Torino 20 Novembre 2015 Albert Einstein (1879-1955): uomo e scienziato a cavallo tra due rivoluzioni (delle quali non saprei dire quale sia stata la più importante) (Reffiniert ist der Herrgott, aber boshaft ist er nicht) Enrico Predazzi 2015: 200 anni da Fresnel 150 anni da Maxwell (e Darwin) 100 anni da Einstein “2” (Rel. Gen.) Vi sono (anche fra gli scienziati), uomini che nascono profondamente rivoluzionari e altri profondamente conservatori e poi ci sono quelli che, essendo sostanzialmente rivoluzionari, lo sono controvoglia e fanno di tutto per evitare lo sconquasso che stanno (involontariamente) provocando. Fra questi ultimi metterei Max Planck che solo dopo averle veramente provate tutte si rassegnerà ad aver cambiato la fisica con la nascita della Meccanica Quantistica. Poi ci sono anche quelli che i rivoluzionari lo fanno senza sforzi apparenti ma poi, se del caso, si ritirano ordinatamente su posizioni più conservative. Nella fisica, penso a Niels Bohr che a un certo punto propone niente meno che la violazione simultanea di energia e momento angolare per spiegare il decadimento beta. Fino a che Pauli, decisamente un conservatore, propone la soluzione "neutrino" che salva capra e cavoli e che, soprattutto, si rivela corretta (e che Bohr accetterà senza problemi). E che, quasi cent’anni dopo vede ancora (e sempre più) i neutrini al centro della scena della fisica. Di Einstein non è del tutto ovvio quale fosse l'atteggiamento ma posso farmene un’idea dal suo iter. Certo non un rivoluzionario ma aperto e molto pronto a impadronirsi di idee nuove, a valutarle e, se del caso, ad accettarle e anche a rinunciare a paradigmi stabilizzati dal tempo quando si convince che son da ripudiare. Si pensi alla relatività speciale prima (per esempio con le ripulsa dell'etere, nozione accettata fin dall'antichità con la “quintessenza” platonico-aristotelica ma anche con il postulato sulla velocità della luce). Ma molto di più, si pensi alla relatività generale (e andremo un po’ a fondo del perché). Ma si pensi però anche e forse perfino di più ai suoi contributi alla meccanica quantistica che forse non sarebbe mai diventata la teoria rivoluzionaria che è stata se proprio Einstein non avesse prima di tutto risolto il mistero dell'effetto fotoelettrico imponendo al fotone di avere un'energia proporzionale alla frequenza dove la costante di proporzionalità è proprio la costante di Bohr (1) E=hν con quel valore ridicolmente piccolo di (2) h = 6,626 269 57(29) • 10-34 Joule • sec A evitare di farmi riprendere da qualche mio ex studente, devo immediatamente qualificare meglio quel "ridicolmente piccolo" che non è chiaramente accettabile per una grandezza dimensioniale (come h che, ricordiamolo, dimensionalmente è un’azione). Un centimetro, per esempio, è una distanza ridicolmente piccola non solo se confrontata con le dimensioni dell'Universo (1028 cm) ma continua ad essere molto piccola se confrontata anche solo con le dimensioni della terra (l'equatore, infatti, è già circa 4x109 cm). Ma è invece ridicolmente grande rispetto alle dimensioni del protone (1 Fermi= 10-13 cm) o, peggio, alla lunghezza di Planck (10-33 cm) mentre è perfettamente normale sulle scale umane. Quindi, ridicolmente piccolo, il valore di h dato sopra, solo se confrontato con le scale del mondo macroscopico in cui viviamo. Ma, tornando ad Einstein, i suoi contributi innovativi non si limitano a quelli delle due relatività ma, come abbiamo detto, riguardano anche la meccanica quantistica in primo luogo quando associa l'energia di un fotone alla sua frequenza risolvendo così il problema dell’effetto fotoelettrico. Siamo nel 1905 e per questo, non per la relatività, riceverà il premio Nobel (anche se solo nel 1921 dopo, cioè, una lunga pausa di riflessione), ma, di nuovo nel campo della meccanica quantistica, qualche anno più tardi, nel 1923, sarà lui a sdoganare (come si dice ormai in italiano moderno) l’allora giovanissimo fisico francese Louis principe di de Broglie che propone che tutte le entità materiali abbiano associata una lunghezza d'onda data da (onda di de Broglie) (3) λ = h/p. E qui, notiamo, compare una volta di più h e la grande novità risiede nell'osar associare grandezze tipiche di un'onda a particelle materiali. Questa è un’associazione veramente rivoluzionaria almeno da un punto di vista concettuale. Per rendercene meglio conto, notiamo che la (3), associata con E = pc coincide con la (1) quando, come nel caso di onde elettromagnetiche, c = λν. Così stando le cose, ci si potrebbe chiedere: e allora dove sta la conclamata rivoluzionarietà di Einstein per aver accolto subito la relazione di de Broglie se questa, di fatto coincide con la relazione che lui stesso aveva proposto per la luce? Il fatto è che Einstein, appunto, aveva proposto la (1) per fotoni mentre l’ipotesi di de Broglie ci porta, essenzialmente, alla stessa relazione per la materia! Qui, in effetti, è già nascosto il celebre dualismo onda corpuscolo della meccanica quantistica (che esploderà in tutta la sua potenza con il principio di indeterminazione di Heisenberg). Come è noto, la (3) viene presto verificata nell'esperimento di Davisson e Germer del 1927 e poi, nel seguito, provata per quasi ogni tipo di particella con massa. Quindi, a tutti gli effetti, possiamo affermare che tutte le entità materiali oltre che una massa e tutte le loro altre caratteristiche tipiche, hanno associato anche un’onda anche se questa, nel caso di corpi macroscopici diventa trascurabilmente piccola. Nel limite h 0 quando la meccanica quantistica fornisce i risultati della fisica classica, λ diventa essenzialmente nulla (a nessuno verrà in mente di calcolare la lunghezza d’onda di un treno). Spero che le poche considerazioni di sopra spieghino e giustifichino il titolo del mio intervento: Einstein non solo ha presieduto (anzi creato direttamente) la, o “le” rivoluzioni relativistiche nella fisica ma ha anche fatto passi decisivi nella rivoluzione quantistica. E forse, anche in questo ambito, siamo appena all’inizio o almeno ad un nuovo inizio. Possiamo infatti dire che l’entanglement sta rivoluzionando di nuovo la fisica con la nascita di crittografia e computazione quantistica dopo che Bell ha proposto una diseguaglianza la cui verifica avrebbe potuto risolvere (e di fatto ha risolto, con i lavori di Aspect e altri a favore della meccanica quantistica) il dilemma posto proprio da Einstein, Podolski e Rosen nel 1935 quando fecero notare che la meccanica quantistica disegnata dai padri fondatori o nascondeva variabili nascoste che l’avrebbero resa deterministica o implicava