Sesso e genere - Università degli Studi di Messina

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Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni
di Antonella Cammarota
Parte prima
Alcune riflessioni sul tema
1. Discriminazione della donna ieri e oggi
Molto è stato detto e scritto intorno alla questione della discriminazione della donna e spesso nell’affrontare questo tema ho notato tra le mie
studentesse e tra i miei studenti un atteggiamento da “tempo lineare”, da
“ideologia dello sviluppo”. L’idea diffusa è quella che prima le donne erano
discriminate e poi, via via, le cose sono migliorate, quasi che ad andare indietro col tempo la donna cessasse di esistere. E questa è la sensazione che
probabilmente deriva dai libri di storia.
Dalla storia fatta di guerre e conquiste, dove la cosiddetta storia materiale, la vita quotidiana delle donne e degli uomini sembra non esserci.
Certo le cose a livello di studi e ricerche sono cambiate, ma questa è la sensazione che spesso resta.
E allora viene da chiedersi dove era la donna quando con il processo d’individualizzazione si è cominciato, in Europa, a pensare all’individuo come soggetto di diritti e non più alla comunità; quando ogni
uomo ha iniziato a contare per se stesso e si è affermato il diritto di cittadinanza; quando si è cominciato
a parlare nel dopoguerra dei diritti universali.
Alcune femministe hanno proposto di cominciare a pensare all’individua, rifiutando il concetto di
individuo come neutro, riferito sia al maschile sia al femminile. Pensare cioè a cosa significa la donna al
singolare. La donna che, per definizione, si determina in relazione agli altri, nei ruoli di figlia, moglie,
madre, quando diventa tante donne con tante possibili identità dipendenti dalla cultura, dal lavoro, dalla nazionalità, dalla classe sociale, dalla religione non può più essere definita “in rapporto a”, smette di
essere lo “specchio dell’uomo”. Cosa diventa allora? Quali, quante possibili identità derivano da questo
processo di trasformazione?
Ma voglio fare un passo indietro per cercare di capire come la situazione di emarginazione di cui
stiamo parlando abbia origini culturali e sociali nella storia della nostra cultura europea. Molto è stato
scritto dopo l’esplosione del movimento femminista, quando le donne cominciano a studiare, ad approfondire, a voler andare alle origini delle discriminazioni. Siamo state in tante ad indirizzare i nostri
studi di sociologhe, filosofe, storiche, giuriste, teologhe alla ricerca di una cultura che non partisse più
dall’essere neutro oggettivo, ma dal soggetto corporeo sessuato.
Abbiamo rifiutato la concezione di donna così come è stata confezionata dalla società, abbiamo evidenziato quelle che sono le costrizioni, i ruoli attribuiti dalla società patriarcale e capitalistica. Abbiamo
cominciato a studiare, ricercando anche nel lontano passato un ordine primitivo in cui la donna non era
naturalmente soggetta all’uomo. Abbiamo letto con occhi diversi l’antro-pologia e la psicanalisi.
All’interno della grande narrazione del femminismo si racconta di società in cui i ruoli non erano
definiti con una naturale supremazia del maschile. Al contrario in alcune società antiche esisteva un ordine matriarcale in cui la discendenza era matrilineare, dove non era ancora chiaro il modo in cui l’uomo
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Antonella Cammarota
partecipasse alla procreazione: era infatti il fratello della madre l’autorità maschile più importante per i
figli, e il potere sui figli e nella società apparteneva alla donna…
I principi universali della legge del padre da una parte, le relazioni affettive ed il riconoscimento delle
diversità dall’altra sono rivisitate dal femminismo e si cerca una via d’uscita nella critica agli assoluti che
derivano dal pensiero astratto e nel ribadire la necessità di partire dalla propria realtà corporea.
Anche la psicanalisi è stata rivisitata dal femminismo. Secondo Freud, la bambina è essenzialmente
uguale al bambino fino ai tre anni, quando, durante la fase definita anche per lei fallica, avvertendo la
differenza fisica tra i sessi e percependo la sua visibile mancanza, di cui vede colpevole la madre, richiede
al padre il pene che le manca o, in cambio, un figlio. Questa privazione originaria sarebbe il motore del
complesso d’Edipo, dell’attrazione per il sesso opposto e dello sviluppo della femminilità.
Le femministe si sono opposte a questa interpretazione della sessualità femminile. Hanno evidenziato
come la donna fin dalla prima infanzia interiorizzi la differenza-dipendenza attraverso il diverso atteggiamento della madre nei suoi confronti.
Anche Fromm critica l’interpretazione freudiana dei sogni e dei miti, legati al sesso e alla repressione
sessuale e, alla luce degli studi antropologici di Bachofen e Morgan, vede in alcuni miti l’espressione
della lotta tra il potere matriarcale e quello patriarcale. Una possibile interpretazione ripresa dagli studi
antropologici, sulla base di ricerche sulle società primitive, è che l’invidia originaria è quella dell’uomo
verso la capacità della donna di procreare e verso il potere che le deriva da ciò. Ecco allora che gli uomini
si organizzano per cambiare l’assetto della società, per togliere il potere alle donne assoggettandole, inventano il potere politico al maschile che sta alla base del nostro ordine sociale.
La differenza uomo/donna è sempre esistita, è una differenza “originaria”, irriducibile all’eguaglianza,
ma il modo in cui è stata confezionata socialmente è un dato storico. È una differenza che se studiassimo,
osservassimo con attenzione altri popoli, altri tempi, altri territori scopriremmo che è tutta legata alla
storia, alla cultura, alla civiltà.
Un limite di molti nostri studi e ricerche è dato dal nostro punto di vista, che può essere la teoria
cui facciamo riferimento, altri studi già realizzati; la griglia, attraverso cui e grazie alla quale vediamo
la realtà, finisce col condizionarci soprattutto se non siamo consapevoli di questo condizionamento…
Per tanto tempo le donne sono state messe ai margini della storia: se comparivano era un’eccezione
o avevano la funzione di supporto all’uomo. Raramente, e solo se si trattava di una donna straordinaria,
ricopriva altri ruoli.
