Analisi tematica della Lettera sull`Umanesimo

FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
MILANO
ANALISI TEMATICA DELLA
“LETTERA SULL’UMANESIMO”
DI MARTIN HEIDEGGER
Docente:
Ubbiali don Sergio
Studente: Meloni p. Giuseppe
Anno Accademico 1998 - 1999
Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
INTRODUZIONE
Nel dibattito filosofico del XX secolo, l’orientamento che più di ogni altro ha concorso a rinnovare la problematica ontologica, antropologica, gnoseologica e teologica è la
fenomenologia. L’opera dei due rappresentanti maggiori della fenomenologia (Husserl e
Heidegger) contiene indicazioni essenziali a tale rinnovamento anche se sono ben diverse
le ragioni da essi adottate. In Husserl, l’evoluzione della problematica iniziale, centrata
sul senso, sulla sintesi passiva (riduzione eidetica) che vede al centro del processo il soggetto intenzionalmente cosciente (io trascendentale), sfocia in un impianto teoreticistico
ben presto criticato per la sua prospettiva idealista. L’odierna critica richiama
all’attenzione uno sviluppo successivo del pensiero husserliano e non disdegna di definirlo ‘secondo Husserl’ o ‘ultimo Husserl’. Il passaggio – cambiamento sarebbe determinato da una sorta di sovrapposizione della Lebenswelt alla tesi dell’io trascendentale. La
discussione di tale ipotesi critica esula dall’oggetto del nostro studio ma chiede anche di
essere mantenuta sullo sfondo in quanto, attraverso di essa, si ritiene che Husserl sfugga alla critica che, sin dagli inizi, Heidegger gli mosse. Tale critica ha per oggetto il significato preciso da attribuire al programma fenomenologico (zu den Sachen selbst) che
Hussel traviserebbe per una precomprensione in chiave ontologica. Alla destituzione di
tale precomprensione è dedicata l’Analitica esistenziale di “Sein und Zeit” volta alla sostituzione dell’io trascendentale husserliano attraverso il richiamo all’esistenza attuale effettiva del soggetto, alla fatticità, alla decisione, alla temporalità. Tuttavia il programma
di “Sein und Zeit” si interruppe e ad esso seguì un lungo periodo di silenzio.
Alla ripresa delle pubblicazioni di Heidegger troviamo la “Lettera sull’umanesimo”
di cui si interessa specificatamente il presente studio. Tale Lettera viene considerata dalla critica filosofica come una sorta di spartiacque che segna una ‘svolta’ nel pensiero di
Heidegger sì che comunemente si parla ormai di un ‘primo’ e di un ‘secondo’ Heidegger.
Perché “Sein und Zeit” si interruppe? Fu semplicemente, come spesso sostenne
Heidegger, questione di linguaggio e grammatica? Qual’era il progetto di “Sein und Zeit”?
Rispetto a tale progetto la “Lettera sull’umanesimo” e il pensiero seguente segnano effettivamente una svolta o ne sono semplicemente la continuazione su differente scala?
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Non sarà certo possibile rispondere esaustivamente a questioni così basilari per la
critica del pensiero heideggeriano che tuttora si sta organizzando. Semplicemente formuliamo un’ipotesi che solo in parte potrà essere verificata dal presente studio: Heidegger
intendeva la filosofia (la fenomenologia in specifico) come scienza dell’essere; per Heidegger filosofia e ontologia sono la medesima scienza e l’ontologia non è una parte della
filosofia insieme all’antropologia e alla logica per esempio. Poiché la fenomenologia husserliana aveva un forte sfondo razionalista e idealista (metafisico) Heidegger propone di
riportare in equilibrio il rapporto essere – soggetto conoscente e per questo dedica ampie
pagine all’analitica esistenziale. Tuttavia il progetto di Heidegger era volto ad
un’ontologia liberata dalla sua base antropologica, un’ontologia in cui il primato fosse
totalmente dell’essere (mentre, a suo parere, la metafisica aveva costruito un’ontologia
dando il primato all’ente). Quando tuttavia si trattò di passare dall’esistenza e temporalità alla questione fondamentale di Essere e Tempo, il progetto heideggeriano subì una
brusca interruzione. L’interruzione fu dovuta, secondo Heidegger, ad una insufficienza
congenita dello strumentario linguistico ormai profondamente e metafisicamente segnato
da richiedere una sorta di catarsi filosofica senza precedenti. Difficile non ammettere che
il linguaggio è segnato dai concetti, dalle rappresentazioni, dalle idee, che è metafisicamente strutturato; ma il progetto di “Sein und Zeit” si interruppe per questo motivo o
non fu, più semplicemente, ma anche più realisticamente, perché il tentativo di
un’ontologia che si libera dalla sua base antropologia è desinato in partenza a orizzonti
idealisti? Più in generale: è pensabile un’ontologia pura, assoluta, sciolta dal riferimento
antropologico e più precisamente dalla dimensione etica? Il soggetto libero che decide di
sé e della sua verità e questo in senso ultimo, è relegabile tra parentesi e comunque fuori
dall’ontologia così come la fenomenologia chiede che sia istruita l’analisi?
Forse, dopo le splendide pagine dell’analitica esistenziale, Heidegger stesso si rese
conto che il Dasein è cosa troppo grande e troppo importante per poter essere messa tra
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parentesi mentre la questione del linguaggio sarebbe una sorta di specchietto per le allodole(?) Si potrebbe facilmente ritenere quest’ultima ipotesi valida se Heidegger non avesse, dopo trent’anni, pubblicato la “Lettera sull’umanesimo” dove si riprendono le fila
di un discorso lungamente abbandonato ma, a quanto pare, mai dimenticato.
Tuttavia le maglie della tessitura non subiscono alcuna variazione: continua il
progetto di “Sein und Zeit”: “Zu den Sachen selbst” significa per Heidegger muovere la riflessione verso il primato dell’essere sull’ente (quindi anche sul Dasein), verso
un’ontologia assoluta. A tal fine bisogna muovere “verso il linguaggio” (Unterwegs zur
Sprache) libero dalla sua struttura metafisica, verso il linguaggio che decide di non avere
potere sull’essere, che è più un ascoltare che un dire, linguaggio poetico di chiaro stampo mistico, mentre sullo sfondo si staglia il “niente da dire” della totale apofaticità. Non è
un caso che, a partire dalla “Lettera sull’umanesimo”, gli scritti di Heidegger siano tempestati di immagini, poesie, metafore allusive. A tal riguardo meriterebbe di essere approfondito il rapporto tra Heidegger e Hölderlin (l’unico per il quale Heidegger ruppe il
silenzio tra “Sein und Zeit” e la “Lettera sull’umanesimo”) che mettesse in evidenza il percorso di Heidegger da un pensiero e linguaggio concettuale ad uno pensiero e linguaggio
‘poetante’, l’unico in grado, secondo Heidegger, di custodire l’essere, di lasciarlo parlare,
di lasciarlo essere.
Il presente studio si limita a presentare spunti in proposito: analizzando alcune
delle tematiche della “Lettera sull’umanesimo”, non senza accennare e riferire al rapporto
con “Sein und Zeit”, si intende affinare lo strumentario critico che permetta in futuro di
valorizzare e verificare l’ipotesi interpretativa sopra formulata. L’ambito è dunque piuttosto ristretto ma lo sguardo spazia su tutto il fronte dell’opera heideggeriana con il preciso intendo di indagare se, attraverso la “Lettera sull’umanesimo”, si dia una reale svolta
nel pensiero del filosofo di Friburgo, oppure (come per ipotesi noi riteniamo) si dia una
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ripresa e prosecuzione del progetto iniziale percorrendo una via parallela dato che la
precedente si era interrotta.
