Chi è l`ostetrica oggi? - Collegio Interprovinciale delle Ostetriche

CHI È L’OSTETRICA OGGI?
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MOTIVAZIONI, ASPIRAZIONI E REALIZZAZIONE
PROFESSIONALE DELLE OSTETRICHE
Tania Confortola, Sabina Pastura, Daniela Calistri
Riassunto
La figura dell’ostetrica ha rappresentato per anni, un punto di riferimento fondamentale per la
donna, per la famiglia e per l’intera comunità.
Quello che si può constatare oggi è che questa professionista ha perso una parte di prestigio e
visibilità a causa di diversi fattori sociali e culturali.
Questo elaborato ha lo scopo di indagare il profilo dell’ostetrica di oggi, di ricercare quali sono le
motivazioni che spingono a scegliere questo percorso, le aspirazioni delle professioniste e la loro
realizzazione professionale.
A tal proposito, ho realizzato 45 interviste semi-strutturate alle studentesse ostetriche del Corso di
Laurea di Milano e alle professioniste che lavorano in differenti ambienti: presso la Fondazione
IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, presso l’Azienda Ospedaliera
Valtellina Valchiavenna – Presidio di Sondrio, i consultori del territorio milanese e le ostetriche che
lavorano in regime di libera professione presso lo Studio Associato la Lunanuova di Milano.
In base alle risposte ottenute, ho cercato di trovare delle differenze e delle somiglianze tra i vari
luoghi di lavoro e per ognuno di essi evidenziare quali sono i vantaggi e gli svantaggi.
Secondo il mio parere, è necessario proporre un cambiamento sia da parte della classe ostetrica, sia
da parte delle istituzioni e del pensiero sociale, per riconquistare il rispetto, la stima e la
considerazione che aveva in passato la figura dell’ostetrica.
“Non preoccuparti se sentirai parlare male delle ostetriche
e per questo non cessare di cercare la perfezione,
che è incomprensibile per coloro che non la conoscono;
e non stupirti se incontri delle cattive ostetriche,
perché ciò non diminuirà né il sapere né l’onore
di quelle che portano degnamente questo nome.”
Louise Bourgeois 1626
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Argomento e scopo della tesi
L’argomento principale di questo elaborato è lo studio della figura dell’ostetrica al giorno d’oggi, in
quanto ritengo essere un soggetto interessante da analizzare soprattutto per approfondire
maggiormente quello che sarà il panorama lavorativo che mi circonderà negli anni a venire e per
analizzare l’identità di questa professionista.
L’obiettivo che mi ero prefissata di raggiungere all’inizio di questa tesi era quello di voler indagare
la realtà che mi circondava per quanto riguarda la figura professionale dell’ostetrica, mossa dalla
curiosità e dal bisogno di conoscere il mondo reale nel quale mi troverò inserita, dopo essermi
laureata.
Indagare le motivazioni che portano o hanno portato a scegliere questo tipo di lavoro, le principali
aspirazioni, gli obiettivi e i desideri più profondi, non sempre è semplice, ma altrettanto interessante
e stimolante per cercare ogni giorno di fare al meglio quello in cui si crede.
A tale scopo, ho ritenuto necessario dover effettuare un excursus storico sull’evoluzione della figura
dell’ostetrica, per comprendere come sia mutata nel corso del tempo. Partendo dall’antico Egitto
fino ad arrivare all’era moderna, momento in cui si è delineata una nuova figura professionale, con
la recente collocazione in una specifica classe di area sanitaria per questa professione.
Nell’ambito della mia ricerca, che fondamentalmente si è basata su interviste effettuate a diversi
gruppi di ostetriche, credo che ci siano state delle domande, che possono essere state percepite
come fastidiose o complicate per le colleghe ostetriche, dal momento che queste miravano ad
indagare i vissuti personali, le scelte e le modalità assistenziali; spero altresì che possano aver
stimolato in loro la voglia di riflettere riguardo a comportamenti compiuti quotidianamente e a cui
spesso non viene data la giusta attenzione.
Nel testo ho toccato anche l’aspetto legislativo che regola e definisce questa professione, soprattutto
per capire se e come questi principi vengono concretamente attuati nei diversi ambiti professionali.
Metodi utilizzati
Per effettuare la mia indagine, ho ideato domande differenti per la categoria delle studentesse e
delle professioniste ostetriche; ho fatto delle interviste anonime registrate, successivamente
sbobinate e trascritte, dividendo il campione in tre grosse categorie in base alla loro esperienza
lavorativa:
 Studentesse del secondo e terzo anno di formazione del Corso di Laurea in Ostetricia
dell’Università degli Studi di Milano
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 Ostetriche laureate e occupate da meno di dieci anni
 Ostetriche laureate/diplomate e occupate da oltre dieci anni.
Un’ulteriore classificazione è stata attuata in base all’ambito lavorativo delle ostetriche:
1) Ostetriche che attualmente lavorano in una struttura pubblica
a) Presso la Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
b) Presso l’Azienda Ospedaliera Valtellina Valchiavenna
2) Ostetriche che attualmente lavorano sul territorio milanese
3) Ostetriche che attualmente lavorano come libere professione presso lo Studio Associato la
Lunanuova di Milano.
Descrizione delle interviste
Per svolgere questa tesi e per comprendere al meglio ciò che le ostetriche pensano, vivono e
sentono, ho deciso di effettuare delle interviste registrate con un numero di domande
precedentemente preparate.
Al termine del mio lavoro sono riuscita a raccogliere un totale di 45 interviste così suddivise:
11 interviste alle studentesse in formazione del secondo e terzo anno della facoltà di
Ostetricia dell’Università degli studi di Milano.
20 interviste alle ostetriche nella realtà milanese tra cui:
13 interviste alle ostetriche della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore
Policlinico di Milano1, del reparto di sala parto e patologia della gravidanza.
7 interviste alle ostetriche dell’ambito consultoriale del territorio milanese.
11 interviste alle ostetriche del reparto di ostetricia del Presidio Ospedaliero di Sondrio.
3 interviste alla ostetriche che lavorano in libera professione presso lo Studio Associato “La
Lunanuova” di Milano.
Inizierei con una fondamentale distinzione per quanto riguarda le studentesse in formazione e le
professioniste ostetriche, dal momento che ho sviluppato due tipologie di domande differenti per
queste categorie.
Studentesse ostetriche in formazione
L’analisi delle interviste procederà con l’esposizione di alcune domande e di seguito verranno
illustrate le risposte ottenute con un breve commento.
1 Da qui in poi nominata Mangiagalli (n.d.r.)
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1. Quando e perché hai scelto questa facoltà universitaria?
“Da piccolina credo, perché ho sempre voluto fare qualcosa nell’ambito sanitario, poi vedevo le
pance gravide, mi veniva da sorridere e sapevo che c’era qualcosa legato a questo”
“Perché mi sembrava un ambito abbastanza femminile e legato al fatto di essere una donna che
lavora con le donne”
“Ho messo questa scelta anche perché ho pensato che era una cosa che mi poteva piacere anche se
non avevo ben capito cosa fosse”
“La mia è stata un vero e proprio travaglio, però almeno sono certa: ho fatto due anni di medicina,
ma non vedevo la fine delle cose, poi ho lavorato un anno in Inghilterra, facendo la ragazza alla
pari e in questi tre anni ho maturato la scelta”
“La mia vera motivazione l’ho maturata un po’ nel tempo, essendo nata da una gravidanza molto
complicata, mi è venuta la curiosità di scoprire com’era andata e capire come può essere vissuta
sia dalla parte della madre, sia da una persona che accompagna questo evento, cosa che forse a
mia madre è mancata”
“Ho affrontato in quell’anno per la prima volta da vicino la morte di mio nonno e l’ho vissuta un
po’ come impotenza, allora mi sono un po’ chiesta dove potevo ad andare ad intervenire in
qualcosa di bello e allora ho scelto la nascita come momento in antitesi con la morte”
Ciò che si può trarre da queste risposte, riguarda il fatto che la motivazione alla scelta universitaria,
in gran parte derivi dalla sfera personale delle intervistate, con un particolare rimando alle
sensazioni provate durante l’infanzia o a sentimenti di origine lontana e non ben definiti,
riconducibile a una parte più irrazionale ed inconscia.
Alcun persone intervistate ha scelto questo percorso universitario in modo casuale oppure dopo uno
non soddisfacente; un numero minore di loro ha invece deciso in seguito ad un avvenimento
particolare accaduto in famiglia, come ad esempio un lutto.
2. Quando inizierai a lavorare pensi di accettare qualsiasi posto di lavoro ti verrà proposto
oppure vorresti scegliere un luogo di lavoro più vicino ai tuoi desideri? Il desiderio può
essere di stare più vicino a casa o riguarda la pratica ostetrica di un luogo rispetto ad un
altro?
“Se non ho esigenze economiche immediate, aspetto di trovare quello che fa per me. Se potessi
scegliere vorrei un posto vicino a casa, dove si lavora nel modo in cui io credo, quindi se posso
aspetto e cerco quello che mi interessa di più”
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“Non sono disposta ad andare in capo al mondo, quindi logisticamente sceglierei un posto vicino
alla mia città e poi sicuramente prenderei quello che arriva, ma non fuori Milano”
“Vorrei scegliere un posto che mi vada bene, più vicino alla mia filosofia; al primo posto
sicuramente metto il condividere gli obiettivi dell’assistenza e all’ultimo posto le questioni
logistiche”
“Probabilmente all’inizio se è difficoltoso trovare lavoro, accetterei qualsiasi proposta mi venga
fatta, poi inizierei ad essere più selettiva, più vicino al mio pensiero di ostetrica però”
Le risposte a questa domanda favoriscono la scelta della pratica ostetrica e della modalità di
assistenza preferita, pur essendoci una buona percentuale che sceglierebbe un ambiente di lavoro
più vicino a casa per comodità.
3. Quando pensi ti potrai sentire pienamente realizzata come ostetrica? Perché? C’è un
obiettivo che consideri irrinunciabile per far bene il tuo lavoro?
