A14 349 Paolo Wulzer Il Mediterraneo nei rapporti italo-britannici (1945-1958) Copyright © MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A-B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 978–88–548–1899–6 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo 2010 Indice 7 Introduzione 15 Capitolo I Italia, Gran Bretagna e Mediterraneo (1945-1949) 1.1. Le relazioni italo-britanniche dal Trattato di pace al Patto Atlantico: “ricondurre gli Italiani alla normalità”, p. 15 – 1.2. “Una regione vitale per il nostro Impero”: la politica di sicurezza britannica in Medio Oriente e il progetto di Patto Mediterraneo, p. 31 – 1.3. La “svolta anticoloniale” dell’Italia: “la caduta del diaframma fra noi e i paesi del Mediterraneo”, p. 47 67 Capitolo II Il “nuovo corso” mediterraneo dell’Italia e le reazioni britanniche (1950-1954) 2.1. Il “rapido ed evidente recupero” dell’Italia nel Mediterraneo e la posizione britannica: “non ostacolare e non incoraggiare le ambizioni italiane”, p. 67 – 2.2. La questione libica e le relazioni italo-britanniche: lo “scontro tra due politiche di amicizia”, p. 87 – 2.3. I problemi della sicurezza nel Mediterraneo orientale e le divergenze italo-britanniche, p. 106 – 2.4. La questione egiziana e le sue ripercussioni sui rapporti italo-britannici nel Mediterraneo, p. 130 – 2.5. La politica di “basso profilo” dell’Italia nel Mediterraneo e le valutazioni britanniche, p. 159 185 Capitolo III I rapporti italo-britannici nel Mediterraneo tra “opportunità di collaborazione e rischi di competizione” (1955-1956) 3.1. I nuovi equilibri regionali e il rilancio dell’azione mediterranea dell’Italia: le divergenze tra Roma e Londra, p. 185 – 3.2. L’accordo ceco-egiziano sulle armi e le sue conseguenze sulle relazioni italo-britanniche nel Mediterraneo, p. 212 – 3.3. L’opposizione britannica all’ingresso dell’Italia nella NEACC (Near East Arms Coordinating Commitee), p. 225 – 3.4. Verso Suez: il ruolo italiano nel Mediterraneo e le reazioni britanniche. “Fare tutto il possibile per tenerli legati a noi”, p. 234 – 3.5. Le relazioni italo-britanniche durante la crisi di Suez, p. 253 5 6 Il Mediterrano nei rapporti italo-britannici (1945-1958) 296 Capitolo IV Il “neo-atlantismo” e le relazioni italo-britanniche nel Mediterraneo “dalla distensione alla tensione” (1957-1958) 4.1. Dopo Suez: l’egemonia americana in Medio Oriente e la “distensione” dei rapporti italo-britannici nel Mediterraneo, p. 297 – 4.2. L’accordo AGIP – NIOC: la Gran Bretagna e il “problema Mattei”, p. 323 – 4.3. Il progetto di “Patto Mediterraneo Occidentale”: posizioni italiane e britanniche a confronto, p. 338 – 4.4. Il “neoatlantismo” italiano nel Mediterraneo e la posizione britannica, p. 349 – 4.5. La RAU, la crisi libanese e la revisione della politica mediorientale americana: le iniziative del governo Fanfani e le tensioni italo-britanniche nel Mediterraneo, p. 373 427 Conclusioni 435 Nota storiografica 459 Bibliografia Introduzione Questa ricerca si propone di ricostruire ed analizzare l’evoluzione dei rapporti politici e diplomatici tra Italia e Gran Bretagna nella regione mediterranea e mediorientale, nel periodo compreso tra i primi anni del secondo dopoguerra e la fine degli anni Cinquanta. L’arco temporale considerato vide l’Italia muoversi nel complesso scenario regionale sulla base di una nuova strategia che, impostata dopo la forzata rinuncia alle colonie, mirava a valorizzare le sue “mani nette” rispetto alle questioni coloniali come leva per rilanciare la tradizionale direttrice mediterranea della propria politica estera. Nonostante i limiti, le difficoltà e le