UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA Facoltà di Scienze dell’educazione Curricolo di Pedagogia Sociale Elaborato per il Corso Monografico di sociologia della devianza “D.P. Farrington: Il comportamento antisociale criminale” Della studentessa: Serena MALAVASI Professore: Giuliano VETTORATO Roma, 2011 INTRODUZIONE Il presente lavoro vuole essere la sintesi su una visione teorica della delinquenza minorile ed adulta, che analizza il problema secondo un approccio psicologico, che rientra nella visione del paradigma delle carriere devianti. Come autore di riferimento ho scelto David P. Farrington, il quale si è occupato per lunghi anni del tema della delinquenza a partire dallo studio delle condotte antisociali. I due lavori più famosi, che lo hanno condotto a creare il modello teorico che verrà presentato sono stati, prima di tutto, il “Cambridge Study in Delinquent Development” uno studio longitudinale prospettico dal quale hanno preso forma le varie intuizioni di Farrington e collaboratori. La seconda importante ricerca è il “Pittsburgh Youth Study” la quale si è occupata di studiare i comportamenti antisociale e delinquenziali gravi e violenti. Il mio lavoro di relazione si è basato principalmente su queste due ricerche e sulle proposte di intervento raccolte in uno degli ultimi libri scritti da Farrington e collaboratori, ossia “Early Prevention of Adult Antisocial Behaviour” in quanto in esso sono stati inseriti tutti quegli interventi preventivi che nel corso degli anni si sono verificati come una buona risposta al problema della delinquenza sia minorile che adulta. Alla fine di queste ricerche il Professor Farrington è arrivato a concludere che ciò che è necessario fare è avere finanziamenti che possano essere spesi per i programmi di prevenzione precoce contro la delinquenza partendo dall’individuazione e dall’eliminazione dei possibili fattori di rischio di antisocialità e delinquenza. 1. La carriera di David P. Farrington La carriera di Farrington si è delineata principalmente a partire dallo studio della criminalità e dell’aggressività, come pure lo sviluppo della delinquenza e il comportamento criminale lungo il corso della vita. Già nel 1971, Farrington (in collaborazione con DJ West) cominciò a pubblicare studi sulla delinquenza precoce. I suoi scritti hanno riguardato temi come la prospettiva di etichettatura, e può essere vista nei suoi articoli di ricerca nel tardo 1970. Farrington ha sostenuto numerose visioni sulla delinquenza ma si è concentrato quasi esclusivamente sullo sviluppo delle carriera criminale lungo il ciclo di vita. Uno degli studi più importanti della vita naturalmente essere condotta è stato lo studio di Cambridge, uno studio longitudinale, iniziato da DJ West nel 1961-1962, e preso poi in mano da Farrington. Una ricerca andata aventi per 24 anni. E 'stato uno dei tentativi più seri di identificazione dei fattori che contribuiscono all’esordio e al mantenimento della criminalità lungo il corso della vita. Farrington, per i suoi lavori ha combinato entrambi i metodi di ricerca qualitativa e quantitativa come modi per spiegare e capire la complessità e le influenze sulle tendenze antisociali e prosociali, sia fra i giovani entrati in contatto con il penale che non. Infatti sia West che Farrington hanno affermato che i fenomeni della vita che riguardano la delinquenza, sono più fedelmente rappresentati da una combinazione di dati sia qualitativi che quantitativi. Numerose sono state le conclusioni tratte dallo studio e dai rapporti elaborati ed è stato constatato che si possono osservare i tratti di personalità antisociale già all'età di 8 anni, attraverso tendenze di disonestà e aggressività. In linee generali, le scoperte di queste ricerche hanno portato a definire una sorta di identikit di delinquente. L'autore di reato tipico è un maschio nato in una famiglia povera di grandi dimensioni con una supervisione ricevuta dei genitori fatta di punizioni dure e irregolari, membro di una famiglia di basso reddito, in cui i genitori sono divorziati o separati e dve un genitore o un fratello più grande hanno anche precedenti penali. Essi mostrano anche una serie di comportamenti “poveri” durante gli anni della scuola primaria. I giovani delinquenti in questo studio tendono anche ad avere amici delinquenti, a lavorare sporadicamente, e non hanno un'area di specializzazione criminale. Il comportamento criminale ha un picco intorno ai 17 anni o 18 anni e diminuisce verso i 20 anni. Con i 30 anni, la maggior parte di questi giovani sono divorziati o separati, sono diventati genitori assenti, e cercano di ricreare la propria vita in quelle dei loro figli, creando una forma generazionale di attività criminale. "I giovani delinquenti, con il loro atteggiamento irresponsabile, edonistico e i loro metodi inefficaci di far fronte alle esigenze sociali, tendono a ricreare per i propri figli gli stessi ambienti familiari indesiderati, perpetuando così da una generazione alla successiva una serie di problemi sociali, e la delinquenza ne diventa un sintomo "(West e Farrington, 1977:161). queste ed altre conclusioni sono poi descritte nel dettaglio nel paragrafo riguardante la ricerca di Cambridge. Farrington è stato un ricercatore per un altro studio longitudinale sulla delinquenza e criminalità chiamato Pittsburgh Youth Survey, il quale si concentrava sullo studio della delinquenza giovanile grave e violenta. Lui insieme a Rolf Loeber, professore presso l'Università di Pittsburgh, hanno studiato l'insorgenza della delinquenza legata ai processi di sviluppo su 1.500 ragazzi di Pittsburgh (500 ciascuno nelle classi prima, quarta e settima). Questo studio è stato iniziato nel 1987-1988, ed ha coinvolto i ragazzi, le loro madri, e i loro insegnanti. Un altro studio che ha permesso di conoscere e approfondire la ricerca dei fattori di rischio e i fattori protettivi del comportamento antisociale e della delinquenza. In una corrispondenza e-mail, del 1998, il Dr. Farrington ha riferito che ha intenzione di intervistare gli uomini coinvolti nello studio di Cambridge all'età di 45. Il suo obiettivo è quello di condurre interviste sociali (come ha fatto quando gli uomini erano 32 anni di età), e interviste psichiatriche, con la possibilità di intervistare anche il coniuge / convivente e i figli (Farrington, 6/17/98 e-mail).1 David Farrington ha esposto una serie di suggerimenti e prospettive circa la ricerca in questo campo. Innanzitutto, egli afferma che la psicopatia dovrebbe essere misurata ripetutamente in età differenti, e valutata la sua distribuzione nelle diverse popolazioni e tra i generi. Importante è anche cercare di definire dei tratti di personalità maggiormente precisi degli adolescenti psicopatici. La sfida riguarda il modo in cui scegliere campioni di popolazione tale da avere una adeguata visione della psicopatia adolescenziale; anche seguire gruppi ad alto rischio sarebbe molto utile. Egli suggerisce che dovrebbero essere misurati fattori biologici, individuali, familiari, dei pari, scolastici e del vicinato e studiate le interazioni tra fattori; dovrebbero essere elaborati strumenti di monitoraggio dei rischi per l’insorgenza di psicopatia in bambini ed adolescenti. Inoltre, l’efficacia dei metodi di prevenzione e trattamento, ispirata dalla conoscenza dei fattori di rischio e protettivi, dovrebbe essere testata in esperimenti randomizzati. Farrington afferma che è molto importante che la psicopatia adolescenziale venga valutata e monitorata in gruppi sperimentali e di controllo prima e dopo gli interventi. L’ideale sarebbe un lungo lavoro di follow-up per stabilire quanto l’efficacia degli interventi persista a lungo termine o meno, e quanto sarebbe necessaria la loro ripetizione.2 Gli incarichi professionali David P. Farrington è un professore di Psicologia della Criminalità all'Università di Cambridge, in Inghilterra, dove ha conseguito il BA, MA e Ph.D in psicologia, ed è anche professore a contratto di Psichiatria presso il “Western Psychiatric Institute and Clinic” presso l'Università di 1 http://www.criminology.fsu.edu/crimtheory/farrington.htm David P. FARRINGTON, The importance of child and adolescent psychopathy. J. Abn. Child Psychol, 2005, 34, 140144. 2 Pittsburgh. Ha pubblicato venti libri ed è autore di oltre 100 articoli di giornale su argomenti sia di tema criminologico che psicologico, nonché 108 capitoli di libri. I suoi interessi si sono concentrati sugli studi longitudinali sulla delinquenza e sulla criminalità. Egli è inoltre membro dell’ Accademia Nazionale degli Stati Uniti, delle Scienze nel settore della ricerca sulle carriere criminali e Co- Presidente dell’Ufficio di Giustizia Minorile e fa parte del gruppo di studio che si occupa della prevenzione della delinquenza dei più giovani. Farrington è il presidente eletto della Società americana di criminologia e Presidente dell'Associazione Europea di Psicologia e Giurisprudenza, oltre ad essere coinvolto in numerose altre organizzazioni professionali. Lui è stato in passato anche Presidente della Società Britannica di Criminologia. Ha ricevuto il premio Sellin-Glueck dalla società americana di criminologi nel 1984 per i suoi contributi alla criminologia internazionale. Egli è inoltre co-direttore della “Cambridge Criminology Series” e della rivista penale sul comportamento e la salute mentale, così come membro di 16 altre riviste.3 2. La visione di fondo del paradigma delle “carriere criminali” La prospettiva di Farrington rientra nella più ampia visione delle “carriere criminali” e la sue teoria viene inserita nell’ambito delle teorie psicologiche della criminalità. Il paradigma delle carriere criminali si occupa principalmente di tre temi principali: 1. Lo sviluppo del comportamento criminale e antisociale 2. I fattori di rischio in età diverse 3. Gli effetti degli eventi della vita nello sviluppo delle persone Il principio guida di queste teorie è soprattutto quello di guardare all’influenza dei vari fattori individuali, familiari, scolastici, ecc.. che possono incidere in varia misura su un comportamento criminale. Queste teorie sono generalmente legate al concetto di sviluppo, ossia cercano di spiegare il percorso di sviluppo di una possibile “carriera criminale” dall’infanzia all’età adulta, e quindi sulla base di studi di tipo longitudinale su individui, lungo un arco di tempo. L’approccio alla carriera criminale non può definirsi come una teoria criminologica, ma come una branca all’interno della 3 http://www.criminology.fsu.edu/crimtheory/farrington.htm quale alcune teorie possono essere proposte e verificate.4 Il presupposto comune di queste teorie è che: un sottostante potenziale comportamento criminale è relativamente costante nel tempo. Il comportamento criminale è visto dagli psicologi come un tipo di comportamento che per molti aspetti è molto simile ad altri tipi di comportamento antisociale ed è per questo motivo che le teorie, i metodi e gli studi di altri tipi di comportamento antisociale possono aiutare a comprendere anche quello criminale. Le teorie psicologiche tentano quindi di spiegare come questo sviluppo e questi meccanismi comportamentali possono essere inibiti e in qualche modo previsti. Inoltre un ulteriore presupposto comune è che commettere atti criminali/ delinquenziali sono essenzialmente azioni razionali in quanto le persone prima di offendere riflettono sui benefici attesi e i costi previsti a seguito di un’azione. Gli psicologi che studiano il comportamento criminale sono quindi impegnati soprattutto in studi scientifici del comportamento umano basati su teorie che possono essere testate o falsificate attraverso ricerche empiriche e dati quantitativi. Molte ricerche, come quella di Farrington, negli ultimi anni si sono quindi concentrate in quel che si può definire anche “paradigma dei fattori di rischio”, concentrandosi sul fatto che alcuni fattori di rischio, se individuati, possono evitare o predire un certo comportamento criminale. Le ricerche indagano quindi sui possibili meccanismi e processi causali che intervengono nello spiegare il legame tra fattori di rischio e criminalità.5 La carriera deviante è un concetto che è entrato in scena nel contrastare la logica di “connessione deterministica fra condizioni di partenza ed esiti di comportamento” in quanto la devianza è un fenomeno processuale complesso è così anche il comportamento criminale. Il paradigma delle carriere criminali fa riferimento ad un modello esplicativo, il cui scopo è, nello specifico, mostrare la caratterizzazione longitudinale delle sequenze antisociali, delinquenziali e poi criminali di un individuo nel corso della vita. Negli anni ottanta, vennero messe in discussione le teorie dominanti di quel tempo in quanto nessuna teoria sembrò reggere al confronto con i dati empirici. Ne conseguì un periodo di confusione e crisi. Nuove prospettive teoriche cominciarono ad emergere mettendo in discussione il vecchio paradigma che guardava ad un determinismo sociale. “L’assunto razionalista e il ritorno alla «propensione naturale» permetterono di introdurre all’interno delle spiegazioni criminologiche concetti psicologici e biologici.” Le vecchie prospettive non spariscono del tutto ma vengono Gaetano DE LEO – Patrizia PATRIZI, La spiegazione del crimine: un approccio psicosociale alla criminalità, Bologna, Il Mulino, 1999, 139-142. 5 David P. FARRINGTON, Crime causation: Psychological theories. In Dressler, J. (Ed.in-Chief) Encyclopedia of Crime and Justice. New York: Macmillan Reference, 2002, 315-324. 4 rielaborate e integrate con le nuove idee. La criminologia contemporanea attraversa quindi un nuovo periodo di produzione teorica. “Gli studiosi si occupano dei nuovi risultati sulla criminalità, mentre riconcettualizzano e riassettano quelli vecchi.”6 La criminologia quindi non si è più dedicata solo all’analisi del singolo evento criminoso, o alla raccolta della storia del singolo delinquente, ma anche a un’indagine completa e sistematica della progressione nella delinquenza, a partire da età sempre più precoci o per tutto il corso della vita. Da questo ampliamento d’interesse è sorto appunto il concetto di “carriera criminale”: un concetto che suggerisce l’immagine di un’attività umana che presenta una progressione e delle tappe. Dopo gli studi effettuati in passato attraverso la descrizione della carriera delinquenziale di alcuni particolari autori di reato (es: Sutherland con la biografia del ladro professionista), sono state svolte diverse indagini al fine di individuare la distribuzione dei reati tra i delinquenti, ed in particolare le sequenze di reati che si sviluppano nel tempo, all’interno di quel processo che è stato definito “carriera criminale”. L’approccio longitudinale realizzato in prospettiva è stato quello preferito dai ricercatori in questo specifico settore della criminologia, poiché esso permette di studiare nel corso del tempo un “flusso” di comportamenti e di analizzare la loro distribuzione all’interno del campione seguito. In questo caso non ci si occupa più tanto di studiare le “cause” della criminalità tout court, quanto le cause dell’esordio, della continuazione e della desistenza. In quest’ottica è possibile evidenziare vere e proprie “narrazioni evolutive” delle problematiche e del rischio.7 Una carriera criminale è definita come la sequenza longitudinale di atti antisociali e criminali commessi da un individuo nel corso della sua vita. Il paradigma della carriera criminale concerne essenzialmente lo sviluppo umano nel corso del tempo. Farrington e collaboratori, nel loro lavoro sul paradigma delle carriere criminali, “affrontano il tema dell’individuazione e dell’analisi dei patterns criminali durante il corso dello sviluppo” attraverso ricerche scientifiche di tipo longitudinale. Gli studi sulle carriere criminali hanno come imperativo teorico-pratico: 6 - Gli individui; - L’iniziazione antisociale durante il periodo dello sviluppo; Frank P. WILLIAMS III – Marilyn D. MCSHANE, Devianza e criminalità, Bologna, Il Mulino, 2009, 233-234. Tullio BANDINI – Umberto GATTI, Criminologia. Il contributo della ricerca alla conoscenza del crimine e della reazione sociale, Vol 2., Milano, Giuffrè, 2004, 85-90. 