“Quando vedo la donna che sta bene, è appagata, che ha raggiunto il suo obiettivo, come se lo
aspettava, che comunque è soddisfatta, allora sono soddisfatta anche io perché sono riuscita a fare
quello che dovevo”
“Una cosa a cui aspiro è quella di riuscire a seguire una donna davvero tutta la gravidanza e al
momento del parto, la continuità; perché secondo me è quello che può fare davvero la differenza
nell’assistenza”
“Sicuramente quando mi sentirò in grado di poter assistere al parto, ma soprattutto avere una
continuità tra il conoscere la donna in gravidanza e accompagnarla al parto e in puerperio. Quindi
una mia autonomia decisionale, emozionale, personale”
“Sono sicura che non vorrei cambiare gli stessi ideali che mi portano avanti adesso, spero di
mantenerli, di rafforzarli anzi”
“Il mio obiettivo sarebbe di personalizzare l’assistenza, cioè una volta che l’ostetrica riuscirà a
trattare ogni donna nel modo più giusto per quella donna, il modo che quella donna si aspetta, che
ha bisogno, sarà la scelta più azzeccata, cogliendo i bisogni che ogni donna ha”
Secondo le studentesse di ostetricia, la soddisfazione deriva dal fatto di vedere realizzata e contenta
la donna, cercando di personalizzare l’assistenza per ogni partoriente, in modo da soddisfare i
bisogni e i desideri di ognuna di esse.
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Per alcune il grado di soddisfazione deriva anche da una piena autonomia nella gestione dell’intero
percorso gravidanza-nascita, avendo così la possibilità di mettere in pratica la continuità
assistenziale da parte dell’ostetrica.
È sorprendente notare che la quasi totalità delle ragazze, considera importante la continuità di
assistenza e la centralità della donna, e in ugual modo l’autonomia e il senso di realizzazione
personale per sentirsi pienamente soddisfatte come professioniste.
Questi sono obiettivi molto interessanti che mi sento di condividere appieno.
4. C’è un obiettivo che senti di avere in comune con le donne che assisti o con il bambino
che nasce o con la coppia dei futuri genitori?
“Secondo me l’obiettivo comune è che quel parto vada bene, a buon fine, e magari che si crei
anche un rapporto positivo, che faccia intendere l’evento nascita come un evento positivo”
“Che vada tutto nel migliore dei modi, con un parto più vicino possibile a quello che la donna si
aspetta, fare il tutto possibile affinché la mamma abbia un buon vissuto del suo parto, il papà
anche della nascita del suo bambino e che il bambino stia bene”
“Che siano sereni, che attraverso la nascita siano sereni, per un dopo più sereno. Se in quel
momento sono sereni e tu sei riuscita a farli stare bene, sicuramente hanno più probabilità di essere
più sereni anche dopo, perché comunque costruiscono una famiglia ed è importante che sia serena
sin dal principio, anche perché è una scelta unica nella vita e importante”
Un obiettivo comune alla maggior parte delle studentesse è quello di far in modo che la donna abbia
un buon vissuto, a posteriori, del suo parto e della nascita, per creare un senso di realizzazione e di
completo benessere nella nuova mamma e nella famiglia che si è appena creata.
Per alcune, un ulteriore scopo da raggiungere è rappresentato dal fatto che la nascita sia affrontata
con serenità per costituire un buon presupposto per il futuro con il bambino.
Professioniste ostetriche
L’analisi delle interviste procederà con l’esposizione di alcune domande e l’illustrazione, a volte
tramite grafici, delle risposte ottenute con un breve commento.
1. Perché ha scelto questo tipo di lavoro?
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“Quando ho finito il liceo ero in dubbio su cosa fare e mi è capitato di parlare con ostetrica e cosi
abbiamo detto “dai, prova a fare l’ostetrica” e così ho fatto e non avrei mai pensato prima, ma in
quel momento l’ho fatto, un po’ casuale dire”
“Lo sapevo già a 10 anni, premetto che ho una zia che faceva l’ostetrica, una zia che ha solo 4
anni più di me, quindi era come una sorella si può dire, e io avevo proprio in mente questo”
“L’ho scelto perché, caso strano, mentre facevo la scuola di infermiera, ho fatto il tirocinio in
ostetricia e mi hanno affidato con i turni ad un’ostetrica e caso voleva che era l’ostetrica con cui
sono nata io e allora è nata un po’ questa passione”
“Perché facendo la scuola di infermiere professionale, ho fatto tirocinio in ostetricia e mi è
piaciuto tantissimo e ho capito che l’ostetrica era il mio lavoro; quello che mi aveva colpito di più
era il fatto che le donne mi sembravano così deboli e io volevo aiutarle ad essere più forti, secondo
me l’ostetrica poteva aiutare a far acquisire loro dell’autonomia e una maggiore conoscenza di
sé.”
“Io vengo da una famiglia con 7 fratelli, siamo nati tutti in casa e io ho visto nascere la mia
sorellina a 14 anni e ho pensato che fosse il lavoro più bello del mondo.”
La scelta della professione è legata in buona parte alla casualità oppure in base ai consigli e racconti
di parenti e conoscenti.
Un evento particolare che si riscontra tra gli intervistati è dovuto al fatto di avere frequentato,
durante il corso di Infermieristica Professionale previsto prima di quello Ostetrico, il tirocinio
presso il reparto di ostetricia che ha permesso l’avvicinamento a questa passione.
2. Ci sono degli aspetti che vorrebbe cambiare in futuro sul piano lavorativo?
“I cambiamenti se sono buon,i validi e ben accettati, ben venga, però io direi che ci dovrebbe
essere più un cambiamento di atteggiamento, si dovrebbe imparare ad ascoltare di più e a trovare
l’umiltà della professione che si sta perdendo. L’errore che noi dobbiamo non fare è quello di voler
diventare dei piccoli medici ostetrici, ma dobbiamo essere ostetriche, perché è un qualcosa di più
del medico, è una mamma che può essere severa, buona, dolce, può essere gratificante, che può
stringerti la mano, che sappia darti la comprensione ma anche la sicurezza di quello che sta
facendo; sempre migliorare e riuscire a fare sempre bene il proprio lavoro”.
“Per esempio noi non abbiamo un ambulatorio della gravidanza fisiologica, se ne parla, stiamo
cercando di far partire questo progetto, oppure altri ambulatori per il perineo, lo spazio
adolescenti, lo spazio mamme, anche se non mi piacerebbe fare solo l’ostetrica per quella
determinata cosa, mi piacerebbe però saperne di più su queste cose, però numericamente non ci
siamo.”
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“Vorrei che l’ostetrica avesse più autonomia, che fosse riconosciuta la professionalità
dell’ostetrica che ora non è molto riconosciuta, ancora non siamo riconosciute, anche se ho notato
che da quando c’è il corso di laurea, questa cosa è un po’ migliorata, sicuramente.”
“Se riuscissimo a perdere meno tempo in chiacchiere e fare effettivamente gruppo, credo che le
cose potrebbero cambiare tanto, senza irrigidirsi ognuno sul proprio terreno, credo che la
situazione cambierebbe tanto; invece non riusciamo a fare gruppo, perciò non abbiamo nessun tipo
di visibilità.”
“Per una persona che decide di svolgere questo lavoro penso debba essere un esperienza
irrinunciabile poter provare come osservatrice un esperienza di domiciliarità, durante il tirocinio.
Nel mio sogno ci sarebbe che tutte le ostetriche durante la loro vita professionale turnino e ruotino
su tutti quelli che sono gli ambiti offerti dall’ospedale e non.”
“Io farei ad esempio, la scuola di ostetricia di 5 anni, nella quale metterei il master e la ricerca,
perché diventerebbe una formazione più completa.”
“Mi piacerebbe lasciare a qualcuno le conoscenze che ho, mi dispiace molto che tutto il patrimonio
culturale che mi sono fatta in questi anni, ad un certo punto, quando sarà il momento di andare in
pensione, mi dispiace in qualche modo non poterlo trasmettere e lasciare, questa è la cosa che mi
dispiace di più”
“Sarebbe bello l’assistenza one-to-one con la continuità anche nei tre giorni del parto e sarebbe da
riorganizzare completamente tra ostetriche ospedaliere e territoriali e andrebbe adottato un
sistema come quello inglese credo, si può fare, basta volerlo, anche se non è facile, e poi
sicuramente è la cosa migliore per tutti, e ci sono le evidenze perché nella continuità il rischio è
minore, anche se è difficile da attuare, anche se non ci stiamo nemmeno provando, io sarei
disponibile, organizzate bene, ma non basto solo io.”
“Mi piacerebbe che l’ostetrica tornasse ad avere il rispetto che aveva una volta, le competenze che
aveva una volta, la considerazione, ma soprattutto il rispetto perché non c’è più rispetto per la
nostra professione. Le donne non sanno nemmeno che noi assistiamo i parti, per loro le assiste il
medico. È una cosa davvero triste, perché veniamo sminuite, non c’è più rispetto e riconoscimento
per la nostra professione.”
Un numero considerevole di intervistate, sostiene che la figura dell’ostetrica oggi, ha perso la
visibilità, il rispetto, l’umiltà e la considerazione che aveva guadagnato negli anni precedenti; le
donne italiane non sono a conoscenza del fatto che l’ostetrica possa seguire la gravidanza e il parto
e allo stesso modo, occuparsi di altri aspetti della vita di una persona.
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Qualcuna di loro vorrebbe acquisire più autonomia e continuità d’assistenza e per fare ciò, propone
una maggiore alleanza nella categoria delle professioniste, che a loro dire, oggi non è presente.
3. È soddisfatto delle scelte che ha fatto? Perché?
“Si, le rifarei tutte perché comunque mi sento fortunata perché ho fatto tante esperienze, ho girato
anche quasi tutti i reparti, quindi rifarei tutto uguale”
“Si, direi di si, perché mi hanno portato ad essere quella che sono e mi riconosco delle cose
positive, anche nella assistenza con la donna.”