La condizione della donna non è la stessa in tutte le classi sociali. Nell’ottocento la donna borghese
è molto condizionata dall’importanza dell’apparire. Non solo, ma ci sono tante cose che vengono prima
dei sentimenti e le relazioni tra i sessi sono regolati dalla famiglia patriarcale allargata, in cui chiaramente
i genitori dominano sui figli ed il marito sulla moglie. I matrimoni sono questioni economiche, decise
dal padre che decideva pure quali figli si devono sposare e quali no. Per le classi basse, la vita è sicuramente più dura, ma le donne sono un po’ più libere…
Le donne però vivono e lavorano, partecipano e sono soggetti attivi di importanti trasformazioni.
Se pensiamo, ad esempio, alla rivoluzione industriale non possiamo non pensare allo sfruttamento delle
donne, a quelle donne e quei bambini che in fabbrica venivano preferite agli uomini perché erano meno
pagate. Il loro inserimento lavorativo forniva però loro uno spazio di autonomia rispetto alla famiglia
che cominciava a trasformarsi.
Le operaie iniziano a partecipare alle lotte sindacali e rivendicare i propri diritti. Non è un caso se
proprio in Inghilterra, dove ha origine la rivoluzione industriale, le donne già nella prima metà del 1800
rivendicano il diritto al voto, anche se ci vorrà quasi un secolo per ottenerlo pienamente…
In Italia devono passare ancora degli anni perché sia riconosciuto alle donne il diritto al voto. Tale
questione, come è noto, viene portata alla luce dalle prime associazioni e movimenti femministi all’indomani della proclamazione dell’Unità d’Italia. Strada, questa, destinata a concludersi drammaticamente, dopo alterne vicissitudini, con l’affermarsi del regime fascista. L’istanza riaffiorerà al termine della
Seconda guerra mondiale, con l’esito dell’introduzione del suffragio femminile grazie al lavoro delle
donne che partecipano attivamente alla lotta contro il fascismo. Il 2 giugno 1946 le donne italiane vo-
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tano per la prima volta al referendum istituzionale - che deve decidere tra l’istituzione della Repubblica
o la conservazione della Monarchia - e per l’Assemblea Costituente. Ventuno donne vengono elette e
prendono parte alla stesura della Costituzione Italiana, impegnandosi nell’affermare e far valere a tutti
i livelli i principi di pari opportunità e ottenendo importanti risultati in merito a lavoro, paghe e salvaguardia della maternità.
Se guardiamo alla storia più recente incontriamo dunque le donne che partecipano alla resistenza, alle
occupazioni delle terre nel mezzogiorno e alle lotte operaie e contadine nel nord. Le ritroviamo in mezzo
agli uomini, quasi sempre con ruoli subalterni. Ma non sono ancora un soggetto politico autonomo.
Quando cominciano ad elaborare un pensiero proprio, a pensarsi come donne a identificarsi nel loro
essere donne?
Ci dovranno essere le lotte operaie, l’autunno caldo, che vedranno una grande partecipazione delle
donne e la nascita di gruppi organizzati di donne all’interno delle organizzazioni sindacali e dei partiti.
Ricordiamo L’UDI, l’Unione Donne Italiane e l’ufficio lavoratrici nella CGIL, Confederazione Generale
Italiana del Lavoro.
Le donne che erano entrate a far parte del mercato del lavoro, che partecipavano alle lotte sindacali
e politiche, prendono coscienza di essere sottoposte ad una doppia emarginazione, mentre gli operai
lottano per migliorare le proprie condizioni, rivendicando il diritto ad essere rappresentati in quanto
operai (è in questo periodo che nascono i rappresentanti unitari di base) affermando cioè l’idea che la
propria appartenenza di classe accomuni più delle differenze politiche. Sono i metalmeccanici per primi
a sancire questo principio fondando la FLM (Federazioni Lavoratori Metalmeccanici, a cui aderiscono
Fim Fiom e Uilm rispettivamente della CISL, CGIL e UIL) alla quale è possibile partecipare per il solo
fatto di appartenere a questa categoria. Saranno seguiti dagli edili: si sogna il sindacato unitario, in cui
tutti i lavoratori e le lavoratrici siano rappresentati/e per la loro appartenenza di classe. Ma il processo si
interromperà presto.
Le donne dove sono mentre c’è tutto questo movimento nel modo tradizionale di fare sindacato?
Il sindacalismo italiano tradizionalmente legato ai tre grandi partiti politici (DC, PSI e PCI) sembra
aver trovato una sua strada autonoma, una sua identità derivante dall’appartenenza di classe.Le donne
però continuano a non sentirsi protagoniste. Certo, si formano gli uffici lavoratrici, si cerca di dare uno
spazio alle rivendicazioni per una parità di diritti, a livello giuridico, lavorativo, familiare, sociale. Ma
a molte sembra poco. Alcune cominciano a riunirsi separatamente per elaborare delle proprie strategie.
L’autunno caldo, con le sue lotte operaie e studentesche, creerà un clima generale di aspettative di cambiamento. In molti/e abbiamo creduto che le cose potessero mutare, che si potessero modificare quei
meccanismi economici, politici e istituzionali che rendevano ingiusta e diseguale la società.
2. Il movimento femminista negli anni settanta
La partecipazione delle donne alle lotte operaie e studentesche alla fine degli anni sessanta è stato un
importante momento di presa di coscienza e confronto per tantissime donne giovani che per la prima
volta si avvicinavano alla politica. A questa massiccia presenza di donne non corrispondono però, né nei
partiti - sia in quelli tradizionali sia nei nuovi nati della sinistra extraparlamentare - né nei sindacati,
adeguati spazi disponibili a ricevere ed ascoltare le nuove esigenze proposte dalle donne. Molte intanto
avevano cominciato a riunirsi autonomamente, a confrontarsi, discutere e dare vita a quello che sarebbe
diventato un importante movimento.
Ho scelto come data di partenza per lo studio del movimento femminista la fine degli anni sessanta
perché è in questi anni che si afferma come riconoscibile separatamente dagli altri.