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CAPITOLO PRIMO
L’OCCASIONE DELLA LETTERA E
LA SUA IMPORTANZA NEL PERCORSO HEIDEGGERIANO
«Punto di confluenza di opere precendenti […] la lettera costituisce senza dubbio
una delle opere più importanti di Martin Heidegger e dà il quadro generale del nuovo orientamento del suo pensiero […]. La Brief, occasionalmente motivo della lettera del Beaufret sull’umanesimo e, pur avendo come intento di fondo di indicare l’essenza di questo concetto, affronta la trattazione di diversi temi […]. È impossibile porre una distinzione precisa tra i diversi temi, poiché i cenni che Heidegger dedica ad essi si intrecciano
reciprocamente, non avendo la lettera carattere sistematico, ma prospettando piuttosto
le possibili proiezioni in varie direzioni del tema che sta massimamente a cuore: il problema dell’Essere»1. Problema che aveva assillato Heidegger fin dai tempi di “Sein und
Zeit” in cui veniva ridestata l’attenzione sulla comprensione della domanda ontologica
fondamentale attraverso l’interrogazione immediata dell’ente a cui nel suo essere ne va
del suo essere stesso: il Dasein.
Primo compito di un’ontologia fondamentale doveva essere, secondo Heidegger,
definire il senso della domanda ontologica interrogando l’ente interrogante, cioè l’essere
dell’uomo. Da questo compito dell’ontologia fondamentale prendeva corpo l’analitica esistenziale in cui la descrizione dell’ente interrogante l’essere del suo esserci veniva a delinearlo come esserci nel mondo con gli altri, esposto all’autenticità o inautenticità
dell’esistenza stessa, prendente cura e preveggente ambientalmente, nella temporalità
determinata dal futuro, dal suo dover essere - aver ancora da essere. Quando poi si trattò di fare il salto dall’essere dell’esserci all’essere in generale, dalla temporalità al tempo,
bruscamente il progetto di “Sein und Zeit” si interruppe.
11
AMBROGIO GIACOMO MANNO, Esistenza ed essere, Napoli, 1967, pp. 367-368
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Nella “Lettera sull’Umanesimo” il filosofo di Friburgo sembra voler riprendere le fila di quel discorso lasciato in sospeso; indica i motivi del ‘fallimento’ del progetto e apre
a nuove prospettive di elaborazione teorica. L’istruzione dell’indagine non avviene però a
prescindere dal percorso interpretativo elaborato filosoficamente in precedenza né si
prospetta come semplice ampliamento deduttivo del discorso speculativo in ordine esistenziale. Viene così a delinearsi un pensiero comprendente aspetti, non solo redazionali, di originalità, pur mantenendo, l’indagine, la scia lasciata dalla riflessione precedentemente elaborata.
Ci pare più che emblematico il fatto che Heidegger proponga, nella Lettera, come
prima riflessione un esame dell’essenza dell’agire: «Non si conosce l’agire se non come
produrre un effetto la cui realtà è valutata in base alla sua utilità. L’essenza dell’agire,
invece, è portare a compimento»2
L’incipit teoretico della Lettera pone in rilievo, come retroterra dell’agire, due atteggiamenti di pensiero che hanno al loro sfondo la storia stessa della riflessione filosofica
come storia dell’essere: retrospettivamente dunque il pensiero come techne e il pensiero
come compimento. Heidegger sostiene la tesi che nel corso della storia della filosofia (la
storia dell’essere) si è imposto il pensiero indicato nella prima accezione, sin dai tempi di
Platone ed Aristotele, pensiero che falsa l’agire, sviandolo dalla sua essenza e dai suoi
compiti. Il pensiero come techne, sanzionato e fissato nella logica e nella grammatica occidentali, si è così trovato a doversi continuamente giustificare come scienza, in quanto
una defaillance in questo quadro avrebbe direttamente veicolato la non scientificità del
pensiero stesso, sinonimo questo di totale e grave inadeguatezza alla mentalità corrente.
Preoccupato dunque di fondare e ribadire la propria scientificità, in pensiero è finito progressivamente, se non con il perdere, almeno con il dimenticare il suo proprium, ciò che
ha di più prezioso: l’essere.
2
MARTIN HEIDEGGER, Lettera sull’umanesimo, in Segnavia, ed. Adelphy, Torino, 1983, p. 267
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Il pensiero come compimento invece, in quanto «dispiegare qualcosa nella pienezza
della sua essenza»3, fa emergere l’essere come ciò che è e prima di tutto «è come riferimento all’essenza dell’uomo»4. Ciò non certo nel senso di «provocare o produrre un riferimento»5, ma precisamente nel senso che «lo offre come consegnato dall’essere»6 e «questa offerta consiste nel fatto che nel pensiero l’essere viene al linguaggio»7.
Ora è precisamente nel linguaggio che l’essere riacquista il proprio spazio, dimorando come a casa propria: «il linguaggio è la casa dell’essere»8.
Il linguaggio, poi, come elemento umano, ex parte hominis, è anche, per così dire,
la dimora dell’uomo stesso. Non tutti gli uomini però hanno il compito di custodire la
dimora dell’essere, il linguaggio, ma solo i pensatori e i poeti: questi solo, vegliando, portano a compimento il riferimento all’essere.
Approfondendo poi il rapporto pensiero - essere, Heidegger chiarisce in che senso
«il pensiero, detto semplicemente, è il pensiero dell’essere»9, nel senso del genitivo soggettivo in quanto «fatto avvenire dall’essere, all’essere appartiene»10, nel senso del genitivo oggettivo «il pensiero è nello stesso tempo pensiero dell’essere in quanto appartenendo all’essere, è all’ascolto dell’essere»11.
Per poter comprendere, in modo pertinente alla domanda sull’essere (questi due
genitivi) occorre far riposare l’attenzione su di un carattere fondamentale e assolutamente peculiare dell’essere stesso: il potere che è il «prendersi a cuore il pensiero»12, che significa portarlo alla sua essenza, «donare l’essenza»13.
Dunque il significato dei genitivi sopraddetti può essere ampliato come segue:
3
Ibid.
Ibid.
5
Ibid.
6
Ibid.
7
Ibid.
8
Ibid.
9
Ivi, p. 270
10
Ibid.
11
Ibid.
12
Ibid.
4
8
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a)
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
Il pensiero è dell’essere in quanto l’essere può, nel senso di conservare
l’essenza dell’uomo in se stessa.
b)
Il pensiero è dell’essere in quanto il pensiero, conservato dell’essere della
sua essenza, permette all’uomo di ascoltare l’essere; può sull’uomo.
Il potere poi è l’elemento «in base a cui il pensiero può essere un pensiero»14.
Il pensiero, ritirandosi dal proprio elemento, il potere che è potere dell’essere, «ha
sostituito questa perdita procurandosi un valore come techne, come strumento di formazione, quindi come esercizio scolastico, e poi come attività culturale»15. Il pensiero, per
così dire, è diventato tutte queste occupazioni, e una lunga serie di ‘-ismi’ in concorrenza tra loro, che riposano sulla «dittatura peculiare della dimensione pubblica»16. Questa
«decide preventivamente ciò che è comprensibile e ciò che deve essere rifiutato come incomprensibile»17 come già veniva tematizzato in “Sein und Zeit” (§ 27 e 35). La dimensione pubblica (Das Man) , derivando dal dominio della soggettività, è condizionata dalla
metafisica. In tal modo in pensiero non può portare «a compimento il riferimento
dell’essere all’essenza dell’uomo, nel pensiero l’essere non viene al linguaggio e il linguaggio non è più la casa dell’essere»18, custodita dai pensatori e dai poeti.
