Premessa
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Riforma epocale? La Legge Cirinnà è, al massimo, una riforma stagionale.
Per una riforma epocale basterebbe una legge fatta da un solo articolo, inserito nel codice civile, rubricato “Matrimonio egualitario”, che suonasse più o meno così: “Il matrimonio può essere contratto tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i medesimi requisiti ed effetti”. Punto. C’è
anche una proposta di legge depositata in Parlamento che va in questa direzione.
Ogni altro provvedimento (compreso la Cirinnà) ha il sapore della propaganda elettorale (anche i gay
votano) ed è fumo negli occhi: cambiare tutto perché niente cambi, insomma.
Ciò non toglie che con la legge Cirinnà si debbano, purtroppo, fare i conti (in attesa di una sua auspicabile demolizione da parte della Corte costituzionale) e che, pertanto, debba essere interpretata in
ossequio al principio di parità di trattamento.
Sarà compito dei giudici riempire i vuoti di tutela lasciati aperti dal legislatore, per sciatteria (ormai il
canone del legislatore consapevole, tanto caro a una parte della dottrina, è solo una battuta di spirito) e per ragioni di real politik, che hanno imposto un accordo rasoterra tra le forze politiche di maggioranza.
Premessa.................................................................................................................................................................. Pag.
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1. Matrimonio Omosessuale? No, tu no! .....................................................................................................
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2. L'“unione civile”: analisi di un mostriciattolo . .......................................................................................
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3. I diritti e i doveri nascenti dall'unione civile ...........................................................................................
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4. Il regime patrimoniale dell'unione civile . ................................................................................................
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5. L'adozione del figlio del convivente (stepchild adoption) ...................................................................
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6. Successioni, patto di famiglia e prestazioni previdenziali .................................................................
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7. I diritti minimi . ...............................................................................................................................................
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8. Profili di diritto internazionale privato .....................................................................................................
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9. La legge Cirinnà e il diritto penale ............................................................................................................
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Appendice normativa
L. 20 maggio 2016, n. 76 - Regolamento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e
disciplina delle convivenze ......................................................................................................................... »
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5
Indice
I diritti e i doveri
nascenti dall'unione civile
La natura parafamiliare dei diritti e dei doveri
dell’unione civile
Ai sensi del comma 11, sostanzialmente identico
all’art. 143 c.c., con la costituzione dell’unione civile
tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli
stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
La norma stabilisce, analogamente a quanto accade
per i coniugi, il principio della parità giuridica e morale tra i partner dell’unione civile, in armonia con i
principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. Nelle formazioni familiari e parafamiliari non vi è spazio
per la preminenza di un soggetto sugli altri, poiché si
tratta di “società di uguali”, i quali, nel programmare
la vita familiare, devono necessariamente procedere di comune accordo (FINOCCHIARO, Matrimonio
(artt. 84-158), in Comm. cod. civ., a cura di ScialojaBranca, II, Bologna-Roma, 1993, 255), seguendo un
principio di parità sostanziale e non meramente formale.
Tra i diritti nascenti dallo status di parte dell’unione
civile rientrano in primo luogo i diritti di libertà, quali la manifestazione del pensiero (art. 19 Cost.), la
professione di un credo religioso (che si concreta in
una violazione dei doveri “familiari” soltanto quando il soggetto, privilegiando i soli doveri derivanti dall’appartenenza alla religione professata, non
rispetti gli elementari doveri di assistenza e collaborazione verso il partner: Trib. Bologna 5-2-1997), la
frequentazione delle amicizie (ciascun soggetto ha
il diritto di coltivare le proprie amicizie e può rifiutare
l’imposizione di frequentazioni non gradite), la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà e la segretezza
della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15 Cost.), in virtù della quale ciascun
soggetto dell’unione civile può pretendere il segreto sulla corrispondenza personale (salvo che si tratti
di comunicazioni che interessano la coppia, e non è
legittimato a intercettare comunicazioni di qualsia-
si genere destinate all’altro partner) e può opporsi
alle intercettazioni telefoniche operate dal partner
in suo danno (Cass. pen. 12655/2001).
