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Unità 7
Specie aliene
Gli ecosistemi naturali si basano su equilibri estremamente delicati: l’introduzione, da parte dell’uomo, di
specie alloctone (dette anche aliene o esotiche) ha prodotto spesso gravi danni. Questo perché le specie aliene
spesso sono infestanti: si riproducono in modo incontrollato, provocano danni all’ambiente e causano l’estinzione
delle specie autoctone (o indigene).
Uno degli esempi più clamorosi di sconvolgimento degli
equilibri ecologici riguarda l’Australia, dove la flora e la
fauna sono molto diverse da quelle presenti negli altri
continenti. Nel 1859, un proprietario terriero di origini
inglesi, Thomas Austin, introdusse nella sua fattoria 29
conigli importati dall’Europa. Forse alcuni di essi fuggirono dall’allevamento, oppure vennero liberati per la
caccia: fu l’inizio di una catastrofe. A causa dell’assoluta mancanza di predatori, negli anni successivi i conigli
si riprodussero senza alcun limite e invasero tutta l’Australia meridionale. Nel 1890, il loro numero aveva raggiunto i 20 milioni. Rosicchiando l’erba fino alle radici
e scorticando i cespugli, trasformarono i pascoli in deserti e misero seriamente in pericolo la sopravvivenza
dell’intero patrimonio ovino di ampie regioni del continente. Un esercito devastatore che non si lasciò fermare né dai reticolati né dal veleno e che si dimostrò più
forte delle migliaia di predatori (furetti, donnole, volpi e
serpenti) introdotti nel Paese per arginare il fenomeno.
Furono organizzate vaste battute di caccia durante le
quali i conigli venivano uccisi a migliaia, ma essi continuarono a moltiplicarsi, attraversando i deserti dell’interno e spingendosi verso l’Australia Occidentale. Qui
si cercò di fermarli con una siepe di filo spinato lunga
oltre 3200 km ( A), ma fu vano, poiché essi superarono anche questa barriera.
L’esercito dei roditori aumentò nel corso del ‘900 sino
a quasi 800 milioni di unità: i conigli erano diventati padroni dell’Australia, e lo sarebbero ancor oggi, se non si
fosse riusciti a infettarli con il virus della mixomatosi, una
malattia letale per quegli animali. A partire dal 1950, ai
conigli catturati veniva iniettato il virus e poi venivano
rimessi in libertà. Successivamente si utilizzarono, per
diffondere più rapidamente la malattia, le zanzare e alcuni parassiti come pulci, pidocchi e acari.
L’epidemia decimò i conigli, ma si trattò di un successo
A Un’immagine del 1927: la rete di protezione che doveva
impedire ai conigli di diffondersi.
parziale. Negli anni che seguirono, il virus si modificò,
originando un ceppo meno letale; oltre a ciò, i conigli
sopravvissuti (e i loro discendenti) erano più resistenti
alla malattia. Oggi il virus uccide solo il 40% degli animali: per questo motivo le autorità hanno introdotto,
a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, nuovi virus
come l’RHD (Rabbit Haemorrhagic Disease) e il calicivirus, con risultati incoraggianti ma non risolutivi (si valuta che, attualmente, i conigli australiani siano ancora
200-300 milioni).
Quello dei conigli non è un caso isolato: in Australia, effetti nefasti sull’ecosistema si sono avuti anche in seguito
all’introduzione di cammelli, asini, gatti ed altri animali
alieni da parte dei coloni inglesi, mentre nelle Americhe
danni ecologici ingenti sono stati prodotti dall’introduzione di maiali, capre e pecore ad opera degli spagnoli.
In Europa, e in Italia in particolare, sono molte le specie
introdotte più o meno consapevolmente che hanno causato seri danni. Tra i vegetali citiamo il fico d’India (Opuntia ficus-indica), originario del Centro America, che ha colonizzato diversi habitat a scapito delle specie indigene:
il carattere infestante della specie, che tende a sostituire
la flora autoctona, ha messo in allerta alcune regioni italiane, come la Toscana, dove una legge regionale ne vieta
espressamente l’uso per il rinverdimento, la riforestazione e il consolidamento dei terreni. Ancora più infestante
si è rivelata la Robinia (Robinia pseudoacacia), originaria
del Nord America, che cresce rapidamente in prossimità
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B La Robinia pseudoacacia.