7 - La durata temporale del coinvolgimento antisociale, delinquenziale e criminale; - L’evoluzione e l’escalation antisociale; - L’aggravamento criminale; - La ricaduta criminale ovvero il tasso di recidiviamo; - La valutazione del rischio di recidiva (risk-assessment) e la gestione del rischio (riskmanagement); - La desistenza. L’interesse principale è quello di esaminare i processi di continuità temporale di un comportamento e quelli di discontinuità o intermittenza, la loro evoluzione criminale, la loro sistematizzazione della condotta e la reiterazione di reazioni comportamentali che includono risposte emotive conclamate. La ricerca di Farrington e Loeber ha indicato infatti come la carriera criminale sembri strutturarsi seguendo dei patterns comportamentali (schemi ricorrenti) precisi, in virtù della continuità e specificità dei fattori di rischio in determinati contesti e in relazione ai periodi critici dello sviluppo individuale. L’interesse degli autori è stato quello di sviluppare un modello predittivo e preventivo con il fine di poter intervenire prima che il comportamento antisociale e violento diventi persistente.8 3. Le ricerche longitudinali condotte da Farrington e collaboratori Gli studi empirici longitudinali hanno da sempre posto la loro attenzione nell’individuazione precoce si segnali di rischio alla base delle manifestazioni antisociali, in quanto da una individuazione precoce si può intervenire immediatamente, riducendo la probabilità di persistenza e stabilità nel tempo delle condotte antisociali. Per questo motivo Farrington e collaboratori hanno dato avvio ad una ricerca longitudinale che ha come obiettivo la predizione e l’intervento mirato sul comportamento antisociale. Le caratteristiche di questo tipo di ricerca sono: la sua natura di controllo; il follow up; la scelta di un campione per esplorare le modificazioni nel tempo dell’aspetto che si vuole osservare. Infatti la natura empirica di questo tipo di studi permette di: - 8 Analizzare la storia naturale dello sviluppo; Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 186-188. - Considerare le dinamiche inerenti la carriera criminale: onset, prevalenza, frequenza, serietà, durata, aggravamento, interruzione o desistenza, ricaduta criminale e recidiviamo Inoltre lo sfondo teorico-empirico di riferimento favorisce: - Lo studio dei processi di continuità e discontinuità - L’esplorazione delle traiettorie dello sviluppo o percorsi criminali che si strutturano differentemente a seconda del momento dello sviluppo, dell’età, del livello cognitivo, emotivo, del contesto familiare e socio-culturale di riferimento - La presa in considerazione delle sequenze comportamentali e quali eventi e situazioni si verificano prima di altri, quando, con chi e in quali circostanze - L’esame dei processi di predizione (fattori e meccanismi di rischio e di protezione, ordine temporale, effetti degli eventi) - Individuazione ipotetica delle cause attraverso l’elaborazione di ipotesi di ricerca che si sottopongono ad un attento processo di falsificazione. Le più famose ricerche condotte da Farrington sono state due: il “Cambridge Study in Delinquent Development” ed il “Pittsburgh Youth Study”. Sono queste due ricerche che hanno poi portato a delineare una vera e propria prospettiva teorica portata avanti da Farrington e collaboratori. 3.1. La prima ricerca: “Cambridge Study in Delinquent Development” Il Cambridge Study in Delinquent Development (West e Farrington), è iniziato nel 1961, per studiare il comportamento antisociale e delinquenziale di un gruppo di 441 ragazzi della zona sud di Londra, nati tutti nel 1953. Questi ragazzi sono stati seguiti dall’età di 8 anni fino ai 46 anni. Il cuore di questo studio era: 1. l’osservazione della continuità e discontinuità nello sviluppo comportamentale, 2. gli effetti che gli eventi della vita hanno avuto sullo sviluppo 3. la predizione del comportamento sociale/antisociale futuro gli scopi di questo studio erano quindi: - poter predire le manifestazioni antisociali e anticipare la loro evoluzione - spiegare il perché la delinquenza giovanile inizia, persiste o si interrompe in età adulta - capire perché i percorsi antisociali e criminali spesso si interrompono all’età di 20 anni. Gli strumenti utilizzati erano: la misurazione a scuola delle caratteristiche individuali ( intelligenza, personalità, impulsività, psicomotoria) le interviste fatte ai ragazzi per raccogliere informazioni riguardanti le circostanze di vita, i percorsi lavorativi, le relazioni con il sesso femminile, la presenza di figli propri, eventuali situazioni di malattie e incidenti, attività ricreative come il bere, l’uso di droghe, il comportamento rissoso e il comportamento delinquenziale. Le interviste fatte ai genitori dei ragazzi del campione (fatte quanto i bambini avevano 8 anni fino ai 14-15 anni, quando erano all’ultimo anno di frequenza della scuola dell’obbligo). Essi fornivano informazioni riguardanti il livello di nervosismo del figlio, il comportamento a rischio e di sfida del bambino, il temperamento e le relazioni del bambino all’allontanamento dai genitori, le condizioni economiche della famiglia, il numero dei membri del nucleo familiare, le loro condizioni lavorative, eventuali storie di trattamento psichiatrico, le pratiche educative/genitoriali adottate, la loro presenza nella supervisione del figlio. Inoltre, quando i bambini avevano 12 anni, ai genitori era stato chiesto di indicare le loro modalità educative e le attività ricreative del figlio Erano state raccolte informazioni anche dalle ostetriche che avevano seguito la nascita di questi ragazzi, quando questi erano nati in ospedale Agli insegnanti vennero fatti compilare questionari riguardanti il comportamento disturbante e aggressivo a scuola, le situazioni di iperattività e le difficoltà di attenzione, il successo curricolare e la discontinuità scolastica (quando i ragazzi avevano 8, 10, 12 e 14 anni) Altre informazioni: quando i ragazzi avevano 11-16 anni, ricavate dalle varie autorità educative locali La raccolta di informazioni riguardanti il comportamento sociale dei ragazzi, dai compagni di scuola Informazioni ricavate da una raccolta organizzata presso il Central Criminal Record Office a Londra, per raccogliere dati riguardanti un’eventuale carriera criminale del gruppo (condanne del ragazzo stesso, dei genitori, delle persone coinvolte con loro nelle attività delinquenziali (co-offenders) Questa ricerca è stata un tipo di studio in progress in quando nel 2000-2002 il campione, che aveva raggiunto l’età di 46 anni, è stato re intervistato per poter valutare la condizione criminale di ogni singolo “ragazzo” e chiedendo inoltre il tipo di successo raggiunto in vari aspetti della vita. Tra il 2002 e il 2004 il progetto è andato avanti con la raccolta dei dati coinvolgendo anche le nuove generazioni, in quanto l’interesse era quello di intervistare un altro gruppo di 500 bambini e giovani adulti tra i 13 e i 30 anni. Questo follow-up è stato fatto per: - Stabilire se i fattori di rischio individuati negli anni precedenti continuavano ad essere significativi - Se e in che modo l’importanza relativa dei fattori di rischio è cambiata nel tempo. Grazie a questo follow-up è stato possibile ricavare dati unici riguardanti: - La trasmissione intergenerazionale di problemi relativi alla salute mentale, al comportamento antisociale, delinquenziale e criminale. (osservazione su 3 generazioni) - I meccanismi causali relativi ai perché i figli di famiglie criminali sono più a rischio di antisocialità - I processi protettivi relativi al perché molti bambini, pur nascendo e crescendo in ambienti criminogenici, non costruiscono un comportamento antisociale Inoltre, questa sorta di verifica nel tempo, consente di analizzare più nel dettaglio e secondo una prospettiva temporale comparativa: i processi psicologici, emotivi e sociali sul ruolo della figura paterna in relazione al comportamento delinquenziale e antisociale dei figli (molti studi infatti si sono concentrati solo sul ruolo della madre); i fattori di rischio per il comportamento delinquenziale e antisociale dei bambini e delle bambine, per comprendere se i meccanismi di rischio alla base del comportamento antisociale differiscono nei maschi e nelle femmine. I risultati di questa ricerca hanno evidenziato come i tipi di comportamento e attività che conducono ad una condanna penale, quindi ad un’azione criminale, rientrano in una più ampia sindrome di comportamento antisociale. “ Il significativo livello di continuità comportamentale antisociale tra i 18 e i 32 anni, in un periodo di estesi cambiamenti contestuali e ambientali, suggerirebbe che la stabilità risiede nell’individuo piuttosto che nell’ambiente. La conclusione è che esistono delle differenze individuali tra la popolazione rispetto ad un sottostante costrutto di base, che potrebbe essere definito “tendenza antisociale” o “potenziale antisociale”, che sembrerebbe essere relativamente stabile dall’infanzia all’età adulta. Un aspetto importante da considerare è che esisterebbe una relativa stabilità, ma un assoluto cambiamento nel comportamento antisociale: il comportamento delinquenziale può aumentare o diminuire nel corso del tempo, ma gli individui delinquenti responsabili di gravi e pericolose attività antisociali e delinquenziali ad una determinata età tendono ad essere tali anche in un altro periodo dello sviluppo. Nonostante la relativa posizione degli individui all’interno del sottostante costrutto di antisocialità, è possibile fare delle predizioni sufficientemente stabili circa il comportamento sociale dagli 8 ai 32 anni. Ovviamente, la stabilità comportamentale predetta non deve essere interpretata come inevitabile, al punto da negare la possibilità di cambiamento e di autocorregibilità del comportamento umano.” I risultati emersi dalla ricerca hanno indicato come i giovani che furono condannati per reati all’età di 8-10 anni manifestavano comportamenti irrequieti e disonesti con una frequenza maggiore rispetto alla popolazione dei bambini della stessa età che successivamente non riportarono condanne. Inoltre nel periodo scolastico questi bambini manifestavano iperattitivtà e disturbo della condotta, una disorganizzazione motoria e difficoltà di attenzione. Nella maggior parte dei casi si trattava di persone che provenivano da famiglie disgregate e seguite dall’assistenza sociale. Risultavano inoltre essere trascurati dai genitori, sia a livello emotivo che fisico, e le modalità genitoriali/educative erano di tipo rigido, impositivo e conflittuale, dove la forza fisica era il mezzo più usato per interagire ed entrare in relazione. È emerso anche che era più probabile che provenissero da famiglie in cui almeno un genitore e spesso anche fratelli e sorelle, erano stati condannati. Inoltre all’età di 10 anni era più facile che vivessero condizioni di separazione dai propri genitori per varie ragioni. I bambini inoltre riportavano anche difficoltà di concentrazione, un livello di intelligenza verbale limitato, un significativo insuccesso scolastico molto spesso seguito da abbandono. Già a partire dagli 8-10 anni erano coinvolti spesso in attività pericolose. Il 40% dei giovani del campione sono stati condannati per diversi tipi di reato, infatti generalmente il comportamento antisociale di individui maschi provenienti da livello socio-culturali bassi è caratterizzato da versatilità e non specializzazione comportamentale. Inoltre la prevalenza del comportamento criminale aumentò fino ai 17 anni, per poi diminuire, anche se l’età di condanna risultava i 21 anni. Il periodo di maggiore accelerazione e decelerazione nella prevalenza criminale sembra quindi coincidere con quei periodo della vita dell’individuo in cui si sono verificati significativi cambiamenti emotivi, psicologici, sociali che in maniera diretta o indiretta influenzano il corso del comportamento antisociale. La durata media della carriera criminale risultava essere di 7,1 anni, la frequenza criminale per individuo delinquente era di 4,6 reati; il tempo di intervallo tra una condanna e l’altra era di 3,3 anni. I risultati hanno infatti evidenziato che circa la metà dei bambini con un comportamento antisociale diventano adolescenti problematici e delinquenti e che circa la metà persiste fino all’età adulta. Sembra esistere una continuità sottostane il costrutto dell’antisocialità: genitori antisociali e con uno stile di vita deviante tendono ad avere figli che rischiano di seguire le loro stesse orme. Ovviamente non è detto che questo processo avvenga in modo determinante in quanto il ciclo criminale potrebbe essere interrotto: giovani provenienti da ambienti familiari problematici e con familiari antisociali e violenti, crescono in maniera funzionale e adattiva. Inoltre un probabile coinvolgimento criminale non significa arrivare ad un punto di non ritorno. Infatti esiste una varietà comportamentale, affettiva e psicologica con cui le persone rispondono diversamente ad una stessa condizione. Tuttavia esistono alcuni fattori che possono giocare un ruolo decisivo sulla costruzione dei comportamenti antisociali. Le esperienze possono essere infatti direttamente o indirettamente influenzate da fattori di rischio, dalla loro interazione e dai processi e meccanismi coinvolti.9 3.2. Il “Pittsburgh Youth Study” Una breve descrizione di questa seconda importante ricerca condotta presso l’Università di Pittsburgh è importante per capire come ha proseguito il lavoro delle ricerche longitudinali anche negli anni a seguire e rappresenta un ulteriore approfondimento molto legato alla ricerca precedente ma che si concentra, più nello specifico, sull’analisi della delinquenza giovanile grave e violenta. Nel 1995 l’Ufficio della giustizia minorile e della prevenzione della delinquenza ha riunito un gruppo di studio che si è occupato della delinquenza minorile grave e violenta. Il gruppo era presieduto da Rolf Loeber e D. Farrington, ed era costituito da 22 leader della giustizia minorile e studiosi di criminologia selezionati sulla base delle loro conoscenze approfondite sul tema della delinquenza giovanile violenta. Questo gruppo di studio ha potuto fornire informazioni importanti sui così detti “Serious and violent jouvanile offenders” denominati con la sigla SVJO e ha fornito nuovi dati utili per i programmi di prevenzione della delinquenza giovanile. 