Il linguaggio dunque, prosegue Heidegger, è in una «situazione di decadenza»19e
ciò come «conseguenza di quel processo per cui il linguaggio, sotto il dominio della metafisica e della soggettività, cade inarrestabile dal suo elemento»20. Sotto tale dominio - tirannia, il linguaggio viene a subire una devastazione che è «una minaccia dell’essenza
dell’uomo»21.
13
Ibid.
Ibid.
15
Ivi, p. 271
16
Ibid.
17
Ivi, p. 272
18
Ivi, p. 267
19
Ivi, p. 272
20
Ibid.
21
Ibid.
14
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Detto altrimenti, «l’uomo deve ancora trovare la vicinanza dell’essere […] deve riconoscere la seduzione della pubblicità»22. «Prima di parlare l’uomo deve lasciarsi reclamare dall’essere, col pericolo che, sotto questo reclamo, abbia poco o raramente qualcosa da dire. Solo così viene ridonata alla parola la ricchezza preziosa della sua essenza, e
all’uomo la dimora per abitare nella verità dell’essere».23
Questi fugaci accenni alla tematica della “Lettera sull’umanesimo” portano a comprendere che la brusca interruzione di “Sein und Zeit” fu dovuta all’effettiva impossibilità
del passaggio teoretico dall’analitica esistenziale all’ontologia in generale, dal tema
dell’Esserci e Temporalità al più vasto e dichiarato tema di Essere e Tempo, e tale impossibilità non fu determinata da accidentalità del percorso speculativo. L’incompiutezza di
“Sein una Zeit” pare dunque attribuibile, per quanto emerge dall’impostazione della “Lettera sull’umanesimo”, all’inadeguatezza del linguaggio della metafisica, ancora dominato
dal modello della semplice presenza che conduce all’identificazione tra essere e ente, tra
essere e oggetto, obliando la differenza ontologica.
Si tratta dunque di verificare, almeno parzialmente, se realmente nella riflessione
heideggeriana si dia una ‘svolta’ attraverso e dopo la “Lettera sull’umanesimo” o non si
dia piuttosto una prosecuzione della medesima ricerca attraverso un canale di registrazione differente. La tematica resta infatti la medesima sebbene l’accostamento prediliga
un registro che inizialmente non era stato pienamente valorizzato in sede teorica (il linguaggio), tuttavia la base dell’ontologia heideggeriana non subisce variazioni di rilievo né
il metodo fenomenologico subisce uno spostamento di indirizzo ‘pratico’ in quanto punto
di partenza permane l’essere dell’Esserci.
Altra verifica da istruire in sede di analisi critica è quella che conduce a tema la
questione del tempo, della storicità della verità, poiché gli sviluppi inaugurati dalla Lette-
22
23
Ivi, p. 273
Ibid.
10
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Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
ra sembrano condurre davvero lontano rispetto all’intento dichiarato dall’impostazione
teorica del discorso heideggeriano.
Si rivela dunque necessaria un’analisi attenta di tutta la Lettera che indirizzi la ricerca critica a porre in evidenza i risvolti anche pratici della riflessione venutasi instaurandosi.
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CAPITOLO SECONDO
IL RAPPORTO ESSERE – ESSERCI
Attraverso la formulazione della domanda «partendo da dove e come si determina
l’essenza dell’uomo»24, Heidegger si propone di fornire elementi di risposta alla precedente questione posta dal Beaufret, «comme redonner un sense au mot Humanisme?»25, che
è alla base della stessa “Lettera sull’umanesimo”.
Non abbisognano di particolare commento critico alcuni umanismi che si sono
susseguiti nel corso della storia e che sono citati da Heidegger stesso: «Marx trova
l’uomo umano nella società. Per lui l’uomo sociale è l’uomo naturale. Nella società la natura dell’uomo è assicurata in modo uniforme»26. Ancora: «il cristiano vede l’humanitas
dell’uomo nella sua limitazione rispetto alla deitas»27. Più articolata è la tesi che considera l’accezione di humanitas venutasi a delineare e chiarificare nella Roma antica:
«L’homo humanus si oppone all’homo barbarus. L’homo humanus è qui il Romano che eleva a nobiltà la virtus romana attraverso l’incorporazione della paideia assunta dai Greci. I Greci sono i Greci della tarda grecità, la cui cultura era insegnata nelle scuole filosofiche. Essa riguarda la eruditio, e l’istitutio in bonas artes»28.
La riedizione e riviviscenza di tale modello si ripete poi, senza sostanziali differenze, nel Rinascimento del XIV e XV sec. In Italia e nell’umanesimo di Winkelmann, Goethe e Schiller del XVII sec.
L’umanesimo romano e le altre forme vengono a ritrovarsi sostanzialmente in due
punti di convergenza teorica:
a) La considerazione dell’evidenza dell’essenza universale dell’uomo.29
24
Ivi, p. 273
Ivi, p. 269
26
Ivi, p. 273
27
Ibid.
28
Ivi, p. 274
29
Cf. Ivi, p. 275
25
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b) L’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè l’ente nella sua totalità.30
Nella prima accezione, dove per humanitas dell’uomo si intente quest’ultimo come
animale razionale, l’uomo è sospinto nella animalitas, anche quando in seconda battuta
si aggiungerà che egli è mens e spiritus.
La seconda accezione suppone un’articolazione più diversificata dell’humanitas, in
riferimento a ciò che lo fa essere quest’uomo qui e tuttavia gli esiti non sono molto diversi da quelli raggiunti dalla prima accezione.
Il limite di quanto è stato storicamente espresso circa l’humanitas dell’uomo è da
ravvisare, secondo Heidegger, nel fatto che quanto detto poggia sul fondamento fragile
della metafisica che fa di ogni umanismo il suo derivato, anzi «ogni metafisica è il suo
essere umanistica»31; «Pertanto ogni umanismo rimane metafisico»32.
L’essenza autentica dell’humanitas, secondo Heidegger, può essere dunque colta
unicamente nel riferimento dell’uomo all’essere anche se «l’essere attende ancora di divenire esso stesso degno per l’uomo di essere pensato»33.
La ricerca di Heidegger si muoverà dunque in questa prospettiva nella quale torna
all’evidenza la necessità di ripensare e riformulare la differenza tra l’essere e l’ente.34
A ben vedere, attenendosi al proposito qui espresso da Heidegger, è difficilmente
ravvisabile una “svolta” di pensiero rispetto alla prerogativa di “Sein und Zeit”. Ciò non
significa direttamente che si venga a sostenere che quello che comunemente è indicato
come ‘secondo Heidegger’ sia un pura riedizione del ‘primo Heidegger’ ma semplicemente
che il sostrato della sua riflessione filosofica permane all’interno della determinazione
della differenza ontologica. In questo sfondo si muovono gli accenti, si approfondiscono
30
Cf. Ibid.
Ibid.
32
Ibid.
33
Ivi, p. 276
34
Cf. Ibid.
31
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Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
le rispettive determinazioni, vengono a palesarsi contenuti rimasti inizialmente non del
tutto tematizzati, ma il progetto è il medesimo. Si nota a questo punto la fondamentale
fedeltà di Heidegger ai presupposti del suo pensiero (quelli che tra l’altro ne segnalano
l’originalità sì da proporlo come costante termine di confronto per il pensiero filosofico
successivo) e sembra in definitiva che Heidegger viva il ‘fallimento’ del percorso di “Sein
und Zeit” non come destituzione di fondamento teorico del progetto inizialmente tematizzato ma come incentivo ad una riflessione che si faccia carico della ricerca di un linguaggio in grado di superare se stesso e di proporsi come “casa dell’essere”, capace cioè
di superare il suo essere asservito ad un pensiero metafisico.