Non è stato semplice periodizzare l’evoluzione di un movimento come quello femminista, i cui confini sono difficili da definire avendo rifiutato forme di organizzazione precise e modalità sicure per
individuare le appartenenti. La periodizzazione proposta assume come elemento centrale il problema
dell’identità. Tale scelta si è rivelata molto appropriata in quanto il movimento femminista è partito
proprio dalla messa in discussione della propria identità di donne e dalla ricerca di nuove identità……
Possiamo identificare tre fasi.
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Nella prima fase (dalla fine degli anni sessanta fino al 1974) la caratteristica principale del movimento è la sua separazione rispetto all’uomo: “donna è bello”, “l’altra metà del cielo” sono slogan che fanno
intravedere il modo di riconoscersi in quanto donne. Basta essere donne per appartenere al movimento:
in questo senso si può parlare di identità naturale. Si cerca una sintonia tra l’io-donna, il collettivo,
l’universo delle donne e la natura al femminile e la si contrappone al maschile, alle istituzioni, al sistema
patriarcale e capitalistico. I primi gruppi, quelli nati sull’onda del sessantotto, non si pongono in termini
rivendicativi nei confronti delle istituzioni, ma affermano l’esistenza di un proprio specifico non contrattabile, perché irriducibile alla logica maschile.
La grande partecipazione alle lotte operaie e studentesche aveva sicuramente dato vita ad aspettative
di cambiamento anche dal punto di vista personale e psicologico.
Le donne cominciano a riunirsi insieme in piccoli gruppi di autocoscienza proprio perché si rendono
conto che neanche l’eventuale rivoluzione modificherebbe la loro situazione.Nei gruppi di autocoscienza
si parte dalla scoperta del proprio corpo, dalla riscoperta della propria diversità dal maschio, vissuta come
ricchezza e non come mancanza. Si discute sulla presunta origine naturale dell’inferiorità femminile e
la si rifiuta.
L’esperienza della separazione è stata fondamentale per costruire un senso della collettività, dell’appartenenza. Ed è stato proprio grazie a questo riconoscersi come soggetto collettivo che sono potute
emergere le diversità fra donne.
E qui, per continuare a seguire la nostra periodizzazione, passiamo alla seconda fase, quella dell’identità convenzionale, quella della scoperta delle differenze, dovute per lo più alle diverse elaborazioni teoriche. Tutti i gruppi partono dalla contraddizione uomo-donna, ma solo alcuni la considerano fondamentale e scelgono quindi il separatismo. Altri invece la ritengono parallela a quella di classe e scelgono
la doppia militanza. Emergono anche differenze legate all’affiorare, nei gruppi femministi, di alcuni elementi di comportamento maschile. E ancora differenze legate ai diversi ruoli ricoperti ed altre diversità
culturali, sociali, politiche. Altre, quali quelle etniche, non hanno rilevanza in Italia, mentre ce l’hanno
per esempio negli Stati Uniti.
La scelta del separatismo continua, ma per costruire rapporti diversi, una società diversa, occorre
capire che cosa è il femminile. Il movimento femminista porta a livello di discussione collettiva, quindi
politica, questioni prima riservate alle analisi sociologiche o psicologiche - la crisi della famiglia, i problemi della coppia, la sessualità - dando visibilità a problematiche che fino a quel momento erano state
tenute chiuse nelle mura di casa propria. Affermando la politicità del privato, evidenzia il suo intreccio
con il pubblico, la stretta dipendenza dell’uno dall’altro: alla donna è riconosciuto un ruolo nel privato,
all’uomo nel pubblico. Ma l’identità unica era quella maschile alla quale la donna faceva da specchio,
“dietro ogni grande uomo c’è una donna”.
Ma come reagisce la società, quella maschile, a tutto questo sconvolgimento? Si tenta di demonizzare
le femministe, accusandole di provocare la crisi della famiglia, della morale. Sono definite estremiste,
ed è significativo che questa accusa riemerge nella definizione di femminismo che molte giovani danno
oggi. Contemporaneamente si cerca di capire cosa succede fra le donne, si tentano degli avvicinamenti
da parte dei partiti e dei sindacati. Si tenta di coinvolgere, integrare il movimento facendo proprie alcune
delle sua rivendicazioni. Si vorrebbero riportare le donne al loro ruolo, magari concedendo degli spazi,
ma senza intaccare i capisaldi dell’organizzazione “maschile-neutra” della società.
All’interno del variegato movimento femminista il contraddittorio si fa serrato e un punto diventa
centrale: come affrontare il confronto con le istituzioni, che di fatto si sta già praticando, ma che introduce ulteriori motivi di divisione all’interno del movimento. Probabilmente si tratta di divisioni inevitabili
nel confronto con l’esterno.
Anche se minoritarie, ci sono posizioni estreme di gruppi che rifiutano il confronto tout court, ma
per la maggior parte del movimento il confronto c’è e divide. È un periodo in cui il movimento esiste
come forza sociale e si fa sentire; ottiene dei mutamenti importanti in campo legislativo - dalla vittoria
del referendum sul divorzio, alla legge di parità in campo lavorativo- ottiene alcuni spazi all’interno di
organizzazioni “maschili”, come ad esempio i coordinamenti donne nel sindacato. Ma è anche il periodo
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Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni
della mobilitazione per la legge sull’aborto, tema che ha diviso allora e continua a dividere oggi. Si istituiscono i consultori familiari.
Siamo negli anni ottanta, i mass media parlano di fine del movimento, di morte del femminismo. C’è
volutamente una campagna in questa direzione, ci si vorrebbe liberare in fretta di un soggetto politico
scomodo. Scomodo perché?
Il movimento femminista con il suo agire contemporaneamente nella sfera privata (gruppi di autocoscienza) e nella sfera pubblica, ha scardinato qualcosa del vecchio modo di fare politica in maniera
irreversibile. Ha agito sia sul piano dei contenuti che del metodo. Le donne con la pratica dell’autocoscienza hanno scoperto di riprodurre inconsapevolmente ruoli maschili e ruoli femminili, che l’oppresso
ha la stessa struttura psicologica dell’oppressore e solo modificando se stesso potrà modificare i rapporti
di oppressione.