9 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 135-141. Il rapporto finale di ricerca fu completato nel 1997 e le conclusioni sono state poi raccolte in un volume intitolato “Serious and Violent Juvenile Offenders: Risk Factors and Successful Interventions” ( Gravi e violenti delinquenti minorenni: fattori di rischio e interventi di successo). Negli ultimi venti anni infatti, sia in Europa che negli Stati Uniti, è stato necessario occuparsi e concentrarsi sui reati dei più giovani e revisionare anche i possibili fattori di rischio. Da questa ricerca è risultato che i trasgressori gravi e persistenti iniziano la loro carriera ben prima dell’età adolescenziale. È stato evidenziato che le origini della delinquenza grave, persistente e a lungo termine risiede in un disturbo che ha origini già a partire dai 2-3 anni di età. I delinquenti gravi e violenti comprendono una popolazione ristretta ma sono responsabili di una quantità sproporzionata di crimini. Quindi secondo la ricerca condotta si è concluso che non è mai troppo presto per poter prevenire questo problema e mai troppo tardi per poter intervenire. Uno degli obiettivi principali del gruppo di studio era proprio quello di fornire ulteriori indicazioni per poter attuare, in tutto il paese, attraverso anche le istituzioni, strategie globali. Mettendo in evidenza il legame tra rischio e fattori protettivi e interventi programmati, il gruppo ha fornito una sintesi completa della letteratura disponibile e dei programmi andati a buon fine. Una conclusione importante del gruppo di studio ha attirato è che l'autore del reato SVJ è sostanzialmente diversa da quella giovanile tipico coinvolto in condotte delinquenziali. La maggior parte degli autori di reati SVJ sono di sesso maschile e di solito display primi problemi di comportamento minori che portare ad atti delinquenziali più gravi. La figura 1 mostra tre percorsi che possono aiutare a spiegare la progressione maschi 'a offendere SVJ: la via conflitto autorità (prima dei 12 anni), la via palese, e la via segreta. Coloro che raggiungono l'ultimo passo di ogni percorso di solito sono passati attraverso i passaggi precedenti. Quando questi giovani cominciano a commettere atti delinquenziali più gravi, in genere anche continuare a commettere atti delinquenziali meno grave. Giovani che diventano delinquenti SVJ tendono a divenire gravi e violenti sia offendere attraverso la via conflitto autorità e la via segreta (colpevoli di proprietà) o attraverso la via conflitto autorità, la via segreta, e la via palesi (atti violenti e contro la proprietà). La maggior parte degli autori di reati SVJ tendono anche ad avere più problemi, come l'abuso di sostanze e problemi di salute mentale oltre a marinare la scuola, a subire sospensioni, espulsioni, e abbandono scolastico. Inoltre, i trasgressori SVJ sono loro stessi vittime di violenza. L'analisi mostra come presto i SVJ iniziano a trasgredire e che le carriere delinquenza reale degli autori di reati SVJ sono molto di più rispetto a ciò che è registrato ufficialmente. Viene dichiarato che in media, il primo contatto con il tribunale per i minorenni per i maschi, per atti criminali, era a 14,5 anni ma la carriere delinquenziale (a giudicare dalle loro dichiarazioni e quelle delle loro madri) è iniziata molto prima. I giovani che sono stati portati in tribunale per i reati all'età di 14,5 in genere hanno cominciato ad avere problemi di comportamento in età minore, ossia verso i 7 anni, con una progressione verso problemi comportamentali moderatamente gravi in età 9.5 e commesso infrazioni gravi all'età di 11.9. Pertanto, in media, più di 7 anni trascorsi tra i primi comportamenti problema minore e la comparsa per la prima volta al tribunale per un reato. Si è riscontrato che per i trasgressori molto giovani, i più importanti fattori di rischio sono quelli individuali (ad esempio, complicazioni alla nascita, iperattività, impulsività) e familiari (ad esempio, dei genitori abuso di sostanze, cattive pratiche di allevamento dei bambini). Fattori di protezione che potrebbero ridurre l'impatto dei fattori di rischio potrebbe includere il comportamento prosociale durante gli anni della scuola dell'infanzia e una buona performance cognitiva. In ultima analisi, i bambini con molti fattori di rischio e pochi fattori di protezione sono a più alto rischio di mettere in atto reati gravi, violenti, e cronicizzare questo comportamento. Il gruppo di studio ha inoltre rilevato che la prevenzione primaria e l’intervento precoce dovrebbero essere le azioni da mettere in prima linea per contrastare la delinquenza grave e violenta. Lo studio ha evidenziato che l’autore di reato SVJ presenta caratteristiche specifiche: - La maggior parte dei SVJ tendono a trasgredire in età molto precoce e a continuare a farlo più a lungo e l’insorgenza di problemi comportamentali non delinquenziali si presenta in età anche infantile. - I trasgressori cronici rappresentano più della metà di tutti coloro che hanno commesso reati gravi tra i minori. La maggior parte di loro sono SVJ. - La delinquenza tra i SVJ è più frequente fra i giovani afro-americani che fra i bianchi. - Dall’infanzia all’adolescenza, i trasgressori SVJ tendono a sviluppare problemi comportamentali come l’aggressività, la disonestà, le violazioni della proprietà e il conflitto con le figure di autorità. - I SVJ delinquenti in genere iniziano con comportamenti problematici di minore importanza fino a progredire in forme di delinquenza molto gravi. Inoltre è stata fatta una distinzione fra i tipi di reato. I reati gravi e violenti comprendono: l’omicidio, lo stupro, la rapina, l’aggressione aggravata e il sequestro di persona. I reati gravi non violenti comprendono: furto con scasso, il furto di veicoli, il furto di più di 100 $, incendi, traffico di droga ed estorsione. Dalla ricerca effettuata sono stati delineati alcuni possibili fattori predittori che possono delineare in anticipo i SVJ delinquenti. Di solito il comportamento grave e violento è il risultato di una integrazione e di fattori individuali, contestuali, situazionali e fattori di comunità. Il gruppo di studio ha fornito questi predittori in modo tale che questi possano informare e orientare gli interventi del sistema della giustizia minorile, il sistema del benessere dei bambini, i sistemi di salute mentale e le scuole. Le variabili predittive sono importanti in quanto i minori che presentano vari di questi fattori di rischio hanno più probabilità di impegnarsi in successive SVJ delinquenze, rispetto ad altri giovani. Sono molti i fattori predittivi individuati e questi includono: - Persistenti problemi di comportamento trasgressivo precoce ( ad esempio la sperimentazione di sostanze illegali e comportamenti sessuali precoci) - Per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni: atti delinquenziali non gravi, aggressione, consumo di sostanze, stato familiare socio-economico basso e genitori antisociali - Per i giovani di età compresa tra i 12 e i 14 anni: legami sociali deboli, pari antisociali, comportamenti delinquenziali non gravi, prestazioni a scuola povere, condizioni psicologiche particolari e impulsività. - Per gli adolescenti: l’unione a bande delinquenziali. - Spaccio di droga. Gli interventi preventivi sui SVJO che sono stati individuati sono diversi. È improbabile infatti che le azioni di intervento siano dirette ad una singola fonte di influenza, perché in questo modo l’intervento è molto probabile che non avrà successo. È necessario invece attuare programmi a più componenti e la priorità dovrebbe essere data alle iniziative di prevenzione che riducono i fattori di rischio in più aspetti. Questo discorso verrà poi ripreso all’interno del paragrafo che tratta delle diverse strategie di intervento preventivo e tratta mentale anche a riguardo dei SVJO.10 10 U.S. Department of Justice, Serious and violent Juvenile Offenders. Juvenile Justice Bulletin, Maggio 1998. 4. La teoria di Farrington Gli studi effettuati hanno permesso di costruire una nuova teoria mettendo in luce che la delinquenza è solamente uno degli elementi di una più ampia sindrome antisociale che ha inizio nell’infanzia e persiste nell’età adulta. Le varie ricerche hanno permesso quindi di arrivare a riassumere i risultati ottenuti in una teoria integrale. Secondo Farrington commettere reati, soprattutto in base alla frequenza, all’intensità, alla persistenza e all’escalation con cui determinati comportamenti offensivi vendono posti in essere, è parte di una più ampia sindrome antisociale che si manifesta già nell’infanzia e che tende a persistere nell’età adulta. ( quindi le teorie della criminalità devono mirare a spiegare il comportamento antisociale più in generale e non solo quello criminale) “Il concetto di sindrome di antisocialità si inquadra nel costrutto diagnostico di disturbo di personalità antisociale. Il DSM-IV TR (2000) sottolinea come caratteristica essenziale un pattern pervasivo di mancanza di riguardo, rispetto e violazione dei diritti delle altre persone che comincia già a manifestarsi nell’infanzia o nella prima adolescenza e continua fino all’età adulta. Quello che risulta fondamentale in queste forme di disturbo è la continuità nel tempo, l’aggravarsi del problema e la persistenza di determinate manifestazioni”11. I criteri diagnostici per il Disturbo Antisociale di Personalità secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti: A. Un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin dall´età di 15 anni, come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi: 1. incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto 2. disonestà, come indicato dal mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente, per profitto o per piacere personale 3. impulsività o incapacità di pianificare 4. irritabilità e aggressività, come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti 5. inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri 11 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 430. 6. irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere una attività lavorativa continuativa, o di far fronte ad obblighi finanziari 7. mancanza di rimorso, come indicato dall´essere indifferenti o dal razionalizzare dopo avere danneggiato, maltrattato o derubato un altro B. L´individuo ha almeno 18 anni. C. Presenza di un Disturbo della Condotta con esordio prima dei 15 anni di età. D. Il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il decorso della Schizofrenia o di un Episodio Maniacale. 12 Nello studio di Cambridge viene proprio verificato ciò: una continuità di comportamento antisociale dall’infanzia, all’adolescenza fino all’età adulta. Il comportamento criminale è spesso preceduto da forme di antisocialità infantile come bullismo o aggressività verso i compagni di scuola, atti di crudeltà verso animali, da iperattività e disattenzione. È poi seguito da forme di antisocialità adolescenziale, come atti di vandalismo, rifiuto scolastico, danneggiamento a cose e persone, dall’uso di sostanze stupefacenti. Il pattern successivo è seguito da forme di antisocialità adulta, come il maltrattamento dei figli, le forme di promiscuità sessuale e l’abuso di alcolici. La teoria di Farrington sostiene quindi include questo concetto: “I comportamenti non sono solo culturalmente e socialmente determinati, ma sono anche biologicamente e geneticamente controllati” “L’esigenza di una nuova modalità di revisione epistemologica della criminalità nasce dal riconoscimento che la condotta umana è l’espressione completa dell’integrazione di diverse dimensioni: quella biologica, psicologica ed emozionale, culturale e sociale.” Inoltre viene sottolineato che la variabile età ha un ruolo molto importante per la comprensione dei comportamenti criminali: “ il comportamento umano è il risultato di una molteplicità di variabili tra loro direttamente o indirettamente correlate..quello che conta non è tanto le caratteristiche degli elementi coinvolti quanto le relazioni che si vengono a stabilire tra le variabili…in ambito criminologico minorile, l’approccio dello sviluppo viene utilizzato per capire 12 American Psychiatric Association. DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano. le dinamiche trasformative del comportamento antisociale. Lo scopo è quello di dare spazio allo studio delle differenze e variabilità individuali, inter-gruppi e intra-gruppo, con particolare riferimento alla carriera criminale di un individuo, dai patterns di iniziazione a quelli di persistenza ed escalation, e/o desistenza che cadenzano i percorsi antisociali, devianti, delinquenziali e violenti nel corso della vita. Il punto di riflessione successivo è capire se i problemi comportamentali rappresentino il limite estremo di un continuum di socialità comune a tutti, e quindi la differenza sta nel grado, o se si tratti, invece, di una categoria di fenomeni completamente diversi (Farrington e altri..)” La visione della carriera deviante è quindi un’ipotesi abbastanza recente ed ha l’obiettivo di: 1. Individuare fattori predittivi del comportamento deviante, della sua insorgenza e della stabilizzazione 2. Recuperare le dimensioni attinenti la soggettività umana, i percorsi individuali di “iniziazione” all’attività illecita, l’espressione del Sé nel comportamento trasgressivo, l’assunzione del ruolo, la costruzione di coerenza rispetto all’identità.13 La teoria viene riassunta nel modello ICAP: “Integrated Cognitive Antisocial Potential theory” Il concetto centrale della teoria è il “potenziale antisociale” (AP) che si riferisce alla potenziale probabilità di una persona di impegnarsi in comportamenti antisociali. L’elemento chiave di tale modello è che ciò che egli chiama Antisociale Potenziale (AP1, che si riferisce al potenziale per commettere atti antisociali) può essere visto sia come un fenomeno di lungo termine che di breve termine. Secondo l’autore, è il processo decisionale che trasforma il potenziale comportamento in comportamento reale. Questo processo è influenzato da fattori a lungo termine e a breve termine. Egli distingue quindi potenziali delinquenti antisociali a breve termine (APS – Short- Term) e potenziali delinquenti antisociali a lungo termine. (APL – Long- Term) I potenziali delinquenti antisociali a lungo termine sono quelli che provengono dalle famiglie più povere; che hanno un basso QI e sono amanti delle sensazioni; che non riescono bene a scuola e che hanno un basso livello di socializzazione. Il rischio di cronicità, e quindi di criminalità per tutto il corso della vita, fra questi soggetti aumenta quando hanno sei o più fattori di rischio che 13 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 17-38. si intrecciano e in più quando questi esistono nel momento dell’adolescenza, in quanto aumenta la loro resistenza verso l’autorità, il rubare, il bere e la crudeltà verso animali. Negli adulti aumenta con un alto tasso di violenza, l’uso di droga, la disoccupazione, la separazione coniugale e la guida spericolata. (fattori situazionali). Inoltre il lungo termine è influenzato anche dai processi di attaccamento (i bambini che non sono stati in maniera pro-sociale ai genitori avranno un alta AP) e di socializzazione (i bambini che sono stati sempre puniti per cattiva condotta e premiati per un comportamento virtuoso hanno una bassa AP). Si è visto che ciò che aumenta l’AP è