Seguiamo dunque Heidegger in questo nuovo ‘tentativo’ proprio a partire
dall’analisi del rapporto tra essere ed esserci, dell’esistenza come essenza dell’esserci,
dell’essere nel suo rapporto con l’esistenza dell’esserci, così come viene ad essere determinato nella “Lettera sull’umanesimo”.
2.1
L’E-SISTENZA ESSENZA DELL’UOMO
La semplice lettura della titolazione veicola subdolamente una comprensione metafisicamente determinata e comporta il rischio di accostare i termini della Brief secondo
un senso diametralmente opposto a quello inteso dall’autore. Alcune precisazioni in merito possono offrire un riparo da tale distorsione.
L’esistenza, secondo l’accezione che il termine viene a rivestire nella Brief, non si
identifica con il concetto tradizionale di existentia, che significa realtà; e così anche per il
termine essenza che non viene proposto nel senso tradizionale di possibilità.
Piuttosto il riferimento all’essere permette di ricondurre l’uomo nella giusta direzione. L’uomo ritrova la sua humanitas quando ex-siste, sta fuori (secondo l’etimo della
parola), non nel senso di stare all’esterno di sé, ma di «essere aperto nel senso del ‘ci’,
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cioè nella radura dell’essere»35. «Ma l’esser-ci, a sua volta è (west) in quanto è gettato.
Esso è (west) nel getto dell’essere che è il destino destinante»36.
Si propongono così alla riflessione critica due direzioni:
a) L’uomo che deve avviarsi per una strada.
b) L’essere, destino destinante.
Viene in tal modo all’evidenza come Heidegger abbia una certa propensione ad attribuire una sorta di primato all’essere: questi, come destinante, nel corso del pensiero
occidentale, ha per così dire lasciato essere l’ente, ha guidato la storia dell’ente e anche
dell’uomo che, come metafisica, è velamento di sé (dell’essere); d’altra parte, proprio oggi, l’essere, come destino, reclama se stesso in quanto abitazione per l’esserci: «L’uomo è
piuttosto gettato dall’essere stesso nella verità dell’essere, affinché nella luce dell’essere
l’ente appaia come quello che (in realtà) è»37. E ancora «l’evento dell’essere riposa sul destino dell’essere. All’uomo resta da trovare la destinazione con-veniente alla sua essenza
che corrisponde al suo destino»38.
In tal modo Heidegger ha accennato al senso di un nuovo umanesimo, mostrando
che «la sostanza dell’uomo è l’esistenza»39.
2.2
“COS’È” L’ESSERE E “COME” SI RAPPORTA ALL’ESISTENZA
Da quanto sinteticamente proposto, emerge la convinzione di Heidegger circa la
necessità di una revisione dell’humanitas, dell’essenza dell’uomo, al di là di una sua rappresentazione metafisica. L’individuazione proposta dell’esistenza dell’uomo quale sua
essenza riceve spessore e chiarificazione ulteriore in seguito alla domanda heideggeriana: l’essere, che ha a che fare con l’esistenza dell’uomo, che cos’è?40 «L’essere è se stes35
Cf. Ivi, p. 280
Ibid.
37
Ivi, p. 282
38
Ivi, p. 283
39
Ibid.
40
Ivi, p. 284
36
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so»41, replica Heidegger; definire l’essere sarebbe un’operazione indebita, poiché il pensiero ricadrebbe proprio nel luogo da cui tenta di svincolarsi: la metafisica.42 «L’essere
non è un Dio né un fondamento del mondo»43.
Ed ecco il passaggio chiarificatore che permette di cogliere la motivazione per cui
dell’essere o si dice ciò che non è o lo si definisce ridicendolo: «l’essere riceve solo uno
sguardo»44, mentre la metafisica pensa a partire dall’ente, in direzione dell’ente,
nell’ambito dell’ente e tale è la situazione in cui è venutosi a trovare, quasi irretito il
pensiero occidentale; tuttavia è proprio dal riconoscimento della metafisica come tale
che il cammino può essere, deve essere (sembra quasi suggerire Heidegger) opportunamente corretto e riorientato. Il sentiero si è interrotto – per usare un’immagine cara ad
Heidegger -, era quello del tramonto, dell’oblio dell’essere nascosto, velato, dietro l’ente;
proprio questo pensiero va riorientato, diretto verso il sorgere, dove l’essere non è più
nascosto, dove verità (non nascondimento) è.
Ciò che propriamente ci è più vicino (nel senso di decisivo per il dispiegamento
della nostra essenza) è apparentemente l’ente; invece è l’essere ad essere più vicino, anche se a prima vista appare il più lontano: «l’essere è essenzialmente il più lontano di
ogni ente e nondimeno è il più vicino all’uomo di qualunque ente, sia questo una roccia,
un animale, un’opera d’arte, una macchina, un angelo o Dio»45.
Viene così a chiarirsi ulteriormente il rapporto essere – esistenza. L’uomo assumendo
l’essere
‘il-più-vicino-apparentemente-il-più-lontano’
riconosce
la
verità
dell’essere.46
Detto questo è anche doveroso sottolineare che il nostro modo di esprimerci è fortemente allusivo e forse non è in grado di rendere il merito a tutte le sfumature del pen41
Tale affermazione, apparentemente tautologica, è invece quanto di più esatto il pensiero può dire circa l’essere.
Cf. Ivi, p. 284
43
Ibid.
44
Ibid.
45
Ibid.
46
Ivi, p. 285.
42
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siero heideggeriano, come del resto è evidente l’impressione che per lo stesso Heidegger
alcune implicazioni del suo pensiero restino sullo sfondo o semplicemente accennate e
non sufficientemente (e forse questo volutamente) esplicate. Poco più oltre infatti Heidegger afferma che «l’essere è il rapporto stesso, in quanto è lui che tiene a sé l’esistenza
nella sua essenza esistenziale, cioè estatica, e la raccoglie a sé come luogo della verità»47.
Di fronte a quest’ultima considerazione si palesa la necessità di riequilibrare in
sede teorica un giudizio precedentemente espresso che pur rimanendo valido nella sua
formulazione necessita di precisazione al fine di essere rettamente apprezzato. Poco sopra si riferiva di una ‘precedenza dell’essere’ emergente nel discorso heideggeriano. Ora
sembra che Heidegger si muova verso una ‘precedenza’ della relazione tra essere ed esistenza dell’esserci e riferendo in ogni caso che l’essere è la relazione, e che l’essere richiama a sé l’esistenza come a luogo di verità, sembra voler accennare ad uno sfondo in
cui il rapporto essere-esserci si muova in un equilibrio dialettico-pratico. Tuttavia tale
sfondo è semplicemente intuibile né Heidegger stesso è stato in grado di cogliere
l’importanza dell’agire dell’uomo in ordine alla sua verità poiché l’accento continuerà a
cadere sul primato dell’essere mentre il discorso antropologico andrà via via precisandosi
secondo l’interesse per il linguaggio come proprium dell’uomo per l’uomo stesso.
In sede di verifica dovrà essere posta la questione della libertà e della storicita del
soggetto conoscente: se la fenomenologia intende prendere le distanze dalla metafisica
classicamente intesa, rischia poi di dare il via ad un pensiero che è incapace di dare ragione dell’ente conoscente: la preoccupazione per l’essere in sé non può svilire nella dimenticanza dell’ente conoscente relegandolo in una passività nella quale è difficilmente
attribuibile al soggetto la facoltà di prendersi cura di sé, di decidere di sé e questo in
senso ultimo.
47
Ibid.