Dall’unione civile deriva, inoltre, l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione.
L’assistenza morale e materiale consiste nel sostegno spirituale ed economico. Il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze; l’obbligo, tuttavia, non implica
esclusività, non postula che ciascun coniuge esaurisca ogni sua esperienza nell’ambito familiare: ecco
perché a questi non è precluso di disporre liberamente dei propri redditi e delle proprie sostanze una
volta soddisfatte adeguatamente le esigenze familiari (Cass. 1321/1995).
Sotto l’aspetto morale l’assistenza riguarda il sostegno reciproco nella sfera affettiva, psicologica e spirituale. Conseguentemente, ciascuno deve assistere
l’altro quando questi sia infermo, malato, condannato alla reclusione o attraversi periodi di difficoltà
economica.
Non adempie al dovere di assistenza morale il partner:
— che ometta qualsiasi manifestazione di affetto e comprensione verso l’altro, spesso assente
da casa per lavoro e che tolleri continue ingerenze da parte della propria madre nella vita familiare, assillando, al contempo, il marito con pressanti e spropositate richieste di denaro (Cass.
6575/1981);
— che manifesti intolleranza nei confronti delle
convinzioni dell’altro e ne ostacoli le pratiche religiose (Trib. Patti 10-12-1980);
— che rifiuti ingiustificatamente di fornire aiuto e
conforto spirituale all’altro, con la volontaria aggressione della sua personalità, al fine di annientarla, deprimerla, o comunque ostacolarla
(Cass. 3437/1982);
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1
3
Le
Orient
— che abbia un atteggiamento insensibile alle richieste dell’altro, a tratti violento ed eccessivamente rigido (Cass. 17710/2005);
— che rifiuti in maniera persistente di intrattenere
rapporti affettivi e sessuali con il partner. Tale
atteggiamento, infatti, provocando frustrazione e
disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico della vittima, costituisce gravissima offesa alla sua dignità e personalità (Cass. 753/2015).
L’assistenza materiale consiste, invece, nell’obbligo di conferire le risorse economiche indispensabili al mantenimento di un adeguato tenore di vita, comune a entrambi i partner dell’unione civile (o della
famiglia), al di là della consistenza del patrimonio e
della capacità di contribuzione di ognuno.
Il riferimento al soddisfacimento delle necessità della vita quotidiana contribuisce a differenziare l’obbligo in esame da quello di mantenimento. La
violazione dell’obbligo in esame può configurare il
reato di cui art. 570 c.p.
Tra i doveri coniugali rientra, inoltre, il dovere di coabitazione, che non significa necessariamente “obbligo di vivere sotto lo stesso tetto”, poiché l’art. 45
c.c. consente a ciascuno di avere un proprio domicilio autonomo rispetto alla residenza familiare e l’art.
144 c.c. sottopone al principio dell’accordo la scelta
di tale residenza. Perciò la convivenza fisica è normalmente importante ma non essenziale, potendo
l’unità della coppia, intesa come stabilità della formazione sociale, prescindere dalla convivenza. In
ogni caso, al termine “coabitazione” deve essere riconosciuto un contenuto minimo inderogabile, che
non ammette che un partner riservi a sé stesso una
dimora dalla quale l’altro sia escluso.
Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire aibisogni comuni.
A differenza dell’art. 143 c.c., le parti dell’unione civile non sono tenute all’obbligo di fedeltà, poiché, evidentemente, nell’intenzione del legislatore l’unione
civile è un legame meno forte rispetto al matrimonio. Ma il legislatore ha dimenticato che l’unione civile non è una libera scelta ma l’unica soluzione praticabile dagli omosessuali che intendano costituire
una famiglia, e non vi è alcun motivo di presumere
che il legame affettivo sia inteso in senso meno vincolante dalle parti dell’unione civile rispetto a quanto
non accada in un matrimonio borghese qualunque.