anche l’esposizione a modelli criminali, così come l’impulsività. Infine anche gli eventi della vita posso incidere sull’aumento o la diminuzione di un AP a lungo termine: il matrimonio può diminuire il livello di AP o il trasferimento da una zona ad alta criminalità; la separazione o il divorzio può invece aumentarlo. È quindi l’interazione di questi diversi fattori che può aumentare il livello di AP. I potenziali delinquenti antisociali a breve termine presentano caratteristiche differenti e si ritiene che sono persone che non convivono con fattori di rischio ma che sono suscettibili verso un potenziale antisociale in determinate circostanze. Questo si verifica quando c’è il desiderio di essere accettati dai coetanei, quando il bottino è alto, quando si prevede un alto appagamento sessuale oppure in situazioni di noia e frustrazione momentanea. Nel corso del tempo questi soggetti potrebbero diventare delinquenti antisociali a lungo termine, a causa di un aumento delle azioni criminali commesse, in quanto il soggetto verifica che essere accattato dal gruppo dei pari e fare una vita di questo tipo è molto più gratificante. Infatti un aumento a breve termine in AP può motivare una persona a cercare opportunità criminali e vittime. Farrington infine afferma che la maggior parte della gente agisce nel modo nella maniera che ritiene più razionale, ma quelli con bassi livelli di AP non commetteranno reati, anche quando apparirebbe razionale farlo. E le persone con livelli elevati di AP a breve termine , possono commettere reati non razionali perché sotto l’effetto di alcool o rabbia. Quindi si può concludere dicendo che, secondo Farrington, coloro che commettono reati, sono nella maggior parte dei casi persone di sesso maschile, che sono colpiti da una sindrome antisociale e che questa sindrome può essere una potenziale situazione di rischio di crimine e che questo può essere un fenomeno di lungo o breve termine. Esistono quindi diverse propensioni al crimine e che queste sono influenzate da fattori diversi, che possono influenzare a loro volta il comportamento sia nel breve che nel lungo termine. La teoria elaborata da Farrington, a seguito degli studi longitudinale fatto, si riferisce non solo ai dati empirici ottenuti ma anche a diverse teorie precedenti, per questo motivo è una teoria integrativa anche se il pensiero teorico di Farrington si riferisce al comportamento antisociale criminale maschile e si preoccupa soprattutto di dimostrare lo sviluppo di una sottostante tendenza antisociale delle persone e il verificarsi di tali comportamenti antisociali. La figura sottostante mostra gli elementi chiave di questa teoria, che è stato concepita essenzialmente per spiegare la criminalità di uomini di classe inferiore. L’autore l’ha chiamata "Integrated Cognitive Antisocial Potential" (ICAP) teoria. Essa infatti integra idee da molte altre teorie, tra cui la teoria dello strain, del controllo, dell'apprendimento, dell’etichettamento e della scelta razionale.14 David P. FARRINGTON, Childhood risk factors and Risk-focussed prevention, Institute of Criminology University of Cambridge, August 1, 2006, 27- 31. 14 Secondo la visione di Farrington inoltre il comportamento delinquenziale, messo in atto da adolescenti maschi, è il risultato finale di un processo quadrimensionale: a) Energizzazione b) Direzione c) Inibizione d) Presa di decisione La variazione della tendenza antisociale è influenzata da fattori che energizzano il comportamento antisociale e questi di solito sono: il desiderio di avere beni materiali, avere uno status riconosciuto dalle persone significative e una continua ricerca di eccitamento. Altri fattori a breve termine risultano essere: le condizioni di noia, di frustrazione, di rabbia e aggressività; il consumo di alcol, tutti fattori che possono alimentare le reazioni offensive. Per quanto riguarda gli aspetti direzionali, essi sono legati all’assunzione di patterns comportamentali antisociali e devianti per soddisfare i propri bisogni e le motivazioni personali. Quando i comportamenti antisociali assunti hanno portato ai risultati desiderati allora questi vengono rinforzati e riutilizzati nel tempo, rientrando cosi in una sorta di economizzazione comportamentale. Queste scelte comportamentali dipendo comunque anche dallo stile di vita della persona, dalle sue capacità di far fronte agli ostacoli e hai modelli di identificazione di riferimento. Va sottolineato che le tendenze antisociali possono essere inibite se la persona ha interiorizzato valori, principi e attitudini. La convinzione che commettere un reato sia sbagliato e socialmente inaccettabile può favorire nel bambino e nell’adolescente lo sviluppo di una capacità di empatia e di riconoscimento e rispetto nei confronti dell’altro. Inoltre un clima familiare armonico, una supervisione genitoriale attenta ma non limitante, dei genitori affettuosi ed emotivamente affidabili creano dei presupposti necessari per un adattamento equilibrato e funzionale della persona. La presa di decisione nel commettere o meno atti antisociali, dipende molto dall’interazione tra individuo e ambiente. Alla base della scelta antisociale c’è un calcolo di costi e di benefici aspettati per il raggiungimento di obiettivi ricercati. Il bisogno di riconoscimento e di accettazione, di riscatto e protezione della propria immagine, che sono alcuni degli elementi alla base del benessere psicologico della persona, possono diventare motivi di presa di decisione e scatenanti di comportamenti delinquenziali.15 4.1.Il ruolo dei fattori di rischio e dei fattori protettivi L’intento degli studi effettuati da Farrington, come si è già accennato, era quello di individuare i maggiori fattori di rischio che possono incidere e predire un comportamento antisociale, in modo tale da poter intervenire su tali comportamenti e mettere in atto interventi di prevenzione mirati e precoci. La ricerca di Cambridge ha infatti dimostrato che esistono una serie di fattori connessi ad una riduzione del rischio di criminalità, o alla cessazione delle attività 15 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 445-446. delinquenziali. Questi vengono definiti “fattori protettivi” e sono tutti quegli elementi che, alla presenza di una serie di altri fattori di rischio, ne minimizzano la portata ed evitano che il comportamento temuto si manifesti. L’ altro intento alla base delle ricerche è il cogliere le fasi attraverso cui si snoda una carriera criminale, dalle premesse, in termini di condizioni e comportamenti antecedenti, al primo atto socialmente deviante, al consolidarsi di quello che diviene uno stile di vita, fino alla conclusione della carriera. la difficoltà principale, rilevata anche dagli autori, riguarda la giusta distinzione fra tra cause, conseguenze e indicatori di personalità antisociale.16 I fattori di rischio sono considerati eventi o condizioni associate ad un incremento della probabilità di manifestazioni antisociali o delinquenziali, che influenzano l’onset, la frequenza, la prevalenza, la persistenza e la durata. In questa veste, ad essi viene dato un ampio spazio sia nella teoria che nella pratica criminologica preventiva. La maggior parte dei fattori di rischio sono intercorrelati, non influenzano il comportamento in modo discreto, preciso e distinguibile, per cui dato un determinato fattore si osserva una determinata risposta comportamentale. Inoltre agiscono in maniera dimensionale, mettendo in atto processi psicologici e comportamentali i cui effetti possono manifestarsi in un arco di tempo differente a seconda delle persone, del periodo di sviluppo e del contesto. Si parla quindi di processo multidimensionale di rischio o meta rischi. La probabilità di mettere in atto condotte antisociali è funzione del numero di fattori coinvolti, dall’intensità della loro influenza e della messa in moto di meccanismi di rischio che favoriscono un certo tipo di azioni-reazioni-controreazioni che facilitano la condotta antisociale. Inoltre non tutti i fattori di rischi operano nello stesso modo e simultaneamente: alcuni fattori sono associati all’onset o all’insorgenza antisociale; altri incidono sul processo di escalation, altri nell’aggravare il pattern comportamentale, altri invece sulla discontinuità e sulla desistenza. La domanda quindi che Farrington e collaboratori si sono fatti, di fronte alla realtà criminale, è stata probabilmente questa: perché certe persone iniziano a mostrare diversi tipi di comportamento sociale, per quale motivo continuano o peggiorano, oppure perché smettono? 16 Gaetano DE LEO – Patrizia PATRIZI, La spiegazione del crimine: un approccio psicosociale alla criminalità, Bologna, Il Mulino, 1999, 139-142. I fattori di rischio vengono distinti nelle seguenti categorie: individuali, familiari, scolastici, relazionali e associati al gruppo dei pari, socio-culturali ed economici.17 Il Professor Farrington individua una serie di fattori che influenzano la tendenza antisociale e una serie di fattori che influenzano offendere, cioè, se le tendenze antisociali sarà tradotto in atti delinquenziali. In linea generale, i principali fattori che favoriscono tendenze antisociali sono "impulsività, una scarsa capacità di manipolare concetti astratti, un livello di empatia basso, una coscienza debole, delle norme interiorizzate che favoriscono atteggiamenti delinquenziali e il desiderio di beni materiali o di status nei riguardi dei coetanei. I fattori principali che influenzano sia le tendenze antisociali e che portano alla delinquenza sono per lo più "a breve termine” e possono essere le influenze situazionali, come la noia e la frustrazione, il consumo di alcol, la possibilità di offendere e la percezione di costi e benefici a seguito dell’atto delinquenziale. Secondo la teoria di Farrington, "l'insorgenza della delinquenza dipende in parte dall’aumento delle tendenze antisociali e in parte sulle variazioni dei fattori situazionali, opportunità, benefici e costi. In modo simile avviene per la desistenza in quanto si verifica quando vi è una diminuzione della tendenza antisociale e cambiamenti a livello dei fattori situazionali." Le persone in situazioni peggiori sono quelle che sono esposti a influenze devianti sociali per tutta la vita. Nel libro “Early Prevention of Adult Antisocial Behaviour”, pubblicato nel 2003, vengono raccolte le informazioni riguardanti l’analisi dei fattori di rischio e fattori protettivi individuate nel corso delle due grandi ricerche longitudinali e da questi vengono poi a delinearsi alcune proposte di intervento preventivo precoce sulla delinquenza giovanile in genere e di quella grave e violenta. I fattori di rischio sono stati classificati in: individuali, familiari, gruppo dei pari e comunità. Tra i fattori di rischio individuali che possono prevedere un comportamento delinquenziale vengono indicate le seguenti situazioni: un basso livello di intelligenza e di empatia e un altro grado di impulsività legati inoltre a fattori neurochimici (es. testosterone), neurotrasmettitori (serotonina ad esempio), fattori psicofisiologici (ad esempio un basso tasso di cuore) e neuropsicologici deficit (ad esempio nelle funzioni esecutive) sono stati legati alla messa in atto di comportamenti antisociali. 17 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 276-278. La scarsa intelligenza viene vista come un importante predittore e questo può essere individuato molto presto nel corso della vita di una persona. Quindi secondo Farrington e anche secondo altre ricerche effettuate, viene evidenziato come fattore di rischio un QI basso, il tutto poi verificato nei risultati ottenuti negli studi longitudinali quando le persone erano adulte. Questo problema poi va ad incidere anche sul livello di empatia e sulla capacità di ragionare in maniera astratta e quindi una bassa capacità di pensare in maniera progettuale, di proiettarsi il futuro e le conseguenze di un dato agire. Il basso QI incide anche sul rendimento scolastico e molte teorie sostengono che un basso rendimento scolastico porterebbe alla delinquenza. Per quanto riguarda più da vicino il discorso sull’empatia, questa viene vista come un tratto di personalità importante e fortemente legato al crimine: chi sa immaginarsi le sensazioni di una vittima ha meno possibilità di perseguitare qualcuno. Tuttavia le ricerche empiriche non forniscono dati molto chiari in quanto ci sono risultati inconsistenti, le misure di empatia non sono ben convalidate, soprattutto per quanto riguarda l’empatia affettiva. Dati più concreti si hanno per quanto riguarda la bassa empatia cognitiva, la quale è stata fortemente correlata alla delinquenza, soprattutto quando è presente insieme ad un basso livello di intelligenza e a situazioni socioeconomiche difficili. Parlando dell’impulsività questa viene definita il tratto di personalità che più di tutto può prevedere un comportamento delinquenziale nel futuro, in quanto molti studi confermano una forte correlazione fra scarsa capacità di controllarsi e comportamenti criminali. Infatti in questo discorso viene inclusa: l’iperattività, l’irrequietezza, la non capacità di pianificare in anticipo, confusione, il non pensare alle conseguenze prima di agire, un basso controllo di sé, la ricerca di sensazioni, l’assunzione di rischi e una scarsa capacità di posticipare le gratificazioni. Sono elementi che sono stati verificati sia dalla ricerca si Cambridge che a seguire, da quella di Pittsburgh. Un altro elemento che è stato riscontrato come fattore di rischio a livello individuale sono alcuni deficit cognitivi: la difficoltà di problem-solving e la povertà di pensiero. I trasgressori risultano essere spesso persone egocentriche e instabili, non sanno assumere un ruolo e hanno una bassa consapevolezza. Inoltre il fatto di non riuscire ad essere sensibili ai pensieri e ai sentimenti delle altre persone, porta queste persone a non formare relazioni stabili e a verificare il loro comportamento sugli altri. Essi mostrano quindi scarse abilità sociali nelle interazioni interpersonali, un senso di irrequietezza ed evitano il contatto visivo, l’ascolto e l’attenzione verso gli altri. È inoltre sostenuto che i criminali tendono a credere che ciò che accade dipende dal destino, dalla fortuna o dal caso, piuttosto che dalle proprie azioni. Questo li porta quindi a pensare che il loro comportamento è indipendente dalla loro volontà e quindi che sia inutile cercare di avere successo o di raggiungere obiettivi. Tra i fattori di rischio familiari vengono indicate 5 categorie: 1. I genitori criminali e antisociali 2. Le grandi dimensioni della famiglia 3. I metodi educativi non corretti 4. L’abuso e la negligenza nei confronti dei figli 5. Le famiglie distrutte I genitori criminali e antisociali Avere un padre condannato, madre, fratello o una sorella sono risultati importanti fattori di rischio e predittivi del comportamento delinquenziale del figlio. Per esempio, nella ricerca di Cambridge, il 63% dei ragazzi con i padri condannati erano essi stessi condannati, rispetto al 30% del resto. Risultati simili sono stati ottenuti nello studio della gioventù Pittsburgh. Arresti di padri,. madri, fratelli, sorelle, zii, zie, nonni e nonne tutte hanno predetto la delinquenza del ragazzo. Il parente che più incide risulta essere il padre e gli arresti del padre hanno predetto