“Si, perché nel frattempo mi sono innamorata del mio lavoro, coinvolta non solo materialmente,
economicamente ed emotivamente ma soprattutto profondamente convinta.”
“Si, perché penso che sia un lavoro che ti dà molte soddisfazioni dal punto di vista personale ed
emozionale.”
“Si, tantissimo, ogni giorno della mia vita mi emoziono e perché ho imparato nuove cose, il
cambiamento è sempre stimolante.”
L’intero campione intervistato ha risposto in modo affermativo a questa domanda, riportando
motivazioni legate alla bellezza del proprio lavoro, alla gratitudine derivata delle esperienze
compiute negli anni che hanno permesso di raggiungere gli obiettivi preposti.
Queste affermazioni mi hanno piacevolmente sorpreso e hanno ulteriormente confermato la mia
volontà nel proseguire questo percorso, nonostante potrà riservare delle difficoltà.
Le risposte mi permettono di pensare che nel campione delle ostetriche che ho incontrato, la
soddisfazione per la scelta della propria professione è completa, forte e costante, nonostante in
alcune di esse si riscontra però un grado di insoddisfazione legato soprattutto alla struttura in cui si
trovano oppure al personale con cui lavorano, come si può notare nelle domande successive.
4. È soddisfatto di lavorare in questa struttura? Perché?
5. Si trova bene con i suoi colleghi e con i medici? Perché?
Ho ritenuto necessario raggruppare le due domande, perché secondo me esprimono concetti
strettamente correlati tra loro ma di distinguere la soddisfazione riguardo al proprio ambito di
lavoro, accompagnato dalle motivazioni espresse dal campione intervistato.
“Si, siamo un gruppo molto omogeneo di ostetriche e con i medici anche c’è un buon rapporto,
anche se ci sono delle differenze comunque.”
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“Si, anche se comunque per trovarsi bene significa confrontarsi spesso, è comunque un bel gruppo
perché ci sono quelle che hanno l’esperienza e quindi c’è un confronto, perché credo che il nostro
lavoro sia fatto anche di confronti e di crescita.”
Presso il presidio ospedaliero di Sondrio la maggior parte delle ostetriche riferisce una buona
soddisfazione legata all’affiatamento esistente nel gruppo di lavoro e al buon clima presente nella
struttura, dove è possibile avere un confronto costruttivo tra medici ed ostetriche e un reciproco
rispetto. L’unica persona che ha risposto in modo contrario alle precedenti è legato a questioni
caratteriali personali.
“Non sono assolutamente felice di lavorare in questa struttura, però sento che adesso le cose
stanno cambiando e penso che questa è l’occasione per portare dei cambiamenti, certo non da sola
ma assieme alle colleghe. Se però mi guardo indietro, ci sono stati tanti cambiamenti, per quanto
riguarda ad esempio l’allattamento e anche la relazione con il bambino e sono contenta perché ho
contribuito a questo anche io.
Mi piacerebbe che ci fosse meno competizione e più sostegno, un gruppo compatto perché se
vogliamo cambiare le cose, dobbiamo essere così, non deve esserci competizione, ci deve essere il
confronto ma in modo costruttivo”
“A volte si a volte no, no perché comunque non fai il lavoro di ostetrica ma fai l’ operaia come una
macchina. Non assisti una donna, assisti veramente solo il perineo a volte e basta, però è anche
bello perché l’ esperienza che fai qui non la fai da nessun altra parte del mondo.”
“Si, si sono soddisfatta anche se in certi momenti sono un po’ sconfortata perché non si riesce a
garantire il massimo dell’assistenza alle donne, però se uno si impegna può farcela, può riuscirci.”
“Si, anche se lavoriamo tanto, però io penso che un’esperienza come quella in Mangiagalli, non si
fa in altri ospedali, sicuramente.”
“Non sono soddisfatta di lavorare in questa struttura, diciamo che a volte sono soddisfatta di
riuscire a sopravvivere in questa struttura, ma soddisfatta no, (…) ci sono colleghe che si
intromettono nell’operato dell’altro anche se non hanno alcun diritto per farlo, a volte non
rispettano il tipo di assistenza che si sceglie, a volte invece si sentono i commenti fatti dopo, lo vedo
sulle mie colleghe quindi credo che lo facciano anche con me, però sono pochi casi, non sono tante
persone che fanno così.”
La soddisfazione delle ostetriche che lavorano nella Clinica Mangiagalli, non è omogenea; esistono
persone che sottolineano come questa struttura dia la possibilità di crescita personale e
professionale, per la presenza di un grande numero di casi che si possono incontrare.
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Ed esiste una parte delle intervistate che afferma che la struttura è limitante per le ostetriche e
condiziona l’operato delle colleghe. Vengono citati anche dei possibili cambiamenti, attuabili
soltanto con la partecipazione di un gruppo coeso, forte e combattivo, qualità che a mio parere, oggi
manca.
“Si, sono anche molto soddisfatta di lavorare qui, moltissimo perché mi piace proprio quello che
faccio.”
“Sono soddisfatta di lavorare in questa struttura, con un’autonomia piena che a volte mi devo
anche fermare, per non sconfinare in quello che mi appartiene”
“Si, molto, in generale sono molto soddisfatta di questa struttura, perché la nostra è un’equipe
storica, siamo cresciuti assieme e ci conosciamo con i nostri limiti, ci rispettiamo e c’è una buona
relazione tra di noi, quindi si sono soddisfatta. Mi trovo bene e poi cerchiamo sempre di
comunicare su quello che non va bene.”
Per quanto riguarda le libere professioniste intervistate sul territorio milanese, il loro grado di
soddisfazione deriva pienamente dal fatto di avere una buona relazione con i colleghi, con i quali è
possibile un confronto costruttivo e uno scambio proficuo di idee.
“Si sono contenta di essere in questo team, che non ha avuto sempre momenti facili, per problemi
caratteriali e perché comunque è un lavoro faticoso, però siamo in un momento di espansione
perché ci sono colleghe giovani che portano novità e vogliamo farci contagiare da questo. Il lavoro
di gruppo permette la ricerca per l’ostetricia ed è un confronto.”
“La struttura qui è molto interessante, dà la possibilità di ampliare la gamma delle possibilità
professionale lavorative, da quando sono qui mi si è invece aperto tutto questo panorama
vastissimo di quello che l’ostetrica ha la possibilità di fare su tutto il percorso non soltanto della
gravidanza, ma anche della vita familiare, questa esperienza lavorativa dà la possibilità di
diventare più complete, di esplorare più campi e acquisire altre capacità ed esperienze più a largo
raggio.”
“Si, anche di lavorare qua, perché la Lunanuova è una realtà storica che insegna tanto a tutti i
livelli, ha un buonissimo gruppo di lavoro, c’è tanto confronto, più fortunata di così penso che non
sia possibile.”
Le ostetriche che esercitano in libera professione si dichiarano soddisfatte del gruppo di lavoro in
cui sono inserite e della possibilità che questa variante, permette loro di arricchirsi sotto diversi
aspetti professionale, ampliando il bagaglio di conoscenze e di esperienza.
Discussione dei risultati e proposte per il futuro.
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Dopo aver ampliamente illustrato le interviste effettuate, ritengo opportuno analizzare i risultati
ottenuti e cercare delle somiglianze o delle differenze tra le diverse categorie esaminate.
All’inizio di questo elaborato, mi ero posta come obiettivo quello di voler indagare la figura
dell’ostetrica nella realtà odierna, per conoscerne in primo luogo le motivazioni alla scelta della
professione, le aspirazioni a cui tendono le ostetriche e la loro realizzazione professionale.
Motivazioni
Se dovessi brevemente riassumere quello che è emerso dal’indagine, direi che sia per le studentesse
che per le professioniste, la motivazione alla scelta del percorso ostetrico deriva in buona parte da
immagini e sensazioni primitive che richiamano il periodo dell’infanzia oppure da qualcosa di meno
specifico, di difficile interpretazione che riguarda aspetti emotivi e inconsci.
In altri casi la decisione è stata presa dopo un percorso formativo particolare oppure in seguito a
degli avvenimenti, prevalentemente negativi, accaduti in famiglia.
Aspirazioni
I desideri dichiarati dalle studentesse sono quelli di vedersi a breve termine occupate in una realtà
che le rispecchia dal punto di vista della qualità dell’assistenza, soddisfatte del loro operato e
possibilmente nelle vicinanze della propria famiglia.
Le professioniste, in base al loro ambito di lavoro, vorrebbero vedere ampliati maggiormente i
servizi per l’utenza, quali ambulatori per la gravidanza fisiologica o per il puerperio.
Allo stesso modo vorrebbero che fosse data maggiore autonomia e riconoscimento alla figura
dell’ostetrica, soprattutto da parte del Servizio Sanitario Nazionale, e anche da parte delle donne
italiane, che, secondo il loro parere, non sono a conoscenza del campo d’azione di questa figura
professionale.
Realizzazione professionale
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Le ostetriche in formazione affermano che si potranno sentire pienamente realizzate quando,
vedranno attuata la continuità e la personalizzazione dell’assistenza alla donna e la piena autonomia
dell’ostetrica.
Le professioniste, si ritengono soddisfatte del percorso effettuato fino a questo momento, della
scelta e del lavoro svolto, anche se per alcune di esse, non vi è una piena realizzazione professionale
a causa dell’ambiente in cui si trovano o dei colleghi con cui lavorano.
Nutrire interesse per il proprio mestiere è un aspetto fondamentale perché se non si è interessate,
non c’è curiosità e passione per quello che si fa, è difficile mettersi nell’ottica di poter assistere ogni
donna secondo le sue esigenze e le sue volontà. Non viene infatti considerata importante la
continuità nell’assistenza e nemmeno quello che la donna ci propone come sua idea del parto,
magari attraverso un piano del parto.
Essere curiose, avere interesse per la donna che abbiamo di fronte, volersi sperimentare credo che
siano le qualità necessarie per un ostetrica che voglia far bene il suo lavoro.