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CAPITOLO TERZO
LA SPAESATEZZA
L’asistematicità della Lettera di cui in precedenza abbiamo riferito si palesa in
modo particolare nelle pagine che vanno da 290 a 298 ove vengono accennate molte e
disparate questioni senza che l’autore si preoccupi di istruire un’indagine critica capace
di delucidare la portata teorica delle singole affermazioni. Per lo più i temi trattati assumono la caratteristica della provocazione costruttiva e vengono a proporsi nel senso della questione dove il domandare è assunto a metodo con il preciso intento di spingere oltre l’indagine critica.
Nella scelta di campo deliberatamente operata in questa sede (e pur sempre discutibile) l’attenzione va ad investire la questione della spaesatezza in quanto ci pare di
poter cogliere in essa la cifra più pertinentemente adatta a cogliere il senso del procedere
della riflessione.
La spaesatezza è quella dell’uomo moderno che non dimora nella propria patria e
questo non è certo da intendersi in senso nazionalistico, ma essenziale, cioè in rapporto
all’essere o, più precisamente, alla vicinanza dell’essere che è l’essenza dell’uomo, dove
l’uomo è a casa sua; è il ‘-ci’, luogo della radura dell’essere.
Ora, nel corso della storia dell’essere (che è per lo più intimamente anche la storia
dell’esserci) l’uomo ha esperito la lontananza dal suo proprio sé, che è la radura
dell’essere; ha vissuto nell’alienazione determinata dall’oblio dell’essere. Heidegger nomina due pensatori la cui riflessione si è istruita in modo tale da poter cogliere questa
spaesatezza – alienazione: Hölderlin e Marx. «Nietzsche – si dice – è stato l’ultimo ad esperire questa spaesatezza»48, tuttavia, restando sempre solo all’interno della metafisica,
48
Ivi, p. 291
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
non ne è uscito. Husserl e Sartre «non riconoscono la dimensione storica dell’essere»49 e
per questo non possono essere produttivamente messi a confronto con il marxismo.
Marx invece «ha riconosciuto in un senso essenziale e significativo come l’alienazione
dell’uomo affondi le sue radici nella spaesatezza dell’uomo moderno»50. Quando, infine,
Hölderlin, nella poesia “Heimkunft”, usa l’espressione ‘ritorno in patria’ si rivolge ‘alla
gente della terra’, pensa al popolo non in modo patriottico ma come appartenente al destino dell’Occidente, inteso questo né «come contrapposizione all’Oriente, né semplicemente come Europa, bensì nella prospettiva del mondo è pensato come vicinanza
all’origine»51. Dunque, il mondo così inteso «si annuncia nella poesia senza essere manifesto nella storia dell’essere»52. Hölderlin svolge cioè un particolare modo di poesia che è
già all’ascolto dell’essere, alla sua radura, o per lo meno avviato ad esperire l’essere nella
sua verità. Lo stesso Heidegger, nel corso della Lettera, dirà che vale sempre la parola,
quasi mai pensata, di Aristotele, nella sua “Poetica” secondo cui il poetare è più vero
dell’indagine dell’ente.53 Tale poesia ha poi una precisa importanza in quanto in essa «si
annuncia il destino del mondo»54, che si trova, per così dire, sulla soglia della verità
dell’essere, ma che il pensiero non è ancora giunto ad esperire.
Il pensiero, secondo Heidegger, non è ancora in una fase metafisica sebbene «nessuna metafisica, sia essa idealista, materialistica o cristiana, […] può, col suo pensiero,
raggiungere e raccogliere ciò che, in un senso pieno dell’essere, ora è»55. Proprio su questo ‘ora’ l’attenzione di Heidegger si posa fino a determinarlo come epoca di volontà, ove
c’è un’incuria incondizionata, un essere senza cura, e cioè l’essere che è nell’oblio e lasciato a se stesso.56
49
Ivi, p. 292
Ibid
51
Ivi, p. 291
52
Ivi, p. 292
53
Cf, Ivi, p. 313
54
Ivi, p. 291
55
Ivi, p. 294
56
Cf, p. 294 nota B in calce.
50
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
Di fronte a tale spaesatezza, continua l’autore, «il futuro destino dell’uomo si mostra al pensiero che pensa la storia dell’essere nel fatto che egli trovi una via verso la verità dell’essere, e si metta in cammino verso tale scoperta»57. È l’indicazione di un cammino, una costruttiva provocazione, una sorta di appello: se l’uomo non compie questo
‘sforzo’ verso la verità dell’essere «gira attorno a se stesso come animale razionale»58, eccetto che possa «tracciare un sentiero migliore, cioè più adeguato al problema»59. Si tratta in definitiva di vincere l’alienazione, la spaesatezza e ciò significa innanzitutto cominciare a comprendere che «l’essenza dell’uomo consiste nel fatto che egli è qualcosa di più
del mero uomo per come ce lo si rappresenta quando lo si intende come essere fornito di
ragione»60.
Sorge a questo punto una domanda che ha in sé la prerogativa del fondamentale
in sede istruttiva dell’analisi: «La filosofia è capace di pensare questo di più?»61
Heidegger, a questo proposito, segnala due osservazioni:62
a) Il pensiero tramandato con il nome di filosofia trova il difficile non nel fatto che
debba attingere a qualche problema profondo, o che si debbano costruire concetti complicati, ma nel compiere il passo indietro che introduce il pensiero in
un domandare capace di esperire.
b) La contesa in merito all’interpretazione dell’essere (cioè non dell’ente e neppure
dell’essere dell’uomo) non può essere risolta perché non è stata ancora neppure accesa.63
La prima osservazione non necessita di particolari chiarimenti poiché è nota la
problematica da essa sottintesa; la seconda allude invece al fatto che la filosofia, nel
momento attuale, non è ancora giunta alla coscienza dello stato di malessere del suo
57
Ivi, p. 294
Ibid
59
Ivi, p. 296-297
60
Ivi, p. 294
61
Ivi, p. 297
62
Cf, Ivi, p. 297
58
20
Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
cammino. In proposito Heidegger sembra assumersi il compito di coscientizzare il pensiero e questa è di fatto la dichiarata finalità della Lettera stessa: «il suo accendersi (della
contesa) richiede già una preparazione adeguata: è solo per questo scopo che la presente
indagine è in cammino»64.
A tal fine Heidegger viene sinteticamente facendosi carico, nel corso della Lettera,
di un’indagine eziologica che ponga in luce il luogo di derivazione del malessere di cui la
filosofia attuale deve prendere coscienza per poter poi definire i parametri di una terapia
in grado di ridare ‘salute’ al pensare stesso.
Si tratta in definitiva di comprendere quali furono i fraintendimenti più importanti
di Sein und Zeit e così ricevere anche luce circa «il lungo periodo di silenzio seguito al
1930, rotto soltanto dagli scritto su Hölderlin»65.
Heidegger riporta cinque parole chiave del suo pensiero dalla cui retta comprensione dipende profondamente la possibilità di istruire un’indagine fenomenologicamente
rispondente alle prerogative metodologiche: “umanismo”, “logica”, “valori”, “mondo”,
“Dio”.
La questione che dapprima domanda di essere chiarita riguarda il presupposto
‘positivo’ attraverso il quale lo studioso di filosofia compromette a priori la comprensione
dell’indagine fenomenologicamente interpretantesi: partendo da un positivo non riflesso
né criticamente vagliato, stabilisce che il pensiero, opposto a questo positivo, porti necessariamente alla negazione e al negativo inteso direttamente in chiave distruttiva.66
In tal modo da un concetto di umanismo si afferma l’inumanità; dall’opposto della
logica si fa derivare l’illogico; da un pensare che pone in discussione i valori deriva un
pensiero privo di valori; da un errato modo di intendere l’uomo come essere-nel-mondo
si traggono le conclusioni dello sprofondamento dell’uomo nel positivismo e del rifiuto di
63
Questo secondo punto non è altro che un ripresa di “Sein Und Zeit”, p. 437
Lettera…, p. 297
65
GIANNI VATTIMO, Essere, storia e linguaggio, ed. Marietti, Milano, 1989, p. 132.
