NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia Anno XXII - n. 65 Luglio - Settembre 2014 21 LUGLIO 1969: 45 ANNI FA IN PRIMO UOMO SULLA LUNA Alle 5.56, ora italiana, del 21 luglio 1969, l’astronauta americano Neil Armstrong posava il primo piede umano sul suolo lunare: “Questo è un piccolo passo per un uomo ma è un grande balzo per l’Umanità”. Molti di noi hanno ancora negli occhi il ricordo di quella notte commentata da Tito Stagno in una TV in bianco e nero! Testimonianza di quell’epica impresa sono le due immagini che vi proponiamo: quella di sinistra mostra una delle impronte la sciate dagli astronauti sul suolo lunare, quella di destra una ripresa effettuata nel 2012 dal Lunar Reconnaisance Orbiter a 24 km sul suolo lunare. In quest’ultima si può notare ciò che resta di quella storica missione: il Lunar Mobile (LM) e le sue tracce sulla superficie lunare fino al cratere, il primo sismografo lunare (PSEP Passive Seismic Experiment Package) e il Laser Ranging Retro Reflector (LRRR), utilizzato per effettuare misurazioni della distanza Terra-Luna. In questo numero LE LENTI GRAVITAZIONALI DA “EARTHRISE” A “LUNAR RECONNAISSANCE ORBITER” ESKIMO NEBULA (NGC 2392) UNA NOTTE IN OSSERVATORIO NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 2 5 8 10 1 LE LENTI GRAVITAZIONALI Il 25 novembre 1915 Albert Einstein presenta presso la Königlich-Preußische Akademie der Wissenschaften, l’Accademia delle Scienze Prussiana, quelle che sono oggi conosciute come le equazioni di campo di Einstein. Tali equazioni descrivono l’influenza della materia e della radiazione sulla geometria dello spazio-tempo. Nasce così la teoria della relatività generale. Fondamento di questa teoria è il principio di relatività generale che si può esprimere affermando che le leggi fisiche sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento. La teoria permetteva di spiegare diversi fenomeni osservati sperimentalmente, come la precessione del perielio dell’orbita di Mercurio. Secondo le leggi di Keplero ogni pianeta descrive, attorno al sole, un’orbita ellittica. Gli astronomi osservarono però che tali ellissi non sono fisse, ma ruotano attorno al fuoco. In tal modo il perielio cambia posizione ad ogni orbita di Mercurio. Il fenomeno era stato previsto anche da Newton, ma in modo meno marcato. Le previsioni di Einstein invece si accordarono perfettamente con le osservazioni sperimentali. La previsione della teoria della relatività che ci interessa maggiormente è invece la deviazione gravitazionale della luce. La possibilità che lo spazio-tempo possa produrre strani effetti ottici fu riconosciuta da Einstein addirittura nel 1912, quindi alcuni anni prima della presentazione delle sue teorie, ma egli non pubblicò queste sue annotazioni. L’azione gravitazionale di grandi concentrazioni di materia provoca una deviazione dei raggi di luce comportandosi come una lente convergente. La lente può essere costituita da un singolo oggetto massiccio, una stella o un buco nero, o da un sistema più complesso, una galassia o un ammasso di galassie. Anche se l’effetto può risultare più o meno marcato, il meccanismo di base resta lo stesso: la lente devia un fascio di luce. Il calcolo della deviazione subita dal raggio di luce è relativamente semplice. L’angolo θ di deviazione è infatti espresso dalla relazione dove G è la costante di gravitazione universale, M è la massa dell’oggetto massiccio (la lente), b è la distanza tra l’oggetto e la traiettoria nel punto di massimo avvicinamento e c è la velocità della luce nel vuoto. NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 2 Nella primavera del 1919 furono organizzate due diverse spedizioni britanniche per osservare l’eclisse del 29 maggio. L’eclissi presentava un’occasione unica di misura della deviazione dei raggi di luce perché il sole oscurato avrebbe avuto come sfondo l’ammasso delle Iadi. La prima spedizione, guidata dal Sir Arthur Eddington, si diresse verso l’isola Principe, al largo della costa africana occidentale. La seconda spedizione, coordinata da Andrew Crommelin, ebbe come meta la cittadina di Sobral, nel nord-est del Brasile. Per le due spedizioni furono preparati due tubi d’acciaio