Proposte per il futuro
Autonomia dell’ostetrica
Ho notato che buona parte delle ostetriche e delle studentesse intervistate, ha fatto riferimento
all’autonomia della loro figura, sottolineando il fatto che in determinate strutture, questa non venga
rispettata o non attuata pienamente come dovrebbe essere.
Alcune ostetriche credono che questa mancanza sia da attribuire in parte alla società moderna, nella
passaggio di informazioni tra l’assistenza alla gravidanza e quella al parto e puerperio.2
Ritengo questa innovazione molto importante, in quanto stimola la donna ad essere seguita, nel
percorso della gravidanza e parto, oltre che dal medico anche solo dall’ostetrica presso i consultori
o gli ambulatori pubblici, superando anche l’ostacolo legislativo del ricettario medico. Inoltre
permette un incentivo maggiore per le professioniste che si possono occupare in modo esclusivo di
ciò che rappresenta la fisiologia e la salute.
Sarebbe auspicabile che questa iniziativa venisse applicata a tutto il territorio nazionale, in modo
quale la nostra figura non è nè conosciuta né riconosciuta e considerata dagli organi competenti, ma
nemmeno dalle principali fruenti dell’assistenza, ovvero le donne.
2 www.regione.piemonte.it
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Se dovessimo proporre un cambiamento per il futuro, ritengo molto valida l’iniziativa che ha
effettuato la Regione Piemonte con la distribuzione dell’Agenda di Gravidanza, uno strumento nato,
da un lato per stimolare le donne e le coppie verso scelte consapevoli rispetto al percorso nascita,
offrendo l’opportunità di utilizzare uno mezzo informativo completo e dall’altro per agevolare gli
operatori dei servizi nella presa in carico delle gestanti.
Le donne in gravidanza ricevono gratuitamente questa agenda, nella quale possono trovare
informazioni utili per la gravidanza, il parto, il puerperio, gli stili di vita consigliati, le azioni di
protezione e prevenzione e i diritti legati alla maternità e alla paternità. Inoltre, l’Agenda contiene le
14 impegnative mutualistiche per gli esami base, tutte esenti ticket e già firmate che potranno essere
utilizzate
esclusivamente
presso
i
laboratori
e
gli
ambulatori
pubblici.
Infine, alcune parti saranno a disposizione degli operatori per la registrazione dei dati clinici e il tale
da rendere visibile il campo d’azione dell’ostetrica da parte di tutte le donne.Inoltre, siccome
l’ostetrica è la professionista deputata all’assistenza della gravidanza, un altro fondamentale
cambiamento sarebbe rappresentato dall’istituzione del ricettario ostetrico. Infatti, gli indispensabili
esami di controllo della salute materna, possono attualmente essere prescritti esclusivamente dal
medico. In alcuni casi manca inoltre la collaborazione con i medici di famiglia che non riconoscono
l’autonomia dell’ostetrica rifiutando di prescrivere farmaci e/o esami da lei consigliati.
Nel Nord Europa, già da decenni le ostetriche collaborano con i medici di base per seguire le donne
gravide, in modo da garantire la continuità assistenziale e riconoscere l’autonomia della
professionista; non esistono quindi, impedimenti alla possibilità di prescrivere esami da parte
dell’ostetrica, in quanto questo migliorerebbe la qualità dell’assistenza, lo stato di salute delle
famiglie e promuoverebbe la professionalità di tutti sanitari coinvolti.
Continuità d’assistenza
Una buona parte delle intervistate sostiene che la continuità di assistenza alla donna durante tutto
l’arco della sua esistenza, e in modo particolare durante la gravidanza che rappresenta un momento
importante della sua vita, sia un aspetto fondamentale per la propria professione.
A livello teorico, il sistema odierno permette la continuità d’assistenza in quanto attribuisce
all’ostetrica, tutte le competenze necessarie per stare accanto e sostenere una donna sin dall’infanzia
fino alla menopausa.
Purtroppo, a livello pratico, esiste una suddivisione di competenze tra la struttura pubblica
ospedaliera e quella territoriale. Soltanto praticando la libera professione sarebbe possibile
concepire una continuità assoluta anche a livello pratico, pur avendo delle difficoltà.
Per realizzare la continuità dell'assistenza nelle strutture pubbliche, occorrerebbe organizzare le
ostetriche in team con reperibilità, affidare loro un certo numero di donne (circa 200 per un team di
5- 6 ostetriche) ed erogare tutta l'assistenza completa, dalla gravidanza al parto secondo il luogo di
scelta della donna e durante il puerperio e l'esogestazione.
Le modalità con cui si può svolgere questo tipo di percorso possono essere diverse:
14
•
l'ostetrica che conduce il colloquio iniziale può seguire la donna in gravidanza, durante il
parto e dopo, quindi la relazione è una ad una, la persona è sempre la stessa;
•
altra modalità potrebbe essere rappresentata da un team di 5 o 6 ostetriche che lavora con la
stessa modalità e che la donna conoscerà gradualmente;
•
un altro modo ancora per ottenere una continuità del percorso assistenziale, rappresentata da
una serie di servizi istituzionali coordinati tra consultorio e ospedale che fa si che la donna
venga seguita prima e dopo il parto da un gruppo di operatori più o meno omogenei, nella
loro modalità assistenziale, ma informati su tutto il percorso, per esempio attraverso una
cartella clinica comune.
Una continuità di assistenza secondo i primi due punti non è prevista dal servizio sanitario
nazionale, se non nel caso delle ostetriche che lavorano in libera professione.
I servizi descritti al terzo punto sono presenti solo in alcuni consultori in forme sperimentali.
La consuetudine in Italia vuole che la gravidanza sia seguita esclusivamente dal ginecologo, spesso
privato, mentre in altre realtà sanitarie estere, quali l’Olanda o l’Inghilterra, si è visto che l'ostetrica
e il medico di famiglia hanno gli strumenti migliori per seguire una gravidanza fisiologica e i mesi
successivi al parto.
La continuità dell'assistenza concretamente ha dato dei risultati che sono stati studiati e valutati
mediante ricerche scientifiche e si è potuto constatare che:
•
Una continuità dell'assistenza fa si che vi siano minor incidenza di patologia ostetrica e
minor ospedalizzazione, in quanto è favorita al massimo la relazione madre-bambino, la
sorveglianza costante e personalizzata da parte di un unico operatore o di un team. Questo
comporta sicuramente un minor dispendio di risorse economiche per la sanità.
•
Una continuità dell'assistenza inoltre garantisce un minor uso di manovre ostetriche, una
riduzione della mortalità e morbilità visto che un'assistenza continuativa comporta per la
donna una riduzione della richiesta ed uso d'anestetici durante il parto e inoltre vi è una
riduzione dei malesseri nel puerperio ed esogestazione.
•
Per quanto riguarda il bambino una continuità dell'assistenza garantisce un peso alla nascita
maggiore, rispetto a neonati seguiti con modalità diverse, bambini quindi più forti e sani e di
conseguenza l'allattamento ne sarà favorito positivamente e perdurerà più a lungo nel tempo
garantendo così una migliore salute futura.
•
Tutto questo va a beneficio della donna che si sente protagonista del suo percorso e del
bambino.
•
Non va dimenticato che questo tipo d'assistenza permette una maggior soddisfazione per
l'operatore garantendo nuovi stimoli nella sua attività lavorativa e per l'ostetrica stessa
significa uscire dalla routine dettata dall'ospedale, dai turni rigidi e da uno schema settoriale
di lavoro, per svolgere una professione di tipo globale, dando una migliore qualità di lavoro
erogato con la piena professionalità e personalizzazione per quella coppia, con un notevole
aumento di soddisfazione.3
3 Lorena Isaia, ostetrica. cfr bibliografia
15
Il cambiamento
Mi sorgono inoltre spontanee alcune domande:
per quale motivo le ostetriche che non si sentono realizzate e soddisfatte, non effettuano un
cambiamento e non ricercano quel qualcosa in più che le faccia sentire meglio?
Perché la categoria delle ostetriche non riesce ad unirsi saldamente, per poter apportare quei
cambiamenti storici e culturali che si intuiscono dalle interviste?
Perché le ostetriche non si vogliono riappropriare di quei campi che si sono lasciate “rubare” da altri
professionisti, quali l’allattamento, il percorso pre-parto, la rieducazione-riabilitazione del perineo e
altri ancora?
Ho cercato di darmi delle risposte, ma credo di non averne ottenuta una completa ed esaustiva.
Le persone e i comportamenti mutano, per quanto lentamente e in maniera impercettibile e le
ostetriche non costituiscono un’eccezione a tale regola. I mutamenti che hanno avuto luogo
nell’ambito dell’ostetricia fin dagli anni ’70 sono stati sorprendenti: fino ad allora l’assistenza alle
donne era di carattere medico e si contraddistingueva durante la gravidanza per il frequente
svolgimento delle visite in cliniche prenatali e durante il travaglio per l’esecuzione di tricotomie e
clisteri di routine, per gli alti tassi di parti indotti, l’applicazione di elettrodi al cuoio capelluto dei
feti e per l’effettuazione di episiotomie.
L’allattamento ad intervalli di quattro ore era la norma, i periodi di allattamento al seno erano
controllati e i neonati allattati al seno ricevevano di frequente un’integrazione alimentare. Il
controllo del peso era una regola comune.
I tempi e le abitudini però sono cambiati, grazie anche alle evidenze scientifiche che non
sostengono l’utilità delle pratiche sopra descritte, come ad esempio la realizzazione delle
raccomandazioni dell’OMS del 19854.
L’assistenza alla gravidanza, al travaglio, al puerperio e ai neonati dovrebbe essere realizzata
esclusivamente dalle ostetriche ponendo maggior enfasi sulla normalità, sull’assistenza individuale
e sulla scelta consapevole. Queste professioniste dovrebbero essere le uniche esperte nell’assistenza
in gravidanza, nel travaglio e nel puerperio fisiologici.
