Omelia del Cardinale Angelo Scola a Giussano 21/4/2013

Omelia del Cardinale Angelo Scola
S. Messa a SS. Filippo e Giacomo
Giussano, 21 aprile 2013
At 21,8b-14; Sal 15 (16); Fil 1,8-14; Gv 15,9-17
Carissime sorelle, carissimi fratelli in Cristo Gesù,
nulla è più significativo e nulla è maggior fonte di gioia e di consolazione per il Vescovo
dell'incontrare i suoi fedeli là dove vive la Chiesa, in mezzo a loro. Voglio quindi anzitutto dirvi il
mio grazie per questa bella accoglienza, che è incominciata per me dando una benedizione a quanti
sono nell'ombra di morte, ricoverati all'hospice, segno bello di carità ecclesiale ed espressione di
alta civiltà in questo territorio. Sono grato a tutti i sacerdoti , a cominciare da don Norberto
responsabile di questa Comunità Pastorale, che vivono ed in diverso modo, secondo i loro doni e le
loro forze, cooperano alla vita cristiana in questa terra benedetta. Sono grato a Monsignor Molinari,
Decano di questa realtà che unisce tre Comunità Pastorali, la vostra e le due di Seregno, secondo
un'armonia che dovrebbe rendere possibile una più energica presenza missionaria. Saluto infine il
Vicario di Zona, che ha voluto essere presente in occasione di questa bella ricorrenza del quinto
anno di costituzione della Comunità Pastorale San Paolo, in cui sono riunite le quattro parrocchie
della città di Giussano.
Sono particolarmente legato a questa parrocchia, dedicata ai Santi Filippo e Giacomo il
minore, perché sono anche tra i titolari della Basilica Romana dei Dodici Apostoli di cui come
cardinale rappresento il titolo. Voi sapete che i cardinali sono tutti parroci di Roma; e la mia Chiesa
a Roma è specialmente dedicata proprio ai Santi Filippo e Giacomo. Quest'anno, tra pochi giorni,
all'inizio di maggio, celebreremo i 1950 anni del probabile martirio di San Filippo.
Anche talune conoscenze e altri elementi mi legano alla vostra storia e rendono pertanto la
mia presenza qui ancora più feconda. Lo spero, con l'aiuto di Dio, per me e mi auguro lo sia per voi
tutti.
La liturgia della Parola di oggi è indubbiamente centrata a chiare lettere su un tema decisivo,
diciamo pure sul tema più decisivo di tutta la vita dell'uomo e quindi, inevitabilmente, della vita
cristiana, poiché Gesù venendo in mezzo a noi quale vero Dio e facendosi vero uomo altro scopo
non ha se non quello di accompagnarci alla scoperta compiuta e totale della nostra umana vita, del
nostro essere figli di un Padre in Lui, il Figlio primogenito, del nostro essere fatti ad immagine di
Dio.
Qual è questo tema? E' il tema dell'amore, secondo il comandamento già presente
nell'Antico Testamento, concentrato e riproposto con forza da Gesù: l'amore che lega la nostra
persona all'altro, fino all'Altro con la maiuscola, fino a Dio.
“Amerai il prossimo tuo come te stesso e amerai con tutte le tue forze Dio”.
Quando parliamo dell'amore nessun uomo è inconsapevole di cosa questa parola significhi:
tutti ne facciamo in qualche modo esperienza fin dai primi giorni della nostra vita. Le mamme
sanno ben leggere le reazioni di amore e di intenso affetto dei loro piccoli bebè e, man mano che il
bimbo cresce – come ho potuto vedere io oggi, cogliendo la meraviglia sui volti dei tanti bimbi che
mi avete fatto incontrare – questa esperienza dell'amore emerge con sempre maggiore forza. Non
parliamo poi della adolescenza, in cui si scopre l'importanza del fatto che Dio ha voluto creare
l'uomo sempre o come maschio o come femmina, proprio per educarlo, attraverso la strada
dell'innamoramento che si apre all'amore oggettivo, a che cosa voglia dire che Lui ci ha invitato ad
amarci gli uni gli altri. Si potrebbe continuare, percependo il peso dell'esperienza dell'amore in tutte
le fasi della nostra esistenza, fino alla letizia consapevole di un marito e di una moglie che
festeggiano i cinquanta, i sessant’anni di matrimonio, o su su – come ho visto stamattina – fino al
dolore dei familiari che tengono per mano il caro che sta per trapassare all'altra riva.