smontabili e adatti ad obiettivi astrografici di 3,43 m di lunghezza focale e 25 cm di diametro. Le due spedizioni dovettero affrontare diversi problemi. Le condizioni meteorologiche nell’isola Principe furono pessime; fortunatamente ci fu una breve schiarita proprio al termine dell’eclisse che permise di scattare qualche foto. In Brasile le variazioni di temperatura compromisero il corretto funzionamento dello strumento principale. Gli astronomi ricorsero ad un piccolo telescopio di riserva da 4 pollici che diede buoni risultati. Gli astronomi a Sobral e a Principe realizzarono fotografie nelle quali era visibile una decina di stelle circa accanto al disco oscurato del sole: era la prima immagine delle Iadi viste attraverso la lente gravitazionale del sole. Le immagini furono comparate con immagini dello stesso gruppo di stelle riprese durante la notte ed il confronto mostrò che la posizione apparente delle stelle era effettivamente diversa. I risultati pubblicati da Sir Arthur Eddington concordavano entro un margine d’errore del 20% con il valore di 1,74 secondi d’arco previsti da Einstein. Misure più recenti hanno confermato la previsione di Einstein con un margine d’errore inferiore all’1%. Nel 1924 O. Chwolson notò il possibile effetto di produzione di stelle doppie fittizie e addirittura di anelli luminosi che una lente gravitazionale avrebbe avuto su un oggetto lontano. Nel 1936 Einstein pubblicò un articolo su Science in cui descrisse l’effetto lente prodotto da una stella su un’altra. In tale articolo Einstein descrive lo sdoppiamento di immagini e la formazione di un anello attorno alla lente (tale anello è oggi noto con il nome di anello di Einstein). Lo scienziato, tuttavia, considerava il fenomeno come un “effetto oltremodo curioso” e di nessuna utilità pratica. L’astronomo svizzero Fritz Zwicky, dopo aver letto l’articolo di Einstein, comprese subito l’importanza del fenomeno facendo notare che l’effetto lente poteva non solo fornire ulteriori conferme sperimentali alla teoria della relatività generale, ma permetteva di estendere la portata dei telescopi a galassie remore e di determinare in modo più diretto la massa delle galassie. Il 29 marzo 1980 i due astronomi Dennis Walsh e Bob Carswell scoprirono il primo fenomeno di sdoppiamento fotografando il quasar doppio 0957+561 A/B e dopo accurate analisi spettrali conclusero che si trattava in realtà di un singolo quasar sdoppiato dall’effetto lente prodotto da una galassia. Immagine del quasar doppio 0957+561 A/B Nel 1987 Jacqueline Hewitt e collaboratori, del MIT, utilizzando il radiotelescopio Very Large Array, individuarono il primo anello di Einstein. La sorgente lontana è una galassia molto brillante alle lunghezze d’onda radio. La lente è costituita da una galassia più vicina. Il primo anello completo, B1938+666, fu scoperto nel 1998 con il telescopio spaziale Hubble. NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 3 Immagine del primo anello di Einstein individuato (MG1131+0456) con il VLA. Attualmente si conoscono centinaia di lenti gravitazionali e circa mezza dozzina di queste costituiscono anelli di Einstein. Immagini di lenti gravitazionali riprese dal telescopio spaziale Hubble Questo contributo è stato scritto da Vladimiro Giacomello ([email protected]) NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 4 DA “EARTHRISE” AL “LUNAR RECONNAISSANCE ORBITER” L’immagine della terra vista nello spazio mentre sorge sul profilo lunare, nota come “Earthrise”, fa ormai parte della nostra vita quotidiana e come per tutte le cose a cui siamo abituati forse non riusciamo ad apprezzarla per il valore che ha. Pochi sanno, infatti, che rappresenta la prima immagine a colori della Terra che si staglia nello spazio e per capirne l’importanza bisognerebbe provare a immaginarsi all’interno del modulo dell’Apollo 8 la mattina della vigilia di Natale del 1968, quando davanti agli occhi di Frank Borman, James Lovell e William Anders si presenta la visione fantastica del nostro pianeta che sorge dal profilo lunare. “Earthrise”, foto ripresa il 24/12/1968 “Avevamo speso tutto quel tempo sulla Terra ad esercitarci su come studiare la Luna, come andare sulla