la delinquenza del figlio indipendentemente da tutti gli altri parenti arrestati. Ci sono diverse spiegazioni possibili (che non si escludono a vicenda) sul perché il comportamento criminale tende a concentrarsi in certe famiglie e a trasmettersi da una generazione a quella successiva. In primo luogo, ci può essere continuità intergenerazionale in quanto c’è una esposizione a fattori di rischio multipli. In secondo luogo, l'effetto di un genitore criminale sul comportamento del bambino può essere mediata da meccanismi ambientali. Nello studio di Cambridge, è stato suggerito che la povera supervisione dei genitori è stato uno degli anelli della catena causale tra padri e figli delinquenti. In terzo luogo, l'effetto di un genitore criminale su un bambino, in futuro criminale, può dipendere da meccanismi genetici. Alcune ricerche hanno rilevato che l’ ereditabilità era del 41% per il disturbo infantile di condotta e il 28% per il disturbo antisociale di personalità, dimostrando che la trasmissione intergenerazionale di condotte delinquenziali sono in parte attribuibili a fattori genetici. Quarto, i genitori criminali possono tendono ad avere figli delinquente in quanto hanno ricevuto i pregiudizi che si creano nei confronti delle famiglie criminali. Le grandi dimensioni della famiglia La famiglia numerosa è un predittore relativamente forte della delinquenza. E 'stato altrettanto importante per gli studi a Cambridge e Pittsburgh, anche se le famiglie erano in media più piccole a Pittsburgh nel 1990 che a Londra nel 1960 (Farrington e Loeber, 1999). Nello studio di Cambridge, se un ragazzo ha avuto quattro o più fratelli dal suo decimo compleanno, questo raddoppia il suo rischio di essere condannato in età minorile. Risulta, dalle ricerche, essere il più importante fattore predittivo indipendente di condanne fino a 32 anni in una analisi di regressione logistica, il 58% di ragazzi provenienti da famiglie grandi sono stati condannati fino a questa età. Legate a ciò esistono alcune possibili ragioni per cui un gran numero di fratelli e sorelle potrebbe aumentare il rischio di delinquenza di un bambino. In generale, come il numero di bambini in una famiglia aumenta, la quantità di attenzione dei genitori che può essere dato ad ogni bambino diminuisce. Inoltre, come il numero dei bambini aumenta, la famiglia tende a diventare più sovraffollata, e questo può portare ad aumenti di sentimenti frustrazione, irritazione e conflitto. Quindi questo indica che il sovraffollamento delle famiglie potrebbe essere un fattore importante che intercorre fra la dimensione della famiglia di grandi dimensioni e la delinquenza. Inoltre nello studio di Cambridge, la modalità di agire dai fratelli era sorprendentemente comune, circa il 20% dei ragazzi che avevano fratelli vicino a loro per età sono stati condannati per un reato commesso con il loro fratello. I metodi educativi non corretti Secondo i dati analizzati anche i diversi metodi di educazione dei bambini possono predire la delinquenza di un soggetto. Le dimensioni più importanti della crescita dei figli sono la supervisione o monitoraggio dei bambini, la disciplina o il rafforzamento dei genitori, il calore o la freddezza delle relazioni affettive, e il coinvolgimento dei genitori con i bambini. Il controllo dei genitori si riferisce al grado di controllo da parte dei genitori delle attività del bambino, e il loro grado di vigilanza. Di tutti questi metodi di allevare il fanciullo, la bassa supervisione del genitore sul bambino è di solito il fattore predittivo più forte. Molti studi dimostrano che i genitori che non sanno dove sono i loro figli quando sono fuori, e i genitori che lasciano i loro bambini vagare per le strade senza supervisione, già dalla più tenera età, tendono ad avere figli delinquenti. La disciplina dei genitori si riferisce a come i genitori reagiscono al comportamento di un bambino. E 'chiaro che una dura disciplina o un modo punitivo di reagire (che coinvolgono la punizione fisica) prevede allo stesso modo la delinquenza di un bambino. Allo stesso tempo anche un tipo di disciplina con andamento discontinuo o incoerente è un importante elemento di previsione da considerare per la delinquenza. Non è molto chiaro se la disciplina particolarmente lassista può prevedere la delinquenza. Anche i metodi inadeguati di rispondere al cattivo comportamento di un figlio o un basso rinforzo da parte dei genitori (non lodando) di buon comportamento viene visto come un predittore da tenere presente. Anche un basso coinvolgimento dei genitori nelle attività del bambino viene considerato un elemento di rischio di delinquenza. Nello studio di Cambridge, chi aveva un padre che non è mai stato coinvolto nelle attività di tempo libero del ragazzo ha raddoppiato il suo rischio di condanna e questo era un fattore predittivo molto importante per la persistenza a trasgredire. La maggior parte delle spiegazioni del legame tra modalità di far crescere i figli e il legame con la delinquenza risiede nei concetti delle teorie dell'apprendimento sociale. La teoria dell'attaccamento ispirata al lavoro di Bowlby (1951), suggerisce che i bambini che non sono stati emotivamente legati a genitori amorevoli e rispettosi della legge tendono a diventare delinquenti. L'equivalente sociologico della teoria dell'attaccamento è una teoria di legame sociale, che propone che la delinquenza dipende dalla forza o della debolezza del legame del bambino alla società. Inoltre le teorie dell'apprendimento sociale (Patterson, 1982, 1995) suggeriscono che il comportamento dei bambini dipende dalle ricompense e dalle punizioni dei genitori e dai modelli di comportamento che i genitori rappresentano. I bambini tendono a diventare delinquenti se i genitori non rispondono in modo coerente e contingente verso un loro comportamento antisociale e se i genitori si comportano in modo antisociale. L’abuso e la negligenza nei confronti dei figli I bambini che sono stati fisicamente maltrattati o trascurati tendono a diventare delinquenti nel corso della vita La dimostrazione più famoso di questo è stato completato da Widom (1989) a Indianapolis. Risultati simili sono stati ottenuti in altri studi. In Cambridge-Somerville studio a Boston, McCord (1983) ha rilevato che circa la metà dei ragazzi abusati o trascurati sono stati condannati per reati gravi, e sono diventati alcolisti o malati mentali, o morti prima dei 35 anni. Numerose teorie sono state avanzate per spiegare il legame tra abuso di minori e delinquenza. La teoria dell'apprendimento sociale suggerisce che i bambini imparano ad adottare i modelli di comportamento abusivo dei loro genitori attraverso l'imitazione, il modellamento e il rinforzo. La Strain Theory postula che il trattamento negativo da parte di altri genera emozioni negative come rabbia e frustrazione, che a sua volta portano ad un desiderio di vendetta e un aumento dell'aggressività. Alcune ricerche infatti hanno trovato un supporto, anche se limitato, per tutte queste teorie. Famiglie distrutte La maggior parte degli studi sulle famiglie distrutte si sono concentrate sulla perdita del padre, piuttosto che della madre, perché la perdita di un padre è molto più comune. In generale, si è constatato che i bambini che sono separati da un genitore biologico sono più propensi a delinquere rispetto ai bambini provenienti da famiglie intatte. Questi risultati suggeriscono che potrebbe non essere la famiglia divisa che è criminogena, ma il conflitto dei genitori che si genera che può provocare comportamenti criminali. Essi suggeriscono anche che una madre amorevole in un certo senso potrebbe essere in grado di compensare la perdita di un padre. Nello studio di Cambridge, sia le separazioni permanenti che quelle temporanee (più di un mese), prima dei 10 anni del figlio, hanno mostrato che c’è un collegamento con la delinquenza del figlio, a condizione che queste separazioni non siano state causate da morte o ricovero ospedaliero. Tuttavia, famiglie distrutte in tenera età (sotto i 5 anni) non erano insolitamente criminogene. La separazione prima dei 10 anni, inoltre, coinvolge sia i comportamenti giovanili che quelli adulti, ed è stato un importante predittore indipendente di disfunzione sociale per adulti e per l’ aggressione della sposa all'età di 32 anni. Le spiegazioni del rapporto tra famiglie sfasciate e delinquenza risiedono in tre visioni principali. Le teorie del trauma suggeriscono che la perdita di un genitore ha un effetto dannoso su un bambino, più comunemente a causa degli effetti sulla attaccamento al genitore. Le teorie corso della vita concentrano l’attenzione sulla separazione vista come una sequenza di esperienze stressanti, e sugli effetti di molteplici fattori di stress come il conflitto dei genitori, la perdita dei genitori, peggioramento delle condizioni economiche, cambiamenti nelle figure genitoriali e metodi poveri di allevare il fanciullo. Tali teorie sostengono che la situazione delle famiglie distrutte producono figli delinquente a causa di preesistenti fattori di rischio come il conflitto dei genitori, i genitori criminali o antisociali, reddito familiare basso o povera di allevare il fanciullo metodi. Le ipotesi derivate da queste teorie sono state testati nello studio di Cambridge (Juby e Farrington, 2001). Mentre i ragazzi di famiglie distrutte sono più delinquenti di ragazzi provenienti da famiglie intatte, non erano più delinquente di ragazzi provenienti da famiglie intatte con alta conflittualità. È interessante notare che questo risultato è stato replicato in Svizzera (Haas et al., 2004). Gruppo dei pari, scuola e comunità È ben noto che avere amici delinquenti è un importante correlatore di delinquenza. Nello Studio di Cambridge, il 75% degli autori di reati cronici aveva amici delinquenti all'età di 14 anni, rispetto al 33 per cento di non-delinquenti cronici e il 16 per cento dei non-detenuti (Farrington e West, 1993). Ciò che è meno chiaro è in che misura i pari antisociali possono incoraggiare e facilitare comportamenti antisociali, o se si tratta semplicemente di un fenomeno di gruppo. È interessante notare che il ritiro dal gruppo delinquente sembra influire in modo importante sulla desistenza, così come è stato verificato nello Studio di Cambridge. E 'anche noto che si alza il tasso di delinquenza in relazione ad alcune situazioni scolastiche: la presenza di alti livelli di sfiducia tra insegnanti e studenti, un basso da parte degli studenti, e regole non chiare e applicate in modo incoerente. Nello studio di Cambridge, frequentando un alto tasso di delinquenza a scuola all'età di 11 anni può portare in modo significativo sia ad una delinquenza cronica che ad una personalità antisociale all’ età di 32 anni. Tuttavia, ciò che è meno chiaro è in che misura le scuole, rispetto alla loro organizzazione, il clima e le pratiche usate e la concentrazione di trasgressori, possono influenzare un comportamento antisociale. Nello studio di Cambridge, la maggior parte della variazione dei tassi di delinquenza tra le scuole potrebbe essere spiegata dalle differenze per quanto riguarda la presenza di ragazzi problematici all'età di 11 anni.18 18 David FARRINGTON – Jeremy W. Coid, Early prevention of adult antisocial behavior, Cambridge, CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, 2003, 8-13. 4.2. La prevenzione precoce come intervento prescelto La teoria di Farrington oltre ad analizzare il problema lungo il corso della vita mira anche a proporre azioni di prevenzione ed è proprio la chiave giusta per contrastare la delinquenza giovanile, da quella meno grave a quella più grave e violenta. Identificare precocemente le condizioni a rischio e definire i problemi comportamentali nel periodo dello sviluppo è importante. La ricerca infatti ha evidenziato come il costrutto di onset (esordio) antisociale giochi un ruolo singificativo nella strutturazione di patterns comportamentali problematici. Il fine generale è quello di riconoscere le situazioni problematiche e individuare i gruppi e le persone ad alto rischio prima ancora che il problema si presenti, per poter ritagliare programmi preventivi adeguati Sono necessari quindi alcuni prerequisiti per poter parlare di programmi di prevenzione efficace: - Il riconoscimento delle condizioni familiari e sociali a rischio - L’individuazione delle persone a rischio - L’identificazione dei gruppi a rischio - Una programmazione di prevenzione adeguata per intervenire nelle situazioni a rischio e la pianificazione di interventi sui gruppi e sui singoli individui. Conoscere i fattori di rischio permette di poter agire in maniera precoce sulle situazioni di rischio. Farrington e collaboratori hanno distinto quattro principali strategie di prevenzione 1) La prevenzione dello sviluppo: si riferisce a interventi mirati a prevenire lo sviluppo del potenziale criminale negli individui 2) Prevenzione comunitaria: si riferisce ad interventi mirati a modificare le condizioni sociali e le istituzioni 3) Prevenzione situazionale: si riferisce ad interventi mirati a prevenire il verificarsi di reati, riducendo le opportunità e aumentando le difficoltà per offendere 4) Prevenzione della giustizia penale: si riferisce ad interventi mirati a rivedere le strategie riabilitative gestire dalle forze dell’ordine e dalle agenzie del sistema penale della giustizia. Questi programmi non solo si sono rivelati efficaci a livello di qualità degli interventi ma mirano ad offrire anche raccomandazioni per il futuro della ricerca e per la politica. L’idea di base della prevenzione mirata del rischio è molto semplice: identificare i fattori di rischio chiave e mettere in atto metodi di prevenzione volti a contrastarli. Oltre al libro Early Prevention of Adult Antisocial Behaviour, anche il libro Serious and violent juvenile offenders contiene una dettagliata esposizione di questo approccio, il quale è applicato per i minorenni autori di reati gravi e violenti. Infatti i fattori di rischio tendono ad essere molto simili anche con esiti diversi fra loro, tra violenti e non violenti. Per cui un programma di prevenzione che riesce a ridurre un fattore di rischio di criminalità con ogni probabilità sarà un beneficio anche per la riduzione di altri tipi di problemi sociali. 19 Il ruolo dei fattori protetti e dei processi ad essi correlati, ossia i programmi preventivi, dipende dalla modalità con cui le risorse controbilanciano i rischi di disfunzionalità e di devianza. Va tenuto però presente che uno stesso fattore può giocare un ruolo diverso a seconda dell’individuo, delle risorse personali, delle condizioni di vita e dei contesti culturali e sociali presenti. I fattori di protezione si caratterizzano inoltre per le seguenti caratteristiche: Sommatività o comulatività: non esiste un singolo fattore che agisce in maniera esclusiva nel moderare, proteggere e controllare le influenze criminogene. È la combinazione di molti fattori che possono avere una funzione protettiva efficace Moderazione: i fattori di protezione tendono a moderare le influenze devianti e criminali Temporalità: anche i fattori di protezione, come quelli di rischio, hanno un’influenza differente nei diversi stadi dello sviluppo delle persone Continuità: molti fattori protettivi hanno una funzione continuativa, per cui la loro presenza nelle prime fasi della vita dell’individuo tende ad avere un’influenza protettiva a lungo termine. Regolarità: molti dei fattori protettivi agiscono in modo regolare nei processi di adattamento dell’individuo al mondo circostante Significatività: così come per i fattori di rischio, certi fattori protettivi agiscono con un’incidenza maggiore se sono supportati da specifiche condizioni sociali, culturali, educative e familiari 19 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 295-299. Equifinalità: molteplici fattori di protezione possono avere un ruolo di moderazione e protezione dalle influenze devianti e criminogene su individui diversi, oppure differenti influenze protettive possono avere un impatto positivo sugli stessi individui in momenti diversi della loro vita Predittività: anche i fattori di protezione, se continuativi nel tempo, regolari e significativi, possono avere un ruolo predittivo sul futuro orientamento sociale dell’individuo. 