L’EPIDEMIA DI MIXOMATOSI
FACILE DIFENDERE I CONIGLI SE L’ALLEVAMENTO È RAZIONALE
In grave pericolo invece gli animali che vengono lasciati liberi di girare in campagna e di
entrare nei fienili
Dal quotidiano «Corriere della sera», venerdì 30 agosto 1957
La mixomatosi, la malattia che fa strage nei conigli, tanto selvatici quanto domestici, è
comparsa nuovamente in Italia, dopo quattro anni di assenza, ed in maniera preoccupante.
L’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica ha subito provveduto a richiamare in
vigore i decreti del 5 e del 6 novembre 1953, riguardanti l’importazione dei leporidi agli effetti
della profilassi contro la mixomatosi del coniglio. Essi consistono specialmente nel divieto di
importare e trasportare conigli selvatici, conigli domestici e lepri, le loro carcasse e pelli
fresche o secche non conciate provenienti da qualsiasi paese.
Naturalmente il divieto è oggi esteso alle province confinanti con quelle infette che
sembrano essere, in Toscana, quelle che attorniano la provincia di Pisa, mentre l’area di
diffusione in Piemonte non sembra ancora delimitata con esattezza.
Il prof. Francesco Maiocco, direttore dell’Istituto nazionale di coniglicoltura di Alessandria
nonché propagandista dell’allevamento del coniglio, ha gettato un grido di allarme ed è giunto
a consigliare la macellazione in massa degli stessi conigli sani in tutte le località dove la
malattia potrebbe diffondersi da un momento all’altro. Si tratta in sostanza di togliere al
mortifero virus il materiale su cui esso può attecchire e di costituire in tal modo un’ampia
cintura protettiva intorno alle zone sicuramente immuni dalla malattia.
Questa, riconoscibile per gli edemi alle palpebre gocciolanti e ad altre parti del corpo, per la
diminuzione della vista e per il passo barcollante ed incerto, è infatti sostenuta da un virus che
fu identificato nel 1898 da Giuseppe Sanarelli a Montevideo.
Singolare equivoco
Il Sanarelli aveva notato che i conigli americani (Sylvilagus) erano immuni da mixomatosi,
mentre i conigli europei si infettano e muoiono con grande facilità in seguito a questa
infezione. Più tardi, nel 1942, il brasiliano Agarao credette di trovare che l’immunità dei conigli
americani non sia congenita ma acquisita, perché il virus della mixomatosi provoca in essi
soltanto un tumoretto locale che successivamente regredisce, lasciando una immunità
permanente.
Qui siamo di fronte ad un equivoco, causato dallo scarso rilievo che si suol dare, anche da
medici, alle differenze sistematiche. I conigli americani o lepri di bosco non sono veri conigli,
ma animali intermedi fra le lepri, che sembrano immuni di fronte ai virus in questione, ed i veri
conigli. Questi ultimi sono gregari e vivono entro tane scavate da loro stessi e dove
partoriscono e allevano la prole. Le lepri di bosco americane, oltre che differire dai conigli per
talune particolarità strutturali, ne differiscono altresì per le loro abitudini, consistenti nel non
scavare tane. I Sylvilagus partoriscono nelle cavità degli alberi o dentro tane già scavate da altri
animali: la loro immunità non è dunque acquisita, ma congenita, in quanto il virus determina in
essi un tumorello benigno e non una malattia mortale. È possibile che da questi animali si
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possa ricavare un vaccino immunizzante i conigli europei. Non lo affermo, ma penso che
l’esperimento varrebbe la pena di essere tentato.
Vedo in questo comportamento delle lepri di bosco americane qualche cosa di analogo a
quanto accade nei rapporti tra fillossera e vite americana. Questa non è immune dagli attacchi
della fillossera, ma reagisce con la formazione di un tessuto cicatrizio che isola la ferita
prodotta dall’insetto e impedisce l’entrata in circolo di quei batteri che si sviluppano nella
ferita prodotta sulla vite europea e determina inoltre altri fenomeni che sarebbe troppo lungo
elencare.
La mixomatosi è stata di grande beneficio per l’agricoltura e la pastorizia in Australia; la
moltiplicazione dei conigli europei in quel continente aveva provocato danni incalcolabili
all’agricoltura, rompendo l’equilibrio naturale tra vegetazione e animali erbivori, a tutto
svantaggio della prima ed aveva determinato insufficienza di cibo per gli erbivori come i
canguri selvatici e le pecore domestiche produttrici di lana. La mixomatosi ha dunque agito in
Australia come, alla fine del secolo scorso, i numerosi virus usati in Europa per la distruzione
delle arvicole e degli altri topi campagnoli. Ma come per le mosche resistenti al D.D.T., anche
in Australia si sono formate stirpi resistenti alla mixomatosi; tuttavia un certo equilibrio fra
conigli e vegetazione sembra che si sia stabilito.
La malattia in Italia
Un agricoltore francese, venuto a conoscenza dei risultati favorevoli all’agricoltura in
genere ed alla produzione foraggera, ottenuti in Australia con la diffusione della mixomatosi,
introdusse, mediante la collaborazione del prof. Delille, la malattia nella sua proprietà,
ottenendo il vantaggio agricolo desiderato, ma diffondendo tutto intorno l’epidemia. Questo
fatto provocò innanzi tutto la violenta reazione dei cacciatori francesi, che trovavano nel
coniglio il selvatico preferito e più abbondante; successivamente quella dei coniglicoltori,
quando la malattia aggredì i conigli domestici.
In Italia l’epidemia si manifestò per la prima volta nel settembre 1953 nella tenuta, allora
demaniale, di San Rossore. Non si è potuto accertare come vi sia pervenuta. È probabile che la
responsabilità spetti a trasporti militari provenienti dalla Francia infetta; taluno ha pensato che
i responsabili siano stati uccelli acquatici migratori, cosa che io escluderei per un complesso di
ragioni ecologiche troppo lunghe da esporre. Poiché il virus si trasmette anche per semplice
contatto, non è da escludere che starne e pernici, magari anche lepri, provenienti dall’Olanda o
dalla Germania, dove esistono località contagiate, possano avere una certa responsabilità. È
anche possibile che questa vada, in parte, attribuita a corvi o ad insetti frequentatori di
cadaveri.
Dalla distruzione dei conigli selvatici nel nostro paese non mi preoccuperei troppo, perché
questi animali arrecano danni ingenti all’agricoltura. Bisogna peraltro salvare l’allevamento
delle razze domestiche, che ha grande importanza economica ed alimentare nel nostro paese.
La cosa non è troppo difficile per chi pratica l’allevamento in modo razionale e col sistema
cellulare. Si troveranno invece in grave pericolo ed imbarazzo quei contadini che allevano
conigli in piena libertà ovvero nei fienili, dove il coniglio insudicia e consuma quel foraggio che
sarebbe destinato ai bovini.
ALESSANDRO GHIGI
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