L`estraneo pirandelliano diventa il convivente del

Relazione di Pierfranco Bruni
“Kaos: Inseguendo quell’estraneo ch’era in me”
L’estraneo pirandelliano diventa il convivente del personaggio. Una madre è una terra.
Una madre che va via è la terra che non riesci più a camminare e i passi sono un viaggiare
tra le nuvole e il vento. Non si riesce più a camminare. Ma sarà lei a camminarti e a vivere
dentro l’anima. Lo strazio dell’assenza è una lacerazione che ti chiude nel cerchio di un
tempo che non ritornerà più.
La morte di una madre è la morte del tempo che è stato e che non si ritroverà, se non
attraverso un immaginario, che è fatto di fantasia, di mistero, di evocazioni /rievocazioni e
di un parziale e momentaneo allontanamento dal presente.
Il Kaos, in Pirandello, è anche parte integrante di uno straniamento, che è dovuto alla
presenza che diventerà assenza della sua terra. L’allontanamento da quella geografia fisica
chiamata Kaos lo fa entrare in una dimensione che diventerà spiritualità dell’estraneo.
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Sempre vive in noi l’estraneo, perché sempre di noi si individuano quelle tre maschere che
sono state disegnate come il personaggio uno che siamo, il personaggio nessuno che
diventeremo e il personaggio centomila che mai completamente ci apparterrà.
La terra è madre, la madre è terra in Pirandello, come in molta cultura greca e latina e
come in molta letteratura mediterraneo-araba. Ma resta l’insondabilità pirandelliana. Il
mondo è insondabile, sembra dirci Pirandello. Questa incapacità di rendere sondabile il
nostro mondo, accompagna i personaggi di Pirandello, ma accompagna altresì il suo
esistere, il suo scrivere, il suo colloquiare con i personaggi stessi.
Nasce dal Kaos ma diventa labirinto, anche l’estraneo che vive in noi, ovvero quella
parte che rimane segreta e si custodisce come mistero! Ciò è una componente letteraria che
tocca elementi alchemici, magici, come è magico il senso dell’insondabile. Si avvicina e
attraversa il misterioso non solo con gli strumenti di una formazione in cui la cultura
del’Oriente è ben presente, ma ci sono, in Pirandello, letture che hanno richiami di portata
sciamanica.
D’altronde passaggi precisi del Pirandello che si confronta con l’insondabile vengono
rintracciati in Carlos Castaneda (Cajamarca, 25 dicembre 1925 – Los Angeles, 27 aprile
1998), uno scrittore peruviano che è riferimento della cultura degli sciamani. In alcuni suoi
scritti si possono leggere passaggi che inevitabilmente portano a Pirandello.
Scrive Castaneda: «Il mondo è insondabile, e così siamo anche noi, e così è ogni essere che
esiste in questo mondo. Scegliamo una sola volta. Scegliamo o di essere guerrieri oppure di
essere uomini comuni. Una seconda scelta non esiste. Non su questa terra».
In Pirandello il gioco diventa, infatti, tra l’uomo e il personaggio. Scegliamo di essere
personaggio o uomini. Nasciamo personaggi e diventiamo uomini o viceversa? Ma tutto
diventa personale, ovvero vivo e morto dentro di noi.
«Aprire gli occhi su qualcosa è sempre una faccenda molto personale».(Castaneda)
Qui siamo realmente a Pirandello, perché tutto nasce dal Kaos personale e va,
comunque, oltre: «Io…sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà,
perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco
denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti (Agrigento), corruzione
dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos».
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Si ritorna, dunque, alla terra, alla madre. Ma è la terra-madre che ha fatto della cultura
sciamanica un sapersi guardare dentro e un viaggiarsi dentro oltre che un restarsi accanto.
Bisogna costantemente cercarsi anche nell’essere diversi. Restiamo viaggianti nell’unicità.
In questa visione è Castaneda che intavola un principio: «Guarda sempre l’uomo che sta
facendo il tiro alla fune con te. Non limitarti a tirare la tua estremità, alza lo sguardo e
guardalo negli occhi: solo così saprai che è un essere umano, esattamente come te».
Pirandello sembra aver suggerito: «Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa?
Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi,
attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni».
Si è senza finzioni, alla fine, perché la maschera della vita conta molto di più della vita in
maschera. Quell’estraneo che vive in noi, non vive distante, convive con noi. Una
antropologia dell’uomo è la vera misura di tutto ciò che non ha misura.
Pirandello non si pone il problema dell’altro da sé. Essendo uno scrittore circolare, abita
con la disarmonia labirintica il cerchio. Una metafora ben trasformata in una metafisica tra
l’io dello scrittore e il senso dell’io del personaggio. L’estraneo, così, diventa il proprio
convivente.
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