In realtà, correggendo sul punto il legislatore, deve ritenersi che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà rappresenti una violazione particolarmente grave sia in
ambito matrimoniale sia con riferimento alle unioni civili, poiché determina, normalmente, l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare,
tra i coniugi, l’addebito della separazione al coniuge
responsabile.
L’obbligo della fedeltà, strettamente connesso a
quello della convivenza, è da intendere non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge e su ciascuna parte dell’unione civile, di non
tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il
rapporto di dedizione fisica e spirituale.
In effetti la nozione di fedeltà va avvicinata a quella
di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e
le scelte individuali di ciascuno che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa
componente di una fedeltà più ampia, che si traduce
nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda.
In ambito matrimoniale il giudice non può fondare la
pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all’art. 143 c.c., dovendo verificare l’effettiva
incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza. A tale
regola non si sottrae l’infedeltà di un coniuge, la quale, pur rappresentando una violazione particolarmente
grave, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, può essere rilevante ai fine dell’addebitabilità della separazione soltanto quando sia stata
causa o concausa della frattura del rapporto coniugale e non anche qualora non abbia prodotto una concreta incidenza negativa sull’unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza medesima, come avviene
quando il giudice accerti la preesistenza di una rottura
già irrimediabilmente in atto, autonoma e indipendente
dalla successiva violazione del dovere di fedeltà (Cass.
15557/2008).
Da qui il dovere, a carico del giudice, di procedere a un
accertamento rigoroso e a una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, per stabilire se l’infedeltà di un coniuge (come in genere ogni altro comportamento contrario ai doveri del matrimonio)
possa essere rilevante al fine dell’addebitabilità della separazione, essendo stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, ovvero se non risulti aver spiegato concreta incidenza negativa sull’unità
familiare e sulla prosecuzione della convivenza (Cass.
16859/2015).
Si è affermato, ad esempio, che:
— il tradimento non assume alcuna rilevanza ai fini
dell’addebito della stessa, laddove risulti intervenu-
36
I diritti e i doveri
nascenti dall'unione civile
2
L’indirizzo della vita familiare
Il comma 12 riproduce il contenuto dell’art. 144 c.c.,
stabilendo che:
— le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita
familiare e fissano la residenza comune;
— a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare
l’indirizzo concordato.
La norma rappresenta un’ulteriore conferma della regola paritaria, in sintonia con quanto accade in
ambito matrimoniale, nella determinazione dell’indirizzo di vita familiare.
Gli “unionisti” hanno, come i coniugi, il dovere di ricercare un accordo nello svolgimento della vita comune. Tale accordo, secondo alcuni, è un vero e
proprio negozio giuridico (VILLA, Gli effetti del matrimonio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da
Bonilini-Cattaneo, I, 1, Torino, 2007, 372), altri invece lo considerano un mero fatto produttivo di effetti
giuridici (BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, 71) o, più semplicemente, un
«criterio normativo di governo della famiglia» (PARADISO, I rapporti personali tra coniugi (artt. 143-148),
in Comm. cod. civ., diretto da Schlesinger, Milano,
1990, 155).
L’accordo può essere modificato in base al mutare
delle circostanze concrete e si conclude attraverso
comportamenti concludenti, non essendo richiesta
alcuna forma particolare.
L’accordo può riguardare le decisioni fondamentali relative alla coppia destinate a ripercuotersi sul
complessivo assetto della stessa (il tenore di vita, la
distribuzione dei compiti, l’educazione e l’istruzione dei figli, la determinazione delle rispettive contribuzioni economiche, ecc.).
Dall’ambito dell’accordo devono essere escluse le
scelte relative ai diritti personalissimi, i quali non richiedono il consenso altrui per essere esercitati.
Inoltre, gli “unionisti” devono scegliere insieme la
residenza comune, ovvero il luogo dove vivere abitualmente e organizzare la vita domestica, fermo restando che ciascuno può avere un proprio domicilio
nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari e interessi (art. 45 c.c.).