La nutria (Myocastor coypus), roditore di grossa taglia, è
stata importata dal Sud America in Europa come animale
da pelliccia a partire dagli anni ‘20 del secolo scorso; a
seguito di fughe e rilasci volontari, la specie si è diffusa
nel nord e nel centro dell’Italia, formando popolazioni
selvatiche in prossimità di fiumi, canali, laghi e paludi. Le
nutrie producono gravi danni alla vegetazione acquatica
e, a volte, alle coltivazioni di mais, frumento, riso e barbabietola. Possono anche mettere a rischio, scavando tane,
la stabilità degli argini dei corsi d’acqua.
La grossa rana toro (Lithobates catesbeianus) è stata
introdotta a scopo alimentare in Italia negli anni ‘30 del
secolo scorso: in seguito alla fuga di alcuni esemplari dagli allevamenti si è diffusa in tutta la Pianura Padana, nei
pressi di bacini artificiali e di stagni, entrando in competizione con varie specie autoctone di anfibi ( E).
Il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii) rap-
C La Caulerpa taxifolia. Sullo sfondo, la Posidonia,
autoctona del mar Mediterraneo.
di corsi d’acqua: nel nord dell’Italia ha soppiantato piante
indigene come castagni e faggi, riducendo la biodiversità
delle zone boschive ( B).
Anche i nostri mari hanno subito «attacchi alieni». Molto
invasiva si è dimostrata un’alga verde tropicale, la Caulerpa taxifolia ( C), soprannominata alga killer. Importata in Europa per adornare gli acquari, si è insediata nel
Mediterraneo a partire dal 1984, quando fu individuata
nelle acque antistanti il museo oceanografico di Monaco.
Invade i fondali a danno delle altre alghe e della Posidonia, una pianta acquatica che forma praterie sottomarine
ricche di vita animale.
Numerosi sono anche gli esempi di «invasori» animali.
Lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) è originario
del Nord America: ne venne introdotta una coppia in Piemonte nel 1948 e da allora si è diffuso dal Piemonte alla
Liguria, soppiantando lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris) grazie alla maggiore capacità nel riprodursi e nello
sfruttare le risorse disponibili ( D).
D Lo scoiattolo grigio.
E La rana toro.
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presenta una gravissima minaccia per i gamberi nostrani poiché, oltre a essere un competitore molto vorace,
è portatore sano della peste del gambero ( F). Queste
caratteristiche gli hanno valso il nome di gambero killer.
Nelle regioni centro-settentrionali d’Italia, la sua espansione è cominciata a partire dagli anni ‘90 del secolo
scorso, dopo essere stato importato come gambero
d’allevamento.
Tra i numerosi pesci introdotti nelle nostre acque dolci
nel corso del ‘900 (storione bianco, carpa erbivora, pesce gatto, spinarello, trota iridea ecc.), l’esemplare che
crea più preoccupazioni è il pesce siluro (Silurus glanis), un grosso predatore originario dell’Europa orientale presente ormai da 50 anni nel Po e nei maggiori
F Il gambero
della Louisiana.
G Il pesce siluro.
fiumi dell’Italia settentrionale ( G). Gli effetti deleteri
dell’introduzione di nuove specie negli ecosistemi non
devono però portarci a condannare ogni «trasferimento» di organismi animali o vegetali da un continente
all’altro. Non dimentichiamo, infatti, che patate, pomodori, mais, zucche e fagioli sono arrivate in Europa dalle
Americhe (tra il XV e il XVI secolo), per arricchire la nostra dieta, mentre piante ornamentali come le palme, le
camelie, le azalee e le ortensie, per fare alcuni esempi,
hanno abbellito i nostri giardini senza per questo creare danni all’ambiente.
In ogni caso, a differenza di quanto si è fatto in passato,
quando si altera un ecosistema occorre valutare con
attenzione ogni possibile conseguenza.