lo conferma infatti Montale quando confessa di sentire l'esigenza di ricercare, di esprimere una verità puntuale — negazione evidente, aggiungiamo noi, di una verità assoluta filosofica — una verità del poeta soggetto che non rinneghi quella dell'uomo soggetto empirico. (1) Da « La poesia di Eugenio Montale », di prossima pubblicazione. 275 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce La poesia deve dunque essere espressione soggettiva, libera da preconcetti sia pure di origine filosofica che ne vincolino il cammino, pure indulgendo ad una esigenza universale che canti ciò che unisce l'uomo agli altri uomini. Certo è che gli Ossi di Seppia non hanno substrato filosofico organico ed è sincero il poeta quando confessa: « scrivendo il mio primo libro non mi affidai a idee di tal genere » (ossia inerenti alle correnti di pensiero di cui sopra e specialmente contingentistiche), « ubbidii ad un bisogno di espressione musicale ». A questo punto Montale riconosce chiaramente l'influsso della poetica simbolista dei maestri non tanto per il « bisogno di espressione musicale », sia pure, come bene è detto, di quella musicalità tutta montaliana impoverita fino all'estremo, ma soprattutto per il desiderio di una « parola aderente », più aderente di quella di altri poeti. Siamo nel clima mallarmeiano, anzi nella teoria di Mallarmè: il poeta è alla ricerca del verbo definitivo essenziale, vera essenza metafisica del mondo « un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo », « l'espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo, un'esplosione, la fine dell'inganno del mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite irraggiungibile ». Per analogia ricordiamo, soprattutto, « Les fenetres » del Mallarmè, il vano tentativo di infrangere il vetro che lo separava dalla verità assoluta, definitiva. Spezzare il vetro significava per lui distruggere il raffinato mezzo espressivo, la poesia stessa, cadere nel nulla. Ciò sarebbe stato utopistico sogno di poeta, sogno di perfezione inattuabile; il Mallarmè dovè dunque ripiegare, adeguarsi ai limiti della sua umana limitata possibilità. E bene il Montale lo sa quando dice: « ma questo era un limite irraggiungibile. E la mia volontà di aderenza restava musicale istintiva ». Ricordiamo il dramma del Rimbaud, la sua frenetica aspirazione ad installarsi nell'Assoluto, la sua esigenza di ricreare il mondo attraverso il Verbo originario (2). Tentativo titanico quanto inattuabile. Anche in Montale c'è qualcosa del genere; non manca, ad esempio, il tentativo di codificare nature diverse anche se l'atmosfera è meno drammatica di quella dei maestri, meno tormentata e ciò, del resto, è perfettamente consono al carattere, predisposto alla resa, alla severa accettazione, senza lotta e ribellione. Certo che l'influenza teorica del simbolismo, a suo dire, non si ferma qui se giunge persino a ripetere (2) Alludo specialmente al metodo poetico dello stesso Rimbard definito: alchimia della parola; all'espressione di incoerenti, spontanee, illuminazioni successive che cercano di esprimere l'indifferenziazione delle cose nel Verbo originario. 276 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce il famoso precetto della estetica del Verlaine: « All'eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo ». Parola essenziale, dunque, musicalità, antieloquenza. L'aderenza alle teorie simboliste non potrebbe sembrare più perfetta (3). Ciò naturalmente dal punto di vista di una presunta posizione autocritica rimasta fortunatamente in gran parte allo stadio prepoetico, ché, se passiamo alla realtà poetica effettiva, nella sua attualità, dobbiamo constatare che questo tanto decantato influsso va molto ridimensionato. Si tratta, in sostanza, di un influsso « sui generis » in quanto ciò che dei francesi è passato nella poesia montaliana, per essere stato filtrato attraverso il suo mondo interiore e dall'esigenza di un nuovo linguaggio e di esperienze di rottura inerenti a tutt'altra stagione poetica, è difficilmente riconoscibile. Quello del Montale è un simbolismo particolare, difficilmente riducibile a schemi precedenti e individuabile solamente alla luce di un personale atteggiamento di fronte al mondo che sorge dal contatto con la provvisorietà e il cangiamento di quella che impropriamente chiamiamo realtà, depauperata in lui fino all'estremo e vivente soltanto nel simbolo e per esso. Se rileggiamo l'intervista immaginaria, anche per le contraddittorietà a proposito dei presunti influssi contingentistici, siamo naturalmente sospinti a riesaminare alcune delle più celebrate sue liriche a substrato speculativo, o che, almeno, senza ambire a tanto, pongano in un certo senso il lettore a considerarne il particolare punto di vista rispetto al problema esistenziale (4). Apriamo dunque gli Ossi di Seppia cercando di cogliere qualche