L'amore, dunque, lo conosciamo; quando però cerchiamo di dargli un nome preciso, di
individuarne il contenuto, ci sfugge come se volessimo prendere in mano dell'acqua corrente e
pretendessimo di trattenerla: è quasi impossibile.
Ecco perché tutta la nostra vita può essere intesa come l'approfondimento di cosa sia
l’amore. San Paolo dice: “Prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno
discernimento”. Ci invita cioè a cercare l'amore pieno: tutta la nostra vita può diventare un
progressivo approfondimento dell’esperienza dell'amore, a condizione che sappiamo lasciarci
educare a “distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo,
ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio”.
Appoggiandoci alle letture di oggi, diciamo allora due o tre parole su questa esperienza
dell'amore, che dà senso pieno alla nostra vita perché spiega anche la ragione ultima del nostro
lavorare, del nostro riposare, del nostro costruire una società giusta – e Dio sa quanto il nostro Paese
e tutta l'Europa ne abbiano bisogno! L'amore spiega il senso e la modalità del riposo e della
condivisione dei nostri beni, soprattutto a favore di quanti sono nella povertà e in prove di vario
genere.
Il Vangelo di oggi contiene una frase che voi senz'altro avete già notato altre volte, ma da cui
vale comunque la pena ripartire per qualche considerazione. Gesù ci dice: “Io non vi chiamo più
servi”. Noi non siamo qui perché siamo dei servi. Siamo qui da uomini liberi. Tant’è vero che molti
nostri fratelli, pur battezzati, hanno perduto la strada di casa e pensano che la loro libertà non vada
più d'accordo col partecipare alla vita della comunità cristiana. Non vi chiamo più servi. Perché?
Perché il servo è tenuto all'oscuro di ciò che farà il padrone. “Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò
che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Attraverso la vita della Comunità Pastorale,
che esprime la Chiesa in questo territorio, attraverso le nostre parrocchie, le nostre associazioni, i
nostri movimenti, noi veniamo progressivamente introdotti alla conoscenza amorosa, commossa,
del Padre. E questo per volontà del Padre stesso, e attraverso la potenza di Gesù risorto, presente e
vivo per la forza del suo Spirito qui ed ora in mezzo a noi.
Subito dopo però Gesù aggiunge: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. E’
un’affermazione molto importante. Riflettiamo: le cose principali della vita non ce le diamo da noi.
Ci siamo forse dati la vita ? Potrà mai forse qualcuno in futuro autogenerarsi? Darsi la vita da sé?
No. Ci siamo dati per primi l'amore? No. Ci possiamo dare da soli l'amicizia autentica in Cristo?
No. Il dono: ecco la fonte, la sorgente dell'amore!
E Gesù ci dice con forza e franchezza che all'origine di questo dono c'è la Sua scelta. Ecco il
senso della giornata per le vocazioni. Parlo soprattutto ai giovani: all'inizio della verità della mia
persona c'è questo sguardo di amore di Gesù. Lo vediamo nei Vangeli: Egli ha sempre verso
ciascuno di coloro che incontra, anche i peccatori più peccatori, uno sguardo di amore con cui ci
sceglie e ci inoltra nell’esperienza del volerci bene.
Questo è il primo elemento. Soprattutto in questa società in grande cambiamento, desiderosa
di libertà e di felicità ma così confusa nel cercarle, noi siamo sempre tentati di mettere ogni mattina
sul proscenio della nostra vita il nostro io. Siamo narcisi. E' come se volessimo occupare da soli
tutta la scena, come se sempre tutto cominciasse da noi. L'altro è sempre in secondo piano e
tendenzialmente entra in gioco solo quando mi serve oppure quando mi scontro con lui.
Invece io sono scelto da Colui che mi ha amato per primo e questa è la condizione
fondamentale per vivere il comandamento che Gesù ci affida alla fine del Vangelo: “Amatevi gli uni
gli altri come io ho amato voi”. Amatevi gli uni gli altri!