Ciò che si elabora all’interno del movimento trova difficoltà ad essere trasportato all’esterno. La partecipazione al movimento richiede un investimento complessivo perché attraversa tutta la vita, sia nella
sfera pubblica che privata. Si mettono in crisi sia le vecchie sicurezze legate all’identità femminile tradizionale (figlia, moglie, madre) che le sicurezze legate al modello egualitario che vorrebbe la donna libera
di ricoprire anche i ruoli maschili, parità di diritti, parità salariali ecc., quelle che oggi chiameremmo
pari opportunità.
Dopo aver rifiutato il vecchio modello di donna moglie-madre, diventa sempre più chiara la consapevolezza di non potere avere più modelli, perché è l’idea stessa di modello che è stata messa in discussione.
Non è stata costruita un’altra identità di un altro soggetto “donna”, ma è stata aperta la strada per tante
possibili identità. Con la consapevolezza che le donne sono tante e diverse e che, liberate dal vincolo
identitario moglie-madre, possono andare verso una società che non vuole risolvere contraddizioni quali
maschile e femminile, sentimento e razionalità, natura e tecnologia, scienza e intuizione, ponendole in
un rapporto di subordinazione, ma accettandoli piuttosto come elementi imprescindibili di un nuovo
vivere sociale.
3. Femminismi oggi
La scomparsa del movimento femminista dalle piazze non ha segnato dunque la sua fine, bensì una
sua profonda trasformazione. Un femminismo che è diventato tanti femminismi e che si è riaffermato
attraverso lo studio, la riflessione, un modo diverso di rapportarsi alla vita e alle istituzioni da parte di
tante donne.
Le esperienze maturate nei gruppi di autocoscienza, nelle discussioni, nei dibattiti, sono maturate
nelle divisioni e frammentazioni, si sono sedimentate e/o hanno dato vita ad altre sensibilità, entrando a
far parte di una nuova impostazione del rapporto con la vita e con la storia.
Siamo di fronte alla costruzione di un nuovo ordine simbolico che si costruisce a partire da quel bagaglio culturale, che viene trasmesso dalla madre di generazione in generazione. La donna genera la vita,
il suo corpo ha in sé la relazione. Per questo non ha bisogno di assoluti, perché l’assoluto nella relazione
non può esistere. Nella relazione il linguaggio non è definito una volta per tutte, così come non sono
definiti i confini. Il soggetto neutro, universale non vede gli altri perché immagina tante individualità
uguali a se stesso, posizionati in relazione gerarchiche, di potere. La relazione che si sviluppa da questo
tipo di impostazione è quella di simpatia, in cui si presuppone che l’altro abbia le stesse emozioni, lo
stesso sentire che ho io, che sia sostanzialmente uguale a me. Rinunciando invece all’idea del soggetto
neutro, universale, fallologocentrico, ammettendo l’esistenza di diversità incommensurabili, l’io e l’altro
assumono confini definiti e differenti e per instaurare una relazione devono essere disposti di volta in
volta a metterli in discussione. La relazione si sviluppa allora a partire dall’empatia, dalla consapevolezza
che ho di me stesso e dei miei confini.
L’empatia consente che ci si relazioni a partire dal riconoscimento delle differenze. È chiaro che un confronto tra diversità può dare luogo a situazioni conflittuali, che nel caso della negazione (siamo tutti uguali) si risolvono con i rapporti di potere, imponendo la propria diversità come il neutro universale. Nel caso
dell’ammissione delle differenze si andrà verso un nuovo ordine che non può essere determinato a priori.
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È evidente che nel confronto tra diversità si possono creare situazioni conflittuali. Ma il conflitto può
essere superato con i rapporti di forza, oppure ammettendolo e lavorandoci sopra.
Abbiamo visto come nella seconda fase del movimento femminista la scoperta della differenza ha
portato a divisioni. Divisioni che non si possono affrontare se non a partire dalla consapevolezza e dal
riconoscimento reciproco. Ma la reazione seguita alle divisioni ha provocato la frammentazione in tanti
gruppi, capaci di nuove elaborazioni a partire dalle proprie esperienze e dalle proprie collocazioni.
Fin dalle origini del movimento femminista era stata fondamentale la riflessione sulla relazione primaria madre figlia, dalla quale imparare a costruire altre relazioni. La trasmissione del sapere da madre a
figlia e poi da donna a donna permette di costruire una diversa autorità femminile. Permette di affermare
la differenza senza creare dei nuovi universali. L’uso di un linguaggio materno, etico, piuttosto che di
un linguaggio paterno, universale neutro, è ciò che permette l’affermazione e la legittimazione di tante
possibili scelte differenti, di tanti diversi modi di stare, di partecipare alla costruzione di un mondo in
cui ci sia spazio per il confronto tra le differenze, spazio per la costituzioni di quei soggetti che la De
Lauretis definisce eccentrici.
Si acquisisce sempre più chiaramente la consapevolezza che non esiste un’unica identità, definita una
volta per tutte, ma tante possibili identità i cui confini sono messi di volta in volta in discussione e con
molteplici e contemporanei livelli di appartenenza: sesso, età, classe sociale, cittadinanza, appartenenza
etnica.
A questo proposito Rosi Braidotti parla di soggetto nomade e insiste sul concetto di identità inteso
come insieme di identificazioni facendo riferimento ad «una pratica dialogica tra le molte differenti genealogie di donne in carne ed ossa».
A partire dalle analisi della società post-moderna ci sono alcune femministe che tentano una sintesi
tra le varie prospettive ispirandosi anche agli studi di donne di differenti provenienze geografiche e
culturali. Sono gli studi post-coloniali. Quegli studi che con molta difficoltà si iniziano finalmente a
confrontare con gli studi post-femministi, fondati sul paradigma della diversità.
In questi ultimi decenni le istituzioni si sono interessate alla questione della differenza di genere,
soprattutto in termini di discriminazioni e di disuguaglianze. L’ONU ha organizzato incontri internazionali a Città del Messico, Copenhagen, Nairobi, Pechino fino ad arrivare a New York nel marzo 2005.
Nel 1995 la Commissione Europea ha istituito un gruppo di commissari con l’obiettivo d’inserire
le misure per le pari opportunità nelle politiche generali dell’Unione. Ciò ha portato alla stesura della
convenzione di Roma nel 1996 e al trattato di Amsterdam nel 1999, con i quali si afferma il principio
che bisogna creare all’interno della U.E. una condizione di parità per i due sessi.