20 Le politiche di intervento preventivo sul comportamento antisociale e la delinquenza, descritte da Farrington si basano proprio su questi presupposti teorici. Egli propone nei suoi libri alcuni programmi di intervento che, proposti da altri ricercatori, hanno ottenuto consenso e risultati positivi nel tempo e soprattutto per i quali esiste una giustificazione empirica. Quindi l’effetto degli interventi sulla delinquenza può essere dimostrato da questi programmi di intervento applicati anche se viene detto che molti degli effetti preventivi sono piuttosto limitati e sono stati verificati solo con piccoli campioni, dunque non esiste una certezza del loro valore per lunghi periodi di tempo. Gli interventi presi in considerazione sono stati i seguenti: - I programmi nel periodo di gravidanza e durante l’infanzia - I programmi pre-scolastici - I programmi scolastici - I programmi per i genitori - I programmi di insegnamento di abilità - I programmi per il gruppo dei pari - I programmi di comunità - I programmi a multi componenti In ultima analisi vengono anche menzionati quelle linee di intervento un po’ più specifiche per i SVJO. I programmi nel periodo di gravidanza e durante l’infanzia I problemi durante il periodo della gravidanza e dell’infanzia possono essere alleviati da programmi caratterizzati da visite domiciliari programmare con l’obiettivo di aiutare le madri. Per esempio, nello stato di New York, sono state scelte in modo casuale 400 madri per ricevere visite domiciliari da parte degli infermieri durante la gravidanza, o per ricevere questa visita sia durante la gravidanza che durante i primi due anni di vita. È stato inoltre creato un gruppo di controllo che non ha ricevuto visite. Secondo questo programma, ogni visita doveva essere di circa un'ora e un quarto, 20 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 324-325. e le madri sono state visitate in media ogni due settimane. I visitatori a casa avevano il compito di dare consigli sulla cura prenatale e postnatale sullo sviluppo infantile, e sull'importanza di una corretta alimentazione e sull’ evitare di fumare e bere durante la gravidanza. I risultati di questo esperimento hanno dimostrato che le visite a casa dopo la nascita hanno portato ad una diminuzione registrata di abusi fisici e trascuratezza dei figli durante i primi due anni di vita, soprattutto da parte delle ragazze madri adolescenti, 4 per cento dei visitati contro il 19 per cento dei non-visitato tra le madri selezionate erano colpevoli di abusi o negligenza. Questo risultato è importante perché dalla constatazione sull’abuso o la trascuratezza dei bambini dipende la tendenza al diventare violenti in età avanzata. In quindici anni di follow-up, l'attenzione principale è stata posta sulle madri nubili di classe inferiore. Tra queste madri, coloro che hanno ricevuto visite a domicilio prenatali e postnatali hanno subito meno arresti rispetto a quelle che hanno ricevuto solo le visite prenatali o nessuna visita. Inoltre, i bambini di queste madri che hanno ricevuto visite a domicilio prenatale e / o postnatale registrarono meno della metà degli arresti dei figli rispetto ai figli di madri che non hanno ricevuto alcuna visita. Un altro esperimento di prevenzione, rivolto riguardava l’inizio della gravidanza e la raccolta di dati sulla delinquenza, è stato il Syracuse Family Development Research Programme (NewYork). I ricercatori hanno iniziato con un campione di donne in gravidanza e hanno dato loro aiuti settimanali per l’allevamento, la salute, la nutrizione e altri problemi. Inoltre, i loro bambini hanno ricevuto cure gratuite ogni giorno, questo è stato progettato affinchè si potesse aiutare i bambini a sviluppare le loro capacità intellettuali, fino a 5 anni. Questo non era un esperimento randomizzato, ma un gruppo di controllo è stato scelto quando i bambini avevano circa 3 anni. I bambini trattati risultavano avere un’intelligenza nettamente superiore rispetto al gruppo di controllo all'età di 3 anni, ma non risultava diversa all'età di 5 anni. Dieci anni più tardi, circa 120 bambini trattati e di controllo sono stati seguiti fino all’età di 15 anni. Si è constatato che un numero significativamente inferiore di bambini trattati (2 % contro il 17%) è stata registrato al tribunale dei minori per reati di delinquenza, e le ragazze trattate hanno mostrato una maggiore presenza a scuola e un migliore rendimento scolastico. Quindi, questo esperimento di prevenzione è d'accordo con gli altri nel dimostrare che le visite a casa in tempo precoce, atte a fornire consulenza e sostegno alle madri, possono portare a risultati positivi nel momento presente e nel futuro, rispetto alla riduzione di situazioni di delinquenza. I programmi pre-scolastici La bassa intelligenza e il fallimento scolastico sono stati individuati come cause di trasgressione, quindi i programmi che conducono ad un miglioramento del rendimento scolastico dovrebbero condurre ad un calo del numero di reati. Uno dei programmi preventivi di grande successo è stato il Perry Preschool Project, svolto nel Michigan da Schweinhart e Weikart negli anni ’80. Questo è stato un programma di “Head Start” rivolto a bambini neri e svantaggiati inseriti in gruppi sperimentali e di controllo. I bambini della ricerca (che avevano dai 3 ai 4 anni) frequentavano un programma prescolare quotidiano, sostenuto da visite domiciliari settimanali, per la durata di 2 anni. Lo scopo del programma era quello di offrire una stimolazione intellettuale, aumentare le abilità conoscitive e migliorare il successivo rendimento scolastico. Più di 120 bambini nei due gruppi furono seguiti fino a 15 anni, utilizzando le valutazioni degli insegnanti, le interviste fatte a genitori e ragazzi, e le informazioni attraverso i registri scolastici. Il gruppo sperimentale mostrò miglioramenti intellettivi piuttosto brevi. Tuttavia i bambini risultavano significativamente migliori nella motivazione scolastica, nel rendimento scolastico a 14 anni, nelle valutazioni degli insegnanti relativamente al comportamento di classe dai 6 ai 9 anni, e negli auto-rapporti comportamentali, e ad atti devianti a 15. Un successivo follow-up di questo stesso campione mostrò che, all’età di 19 anni, il gruppo sperimentale aveva maggiori probabilità di trovare lavoro, di essere diplomato, e minori probabilità di essere stato arrestato. Si è riscontrato che gli effetti benefici persistevano anche fino ai 27 anni. Questo programma di arricchimento intellettuale prescolare condusse a cali di fallimento scolastico e negli atti delinquenziali. Sono stati fatti altri programmi simili a questo e tutti hanno dimostrato che i programmi di arricchimento intellettuale prescolare hanno effetti benefici a lungo termine sul successo scolastico, soprattutto nell’aumento della percentuale di diplomi e nella diminuzione del numero di sistemazioni in scuole speciali. I programmi per i genitori Una buona preparazione dei genitori sembrerebbe ridurre i comportamenti devianti dei figli. Sono stati usati molti tipi di terapia familiare, ma la preparazione comportamentale dei genitori, elaborata da Patterson in Oregon, rappresenta uno degli approcci più promettenti. Le sue osservazioni sull’interazione genitore – figlio mostrano che i genitori di bambini antisociali sono deficienti nei loro metodi di allevamento del bambino. Infatti, da queste analisi, si è riscontrato che i genitori non riuscivano ad esaminare il loro comportamento per essere sicuri che fosse desiderabile, e non riuscivano a rafforzare prontamente ed inequivocabilmente le regole con ricompense e punizioni appropiate. Infatti i genitori di bambini antisociali ricorrevano spesso a punizioni, ad esempio sgridando o minacciando, ma non riuscivano ad avere effetti sul comportamento del bambino. Patterson decise quindi di addestrare i genitori verso metodi di educazione efficaci, osservando i loro comportamenti per lungo tempo, stabilendo con chiarezza le regole della casa, somministrando ricompense e punizioni e negoziando disaccordi così che i conflitti e le crisi non aumentino. Il suo trattamento si è dimostrato efficace nel ridurre i furti e i comportamenti antisociali del bambino per brevi periodi in studi su piccola scala. Secondo altri autori infatti è bene combinare la preparazione genitoriale con gli altri tipi di interventi. Ad esempio a Montreal, Tremblay e colleghi hanno identificato 250 bambini problematici di 6 anni per un esperimento di prevenzione. Tra i 7 e i 9 anni, il gruppo sperimentale ricevette una preparazione specifica atta a promuovere abilità sociali e autocontrollo, mentre i loro genitori venivano preparati utilizzando le tecniche di Patterson. All’età di 12 anni risultò che i ragazzi sperimentali avevano commesso meno furti con scasso e bevevano di meno rispetto al gruppo di controllo. È interessante che le differenze nel comportamento antisociale tra gruppo sperimentale e di controllo aumentava via via che il follow-up progrediva. A Seattle, invece, sono stati combinati interventi di preparazione genitoriale con l’insegnamento di abilità nei bambini. Circa 500 bambini di 6 anni, dislocati in 21 classi di 8 scuole, furono assegnati casualmente a classi sperimentali e di controllo. I genitori e gli insegnanti dei bambini sperimentali furono addestrati per rinforzare comportamenti socialmente desiderabili. In un follow-up i ragazzi sperimentali si dimostrarono significativamente meno aggressivi rispetto ai ragazzi di controllo, e le ragazze sperimentali risultarono significativamente meno auto-distruttive, depresse e ansiose, rispetto alle ragazze del gruppo di controllo. In quinta elementare i bambini sperimentali avevano minori probabilità di intraprendere atti delinquenziali ed abuso di alcool. I programmi di insegnamento di abilità L’impulsività e la bassa empatia ed altre caratteristiche di personalità possono essere alterate mettendo in pratica una serie di tecniche definite capacità interpersonali cognitivo comportamentali, che si sono dimostrate molto efficaci. Un esempio sono i metodi usati da Ross per trattare i giovani delinquenti. Questi si basano ad alcune delle note caratteristiche individuali dei delinquenti: l’impulsività, l’egocentrismo, il pensiero concreto anziché astratto e una bassa empatia. L’autore ritiene che ai delinquenti possano essere insegnate le abilità di cui sono carenti, e che ciò possa condurre ad un calo di atti devianti. A seguito delle revisioni dei programmi si è constatato che quei programmi che hanno avuto maggior successo nel ridurre il numero di trasgressioni sono quelli che hanno tentato generalmente di cambiare il pensiero del trasgressore. Ross applicò questo ragionamento nel programma di riabilitazione in Canada, e scoprì che tale programma conduceva ad un calo significativo nella reiterazione del reato per un piccolo campione in periodo di follow-up di nove mesi. Il programma mira a cambiare il pensiero impulsivo ed egocentrico dei delinquenti, ad insegnar loro a fermarsi a pensare prima di agire, a considerare le conseguenze del loro comportamento, a concettualizzare modi alternativi di risolvere problemi interpersonali e a considerare l’impatto del loro comportamento su altre persone, specialmente sulle loro vittime. Il programma nello specifico includeva la preparazione a: abilità sociali, del pensiero laterale (problem solving creativo), dei valori, la capacità di farsi valere con modalità non aggressive, la negoziazione di abilità, il problem solving cognitivo interpersonale, la prospettiva sociale, il role-playng e il modeling. I programmi scolastici Un esperimento nelle scuole è stato l’intervento di prevenzione effettuato da Kolvin in Newcastel upon Tyne. Sono stati scelti in modo casuale 270 bambini della scuola elementare (età 78) e 322 ragazzi delle scuole medie (età 11-12) per il gruppo sperimentale o di controllo. Tutti i bambini erano stati identificati in in base a qualche tipo di disturbo psichiatrico o sociale o problemi di apprendimento (secondo insegnante e il giudizio dei coetanei). Sono stati costruiti tre tipi di programmi sperimentali: a) modifica/ rinforzo del comportamento rivolto agli adulti: "nutrire il lavoro" interazioni per un insegnamento verso i bambini; b) la consulenza per i genitori e gli insegnanti e con entrambi; c) la terapia di gruppo con gli adulti, e gruppi di bambini. I programmi sono stati valutati dopo diciotto mesi e dopo tre anni con valutazioni cliniche di disturbo di condotta. In generale, i gruppi sperimentali e di controllo non sono risultati significativamente differenti peri bambini, anche se si era avvertita una certa tendenza positiva nella disciplina e nel lavorare e giocare in gruppo durante i controlli nei tre anni di follow-up. Per quanto riguarda il discorso degli adulti, coloro che hanno ricevuto la terapia di gruppo hanno mostrato disturbi condotta significativamente inferiore sia a follow-up, e c'era una certa tendenza per gli altri due programmi anche di essere efficace nei tre anni di follow-up. Altri esperimenti di prevenzione nelle scuole hanno avuto successo nel ridurre il comportamento antisociale. È stato affrontato come tema specifico anche quello del bullismo. Il bullismo scolastico, naturalmente, è un fattore di rischio del delinquere(Farrington, 1993). Diversi programmi scolastici sono stati efficaci nel ridurre il bullismo. Il più famoso di questi è stato implementato da Olweus (1994) in Norvegia. L'obiettivo di questo programma era quello di aumentare la consapevolezza e la conoscenza di insegnanti, genitori e figli circa il bullismo e per sfatare i miti su di esso. È stato distribuito un libretto di 30 pagine a tutte le scuole in Norvegia, nel quale veniva descritto ciò che si conosceva circa il bullismo e le raccomandazioni su quali passi vanno fatti nelle scuole e dagli insegnanti, perché questo fenomeno possa essere ridotto. Inoltre è stato messo a disposizione anche un video sul bullismo di 25 minuti, per tutte quelle scuole. Contemporaneamente, le scuole hanno distribuito a tutti i genitori alcune pagine contenenti le informazioni e consigli sul bullismo. Inoltre, sono stati compilati questionari anonimi di self-report da tutti i bambini. Il programma è stato valutato a Bergen. Ognuna delle 42 scuole partecipanti hanno ricevuto informazioni di ritorno dal questionario, circa la prevalenza di bulli e vittime, in un giorno di scuola appositamente allestito per una conferenza. Inoltre, gli insegnanti sono stati incoraggiati a sviluppare regole esplicite sul bullismo e per discutere di bullismo in classe , utilizzando il video ed esercizi di role-playing con i bambini. Inoltre, le sono state intraprese azioni di monitoraggio e cura verso i bambini anche nel parco giochi. Il programma ha avuto successo nel ridurre, del 50%, la prevalenza del bullismo. Un programma analogo è stato attuato in 23 scuole di Sheffield da Smith e Sharp (1994) ma questo programma ha avuto un successo minore. È stato ridotto il bullismo del 15% nelle scuole elementari, ed ha avuto un effetto relativamente lieve, un 5% di riduzione, nelle scuole secondarie. I programmi per il gruppo dei pari Non ci sono molti esempi concreti di programmi di intervento sui fattori di rischio che riguardano l’influenza dei comportamenti antisociali dei pari. In generale però, i programmi che fanno più sperare, comportano l'utilizzo di strategie che insegnano ai bambini come resistere alle pressioni negative dei pari. In un esperimento a St. Louis Feldman, Caplinger, e Wodarski (1983) mostrarono inoltre che inserendo adolescenti antisociali in gruppi di lavoro dominati da adolescenti prosociali, si avverte una riduzione del loro comportamento antisociale. Quindi questo suggerisce che l'influenza dei pari prosociali può essere sfruttata per ridurre i comportamenti antisociali. Il più importante programma di intervento i cui successi sembrano essere basati soprattutto nel ridurre i fattori di rischio tra i pari è il programma "children at risk" (Harrel 1997) pensato per giovani ad alto rischio provenienti da quartieri poveri di 5 città degli Stati Uniti. I giovani sono stati individuati nelle scuole, e assegnati a gruppi di esperimento o di controllo. Il programma era basato su una strategia di comunità comprensiva e di prevenzione di base che aveva come scopo diminuire i fattori di rischio per la delinquenza includendo la gestione dei casi, la consulenza famigliare, prove di allenamento(ndt di supporto), di tutoraggio per le famiglie, di attività dopo scuola. Il programma era diverso in ogni quartiere. I risultati iniziali del programma furono deludenti, ma dopo un anno di progetto venne mostrato che i giovani dell'esperimento erano in realtà meno propensi a commettere crimini violenti e ad usare o vendere droghe. Il sistema di valutazione mostrò come i più grandi cambiamenti riguardavano proprio i fattori di rischio tra pari. I giovani dell'esperimento legavano meno spesso con pari delinquenti, sentivano di meno le pressioni dei pari nel coinvolgerli nella delinquenza ed ebbero un maggiore supporto. In contrasto però c’è da dire che ci furono pochi cambiamenti nei fattori di rischio individuali, famigliari o della comunità, ed è probabile che questo sia avvenuto a causa della scarsa partecipazione dei genitori ai programmi rivolti a loro e dei giovani nei programmi di tutoraggio. In altre parole ci furono problemi di implementazione del programma legati ad altri seri e vari bisogni e problemi delle famiglie. Programmi a multicomponenti. Una combinazione di interventi può essere più efficacie di un singolo metodo. Per esempio Tremblay (1995) in Montreal identificò circa 250 ragazzi aggressivi/iperattivi di età di 6 anni per un esperimento di prevenzione. Tra i 7 e i 9 anni, il gruppo sperimentale ricevette degli esercizi per favorire le abilità sociali e il self-control. Il modellamento dai pari, il gioco di ruolo e le contingenze di rinforzo furono usate in piccole sessioni di gruppo su quegli argomenti quali "come aiutare", "cosa fare quando sei arrabbiato" e "come reagire alle prese in giro". Anche i loro genitori furono allenati usando le tecniche di formazione dei genitori sviluppate da Patterson (1982). Questo programma di prevenzione fu quasi un successo. All'età di 12 anni i ragazzi dell'esperimento commettevano meno furti con scassi, erano meno inclini al bere ed erano molto meno inclini alla lotta. In più i ragazzi sperimentali avevano maggiori successi scolastici. Ad ogni età tra i 10 e i 15 anni, i ragazzi sperimentali ebbero meno "punteggi di delinquenza" dei ragazzi "di controllo". Interessante è che le differenze nei comportamenti antisociali tra i ragazzi sperimentali e di controllo aumentarono con il susseguirsi dei progressi. Uno dei più importanti esperimenti a multi componente econ base a scuola fu condotto a Seattle da Hawkins, Von Cleve e Catalano (1991). In questo esperimento si combinarono tra di loro: la formazione di genitori, degli insegnati e delle abilità dei bambini. Circa 500 bambini di 6 anni in 21 classi di 8 scuole furono assegnati casualmente ad essere in classi di controllo o di esperimento. I bambini nelle classi sperimentali ricevettero trattamenti speciali a casa e a scuola che portavano ad aumentare il loro attaccamento ai loro genitori e alla scuola. Ci fu anche una formazione nell’acquisizione della tecnica del problem solving cognitivo interpersonale. I loro genitori furono formati per notare e rinforzare i comportamenti socialmente desiderabili in un programma chiamato "prendili essendo buono". I loro insegnanti furono formati in classi di gestione, per esempio per dare istruzioni chiare e aspettative ai bambini, per ricompensare i bambini per la partecipazione in comportamenti desiderabili, e per insegnare ai bambini pro-sociali metodi per risolvere i problemi. Questo fu un programma che ebbe benefici a lungo termine. O'Donnel (1995) si focalizzò sui bambini provenienti da famiglie con un reddito basso e riportò che, all'età di 12 anni, i ragazzi sperimentali erano meno inclini ad iniziare a delinquere, mentre le ragazze sperimentali erano meno inclini ad un uso di droghe. Nell'ultimo periodo Hawkins (1999) trovò che all'età di 18 anni, l'intero gruppo di intervento (quelli che ricevettero l'intervento per tutto il ciclo scolastico) usò meno violenza, meno abuso di alcool, e minor pattner sessuali che il tardo gruppo di intervento (intervento gli ultimi 2 anni), ma combinando gli interventi risulta più difficile identificare quello che fu l'ingrediente attivo. Programmi di comunità Uno dei migliori metodi per il raggiungimento della prevenzione dei rischi è attraverso una base di programmi multi componenti su una comunità, che include molti degli interventi di successo spiegati prima: il Community that Care (CTC). Forse più che un altro programma, è basato sull'evidenza e sulla sistematicità: la scelta di intervento dipende da evidenze empiriche circa cosa sono i rischi importanti e i fattori protettivi in una comunità particolare e sull'empirica evidenza circa "cosa funziona". Questo è oggi implementato in 20 siti in Inghilterra, Scozia e Galles, e anche in Olanda e Australia. Mentre l'efficacia della globale strategia CTC non è stata ancora dimostrata, su piccola scala, come ad esempio in Gran Bretagna, si è dimostrata di successo. Ci sarebbe invece una grande discussione per il miglioramento della CTC su una scala molto più grande. Il CTC fu sviluppato come una strategia di prevenzione al rischio da Hawkins e Catalano (1992), ed è un nucleo centrale portato avanti dall'ufficio di giustizia minorile e di prevenzione alla delinquenza (OJJDP's) degli Stati Uniti. Il CTC è basato su una teoria (il modello di sviluppo sociale) che organizza i rischi e i fattori protettivi. L'intervento viene svolto con tecniche su misura rispetto ai bisogni di ogni comunità particolare. Per comunità viene intesa una città, uno stato, un piccolo villaggio o anche un quartiere o uno palazzo. Questo programma ha lo scopo di ridurre la delinquenza e l'uso di droghe col miglioramento di particolari strategie di prevenzioni che hanno dimostrato l'efficacia nel ridurre i fattori di rischio o migliorare i fattori protettivi. È una strategia che prende spunto da un programma di salute pubblica di larga scala designato per ridurre le malattie come problemi al cuore, tracciando fattori di rischio chiave. C'è una grande enfasi nella CTC sul migliorare i fattori protettivi e costruirli, in parte perché c'è più attrattiva da parte delle a lavorare sui fattori protettivi rispetto che affrontare i fattori di rischio. Comunque è generalmente vero che la promozione della salute è più efficacie della prevenzione dei disagi. I programmi CTC iniziano con la mobilitazione della comunità. I leader chiave della comunità (es rappresentanti eletti, officiali di educazione, capi di polizia) vengono riuniti, con lo scopo di farli essere d'accordo sui fini del programma di prevenzione o miglioramento. I leader chiave allora impostano una tavola di comunità che consiste nel considerare i residenti del quartiere e i rappresentanti di varie agenzie (scuola, polizia, servizi sociali, salute, genitori, gruppo giovani, chiese, media). La tavola di comunità si fa carico della prevenzione per conto della comunità e porta a visualizzare un rischio e a valutare i fattori protettivi, identificando i fattori rischio chiave in quella particolare comunità che devono essere affrontati e i fattori di protezione chiave che devono essere potenziati. Quest'identificazione dei rischi può comportare l'uso della polizia,della scuola, ecc. Dopo l'identificazione dei fattori di rischio e protettivi, la tavola di comunità valuta l'esistenza di risorse e sviluppa un piano di strategie d'intervento. Con l'assistenza e la guida di tecnici specialisti, vengono scelti i programmi da un menu di strategie che gli sono state presentate per essere efficaci in ricerche ben designate. Il menu delle strategie è stato composto da Hawkins e Catalano (1991) e include programmi di visite a casa prima e dopo il parto, formazione dei genitori, organizzazione della scuola, formazione degli insegnanti e campagne mediatiche. altre strategie includono formazione di abilità nei bambini, programmi contro il bullismo nelle scuole, prevenzione di situazioni e strategie di polizia. La scelta della strategia di prevenzione viene scelta sulla base di un'evidenza empirica circa l'efficacia dei metodi di affrontare ogni particolare fattore di rischio, ma dipende anche dal che cosa viene identificato come problemi particolari e risorse di una data comunità. Programmi per i “SVJ offender” Per riassumere brevemente ciò che è emerso dalla ricerca di Pittsburgh, viene riportato un ordine approssimativo dei fattori di rischio rilevanti per lo sviluppo dei gravi e violenti comportamenti delinquenziali: 1. Fattori di rischio emergenti durante la gravidanza e fino alla prima infanzia bambino: - Temperamento difficile - Iperattività / impulsività - Scarsa intelligenza - Genere maschile - Neurotossina / problemi neurologici - Complicazioni durante la gravidanza e il parto Famiglia: - Giovane madre - Depressione materna - Comportamento dei genitori : l'abuso di sostanze , comportamenti antisociali o criminali - Povera comunicazione tra genitori-figli - Povertà / basso livello socioeconomico - Gravi discordie coniugali 2. Fattori di rischio emergenti a partire dall’età pre-scolare bambino: - Comportamento aggressivo / distruttivo - mentire - Assunzione di rischi e sensation seeking - La mancanza di senso di colpa, mancanza di empatia Famiglia: - Pratiche di disciplina dura e irregolare - Maltrattamenti o incuria Comunità: - Violenza in televisione 3. Fattori di rischio emergenti a partire dalla seconda metà dell’infanzia Bambino: - Rubare e delinquere - Depressione - Precoce comportamento sessuale e uso di sostanze - Atteggiamento positivo nei confronti del comportamento problematico - Vittimizzazione ed esposizione alla violenza Genitori: - Poca supervisione Scuola: - Poveri risultati scolastici - Assenteismo - Atteggiamento negativo verso la scuola Pari: - Coetanei delinquenti - Rifiuto da parte dei pari Comunità: - Residenza in un quartiere povero 4. Fattori di rischio emergenti a partire dall’adolescenza Bambino: pistola di proprietà spaccio di droga disoccupazione Famiglia: abbandono scolastico Pari: membro di una gang L’individuazione di questi fattori di rischio a portato a delineare alcune linee di intervento. I programmi di intervento più efficaci individuati sono stati i seguenti: - Interventi di coinvolgimento dei genitori/parenti: formazione alla genitorialità, terapia familiare, preservazione della famiglia - Interventi di coinvolgimento dei bambini: visite domiciliari di adolescenti incinte, formazione alle competenze sociali, mediazione fra pari e risoluzione dei conflitti, farmaci per disturbi neurologici e malattie mentali - Interventi di coinvolgimento della scuola: precoce arricchimento intellettuale, interventi sull’organizzazione scolastica - Interventi di coinvolgimento della comunità: completa mobilitazione della comunità verso la prevenzione della criminalità, pattuglie di polizia intensificate in particolare nei “punti caldi”, politiche e posizioni giuridiche che limitano l’uso di armi, di droga e alcool. A causa della varietà di fattori che portano i bambini a diventare SVJ trasgressori, non è pensabile che gli sforzi di intervento diretti solamente verso una singola fonte di influenza (es individuale, famiglia, scuola o pari) avrà successo. C’è bisogno di programmi a componenti multipli, e la priorità dovrebbe essere data ad azioni preventive che riducono i fattori di rischio in campi multipli. Molti degli stessi fattori di rischio che predicono la delinquenza adolescenziale e la violenza predicono anche l’abuso di sostanze, l’abbandono scolastico, un prematuro contatto col sesso, gravidanze adolescenziali. I benefici di un programma di intervento istantaneo possono essere anche di ampio raggio. Il programma di intervento immediato di più successo comprende interventi simultanei a casa e a scuola. La comunità di intervento – in particolare gli approcci alla salute pubblica che hanno come obiettivo fattori di rischio o protettivi – sono ugualmente importanti. Il successo di questo approccio dipende dallo sviluppo del metodo di collezione dei dati che specifica quando, dove e come accadono le violenze così come si sviluppano i violenti. Una comunità di base di vasto raggio è richiesta, nella quale i fattori di rischio e protezione sono misurati, le tecniche di intervento che hanno come obiettivo questi fattori sono implementate e l’impatto di queste tecniche è valutato. L’approccio di salute pubblica può essere effettivo con i SVJ perché le azione preventive spesso lavorano meglio quando sono implementate al livello comunitario. Per esempio gli ufficiali di polizia mobilitati centralmente che usano strategie di polizia comunitaria e coordinano i loro sforzi con la scuola infermieri e altri servizi sociali e lavoratori di igiene mentale nella comunità può essere efficacie fare partecipe la comunità in identificare e avere come obiettivo i violenti di SVJ. Le strategia che hanno come base la scuola sono ugualmente utili, specialmente quelle che si focalizzano sull’organizzazione della scuola o sul curriculum base di classe enfatizzando il rinforzo delle abilità prosociali e accademiche. La comunità può anche intervenire riducendo la disponibilità di armi da fuoco e droghe e incoraggiando le norme e le leggi favorevoli a comportamenti prosociali. Molti di questi approcci sono stati incorporati nella strategia comprensiva dell’OJJDP ( Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention) Inoltre è