64
21
Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
ogni trascendenza; infine, rifacendosi al detto di Nietzsche sulla ‘morte di Dio’ si dichiara
tale posizione ateismo.67
«Perché invece – domanda Heidegger - non ripensare il logico in modo più originario da ciò che ci è tradizionalmente noto a partire da Platone e da Aristotele?»68
E ancora: «A cosa ci servono i sistemi di logica […] se […] per prima cosa si sottraggono al compito anche solo di interrogarsi sull’essenza del logos?»69
Quanto ai valori, Heidegger non sostiene che ciò che è normalmente indicato come tale sia privo di significato, ma che, considerati i valori, essi non siano unicamente
da passare al vaglio della soggettività, altrimenti perdono il loro in sé che è ciò che è loro
più proprio.
Il concetto di ‘essere-nel-mondo’ poi non significa chiusura nell’al-di qua e il diretto rifiuto dell’al-di-là e nemmeno è da intendersi come opposizione al celeste. L’esserenel-mondo è invece apertura dell’essere, la quale è come l’essere stesso che, in quanto
getto, si è gettato e acquista a sé, nella cura, l’essenza dell’uomo. Mondo è la radura
dell’essere in cui l’uomo sta fuori a partire dalla sua essenza gettata. L’uomo non è mai
un soggetto, sia questo un io o un noi; non è mai ciò che è nella sua essenza nella relazione soggetto-oggetto; piuttosto nella sua essenza, l’uomo è esistenza nell’apertura
dell’essere.70
Infine, riferendosi alla questione “Dio”, Heidegger attira l’attenzione sul pensiero
disponibile fin dal 1929 in “Vom Wesen des Grundes”: «Con l’interpretazione dell’esserci
come essere-nel-mondo non si è ancora deciso nulla in senso positivo, né in senso negativo, circa la possibilità di un essere in rapporto con Dio. È soltanto con la chiarificazione della trascendenza che si raggiunge un concetto sufficiente dell’esserci, in riferimento
66
Cf, Lettera…, p. 299.
Cf, Ivi, pp. 298-299.
68
Ivi, p. 301.
69
Ibid.
70
Cf. Ivi, pp. 301-302
67
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Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
a tale ente è poi possibile porre il problema di come stiano ontologicamente le cose circa
il rapporto dell’essere con Dio»71. Dunque la fenomenologia resta al di qua della decisione tra teismo o ateismo e questo non per indifferenza verso Dio, ma per rispetto dei limiti del pensiero come tale.72
Dovrà essere criticamente approfondito il punto di partenza del rilievo heideggeriano sulla necessità di una presa di coscienza del malessere del pensiero occidentale attribuibile ad un ‘positivo’ irriflesso dato per acquisito e inconfutabilmente messo in campo ogniqualvolta si istruisca un’indagine filosofica.
CAPITOLO QUARTO
METAFISICA E LOGICA
«A cosa ci servono i sistemi di logica […] se […] per prima cosa si sottraggono al
compito anche solo di interrogarsi sull’essenza del logos?»73
Già precedentemente abbiamo accennato l’intenzione di Heidegger volta ad una
chiarificazione e indagine della questione della logica. Essa merita maggior attenzione in
sede di analisi poiché la Lettera viene a cogliere in essa uno dei punti di snodo fondamentali dell’indagine fenomenologica. Chiedersi che cosa sia la logica significa spingere
la riflessione verso la considerazione del rapporto tra logica e metafisica (in accezione
heideggeriana) e chiarificare come la logica sia lo strumento più proprio della realizzazione della metafisica che Heidegger considera in chiave critica a partire dalla denuncia
della direzione univoca dell’intero pensiero occidentale specificatamente in rapporto
all’indagine ontologica.
71
Ivi, pp. 302-303.
Cf, Ivi, p. 303.
73
Ivi. p. 301.
72
23
Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
Sembra dunque opportuno, in sede di analisi, ripercorrere l’intendimento heideggeriano del termine ‘metafisica’ per situare in essa la logica delineando di questa
l’essenza e le modalità.
L’esposizione dell’intendimento heideggeriano del termine ‘metafisica’ si pone in
senso interrogante secondo un prima e un poi: il pensiero non nasce con la metafisica
ma questa è una direzione che Heidegger denuncia come ‘deviante’ rispetto ad un’origine
che pensava diversamente.74 A partire da Platone ed Aristotele, erroneamente, si postula
l’essenza dell’essere e la questione dell’essere rimane sempre la questione dell’ente: «certamente gli enti appaiono pur sempre nella luce dell’essere che è la verità (originaria,
fondamentale come disvelamento) degli enti; ma questa luce non venendo tematizzata (
poiché viene tematizzato invece ciò che appare in questa luce) essa si nasconde e si dissimula in altro: quasi che fosse una verità che appartenesse agli enti, i quali piuttosto
quindi, in tal senso appartengono alla verità»75. Avviene quindi una sorta di entizzazione
dell’essere. Quando, ad esempio, Platone afferma che a fondamento del reale c’è l’idea76
non procede che teorizzandola dal reale per poi tornarvi credendo di aver trovato l’unico
fondamento; mentre l’essere è oltre il mondo ideale, dunque lo si viene ad indentificare
con l’idea.
Altro passo in avanti, nella direzione dell’oblio dell’essere77 viene compiuto da
Cartesio «quando l’apprensione diventa il rappresentarsi riproduttivo della perceptio della res cogitans intesa come subiectum della certitudo»78. Mentre precedentemente
l’apprensione era per lo più intesa come coglimento intuitivo del reale in riferimento, in
contatto, con il reale, con Cartesio l’apprensione diventa rappresentazione, cioè l’attività
riproduttiva della res cogitans (staccata dal reale) che, posta a fondamento del conoscere
74
Cf, Ivi, p. 305.
AA.VV., Enciclopedia filosofica, ed. Sansoni, Firenze, 1957, Vol II, Col. 1038.
76
Cf, Lettera…, pp. 284-285.
77
Ivi, p. 292.
78
Ivi, p. 285.
75
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
(subiectum) e precedendo per idee chiare e distinte (certitudo) adegua il reale a sé e non
viceversa.
Un passo ulteriore viene poi compiuto dalla scienza intesa come «rappresentare
categoriale della soggettività»79; è il pensiero di Kant. Ma la quadratura del cerchio è
compiuta da Hegel a partire da cui la metafisica esprime per la prima volta in sistema la
sua essenza pensata in modo assoluto80 tramite l’identificazione di logica e ontologia.
Nietzsche infine non poteva trovare altra via d’uscita se non il rovesciamento della metafisica81 sebbene «il rovesciamento di una tesi metafisica rimane metafisica»82.
«Cos’è successo lungo tutto il corso di pensiero che inizia con Platone e Aristotele
e finisce con Nietzsche?»83 Heidegger rileva che punto di convergenza di questi pensatori
(che non sono mine vaganti ma interpreti, rappresentanti e creatori di epoche diverse) e
quindi nucleo di diramazione della storia stessa dell’essere intesa come storia della metafisica, è l’oblio sempre più consistente dell’essere a favore dell’ente. Per di più Heidegger rileva la chiusura volontaria e cosciente dell’uomo in se stesso (il soggettivismo) fino
alla scoperta, con Nietzsche, di essere fondato sul nullo fondamento, su se stesso.