La scelta della residenza non deve soddisfare solo
le esigenze economiche e professionali di uno dei
partner della coppia ma deve, salvaguardare le esigenze di entrambi e quelle preminenti della serenità della famiglia (Cass. 24574/2008).
Gli accordi all’interno della coppia non sono suscettibili di attuazione forzata, non essendo immaginabile un rimedio giuridico in caso di inadempimento
di uno dei partner (o dei coniugi). Si tratta, infatti, di
rapporti indisponibili, sottratti a ogni restrizione coattiva. La vincolatività degli accordi potrà venire in
rilievo, in ambito matrimoniale, soltanto in sede di
separazione personale, quando la relativa inosservanza sia divenuta motivo di intollerabilità della prosecuzione della convivenza e ai fini dell’addebito.
Esonero pattizio dagli obblighi derivanti dall’unione
civile?
L’accordo dei partner dell’unione civile disciplina, in generale, le modalità di prestazione degli obblighi derivanti dalla convivenza in comune.
Occorre chiedersi, però, se tale accordo possa esonerare una o entrambe le parti dell’unione dall’osservanza di tali obblighi.
La risposta affermativa deve essere esclusa, analogamente a quanto accade in ambito matrimoniale, quantomeno con riferimento al nucleo essenziale dei doveri
derivanti dall’unione civile.
Questa conclusione trova specifici agganci normativi negli artt. 160 c.c., applicabile anche alle unioni civili, in forza del quale “gli sposi non possono derogare né
ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del
matrimonio”, nonché nell’art. 123 c.c. (applicabile anche all’unione civile, che sancisce la nullità del matrimonio in cui gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso
discendenti), nell’art. 108 c.c., (che nega la possibilità di
37
to a situazione ormai compromessa», ovvero laddove si fosse già verificata l’intollerabilità della convivenza (Trib. Genova, 29-3-2012);
— grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza
dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione
all’altro coniuge, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è
onere di chi eccepisca l’inefficacia dei fatti posti a
fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà
nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si
fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (Cass.. 2059/2012);
— anche una frequentazione che non integri un’effettiva violazione del dovere di fedeltà può costituire
motivo di addebito quando sia posta in essere con
modalità che, facendo ipotizzare la sussistenza
di una relazione extraconiugale, per ciò solo, anche in mancanza di un effettivo adulterio, costituiscano motivo di offesa al decoro ed alla dignità
del coniuge (App. Genova 18-1-2008). Ad esempio, costituiscono violazione del dovere di fedeltà
gli insistiti approcci amorosi di un coniuge nei confronti di un terzo, pur non sfociati in una relazione
(Cass. 9472/1999).
3
Le
Orient
sottoporre il matrimonio - e, si aggiunge, l’unione civile
- a qualsiasi elemento accidentale), nonché dal carattere inderogabile che tali doveri assumono già sul piano
letterale, come emerge chiaramente dal linguaggio utilizzato dal legislatore nel comma 12 della legge Cirinnà
e negli artt. 143, 146, 147 e 148 c.c.
Nel silenzio della legge Cirinnà potrebbe tuttavia ritenersi l’ammissibilità di un accordo dei coniugi che deroghi al dovere di esclusività sessuale, in quanto la
fedeltà assume valore vincolante soltanto in ambito
matrimoniale (anche se, come sopra evidenziato, deve
ritenersi che anche questo dovere rientri tra gli obblighi
gravanti sulle parti dell’unione civile).
Si aggiunge, del resto, che anche tra i coniugi l’obbligo di fedeltà avrebbe valore imperativo soltanto con riguardo all’obbligo di responsabilità reciproca, mentre
la materia dei rapporti personali sarebbe caratterizzata dalla disponibilità dei poteri e doveri familiari, almeno fino alla violazione di specifici obblighi dichiarati indisponibili in modo chiaro e non equivoco dalla legge.
Ciascun soggetto dell’unione civile ha il potere di attuare l’accordo sull’indirizzo di vita familiare. L’attuazione disgiunta del programma di vita familiare consente di renderne più agile la realizzazione.
