INTRODUZIONE ALLA SCIENZA POLITICA CAPITOLO 1.2 CHE

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INTRODUZIONE ALLA SCIENZA POLITICA
CAPITOLO 1.2
CHE COS’E’ LA POLITICA
Come avviene per molti concetti centrali delle scienze sociali, anche quello di
politica ha assunto vari significati, mutando connotati nel tempo e nello spazio,
adattandosi a diversi approcci teorici e riempiendosi di diversi contenuti empirici.
Come è stato osservato, oggi più di ieri la risposta al quesito canonico “che cosa è la
politica?” appare problematica e incerta, dal momento che nessun ambito della vita
associata sembra sottrarsi alla politicizzazione e che questa tendenza sembra essere
uno dei caratteri – per quanto tra i più contestati e meno accattivanti – della
contemporaneità. Non a caso, uno dei suoi esponenti più influenti ha rilevato che “se
c’è un elemento distintivo della scienza politica occidentale esso ancora consiste nella
mancanza di un accordo su come descrivere nel modo più esauriente il suo oggetto”
[Easton].
La storia della scienza politica è infatti molto lunga o piuttosto breve, a seconda
che si collochino le sue origini nel dibattito filosofico sulla politica, o che ci si concentri
sulla scienza politica come disciplina basata sulla ricerca empirica. Nelle parole di un
influente politologo:
se dovessimo modellare la storia della scienza politica nella forma di una curva
del progresso nel tempo degli studi sulla politica, essa inizierebbe con la scienza
politica greca, farebbe qualche modesto passo nei secoli di Roma, non farebbe grandi
progressi nel Medioevo, crescerebbe un po’ con il Rinascimento e l’Illuminismo,
farebbe qualche sostanzioso guadagno nel XIX secolo, e quindi esploderebbe su basi
solide nel XX secolo, quando la scienza politica acquisisce caratteristiche
genuinamente professionali [Almond ].
Se è su questa scienza politica professionale del XX secolo che ci concentreremo
in questo volume, l’emergere della concezione moderna della politica è comunque un
processo lento, le cui origini si collocano molto indietro nel tempo.
In genere, molte definizioni del concetto di politica, partendo dalla sua radice
etimologica, ricordano la polis greca. Per i greci, l’esperienza della polis era legata al
potenziamento di capacità uniche della specie umana, come il ragionamento e l’uso
del linguaggio. La polis greca fu comunque un fenomeno peculiare, difficilmente
collegabile alle caratteristiche che la politica assunse in seguito. Infatti, se la
riflessione sulla politica torna insistentemente sulla concezione greca, essa “spesso
accerta (con rammarico o altrimenti) la sua inapplicabilità alle circostanze attuali”
[Poggi].
Se il termine politica viene da lontano, la sua accezione contemporanea nasce
però molto tardi. L’attuale concetto di politica si afferma, infatti, insieme a una
graduale autonomizzazione della politica rispetto ad altri campi dell’agire umano.
Come osserva Giovanni Sartori, nella polis greca per l’uomo politico la politica non si
differenzia dalla società: la polis è “l’unità costitutiva e la dimensione compiuta
dell’esistenza” [Sartori].
Sebbene già la filosofia greca si fosse cominciata ad occupare, con Platone,
degli ideali del buon governo, è nella città romana che emerge un elemento
considerato come fondamentale per una convivenza civile: l’ordinamento giuridico,
la legge. La civitas romana è infatti organizzata giuridicamente, “è un’aggregazione
che trova il suo fondamento nel consenso della legge” [ibidem].
Bisognerà, comunque, attendere il XV secolo, e Machiavelli, perché la politica
assuma quella dimensione verticale - “di potere, di comando e, in ultima analisi, di
uno Stato sovraordinato alla società” [ibidem] – che le viene riconosciuta ai giorni
nostri. Con Machiavelli, infatti, la politica si afferma diversa dalla morale: il principe
deve essere disposto, per mantenere lo Stato, ad agire sulla base della valutazione dei
rapporti di forza. La politica diventa così autonoma, cioè guidata da proprie regole.
Sarà poi con la nascita della scienza economica, nel XVII-XIX secolo, che la
politica si distinguerà anche dalla società – o, più esattamente, dal mercato. Smith,
Ricardo e gli altri economisti liberisti assumono che esiste una sfera dell’agire umano
che si sviluppa meglio quando lo Stato non interviene – che è capace cioè di
autoregolarsi. Essi affermano così che “le leggi dell’economia non sono leggi
giuridiche: sono le leggi del mercato. E il mercato è un automatismo spontaneo, un
meccanismo che funziona da sé, per conto suo” [ibidem]. Se i confini tra mercato e
Stato sono mutevoli e flessibili, tuttavia essi esistono – e con essi le differenze tra
comportamenti economici e comportamenti politici.
Alla fine di questo percorso, resta comunque aperto il problema della
definizione delle caratteristiche proprie del comportamento politico.
Come ammette lo stesso Sartori, se il criterio che guida il comportamento
economico è l’utile e quello che è alla base dei comportamenti religiosi è il dovere
morale, il comportamento politico oscilla fra i due: “qual è la categoria, o li criterio,
dei comportamenti politici? Tutto quello che sappiamo dire al riguardo è che non
coincidono né con quelli morali né con quelli economici, anche se dobbiamo
registrare –storicamente- che il richiamo del “dovere” si attenua e la tentazione del
tornaconto cresce” [ibidem, 204-205].
Per comprendere le caratteristiche dei comportamenti politici occorre dunque
guardare al chi, al dove, al come e al perché della politica [Cotta, Della Porta e Morlino
2001], senza cercare comunque un’unica risposta condivisa. Come vedremo infatti, la
risposta alla domanda su “chi fa politica” può essere molto specifica o piuttosto
generica: se la classe politica è specializzata nelle attività politiche, tutti i cittadini, più
o meno, vi partecipano. Il luogo principale della politica viene individuato, da alcuni,
nello Stato, ma si “fa politica” anche in altri luoghi – dalla famiglia all’impresa. Gli
strumenti principali della politica sono dialogo e consenso, ma anche uso della forza.
E le motivazioni alla politica possono essere varie, dall’interesse personale alla
dedizione ad una causa comune. La definizione della politica è così stata mutevole nel
tempo, variando insieme ai principali approcci alla disciplina.
La concezione specifica della politica tende infatti ad essere influenzata dal
procedere della ricerca sulla realtà politica, ma anche del susseguirsi dei diversi
approcci alla politica. Come vedremo, la ricerca sulla politica parte da due concetti,
spesso menzionati in queste pagine: lo Stato e il potere. Come osserva Noberto
Bobbio, infatti, “per secoli il termine politica è stato impiegato prevalentemente per
indicare opere dedicate allo studio di quella sfera di attività umana che ha in qualche
modo un riferimento alle cose dello Stato”; dall’altra parte, però, il concetto di
politica, “intesa come forma di attività o di prassi umana, è strettamente connesso
con quello di potere” [Bobbio].
Nella scienza politica, un approccio che ha avuto molto successo negli anni
sessanta ha intrecciato elementi di una concezione statalistica-verticale della politica
con un’attenzione alle diverse risorse utilizzabili da parte di vari attori nel gioco
politico, elaborando il concetto di sistema politico. Nell’analisi più recente, la ricerca
sulla politica oscilla tra l’attenzione alle azioni in difesa di interessi individuali, propria
di un approccio razionale alla politica, e l’individuazione di un ruolo specifico della
politica nella costruzione di norme e identità collettive, proposto dall’approccio
neoisitituzionale.
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