contraddizioni del nuovo corso, Roma riuscì a mantenere, negli anni in cui poneva le basi della propria collocazione internazionale, una propria significativa presenza mediterranea. In questi sforzi di ricostruzione di un proprio ruolo regionale, tuttavia, la diplomazia italiana dovette sempre muoversi, con estrema cautela, tra gli obblighi euro-atlantici e il rapporto privilegiato con quel mondo arabo che costituiva il veicolo principale di penetrazione politica, economica e culturale nell’area. Nell’ambito degli equilibri atlantici, il governo italiano fu sempre particolarmente attento a legare la propria “politica araba” agli interessi di tutta la comunità occidentale, evidenziando come essa rappresentasse un fattore di equilibrio in un delicato scacchiere che, soprattutto dopo i primi cenni di distensione in Europa, cominciava a vedere profilarsi anche l’ombra sovietica. Nel quadro dei rapporti europei, invece, la situazione si complicava perché l’Italia doveva confrontarsi con le posizioni della Gran Bretagna e della Francia, le due vecchie regine dell’imperialismo europeo, ormai declinanti, per 7 ore UR 8 Il Mediterrano nei rapporti italo-britannici (1945-1958) le quali le manovre italiane potevano costituire, a seconda dei casi, un semplice fastidio o una minaccia diretta ai propri interessi. La crisi di Suez tolse il velo al “doppio binario” su cui si era fino allora mossa la politica italiana nel Mediterraneo ma le consentì, contemporaneamente, grazie alla posizione assunta dagli Stati Uniti, di non sciogliere completamente la propria ambiguità di fondo. I nuovi equilibri regionali seguiti alla crisi del Canale, che coincisero con le suggestioni “neoatlantiche” della politica estera italiana, sembrarono aprire nuovi spazi ed opportunità per l’azione italiana che però, alla prova dei fatti, si rivelarono più angusti di quanto si era all’inizio ipotizzato. Alla fine del decennio, la caduta del governo Fanfani, interprete di un dinamismo mediterraneo che sperava di fare dell’Italia il “brillante secondo” degli Stati Uniti nella regione, e il ritorno in primo piano delle tensioni Est-Ovest intorno alla questione di Berlino, riportarono il Mediterraneo in una posizione defilata nella scala di priorità della politica estera italiana. Negli stessi anni in cui l’Italia tentava di riproporsi come attore mediterraneo su basi rinnovate rispetto al passato, la Gran Bretagna si trovava a fronteggiare la lenta ma progressiva demolizione della propria tradizionale supremazia nel settore mediterraneo e mediorientale. La regione rappresentava il cuore degli interessi strategici britannici nel secondo dopoguerra, per la sua posizione cruciale nel sistema di comunicazioni imperiali, per le sue risorse petrolifere, per il suo legame “ideale” con il ruolo britannico di potenza mondiale. La difesa del proprio impero informale in Medio Oriente, il mantenimento del controllo militare ed economico del Canale di Suez e il consolidamento della propria egemonia nell’area, rappresentavano pertanto pilastri fondamentali della politica di sicurezza britannica nel secondo dopoguerra. Ma si trattava di un disegno destinato a scontrarsi con i nuovi equilibri internazionali e regionali che avrebbero gradualmente reso “anacronistica” la supremazia britannica nello scacchiere. Il confronto Est-Ovest e la sua estensione al settore mediterraneo, le spinte della decolonizzazione, la nascita di un nazionalismo arabo non più disposto a compromessi con le potenze europee, l’esplodere della questione arabo-israeliana, costituirono i fattori che misero gradualmente in crisi il predominio britannico