Luna: era tutto orientato verso la Luna”, ricorda Anders, “e quando poi alzai gli occhi e vidi la Terra arrivare dietro quel nitido orizzonte lunare, una Terra che era l’unica cosa colorata visibile, una Terra che appariva molto fragile, delicata, fui subito sopraffatto dal pensiero che eravamo tutti concentrati sulla Luna quando la cosa più importante che stavamo vedendo era il nostro stesso pianeta, la Terra”. Queste sono invece le parole di Borman: “eravamo i primi umani a vedere il mondo nella sua maestosa totalità, un’esperienza emotivamente intensa per ciascuno di noi. Non dicemmo nulla l’uno all’altro, ma sono sicuro che i nostri pensieri fossero identici. Le nostre famiglie su quel globo rotante. E forse condividemmo un altro pensiero che ebbi allora … questo deve essere ciò che vede Dio”. Così a circa 385.000 km da casa gli astronauti cominciano a scattare una serie di foto con le Hasselblad presenti a bordo, dapprima in bianco e nero e quindi a colori. “Earthrise” acquisì subito popolarità tra la gente comune e diventò una delle icone di quel periodo, tanto da essere successivamente considerata come una delle 100 fotografie che hanno cambiato il Mondo. Utilizzando le parole di Ernie Wright, capo progetto dello Scientific Visualization Studio del Goddard Space Flight Center della NASA, “Earthrise ha avuto un profondo impatto sulla nostra visione del nostro pianeta, diventando ben presto un icona del movimento ambientalista”. Nel dicembre 2013 la NASA ha deciso di elaborare un video che fosse in grado di ricostruire quei momenti, in modo da permettere a tutti di viaggiare virtualmente assieme agli astronauti per provare a rivivere quei momenti. Il filmato, disponibile su www.nasa.gov digitando “Earthrise: The 45th Anniversary”, contiene anche i dialoghi degli astronauti, di cui vi propongo la traduzione italiana tratta da http://attivissimo.blogspot.it/: Borman: Bene, stiamo per effettuare il rollio. Pronti... Attenti... Anders: Il cratere d'impatto con, uhm, al, um, appena prima del punto subsolare sul lato sud, sul fondo, uhm [inudibile] c'è un foro scuro. Ma non sono riuscito a guardarlo abbastanza rapidamente per vedere se poteva essere qualcosa di vulcanico. NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 5 Anders: Oddio, guarda quell'immagine laggiù! C'è la Terra che sorge. Wow, quant'è bella! Borman: Ehi, non riprenderla, non è nel programma. [clic dell'otturatore] Anders: Hai della pellicola a colori, Jim? Dammi un rullino a colori, veloce, ti dispiace? Lovell: Oh, gente, è magnifica. Anders: Sbrigati. Lovell: Dov'è? Anders: Svelto. Lovell: Qui in basso? Anders: Prendimene uno a colori e basta. A colori per esterno. Spicciati. Ce l'hai? Lovell: Sì, ne sto cercando uno. Anders: Uno qualsiasi. Veloce. Lovell: Ecco. Anders: Beh, penso che l'abbiamo persa. Lovell: Ehi, ce l'ho proprio qui [nel finestrino del portello]. Anders: Fammi fare la foto da questo [finestrino], è molto più limpido. Lovell: Bill, l'ho inquadrata, è molto nitida qui! [clic dell'otturatore] Lovell: Presa? Anders: Sì. Lovell: Fanne tante, fanne tante! Qua, dalla a me! Anders: Aspetta un momento, lasciami trovare la regolazione giusta, adesso. Calmati. Lovell: Prendi Anders: Calmati, Lovell! Lovell: Beh, l'ho fatta giusta – oh, che foto bellissima... 1/250" a f/11. [clic dell'otturatore] Anders: OK. Lovell: Ora cambia leggermente l'esposizione. Anders: L'ho fatto, ne ho scattate due qui. Lovell: Sicuro di averla presa adesso? Anders: Sì, prenderemo – beh, sorgerà di nuovo, penso. Per realizzare la ricostruzione di tali scenari sono stati utilizzati i dati più attuali del LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter http://lunar.gsfc.nasa.gov/), che hanno permesso di migliorare nei dettagli le precedenti visualizzazioni. Ernie Wright, responsabile del progetto, descrive con puntualità il lavoro svolto: “la visualizzazione ci dice non solo in quale momento la foto è stata scattata ma anche esattamente come era orientata la capsula e da quale finestrino ogni foto è stata realizzata. Inoltre si tratta della prima volta che vediamo un video sincronizzato con l’audio di bordo registrato dagli astronauti”. “Per trovare