novità estreme (come sarà la non località). Gli esperimenti, a partire appunto da quelli di Aspect e collaboratori fino a quelli più recenti, hanno conclusivamente escluso che vi possano essere variabili nascoste in grado di riportare la meccanica quantistica in un alveo simil-classico e, di fatto, hanno provato la non-località quantistica aprendo la strada, appunto a campi inesplorati ma molto promettenti come le già menzionate crittografia e computazione quantistica (e teletrasporto) alla cui nascita abbiamo già assistito e che promettono sviluppi rilevanti in un futuro molto prossimo. Altrimenti detto, oggi siamo di fronte ad un secondo atto della rivoluzione quantistica con: 1) “Paradosso” EPR (1935) 2) 3) 4) 5) 6) 7) Diseguaglianza di Bell (1964) Prima verifica di Aspect et al. (1975) Non località MQ Crittografia quantistica Computazione quantistica Teletrasporto Per qualificare meglio l’innovatività del pensiero di Einstein però, è opportuno spendere qualche parola in più per spiegare perché il passaggio dalle relatività ristretta a quella generale è senza dubbio la maggior componente di innovazione scientifica proposta da Einstein. In fondo, già la relatività ristretta cambia (profondamente) i paradigmi del pensiero scientifico e, come esemplificato sopra, rivoluziona tutta la fisica newtoniana ma la relatività generale va un lungo passo più in là: essa “riduce” la gravitazione ad un complesso fenomeno geometrico di curvatura dello spazio tempo che, di fatto, elimina completamente il concetto di gravitazione come forza. La massa modifica la geometria dello spazio e la linea retta che un corpo seguirebbe nello spazio vuoto si incurva. Quindi la massa incurva la traiettoria dei corpi che le si avvicinano (luce compresa) e provoca effetti che vengono predetti e verificati sperimentalmente (come la deflessione della luce che fornirà la più strabiliante evidenza sperimentale della validità della relatività generale). Per sintetizzare, con le parole di J. A. Wheeler sulla relatività generale: «La materia dice allo spazio come curvarsi, lo spazio dice alla materia come muoversi». Grossolanamente (ed impropriamente), molti dicono che la massa esercita un’azione di attrazione sulla luce come se fosse anch’essa massiva ma, appunto, questa è una imprecisione grossolana. Esattamente cento anni fa, il 4, l’11, il 18 e il 25 Novembre 1915, Einstein proponeva in una serie di seminari all’Accademia delle Scienze Prussiana e in un primo lavoro che uscirà nel 1916 (Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie) la relatività generale come teoria che incorporava ma andava molto oltre la relatività speciale e che prevedeva, appunto, fra altri, il fenomeno della deflessione della luce per il suo passaggio in vicinanza di un corpo molto massiccio. In particolare, il 18 Novembre riportava il calcolo secondo la relatività generale della variazione del perielio di Mercurio; un antico problema dato che la meccanica newtoniana spiegava gran parte (5600” di arco in un secolo) della sua variazione ma era in difetto di 43” di arco. L’astronomo francese Urbain Le Verrier, che aveva previsto l’esistenza di un nuovo pianeta sconosciuto oltre Urano (poi effettivamente scoperto e chiamato Nettuno) per spiegare un’altra anomalia, nel 1859 aveva presentato una memoria all’Académie de France per ipotizzare l’esistenza di un pianeta (da lui chiamato Vulcano) interno tra Sole e Mercurio che avrebbe dato conto di tale anomalia. Pianeta mai trovato. Einstein trova un accordo perfetto e “per giorni ne restò eccitato”. Questa, inosservata al grande pubblico, fu la prima grande prova della relatività generale. La seconda, che avrebbe portato la fama ad Einstein da un giorno all’altro, fu la verifica della previsione della deflessione della luce che, come già accennato, è il fatto che la luce, trasportando energia (e quindi massa in base alla famosa formula della relatività ristretta E=mc2), fa sì che la sua traiettoria sia incurvata passando ad una grande massa di materia. Einstein aveva calcolato che tale effetto su un grande cilindro di ferro sarebbe essenzialmente stato non misurabile. Diverso è se l’effetto lo si chiede ad una grande massa come quella del sole (o, perché no?, di una galassia). Questo fu il fenomeno che Sir Arthur Eddington e i suoi collaboratori verificarono molto presto (il 29 maggio 1919) con le osservazioni che vennero effettuate simultaneamente da due spedizioni scientifiche inglesi nelle città di Sobral (Brasile) e a São Tomé e Príncipe sulla costa occidentale dell'Africa cogliendo l’occasione di un eclissi totale di sole. Il risultato fu per i mezzi di comunicazione di allora una notizia straordinaria e finì sulle prime pagine di tutti i giornali più importanti, dando risonanza ad Einstein e alla sua teoria della relatività in tutto il mondo. Durante l'eclissi, Eddington fece numerose fotografie delle regioni situate sul bordo del sole. Le condizioni meteorologiche non erano buone e le immagini fotografiche, di qualità non eccellente, presentavano qualche difficoltà di interpretazione (gli errori erano dello stesso ordine di grandezza dell'effetto osservato) ma furono comunque conclamate accettabili a provare la validità della teoria di Einstein (anche perché quelle scattate dalla seconda spedizione inglese erano comunque di qualità leggermente migliore). Come altre volte sarebbe capitato nella storia della scienza, la prima evidenza della validità della teoria della relatività generale non era così incontrovertibile ma Einstein divenne famoso dalla sera alla mattina. (vedi Fig. 1 che presenta una delle fotografie scattate da Eddington) Occorre però precisare che ormai la lente gravitazionale è stata verificata sperimentalmente più volte insieme ad altri fenomeni cui accenneremo brevemente. Le misurazioni furono ripetute nel Lick Observatory sul monte Hamilton in California nell'eclisse del 1922, con risultati che concordano con quelli del 1919 e vennero ripetute più volte, in particolare nel 1973 da un gruppo dell'Università del Texas. Una indeterminazione notevole è rimasta in queste misurazioni per quasi cinquanta anni, fino a quando le osservazioni iniziarono ad essere effettuate per mezzo delle radiofrequenze. Solo alla fine degli anni '60 venne definitivamente dimostrato che la quantità di deflessione è l'esatto valore completo previsto dalla relatività generale, e non “quasi” quel valore. Le figure che seguono (2-4) hanno didascalie auto-esplicative. Segue un ottimo esempio di lente gravitazionale: una galassia lontana ingrandita e deformata a forma uno splendido anello di