La domanda inizialmente posta rilancia una questione ancor più fondamentale
per la comprensione dell’intendimento heideggeriano della metafisica: il corso della metafisica è stato semplicemente un tracciato causato dall’uomo o non piuttosto un accadimento proprio dell’essere? La Lettera mantiene aperto il campo ad entrambe le posizioni e sembra voler suggerire la loro reciproca interconnessione.
a) Il corso della metafisica è stato tracciato dall’uomo: «L’oblio dell’essere si manifesta indirettamente nel fatto che l’uomo considera e si dà da fare sempre e solo
intorno all’ente»84; «Il linguaggio si concede piuttosto al nostro semplice volere e
79
Ibid.
Cf, Ivi, p. 289.
81
Cf, Ivi, p. 291
82
Ibid.
83
Ivi, p. 292
84
Ibid.
80
25
Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
alla nostra attività come strumento di dominio sull’ente»85. Nel primo passo Heidegger esprime una sorta di propensione, una tendenza innata (non nel senso
dell’innatismo), naturale all’uomo che in quanto tale sospinge se stesso lontano
dall’essere, lontano dalla vera luce, la Lichtung, entro la quale unicamente l’uomo
e gli entri intramondani trovano la loro esatta collocazione, la loro essenza, mentre l’essere è essenzialmente più lontano di ogni ente e nondimeno è più vicino
all’uomo di qualunque ente, sia questo una roccia, un animale, una macchina, un
angelo o Dio.86 Il secondo passo può essere inteso come complementare al primo
nella dichiarazione della responsabilità dell’uomo sull’oblio dell’essere: l’uomo si
dà da fare sempre e solo intorno all’ente usando il linguaggio come strumento di
dominio sull’ente. Da notare che il linguaggio è ciò che è più proprio dell’uomo, il
discriminante dell’essenza stessa dell’uomo: «L’uomo non è solo un essere vivente
che, accanto alle altre facoltà, possiede anche il linguaggio. Piuttosto il linguaggio
è la casa dell’essere abitando la quale l’uomo esiste appartenendo alla verità
dell’essere e custodendola»87. Ma l’uso che l’uomo fa del linguaggio nella metafisica è volto al dominio dell’ente tanto diverso dal «dominare non invadente
dell’essere»88che, come semplice, è misterioso.89
b) Il corso della metafisica è un accadimento proprio dell’essere: «la determinazione introduttiva ‘l’essere è il trascendens puro e semplice’ riassume in una semplice tesi il modo in cui l’essenza dell’essere si è finora diradata all’uomo»90; «La
metafisica assoluta con i rovesciamenti che ne hanno fatto Marx e Nietzsche appartiene alla storia della verità dell’essere»91. L’esatta comprensione delle due citazioni richiederebbe un affondo maggiore sull’intendimento heideggeriano del con85
Ivi, p. 272.
Ivi, p. 284.
87
Ivi, p. 286
88
Ibid.
89
Cf, Ibid.
90
Ivi, p. 290.
86
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
cetto di storia; tuttavia, pur senza addentrarci nella questione, rileviamo di esse
una concordanza di fatto: la metafisica non è stato un corso del pensiero accaduto in totale soluzione di continuità rispetto all’essere ma «appartiene alla storia
della verità dell’essere»92; la metafisica «è una fase caratteristica della storia
dell’essere, e finora la sola che possiamo abbracciare con il nostro sguardo»93.
Considerando dunque unitariamente le due facce della stessa medaglia emerge
che la metafisica è stata il corso del pensiero occidentale nel quale, erroneamente,
l’essere è stato obliato, entizzato, per una naturale propensione dell’uomo che ne ha determinato il percorso e al contempo per opera dell’essere stesso, nella direzione dell’ente,
non lasciandolo essere ciò che esso è.
La logica poi risulta essere semplicemente l’organon, lo strumento che la metafisica si è procurato e via via ha affinato ed usato per raggiungere il suo scopo di dominio
sull’ente, postulando la questione dell’essere come sempre e solo questione dell’ente.
Ora, poiché il pensiero non nasce con la metafisica, e quanto accaduto nella storia dell’essere domanda una presa di coscienza, come anche la pensabilità di
un’ulteriorità rispetto all’orizzonte metafisico, Heidegger si propone di gettare le fondamenta per un pensiero non metafisico, che abbia a cura di non entizzare l’essere. In
questo senso la Lettera si pone come un anteprima, un preludio di quanto il pensatore di
Friburgo andrà successivamente sviluppando.
Torniamo dunque all’inizio della Lettera dove Heidegger riferiva circa il pensiero
come compimento: «Il pensiero porta a compimento il riferimento dell’essere all’essenza
dell’uomo. Non che esso provochi o produca questo riferimento. Il pensiero lo offre
91
Ivi, p. 289.
Ibid.
93
Ivi, p. 293.
92
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
all’essere soltanto come ciò che gli è stato consegnato dall’essere. Questa offerta consiste
nel fatto che nel pensiero l’essere viene al linguaggio»94
Non è un caso che tale riferimento al linguaggio faccia la comparsa, per così dire,
enfaticamente all’inizio come anche alla fine della Lettera: dal linguaggio parte la Lettera,
con il linguaggio termina e attraverso di esso getta lo sguardo sul futuro. Quando si afferma: «L’essere diradandosi viene al linguaggio. Esso è sempre in cammino verso il linguaggio. A sua volta, il pensiero esistente, nel suo dire, porta al linguaggio»95, si affermano principalmente due cose:
a)
L’essere con la sua essenza porta al linguaggio; esso è sempre in cammino
verso il linguaggio in una sorta di iniziativa che tutto fonda.
b)
Il pensiero, quello nominato come verità dell’essere o come compimento, porta
a sé, per così dire, attraendo, l’essere diretto al linguaggio, nel linguaggio
stesso.
Sennonché, come emerge dalla seguente riflessione, «il pensiero a venire non è più
filosofia, perché esso pensa in modo più originario della metafisica, termine che indica la
stessa cosa»96. Si tratta di un pensiero che pensa più originalmente della metafisica e
superandola «scende nella povertà della sua essenza semplice. Il pensiero raccoglie il linguaggio nel dire il semplice»97.
La prospettiva fenomenologica di Heidegger, avendo vagliato la metafisica al suo
fondamento e domandando una revisione dello strumentario della logica in vista di un
pensiero inteso come pensiero del compimento e della verità dell’essere, trova nella pensatezza semplice del linguaggio la prospettiva verso cui la riflessione fenomenologica si
incammina.
94
Ivi, p. 267.
Ivi, p. 312
96
Ivi, p. 314.
97
Ivi, p. 315.
95
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
E tuttavia, ripensando lo sforzo metodologico ‘verso le cose stesse’ originante la
fenomenologia ci si domanda se l’istruzione dell’indagine heideggeriana ‘verso il linguaggio’ colga appieno l’importanza della fatticità e storicità del soggetto la cui essenza stessa
è determinata dal linguaggio. Heidegger ha mosso i primi passi verso la pensatezza semplice del linguaggio ma la prospettiva venutasi poi storicamente evolvendo ha finito con
l’assolutizzare il linguaggio stesso dimenticando il soggetto la cui essenza è dal linguaggio determinata. Se è pur vero che il linguaggio è la casa dell’essere è anche vero che il
soggetto abita questa casa e non come ospite!