Con riferimento al rapporto tra le parti dell’unione civile, delle obbligazioni contratte nell’interesse della
famiglia in esecuzione dell’accordo rispondono entrambi. Pertanto, adempiuta l’obbligazione nei confronti del terzo creditore, il partner che si è personalmente obbligatosi ha il diritto alla restituzione,
da parte dell’altro, della metà della somma versata
(Cass. 5487/1999).
Nei rapporti con i terzi di tali obbligazioni non risponde, in via solidale, colui che non abbia contratto personalmente. Deve escludersi, cioè, che l’obbligazione assunta da uno dei partner dell’unione (e lo
stesso vale per i coniugi) al fine di soddisfare ibisogni familiari ponga l’altro nella veste di debitore solidale, poiché nessuna norma, infatti dispone che per i
debiti contratti da uno di essi risponda anche il patrimonio dell’altro, il quale non diventa debitore solidale essendo da escludere una deroga al principio generale sancito dall’art. 1372, co. 2, c.c. L’unica ipotesi
di responsabilità solidale ricorre quando, per il principio dell’apparenza giuridica, il terzo contraente
con uno solo dei due partner abbia ragionevolmente
fatto affidamento sulla circostanza che quest’ultimo
agisse anche in nome e per conto dell’altro (Cass.
87/1998). I presupposti per l’applicazione del principio dell’apparenza del diritto sono uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto, il convincimento dei terzi - derivante da errore scusabile e,
come tale, immune da colpa - che lo stato di fatto ri-
specchi la realtà giuridica sì da indurli a regolare la
loro condotta nella sfera del diritto, facendo affidamento su una situazione giuridica non vera ma apparente (Cass. 2838/2005).
In ambito familiare, tuttavia, qualche autore afferma
(con argomentazioni che potrebbero essere trasposte alle unioni civili) la regola della solidarietà tra i
coniugi. L’attuazione, da parte di un coniuge, di una
scelta concordata, rende l’altro debitore in solido nei
confronti dei terzi (artt. 1292 ss.) poiché se esiste un
dovere di contribuzione reciproco esiste anche un
potere disgiuntivo di vincolare l’altro per realizzare la
finalità cui il dovere è preposto. Ciò che conta è che
l’atto sia stato concluso per soddisfare unbisogno
primario della famiglia (ad es., relativo alla salute).
3
Il diritto agli alimenti
Per la sua finalità solidaristica (art. 2 Cost.) una rilevanza particolare assume l’obbligo degli alimenti,
esteso alle unioni civili dal comma 19 della legge Cirinnà.
Si tratta di un istituto che non investe soltanto la materia familiare, poiché l’obbligo legale degli alimenti,
pur tradizionalmente fondato sull’obbligo di solidarietà familiare, riguarda anche soggetti estranei alla
famiglia, come il donatario.
L’obbligo degli alimenti esula, quindi, dall’ambito
dei rapporti familiari, sottraendosi ai principi di ordine pubblico che investono la loro disciplina, né può
considerarsi come un’obbligazione comune, soggetta alle disposizioni del libro IV del codice civile,
poiché presenta numerose particolarità che ne fanno un’obbligazione legale del tutto autonoma, con
caratteristiche peculiari. In primo luogo viene in rilievo la particolare funzione dell’obbligazione alimentare, che risiede nella tutela delle persone che si
trovano in stato dibisogno, ovvero incapaci di provvedere alle proprie necessità. L’obbligo alimentare,
pertanto, tutela il diritto a un’esistenza libera e dignitosa, che rientra fra i diritti della personalità e, precisamente, fra i diritti fondamentali di solidarietà che
si realizzano attraverso l’altrui cooperazione.
L’obbligazione alimentare è strettamente personale. Ne consegue che legittimato attivo è solo colui
che si trova in stato dibisogno o il suo rappresentante legale e che l’obbligazione si estingue ipso iure
alla morte del soggetto attivo o del soggetto passivo (art. 448 c.c.).