Einstein Fig. 5. Un esempio di anello di Einstein Altri straordinari esempi di deflessione della luce sono rarissime esposizioni chiamate “Croce di Einstein quali le figure seguenti (Fig. 6 e 7) Quando il quarantunenne Albert Einstein si svegliò un grigio venerdì 7 Novembre 1919 nel suo appartamento al numero 5 di Haberlandstrasse in Berlino, lui non lo sapeva ancora ma la sua vita sarebbe in breve tempo stata completamente trasformata dalla fama che gli avrebbero procurato i mezzi di informazione dell’epoca, cioè i giornali. Il primo fu il Times di Londra quella mattina di Novembre. Il Times riportava infatti che delle numerose predizioni fatte da Einstein a verifica della relatività generale, quella della piccola ma misurabile deflessione della luce aveva avuto una prima verifica, come detto sopra. Era da poco finita la guerra e le comunicazioni tra Inghilterra e Germania erano ancora scarse ma Einstein doveva aver già avuto una prima informazione quell’estate dato che il 27 Settembre scriveva a sua mamma malata in Svizzera: “Oggi una notizia importante. H. A. Lorentz mi ha scritto che due spedizioni inglesi hanno verificato la deflessione della luce da parte del Sole”. Il riconoscimento formale, però, doveva aspettare l’annuncio congiunto da parte di Royal Society e Royal Astronomical Society che sarebbe stato dato, a Londra il 6 Novembre 1919 e che, appunto, gli avrebbe cambiato la vita. Il matematico inglese Alfred North Whitehead che era presente all’annuncio, scrisse: The whole atmosphere of tense interest was exactly that of the Greek drama: we were the chorus commenting on the decree of destiny as disclosed in the development of a supreme incident. There was dramatic quality in the very staging: the traditional ceremonial, and in the background the picture of Newton to remind us that the greatest of scientific generalizations was now, after more than two centuries, to receive its first modification. Nor was the personal interest wanting: a great adventure in thought had at last come safe to shore.... The laws of physics are the decrees of fate. A seguito di questo annuncio, Sir Arthur Eddington, il capo delle spedizioni scientifiche inglesi scrisse ad Einstein il 1 dicembre: "All England has been talking about your theory." E Paul Ehrenfest riportava il 24 Novembre dall’Olanda che tutti i giornali parlavano dell’articolo del Times sulla sua teoria cui, in risposta, Einstein commentava sul “chiocciare meravigliato di un branco di giornalisti oche”. Richiesto su quale sarebbe stata la sua reazione se la relatività generale non fosse stata confermata da Eddington nel 1919, Einstein rispose con la famosa battuta: "Mi sarebbe dispiaciuto per il Signore, ma la teoria sarebbe stata comunque corretta". Ma era soprattutto il New York Times che avrebbe fatto da straordinaria cassa di risonanza quando, il 10 Novembre 1919 si impossessava della storia con il titolo "Lights all askew in the Heavens" (“Le luci sono tutte deviate nei cieli”) e annunciava “La teoria di Einstein trionfa”. Il giornale continuava poi rassicurando i suoi lettori che non dovevano preoccuparsi di cercare di capire la nuova teoria perché “solo dodici uomini al mondo erano in grado di capirla”. Ma, alla domanda «è vero che solo tre uomini al mondo capiscono la relatività generale?» pare Eddington rispondesse : «chi sarebbe il terzo?». In realtà, dopo un lungo colloquio in cui, qualche tempo prima, Einstein, aveva spiegato i suoi progressi al celebre matematico tedesco David Hilbert, questi aveva cominciato a lavorarci ed era praticamente prossimo alla conclusione (cosa che, pare, spinse Einstein ad accelerare le sue ricerche e lo irritò non poco). Quindi almeno in tre sarebbero dovuti essere! L’11 Novembre, un altro titolo sarebbe seguito sullo stesso argomento e così altre notizie sarebbero state fornite sul mondo fantastico della relatività e del suo autore. Notizie che, ovviamente, avrebbero giocato un ruolo importante nel trasmettere la fama di Einstein a un pubblico notoriamente curioso, amante del sensazionale ed entusiasta come quello Americano. E poi, il 14 Dicembre, le cose sarebbero cominciate a cambiate anche in Germania. La prima pagina del Berliner Illustrirte Zeitung aveva la foto di un serio signore con una capigliatura nera ben pettinata e un paio di baffi folti che si teneva il mento fra le dita aperte della mano destra e che guardava davanti a sé; la didascalia era “Una nuova celebrità nella storia”. Oltre alla deflessione della luce e alla spiegazione matematica delle anomalie nel calcolo del perielio di Mercurio, vi sono altre previsioni della teoria di Einstein che elencherò rapidamente. Il primo, peraltro anch’esso molto difficile da verificare quantitativamente, è lo spostamento verso il rosso della luce (red shift) dovuto all’effetto Doppler dell’allontanarsi delle galassie. Misurato per la prima volta da Walter Sydney Adams nel 1925, fu definitivamente verificato soltanto nel 1959 con l'esperimento di Pound-Rebka che misurò il relativo spostamento verso il rosso di due sorgenti situate in cima e alla base della torre Jefferson alla Harvard University utilizzando l’effetto Mössbauer; con un risultato in ottimo accordo con la relatività generale. Un altro effetto rilevante è la variazione della misura del tempo con l’altezza misurata per la prima volta da ricercatori del Politecnico di Torino e dell’allora Istituto Nazionale Elettrotecnico Galileo Ferraris di Torino (oggi INRiM) quando il compianto Sigfrido Leschiutta fece la misura misurando la differenza tra Torino e Plateau Rosà. Ma oggi la sensibilità degli strumenti di misura è tale che perfino limitandosi a sollevare l’orologio di qualche decimetro sopra il tavolo si verifica un ritardo misurabile. Ormai accettata da tutti, è un’altra previsione basata su una soluzione delle equazioni di campo dovuta a Schwarzschild e cioè i cosiddetti buchi neri. Ne esistono di giganteschi: il buco nero all’interno della supergalassia ellittica M87, la più grande conosciuta nell’universo “vicino”, per esempio, è accreditato di una massa pari a 6.6 miliardi di masse solari. A oggi non abbiamo una prova diretta osservativa dell'esistenza dei buchi neri ma ne deduciamo l'esistenza dallo studio del comportamento di stelle e gas che stanno loro intorno. L'enorme dimensione del buco nero di M87 ne fa un ottimo candidato ad essere il primo buco nero del quale si potrà provare ad osservare l'orizzonte degli eventi. Una verifica sperimentale diretta non esiste neppure ancora per un altro fenomeno previsto dalla relatività generale e cioè le onde gravitazionali. Queste