Diciamo ancora una parola su questo amore. Ci sono due passaggi nella Lettura e nella
Epistola ai Filippesi che ci dicono il primo aspetto di ogni autentica esperienza d’amore: la modalità
con cui ognuno di noi resta colpito e si appassiona con grande partecipazione di affetti al bene
dell'altro. Ascoltiamo le bellissime parole di Paolo che gli Atti degli Apostoli ci testimoniano,
pronunciate dall’Apostolo di fronte ai suoi quando temevano per la sua vita e non volevano che
andasse a Gerusalemme, dove secondo il Profeta rischiava di essere messo a morte. Noi sappiamo
dal seguito del racconto che questo non avverrà, ma il rischio era reale e veramente Paolo in quel
viaggio è arrivato fino al limite del pericolo di essere trucidato dai suoi correligionari e si è salvato
solo facendo appello alla sua cittadinanza romana. Ebbene, in quella occasione, a quanti gli dicono:
“Non andare, non andare”, Paolo risponde che è preferibile che lui vada a Gerusalemme: “Io sono
pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore
Gesù. Quindi se voi mi trattenete così mi fate piangere, rendete più pesante la mia vocazione”.
Vediamo lo scambio di amorosi affetti fra Paolo ed i suoi amici. Allo stesso modo nell'Epistola,
quando si rivolge ai Filippesi, l’Apostolo usa queste parole: “Dio mi è testimone del vivo desiderio
che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù”. Paolo non dimentica che l’amore incomincia dal
fatto che Gesù stesso ci ha amati; poi però questa esperienza si diffonde e si estende verso gli altri
uomini. Qui scopriamo dunque che la prima componente di ogni esperienza amorosa è l'affezione.
Pensate all'innamoramento: siamo colpiti da una personalità, commossi e mossi verso la sua
persona. Subiamo, nel senso nobile della parola, il colpo della presenza dell'amato e tutto sembra
cambiare intorno a noi. Ma questo è solo l'inizio dell'amore pieno. Bisogna poi fare un'altro passo, il
passo più decisivo, che il santo Vangelo descrive così: “Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la sua vita per i propri amici”. Altrove il Vangelo ci dirà che dobbiamo darla anche per i nostri
nemici, come Gesù l'ha data per noi quando eravamo ancora nel peccato. L'amore affettivo deve
uscire da sé, prolungarsi e raggiungere veramente l'altro: “Amatevi gli uni gli altri”. Deve volere il
bene oggettivo dell'altro, per diventare un amore effettivo. Volere il bene oggettivo dell'altro
significa che non devo, attraverso l’altro, continuare ad amare me stesso. Se mi fermassi all'amorepassione – come spesso accade oggi, soprattutto tra i nostri giovani ma, ahimè, anche tra noi anziani
–, se mi fermassi solo all'amore affettivo, non farei l'esperienza oggettiva dell'amore. L'amore vero
implica il saper giungere fino all'altro per l'altro, specialmente quando la vita ci mette alla prova,
proprio come sa fare una sposa per il suo sposo, o un padre e una madre verso i loro figli. Qui si
inserisce il grande tema della giornata odierna: il tema della vita come vocazione, come risposta
all'amore di Gesù: tutte le circostanze, tutti i rapporti della nostra esistenza devono avere questo
carattere di risposta amorosa.
Ed infine la terza ed ultima notazione che emerge dalle letture di oggi. “Io vi ho amati per
primi”, dice Gesù nel Vangelo, e aggiunge: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. Don
Norberto ce lo ha ricordato all'inizio: perché abbiamo fatto le Comunità Pastorali? Perché vogliamo
percorrere tutte le strade dei nostri fratelli uomini per documentare loro – come ci insegna il Salmo
– quanto è bello, quanto è vero, quanto è buono vivere di Cristo come fratelli. Vogliamo portare in
tutti gli ambienti dell’umana esistenza quella novità di vita che abbiamo incontrato come un dono,
come una grazia.
E voi qui in Brianza avete una responsabilità molto grande nei confronti della Diocesi
Ambrosiana, che tanto ha ricevuto dai vostri padri. La vostra tradizione è fortemente radicata in uno
sguardo di fede e in un’esperienza di carità e di amore intensi; dentro una vita di famiglia che ha
saputo legare famiglia e lavoro, costruendo quel benessere di cui – nonostante la grave prova che
stiamo attraversando – questa terra ancora gode e, sono certo, di cui ancora potrà godere quando,
con l'apporto di tutti , usciremo da questo tempo di fatica e di travaglio. Dovete sentire questa
responsabilità, che si estende anche all’ambito della società civile – oggi certamente molto mutato,
perché siamo in una società plurale – che come cristiani intendiamo rispettare. Il cristiano non
impone nulla a nessuno, propone soltanto. Il cristiano non è propagandista di un partito, non è un
militante: è solo un testimone, il terzo che sta fra i due, che facilita l'incontro di Cristo con ogni
fratello. Avete, carissimi, questa grande responsabilità: percorrere tutte le vie dell'umano: il mondo
della povertà, della fragilità, dei vari dolori, il mondo della cultura. Sono contento di avere appreso
che esistono anche dei Centri Culturali in questa Comunità Pastorale e nel vostro Decanato. E'
molto importante che i cristiani discernano, dice Paolo; che sappiano dare cioè dei giudizi a partire
dalla loro fede: infatti chi non propone nulla non favorisce la vita di una società plurale, che è
conflittuale per sua natura, perché visioni del mondo diverse – come vediamo ad esempio sulle
questioni relative alla vita e alla morte – inevitabilmente si scontrano. Se noi non narriamo, non
raccontiamo il nostro modo di concepire la vita, la morte, il dolore, l'amore, l'educazione, togliamo
qualche cosa a questa società. Lo faremo rispettando tutti, in un confronto franco ed aperto, teso a
cercare la migliore soluzione per una vita buona. Tutto questo però non può non cominciare dalla
radice del nostro essere, da una esperienza piena dell'amore bello, del “bell'amore” – come lo
chiama la Bibbia –, che è ciò che la liturgia di oggi ci presenta.