Per attuare un cambiamento nell’ambito dell’ostetricia è necessario acquisire la consapevolezza del
problema ed avere l’esigenza di apportare delle modifiche, dopo di che è possibile agire
direttamente sui comportamenti e integrare le variazioni al modello tradizionale.5
4 Cfr.allegato n°2
5 E. Rosemary Buckley, La qualità nell’assistenza osterica
16
Come nelle altre professioni sanitarie, le ostetriche non svolgono il proprio lavoro soltanto come
singoli individui, bensì anche nell’ambito di un contesto sociale che comprende i loro familiari, i
colleghi e altri professionisti del settore sanitario, nonché in un contesto locale, nazionale e
internazionale.
A questo proposito è utile tenere presente che il cambiamento è condizionato da influenze
individuali, locali ed esterne. Le ostetriche sono persone il cui bagaglio culturale è costituito da un
sistema di convinzioni e valori acquisiti sia all’interno che all’esterno dell’ambiente di lavoro e il
modo in cui esse affronteranno il mutamento dipenderà in certa misura proprio da tali valori.
Per quanto riguarda le influenze individuali, dobbiamo ricordarci che le ostetriche che esercitano la
loro professione da molto tempo, troveranno difficile affrontare un mutamento nella prassi, perchè
si sono abituate ad agire in una determinata maniera e questa modalità di azione potrebbe essere
entrata a far parte del loro sistema di valori.
Vi sono poi dei fattori locali, dovuti al fatto che queste professioniste lavorano in gran parte in un
ospedale o in un equipe e sono influenzate da protocolli, da politiche, da norme locali e anche dalle
persone con cui lavorano e non da meno, la posizione che rappresentano all’interno
dell’organizzazione determina un’influenza differente dalle persone che le circondano.
In ultimo, ma non per questo meno importanti, vi sono delle influenze esterne dettate dalle leggi e
dai regolamenti che definiscono il profilo professionale dell’ostetrica e l’opinione pubblica che non
sempre esercita effetti positivi.
Posso concludere dicendo che l’impulso al cambiamento proviene da diverse direzioni differenti,
ma tale dato, non rende il mutamento inevitabile e sono convinta del fatto che ognuno di noi intende
cambiare in modo differente, ognuno con i propìri tempi.
Inoltre credo sia indispensabile lavorare sulla formazione delle ostetriche e questa dovrebbe
comprendere:
1. Preparazione scientifica efficace ed aggiornata.
2. Formazione globale che tenga conto di tutti gli aspetti della donna: piano fisico, emozionale,
ambientale.
3. Preparazione adeguata sulle modalità di relazione e sulle tecniche di comunicazione,
insegnare la capacità di ascolto, di sostegno, insegnare ad essere capaci di informare
correttamente senza proiezioni e pregiudizi.
4. Modalità di formazione attiva che fornisca motivazione, senso di appartenenza e
coinvolgimento diretto.
Conclusioni
Lo scopo del mio elaborato era quello di rispondere in primo luogo alla domanda “chi è l’ostetrica
oggi?”.
17
Sicuramente è una figura professionale predisposta ad accompagnare la donna nel percorso della
sua vita, in particolar modo durante la maternità, in quanto possiede le competenze necessarie per
sorvegliare la gravidanza, il parto e il puerperio.
Un tempo veniva chiamata levatrice ed era un riferimento molto importante anche dal punto di vista
di guaritrice, di consulente e di confidente, soprattutto per le piccole comunità, perché conosceva
nello specifico ogni famiglia.
L’ostetrica ancora oggi rappresenta la professionista competente per la fisiologia che è in grado di
facilitare l’espressione della salute ma anche di riconoscere quei sintomi che stanno per sfociare
nella patologia. Purtroppo, a causa di eventi sociali storici, quali l’industrializzazione e
l’urbanizzazione, la sua luce si è in parte spenta, tanto che le donne non conoscono e non scelgono
l’ostetrica per l’assistenza in gravidanza, e la nascita subisce così delle modificazioni.
A questo punto è quindi importante ricollocare al suo posto questa figura, riappropriandosi di alcuni
aspetti che si sono persi negli anni e fornire nuovamente importanza, valore e stima all’ostetrica, in
modo che si possa sentire autorizzata a spaziare nell’intero campo d’azione.
È necessario restituire il potenziale della nascita, attraverso un modello di assistenza che si stacchi
dal modello medico e si orienti verso la genesi della salute, attraverso la ridefinizione e
rivalorizzazione di una professione che era stata creata con l’intento di promuovere e praticare
questa modalità d’assistenza.
È fondamentale che l’idea di cambiamento nasca sia da parte delle ostetriche che vogliono
riacquistare le loro competenze, ma anche da parte delle istituzioni, della società moderna e dalle
donne che ritengono doveroso rispolverare la figura dell’ostetrica.
Ostetrica e donna sono private l’una dell’altra e questa separazione contribuisce a medicalizzare la
nascita. Una nuova alleanza tra queste due figure femminili potrebbe produrre una svolta positiva
sia per l’ostetricia, sia per la madre, sia per il bambino e per la nuova famiglia che sta per nascere.
Spero quindi di poter vedere attuati a breve termine queste modifiche che porterebbero di nuovo sul
centro della scena l’ostetrica con le sue abilità e passioni.
Bibliografia
Giovanna Bestetti, Grazia Colombo, Anita Regalia, Mani sul parto, mani nel parto.
Mantenere normale la nascita, Carocci, Roma 2005.
Claudia Pancino, Il bambino e l’acqua sporca. Storia dell’assistenza al paro dalle
mammane alle ostetriche (secoli XVI-XIX), Franco Angeli
Verena Schmid, Salute e nascita. La salutogenesi in gravidanza, Urra, Milano 2007
G. Masellis, M.D. Vezzani, P. Picco, M.C. Galassi, Nascere nel 2000. Umanizzazione della
nascita dall’utopia degli anni ’80 alla realtà 2000, Athena, Modena 1999
Silvia Kanizsa, Che ne pensi? L’intervista nella pratica didattica, Carocci Editore, Roma
2002
18
E. Rosemary Buckley, La qualità nell’assistenza osterica, edizione italiana a cura di Miriam
Guana, McGraw-Hill, Milano 1998
Lorena Isaia, La continuità d’assistenza, pubblicato online su www.lostetricainforma.it
Appunti corso integrato “le professioni per la nascita”
SITOGRAFIA
www.fnco.it
www.aovv.it
www.policlinico.mi.it
www.lostetricainforma.it
www.saperidoc.it
www.unimi.it
www.lalunanuova.it
www.asl.milano.it
www.who.int/en
www.istat.it
www.nice.org.uk
19
CONSENSO ALLA PRESTAZIONE OSTETRICA:
“EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA E RISVOLTI OPERATIVI”
Giulia Bertolli, Riccardo Zoja, Daniela Calistri
Introduzione
Sin dagli inizi del secolo scorso, si è sottolineato come l’atto ostetrico comporti una serie
d’intrusioni nella sfera personale della donna che, sotto il profilo del diritto, potrebbero ledere o
mettere in una condizione di pericolo vari diritti della persona, configurando in astratto vere e
proprie figure di reato. I giuristi, dunque, si sono lungamente soffermati sulla ricerca di un’unica
causa di giustificazione che potesse legittimare tale attività.
Dopo aver constatato che il principale criterio sul quale fondare la liceità dell’attività sanitaria
potesse essere l’acquisizione del consenso dell’avente diritto (art. 50 del Codice Penale), mi è
sembrato interessante analizzare in quale misura il consenso fosse effettivamente da considerarsi
come il cardine centrale dell’attuale inquadramento della liceità dell’atto sanitario.
Il ruolo del consenso della donna, dal momento in cui è testimone dell’espressione del diritto di
libertà individuale costituzionalmente garantito, dovrebbe rivestire una posizione centrale ed
imprescindibile.
Ha avuto inizio, così, la ricerca, stimolata dall’attenta e scrupolosa osservazione dell’operato
altrui, durante le ore di tirocinio svolte presso le strutture ospedaliere. Fin dagli arbori è emerso
che l’essenza del consenso talvolta perdeva la sua intima natura, risultando un adempimento
formale e burocratico, dotato di senso solo perché ritenuto una forma di difesa legale. A seguire,
sono rimbalzate tutte le possibili viziature del consenso, come la formalizzazione dello stesso a
posteriori della prestazione, la mancanza dell’informazione, ecc.
In altre situazioni estreme il consenso non era stato proprio dato.
20
L’apice della contraddizione, però, a mio avviso, era raggiunto laddove la donna aveva dato il
consenso per la prestazione ad un operatore che, fornendole scarne e frettolose informazioni a
riguardo, svolgeva delle manovre e/o trattamenti non strettamente indicati clinicamente a quella
data situazione. Risultava, quindi, che l’atto ostetrico era legittimato perché corredato dal relativo
consenso, ma che nella realtà fosse totalmente superfluo. La firma o il si della donna, in un qual
modo, erano spostati a piacimento come pedine da parte dell’operatore, che pilotava il consenso
con le sue informazioni.
La tesi è nata, quindi, nel frangente in cui mi sono posta il seguente quesito: “Può il solo consenso
rendere lecito l’atto ostetrico? Cosa serve per far sì che sia realmente lecito?”.
Dapprima, ho ritenuto necessario analizzare le ultime vicende legali, dalla quale sono emerse delle
controversie nel Diritto in merito alla legittimazione dell’atto sanitario, che hanno dettato un
percorso segnato da tappe di grande rilievo, espressive di un autentico travaglio giurisprudenziale.
Tali controversie hanno evidenziato l’esigenza della Medicina di ricevere delle certezze sul suo
campo d’azione da parte del Diritto.
Infatti, come il Diritto da sempre chiede alla Medicina degli elementi precisi di descrizione allo
scopo di fornire risposte legali sicure, secondo l’assioma “Da mihi factum, dabo tibi ius”, così la
Medicina vorrebbe per contro certezze giuridiche che consentano agli operatori sanitari di
esprimere al meglio le proprie capacità nell’interesse dell’individuo.