sono previste da una teoria di campo e comportano l’esistenza di particelle di spin 2 battezzate gravitoni e sono attivamente ricercate. Dopo l’annuncio della loro scoperta da parte del gruppo di Jo Webber in USA alla fine degli anni ’60, la loro ricerca è stata quanto mai intensa (in Italia, in particolare, da parte del gruppo di Amaldi-Pizzella a Roma) ma i risultati di Webber non sono stati confermati da altri gruppi sperimentali. Nuovi superrivelatori (di cui uno presso Pisa) dovrebbero presto dare risultati. Le onde gravitazionali sono increspature nel tessuto dello spazio-tempo che secondo la teoria dovrebbero avere origine da eventi cosmici estremamente energetici e su larga scala, come ad esempio coppie di buchi neri che orbitano uno attorno all’altro in coalescenza al centro di galassie, eventi transitori che hanno avuto luogo nelle prime fasi di vita dell’Universo, oppure remote tracce dell’inflazione cosmica, la fase che ha avuto luogo subito dopo il Big Bang, quando l’Universo ha subito una grande espansione durata una piccola frazione di secondo a partire da un volume molto piccolo. Una prova indiretta da molti reputata convincente in modo definitivo dell’esistenza delle onde gravitazionali è la variazione del periodo di rotazione di due oggetti massicci orbitanti uno intorno all’altro che, avvicinandosi, ruotano sempre più velocemente e, si ritiene, così facendo emettono onde gravitazionali. Resta, invece, al livello di congettura un’altra previsione che secondo alcuni potrebbe portare ad una rivoluzione nei viaggi intergalattici e cioè i cosiddetti ponti di Einstein-Rosen ipotizzati da Einstein e da Nathan Rosen nel 1935 come conseguenza di una soluzione delle equazioni di campo. Oggi sono brevemente conosciuti come “buchi di verme” o wormholes con termine coniato dal già ricordato J. A. Wheeler che riassume così il punto: «Questa analisi costringe a considerare situazioni... dove c'è un flusso netto di linee di forza attraverso ciò che i topologi chiamerebbero una soluzione per lo spazio molteplicemente connesso e che i fisici potrebbero forse essere scusati per averlo vividamente definito un ‘wormhole’. ». Ma, in realtà, nella letteratura si trovano diverse varietà di wormholes su cui non ci soffermeremo. Non essendo mai stato un esperto di relatività generale, anzi, avendola quasi "temuta" per le sue difficoltà matematiche, conservo ancora il ricordo di una conversazione con un “esperto” che, circa 50 anni fa, mi pronosticava l'impossibilità di una verifica "semplice" (nel senso più sofisticato del termine ovviamente) della RG. Qualcosa, tanto per capirci di simile all'allungamento della vita media di una particella quando si muove a velocità prossime alla velocità della luce che hanno permesso una verifica diretta della validità della relatività ristretta. Mi diceva, il mio esperto, che le previsioni della RG erano troppo sottili, difficili e, in fondo esoteriche perché si potessero verificare in un esperimento “semplice” (come quello che può essere, appunto, la dilatazione dei tempi della relatività speciale verificabile dall’allungamento della vita di una particella instabile relativistica). Mi chiedo cosa penserebbe oggi questo mio amico se fosse ancora vivo quando quotidianamente chiunque ha a disposizione la possibilità di effettuare un esperimento la cui validità è strettamente legata alla validità della RG. Parlo, ovviamente, della misura della posizione di un'automobile che è fornita dal GPS (Global Positioning System) e che permette all'automobilista di avere in tempo reale dai satelliti geostazionari l'informazione che gli permette di dirigersi verso un indirizzo stradale preassegnato. Il progetto GPS è stato sviluppato nel 1973 per superare i limiti dei precedenti sistemi di navigazione, integrando idee di diversi sistemi precedenti. È stato creato e realizzato dal Dipartimento della Difesa statunitense (originariamente disponeva di 24 satelliti) ed è diventato pienamente operativo nel 1994. Senza relatività generale (e basandosi solo sulla relatività speciale), l'errore nella localizzazione dell'automezzo da parte del sistema di satelliti sarebbe dell'ordine di qualche chilometro invece dei pochi metri che è in realtà. Questo, perché la relatività speciale non prevede che il tempo misurato dall'orologio sui satelliti possa essere diverso da quello misurato a terra mentre la relatività generale sì. L’osservazione di tale anticipo è una verifica della teoria di Einstein in un'applicazione al mondo reale. E quindi, gli orologi a bordo dei satelliti vengono corretti per gli effetti della teoria della relatività che porta a un anticipo del tempo sui satelliti. E anche se si tratta di minuscole frazioni di secondo (microsecondi), data la velocità della luce (c= 300.000 km /s) che trasmette l'informazione, l’anticipo di un orologio del satellite rispetto ad un orologio sulla terra per effetto della RG, questo si tradurrebbe in svariati chilometri di errore (1 microsecondoluce è circa 1/3 di km!). L'effetto relativistico rilevato corrisponde molto bene a quello atteso in teoria, nei limiti di precisione della misura e risulta dall’effetto opposto di due fattori: la velocità di spostamento rispetto alla terra rallenta il tempo sul satellite di circa 7 microsecondi al giorno, ma il potenziale gravitazionale, minore per via dell’altezza sull’orbita del satellite rispetto alla terra, non solo compensa questo squilibrio ma lo rovescia perché provoca una accelerazione di 45 microsecondi. Complessivamente, quindi, il tempo sul satellite accelera di circa 38 microsecondi al giorno. Per correggere la differenza tra orologi a bordo e a terra, gli orologi sul satellite sono corretti per via elettronica. Senza queste correzioni, il sistema GPS genererebbe, come già detto, errori di posizione dell’ordine di vari chilometri su un giorno di utilizzo mentre, con le opportune correzioni il sistema realmente riesce ad arrivare al livello centimetrico (che viene, comunque portato artificiosamente a errori dell’ordine di qualche metro per ragioni militari). La cosa più divertente (che riporto peraltro con beneficio di dubbio perché non ho avuto modo di verificarla) è, che, i generali Americani (o meglio i loro tecnici) non conoscendo la relatività generale hanno dovuto simulare e correggere da terra con software ad hoc l’errore che, di fatto, non potevano correggere sui satelliti che erano stati inviati in orbita senza le necessarie previsioni di correzione per effetti di relatività generale! Ricordiamo ancora che è in fase di realizzazione un progetto europeo di misura di