motivo che ci venga in aiuto. Fermiamoci un poco a considerare « Crisalide ». Pur essendo tra i componimenti più riusciti è, in parte, illanguidito da quello che potremo chiamare autocommento che più indulge ad un intellettualismo metafisico che non all'espressione della genuinità d'ispirazione (5). (3) Del resto il simbolo è una delle caratteristiche essenziali della poesia del Montale e tanto lo differenzia dall'antisimbolismo dichiarato ed effettivo, dal realismo di un altro ermetico: Quasimodo. (4) Si sono sempre fatte riserve sull'autocritica dei poeti, falsata in gran parte da ciò che vorrebbero essere o apparire rispetto a quello che in realtà sono. Generalmente l'essenza intima della poesia sfugge al poeta ed è tanto più naturale quanto più è frutto, come nel nostro caso, dell'inconscio e quindi al di fuori della riflessione critica che generalmente si basa su presupposti di indole storico-pratica, che poco o nulla hanno a che fare con la fonte inconscia. (5) L'intuizione del problema esistenziale in poesia deve, a mio avviso, essere presupposta e intravvedersi per immagini, stati d'animo, fulgurazioni e non mai ridursi ad una troppo evidente formulazione, come avviene qui, per fortuna solo in parte, mutuata da una terminologia quasi manualistica. 277 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Quasi tutto il componimento scorre ín un susseguirsi di evocazioni che destano profonda eco di sofferta condizione umana e che ricordano, in qualche punto, la cifra pascoliana, come ad es.: siete voi la mia preda, che m'offrite un'ora breve di tremore umano. riuscendo però subito a porsi nel clima originale creato dal poeta, finché l'intento si scopre troppo: Ah crisalide com'è amara questa tortura senza nome che ci volve e ci porta lontani e poi non restano neppure le nostre orme sulla polvere; e noi andremo innanzi senza smuovere un solo sasso della gran muraglia; e ancora: e forse tutto è fisso; tutto è scritto (6) e non vedremo sorgere per via la libertà, il miracolo e, come se tutto ciò non bastasse, ecco l'insistenza esplicativa: il fatto che non era necessario. E' questo, come si vede, un commento pleonastico di un atteggiamento che bene può essere intuito alla lettura della parte anteriore del canto: la vita è concepita come breve e consapevole passaggio attraverso un mondo che sembra rinnovarsi nel tempo, ma è illusione, si vorrebbe obliarsi nella contemplazione della miriade di eventi di una realtà invano desiderata e che sfugge e sospinge su un cammino necessariamente orientato verso un fatalistico annullamento. Dopo di che nessuna, benché minima, traccia della nostra sofferta individualità. Questa spiegazione fin troppo certa e indubitabile, se disturba l'armonia del canto, ci interessa per le risultanze deterministiche a cui porta: forse l'A. ci pare non convinto e non fa che accrescere l'amarezza. (6) Come Montale sia preso dal problema lo si può vedere anche altrove. Ne « L'uomo nel microsolco » (in « Auto da fè »), ad es., dice testualmente: « Del resto l'ipotesi che il passato contenga già il suo futuro sarebbe dimostrabile solo se si accedesse all'idea che la vita è un nastro o un disco già registrato una volta per tutte »... e in « Iride » (« La bufera e altro ») « ...Se la forza / che guida il disco di già inciso fosse / un'altra, certo il tuo destino al mio / congiunto mostrerebbe un solco solo... ». 278 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Il contingentismo, se di contingentismo si può parlare, (meglio sarebbe dire contingenza) è assai lontano dall'orientamento esistenziale del poeta, in cui l'imprevedibile miracolo, l'evento non necessario è relegato sempre più tra le ipotesi impossibili. In « Arsenio » l'intuizione del Montale sul problema della vita si fonde intimamente nel personaggio e il componimento è considerato tra i più rappresentativi e originali degli « Ossi di Seppia ». Tutto è in chiave: in una giornata di bufera sul lungomare vediamo Arsenio in cammino, attendiamo con ansia l'imprevedibile, il poeta ce ne dà tutta l'atmosfera. Potrà il libero evento modificare la necessaria evoluzione del suo cammino? Sappiamo che no, eppure Arsenio è incoraggiato in questa possibilità: fa che il passo su la ghiaia ti scricchioli e inciampi il viluppo dell'alghe: quell'istante è forse molto atteso, che ti scampi dal finire il tuo viaggio Ma le ore « uguali strette in trama » non sono sconvolte dalle castagnette, per usare il linguaggio del poeta, il cammino attuale di Arsenio non è che: anello d'una catena, immoto andare, oh troppo noto delirio Arsenio, d'immobilità Ogni possibile entusiasmo è smorzato sul nascere: c'è rassegnazione, senza ombra di dramma, che deriva da una constatazione lungamente meditata e ormai accettata nella sua ineluttabilità. Anche qui non c'è posto per la libertà e, conseguentemente, è negata