in Medio Oriente. La crisi Suez sancì di fatto la fine dell’egemonia britannica nel Capitolo II Il “nuovo corso” mediterraneo dell’Italia e le reazioni britanniche (1950-1954) 1. Il “rapido ed evidente recupero” dell’Italia nel Mediterraneo e la posizione britannica: “non ostacolare e non incoraggiare le ambizioni italiane” Fino alla risoluzione delle Nazioni Unite del novembre ’49, la questione coloniale aveva completamente assorbito, fino a coincidervi quasi del tutto, l’azione italiana nel Mediterraneo. L’Italia aveva diretto, dopo la firma del Trattato di pace, la sua azione regionale anche in ambiti diversi dai tentativi operati per conservare le proprie colonie prefasciste; ma la centralità di questa questione nell’agenda diplomatica italiana, la debole posizione internazionale del Governo di Roma e i difficili equilibri nello scacchiere mediorientale avevano reso le iniziative italiane deboli e confuse. Nel triennio 1947-1949 l’attività italiana nella regione, svolta in parallelo alla battaglia per le colonie, si era concentrata, oltre che sulla questione del Patto Mediterraneo, che però, come visto, rientrava più nelle dinamiche della formazione del sistema di sicurezza euroatlantico che in quelle specifiche dell’area mediorientale, sui tentativi di rilancio della presenza politica ed economica italiana. Si trattava di una politica che, mentre aveva come obiettivo prioritario l’inseri67 68 Il Mediterrano nei rapporti italo-britannici (1945-1958) mento dell’Italia nel sistema atlantico ed europeo, non rinunciava a perseguire, in modi e forme diversi dal passato ed adeguati al mutato contesto internazionale, un ruolo mediterraneo di primo piano. Essa aveva puntato, in primo luogo, a costruire nuovi rapporti e ricucire antiche relazioni con i principali paesi dell’area. La “diplomazia dell’amicizia”1 era sfociata nell’avvio di relazioni diplomatiche con la Siria2 e nel progressivo stabilimento di proficui e trasparenti rapporti con le autorità siriane, nonostante la drammatica instabilità interna di Damasco e gli ostacoli frapposti alla penetrazione italiana dalla Francia, intenzionata a mantenere il suo ex-mandato nella sua esclusiva sfera d’influenza3. La strategia di diplomazia bilaterale, fondata sul dialogo e la cooperazione, aveva inoltre prodotto, tra la fine del ’48 e l’inizio del ‘49, come visto, i trattati di amicizia con la Grecia4 e con il Libano5, oltre che un generale rasserenamento delle relazioni con l’Egitto6. Nel complesso, come riconosciuto dal segretario generale della Lega Araba, Azzam Pashà nell’estate del ’49, questi accordi disegnavano un quadro promettente per lo sviluppo “di una stretta intesa tra l’Italia ed i paesi arabi”7. 1 Sulle antiche origini della diplomazia dell’amicizia cfr. M. Pizzigallo, La diplomazia dell’amicizia. Italia e Arabia Saudita, Napoli, ESI, 2000. 2 Id., L’avvio delle relazioni diplomatiche fra Italia e Repubblica siriana, in Id. (a cura di), Amicizie mediterranee e interesse nazionale, 1946-1954, cit., pp.15-31. 3 Id., L’Italia e la stagione dei colpi di stato in Siria, in Ivi, pp. 32-59. Per i rapporti italosiriani nei primi anni Cinquanta cfr. Id., La diplomazia italiana e il regime del colonnello Adib al-Shishakli, in Ivi, pp.60-75. 4 M. Petra, L’Italia ed il trattato di amicizia con la Grecia (5 novembre 1948), in M.Pizzigallo (a cura di), L’Italia e il Mediterraneo orientale 1946-1950, cit. 5 M. Pizzigallo, L’Italia ed il trattato di amicizia con il Libano (15 febbraio 1949), in Ivi, pp.135 ss. Per gli sviluppi successivi delle relazioni italo-libanesi, fino alla metà degli anni Cinquanta, cfr. Id., La diplomazia italiana e i paesi dell’Oriente mediterraneo, Milano, Franco Angeli, 2008, pp.131-154. 