TAVOLA ROTONDA IN PATOLOGIA UROLOGICA
ituitit
PATHOLOGICA 2004;96:279-280
Patologia vescicale
Moderatori: P. Bufo (Foggia) e G. Nesi (Firenze)
Carcinoma uroteliale papillare e varianti
istologiche della forma infiltrante
M. Colecchia
Dipartimento di Patologia, Istituto Nazionale per lo Studio e
la Cura dei Tumori, Milano
La maggioranza dei carcinomi papillari non invasivi della vescica e dei carcinomi invasivi associati ai carcinomi papillari
pone poche difficoltà diagnostiche al patologo. Talora i carcinomi uroteliali possono presentarsi con caratteri morfologici
simulanti patologie benigne quali la cistite cistica, i nidi di
von Brunn, l’adenoma nefrogenico ed il papilloma invertito.
Nei carcinomi con differenziazione ghiandolare le ghiandole
talora possono presentare dilatazioni cistiche con aspetti di
carcinoma microcistico simulante la cistite cistica. L’importanza di familiarizzare con queste varianti è avvertita dal patologo poiché la limitata dimensione dei campioni bioptici
prelevati durante cistoscopia potrebbe indurlo a sottostimarne
i caratteri di malignità. La differenziazione divergente del car-
cinoma uroteliale con presenza di aspetti squamosi (osservata
nel 20% delle neoplasie invasive) o di differenziazione ghiandolare (presente nel 6%) è di comune riscontro nei carcinomi
uroteliali di alto grado e negli stadi avanzati. La presenza di
aspetti di differenziazione squamosa o ghiandolare commisti
al carcinoma uroteliale tipico è rilevante in quanto queste varianti sembrano più resistenti alla chemioterapia ed alla radioterapia. Alcune varianti di carcinoma uroteliale infiltrante si
associano inoltre a diverso comportamento clinico, altre necessitano di differenti approcci terapeutici (es. carcinoma
linfoepitelioma-like e carcinoma a piccole cellule). Saranno
discussi i problemi di diagnosi differenziale e i pitfalls più frequenti in alcune varietà di carcinoma vescicale (nested, micropapillare, microcistica, ecc) (Tabella).
Bibliografia
Epstein JL, Amin MB, Reuter VE. Bladder biopsy interpretation. Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia USA, 2004.
Eble JN, Young RH. Carcinoma of the urinary bladder: a review of its diverse morphology. Seminars in Diagnostic Pathology 1997;14:98-108.
Eble JN, Sauter G, Epstein JI, Sesterhenn IA. WHO Classification of tumors. Pathology and genetics of the urinary system and male genital organs. IARC Press, Lyon 2004.
Tabella. Classificazione dei carcinomi primitivi della vescica urinaria
CARCINOMA UROTELLIALE TIPICO (papillare, piatto)
VARIANTI
A) a differenziazione squamosa o ghiandole
B) micropapillare
C) con caratteri morfologici simulanti benignità
• pattern “nested”
• tubulo-ghiandolare
• microcistico
• pattern investito
D) ca. uroteliale sarcomatoide
E) ca. uroteliale con sinciziotrofoblasti
F) ca. uroteliale plasmacitoide
G) con reazione stromale inusuale (stroma
pseudosarcomatoso, osteoclast-like giant cells, ecc.)
CARCINOMA SQUAMOSO
VARIANTI
– ca verrucoso
– ca. squamoso sarcomatoide
ADENOCARCINOMA
VARIANTI
A) di tipo intestinale
B) mucinoso
C) a cellule ad anello con castone
D) a cellule chiare
CARCINOMA INDIFFERENZIATO
VARIANTI
A) carcinoma a piccole cellule
B) carcinoma linfoepitelioma-simile
C) carcinoma a cellule giganti
Displasia uroteliale piana e carcinoma
uroteliale in situ
C. Patriarca
Azienda Ospedaliera di Melegnano (MI)
Il carcinoma uroteliale in situ (CIS) rappresenta una forma
piana di neoplasia uroteliale, non invasiva ma già integralmente trasformata in senso maligno. Evoluzione probabile
del CIS è il carcinoma uroteliale infiltrante T1 e T2-T4 e sue
varianti istologiche, mentre possibile precursore del CIS è la
displasia piana. L’identificazione di CIS/displasia avviene
solitamente mediante biopsie “a freddo” eseguite random su
aree di vescica normale/eritematosa di pazienti portatori di
neoplasia/e papillari sottoposti a TURV.