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
CONCLUSIONE
In sede conclusiva vorremmo riprendere un discorso più volte accennato nel corso
dell’analisi proposta e che solo ora può trovare una pertinente istruzione critica: «Se
l’humanitas è così essenziale al pensiero dell’essere, non è allora essenziale completare
l’ontologia con un’etica?»98 La domanda, dopo tutto ciò che è stato detto precedentemente, esprime un’esigenza profonda che è quella di completare il pensiero essenziale rivolto
all’essere con indicazioni etiche che sono, unitamente a detto pensiero, un specie di
quadratura del cerchio riguardo alla situazione dello spaesamento sempre crescente: «Il
desiderio di un’etica si fa tanto più urgente quanto più il disorientamento manifesto
dell’uomo, non meno di quello nascosto, aumenta a dismisura».99
Da queste dichiarazioni emerge la comprensione heideggeriana della questione
fondamentale, in fenomenologia, del rapporto intrinseco tra ontologia ed etica ma
l’autore sembra anche restare volutamente ai margini di tale rapporto sebbene sia preoccupato di rimettere in discussione gli stessi termini ‘etica’ e ‘ontologia’. Tali termini, afferma Heidegger, nascono «nel tempo in cui la filosofia si fa epistéme»100, con Platone,
quando «nasce la scienza e muore il pensiero»101. La problematica che Heidegger intende
approfondire ha di mira il pensiero della verità dell’essere; nel corso di tale analisi ontologica l’autore si domanda se tale pensiero debba restare unicamente sul piano teoretico
o se contemporaneamente offra indicazioni per la prassi. La risposta è alquanto decisiva
e ci impone necessariamente considerazioni critiche: «Questo pensiero non è né teorico
né pratico»102 e «esso avviene prima di questa distinzione»103; questo pensiero propriamente «rammemora l’essere e nient’altro»104. Ciò significa che il pensiero dell’essere, se-
98
Ivi, p. 304
Ibid.
100
Ivi, p. 305
101
Ibid.
102
Ibid.
103
Ivi, p. 309
104
Ibid.
99
30
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Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
condo Heidegger, non ha niente a che fare con qualsiasi determinazione di tipo metafisico, con nessuna specie di soggettivismo che domina l’ente a danno dell’essere. Al contrario, se la strada che porta ad un’etica altrettanto originaria quanto il pensiero che pensa
la verità dell’essere, riposa sull’assegnazione della destinazione dell’essere, allora il nomos non è solo legge, ma più originariamente è assegnazione nascosta nella destinazione
dell’essere. Solo tale disposizione è in grado di reggere e di legare;105ora tocchiamo il
cuore della legge, del nomos dell’essere dell’uomo a contatto e in dipendenza da esso:
«altrimenti la legge resta solo il prodotto della ragione umana»106.
A questo punto è Heidegger stesso a domandarsi «che relazione c’è fra pensiero
dell’essere e il comportamento teoretico e pratico?»107La risposta è che da un lato il pensiero dell’essere supera ogni contemplazione, perché solo in base ad esso c’è vera theoria; e il pensiero, dall’altro, è superiore ad ogni produrre in quanto è attento alla radura
dell’essere. Il pensare infatti è superiore all’agire e al produrre non per la grandezza delle
sue prestazioni, e neppure per gli effetti che causa, ma per quel poco che è proprio del
suo portare a compimento, privo di successi.108
Se dunque le cose stanno in questo modo, che fine ha fatto il Dasein prendente
cura e preveggente ambientalmente di cui “Sein und Zeit” aveva abbondantemente parlato istruendo un’analitica esistenziale? Che spazio è riservato, in questo tipo di riflessione, al soggetto che liberamente si prende cura di sé e decide continuamente a riguardo
della sua verità? Che relazione passa tra il pensiero della verità dell’essere proposto da
Heidegger e la verità storica del soggetto che in libertà esiste?
Ripercorrendo la stessa critica di Heidegger alla fenomenologia di matrice husserliana, viene da chiedersi se la pretesa heideggeriana di interpretare correttamente la via
fenomenologica risponda poi appieno alla proposta fenomenologica stessa. Lo sforzo di
105
Cf, Ivi, pp. 311-312.
Ivi, p. 312
107
Ibid.
106
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Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
ricondurre teoria e prassi ad un pensiero dell’essere più originario, l’ipotesi di
un’ontologia in cui il problema etico non trova istruzione, un essere che si destina senza
tener conto del destinatario…tutto questo può essere ancora pertinentemente chiamato
“fenomenologia”?
“Sein und Zeit” aveva profondamente compreso la necessità di proporre
un’analitica esistenziale in vista ‘delle cose stesse’, ma il progetto che sosteneva l’analisi
era ben altro che la preoccupazione di organizzare la riflessione intorno alla temporalità
e storicità del soggetto conoscente, e quindi intorno alla libertà per cui il soggetto si
prende cura di sé rispetto alla verità. L’intento, e il titolo lo conferma, non era quello di
dar corpo ad un pensiero che si facesse carico del rapporto temporalità-esistenza-verità
dell’uomo, ma un pensiero dell’essere e del tempo in un’ontologia più generale. Quando,
nel caso di “Sein und Zeit”, si trattò per Heidegger di passare dalla temporalità al tempo,
dall’esistenza all’essere, il progetto si interruppe. Alla ripresa con la “Lettera
sull’umanesimo”, a ben vedere, si ritorna al progetto precedente evitando per lo più di
approfondire l’analitica esistenziale: del soggetto libero e conoscente la Lettera parla poco e sempre in termini di passività (lasciar parlare l’essere, custodire l’essere, farsi investire dalla luminosità della radura della verità..). Il fallimento di “Sein und Zeit” viene attribuito dall’autore allo stumentario con il quale l’analisi filosofica veniva condotta: il
linguaggio.
L’ipotesi da noi avanzata è che la questione del linguaggio, pur fondamentale in
ogni senso, più che evidenziare il problema, tenti invano di deviarlo verso altri orizzonti
interpretativi. Tuttavia la questione resta sempre la medesima: è ancora fenomenologia
quel pensiero che, avendo di mira un’ontologia non metafisica, resta estraneo dalla forma pratica della coscienza, dalla libertà dell’uomo per la quale il soggetto decide di sé in
108
Cf, Ibid.
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Giuseppe Meloni
Analisi tematica della “Lettera sull’umanesimo”
ordine alla verità? È ancora fenomenologia quel pensiero che crede che vi sia una verità
metastorica?
“Zu den Sachen selbst”: questo il tema da svolgere, questo il programma, e ogni
svolgimento che releghi l’antropologia in secondo ordine è un andare fuori tema.
Altra conclusione, forse più ovvia, è che non ci pare criticamente pertinente la denominazione di “svolta” che caratterizzerebbe il pensiero heideggeriano e quindi non del
tutto esatta la divisione tra un ‘primo’ e un ‘secondo’ Heidegger: il cambio di tema, la variazione di prospettiva, l’assunzione di un linguaggio diverso non sono sufficienti a determinare una svolta se il progetto cui si lavora è e rimane il medesimo.
Le numerose questioni emerse hanno forse trovato in questo studio solo accenni
come anche gli elementi della discussione sono stati spesso semplicemente nominati: la
riflessione domanda dunque di essere approfondita per una più pertinente espressione e
soluzione. La nostra proposta di una sostanziale revisione dell’interpretazione del pensiero heideggeriano e della fenomenologia in generale non è certo originale e ha già trovato in filosofia e teologia abbondanti riferimenti cui direttamente o indirettamente abbiamo fatto riferimento; tuttavia una fenomenologia della forma pratica della coscienza, un
pensiero capace di coniugare essere e esistenza, tempo e temporalità, verità e libertà domanda ancora di essere pensato mentre già non mancano filosofi e teologi che seriamente se ne stanno facendo carico.
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