6 Anche in seguito alla firma dell’Accordo italo-egiziano sulle riparazioni, siglato a Parigi il 10 settembre del 1946. Cfr. Ivi, pp.11-32. Per le relazioni tra Italia ed Egitto dalla fine della guerra all’inizio degli anni Cinquanta cfr. Ivi, pp. 11-71 Per gli aspetti economici cfr. inoltre Id. La diplomazia italiana e le imprese nazionali in Egitto (1948), in Id. (a cura di), Cooperazione e relazioni internazionali. Studi e ricerche sulla politica estera italiana del secondo dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 2008, pp.47-56. 7 ASMAE, DGAP, Italia ex-possedimenti 1946-1950, b.30, 1949, Parte Generale – Rapporti Politici, Appunto del Ministero degli affari esteri, 21 luglio 1949. 2. Il “nuovo corso” mediterraneo dell’Italia (1950-1954) 69 La fine del mandato britannico in Palestina8 e i problemi che questa apriva sul piano regionale, aveva invece visto l’Italia mantenere un atteggiamento di basso profilo e, in talune circostanze, volutamente ambiguo. La diplomazia italiana, infatti, impegnata a tessere la propria tela di relazioni con il mondo arabo ma interessata anche a conservare rapporti cordiali con il movimento ebraico, tentò di mantenersi in equilibrio tra le due parti evidenziando la sua estraneità dal processo decisionale in sede ONU. In questo modo, il governo italiano riuscì ad evitare di essere coinvolto nel risentimento arabo contro la decisione della comunità internazionale di spartire l’ex mandato britannico; ma, contemporaneamente, continuò a favorire l’afflusso di profughi ebrei in Palestina, consentendone il transito attraverso il territorio italiano9. La cautela italiana sul nodo palestinese trovava le sue motivazioni anche nella volontà di non irritare le autorità britanniche provocandone un ulteriore irrigamento sui problemi del confine orientale e delle colonie prefasciste10. La 8 Sulla fine della presenza britannica in Palestina cfr., in particolare, M.J.Cohen, Palestine: Retreat from the Mandate. The Making of British Policy, 1936-1945, London, Paul Eleck, 1978; A. Charters, The British Army and Jewish Insurgency in Palestine, 1945-1947, London, Macmillan, 1989; N. Shepherd, Ploughing Sand. British Rule in Palestine 1917-1948, London, John Murray, pp.221-250; B. Morris, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista, Milano, Rizzoli, 2001, pp.222-273. 9 Sulla politica italiana nei confronti dell’immigrazione ebraica in Palestina si veda M.G. Enardu, “L’immigrazione illegale ebraica verso la Palestina e la politica estera italiana”, in Storia delle Relazioni Internazionali, n.1, anno 2, 1986, pp.147-166; Id., “l’Aliyah bet nella politica estera italiana, 1945-1948”, Italia Judaica, Atti del IV convegno internazionale, Gli ebrei nell’Italia unita 1870-1945, Siena, 12-16 giugno 1989, Roma 1993; M. Toscano, “La politica italiana verso l’immigrazione clandestina ebraica in Palestina nel primo semestre del 1947”, in Storia contemporanea, n.5, anno 20, 1989; Id., La porta di Sion. L’Italia e l’immigrazione clandestina in Palestina (1945-1948), Bologna, Il Mulino, 1990; G. Romano, “ ‘Gli indesiderabili’. L’Italia e l’immigrazione ebraica in Palestina 1945-1948”, in Nuova Storia Contemporanea, n.6, 2000, pp.81-96; I. Tremolada, All’ombra degli arabi. Le relazioni italo-israeliane 1948-1956. Dalla fondazione dello Stato ebraico alla crisi di Suez, Milano, M&B Publishing, 2003, pp. 17-53. Più in generale, sull’atteggiamento italiano di fronte alla fine del mandato britannico in Palestina cfr. L. Riccardi, “Il problema Israele”. Diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), Milano, Guerini Studio, 2006, pp.13-20. 