posizionamento chiamato Galileo che sarà un sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile (in inglese GNSS - Global Navigation Satellite System), sviluppato in Europa come alternativa al GPS) e la cui entrata in servizio è prevista per la fine del 2019. Conterà 30 satelliti orbitanti su 3 piani inclinati rispetto al piano equatoriale terrestre di circa 56° ad una quota di circa 24.000 km. Ma è tempo di tornare ad Einstein come persona e come scienziato. Nei limiti in cui è possibile sezionare e categorizzare una figura complessa come quella di Einstein, io mi limiterò ad alcune considerazioni sul suo aspetto di scienziato lasciando a chi ne ha più titolo di me il compito di parlarne come filosofo, come sociologo, come politico, come israelita e, in generale, come uomo. Questo perché la figura di Einstein solleva problematiche di respiro talmente ampio che per analizzarla compiutamente, occorrerebbe un impegno molto ma molto maggiore. Il 2005, dichiarato Anno mondiale della Fisica dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha portato ad un’esegesi approfondita di Einstein da cui non sfuggono né i suoi momenti di trionfo e di maggior gloria né (e, tutto sommato, meno male) le sue debolezze, piccole e grandi, nè i suoi momenti di crisi. Ormai sappiamo “tutto” (si fa per dire) sulla sua vita, sui suoi trionfi scientifici, sui risvolti politici, sociologici e umani e l’aneddotica su Einstein, già molto ampia, ha portato a nuove vette (alcune anche divertenti e, forse, da verificare come, per esempio, che la sua celebrata passione per il violino si risolvesse talora in un infliggere i suoi svaghi musicali ad amici ed ammiratori con l’implicazione, quindi, che il piccarsi di suonarlo bene fosse una sua “debolezza”). L’eredità che Einstein lascia è cospicua non solo per i suoi straordinari successi come fisico ma anche per il suo costante (e crescente) coinvolgimento come uomo impegnato, soprattutto negli ultimi anni, da un lato sul fronte pacifista e dall’altro su quello dei diritti umani, civili e religiosi. Einstein è nella stragrande maggioranza, il nome che viene alla mente al pubblico quando viene richiesto di nominare uno scienziato. Personalità, come scienziato, estremamente complessa e innovativa; a tratti, abbiamo visto, si potrebbe dire quasi rivoluzionaria ma, malgrado ciò possa apparire una contraddizione in termini, per altri versi anche fortemente conservatrice. Nel suo annus mirabilis (1905) Einstein ha pubblicato tre fra i suoi contributi maggiori (sei lavori in tutto, includendo la sua tesi di dottorato dal titolo “Su una nuova determinazione della dimensione molecolare”). Il più celebre è certamente quello sulla Relatività ristretta (in realtà due lavori di cui il primo è ricevuto dalla rivista il 30 giugno e il secondo, dove compare per la prima volta la celebre relazione E=mc2, a settembre) che sarà seguito, come già accennato, nel 1915 dalla Relatività generale il cui centenario ricorre quest’anno e che appare da un lato come una vera e propria rivoluzione del pensiero non solo scientifico del Novecento ma che al suo apparire è già una teoria praticamente completa. Il secondo, sull’Effetto fotoelettrico (per cui riceverà il premio Nobel nel 1921), prelude o almeno pone un tassello fondamentale per lo sviluppo dell’altra grande rivoluzione della fisica del secolo passato, la Meccanica Quantistica che sotto molti aspetti resta ancora incompleta e nei cui confronti Einstein avrà sentimenti contrastanti per tutta la sua vita. Il terzo, infine, è quello sul Moto Browniano che a tutti gli effetti è la prima indiscutibile prova dell’esistenza degli atomi. Ci si può chiedere se Boltzmann l’avesse capita a fondo se davvero una delle ragioni del suo suicidio nel 1906 è stata la frustrazione di non riuscire a convincere il mondo scientifico dell’esistenza degli atomi. Einstein nel corso della sua vita darà altri contributi importantissimi alla fisica, di cui la Relatività generale è certamente il più conosciuto e forse anche il maggiore ma come ignorare il lavoro del 1935 sul cosiddetto paradosso EPR di Einstein, Podolski e Rosen? È con questo lavoro che Einstein solleva problematiche che troveranno una risposta solo decenni più tardi quando Aspect e collaboratori verificheranno che la diseguaglianza proposta da Bell nel 1964 dà ragione alla Meccanica Quantistica ed esclude l’ipotesi che variabili nascoste possano mutarne in senso similclassico la natura. Di qui nasceranno la non-località quantistica e l’entanglement da cui stanno a loro volta nascendo grandi sviluppi come la computazione, la crittografia quantistica e il teletrasporto che rappresentano a tutti gli effetti una seconda rivoluzione del pensiero quantistico. Il teorema di Bell verificato dagli esperimenti, nella forma più semplice, afferma, infatti, che nessuna teoria fisica locale e realistica a variabili nascoste può riprodurre le predizioni della meccanica quantistica. Considerato come un importante contributo a favore della meccanica quantistica, in particolare del suo carattere controintuitivo nel rifiuto del realismo locale, tocca questioni fondamentali per la filosofia della fisica moderna. Il 1905, ciononostante, resta un anno unico nella vita di Einstein che non avrà più un anno così straordinariamente produttivo. Proprio come Newton non avrà più un anno così produttivo e fecondo come il 1665. Ma, come cercherò di argomentare, è forse nell’insegnamento complessivo e nella via che tenterà di aprire (senza successo) verso l’unificazione di tutte le forze conosciute ai suoi tempi che si colloca uno dei lasciti più preziosi di Einstein. Uno dei punti che per riconoscimento universale rendono l’opera di Einstein, come fisico, così feconda e unica, al di là di quelli, in un certo senso scontati, dell’originalità e della genialità dell’intuizione, è la straordinaria modernità del suo insegnamento che, nel successo, ma perfino nell’insuccesso, ha indicato vie di grandissima innovatività e rilevanza. Un secondo punto, molto meno conosciuto e soprattutto molto meno riconosciuto ma che, di nuovo, appare come assolutamente eccezionale, è la capacità di estrarre l’essenziale da una grande massa di dati e di informazioni e di costruire un’elaborazione separata di questo essenziale scartando tutto l’inessenziale che, in quanto tale, oscura il problema e ne nasconde la soluzione. Come scrisse uno dei suoi più appassionati ammiratori e biografi, Abraham Pais, “Meglio di chiunque altro prima e dopo di lui, egli seppe inventare principi di invarianza e fare uso di fluttuazioni statistiche”. Prima di commentare brevemente la sua opera di scienziato, è forse divertente spigolare fra alcune curiosità della sua formazione che danno qualche squarcio di luce sullo scienziato futuro. Einstein studente. Einstein non pare essere stato un enfant prodige ma di qui a non essere stato uno studente modello come talora si è detto, ci corre parecchio. Nel 1886 la madre Pauline scrive a sua madre “Ieri Albert ha avuto la sua pagella e, ancora una volta è stato il primo della classe; la sua pagella è stata brillante”. Certo gli stavano molto stretti l’autoritarismo degli insegnanti, il servilismo degli studenti e la routine della scuola; inoltre, “... aveva un’antipatia istintiva per ... ginnastica e sport... Si stancava facilmente” per cui si sentiva isolato e faceva pochi amici a scuola. Malgrado ciò, anche se è molto arduo ricostruire come possono essersi sviluppati i processi mentali che l’hanno poi portato ai suoi risultati, non si può non osservare che le sue nuove e rivoluzionarie idee attuarono ragionamenti cui, in linea di principio, sarebbero potuti pervenire alcuni fra i fisici che prima di lui si erano già spinti molto avanti. Anche a rischio di schematizzare o di semplificare in modo eccessivo, è, quindi, interessante chiederci cosa abbia potuto aiutarlo a sviluppare i suoi pensieri da giovane e a influire sui suoi studi. La sorella Maja, nei suoi scritti biografici sul fratello, ricorda che, tredicenne (1891), fu consigliato a letture molto avanzate da Max Talmud (poi Talmey), uno studente di medicina povero che la comunità ebraica aiutava nei suoi studi e che cenava a casa Einstein tutti i giovedì. Secondo Maja, discutevano di scienza e di filosofia per ore e ore e dice (di Talmey) “... discusse a fondo tutte le questioni sollevate dal ragazzo assetato di sapere e gli raccomandò la lettura di libri di filosofia della natura (“Kraft und Stoff” di Ludwig Büchner e “Kosmos” di Alexander Von Humboldt). Per il resto, frequentò, nonostante la differenza di età, il giovane, intrecciando con lui un rapporto paritario .... impegnò tutta la sua personalità per iniziare il ragazzo agli argomenti che lo interessavano. Ciò accadeva nell’importante periodo in cui il bambino diventava un uomo pensante. I suoi interessi si ampliarono ... iniziò ad occuparsi delle questioni fondamentali di scienza della natura.” Talmey, poi, scrive “In tutti quegli anni non l’ho mai visto leggere un libro di svago e non l’ho mai visto in compagnia di suoi insegnanti o compagni di scuola”. Sempre da Talmey sappiamo che gli raccomandò anche la lettura di altri autori e cioè, di Kant (Critica della ragion pura) e di Aaron Bernstein (Naturwissenschaftliche Volksbücher). Lasciando da parte Kant, è certo un grosso patrimonio di cultura ed informazione che si deve essere offerto e aperto ad una personalità così curiosa malgrado il grado di obsolescenza non trascurabile in queste opere, scritte prima del 1860 (prima, cioè della rivoluzione Darwiniana). È chiaro, peraltro, che il loro ruolo deve essere stato principalmente nell’aprire nuovi orizzonti ad una mente estremamente recettiva. D’altra parte, a riprova delle sue difficoltà a digerire un certo tipo di studio, nella sua Autobiografia, Einstein scrive che imparò presto “...a discernere ciò che poteva condurre ai principi fondamentali da quella moltitudine di cose che confondono la mente e la distolgono dall’essenziale. Il guaio era che, volenti o nolenti, bisognava accumulare tutta quella robaccia nella testa per gli esami. Questa costrizione ebbe un effetto talmente deprimente su di me che, sostenuto l’ultimo esame, per un anno intero ogni problema scientifico mi parve disgustoso... È un vero miracolo che i metodi moderni d’istruzione non abbiano ancora soffocato del tutto la sacra curiosità della ricerca: perché questa delicata pianticella oltre che di stimolo, ha bisogno di libertà senza la quale si corrompe senza scampo e muore. È un errore gravissimo pensare che la gioia di vedere e di cercare possa essere suscitata attraverso la coercizione e il senso del dovere. Al contrario, io sono convinto che si riuscirebbe persino a togliere voracità ad una fiera se fosse possibile costringerla a mangiare con la frusta continuamente, anche quando non fosse affamata...” Einstein docente. Altro motivo ricorrente (e, questo, forse con maggior ragione) nell’aneddotica einsteiniana concerne il suo non aver amato l’insegnamento tanto che si vuole che uno dei motivi per lasciare l’ETH di Zurigo per trasferirsi all’Accademia di Berlino sia che in questa sede non avrebbe dovuto insegnare (scrive, infatti, a Paul Ehrenfest, che aveva accettato l’incarico perché far lezione era diventato per lui “... estremamente irritante .”). Sembra che arrivasse in aula con pochi foglietti sparsi e costruisse la sua lezione in maniera estemporanea. In compenso, esistono svariati quaderni di appunti che Einstein redasse per il primo corso che tenne nel 1909 e 1910 a Zurigo appena nominato professore. Si conservano un quaderno di circa 120 pagine di appunti di meccanica classica, uno sulla teoria cinetica dei gas e meccanica statistica di circa 60 pagine e uno di 80 pagine di elettricità e magnetismo che fanno parte dei Collected papers of Albert Einstein pubblicati dalla Princeton University Press nel 1993. Assieme ad appunti presi da studenti durante le sue lezioni, questi quaderni costituiscono la maggior evidenza del suo impegno didattico. Se ne può, quindi, dedurre che, almeno all’inizio della sua carriera, prese molto sul serio il suo impegno di docente e questo è confermato da una sua lettera alla madre nella primavera del 1910 in cui scrive “... le mie lezioni sono cominciate e mi rendono molto felice...” e questo perché, come scrive lui stesso a Michele Bresso nel novembre 1909, “...uno impara molto insegnando...” come sa, d’altra parte, molto bene chiunque abbia o abbia avuto compiti d’insegnamento). In effetti, una lettura critica di questi quaderni di appunti evidenzia molti spunti di riflessioni di Einstein. Trasferitosi a Praga nel 1911, Einstein nota una mancanza di diligenza da parte degli studenti di cui non si era lamentato insegnando all’Università di Zurigo e di cui non si lamenterà nel secondo periodo all’ETH di Zurigo (dal 1912 al 1913) e sembra perdere interesse nell’insegnamento. Il trasferimento all’Accademia delle Scienze prussiana di Berlino del 1914, poi, avviene sotto condizione di non aver carichi d’insegnamento. Immerso nel problema di rifondare la gravitazione, stava, infatti, approfondendo le sue conoscenze matematiche e non aveva più nulla da apprendere dal suo insegnamento con la conseguenza che per lui le lezioni diventarono, come abbiamo visto, “...estremamente irritanti...”. Einstein scienziato. Per ragioni di tempo mi limiterò a soffermarmi brevemente solo su due punti di Einstein scienziato e cioè: 1) gli aspetti generali e la capacità di penetrazione del messaggio einsteiniano e 2) la capacità di Einstein di individuare l’essenziale e il suo approccio alla fisica teorica per poi concludere, tornando all’aneddotico, a dimostrazione che anche i geni possono sbagliare con 3) gli “errori” di Einstein dove, nell’ultimo punto le virgolette sugli “errori” sono a futura memoria che, talora, i “geni”, non sbagliano neanche quando ritengono di sbagliare.... 1) Gli aspetti generali e la capacità di penetrazione del messaggio einsteiniano Come già rilevato, due (o tre, a seconda di come si contano le prime due), sono le grandi rivoluzioni nella fisica della prima metà del Novecento, la Relatività [Ristretta (1905) e Generale (1915-1916)] e la Meccanica Quantistica. Però, mentre la relatività nasce come una teoria praticamente completa, la meccanica quantistica è ancora largamente incompiuta. Einstein è stato il protagonista assoluto della prima e ha fortemente influenzato la seconda dalle fasi iniziali (effetto fotoelettrico prima, forte spinta per una verifica sperimentale della congettura dell’allora giovane de Broglie poi) fino alla fine dei suoi giorni non soltanto attraverso un dialogo continuo e una critica acuta (soprattutto con Bohr) ma anche con stimoli che continuano ad essere assai fecondi ancora oggi e che ne hanno condizionato tutti gli sviluppi (il già ricordato cosiddetto paradosso di Einstein, Podolski e Rosen con i commenti fatti sopra). Cercando di schematizzare, vorrei estrarre dal contesto i punti che mi sembrano essere stati i più fecondi della ricerca di Einstein: a) la simmetria definisce l’interazione b) l’unificazione delle forze in fisica c) la geometrizzazione della fisica. Discutiamoli molto brevemente. a) La simmetria definisce l’interazione L’invarianza di Lorentz era stata scoperta molto tempo prima come conseguenza matematica delle equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo e, secondo Einstein, è stato Minkowski a introdurre l’argomento e a porre per primo la questione dell’invarianza di Lorentz da cui dedurre poi le equazioni di campo ma è chiaro che è stato Einstein a sfruttarne appieno il principio Simmetria Equazioni di campo. Forse, si potrebbe discettare se sia stato Einstein il primo in assoluto a utilizzare questo potente mezzo in fisica (dopotutto la teoria di Maxwell è dominata e si potrebbe quasi dire determinata dall’invarianza di gauge) ma, anche se non è stato il primo, certamente Einstein è stato colpito in modo del tutto particolare dalla potenza delle conseguenze delle simmetrie; non per nulla è stato affascinato dal teorema di Noether e ha dichiarato che Emmy Noether con il suo celebre teorema era una delle grandi menti matematiche del Novecento. Si può dire che sono state le considerazioni di simmetrie combinate con il principio di equivalenza che lo hanno portato alla relatività generale. Quello che importa osservare è che la definizione della simmetria come determinante l’interazione, è stata un’intuizione estremamente feconda che ha ricevuto una serie di applicazioni nella fisica. Per limitarci agli esempi più conosciuti e più rilevanti nella storia della fisica, ricordiamo: Invarianza per trasformazione delle coordinate Relatività generale Simmetria di gauge U(1) (Abeliana) Elettromagnetismo Simmetria di gauge SU(2)xU(1) (non Abeliana) Teoria elettrodebole Simmetria SUC(3)xSU(2)xU(1) Cromodinamica quantistica Simmetria fermione-bosone Supersimmetria (SUSY). Altri esempi più specializzati (supergravità, teoria delle stringhe) potrebbero essere ricordati. b) L’unificazione delle forze in fisica Come già evidenziato, Einstein era stato (a ragione!) particolarmente colpito dalla straordinaria unificazione compiuta da Maxwell di elettricità e magnetismo nella seconda metà dell’Ottocento e nel 1936 fa un commento che sarebbe difficile non sottoscrivere e cioè: “.. l’uscita da questa situazione insoddisfacente, attuata dalla teoria di Faraday e Maxwell, rappresenta probabilmente la più profonda trasformazione dei fondamenti della fisica fin dai tempi di Newton”. Come conseguenza di ciò, egli impiegò molto tempo a cercare di unificare le due teorie di campo note a quel tempo e nel 1934 scriveva “... esistono due strutture dello spazio tempo indipendenti l’una dall’altra, quella metrico-gravitazionale e quella elettromagnetica... Noi siamo indotti a credere che ambedue i tipi di campo devono corrispondere a una struttura unificata dello spazio”. Oggi noi sappiamo che questo tipo di unificazione non era quello più facile da realizzare se tuttora resta incompiuta (su questo punto torneremo più avanti, in: Gli “errori” di Einstein). L’importante è che il messaggio è stato molto, molto fruttuoso (semmai, si potrebbe discutere se non sia stato troppo fruttuoso). c) La geometrizzazione della fisica Nella citazione del paragrafo precedente ricordavo che Einstein considerava l’elettromagnetismo una struttura dello spazio. Era, tuttavia, pienamente consapevole del fatto che l’invarianza di Lorentz da sola non era sufficiente a produrre le equazioni di Maxwell e nel 1950 scriveva su Scientific American : “Le equazioni di Maxwell contengono il gruppo di Lorentz ma il gruppo di Lorentz non contiene le equazioni di Maxwell”. La più grande realizzazione della geometrizzazione della fisica è stata la relatività generale e cioè l’idea che gravitazione e meccanica potessero essere descritte in termini di geometria Riemanniana. Come già accennato in precedenza, l’idea portante è che, come nello spazio libero da forze gravitazionali un corpo non soggetto a forze si muove in linea retta a velocità costante, in un campo gravitazionale i corpi non soggetti ad accelerazioni, si muovono su traiettorie curve (chiamate geodetiche) perchè lo spazio tempo si è internamente curvato. Queste linee generalizzano in modo naturale allo spazio curvo le linee rette dello spazio libero. Il problema che egli aveva dinanzi a sè (e che risolse con l’aiuto della geometria di Riemann) era quello di trovare la geometria interna dello spazio tempo in presenza di corpi celesti: quale è la geometria che descrive il campo gravitazionale e quali ne sono le equazioni. Ciò che alla fine rende uniche queste equazioni è l’ipotesi che la gravità agisca non solo sulla materia ma anche sulla luce; intuizione questa già espressa da Newton ma che ci porterebbe molto al di là di quanto consentito in questa breve discussione. Forse uno potrebbe spingersi fino al punto da sostenere che Einstein privilegiò la Meccanica quantistica nella sua formulazione ondulatoria (piuttosto che in quella matriciale) proprio a causa delle implicazioni geometriche della prima. Ma questa è forse un’ipotesi troppo ardita anche se un supporto parziale potrebbe trovarsi nell’entusiasmo con cui appoggiò l’ipotesi di de Broglie. 2) La capacità di Einstein di individuare l’essenziale e il suo approccio alla fisica teorica. Einstein credeva fermamente nel potere della bellezza della matematica, e nel bisogno che ha la fisica della matematica “...il principio creativo risiede nella matematica. In un certo senso perciò, io credo sia vero che il puro pensiero può afferrare la realtà, come gli antichi sognavano” e anche “...la base assiomatica della fisica teorica non può essere estratta dall’esperienza ma deve essere creata liberamente” e ancora “l’esperienza può suggerire i concetti matematici appropriati ma certamente questi non possono essere dedotti da quella”. Per altro lato, egli credeva fermamente che la fisica sia una scienza sperimentale e uno dei suoi meriti meno riconosciuti (e, forse, meno conosciuti) è stata, come già ripetutamente ricordato, la capacità di discriminare l’essenziale dall’inessenziale in mezzo ad una gran messe di dati e di informazioni sperimentali (come fu per l’effetto fotoelettrico e per il moto Browniano). Einstein stesso ci dice “La quantità dei dati sperimentali non sufficientemente connessi fra loro era predominante... In questo campo, tuttavia, io ho imparato subito a scegliere ciò che portava in sè i fondamenti e girare al largo da tutto il resto, dalla moltitudine di cose che ingombrano la mente e la distolgono dall’essenziale.” Non sfuggirà come le parole che usa siano praticamente le stesse con cui descriveva il suo malessere di fronte a metodi didattici che lo obbligavano a ingombrare la sua mente con particolari insignificanti. Resta, quindi, e si rinforza, l’ammirazione per uno scienziato che è stato capace non solo di grandi voli di pensiero e di potenti sintesi ma, allo stesso tempo, di analisi sottili ed acutissime. 3) Gli “errori” di Einstein Gli “errori” di Einstein si possono dividere in quelli che lui stesso definisce tali e quelli che invece possono essere visti come tali in retrospettiva. Entrambi sono molto istruttivi. Fra i primi non possiamo non ricordare il forte ripensamento se non rammarico che ebbe per aver scritto insieme a Leo Szilard al Presidente Roosvelt la lettera che fu determinante nel far decollare il Progetto Manhattan da cui sarebbero uscite le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki che avrebbero scatenato l’equilibrio del terrore nucleare nei decenni seguenti. Sembra accertato che egli considerò questo come un grave errore anche se non poteva non riconoscere come la contingenza nella quale fu scritta fosse estremamente grave. Su un piano più speculativo, resta la domanda che si poneva Enrico Fermi se l’equilibrio del terrore avrebbe tenuto in assenza dell’evidenza del terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki (ma nulla, neanche la più cinica analisi giustifica secondo me Nagasaki). Più divertente, un altro errore che Einstein stesso qualificò come il più grave della sua carriera (di scienziato) cioè l’aver introdotto la cosiddetta costante cosmologica nelle sue celebri equazioni di Relatività generale per rendere statico l’Universo. Erano le equazioni stesse che sembravano richiedere l’introduzione di questa costante per rendere statico l’universo che l’espansione, proposta da Friedman nel ’23 come insita nella soluzione da lui trovata delle equazioni di Einstein (e da questi accolta molto freddamente all’inizio), riproposta da Lamaître nel ’27 come spiegazione del red shift e scoperta infine da Hubble nel 1929 avrebbe rimesso in discussione. Quello che è divertente è che le recenti scoperte del telescopio Hubble hanno dimostrato che, in effetti, l’Universo non solo si espande ma che questa espansione accelera e l’unica via d’uscita finora trovata (sia pure senza capirne l’origine) è di ritirare in ballo la costante cosmologica di 100 anni fa e la quintessenza di 2500 anni fa (energia del vuoto o oscura)! Fra gli errori che si possono considerare tali in retrospettiva, forse il maggiore è stato l’aver perseguito per decenni il sogno ricordato sopra di unificazione delle teorie di campo conosciute all’epoca e cioè gravitazione ed elettromagnetismo. Mentre, infatti, questo sogno portava Einstein ad investire il resto della sua vita in una strada di cui tuttora ignoriamo l’uscita, l’unificazione dell’elettromagnetismo con tutte le altre forze scoperte da allora e cioè con le interazioni deboli e con le interazioni forti è stata raggiunta la prima con il cosiddetto modello standard (o teoria elettrodebole) di Glashow, Weinberg e Salam (premi Nobel nel 1979) e la seconda con la Quanto Cromo Dinamica i cui propugnatori (Gross, Politzer e Wilczek) hanno ricevuto il premio Nobel nel 2004. Questo errore, se tale può essere chiamato, è stato straordinariamente fecondo e produttivo. L’ultimo “errore”, anche questo foriero di straordinari sviluppi, è stata la sua costante critica alla Meccanica Quantistica dove siamo arrivati sì a riconoscere che quest’ultima è indubitabilmente corretta ma il prezzo pagato è stato quello di dover ammettere che si tratta di una teoria non locale i cui sviluppi sono tuttora aperti e nascono, vedi un po’, proprio dalle osservazioni e considerazioni fatte nel lontano 1935 da Einstein, Podolski e Rosen con il loro già ricordato “paradossso EPR”. La conclusione, mi sembra, è che, fatti salvi gli errori di Einstein come uomo (sui quali io non mi sento in grado di esprimere un giudizio), si può solo discutere in quale modo i suoi errori scientifici sono stati più utili... ======================================================================= Equazioni della Relatività generale di Einstein. Nella forma con la costante cosmologica, l'equazione di campo della RG è Rμν - ½ R gμν + Ʌ gμν = 8π G/c4 Tμν dove: Rμν è il tensore di curvatura di Ricci; R la curvatura scalare, ossia la traccia del tensore di Ricci gμν è il tensore metrico Ʌ è la costante cosmologica Tμν è il tensore energia-sforzo c è la velocità della luce; G è la costante di gravitazione universale. Il tensore g descrive la metrica dello spazio-tempo ed è un tensore simmetrico 4x4, che quindi ha 10 componenti indipendenti; date le identità di Bianchi, le equazioni indipendenti si riducono a 6.