Il Diritto, dunque, rispondendo alla richiesta della Medicina, convoca a Sezioni Unite i Giudici di
Piazza Cavour, con la sentenza del 18 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009, n. 2437.
Essendo tale sentenza l’ultima tappa del percorso giurisprudenziale, ho ricercato al suo interno le
risposte al mio quesito.
La tesi si sofferma sulla mia personale elaborazione delle singolari decisioni emerse e sui
cambiamenti salienti che la sentenza ha apportato alla pratica ostetrica in merito alla
legittimazione dell’atto sanitario e all’acquisizione del relativo consenso.
“Chi è, allora, l’ostetrica legittimata? E in quale misura il consenso rende ancora l’atto lecito?”…
1.
Le nuove tendenze della giurisprudenza penale sul fronte dell’informazione finalizzata
alla realizzazione del consenso
Premessa
Complice il progresso scientifico e tecnico raggiunto nelle discipline mediche e l’allargamento del
ventaglio degli strumenti diagnostici e terapeutici disponibili, sono aumentate le possibilità
21
d’intervento e, quindi, anche i rischi di errore o di fallimento connessi a ogni pratica, con un continuo
incremento dei contenziosi medico - legali. Il quadro si completa richiamando all’attenzione anche
altri fattori di carattere sociale, culturale ed economico che con maggiore peso giustificano la
tendenza da parte dell’utenza a considerare sempre più spesso l’intervento medico inadeguato,
insufficiente o addirittura dannoso.
Tale temperie evolutiva ha evidenziato le lacune presenti nella giurisprudenza, soprattutto sul
versante della legittimazione dell’atto medico, facendo avvertire un senso d’insicurezza, un bisogno
di acquietanti e condivisi indirizzi su molti essenziali aspetti, momenti, fasi dell’attività medico chirurgica e, consequenzialmente, la necessità di ripristinare una sorta di ordine.
Con questo scopo, quindi, sono stati ancora chiamati a pronunciarsi i Giudici di Piazza Cavour,
chiamati a Sezioni Unite nella sentenza del 18 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009, n. 2437.
Il compito principale affidato alle Sezioni Unite è quello di superare il contrastante orientamento
della dottrina e della giurisprudenza in relazione alla responsabilità medica sulle eventuali ipotesi
delittuose integrate dalla condotta del sanitario che, in difetto del consenso opportunamente
informato del paziente, lo abbia sottoposto ad un determinato trattamento sanitario nel rispetto delle
“regole dell’arte” e con esito fausto.
Si tratta di un’ostica problematica secolare senza precisa chiarezza quella per la quale sono state
interpellate le Sezioni Unite, poiché coinvolge differenti questioni irrisolte, quali: il fondamento
giuridico dell’attività medico-chirurgica, il concetto di malattia, che in relazione all’attività medico chirurgica viene in rilievo, e il valore che ha il consenso del paziente, considerando le posizioni che
la Costituzione, la legislazione e il Codice Deontologico hanno preso a riguardo dell’argomento,
avendo come principio fondamentale il presupposto che la salute sia un diritto della persona.
L’evento culminante che ha reso necessario tale sentenza, è da identificare in un processo milanese
nel quale una donna, operata per un sospetto tumore maligno alla mammella, che poi si scoprirà
essere un nodulo sentinella, e sottoposta alla terapia con tamoxifene, querela il medico per non averla
informata anticipatamente sui disturbi che tale farmaco poteva arrecarle. Dopo una perizia legale del
Professore dell’Università degli Studi di Milano, Riccardo Zoja, richiesta dal Dott. Spera, il C.T.U.,
la sentenza si conclude con la decisione che l’imputato non può essere accusato del reato di lesioni
personali, cui l’art. 582 c.p., poiché il suo comportamento era incontestabile e eseguito leges artis;
poteva, invece, essere accusato di violenza privata, cui l’art. 610 c.p. dal momento in cui aveva
privato la donna di nozioni importanti tali per cui la stessa potesse decidere sul percorso terapeutico
da perseguire.
Il consenso alla prestazione sanitaria:
all’innovativa decisione delle Sezioni Unite
dalla
posizione
della
giurisprudenza
Il ruolo del consenso del paziente, nell’ambito dell’attività medica a scopo diagnostico e terapeutico,
riveste una posizione centrale ed imprescindibile, in quanto espressione del diritto di libertà
individuale costituzionalmente garantito all’individuo di scegliere se curarsi o meno, se privilegiare o
no il suo stato di salute, o se, addirittura, rifiutare le cure.
22
La giurisprudenza penale, prima della sentenza delle Sezioni Unite, prevedeva che qualsiasi
intervento medico - chirurgico, eseguito dal sanitario con la consapevolezza dell’inesistenza del
consenso o della sua invalidità ed in mancanza di cause di giustificazione codificate, risultava idoneo
a violare la libertà del singolo di autodeterminazione e, ricorrendone gli estremi materiale e
soggettivo, poteva configurare i reati di: violenza privata, cui all’art. 610 c.p., stato di incapacità
procurato mediante violenza, cui all’art. 613 c.p., sequestro di persona, art. 605 c.p. e reato punito a
titolo colposo in caso di esito infausto previsto dall’art. 586 c.p. Oltretutto, ogni attività medico terapeutica prestata in assenza del consenso informato, anche quella che avesse avuto esito
favorevole, era da considerarsi illecita, salvo la presenza di valide cause di giustificazione codificate,
vale a dire lo stato di necessità (art. 54 c.p.).
Tali posizioni sono divenute sempre più labili, soprattutto in seguito alla lettura non originale, ma
incisiva, che è stata assegnata al consenso dalle Sezioni Unite.
Tale sentenza ha permesso di pronunciare singolari conclusioni, affermando che “ove il medico
sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato
prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges
artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall'intervento stesso è derivato un apprezzabile
miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili,
e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di
rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all'art. 582 c.p., che sotto quello del
reato di violenza privata, di cui all'art .610 c.p.”.
Dalla ricerca della causa di giustificazione all’autolegittimazione dell’attività medica
Nell’ultimo secolo la giurisprudenza si è lungamente soffermata sulla ricerca di una causa di
giustificazione dell’attività medica e chirurgica, escogitando differenti soluzioni al problema della
liceità dell’atto medico.
Tale esigenza nasce nel momento in cui si percepisce che è necessario, a fronte di una analisi del
Codice Penale, considerare il trattamento sanitario come un’intrusione nella sfera personale
dell’individuo e, quindi, consequenzialmente, si configura una condotta penalmente rilevante. A
questo riguardo, perciò, la dottrina medica si è ampiamente pronunciata nella ricerca di un unico
criterio su cui fondare la liceità di tale attività, enunciando differenti teorie meritevoli di analisi.
•
Teoria dell’azione socialmente adeguata (Cattaneo – Fiore – Bettiol).
•
Teoria della mancanza dell’elemento soggettivo (Carrara – Altavilla).
•
Teoria dell’assenza del fatto tipico (Grispigni – Antolisei).
•
Teoria della causa di giustificazione non codificata (Vassalli).
•
Teoria fondata sullo scopo riconosciuto dallo Stato (Liszt).
•
Teoria fondata sull’attività autorizzata dall’ordinamento (Mantovani).
23
Molti autori condividono quest’ultima teoria in cui si ricerca la liceità del trattamento medico
all’interno di differenti ordinamenti e delineando, in questo modo, delle cause di non punibilità del
reato.
All’interno del Codice Penale sono state identificate due cause di non punibilità: in primis il
consenso dell’avente diritto, disciplinato dall’art. 50 c.p., secondo cui “Non è punibile chi lede o
pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne”. Si evince
che il consenso ha, così, acquisito una posizione centrale modificando il tradizionale rapporto medico
- paziente, fondato da sempre su una profonda asimmetria, soprattutto sul fronte decisionale. Il
consenso ha permesso di rimandare ad una sfera di decisione autonoma del paziente.
L’altra causa di non punibilità emersa prende in considerazione l’esimente dello stato di necessità
prevista dall’art. 54 c.p., secondo cui “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona,
pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo”. Questa causa di non punibilità ricorrerebbe, però, solo per interventi
pericolosi in situazioni di urgenza, rendendo l’opera del medico non punibile perché necessaria alla
salvezza del malato.
Nel caso di assenza di rischio, quindi, tale esimente non opererebbe e dovrebbe essere ricercata nel
consenso del paziente.
È in questo quadro che si inserisce l’innovativa decisione sul fronte penale della Suprema Corte a
riguardo della legittimazione dell’attività sanitaria. Riprendendo la tesi civilistica, afferma che vi è
una “autolegittimazione della attività medica, la quale rinverrebbe il proprio fondamento, non tanto
nella scriminante tipizzata del consenso dell'avente diritto, come definita dall'art. 50 c.p., quanto
nella stessa finalità, che le è propria, di tutela della salute, come bene costituzionalmente garantito.
È, dunque, la finalità dell’atto terapeutico alla tutela della salute, come bene costituzionalmente
garantito dall’art. 32, a rendere lo stesso legittimo.
Nel testo della sentenza si legge, infatti, che “l’attività sanitaria, pertanto, proprio perché destinata a
realizzare in concreto il diritto fondamentale di ciascuno alla salute (…) ha base di legittimazione
(fino a potersene invocare il carattere di attività, la cui previsione legislativa, deve intendersi come
“costituzionalmente imposta”), direttamente dalle norme costituzionali, che, appunto, tratteggiano il
bene della salute come diritto fondamentale dell’individuo”, con la conseguenza che ai giudici di
legittimità sembra “davvero incoerente l’ipotesi che una professione ritenuta, in sé, di “pubblica
necessità” (art. 359 c.p.), abbisogni per legittimarsi, di una scriminante tipizzata, che escluda
l’antigiuridicità di condotte strumentali al trattamento medico, ancorché attuate secondo le regole
dell’arte e con esito favorevole per il paziente”.