La displasia uroteliale secondaria, e cioè associata/preceduta
da neoplasie papillari uroteliali (TCC), comporta un maggior
rischio di progressione di quest’ultime. Meno noto è il comportamento della displasia primaria e cioè displasia de novo,
non associata a TCC.
Istologicamente la displasia uroteliale piana è caratterizzata da
ipercromasia, affollamento nucleare, anisonucleosi con nuclei
fino a 2/3 volte le dimensioni di un linfocita in assenza di flogosi intensa, coesione istologica mantenuta, perdita parziale di
cellule ad ombrello ed espressione di citocheratina 20. Il grading della displasia uroteliale è oggi scoraggiato.
Il CIS, la cui diagnosi è dotata di un livello di riproducibilità
interosservatore assai superiore alla displasia, è anch’esso (>
del 90% dei casi di CIS) spesso associato a TCC invasivo e
non invasivo ed è per lo più multifocale. Il CIS primario (non
associato a TCC) è raro, di solito insorge in pazienti > di 50
anni, ed è clinicamente espresso da disuria, piuria sterile e
nicturia (nel 25% dei casi è tuttavia asintomatico).
Istologicamente il CIS è caratterizzato da una lesione piana
composta da nuclei di solito 4/5 volte più grandi di un linfo-
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cita, sostituenti integralmente o parzialmente l’urotelio normale. Esistono talune varianti morfologiche del CIS (grandi
cellule, piccole cellule, pemphigous like, pagetoide, clinging)
da non menzionare in diagnosi ma importanti soprattutto per
le possibili correlazioni citologiche. Considerazioni separate
valgono per l’entità adenocarcinoma in situ, recentemente
identificata.
La simultanea apparizione di CIS in vescica, ureteri, pelvi renale, uretra, come le segnalazioni di CIS in diverticoli e neovesciche intestinali, chiamano in causa fenomeni di seeding
e multifocalità vera.
I criteri di definizione della microinfiltrazione del CIS sono
divenuti viepiù restrittivi nel corso degli anni, essendo passati da una soglia di 2-5 mm a 20 cellule al di sotto della mem-
TAVOLA ROTONDA IN PATOLOGIA UROLOGICA
brana basale. Tuttavia le correlazioni cliniche di tali valori
morfologici scarseggiano, benché appaia ragionevole come
nel range 0-1,5 mm accadano eventi clinicamente rilevanti.
L’identificazione della microinfiltrazione può essere soggetta a pitfalls (per es. mascheramento infiammatorio, cancerizzazione di nidi di von Brunn).
Ki 67, p53 e citocheratina 20 vengono presentati come possibili markers “oggettivi” di displasia/CIS, mentre p53, p21 e
RB appaiono coinvolti nella recidiva e progressione del CIS.
Bibliografia
Lopez-Beltran A, et al. Preneoplastic non-papillary lesions and conditions of the urinary bladder: an update based on the Ancona International Consultation. Virchows Arch 2002;440:3-11.
PATHOLOGICA 2004;96:281-282
Patologia prostatica
Moderatori: P. Bufo (Foggia) e S. Sentinelli (Roma)
Morphological effects of hormonal therapy
on prostate carcinoma
3
G. Nesi
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze
Neoadjuvant hormonal therapy prior to radical prostatectomy
has been used for several decades and a large body of literature discusses its use; nevertheless, the current data suggest
that it only decreases rates of positive surgical margins without improving prostate-specific antigen (PSA)-free or disease-free survival 1 2.
