Bernhard Zimmermann, La commedia greca. Dalle origini all`età

Bernhard Zimmermann, La commedia greca. Dalle origini all’età
ellenistica, Carocci (collana «Frecce»), Roma 2010, pp. 230, € 21.00
ISBN 978-88-430-5406-0 (a cura di Vincenzo Blasi)
Fin dalla sua prima pubblicazione, a Düsseldorf nel
1998, il libro di Bernhard Zimmermann ottenne un
notevole successo e un consenso internazionale. Dalle
origini fino all’età ellenistica, traccia la storia della
commedia
greca,
dei
suoi
autori,
delle
rappresentazioni, nonché delle vicende politiche e
sociali entro cui nacque e si sviluppò. Questo lavoro,
curato e tradotto da Sotera Fornaro, docente di
Letteratura greca all’Università di Sassari, è stato
condotto sulla seconda edizione tedesca (Francoforte
2006), aggiornata ed arricchita da un’appendice
originale sulle testimonianze epigrafiche della
commedia greca, a cura di Daniela Summa. Risponde
certamente al bisogno di avere sul mercato editoriale
un’introduzione
esclusivamente
dedicata
alla
commedia greca che fosse scientificamente corretta ma non specialistica.
Bernhard Zimmermann, professore ordinario di Letteratura greca presso
l’università di Freiburg (in Brisgovia, Germania), è uno dei massimi specialisti del
teatro greco antico. Da anni si interessa della complessa questione dei generi letterari
nella Grecia arcaica e classica. Assieme alla precedente opera Die griechische
Tragödie: eine Einführung (La tragedia greca. Un’introduzione), pubblicata per la
prima volta nel 1986 e più volte ristampata, questo testo forma una coppia di strumenti
utili per chi volesse conoscere più da vicino gli autori drammatici greci, le loro opere e
il loro teatro. Agile nell’impianto e di godibile lettura, potrebbe beninteso trovare la sua
giusta collocazione nei corsi di studi degli atenei europei, soprattutto all’indomani della
recente riforma universitaria che, ampliando il pubblico degli appassionati del mondo
greco e romano, esprime il bisogno di strumenti nuovi che forniscano un quadro
d’insieme dei generi letterari e degli autori della letteratura antica, «di libri leggeri,
brevi, scientificamente fondati ma che non usino un linguaggio specialistico».
Come ammette lo stesso autore, è stato più semplice scrivere un’introduzione alla
tragedia – «sorella “nobile” della commedia» – che nella cultura moderna non ha mai
perduto d’interesse. La commedia greca invece non ha avuto la stessa fortuna tanto che
le è stato negato, per così dire, l’ingresso nel canone dell’educazione borghese. Da un
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lato l’opera di Aristofane, l’eccessiva presenza di allusioni storiche e politiche, l’utilizzo
di una lingua sperimentale; dall’altro lato le più misurate commedie di Menandro,
scoperte solo alla fine del XX secolo fra i papiri rinvenuti in Egitto, e la loro troppo
rapida identificazione con le opere latine di Plauto e Terenzio: tutti fattori che hanno
impedito alla commedia di contare su una ricezione paragonabile a quella della tragedia.
Il libro cerca dunque di colmare questa lacuna, e lo fa con intenti senz’altro divulgativi.
La trattazione del testo segue la cronologia tradizionale, nata probabilmente dagli
studi dei filologi alessandrini, che vede la commedia greca ripartita in tre fasi: “antica”,
“di mezzo” e “nuova”.
Il testo è suddiviso in cinque parti. Il lungo capitolo introduttivo affronta alcune
fondamentali questioni: i tortuosi percorsi della tradizione, attraverso i quali l’autore
cerca di spiegare il motivo della sproporzione tra il numero delle commedie messe in
scena nell’antichità e quelle conservatesi fino ai nostri giorni; i rapporti tra società e
commedia, indissolubilmente legati alle feste e agli agoni; i luoghi della
rappresentazione, la messa in scena e l’utilizzo di maschere e costumi.
Successivamente Zimmermann si sofferma sulla questione dell'origine della
commedia greca – i canti nei cortei festivi o quelli simposiali, le improvvisazioni
durante le antiche processioni falliche o la tradizione dorica – e poi delinea i momenti in
cui essa assurse a genere letterario, mostrando tutta la difficoltà di stabilire con esattezza
come siano andate veramente le cose. Soprattutto per la fase preletteraria – avverte
l’autore – si possono fare solo congetture. Non c’è niente di certo. Aristofane, ad
esempio, fu considerato fin dall’antichità il maestro della commedia antica, e questo
nonostante sia impossibile, alla luce dei fatti, determinare esattamente in che cosa
Aristofane superi gli altri commediografi di questo genere, a noi noti solamente
attraverso brevi frammenti e giudizi sporadici sulle loro opere.
Di seguito vengono esaminate la struttura del dramma – fondamentalmente
determinata dall’interazione tra coro e attori –, la metrica e le forme ritmiche, la musica
e la danza. Una felice sintesi da cui emerge chiaramente come un autore comico,
soprattutto quello del V secolo, potesse contare su «un repertorio fisso di forme e
strutture tradizionali». Tutti elementi per i quali, come per il testo, era totalmente
responsabile lo stesso commediografo, una specie di compositore e regista ante litteram.