Ne segue, come ovvia conseguenza, che “il presupposto indefettibile che giustifica il trattamento
sanitario va rinvenuto nella scelta, libera e consapevole - salvo i casi di necessità e di incapacità di
manifestare il proprio volere - della persona che a quel trattamento si sottopone”, il quale principio
del consenso si configura come diritto della persona espresso nell’artt. 2, 13 e 32 della Costituzione.
L’art. 2 tutela e promuove i diritti fondamentali, l’art. 13 stabilisce l’inviolabilità della libertà
personale e, infine, l’art. 32 afferma che nessun individuo può essere obbligato a sottoporsi ad alcun
trattamento sanitario, se non quelli obbligatori per disposizione di legge.
24
In conclusione, è deducibile trarre che il consenso trova il suo fondamento nei suddetti articoli
costituzionali, volti a tutelare i basilari diritti della persona dell’autodeterminazione e della salute e,
singolare innovativa decisione, non più nell’art. 50 c.p.
Nell’affermare l’autolegittimazione dell’attività terapeutica, le Sezioni Unite sottolineano anche
come si possano trovare altri fondamenti anche al di fuori della Costituzione, quali la Convenzione
sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (Oviedo, 1997), il Codice Deontologico, approvato il 16
dicembre 2006 dal Consiglio Nazionale della federazione Italiana degli Ordini dei Medici Chirurghi e
Odontoiatri, nonché la Convenzione sui diritti del fanciullo (1989) e la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea (2000).
Una sintesi dello stato attuale e i cambiamenti salienti apportati dalla Suprema Corte
In definitiva, sono state proposte dalla Cassazione varie ipotesi:
•
in presenza di consenso informato l'atto medico è "perfetto" se compiuto e se eseguito
secondo le leges artis, estraneo, quindi, ad ogni ipotesi delittuosa e non abbisognevole di alcuna
causa di giustificazione penalmente prevista; se l'esito è infausto per negligenza, imperizia,
imprudenza comportamentale, solo allora può profilarsi una responsabilità per colpa ove sussistano
gli estremi di cui agli artt. 585 e 590 c.p.;
•
in assenza o in difetto di consenso informato l'atto medico è viziato dalla carenza o dalla
insufficienza di consapevole volontà del paziente, ma non integra alcun reato se l’esito è fausto,
mentre se l’esito è infausto potrebbero ravvisarsi gli estremi dei reati contro la persona a titolo di
colpa, ma solo nel quadro di una illiceità molto nebulosa, non solo per il profano;
•
in caso di dissenso, se l'esito è fausto, il comportamento è comunque privo di qualsiasi
copertura costituzionale; se l'esito è infausto, la violenza è implicita con le aggravanti dell’eventuale
ricorrenza della morte o della lesione personale, con buona pace di quanto appena escluso in ordine
alla esclusione dell'atto anche chirurgico dalla sfera delle rispettive ipotesi penalistiche.
In particolare, come già detto, per le Sezioni Unite non sembra sussistere alcun motivo di addebito
nei confronti del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico non chiaramente
consecutivo o diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso debitamente
informato se tale intervento, sia stato eseguito nel rispetto delle leges artis e si sia concluso con esito
fausto e, quindi, un apprezzabile miglioramento per il paziente.
Sugli altri casi, quali il difetto del consenso e l’intervento seguito da esito infausto, il discorso resta
aperto.
Prima di addentrarsi nell’analisi dei risvolti operativi che la sentenza del 18 dicembre 2008 – 21
gennaio 2009, n. 2437, ha apportato, è doveroso porre l’accento su quali siano state le
modificazioni, chiaramente riconoscibili, che i Giudici di Piazza Cavour hanno elaborato.
25
Risulta rilevante esplicare quali siano stati i cambiamenti salienti, per rendere più immediato un
confronto tra la situazione che c’era e quella che si ritrova oggi giorno all’interno della
giurisprudenza penale.
Le chiavi di volta delle decisioni della sentenza risultano essere le seguenti:
•
l’attività medica e chirurgica non necessita più di una causa di giustificazione per rientrare
nei limiti della liceità, bensì è autolegittimata nella stessa finalità di tutela della salute, come bene
costituzionalmente garantito. Infatti, tale teoria trova la sua diretta garanzia all’interno della
Costituzione e, nella fattispecie, nell’art. 32, comma 1, Cost.
•
Il consenso informato depone il suo fondamento non più nel Codice Penale, ma anch’esso
direttamente all’interno della Costituzione e, più precisamente, negli artt. 2, 13, e 32 della Carta.
Rappresenta ora la sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e
quello alla salute.
•
Il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), che prima legittimava l’atto medico, ora è
definito come inapplicabile, non necessario e addirittura eccentrico, poiché estraneo a un’attività
che trae la sua precisa legittimazione in sé stessa e nel dettato costituzionale. Dunque, non
rappresenta più il presupposto indefettibile che giustifica il trattamento sanitario, poiché ora va
rinvenuto nella scelta, libera e consapevole, della persona che a quel trattamento si sottopone.
•
L’indisponibilità dell’integrità corporea (art. 5 c.c.) risulta superata dal dettato
costituzionale e va interpretata nel senso che il “negato” potere di disporre non esclude la libertà di
disporre del proprio corpo e, quindi, di decidere e di autodeterminarsi in ordine e comportamenti
che coinvolgono e interessano il proprio corpo.
•
L’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.) perde il suo valore, poiché è la volontà dell’individuo a
sottoporsi o meno alle prestazioni medico – chirurgiche a prendere il sopravvento sul sanitario, al
quale non è più riconosciuto un generale diritto di curare. L’individuo non si trova più,
giuridicamente parlando, in una posizione di soggezione in cui il sanitario stesso potrebbe
intervenire con il solo limite della propria coscienza, forte di una posizione di garanzia, ma diventa
l’assoluto protagonista delle sue decisioni.
•
Estremizzando la sensibile innovazione interpretativa della concezione di “malattia”, la
quale afferma che per essere definita tale deve esservi il requisito essenziale di una riduzione
apprezzabile della funzionalità, è definitivamente stabilito che le alterazioni anatomiche determinate
da una necessità di salute non costituiscono più una malattia. Di conseguenza, non possono
integrare il reato di lesioni personali volontarie delineato all’art. 582 c.p. Ciò, per esempio, nel caso
di una pur necessaria e corretta soluzione di continuo chirurgica, di per sé non curativa, ma diretta
ad aprire la via per superare un pregiudizio funzionale.
•
L’atto terapeutico non è più da intendersi come un atto fine a sé stesso, bensì come una
porzione della condotta terapeutica. Ne segue che, seppur sia stato compiuto, deve essere preso in
esamina solo e soltanto in vista degli esiti conclusivi che sono scaturiti sul piano della salute
complessiva dell’individuo.
26
•
Laddove è stato prestato un trattamento sanitario in mancanza del consenso opportunamente
informato, non potrà più configurarsi il delitto di lesioni personali, cui l’art. 582 c.p., né quello di
violenze privata, cui l’art. 610 c.p., nel momento in cui sia stata rigorosamente rispettata la leges
artis e tale intervento abbia avuto esito fausto.
Questi sono tutti dei punti cruciali che devono essere veramente chiari agli attori che lavorano nel
contesto sanitario, come l’ostetrica, al fine di poterne interiorizzare i concetti e contestualizzarli in
relazione al proprio operato.
2.
L’applicazione della sentenza delle Sezioni Unite nella pratica ostetrica
Le ripercussioni operative in campo ostetrico
Dopo aver percorso un arduo cammino, ad oggi, l’ostetrica è una professionista sanitaria che svolge
attività dirette alla prevenzione, alla cura e alla salvaguardia della salute della donna con
responsabilità e autonomia professionali. Tali caratteri sono documentati l’uno dalla legge n. 42 del
26 febbraio 1999, che delimita l’ambito di competenza e di responsabilità ostetrica, l’altro dalla
legge n. 251 del 10 agosto 2000, che ne definisce l’autonomia operativa e decisionale.
L’ostetrica, dunque, ha la possibilità d’essere chiamata a rispondere del proprio operato in sede
giudiziaria, qualora occorrano fatti previsti dalla legge come reato, oppure circostanze ritenute
dannose da chi ha fruito di una prestazione.
È estremamente necessario, allora, il continuo aggiornamento circa l’evoluzione della
giurisprudenza e i risvolti operativi che possono emergere riguardo alla proclamazione delle
sentenze, a maggior ragione nelle situazioni nelle quali è stato chiamato ad emettere la sua
pronuncia il collegio a Sezioni Unite.
L’ostetrica svolge il suo lavoro in piena autonomia e con la massima responsabilità professionale
laddove regna la fisiologia.
Competono a lei situazioni nelle quali la donna con la quale si relaziona non è in una condizione
patologica, bensì ha bisogno di essere aiutata ad affrontare un evento naturale. L’Organizzazione
Mondiale della Sanità (O.M.S.), infatti, nel 1985 ha definito processi fisiologici – naturali: il
menarca, la contraccezione, il concepimento, la gravidanza, il travaglio, l’espletamento del parto, il
puerperio e l’allattamento, il climaterio e la menopausa.
Seppur sia basilare il concetto, non si cade nella banalità esplicitandolo perché rappresenta il fulcro
sul quale fanno leva i risvolti operativi in campo ostetrico delle decisioni delle Sezioni Unite.
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L’ostetrica e il percorso nascita
L’obiettivo dell’assistenza ostetrica alla gravidanza e al parto fisiologico deve essere quello di
rapportarsi alla madre e al feto/neonato in buona salute con il più basso livello d’intervento
compatibile con la sicurezza, al fine di preservare lo stato preesistente di benessere.
Come deciso nella sentenza delle Sezioni Unite, l’intervento medico – chirurgico e, nella
fattispecie, quello ostetrico, è autolegittimato nel momento in cui s’interviene per salvaguardare la
salute della donna e non più bisognevole del consenso per essere definito lecito. Così il consenso
alla prestazione non rappresenta più la giustificazione all’atto, ma diviene lo strumento unico che
testimonia la garanzia dell’espressione della donna assistita. Alla base, però, vi sono due
presupposti indefettibili: la priorità dell’indicazione clinica e le procedure all’informazione.