stato constatato che, affinché la prevenzione precoce sia efficace, a livello di comunità, deve comportare: - Uno Screening efficace sui bambini che sono esposti a circostanze avverse o a comportamenti che possono aumentare il rischio di diventare delinquenti SVJO - L’accesso da parte delle famiglie, bambini e adolescenti, ai servizi di intervento precoce, programmi e opportunità. - Interventi di comunità sulla base dei concetti di sanità pubblica e attuato nell’ambito di un programma globale basato sulla comunità che affronti i fattori di rischio nei quartieri svantaggiati. - Integrazione dei servizi, inclusi quelli forniti dal sistema della giustizia minorile, il sistema di salute mentale, il sistema medico, scuole e agenzie di protezione dell’infanzia. - Prevenzione della formazione di bande giovanili, spaccio di droga, ecc.. Le comunità svolge quindi un ruolo di massima importanza nei programmi di prevenzione rivolte ai SVJO e anche in questo caso sono organizzati in maniera tale da ridurre i fattori di rischio di delinquenza ed aumentare i fattori protettivi. I genitori, le scuole e i quartieri sono gli agenti primari di socializzazione per i bambini, pertanto, costituiscono le risorse principali sulle quali intervenire e osservare per prevenire l’escalation dai reati meno gravi a quelli più gravi e violenti. Il sistema di giustizia minorile entra in scena solo quando gli sforzi di questi agenti primari non riescono a produrre risultati positivi. Inoltre va prestata attenzione a quelle famiglie afflitte dalla violenza, dall’abuso, la trascuratezza e possono essere aiutate attraverso visite domiciliari, attraverso la formazione dei genitori e la cura della prima infanzia e dell’istruzione. È importante anche avere una proiezione della situazione della gioventù per un intervento precoce e prevenire la progressione verso un comportamento più serio e violento. Individuare quindi i giovani con multi problematicità in quanto sono quelli esposti a maggior rischio. Il sistema della giustizia minorile sarebbe migliorato se, con strumenti adeguati, riuscisse inoltre a distinguere i SVJ delinquenti dai delinquenti occasionali. Il gruppo di studio ha potuto quindi rilevare che si può intervenire per prevenire delinquenza minorile e la sua escalation verso una cronicità del comportamento criminale. A seguito anche di questa ricerca affermano che il modo migliore per prevenire qualsiasi tipo di delinquenza (compresi delinquenza minorile) è quello di concentrarsi sul rischio e sui fattori protettivi. L’importanza e la responsabilità delle infrastrutture Il gruppo di studio concluse che le infrastrutture necessarie per la prevenzione e la responsabilità per la sua efficienza sono carenti nella maggior parte delle comunità americane. Un analisi delle carriere dei SVJO e l’organizzazione di agenzie dei servizi sociali esistenti, portò a formulare un effettiva strategia di prevenzione. È stato constatato che: - Molti dei violenti di SVJ non sono mai stati arrestati, e la maggior parte dei giovani violenti hanno ufficialmente un unico crimine violento registrato come giovanile. - I tribunali minorili non trattano normalmente con violenti minori di 12 anni perché questi giovani non sono detenuti né riferiti alla corte attraverso la polizia o altre fonti di riferimento. - Potenziali violenti di SVJ non sono identificati in questo modo perché alla loro prima apparizione davanti alla corte sono più grandi, il loro primo arresto è tipicamente per una violenza molto meno grave. Molti giovani violenti – particolarmente quelli che hanno commesso una violenza grave – sono molto spesso identificati più tardi come SVJO. Correntemente, i giovani che esibiscono questi precoci comportamenti da SVJ non sono sistematicamente identificati per un intervento immediato e non ci sono meccanismi per il controllo di routine. Ciononostante le basi della pubblica responsabilità, includendo sistemi di informazione di base per il monitoraggio dei servizi di consegna e dell’effettività dell’intervento, non esiste. I ruoli e le funzioni del sistema di giustizia minorile, del sistema di igiene mentale, e del sistema del benessere dei bambini per la prevenzione dei SVJ sono spesso indefiniti o non chiari e qualche volta si sovrappongono. Visto che ogni agenzia è tipicamente reattiva piuttosto che proattiva, nessuno ha il mandato di prevenzione dei SVJ nella comunità. Le risorse e i servizi di prevenzione che esistono sono spesso frammentati e/o sottoultilizzati. L’integrazione dei servizi è spesso mancante e non ci sono aziende guida per l’identificazione di quelli che dovrebbero ricevere interventi e/o sanzioni. La sfida alle comunità americane è sia di assegnare le responsabilità per l’educazione preventiva, il controllo e l’intervento immediato ad una agenzia esistente o una coalizione di agenzie o stabilire una nuova entità per questo scopo. Sebbene il gruppo di non raccomandò un form specifico o una struttura organizzativa per queste funzioni, c’era un forte consenso nell’affermare che adeguate risorse e uno specifico mandato debbano essere dati ad un entità pubblica per focalizzarsi sulla prevenzione dei SVJO, per la coordinazione e l’integrazione di servizi e la responsabilità per i successi. Trattamento e sanzioni per i violenti di SVJ La letteratura nota che un effettivo trattamento esiste delinquenti giovanili istituzionalizzati o no. Una meta analisi di programmi di interventi sperimentali e semi sperimentali per ridurre il recidivismo dei violenti di SVJ mostrò che il programma più efficacie per i violenti non istituzionalizzati comprende la formazione per abilità interpersonali o consulenza individuale. Il programma più efficace per violenti istituzionalizzati comprende la formazione di abilità interpersonali, trattamento cognitivo-comportamentale o l’insegnamento in case famiglia. L’effetto dell’intervento è maggiore quando la durata del trattamento è più lunga. La maggior parte dei violenti di SVJ diminuiscono il loro tasso di violenza dopo interventi correttivi. Comunque, le alternative al confinamento sicuro sono effettive come l’incarcerazione in soppressione del recidivismo e sono molto meno costose. I giovani che sono trasferiti nelle corti di adulti hanno più probabilità ad essere incarcerati ma anche più probabilità a non ricommettere atti di violenza. Comunque a causa dell’inadeguatezza di progettazione di ricerca, la relativa efficacia del tribunale minorile o di adulti non è chiara sulle linee di intervento. Esistono inoltre ricerche su sanzioni intermedie come il monitoraggio elettronico e la traccia di comunità le quali suggeriscono che la responsabilità e la partecipazione nei trattamenti sono associati con un basso tasso di recidività. Sfortunatamente molte persone violente non ricevono mai alcun trattamento.21 A seguito di questo lavoro di gruppo sono state stilate alcune raccomandazioni da parte dell’ OJJDP in relazione alle forme delinquenziali gravi, violente e croniche, e sono basate su cinque principi fondamentali: 1. Rinforzare la famiglia soprattutto in relazione alla responsabilità primaria che essa ha nel creare un clima di benessere, sostegno e dialogo con il bambino e nell’offrire valori morali stabili; 2. Offrire sostegno alle istituzioni sociali nel loro ruolo di promotori di un senso civico e di responsabilità sociale; 3. Promuovere programmi di prevenzione della delinquenza come l’approccio più vantaggioso nel lungo termine. Investire le risorse economiche, logistiche e di competenza per la creazione di comunità più efficenti nell’offrire servizi educativi, sanitari, di consulenza, ecc.. 4. Intervenire immediatamente ed efficacemente quando il comportamento delinquenziale emerge, al fine di evitare un aggravamento verso una carriera criminale cronica 5. Identificare i gruppi di soggetti a rischio di cronicità, gravità e persistenza criminale. Sono stati inoltre identificati dei principi base per la strutturazione di programmi di intervento postdelinquenza basati su: a. Classificazione dei rischi b. Responsività: appropriata corrispondenza tra lo stile dell’intervento e degli specialisti e quello dell’individuo coinvolto nel programma c. Contestualizzazione nella comunità: un programma riabilitativo per essere efficace deve essere inserito nel reale contesto di vita del soggetto d. Multi-modalità di trattamento e. Integrità del programma: chiarezza di metodi, risorse ed obiettivi f. Considerazione di bisogni criminogenici della persona: consapevolezza dei bisogni e delle caratteristiche personali dell’individuo.22 21 22 U.S. Department of Justice, Serious and violent Juvenile Offenders. Juvenile Justice Bulletin, Maggio 1998, 3-6. Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 513-515. Alcune note critiche La maggior parte degli studi sul comportamento antisociale si sono concentrati su cause e fattori di rischio. Grazie in particolare agli studi prospettici longitudinali, ora abbiamo una buona comprensione delle caratteristiche dei ragazzi che sono a rischio di diventare autori di reati gravi Tuttavia, la maggior parte della ricerca sul antisocialità persistente si è troppo concentrata sui rischi, e i deficit, e le tendenze negative del comportamento ed ha rivolto poca attenzione ai possibili processi di astensione o desistenza rispetto al comportamento antisociale e delinquenziale. Tuttavia sono da apprezzare i numerosi interventi preventivi messi in atto in seguito alle scoperte fatte, che mostrano comunque un’azione che va oltre il trattamento terapeutico e si spingi fino all’azione preventiva e promozionale. Sono state avanzate diverse critiche anche all’intero paradigma delle carriere criminali. Lo studio delle carriere criminali necessita di un focus longitudinale, al fine di studiare il pattern dell’attività criminale sia tra individui che nell’individuo. Una delle critiche avanzate al paradigma è quella relativa al concetto di causalità, in quanto la metodologia longitudinale tende molto ad una visione correlazionale, quasi automatica, della situazione e delle previsioni del futuro. Inoltre, se il livello di criminalità diminuisce con l’età per ogni individuo coinvolto, così come viene spiegato dal paradigma, allora una politica di interdizione legale risulterebbe un pò priva di senso. La robustezza e la validità di molte ricerche fattore di rischio è stato recentemente oggetto di critiche sostenute per: - Riduzionismo verso un fuocus prettamente psicosociale che trascurerebbe le potenziali influenze provenienti dal contesto socio-strutturale e politico; - Una tendenza al determinismo - ad esempio i giovani vengono viste come vittime passive di esperienze di rischio, senza capacità di costruire, negoziare o resistere al rischio; viene quindi poco menzionato l’argomento della resilienza. Inoltre, in riferimento agli studi longitudinali, sono stati individuati alcuni limiti legati a questo tipo di ricerca: - Il lungo periodo di tempo che richiede una ricerca del genere - La difficoltà nel trovare le cause e i processi sottostanti - Il problema della reperibilità dei partecipanti e della riduzione del numero del campione per motivi accidentali nel corso del periodo di ricerca - Difficoltà di finanziamento - Difficoltà nel testare gli effetti - Dover monitorare gli effetti relativi all’età del campione, al periodo, alla color esaminata - Non poter trascurare le trasformazioni del clima politico, sociale e culturale; i cambiamenti nelle teorie, nei metodi e negli strumenti empirici.23 Conclusioni personali Lo studio di questa teoria e di questo paradigma sulla delinquenza giovanile ed adulta è stato prima di tutto utile per capire che non solo entrano in gioco fattori sociali nella costruzione di un comportamento criminale ma esistono in qualche modo elementi biologici e patologici che possono influire in grande misura sulla messa in atto di determinate azioni devianti. È un aspetto che a volte tendo personalmente ad accantonare mentre invece sono elementi necessari da considerare in quanto, come dice Farrington, “I comportamenti non sono solo culturalmente e socialmente determinati, ma sono anche biologicamente e geneticamente controllati”, e questa è stata un’affermazione che mi ha guidata molto nella riflessione e che condivido. In alcuni tratti però, come è stato detto anche da altri autori che lavorano nel campo, il modo di vedere il crimine, la persona e i fattori di rischio, a volte era un po’ riduttiva, una visione troppo lineare in quanto non è detto che sia così matematico risolvere la situazione difficile, il fattori di rischio, con il fattore protettivo opposto. Dall’altro lato, è stato molto interessante vedere come sia vivo l’interesse, da parte anche della psicologia, di intervenire in maniera preventiva, in qualche modo accentuando l’attenzione soprattutto per quegli interventi di prevenzione primaria sia specifica che aspecifica (quindi ad ampio raggio) e in questo ho potuto riscontrare una sottointesa intenzionalità educativa e un forte interesse nei riguardi della salute mentale e del benessere comunitario, un attenzione al portare la situazione delle persone e dei contesti di vita verso una maggiore qualità di vita. In qualche modo ho ritrovato molte affermazioni comuni alla psicologia di comunità e ai principi della teoria generale dei sistemi e quindi anche della psicologia sistemico-relazionale. 23 Georgia ZARA, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005, 135-141. Posso quindi concludere dicendo che, nonostante abbia scelto un autore che porta avanti una visione molto psicologica della devianza, è stato utile riscontrare come alla fine, oggi, ci sia comunque una visione di fondo condivisa ossia: che le persone, nonostante abbiano situazioni vitali gravi e multi problematiche, hanno la possibilità di cambiare se vengono sostenute da interventi attenti ai bisogni specifici dei singoli. BIBLIOGRAFIA American Psychiatric Association. DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, 2000. BANDINI Tullio – Umberto GATTI, Criminologia. Il contributo della ricerca alla conoscenza del crimine e della reazione sociale, Vol 2., Milano, Giuffrè, 2004 DE LEO Gaetano – Patrizia PATRIZI, La spiegazione del crimine: un approccio psicosociale alla criminalità, Bologna, Il Mulino, 1999. FARRINGTON David P., Childhood risk factors and Risk-focussed prevention, Institute of Criminology University of Cambridge, August 1, 2006. FARRINGTON David P., Crime causation: Psychological theories. In Dressler, J. (Ed.-in-Chief) Encyclopedia of Crime and Justice. New York: Macmillan Reference, 2002. FARRINGTON David P. – Jeremy W. Coid, Early prevention of adult antisocial behavior, Cambridge, CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, 2003. FARRINGTON David P., The importance of child and adolescent psychopathy. J. Abn. Child Psychol, 2005. LOEBER Rolf , David P. FARRINGTON, Serious & violent juvenile offenders: risk factors and successful interventions, Thousand Oaks, California, Sage Pubn Inc, 1998. U.S. Department of Justice, Serious and violent Juvenile Offenders. Juvenile Justice Bulletin, Maggio 1998. WILLIAMS III Frank P. – Marilyn D. MCSHANE, Devianza e criminalità, Bologna, Il Mulino, 2009 ZARA Georgia, Le carriere criminali, Milano, Giuffrè, 2005. SITOGRAFIA http://www.criminology.fsu.edu/crimtheory/farrington.htm https://www.ncjrs.gov