la corrispondenza delle fotografie dell’Apollo con il terreno lunare”, prosegue Wright, “era necessaria una precisione e completezza che penso solo i dati del LRO potevano fornire […]. Ho lavorato ad un livello di dettaglio che ha richiesto la risoluzione di 100 metri con una registrazione perfetta. Abbiamo guadagnato un nuovo apprezzamento per la cura con la quale gli scienziati di LRO hanno sfornato questi dati che ci hanno permesso di avere una telecamera virtuale e l’abbiamo sovrapposta alle fotografie di Apollo. La chiave di questo nuovo lavoro è una serie di fotografie stereo verticali prese da Apollo 8”. E’ ancora Wright a precisare altri aspetti: “Una fotocamera era montata sulla finestra dei rendezvous e puntava direttamente verso il basso, verso la superficie lunare. Questa macchina scattava una foto ogni 20 secondi. Quando il veicolo spaziale ruotava anche le immagini lo facevano. Mettendo a registro ogni foto con il modello del terreno ottenuto dai dati di LRO, siamo stati in grado di bloccare la rotazione del veicolo spaziale”. Successivamente, per rendere il più fedele possibile la simulazione, sono state impiegate altre informazioni sulla missione Apollo 8, come le voci registrate di bordo, i dati e le proprietà ottiche e le montature delle macchine fotografiche Hasselblad, le dimensioni e gli angoli dei finestrini del modulo di comando di Apollo 8, una mappa globale delle nubi della Terra ottenuta dal satellite Environmental Science Services Administration 7 nel giorno in cui venne scattata “Earthrise” e le posizioni e orientamenti della Luna, della Terra, del Sole e del veicolo spaziale. “L’immersione in questa missione mi ha permesso di immaginare di essere assieme agli astronauti”, sono sempre parole di Wright. “Per qualcuno vecchio abbastanza da ricordare Apollo, è stato un vero divertimento riviverlo in questo modo, con una comprensione matura di quello che il programma ha realizzato. Questo mi ha anche evidenziato quanto resta da imparare dal nostro vicino più prossimo nello spazio”. “I rapporti a terra ed i testimoni oculari di Apollo vengono ora inseriti in un ambito scientifico con la valanga di dati moderni ottenuti da LRO. Stiamo imparando cose che NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 6 stanno cambiando le nostre idee sulla storia del Sistema Solare. Ho avuto l’onore di incontrare Bill Anders dopo che avevamo rilasciato la prima visualizzazione Earthrise, e lo abbiamo tenuto informato anche di questo lavoro. E’ stato anche molto divertente collaborare con gli altri che hanno lo stesso entusiasmo per Apollo, non ultimo di questi era lo storico spaziale Andy Chaikin, che ha raccontato il video e lo scienziato del progetto LRO al Goddard, Noah Petro, che ci ha aiutato come consulente tecnico”. La terra vicina al bordo lunare ripresa dalla Wide Angle Camera (WAC) del Lunar Reconnaissance Orbiter che sperimenta 12 “earthrise” al giorno. La foto è dell’1/2/2014. Da parte sua Noah Petro ha quindi aggiunto: “Il video è stato creato perché con LRO abbiamo, per la prima volta, i dati di alta precisione, sia i dati delle immagini che la topografia della superficie lunare, che ci permettono di ricreare fedelmente ciò che gli astronauti hanno visto dall’orbita. L’evento Earthrise di Apollo 8 è servito come punto di svolta nella nostra esplorazione dello spazio, e per ricreare quel momento e l’esperienza come solo tre persone hanno sperimentato, è stato emozionante. Scientificamente, i dati di LRO sono stati utilizzati per cambiare radicalmente la nostra comprensione della Luna”. La simulazione è stata finanziata direttamente con i fondi del progetto LRO, che Lanciato il 18 giugno 2009 continuerà a inviare nuovi dati lunari fino all’ottobre 2014, con la possibilità di poter operare per ulteriori due anni. Ironia della sorte, contestualmente alla pubblicizzazione dell’iniziativa è anche giunta la notizia che la prima foto in assoluto di un “Earthrise”, scattata dalla sonda Lunar Orbiter 1 nel 1966 e restaurata e migliorata grazie al progetto Lunar Orbiter Image Recovery nel 2008, è stata protagonista di un esperimento di trasmissione dati effettuato con un nuovo sistema di comunicazione