ogni imprevedibile evoluzione. Siamo nel più serrato determinismo immobilistico. Un atteggiamento simile nei riguardi della condizione esistenziale è evidente nel Pascoli, che già affissa lo sguardo sull'individuo nella sua immobilità, abbandonato a se medesimo e lungi dal poter lasciare una traccia nel futuro o dall'aver tratto qualcosa dal passato... (immobilismo antistorico; vedi I1 Naufrago). Anche qui Arsenio si muove solo nell'illusione, assume la caratteristica delle cose infisse intorno a lui che non è ormai che « giunco » con le radici « non mai svelte » e pur « trema di vita » (ed ecco evidente il richiamo al « tremore umano » di Crisalide). La situazione, infatti, è la medesima, con la differenza che qui si giunge alle ultime deduzioni: l'individuo, giunco, cosciente della sua sorte e nell'assoluta impossibi279 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce lità di mutarla, anello di una catena meccanica che scivola su un ingranaggio che esclude il dialogo, il conforto da parte di altri esseri anch'essi prigionieri della loro incomunicabilità. Se un gesto, una parola cadono accanto ad Arsenio è proprio nel momento in cui dissolvono e si perdono nel nulla: nell'ora che si scioglie, il cenno d'una vita strozzata per te sorta, e il vento la porta con la cenere degli astri. *** Le intuizioni di cui si è detto trovano ulteriore riconferma in un altro componimento poetico di ampio respiro « Tempi di Bellosguardo » che fa parte delle Occasioni, oltre l'area, quindi, degli Ossi di Seppia. Voglio riferirmi al tema analogico, della seconda parte sviluppata dal poeta con rara intensità di immagini che denunciano una raggiunta maturità espressiva. Non c'è più nulla che indulga alla didascalia, all'autocommento, che intralci, anche in parte, l'unità ispirativa. Lo stesso linguaggio è mutato, è serrato, non dà tregua alcuna. L'analogia, su cui si basa il canto, è tra le « derelitte sul poggiofronde della magnolia » e la nostra vita: e più ancora derelitte le fronde dei vivi che si smarriscono nel prisma del minuto le membra di febbre votate al moto che si ripete in circolo breve Sono ormai motivi noti svolti nel contrappunto dialettico di morte e vita: giostra meccanica di eventi che si attuano e si esauriscono in attimo discreto di tempo, che ci rapisce in un delirio sempre identico, senza speranza di libero evento, di finalistico approdo: atti minuti specchiati sempre gli stessi in un ritmo eterno e: vita che passa e vita che stà Che non può non concludersi in tragico circolo d'annullamento: quassù non c'è scampo: si muore sapendo o si sceglie la vita che muta ed ignora, altra morte. 280 Provincia di Lecce - Mcdiateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce I componimenti su cui ci si è brevemente soffermati, pur essendo limitati, giustificano una conclusione, anche perché concordano con altri che, sia pure meno distesamente, trattano dell'argomento. Crediamo dunque di essere nel vero se riteniamo pienamente giustificata la contraddittorietà dell'intervista immaginaria e pure la limitazione dubitativa del « forse ». Dobbiamo escludere influssi del Boutroux che non siano vaghi e superficiali. Infatti per il filosofo francese i principi superiori delle cose, della realtà sono ancora leggi dell'ordine morale ed estetico che ripetono, con più o meno immediatezza, la perfezione divina; tali leggi sono anteriori ai fenomeni e suppongono agenti dotati di spontaneità. Di tale spontaneità non è traccia nel Montale, anzi per lui tutto è in precedenza scritto, determinato (7). Come del resto non v'è traccia alcuna della forma mentis dell'essere che, sempre secondo il Boutroux, tende a persistere in queste leggi riconoscendovi l'impronta dell'ideale né tantomeno del trionfo finale del Bene e del Bello che farà scomparire queste leggi sostituendole con lo sforzo verso la perfezione con la libera gerarchia delle anime. Ci troviamo in un'altra dimensione spirituale. Tutt'al più, siccome il contingentismo inteso nella sua definizione di movimento che nega la necessità delle leggi di natura per sostituirvi la libera creazione spontanea, la contingenza, si connette con la filosofia della libertà, è a questa che possiamo riallacciare il Montale, sempre secondo un concetto negativo perché, pur essendo legato sostanzialmente ad una visione deterministica del reale, la contingenza, intesa limitatamente alla possibilità imprevedibile dell'evento, riappare talvolta nella sua poesia al puro stadio di aspirazione, di desiderio, purtroppo, aggiungiamo noi, irrealizzabile. EDOARDO LAllARA (7) Si ricordi a questo proposito quanto il poeta scrive alla fine dell'intervista immaginaria: un artista è un uomo necessitato, non ha la libertà di scelta, in questo campo, più che in altri, esiste un effettivo determinismo. 281 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce