Boezio, De arithmetica, Libro I, Proemio (traduzione di lavoro) Cfr. Boethius, De arithmetica, edd. H. OOSTHOUT, I. SCHILLING, Turnhout, Brepols, 1999 (CCSL 94A), pp. 8-­‐14. Tra tutti gli uomini autorevoli dell’antichità che, guidati da Pitagora, si sono distinti per la maggiore purezza della mente, è evidente che nessuno è asceso al culmine della perfezione nelle discipline della filosofia se non seguendo le tracce di questa superiore saggezza su una sorta di quadruplice percorso – e ciò non sfuggirà alla sagacia di chi sa ricercare rettamente. Infatti sapienza è comprendere la verità sulle cose che sono e che traggono da se stesse una sostanza non mutevole. Ma diciamo che sono quelle cose che non crescono per intensificazione né diminuiscono ritraeondosi o mutano per qualche variazione, bensì si conservano sempre stabili nella propria forza grazie al sostegno della loro stessa natura. E queste sono le qualità, le quantità, le forme, le grandezze, le piccolezze, le eguaglianze, i rapporti, gli atti, le disposizioni, i luoghi, i tempi e tutto ciò che si rinviene in qualche modo unito nei corpi: esse stesse <realtà> incorporee per natura, che prosperano in ragione della loro sostanza immutabile mentre per la partecipazione al corpo mutano e al contatto con la cosa variabile trapassano nella cangiante inconsistenza. Queste dunque, poiché, come abbiamo detto, hanno ricevuto per natura una sostanza e una forza immutabile, si dice che sono in senso vero e proprio. È perciò la conoscenza di queste cose, ossia delle cose che sono propriamente e che portano il nome di ‘essenze’, quella trasmessa dalla sapienza. Ma le essenze si dividono in due tipi: una è continua, unita nelle sue parti e non distribuita con interruzioni, come un albero, una pietra e tutti i corpi di questo mondo, e queste propriamente si chiamano grandezze. Un’altra invece è disgiunta da se stessa, determinata da parti e ricondotta sommariamente a una sorta di aggregato, come un gregge, un popolo, un coro, un mucchio tutto ciò le cui parti hanno termine alle estremità e sono separate nel punto in cui finisce ciò che si accosta loro. Il nome proprio per queste è molteplicità. Ancora tra le molteplicità alcune sono per se, come tre o quattro o ‘tetragono’ o un qualsiasi numero, che non ha bisogno di nulla per esistere. Altre invece non si danno per se stesse bensì sono riferite a qualcos’altro, come doppio, mezzo, sesquialtero, sesquiterzo e tutto ciò che è tale da non poter essere se non in relazione ad altro. 1 Delle grandezze poi alcune sono permanenti e prive di movimento, altre invece si muovono in un moto sempre circolare e non si fermano mai. Di queste cose dunque, la molteplicità per sé è indagata dall’integrità dell’aritmetica, mentre la molteplicità in rapporto ad altro la conoscono i temperamenti dell’armonia del musico, la conoscenza della grandezza immobile ci è nota grazie alla geometria, e infine la scienza <della grandezza> mobile è rivendicata dalla perizia della disciplina dell’astronomia. Se colui che indaga (inquisitor) manca di queste quattro parti, egli non potrà trovare il vero, e anzi senza questa speculazione non si arriva a sapere rettamente alcuna verità: infatti la sapienza è conoscenza e completa comprensione delle cose che sono veramente. E chi disprezza questi sentieri che conducono alla sapienza, lo avverto che non sta facendo filosofia nel modo giusto: infatti filosofia è amore di sapienza, ma costui disprezza in anticipo <la sapienza> trascurando queste <discipline che vi conducono>. Inoltre penso che si debba aggiungere che tutta la forza della molteplicità parte da un termine e cresce progredendo per un numero infinito di aumenti. Invece la grandezza parte da una quantità finita e non trova una misura nella divisione: infatti si possono sempre trovare sezioni infinitesime di un corpo. Ora alla filosofia ripugnano immediatamente questa infinità e potenziale indeterminatezza della natura: nulla infatti di infinito può essere colto con la scienza e compreso con la mente. Ma da qui la stessa ragione ha desunto ciò in cui può esercitare la propria sagacia indagatrice di verità: infatti ha raccolto dalla pluralità della moltitudine infinita un termine di quantità finita e, rifiutata la divisione della grandezza interminabile, ha reclamato per sé spazi definiti adatti alla conoscenza. È evidente perciò che chiunque avrà trascurato queste discipline avrà perduto ogni insegnamento della filosofia. Questo dunque è quel quadruplice percorso (quadruvium) sul quale si devono incamminare coloro i quali un animo eccelso conduce dai sensi creati con noi fino alle cose certe dell’intelligenza. Infatti esistono dei gradi e delle misure sicure negli avanzamenti attraverso i quali si può ascendere e progredire affinché l’occhio dell’animo -­‐ che, come dice Platone, è più degno di essere costruito e difeso di molti occhi corporei, dal momento che solo con la sua luce la verità può essere indagata e osservata -­‐ affinché, dicevo, quest’occhio <dell’animo>, sommerso e accecato dai sensi del corpo, le discipline lo illuminino di nuovo. Quale dunque tra queste va appresa per prima se non quella che ha la parte di principio e in qualche modo di madre rispetto alle altre? Questa è l’aritmetica. Essa 2 è la prima di tutte non solo <perché> il Dio fondatore (conditor) dell’edificio del mondo ha avuto questa prima come modello (exemplar) del proprio ragionare e ha costruito secondo essa tutte le cose, che trovano concordia, grazie alla ragione che le ha fabbricate, attraverso i numeri dell’ordine assegnato. Ma l’aritmetica è dichiarata prima anche per questo motivo: che una volta tolte tutte le cose che per natura precedono, anche le cose che seguono vengono tolte, mentre se periscono le cose posteriori, niente cambia della condizione di quelle precedenti. Ad esempio, l’animale precede l’uomo; infatti se togli l’animale, subito anche la natura dell’uomo è cancellata, mentre se togli l’uomo, l’animale non perisce. […] Lo stesso accade nella geometria e nell’aritmetica: infatti se togli i numeri, che ne è del triangolo o del quadrato o di tutte le cose di cui tratta la geometria, le quali tutte prendono i loro nomi dai numeri? Invece al contrario se avrai tolto il triangolo, il quadrato e tutta la geometria, non scompariranno il tre e il quattro né i nomi degli altri numeri. […] Quanto poi la forza dei numeri preceda la musica lo si deduce dal fatto che non solo sono prime per natura le cose che sono per sé rispetto a quelle che sono per in quanto riferite ad altro, ma anche che la modulazione musicale viene notata con i nomi dei numeri. [...] <L’aritmetica> poi precede l’astronomia delle sfere tanto quanto la precedeno le due restanti discipline. Infatti i cerchi, la sfera e il centro, i paralleli, il centro del cerchio e l’asse, <che usiamo> nell’astronomia, sono tutti oggetti di studio della geometria. [...] Per cui, dato che l’aritmetica, come abbiamo mostrato, è prima, partiamo da essa per la nostra disamina (disputa). 3