It has been suggested that histological evaluation of hormonally treated prostatectomy specimens may not be reliable.
Cytoarchitectural changes in both benign and malignant prostatic epithelial components resulting from hormonal treatment have been well documented. These include marked lobular and glandular atrophy, squamous metaplasia, basal cell
hyperplasia, nuclear condensation and pyknosis, cytoplasmic
vacuolisation and, most strikingly, a loss of tinctorial affinity
even with examination under medium-magnification power
field. Atrophy of the neoplastic acini often results in apparent
upgrading of the residual tumour (relative to the initial tumour grade). Regressive changes induced in the neoplastic
cells make their recognition difficult. Indeed, there may be
areas where only scattered cells resembling lymphocytes or
histiocytes are evident and the prominent stromal fibrosis
may often obscure the malignant glands. Immunohistochemistry for PSA or pancytokeratin can assist in the diagnosis of
carcinoma in these cases by identifying the individual cells as
epithelial cells of prostatic origin [3]. Given marked tumour
regression and nuclear changes induced by pre-operative androgen ablation, the grading of residual prostate cancer is not
accurate and the use of standard Gleason criteria is discouraged 4 5.
Several studies have demonstrated that the extent and prevalence of high-grade prostatic intraepithelial neoplasia (PIN) is
substantially decreased in prostates that have been treated with
androgen-deprivation for three months prior to radical prostatectomy. High-grade PIN may still persist following androgen
blockade therapy, although flat high-grade PIN may replace
the more common micropapillary and tufting types 6.
It is important for pathologists to be aware of the histological
changes induced by hormonal therapy and to process tissue
appropriately, because the changes affect the recognition and
histological grading of tumors in radical prostatectomy specimens. The complete submission of the gland and an improved familiarity with hormone-related effects significantly
decrease the pT0 rates.
References
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Montironi R, Diamanti L, Santinelli A, Galetti-Prayer T, Zattoni F,
Selvaggi FP, Pagano F, Bono AV. Effect of total androgen ablation on
pathologic stage and resection limit status of prostate cancer. Pathol
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Bonney WW, Schned AR, Timberlake DS. Neoadjuvant androgen
ablation for localized prostatic cancer: pathology methods, surgical
end points and meta-analysis of randomized trials. J Urol
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Bazinet M, Zheng W, Bégin LR, Aprikian AG, Karakiewicz PI, Elhilali MM. Morphologic changes induced by neoadjuvant androgen
ablation may result in underdetection of positive surgical margins
and capsular involvement by prostatic adenocarcinoma. Urology
1997;49:721-725.
Bullock MJ, Srigley JR, Klotz LH, Goldenberg SL. Pathologic effects
of neoadjuvant cyproterone acetate on nonneoplastic prostate, prostatic intraepithelial neoplasia, and adenocarcinoma. Am J Surg
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Montironi R, Schulman CC. Pathological changes in prostate lesions
after androgen manipulation. J Clin Pathol 1998;51:5-12.
Bostwick DG, Qian J. Effect of androgen deprivation therapy on prostatic intraepithelial neoplasia. Urology 2001;58:91-93.
Aspetti morfologici indotti da terapia
radiante e da crioterapia (del carcinoma
prostatico)
E. Bollito
Anatomia Patologica, Ospedale San Luigi, Orbassano (Torino)
Benché la prostatectomia radicale rimanga la terapia di prima
scelta per il carcinoma prostatico, sono numerosi i pazienti
che per età avanzata, co-morbidità o estensione di malattia
non se ne possono giovare. Per questi pazienti la terapia più
indicata diviene la radioterapia (RDT).
Nonostante che l’intento radicale venga perseguito dal radioterapista quanto dall’urologo, la permanenza dell’organo in
situ e la particolare dinamica del PSA sierico post-radioterapia causano non poche difficoltà nel follow-up. Anche se non
frequentemente, quindi, capita, specie in occasione di ripresa
biochimica di malattia, di dover ricorrere alla biopsia prostatica in pazienti radio-trattati per confermare istologicamente
il dato sierologico o distinguere tra ripresa di malattia locale
o sistemica.