In Italia il concetto di “pari opportunità” viene istituzionalizzato attraverso la nascita di un Ministero
dedicato e di specifiche istituzioni decentrate.
All’interno di movimenti sociali e culturali presenti nella società ritroviamo molte tematiche tipiche
del femminismo storico.
Abbiamo censito su internet alla fine del 2004 circa 250 siti di gruppi che si autodefiniscono “luoghi
delle donne”. Dal punto di vista geografico sono quasi tutti collocati nell’Italia centrale e settentrionale,
anche se non mancano poche interessanti presenze nel Mezzogiorno e nelle isole.
Un grande fermento spezzettato serpeggia in questi “luoghi”, forse, come dicevamo, poco comunicanti fra loro, ma è pur vero che si stanno cercando strade diverse. Per potersi incontrare con l’altro, con
la diversità, è necessario essere saldi e consapevoli della propria identità, altrimenti c’è il rischio di perdersi. Possiamo ipotizzare che questa è la fase in cui le donne, in tanti differenti gruppi, stanno elaborando
tante diverse identità con cui cominciano a confrontarsi. Con la consapevolezza che non è più possibile
immaginare un unico modello di donna, né un unico modello di uomo, ma una situazione dinamica in
cui identità e soggettività sono due dimensioni che costituiscono la vita di ognuno.
La confusione intorno all’identità della donna concede spazio agli stereotipi che portano a posizioni
rigide e perciò rassicuranti. La paura conduce all’etichettamento e questo accresce le contraddizioni.
Prese e presi dalla frenesia della vita non troviamo il tempo per le relazioni, sia perché siamo vittime
dell’iperattivismo sia che lo siamo della depressione e della solitudine. Così non troviamo il tempo per
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Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni
rielaborare una nuova riflessione necessaria per la ri-definizione di noi stesse. Ecco allora che fermarsi a
riflettere in piccoli gruppi è stato ed è più rivoluzionario di quanto non possa sembrare.
Questi sono solo alcuni degli spunti emersi dal dibattito sul femminismo di oggi; molte rimangono
le domande aperte. Che cosa è passato alle giovani di oggi di quell’intreccio originale di teoria e pratica
che ha caratterizzato il movimento delle donne degli inizi? Che tipo di partecipazione politica c’è stata
in questi anni, dopo le mobilitazioni femministe? La richiesta di una società a misura di donna come e
quanto si può trasformare o si è trasformata in rivendicazioni e in conquiste politiche?
È a partire da questi interrogativi che ho impostato il lavoro didattico negli incontri nelle tre scuole
assegnatemi.
Parte seconda
Diario di bordo dell’esperienza
1. Premessa
Sono stati organizzati tre cicli di incontri di otto ore ciascuno in tre istituti medi superiori: un Liceo
Scientifico e un Istituto Professionale Alberghiero di Messina e un Istituto Tecnico Commerciale della
provincia.
Qui di seguito sintetizzo il percorso seguito nelle tre scuole e alla fine delineo delle considerazioni
complessive. La parte teorica è stata illustrata a partire da quanto detto prima, adeguandola alla risposta
della classe. Ho evitato di fare lezioni frontali che non tenessero conto delle relazioni che si riuscivano via
via ad instaurare nelle differenti situazioni. Per questo sono sempre partita dal gruppo, da investimenti
educativi che portassero a conoscere il gruppo e soprattutto a conoscere il loro immaginario sui temi
che andavamo a trattare. In questo sono stata agevolata dalle tematiche e dalla conoscenza di numerose
modalità didattiche interattive che mi hanno permesso di organizzare le lezioni e i laboratori a partire
dalla composizione dei gruppi.
L’educazione può avvenire solo su un territorio di confine: se il docente definisce in maniera chiusa lo
spazio ed i contenuti dell’educazione non c’è posto per la relazione. Relazione che è alla base del processo
educativo e che è ostacolata dalla chiusura.
Eseguire presuppone la capacità di stare in regole elaborate da altri (quindi interiorizzate); la creatività
non è meno impegnativa ma richiede altre doti. È bene quindi, nel discorso educativo, utilizzare metodologie che agevolino ora la creatività, ora l’esecuzione.
La scuola deve saper organizzare spazi in cui è possibile esserci con le proprie conoscenze, sentimenti,
emozioni.
Ma vediamo ora i percorsi realizzati nelle singole scuole:
2. Intervento al Liceo Scientifico “G. Seguenza” di Messina
Nel primo incontro siamo partiti da una presentazione libera dei partecipanti a cui è seguito un mio
invito a definire questi tre termini: femmina, donna e femminista.
È questo un utile esercizio per fare emergere cosa c’è di già conosciuto o immaginato: si tratta infatti
di termini di uso comune, ma a cui diamo spesso significati diversi.
Riflettere sui termini che usiamo è molto utile per acquisire un linguaggio comune. Sempre più oggi,
nell’era della comunicazione ci accorgiamo che le parole possono prendere significati e/o sfumature differenti a seconda del contesto in cui vengono usate.
Alla parola femmina sono stati attribuiti vari significati, su cui abbiamo riflettuto integrandole con
risposte datemi dai miei studenti. Ne riporto alcuni:
ɼ Genere sessuale, incompleto rispetto a donna. Femmina si nasce, donna si
diventa.
ɼ Differenza di genere legata ad un fattore biologico, lo associo agli animali.
Contrario del maschio.
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Antonella Cammarota
ɼ Termine che immediatamente suggerisce l’ immagine di un essere delicato in
contrapposizione a quello maschile che implica una maggiore virilità.
ɼ Carattere sessuale femminile degli esseri viventi.
ɼ Sostantivo con cui si designa il genere di un individuo rispetto al sesso, ambito
biologico.
ɼ Essere vivente di sesso femminile avente funzione procreativa.
Alla parola donna sono stati attribuiti vari significati, su cui riflettiamo integrandole con risposte datemi
dai miei studenti. Ne riporto alcuni:
ɼ Completamento della femmina nel genere umano.Termine legato ad un fattore culturale, e per questo pieno di associazioni e riferimenti nell’ambito di una
cultura. Spesso nelle diverse culture può avere una valenza differente (sociale
e politico).
ɼ Individuo definito nella sua totalità, fisica, psichica e sociale.Essere umano
di sesso femminile con caratteristiche psichiche totalmente differenti da quelle
maschili. Sa farsi carico di tutto con notevole spirito di sopportazione e con
coraggio. Riesce a rendere umana qualsiasi azione (e questo a volte è molto
negativo, soprattutto nel campo del lavoro).
ɼ Come essere determinato, che è in grado di gestire il menage domestico. Punto di
riferimento all’ interno della famiglia. Contrapposizione tra donna ieri e oggi.
Il termine acquista un significato importante a differenza del termine femminile che allude alla caratteristica sessuale. Esso si riferisce ad una serie di modi di essere di pensare, di comportarsi che identificano
una persona di sesso femminile. Identificazione più personale, caratteriale. Un po’ un modo di vivere.
Genere umano. Coscienza. Identità contrapposta all’uomo.
Partendo dalle loro definizioni e confrontandole con definizioni date da gruppi di studenti e studentesse universitari ho introdotto parte dei contenuti teorici sopra esposti riuscendo ad avere una grande
attenzione perché siamo partiti da ciò che loro ed altri studenti poco più grandi pensavano. In particolare
sono emersi il tema dell’identità: cosa definisce una donna e cosa un uomo. Se non c’è un’unica identità
sociale ci sono tante identità possibili, tematiche che sono largamente sviluppate nelle mie argomentazioni.
Lo stesso vale per la definizione di femminismo: parto dalle loro definizioni per suggerire una possibile
periodizzazione del movimento a partire dall’identità.
Nel secondo incontro siamo partiti con un laboratorio di scrittura collettiva creativa. Tale laboratorio è una rielaborazione di strumenti e metodologie acquisite nell’ambito della formazione-educazione
all’ascolto che da oltre dieci anni portiamo avanti con l’associazione Apeiron.
Sono state portate le fotocopie (una per ogni studente) di una piccola parte di un romanzo. Dopo aver
letto ad alta voce le circa quattro pagine ho invitato i ragazzi e le ragazze a sottolineare individualmente
le tre parole o frasi che maggiormente li avevano colpiti. Per fare questo sono stati dati loro 15 minuti.
A questo punto sono state lette le singole storie. La tutor presente – che era poi l’insegnante di filosofia
di buona parte dei ragazzi che avevano aderito al progetto – si è stupita della capacità dimostrata da
tutti nello scrivere. A questo punto abbiamo suddiviso la classe in gruppetti di tre/quattro persone e ho
invitato ciascun partecipante a selezionare una frase o parola del proprio racconto ritenuta irrinunciabile.
A questo punto il gruppo doveva costruire un’unica storia utilizzando le frasi scelte da ognuno. I gruppi
hanno lavorato con attenzione e tutti hanno partecipato al lavoro.
Alla fine, dopo aver letto le storie, ho invitato i partecipanti a raccontare cosa avevano provato lavorando insieme; in molti hanno sottolineato la difficoltà nel mettere insieme le frasi scelte. Da qui una
interessante discussione sulle difficoltà che ognuno ha nell’accettare le cose dell’altro se per farlo dobbiamo rivedere un po’ noi stessi.
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Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni
3. Intervento all’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Commerciali Turistici Alberghieri e
della Ristorazione “Antonello” di Messina
Nel primo incontro, dopo una breve presentazione di ognuno, facciamo fare un brainstorming: a partire
dalle parole donna e uomo.
Il brainstorming è un metodo che può essere utilizzato qualunque sia l’argomento da trattare. Tende a
fare esprimere liberamente il gruppo sui temi affrontati. È molto utile perché da questa “tempesta cerebrale” il docente viene a conoscere cosa hanno in mente gli studenti quando si dicono certe parole o concetti.
Tantissime sono le cose che vengono in mente a partire da queste due parole e la tutor le trascrive su
dei grandi fogli appesi alla parete.
Si discute a lungo sull’identità, su cosa identifica una donna e cosa un uomo: ruoli, caratteristiche
fisiche, morali, carattere. Su un argomento la classe si divide sostanzialmente in due gruppi: tra chi pensa
che la maternità sia essenziale per definire l’identità femminile e chi pensa che sia una libera scelta della
donna, tale quindi anche senza essere madre.
Chiedo allora se la paternità sia essenziale per definire l’identità dell’uomo; qui il gruppo si divide
ulteriormente: qualcuno dice sì, ma poi per l’uomo ci sono delle eccezioni, ad esempio il sacerdote, ma le
stesse eccezioni non sono riconosciute alle donne. È un buon punto di partenza per sviluppare il discorso
sui ruoli sociali e su come cambino, anche quelli attribuiti all’uomo e alla donna a seconda dei contesti
sociali di riferimento.
Si parla della differenza tra il lavoro esterno e il lavoro di cura e si discute se il lavoro di cura sia una
prerogativa femminile, in quanto la donna vi è naturalmente portata o se, essendo la divisione di origine
sociale e culturale, il lavoro di cura non vada equamente diviso tra donna e uomo.
Nel secondo incontro partiamo con il laboratorio di scrittura collettiva creativa (vedi esperienza precedente).
Sono state portate le fotocopie (una per ogni studente) di una piccola parte di un romanzo. Abbiamo
scelto questa lettura in cui sono affrontate una serie di tematiche interessanti per il nostro corso. È una
domenica mattina e la protagonista del romanzo riflette sul momento in cui decise di andare via di casa,
contro la volontà dei genitori, per realizzare una vita sua, e qui c’è tutta la tematica del ruolo della donna
nella famiglia e nella società. Il romanzo è ambientato in Nicaragua nel periodo sandinista e questo ci darà
modo di affrontare il tema delle relazioni nord-sud del mondo e della partecipazione delle donne alla vita
politica. La storia di Lavinia, la nostra protagonista, si intreccia, attraverso una leggenda e con la presenza
viva della sua antenata nel succo delle arance del suo giardino. La descrizione della colazione domenicale
può dare ulteriori spunti, in particolare perché siamo in un Istituto alberghiero e per la ristorazione.
Dopo aver letto ad alta voce le circa quattro pagine, ho invitato i ragazzi e le ragazze a sottolineare individualmente le tre parole o frasi che maggiormente li avevano colpiti. Per fare questo sono stati dati loro
15 minuti. Sono state, quindi, lette le singole storie. Dopo di che abbiamo suddiviso la classe in gruppetti
di tre/quattro persone e ho invitato ciascun partecipante a selezionare una frase o parola del proprio racconto ritenuta irrinunciabile. A questo punto il gruppo doveva costruire un’unica storia utilizzando le frasi
scelte da ognuno. I gruppi hanno lavorato con attenzione e tutti hanno partecipato al lavoro. Alla fine,
dopo aver letto le storie, ho invitato i partecipanti a raccontare cosa avevano provato lavorando insieme. Le
storie venute fuori erano molte diverse l’una dall’altra e sottolineavano le varie tematiche sopra accennate
calandole nelle esperienze reali e nella fantasia dei partecipanti. Da qui una interessante discussione su
temi quali i rapporti fra le generazioni, il ruolo della donna, l’essere o meno autorizzata a partecipare alla
vita politica; una riflessione sul cibo e sulla trasmissione di cultura che avviene attraverso di esso e che
generalmente passa attraverso il femminile.
4. Intervento all’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri “G. Tomasi di Lampedusa” di
Sant’Agata Militello (Messina)
Nel primo incontro siamo partiti da una presentazione libera dei partecipanti. L’insegnante tutor ci fa
notare che sono stanchi perché hanno già fatto sei ore di lezione. Decidiamo allora di partire con il
lavoro di lettura e scrittura collettiva creativa (vedi esperienza precedente).
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Antonella Cammarota
Sono state portate le fotocopie (una per ogni studente) di una piccola parte di un romanzo. Abbiamo
scelto una lettura in cui sono affrontate una serie di tematiche interessanti per il nostro corso (vedi
esperienza precedente).
Dopo aver letto ad alta voce le circa quattro pagine, ho invitato i ragazzi e le ragazze a sottolineare
individualmente le tre parole o frasi che maggiormente li avevano colpiti. Per fare questo sono stati dati
loro 15 minuti. A questo punto sono state lette le singole storie. Dopo di che abbiamo suddiviso la classe
in gruppetti di tre/quattro persone e ho invitato ciascun partecipante a selezionare una frase o parola
del proprio racconto ritenuta irrinunciabile. Quindi si è chiesto a ciascun gruppo di costruire un’unica
storia utilizzando le frasi scelte da ognuno. I gruppi hanno lavorato con attenzione e tutti hanno partecipato al lavoro. Alla fine, dopo aver letto le storie ho invitato i partecipanti a raccontare cosa avevano
provato lavorando insieme. Le storie venute fuori erano molte diverse l’una dall’altra e sottolineavano
la diversità delle tematiche sopra accennate calandole nelle esperienze reali e nella fantasia dei partecipanti. Da qui una interessante discussione su temi quali i rapporti fra le studentesse e gli studenti
presenti e la propria madre o il proprio padre, i propri nonni e nonne. È un utile punto di partenza per
introdurre il teme delle divisioni di ruoli oggi confrontandoli con ieri. È questo lo spunto per introdurre
l’intervento teorico: Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni.
Nel secondo incontro siamo partiti con una nuova presentazione: ognuna (in questo incontro siamo
tutte donne) ha raccontato la storia del suo nome. Nomi di nonne o legate alla fantasia della mamma,
nomi particolari che hanno fatto soffrire da piccole e di cui ora si va orgogliose…
In questo incontro sono circa dieci, tutte ragazze, meno della volta precedente. Pare che la causa
stia nello sciopero della mattina per cui i ragazzi non essendo andati a scuola, in parte non sono venuti
nemmeno al corso.
Propongo di partire col laboratorio ed invito a partecipare anche un’altra docente presente e la tutor.
Spiego che i risultati del laboratorio porteranno alla lezione frontale in maniera più coinvolgente.
Ho quindi introdotto il Laboratorio “Gioco del viaggio”.
Il laboratorio fa riferimento alla pedagogia dell’ascolto e si inserisce in un contesto narrativo. L’idea
base da cui si parte è che le storie, tutte le storie mettono in gioco le identità, in quanto permettono
identificazioni e proiezioni e riorganizzano il contesto entro cui si realizza il gioco.
«Usare la metafora del viaggio in una situazione di apprendimento vuol dire accettare di fare i conti
con un immaginario potente e strutturato. Viaggio è una volontà al servizio di un desiderio, è andare e
attraversare, è lasciare e separarsi, non sapere non controllare scoprire. Talvolta trovarsi… Si immagina
che sia possibile esplorare, e nel corso dell’esplorazione, consapevolmente modificare, uno spazio che è
tra le persone e che proprio per questo è una zona franca in cui ciascuno può accettare di convogliare
ed esporre allo sguardo, cioè alla curiosità, alla ripulsa, alla paura, alla fantasia, ai pregiudizi, degli altri
piccole parti di sé».
In particolare, nel laboratorio del viaggio si crea una situazione immaginaria protetta, in cui è possibile esprimere un eventuale conflitto fra i membri del gruppo. Non si tratta di evitare o nascondere i
conflitti, ma di renderli palesi e agirli in un modo non distruttivo. Si tratta di riconoscere i conflitti e
provare a viverli ed, eventualmente, affrontali e superarli.
Invito tutti i componenti del gruppo a munirsi di tre fogli di e di penne o matite per scrivere e
disegnare. Dico loro che stiamo per partire per un viaggio, non sappiamo ancora dove andremo, quanto staremo, se e quando ritorneremo. La meta la decideremo poi insieme, nel frattempo ognuno deve
pensare a tre cose irrinunciabili che vuole portare con sé nel viaggio.
Il ruolo dell’osservatore non partecipante è fondamentale perché garantisce un punto di vista esterno su ciò che accade.
Ognuno dovrà disegnare le tre cose irrinunciabili sui tre fogli. Non si deve trattare necessariamente
di oggetti, ma anche di affetti.
Dò 15 minuti per pensare e disegnare sottolineando che è il gruppo a partire insieme.
Ci siamo disposte a circolo e mettiamo a terra i fogli con i disegni delle cose che ognuna vorrebbe
portare con sé. Ma il bagaglio è troppo pesante, per cui spiego che ognuna può tenere una sola cosa,
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Sesso e genere: stereotipi sessuali e discriminazioni
ma non sarà lei a scegliere quale, bensì il gruppo. A turno ognuno sceglie un oggetto di cui liberarsi,
l’interessata può provare a convincere di sceglierne un altro, può protestare, ma alla fine deve cedere.
Il gruppo si presenta compatto e solidale, collaborativi nello scegliere le cose da tenere. Col bagaglio
così limitato si sceglie la meta del viaggio. Le proposte vanno dall’Egitto a una gita a Messina, dal
Nicaragua a Palermo. Alla fine si sceglie una meta, il Nicaragua, ispirandosi ad alcuni racconti dell’incontro precedente legati alla mia esperienza in questo paese. È uno spunto per sviluppare la parte teorica sulle relazioni tra le donne e i movimenti femministi del nord del mondo e quelli del sud. Parto
dalle difficoltà reali raccontando: Era la prima volta che andavo sulla Costa Atlantica del Nicaragua,
ero arrivata a Puerto Cabezas a bordo di un piccolo aereo militare. In Nicaragua c’ero già stata tante
volte, ma lì nella regione autonoma dove ancora vivevano i discendenti dei popoli originari di quelle
terre non c’ero mai stata. Ero emozionata, per me era come entrare in un sogno. Avevo conosciuto degli
uomini e delle donne miskitos. Ma ora ero lì dove uomini e donne avevano ancora un rapporto con la
natura, dove esisteva ancora la proprietà comunitaria delle terre. Ero a casa di un maestro poeta miskito,
le cui poesie avevamo pubblicato in Italia. Cristina, sua moglie, mi disse «io sono una donna fortunata
perché a casa mia abbiamo sempre mangiato almeno una volta al giorno». Da qui tutto il discorso sulle
differenze e sulle grandi difficoltà che si incontrano nella relazione con l’altro.
5. Considerazioni conclusive
Per concludere vorrei fare riferimento ai risultati di un questionario distribuito nell’ambito del progetto ICARO dal 2006 al 2008. I dati sono relativi ai primi due anni e dunque alle scuole “Seguenza” e
“Antonello”. Il numero di questionari somministrati nei primi due anni è pari a 56, di cui 33 il primo
anno e 23 il secondo. L’età degli studenti è compresa tra i 16 e i 21 anni, ma la media si attesta sui 18
trattandosi di studenti appartenenti alle ultime classi delle suddette scuole superiori.
Le presenze femminili nei due anni sono pari a circa il 65%.
È stato chiesto quale significato attribuissero ai termini “Pari Opportunità”. Nella maggior parte
dei casi i ragazzi hanno fatto riferimento all’uguaglianza giuridica tra i sessi; solo qualcuno ha risposto
riferendosi ad un’uguaglianza generica che non riguardasse solo i due generi ma qualunque tipo di differenza, fosse essa sociale, economica, culturale.
Solo 6 studenti richiamano il ministero delle Pari Opportunità quando viene loro chiesto quali sono
gli enti preposti ad attutire le discriminazioni; qualcuno cita ICARO, un altro un ipotetico Partito delle
Pari Opportunità, gli altri non rispondono.
Le risposte relative alle differenze dei ruoli assunti da uomini e donne nell’attuale società meritano
grande rilievo. Questi giovani studenti – che anche dalle conversazioni fatte in classe manifestano
grandi aspirazioni per il loro futuro – ci parlano di emancipazione e libertà, di uguaglianza tra uomini
e donne eppure riguardo i ruoli sociali dei due generi sembrano avere le idee chiarissime: restano fortemente ancorati all’idea del maschio/uomo breadwinner e della femmina/donna come unica detentrice
del lavoro di cura. Qualcuno fa riferimento all’uomo come essere umano generico dimostrando per
l’ennesima volta come la lingua non sia solo un mezzo di comunicazione ma rifletta inevitabilmente
un’interpretazione del mondo e della società, molto spesso indipendentemente o malgrado le nostre
convinzioni dichiarate.
In molte risposte sembra chiaro che ancora oggi le possibilità femminili di emergere nel campo lavorativo siano diverse da quelle degli uomini ma se in alcuni casi, soprattutto da parte delle ragazze, questa
è vista come un’ingiustizia, in altri casi appare come il naturale essere delle cose.
I modelli maschili e femminili che questi ragazzi ricevono e spesso contestano sono quelli proposti
dai media ma il dato interessante è quello relativo all’identificazione di questi giovani. I loro modelli, figure adulte, che rappresentano esempi da seguire, cui guardare e trarre ispirazione sono sempre – tranne
alcuni casi in cui vengono citati personaggi noti dello sport, della politica o dello show business – i loro
genitori, i loro padri e le loro madri, i nonni e le nonne, in rarissimi casi i fratelli e le sorelle maggiori.
Le figure adulte di riferimento dunque sono quelle dell’ambito familiare; gli stessi modelli da cui probabilmente questi giovani traggono ispirazione per inquadrare e definire i ruoli dell’uomo e della donna.
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Antonella Cammarota
Effettivamente guardando le risposte circa il loro futuro è possibile dare conferma di quanto fin qui
detto. Tutti sognano tre cose: un buon lavoro, un marito/una moglie e dei figli. Pochissime ragazze
fanno riferimento alla sola realizzazione professionale, mentre i maschi mettono sempre al primo posto
il lavoro (qualcuno, anziché parlare di carriera come i compagni, afferma di voler diventare un uomo
di potere); poche le ragazze che hanno come unica ambizione quella di essere una buona madre. Tra
i maschi diversi sognano una buona professione e la possibilità di avere oltre che dei figli anche una
moglie che faccia esclusivamente la casalinga.
Questo tema è stato molto dibattuto, partendo dalla situazione della divisione dei ruoli all’interno
della propria famiglia ci si è interrogati sulle tante modalità interpretative degli stessi. Ciò ha aiutato a
riflettere su come gli stereotipi sessuali possano portare a delle discriminazioni.
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