Dopo questo lungo percorso, lo studioso tedesco entra nel merito dei drammi
tràditi di Aristofane, Menandro e di altri poeti della commedia “di mezzo” e “nuova”. E
qui la novità dell’impostazione salta subito agli occhi. Dei due maggiori commediografi
greci vengono analizzate le opere disposte non in successione cronologica ma per aree
tematiche. Scelta che naturalmente ha non poche conseguenze sulla definizione dei
caratteri e dello stile dei due autori.
I drammi di Aristofane, presentati con il supporto di numerosi passi antologici,
sono associati ad alcuni significativi soggetti della commedia antica – Guerra e pace;
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Satira, critica e politica; Aristofane e gli intellettuali; Nel luogo celeste della fantasia,
solo per dirne alcuni – che mutarono con il mutare delle condizioni politico-militari:
dallo splendore culturale e politico dell’Atene periclea, vissuto da Aristofane nella sua
giovinezza, al lento declino della democrazie ateniese durante la guerra del
Peloponneso, fino al definitivo crollo della pólis nel 404 a.C.
Con Menandro le cose cambiarono decisamente. Dopo il precoce debutto come
autore di commedie nel 325-324 a.C., perfezionò la sua arte sotto il commediografo
Alessi, ottenendo il suo primo successo nelle Lenee nel 322-321 o nel 321-320 a.C. Nei
suoi cinquant’anni di vita, Menandro ha lasciato un’ampia produzione di cui si
conoscono almeno 96 titoli delle 105 o 109 commedie a lui attribuite. Furono anni di
sconvolgimenti storici e di continui cambiamenti di governo che influirono su
Menandro in modo diverso rispetto a come le tormentate vicende della guerra del
Peloponneso incisero sulla commedia antica. Fondamentali nelle commedie di
Menandro diventano la Týche (il “Caso”), in grado di sconvolgere le vicende umane, e
lo spazio privato – come ben teorizzava la contemporanea filosofia epicurea –
all’interno del quale gli uomini sfuggono alle tensioni della politica. Ben diversi e meno
espliciti sono dunque i temi proposti per le sue commedie: Caratteri comici; La
difficoltà della comunicazione umana; Dal tipo comico al carattere.
Zimmermann pone spesso a confronto i due autori. Soffermandosi sulla struttura
delle commedie del V e del IV secolo, mette in risalto alcune differenze a livello sociopolitico e nelle dramatis personae. Se infatti nella commedia antica la considerazione
negativa della vita pubblica genera nel protagonista un progetto teso a superare, in
un’impresa utopistica, la miseria attuale, nella commedia nuova tutto si gioca in ambito
domestico: l’ordine di una famiglia “piccolo-borghese”, sconvolto dal comportamento
di un suo componente – generalmente un figlio che si è innamorato – deve essere
ripristinato. Ciò può avvenire attraverso un matrimonio, una separazione o la cosiddetta
anagnórisis, ossia il ritrovamento della vera identità.
Certo, passaggi come questo erano già preannunciati dalle ultime commedie di
Aristofane. Nelle Ecclesiazuse (Donne all’assemblea, 392), messe in scena in un una
fase politica in cui, dopo la guerra del Peloponneso, la situazione di Atene era disperata,
il commediografo aveva rinunciato quasi totalmente ai vecchi motivi per tentare strade
nuove. Il Pluto (388), per l’impoverimento delle parti corali – la parodo è l’unica parte
corale e non presenta alcun legame con l’azione, ma costituisce esclusivamente un
intermezzo – e per la mancanza della parabasi, già assente nelle Ecclesiazuse, viene
presentata come una commedia di transizione verso la commedia ellenistica di
Menandro. Non a caso il tema che raggruppa queste due commedie è Verso Utopia.
Alla fine del volume, nel capitolo Retrospettiva e prospettiva, la curatrice del
libro, Sotera Fornaro, traccia un panorama di storia della ricezione della commedia
greca fino al XX secolo. La critica letteraria antica, alla varietà dei registri e alla vis
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comica di Aristofane, preferì la compostezza e la carica morale di Menandro, il quale
tuttavia fu paradossalmente vittima del proprio successo: nell’Europa latina infatti
venne prontamente sostituito da Plauto e Terenzio, restando sconosciuto nella sua
grandezza fino alle già ricordate scoperte papiracee del XIX e XX secolo. Proprio
all’inizio del XIX secolo, grazie alla traduzione di alcune fra le commedie più
significative, come Acarnesi, Cavalieri, Nuvole, Uccelli, si impose un nuovo giudizio su
Aristofane che fu poi letteralmente riscoperto dopo la Seconda guerra mondiale. Messe
in scena e riadattate da alcuni registi, queste commedie rivelarono di volta in volta tutto
il loro potenziale propagandistico, la loro attualità storica e “politica”.
Il testo si conclude con un’appendice originale, curata da Daniela Summa,
ricercatrice all'Accademia delle Scienze di Berlino, sui documenti epigrafici della
commedia greca. Si tratta una serie di testimonianze di età classica, post-classica ed
ellenistica, rinvenute soprattutto ad Atene, patria assoluta luogo di origine e di fioritura
del teatro greco. Si va dai Cataloghi – Fasti, Didascalie, Cataloghi dei vincitori – alle
Dediche votive di vincitori e ai Decreti onorari sia in città che nei demi dell’Attica.
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