laser a bordo della sonda LADEE (Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer) della NASA. Il primo earthrise riprese dal Lunar Orbiter 1 nel 1966 Questo contributo è stato scritto da Stefano Zanut ([email protected]) NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 7 ESKIMO NEBULA (NGC 2392) La nebulosa “Eskimo”, classificata con la sigla NGC 2392, è una delle nebulose planetarie più belle dell’emisfero boreale. Si trova nella costellazione dei Gemelli, e dista 5000 anni luce dalla Terra. Cartina stellare per identificare la collocazione della nebulosa “Eskimo”. Le immagini ottenute con il Newton da 400 mm dell’osservatorio di Montereale Valcellina lo scorso novembre, mostrano qualche dettaglio, grazie alla focale di due metri. L’elevata luminosità superficiale dell’oggetto consente l’effettuazione di pose relativamente brevi. In questo caso, sono stati sufficienti appena 10 secondi di posa. Le diverse intensità nella saturazione della nebulosa sono state ottenute in postelaborazione, agendo sul contrasto dell’immagine. Immagini della nebulosa “Eskimo” riprese dall’Osservatorio di Montereale Valcellina. L’immagine in alta risoluzione della nebulosa riportata nella pagina seguente, è una ripresa dall’HST (Hubble Space Telescope). Segue la traduzione delle note descrittive riportate nel sito web dell’Ubble Space Telescope (http://hubblesite.org/). “Nella sua prima occhiata dei cieli, in seguito alla fortunata missione di servizio del dicembre 1999, l’HST della Nasa ha catturato un’immagine maestosa di una nebulosa planetaria, i resti fiammeggianti di una stella morente, simile al Sole. Questo relitto cosmico, per primo osservato da William Herschel nel 1787, è soprannominata Nebulosa “Eskimo” perché, quando osservata con telescopi a terra, ricorda un volto circondato da un cappuccio di pelliccia. In questa immagine del telescopio Hubble, il “cappuccio” è in realtà un disco di materia arricchito con un anello di oggetti a forma di cometa, con le code fluttuanti dalla stella centrale morente. Anche la “faccia” dell’eschimese contiene dettagli suggestivi. Sebbene questa regione centrale ricordi un gomitolo, essa in realtà una bolla di materia NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 8 espulsa nello spazio dall’intenso “vento” ad alta velocità della stella centrale. La nebulosa planetaria cominciò a formarsi circa 10.000 anni fa, quando la stella morente cominciò ad espellere materia nello spazio. La nebulosa è composta di due lobi di forma ellittica, con materia che fluisce sopra e sotto la stella morente. Nell’immagine, una bolla giace di fronte all’altra, oscurando parte del secondo lobo. Gli scienziati pensano che un anello di materiale denso attorno all’equatore della stella, espulso durante la sua fase di gigante rossa, abbia determinato la forma della nebulosa. Questa densa ciambella di materia … a 115.000 km/h, evitando che venti stellari ad alta velocità spingano materia lungo l’equatore. Invece, venti da 1.5 milioni di km l’ora sfiorano il materiale sopra e sotto la stella, creando le bolle allungate. Le bolle non sono lisce come palloncini, ma hanno filamenti di materia più densa. Ogni bolla è lunga circa un anno luce, e larga mezzo a.l.. Gli scenziati sono ancora perplessi sull’origine delle formazioni a forma di cometa visibili nel “parka”. Una possibile spiegazione è che questi oggetti si siano formati da una collisione di gas in lento e veloce movimento. La nebulosa eskimo dista dalla Terra circa 5.000 anni luce, nella costellazione dei Gemelli. L’immagine è stata presa il 10 e 11 gennaio 2000, con la Wide Field and Planetary Camera 2 dell’HST. I gas della nebulosa producono i colori visibili nell’immagine: azoto (rosso), idrogeno (verde), ossigeno (blu), elio (violetto).” Immagine della nebulosa “Eskimo” ripresa il 10 e 11 gennaio 2000 con la Wide Field and Planetary Camera 2 dell’HST. Questo contributo è stato scritto da Dino Abate ([email protected]) NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 9 UNA NOTTE IN OSSERVATORIO Dopo un periodo di nuvolo e temporali, la notte del 3 luglio è stata eccezionale e il cielo dell’Osservatorio era letteralmente ricoperto di stelle, la