10 Sull’opposizione britannica per l’afflusso di profughi ebrei sul territorio italiano e la relativa facilità con cui prendevano la via della Palestina cfr. ibid., p.14 e M. Toscano, La porta di Sion. L’Italia e l’immigrazione clandestina in Palestina (1945-1948),cit., p.67. 70 Il Mediterrano nei rapporti italo-britannici (1945-1958) nascita dello Stato israeliano non modificò l’approccio italiano alla questione11. L’Italia, muovendosi sulla scia della Francia12, concesse il riconoscimento diplomatico de facto al nuovo stato nel febbraio del ’4913. Questo gesto, che traeva le sue ragioni essenzialmente da motivi di “solidarietà atlantica”14, al fine di “uniformare la propria azione a quella delle grandi potenze” ed evitare che “un ritardo nel riconoscimento del Governo d’Israele potesse essere considerato da quest’ultimo come un gesto poco amichevole dal momento […] che anche le maggiori potenze si andavano ormai orientando verso lo stabilimento di rapporti diplomatici”15, non significava però un 11 Sulla politica italiana verso la nascita di Israele, la questione del riconoscimento diplomatico e i primi passi delle relazioni bilaterali nel biennio 1948-1949 si veda A. Tonini, Un’equazione a troppe incognite. I paesi occidentali e il conflitto arabo-israeliano 1950-1967, Milano, Franco Angeli, 1999, pp.41-49; L. Riccardi, “L’Italia e la nascita dello Stato d’Israele (1947-1950)”, in Clio, aprile-giugno 2002, pp.299-336; Id. “Il problema Israele”, cit., pp.21-41; I. Tremolada, All’ombra degli arabi, cit., pp. 55-96. 12 Sul “parallelismo” che si volle mantenere con la Francia in merito al riconoscimento di Israele si veda ASMAE, DGAP, Segreteria Generale 1945-1949, b.26, Appunto, 2 aprile 1949. Cfr. A.Tonini, Un’equazione a troppe incognite, cit., pp..41-49 e L. Riccardi, “Il problema Israele”, cit., p.23 e p.31. 13 Ivi, p. 32. 14 Cfr. A. Tonini, Un’equazione a troppe incognite, cit., pp.64-65. 15 ASMAE, DGAP, Segreteria Generale 1945-1949, b.26, Appunto, 2 aprile 1949, cit. Nel 1948, l’immediato riconoscimento di Israele da parte di Stati Uniti (de facto) e Unione Sovietica (de iure) aveva aperto la strada ad un analogo passo da parte di dieci paesi latino-americani e di sette paesi dell’Europa orientale. Nel gennaio del 1949, in un quadro di progressiva stabilizzazione politico-militare in Palestina, quindici stati dell’Europa occidentale allacciarono i rapporti con lo stato ebraico, mentre da Washington arrivava il definitivo riconoscimento de iure. In questa situazione Palazzo Chigi prendeva atto della “ineluttabilità del riconoscimento dello stato di fatto creato dagli ebrei” e della sua accettazione da parte di tutte le principali potenze europee, e decideva di muoversi di conseguenza. Cfr. ASMAE, DGAP, Medio Oriente, b.4, f.5, telespresso n.00304/C, Zoppi a Il Cairo, Beirut, Damasco, Londra e Parigi, 8 gennaio 1949. La Gran Bretagna concesse il riconoscimento de facto il 29 gennaio del 1949 e de iure il 27 aprile del 1950, sulla base della considerazione che ormai tutti i maggiori paesi non musulmani avevano relazioni con il nuovo Stato e per favorire anche l’accettazione, da parte americana, dell’annessione da parte della Transgiordania della Cisgiordania occupata dopo la I guerra arabo-israeliana. Cfr. A. Tonini, Un’equazione a troppe incognite, cit., pp. 48-49. La mossa britannica fu però accompagnata dalla puntualizzazione che le linee di armistizio non potevano considerarsi come confini internazionali e che la presenza israeliana a Gerusalemme Ovest fosse da