A causa delle alterazioni indotte dal trattamento sul tessuto
prostatico benigno e neoplastico, la biopsia post-RDT presenta particolari difficoltà per il patologo.
La neoplasia infatti presenta aspetti regressivi peculiari e in
molti casi può risultare difficilmente apprezzabile al solo esame morfologico. Cellule con citoplasma di piccole dimensione e nuclei picnotici sono spesso inapparenti in stroma fibrosclerotico. Immunoistohimica per citocheratine ghiandolari a
basso peso molecolare, racemase o PSA sono spesso utili per
mettere in evidenza tali cellule. L’estensione nella biopsia del
tessuto neoplastico residuo o recidivo dovrebbe essere quantificato nel report anatomo-patologico così come la presenza
e l’estensione della necrosi post-attinica. Di difficoltà variabile nei diversi casi ma necessaria e clinicamente significativa è inoltre la distinzione e valutazione quantitativa di aspetti regressivi e floridi della neoplasia.
Si consideri inoltre che non è più raro incontrare casi in cui
RDT viene associata, in adiuvante o neo-adiuvante, l’ormonoterapia cosa che condurrà, ovviamente all’associarsi delle
diverse alterazioni morfologiche indotte dalle due terapie.
Parte delle difficoltà nella valutazione di biopsie prostatiche
post-RDT deriva inoltre dalla necessità di valutare correttamente varie modificazioni radio-indotte nel parenchima prostatico benigno. Queste alterazioni consistono per lo più in
grossolane atipie e bizzarrie nucleari in strutture ghiandolari
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benigne che contemporaneamente possono mostrare aspetti
di metaplasia pavimentosa e/o iperplasia di cellule basali
(BCH) variamente estese: esse sono state più spesso associate a trattamenti ormonali, tuttavia hanno anche significato genericamente riparativo o rigenerativo e perciò non sono rare
dopo infarto prostatico (che ne è la causa più comune), dopo
flogosi necrotizzanti e, appunto dopo RDT. L’associazione di
tali modificazioni con le alterazioni nucleari post-attiniche
possono tuttavia creare figure da mettere in diagnosi differenziale con il carcinoma squamoso (per metaplasia squamosa) o con aree di ripresa di malattia (per BCH); anche se tale
distinzione è di solito facile, grazie all’aspetto quasi caricaturale delle atipie osservabili, richiede attenzione poiché un
carcinoma squamoso secondario al trattamento può effettivamente insorgere anche nella prostata benché sia di più frequente osservazione in vescica.
Anche se ancora poco diffuse si stanno recentemente sviluppando altre tecniche di terapie fisiche considerate meno invasive e per questo maggiormente indicate a pazienti più anziani,
con co-morbidità più rilevanti o tali da controindicare chirurgia
e RDT o comunque con aspettativa di vita più ridotta: tra queste terapie devono essere ricordate HIFU (High Intensity Focused Ultrasound), RITA (Radiofrequency Interstitial Tumor
Ablation), CT (crioterapia); queste terapie sono tuttora in evo-
TAVOLA ROTONDA IN PATOLOGIA UROLOGICA
luzione ed ora hanno incidenza di fallimento istologico (biopsia positiva) relativamente elevato (17-25%) perciò sono più
usate con intento palliativo, riservando i trattamenti con intento radicale a pazienti con organo/tumore di minori dimensioni;
sono tuttavia ripetibili, meno “invasive” e meno costose. Producono solitamente necrosi coagulativa con cavitazione dell’area trattata con difficoltà analoghe per il patologo rispetto ad
RDT ma con minori atipie nucleari rispetto a quest’ultima.
Bibliografia
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Shinohara K, et al. Cryosurgical ablation of prostate cancer: pattern of
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Schulman CC, et al. A new modality of treatment of localized prostate
cancer: initial experience with radiofrequency interstitial tumor ablation
(RITA) throught a transperineal ultrasound-guided approach. Brit J Urol
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