I presupposti dell’obbligo alimentare sono:
— l’esistenza di un legame soggettivo fra l’avente
diritto e il soggetto obbligato;
38
I diritti e i doveri
nascenti dall'unione civile
Il fondamento dell’obbligo alimentare familiare risiede nel vincolo etico di solidarietà che lega i membri
di una famiglia.
L’art. 433 c.c., pertanto, nell’indicare l’ordine degli
obbligati agli alimenti colloca al vertice il coniuge e
al secondo posto i figli.
Nell’ambito della famiglia nucleare, composta da
una coppia di coniugi non separati e dai loro figli
conviventi, minori o maggiori d’età, l’obbligo alimentare non viene praticamente mai in gioco, restando
assorbito, nei rapporti tra coniugi, dall’obbligo di assistenza materiale (art. 143, co. 2, c.c.) e di contribuzione aibisogni della famiglia (art. 143, co. 3, c.c.) e,
nei rapporti tra genitori e figli, dall’obbligo dei genitori
di mantenere i figli minori (art. 147 c.c.) o comunque
non economicamente autonomi e dall’obbligo dei figli autonomi che vivano in famiglia di contribuire al
mantenimento della medesima (art. 315 c.c.). Quanto ai rapporti tra fratelli non vi è, evidentemente, alcun obbligo alimentare fra loro finché convivano nella famiglia nucleare con i genitori (SALA, Gli alimenti,
in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da BoniliniCattaneo, II, Torino, 2007, 605).
Fra i membri della famiglia nucleare gli obblighi
alimentari possono sorgere solo quando essa si
smembra: se i coniugi si separano, ciascuno di essi,
se la separazione gli è stata addebitata, ha diritto
agli alimenti nei confronti dell’altro (art. 156, co, 3,
c.c.) (nei casi di separazione giudiziale senza addebito, separazione consensuale, nonché separazione
di fatto, l’obbligo alimentare resta di norma assorbito nel più ampio obbligo di mantenimento); se i figli escono di casa hanno diritto, se in stato dibisogno, ai soli alimenti a carico dei genitori o dei fratelli
e sono tenuti a prestare gli alimenti ai genitori e ai
fratelli; se il matrimonio è dichiarato nullo, il coniuge
in mala fede + tenuto a corrispondere gli alimenti al
coniuge di buona fede qualora non vi siano altri obbligati (art. 129bis c.c.); se uno dei coniugi è dichiarato assente l’altro può ottenere un assegno alimentare a carico del suo patrimonio (art. 51 c.c.); se un
coniuge si allontana senza giusta causa dal domicilio familiare può chiedere - nonostante la sospensione degli obblighi di assistenza nei suoi confronti (art.
146 c.c.) - gli alimenti all’altro coniuge (SALA, Gli alimenti, cit. 606).
I genitori sono obbligati nei confronti dei figli nati nel
matrimonio, fuori del matrimonio e adottivi; il genitore adottivo è tenuto con precedenza sui genitori legittimi o naturali (art. 436 c.c.).
L’obbligo alimentare dei figli nei confronti dei genitori riguarda non solo i figli nati nel matrimonio ma anche quelli nati fuori dal matrimonio e quelli adottivi.
39
— l’esistenza di uno stato dibisogno dell’alimentando e l’incapacità dello stesso di provvedere al
proprio mantenimento;
— la capacità economica dell’obbligato.
L’obbligo alimentare è condizionato, quindi, dall’esistenza dello stato dibisogno e dalle possibilità economiche del soggetto tenuto a eseguire la prestazione, la quale varia in relazione al variare di tali
presupposti (artt. 438 e 440 c.c.).
Poiché la finalità della prestazione alimentare è quella di rimediare a uno stato dibisogno, può accadere
che tale prestazione rivesta carattere d’urgenza. Ciò
consente al giudice di imporre la prestazione temporaneamente a carico di uno degli obbligati (art. 443,
co. 3, c.c.) e di disporre il pagamento di un assegno
provvisorio (art. 446 c.c.).