Carissimi, raccogliamo allora l'invito che Papa Francesco ci ha lasciato nell'udienza del 27
marzo scorso. Sia questa la parola che l'Arcivescovo vi lascia come augurio per il quinto
anniversario dalla nascita della vostra Comunità Pastorale e per il cammino che vi attende. Ha detto
il Papa: “Aprite le porte del cuore, della vita, delle parrocchie (e tra parentesi aggiunge: “Che pena
tante parrocchie chiuse”), dei movimenti, delle associazioni, ed uscite incontro agli altri, per farci
noi più vicini, per portare la luce e la gioia della nostra fede”. Con l’amore e con la tenerezza di
Dio, nel rispetto e nella pazienza. Quanta poca ne abbiamo in tutti i piccoli conflitti fra di noi:
ognuno vuol difendere il suo orticello prendendo come pretesto il solito ritornello: “Abbiamo
sempre fatto così”. Tante volte è anche utile cambiare. Non è che si debba fare qualcosa perché si è
sempre fatta e basta: bisogna scavarne le ragioni. Pazienza anche nel rapporto tra di noi, sapendo
che noi ci mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma che poi – dice ancora il Papa –
“è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione”.
Affidiamo alla Vergine Santissima, Madre di Gesù e Madre nostra, questo intendimento. Le
affido in particolare i giovani, che devono prepararsi bene al loro stato di vita: al matrimonio, se
sono chiamati a questo; chi invece si trovasse nel cuore l'inclinazione a dedicarsi a Dio la prenda
molto sul serio e ne parli subito con i suoi sacerdoti o con qualcuno di adulto per capire che cosa
possa significare.
Carissimi fedeli, grazie molte per questo invito. L'Arcivescovo si attende, dopo questa sua
visita, un rinnovato slancio di comunicazione: anzitutto verso i nostri fratelli battezzati che hanno
dimenticato un po’ la strada di casa, e poi verso tutti i nostri fratelli uomini, come Gesù ci ha
insegnato.
Amen.
Benedizione Finale
Ringrazio di cuore, ancora una volta, tutti quanti. In particolare ringrazio il coro, quanti
hanno curato cosi bene la liturgia ed hanno preparato un gesto ordinato. So quanta fatica questo
domanda.
Riceviamo ora la benedizione della Santissima Trinità, che arriva a noi attraverso il segno
della Croce: due grandi misteri della nostra fede. Ogni volta che facciamo il segno della Croce
richiamiamo le radici dell'amore che ci sceglie e che ci lancia nella vita come capaci di costruire e
di edificare: la Trinità e il Crocifisso Risorto.
Attraverso la Vergine Santissima affidiamo tutte le nostre vite a Dio. Ognuno metta ora nelle
braccia della Vergine quello che porta nel cuore: le circostanze favorevoli o sfavorevoli della vita, i
rapporti facili e difficili, le prove, le fatiche materiali e spirituali, nella certezza che Dio ci ama e
quindi non ci lascia, non ci abbandona, non si stanca di starci vicino. E soprattutto comunichiamo,
con semplicità e rispetto ma anche con decisione, tutto questo, la bellezza cristiana, ai nostri fratelli
uomini. La benedizione della Trinità raggiunga specialmente i bambini, gli anziani, gli ammalati,
quanti sono nell'ombra della morte, i più poveri e i più bisognosi.
Testo trascritto da registrazione e non rivisto dall’Autore.