Via Lattea si stagliava nettamente sullo sfondo ed erano visibili stelle molto basse sull’orizzonte. Risultavano infatti completamente visibili costellazioni come lo Scorpione e il Sagittario; dello Scorpione, in particolare, si potevano chiaramente vedere stelle molto “basse” come λ (Shaula) e υ (Lesath), le stelle che nella figura mitologica dell’artropode rappresenta il pungiglione. Vicino a queste risultavano ben visibili con un semplice binocolo 7x50, a disposizione in quel momento, due ammassi aperti catalogati da Messier come M6 e M7. Ma l’osservazione al telescopio è stata indirizzata verso due ammassi globulari (M3 ed M13) e Saturno, splendente a quell’ora ma non troppo alto sull’orizzonte imponendo una scelta di strumento ed ingrandimento tale da non comprometterne la visione. M3 si trova nella costellazione dei Cani da Caccia mentre M13 in Ercole e sono stati osservati con il riflettore catadiottrico da 254 mm ed il rifrattore da 150 mm, due strumenti che restituivano immagini molto diverse tra loro. Per la tipologia di oggetto, in particolare, quella attraverso il rifrattore risultava più nitida e stagliata sullo sfondo, mentre il riflettore offriva una collocazione dell’oggetto in un contesto certamente più ampio e luminoso, ma la struttura degli ammassi globulari risultava indubbiamente più definita nel rifrattore. M13 in una immagine tratta da www.apaweb.it e ripresa con un telescopio Schmidt Newton da 200 mm, F4, da Dino Abate. L’attenzione si è poi indirizzata verso Saturno con il rifrattore da 150 mm ed oculari con lunghezza focale sempre più piccola per aumentare l’ingrandimento. In questo caso il limite considerato è stato un oculare da 10 mm (225 ingrandimenti), mentre l’immagine che restituiva il 6 mm non soddisfaceva certamente l’osservazione. In ogni caso alcuni aspetti caratteristici del pianeta erano ben riconoscibili, come la divisione di Cassini, l’ombra del pianeta sugli anelli e alcuni aspetti dell’atmosfera del pianeta. Inoltre erano chiaramente visibili due lune, come Titano e Rea. Dopo circa tre ore di osservazioni e aver chiuso l’osservatorio, ci siamo soffermati all’aperto a guardare il cielo ad occhio nudo e con il binocolo, centrando l’attenzione sul complesso nebulare Velo e la Nord America, nella costellazione del Cigno. Entrambi oggetti evanescenti difficilmente visibili, ma il cielo eccezionale della serata e l’utilizzo di appositi filtri nebulari accoppiati a un ottimo binocolo 7x50 ci ha permesso di percepirli con molta chiarezza, destando un’indubbia emozione, coronamento di una serata osservativa particolarmente positiva. Collocazione del complesso nebulare Velo e della Nord America nel contesto della costellazione del Cigno. Così mentre a notte fonda … fondissima! … e mentre Andromeda era già sorta tanto da rendere visibile anche ad occhio nudo la galassia M31, abbiamo dovuto abbandonare quello spettacolo. (Le osservazioni raccontate sono state condotte da Dino, Stefano e Vladimiro) NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 10 ASSOCIAZIONE PORDENONESE DI ASTRONOMIA Inviare corrispondenza al seguente indirizzo: Associazione Pordenonese di Astronomia (A.P.A.) c/o Ditta "CAMU", Via Grandi n. 4 33170 PORDENONE (PN) (Quota annua di iscrizione: € 25,00) www.apaweb.it IL DIRETTIVO DELL’ASSOCIAZIONE PER IL BIENNIO 2012 - 2014 1. PRESIDENTE: Giampaolo Carrozzi 2. VICE PRESIDENTE: Stefano Zanut 3. SEGRETARIO E RESPONSABILE OSSERVATORIO: Dino Abate 4. MEMBRI: - Andrea Berzuini - Luigi De Giusti - Antonio Frisina - Vanzella Piermilo LO SCOPO DEL NOSTRO NOTIZIARIO Nel corso della storia dell’umanità, la ricerca e il desiderio di sapere hanno condotto, attraverso varie strade, l’uomo a conoscere sempre meglio la natura nelle sue molteplici espressioni. L’ASTRONOMIA, intesa come studio dell’Universo che ci circonda, si può considerare una delle più affascinanti e coinvolgenti. Per mezzo di questo NOTIZIARIO l’A.P.A. si propone di estendere le conoscenze di questa affascinante scienza ai soci e simpatizzanti. Hanno collaborata alla realizzazione di questo numero: - Dino Abate - Vladimiro Giacomello - Stefano Zanut NOTIZIARIO dell’Associazione Pordenonese di Astronomia 11