L’obbligazione alimentare è indisponibile. In particolare, ai sensi dell’art. 447 c.c. il credito alimentare è incedibile (come, del resto, tutti crediti strettamente personali, ex art. 1260 c.c.) e non può essere opposto in
compensazione. Da queste caratteristiche deriva che:
— non sono consentite la rinuncia e la transazione;
— il diritto alimentare è imprescrittibile (art. 2934,
co. 2, c.c.);
— il credito alimentare è impignorabile, tranne che
per causa di alimenti (art. 545 c.c.) e insequestrabile (art. 671 c.p.c.);
— il credito alimentare non entra nella massa fallimentare (art. 46, n. 2, R.D. 267/1942).
L’obbligazione alimentare è imposta, dal legislatore, a una cerchia determinata di soggetti (artt. 433,
434, 436 e 437 c.c.), in virtù del particolare legame
(coniugio, parentela, affinità, donazione) che gli unisce al soggettobisognoso. L’elencazione contenuta
nell’art. 433 c.c. è tassativa e progressiva, nel senso
che il primo soggetto in grado di adempiere esclude gli altri.
Il legame tra il soggetto obbligato e il soggettobisognoso in virtù del quale viene imposto l’obbligo alimentare può essere:
— il rapporto di coniugio (art. 433, n. 1, c.c.);
— il rapporto di parentela in linea retta, sia discendente sia ascendente (con precedenza della linea
discendente su quella ascendente) e senza limite
di grado (con precedenza del grado prossimo rispetto al remoto) (art. 433, nn. 2-3; art. 436 c.c.);
— il rapporto di affinità in linea retta di primo grado,
limitatamente ai generi e alle nuore (art. 433, n. 4,
c.c.) e ai suoceri e alle suocere (art. 433, n. 5, c.c.);
— il rapporto di parentela in linea collaterale di secondo grado: fratelli e sorelle germani e unilaterali (consanguinei o uterini), con precedenza dei
germani sugli unilaterali (art. 433, n. 6, c.c.).
3
Le
Orient
L’obbligazione alimentare, per i genitori, ha carattere
residuale rispetto al più generale obbligo di mantenere i figli fino a quando gli stessi abbiano raggiunto l’autonomia economica e sussiste nel solo caso
in cui vi sia il presupposto dell’obbligo alimentare,
anche se successivamente verificatosi, poiché, raggiunta l’autonomia, l’obbligo di mantenimento non
può più rivivere (Cass. 12477/2004).
La rilevanza pratica dell’obbligo alimentare legale,
residuale nell’ambito della famiglia nucleare, è invece primaria tra membri della famiglia estesa. Ampia
è la cerchia dei soggetti obbligati, tra i quali figurano i parenti in linea retta (discendenti e ascendenti)
senza limite di grado, taluni affini di primo grado in
linea retta, cioè il genero e la nuora nonché i suoceri,
e all’ultimo posto i fratelli e le sorelle, obbligati solo
entro lo stretto necessario (art. 439 c.c.).
Fra gli affini sono obbligati agli alimenti il genero e
la nuora (art. 433, n. 4, c.c.) e il suocero e la suocera (art. 433, n. 5, c.c.), poiché l’ingresso nella nuova famiglia crea, tra un coniuge e i genitori dell’altro,
un vincolo di solidarietà simile a quello tra genitori e figli.
All’ultimo posto nell’ordine degli obbligati (art. 433,
n. 6, c.c.) sono collocati i fratelli e le sorelle, germani
e unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Con riferimento agli obblighi alimentari extra-familiari, l’art. 437 c.c. impone al donatario di farsi carico
delle necessità vitali del donante che attualmente si
trovi in stato dibisogno.
Vi sono, inoltre, obblighi alimentari extralegali, derivanti da fonti diverse dalla legge, in particolare da
fonte negoziale (contratto, legato). La volontà delle parti o del testatore in ordine alle caratteristiche
dell’obbligo alimentare è sovrana e non si applicano
le disposizioni contenute negli artt. 443 ss. c.c. (se
non in via integrativa, per gli aspetti non disciplinati
dalle parti o dal testatore).
Tuttavia, anche l’obbligazione alimentare di fonte
extralegale presuppone lo stato dibisogno dell’avente diritto, varia in relazione al mutare dello stato dibisogno e cessa con la morte dell’alimentando.
Gli obblighi alimentari diversi da quelli legale possono derivare da un contratto o da un legato.
Il contratto alimentare è un contratto atipico con cui
una parte, quale corrispettivo del trasferimento di un
bene mobile o immobile o della cessione di un capitale, assume, in via esclusiva o in aggiunta al pagamento di una somma di denaro, l’obbligo di prestare all’altra, per un determinato periodo di tempo
o per tutta la durata della vita della stessa (o di altra persona), assistenza (in senso lato) materiale e
morale nella forma, secondo i casi, di vitto, vestiario,
alloggio, cure mediche, pulizia della casa e della persona, compagnia (SALA, Gli alimenti, cit. 632). Se il
contratto alimentare è a titolo gratuito si applicano le
norme sulla donazione.
Il legato di alimenti, invece, è previsto espressamente dall’art. 660 c.c. e consiste in un lascito disposto
dal testatore, a carico dell’erede o di un legatario, a
favore di un beneficiario, per il soddisfacimento dei
suoibisogni di vita; in assenza di determinazione da
parte del de cuius, il legato comprende le somministrazioni indicate dall’art. 438 c.c.
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La violazione dei doveri fa scattare gli ordini
di protezione
Quando la condotta di una parte dell’unione civile è
causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà dell’altra, il giudice, su istanza di
parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter c.c. (art. 1, co. 14, legge Cirinnà).
Per potersi dare “grave pregiudizio all’integrità fisica
o morale” di una persona devono sussistere:
1) sotto il primo profilo (integrità fisica), fatti violenti
dai quali siano derivate non insignificanti lesioni
alla persona di uno dei soggetti protetti ovvero di
una situazione di conflittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale per uno dei familiari conviventi di subire violenze gravi dagli altri;
2) sotto il secondo profilo (integrità morale), un vulnus alla dignità dell’individuo di entità non comune, per la particolare delicatezza dei profili della
dignità stessa concretamente incisi, per le modalità forti dell’offesa arrecata o per la ripetitività
o la prolungata durata nel tempo della sofferenza
patita dall’offeso (Trib. Bari 28-7-2004).
Ai sensi dell’art. 342 ter c.c. il giudice deve (contenuto necessario degli ordini di protezione):
— ordinare al convivente la cessazione della condotta pregiudizievole;
— disporre il suo allontanamento dalla casa familiare. L’applicazione delle misure di protezione previste dall’art. 342 ter c.c. presuppone, infatti, che
l’autore e la vittima della condotta pregiudizievole
vivano all’interno della medesima casa familiare.
Se occorre, il giudice potrà (contenuto eventuale degli ordini di protezione):
— prescrivergli di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante e, in particolare, al
luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’ori-
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I diritti e i doveri
nascenti dall'unione civile
ché l’art. 342ter c.c. prevede che il giudice possa
disporre «il pagamento periodico a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al 1° comma, rimangono prive
di mezzi adeguati», lascia intendere la non automaticità della previsione della corresponsione
dell’assegno in conseguenza dell’adozione degli
ordini di protezione.
Il giudice, inoltre, determina le modalità di attuazione delle misure e ne stabilisce la durata, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso e
non può essere superiore a un anno, prorogabile su
istanza di parte soltanto se ricorrano gravi motivi e
per il tempo strettamente necessario.
Laddove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, il giudice emana i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, compreso l’ausilio
della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.
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gine, al domicilio di altri prossimi congiunti o di
altre persone e in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli, a meno che debba frequentare i
medesimi luoghi per esigenze di lavoro;
— disporre l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine
statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e
minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati;
— ordinare il pagamento periodico di un assegno
a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti restrittivi, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che
la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante. Poi-
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