Infatti, prendendo in considerazione il presupposto poc’anzi evidenziato, l’intervento ostetrico,
affinché sia ritenuto lecito, deve essere mosso da valide ragioni, tali per cui, seppur interferendo con
il processo fisiologico, arrecano un reale beneficio per la donna e/o per il nascituro.
Risulta evidente che, sostenendo la causa dell’autolegittimazione dell’atto sanitario, il Collegio
Supremo non abbia voluto dar maggior libertà all’azione, ma piuttosto abbia voluto caricare
maggiormente di responsabilità all’azione il sanitario che si accinge a prestare il suo operato.
La “ostetrica legittimata”, dunque, è quell’ostetrica che, dopo aver analizzato dettagliatamente una
data situazione, grazie alla conoscenza scrupolosa della letteratura, ad un’attenta focalizzazione
delle linee guida e dei protocolli a sua disposizione, sulle basi delle raccomandazioni dell’O.M.S.,
applica minuziosamente il trattamento più indicato clinicamente al caso preso in esamina.
Questo vuol dire che non sono in nessun modo autolegittimati quegli atti terapeutici applicati non
ad hoc, dove non è fortemente riconoscibile un’indicazione clinica tale per cui possa far presagire
un reale beneficio per la salute della donna.
L’indicazione clinica diventa, quindi, essenziale perché un atto sanitario sia autolegittimato.
A scopo esemplificativo, è utile analizzare la motivazione che può indurre a ritenere necessario
avere a disposizione un catetere venoso periferico e, in primis, nell’assistenza ad un travaglio, e
durante la fase espulsiva. L’utilità di tale manovra è di praticare delle infusioni d’idrosoluzioni, di
permettere un’alimentazione parenterale a breve durata, oppure di somministrare per via
endovenosa dei farmaci.
Tali necessità nell’assistenza ad un travaglio fisiologico non sussistono, dal momento in cui la
donna può alimentarsi e idratarsi autonomamente e non risiede il bisogno di somministrarle alcun
tipo di farmaco. Di conseguenza non è giustificata l’ostetrica che indistintamente attua tale pratica.
Laddove, al contrario, discostandosi dalla pura fisiologia, una donna sia in possesso di un esito del
tampone vagino – rettale positivo allo streptococco – beta - emolitico e, quindi, vi sia l’indicazione
ad una profilassi antibiotica, allora l’atto terapeutico è appieno autolegittimato dal momento in cui
ha inizio il travaglio attivo, ma non prima.
Anche durante la fase espulsiva idealmente non sussiste il bisogno di somministrare dei farmaci per
via parenterale endovenosa. Tuttavia è utile fare una distinzione per quelle partorienti definite
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particolarmente a rischio di emorragia del post - partum, quali possono essere le multipare e le
donne che presentano un’anamnesi passata positiva per un’atonia uterina. In suddetti casi la
Cochrane Library suggerisce un protocollo che prevede, oltre alla somministrazione di uterotonici
per via intramuscolo, anche l’uso di 20 Unità Internazionali (U.I.) di ossitocina diluite in 500
milligrammi (ml) di soluzione fisiologica per via endovenosa.
Un altro esempio calzante è rappresentato dall’utilizzo del supporto cardiotocografico (C.T.G.)
durante l’evoluzione del travaglio. Nella letteratura ostetrica e nelle linee guida italiane si può
leggere che il corretto atteggiamento è l’auscoltazione del battito cardiaco fetale ad intermittenza
con intervalli di venti minuti e che, per contro, una registrazione continua non migliora l’outcome
neonatale, anzi lo peggiora per certi versi. Infatti, il monitoraggio in continuo, utilizzato
metodicamente e indistintamente, aumenta i falsi positivi di tracciati C.T.G. non rassicuranti, di
conseguenza si ricorre, talvolta inutilmente, a un taglio cesareo, privando il neonato dei benefici del
travaglio e precludendo alla donna la possibilità di espletare il parto per vie naturali.
Appare, allora, ingiustificata e, quindi, mancante di un’indicazione clinica l’ostetrica che utilizzi per
tutta la durata del travaglio il tracciato C.T.G.
Tale atteggiamento non può definirsi autolegittimato, poiché non comporta alcun beneficio né per la
partoriente, né per il nascituro.
Le procedure all’informazione risultano aver acquisito un’esponenziale importanza rispetto a prima
perché permettono di dimostrare la totale indicazione clinica della prestazione e di identificare nel
consenso il portavoce dell’autodeterminazione della donna e della libertà di disporre del suo corpo.
Infatti, venendo meno l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.) non sussiste più il diritto di curare e
diviene di primaria importanza l’informazione che l’ostetrica fornisce alla donna, la stessa che
servirà come strumento alla donna per decidere quale percorso intraprendere.
L’ostetrica e l’attività sul territorio: la prevenzione
L’ostetrica, secondo il suo profilo professionale definito con il D.M. 740/94, può ricoprire
l’importante mansione dell’educatrice sessuale e partecipare a campagne di prevenzione in
ginecologia.
Può svolgere un ampio lavoro sia nell’ambito della prevenzione primaria, volta allo stimolo di un
cambiamento dello stile di vita, come per esempio la promozione dell’utilizzo del preservativo per
diminuire il rischio del contagio delle Malattie a Trasmissione Sessuale (M.S.T.), che nell’ambito
della prevenzione secondaria, all’interno di programmi specifici di screening, come può essere
l’esecuzione del Pap – test, o nell’accompagnamento della donna durante il suo iter diagnostico.
Tali attività sono offerte principalmente sul territorio, sia svolgendo il suo operato all’interno dei
consultori famigliari integrati, sia attraverso incontri mirati nei diversi ordini di scuola (infanzia –
primaria - secondaria inferiore e superiore).
All’origine, tuttavia, secondo la nuova chiave di lettura apportata dalle Sezioni Unite, è necessario
un intervento di educazione della donna ad una “cultura della prevenzione” che la sensibilizzi e le
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permetta di assimilare il concetto di prevenzione come un intervento volto a modificare il proprio
stile di vita in funzione della stessa. Infatti, la mancanza di motivazione da parte della donna,
vanificherebbe anche il migliore programma di prevenzione e il lavoro di educatori fortemente
motivati.
Tale intervento deve essere mirato a permettere una maggior presa di coscienza da parte della donna
ed un aumento della consapevolezza su quale sia il miglior percorso da seguire; è fondamentale per
potenziare la sua autodeterminazione.
Tutto ciò è attuabile solo attraverso una profonda informazione.
L’informazione non rappresenta più un elemento accessorio, ma l’asse portante che può stimolare la
donna alla ricerca della “cultura della prevenzione” che le permetta un mantenimento del suo
benessere psico – fisico.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno voluto annientare quel legame intimo indissolubile che regnava tra
l’informazione e la validità al consenso, in cui la prima forniva consapevolezza e la seconda
legittimava l’atto.
Con la sentenza n. 2437 l’informazione acquisisce una rilevanza autonoma in quanto accentua la
valorizzazione della donna e dell’individuo, come essere capace di autodeterminarsi. Attraverso
l’informazione, la donna non solo acconsente, ma si rende partecipe e diviene titolare di una sua
propria e riconosciuta libertà di autodeterminazione, identificata quale valore fondamentale
dell’individuo a livello costituzionale nell’art. 32 della Carta.
L’informazione va fornita a priori della prestazione e diviene la garanzia di aver svolto in modo
inopinabile il proprio lavoro e questo per due motivazioni: dapprima perché fornendo l’esatta
spiegazione, indirettamente è fornita anche l’indicazione clinica; in secondo luogo perché non è in
alcun modo violata l’autodeterminazione della donna.
Per esempio, è interessante analizzare la fase esplicativa che può condurre un’ostetrica per la
prevenzione al cancro della cervice uterina. Dopo aver fatto un’educazione sessuale in merito e aver
sottolineato quali possano essere i comportamenti e i fattori di rischio, è importante riportare quali
siano le evidenze scientifiche in merito all’esecuzione del Pap – test.
E’ di primaria importanza mettere in evidenza quale sia la fascia d’età, che è quella tra i 25 anni e i
65, e, soprattutto, gli intervalli di tempo che devono intercorrere tra un esame citologico e il
successivo, che devono essere di tre anni per le donne a basso rischio, oppure con scadenze
personalizzate laddove se ne riscontri il bisogno. Il concetto che la donna deve recepire è che, nel
caso in cui faccia parte di quella fascia a basso rischio, non deve cedere ai continui inviti annuali da
parte di personale che vuole speculare sulla salute, facendo leva sulle sue paure. Quindi, l’obiettivo
è di fornirle le dovute informazioni per metterla nelle condizioni di poter veramente
autodeterminarsi e di non farsi soggiogare.
Sul versante pratico – operativo, tuttavia, non pare esservi un sostanziale sconvolgimento delle
abituali mansioni dell’ostetrica all’educazione sessuale e alla prevenzione dei tumori della sfera
genitale, ma tale visione funge da molla per far scattare il concetto della libertà individuale,
fortemente ricercato dai Giudici di Piazza Cavour.
30
3.
Conclusioni
In un’era nella quale i contenziosi medico – legali sembrano essere in ostetricia all’ordine del
giorno e l’attività ostetrica è controllata dagli accecanti riflettori dei mass media, l’obiettivo ultimo
delle Sezioni Unite da interiorizzare non solo per un’ostetrica, ma per tutto il personale sanitario,
alla sottoscritta risulta essere il concetto di seguito riportato.
Non è solo possibile, ma doveroso identificare un comportamento ad hoc nell’affrontare ogni
circostanza, al fine di evitare l’utilizzo di schemi diagnostico – terapeutici ormai superati e che non
apportano dei reali benefici, ma che, al contrario, appaiono dannosi perché, talvolta, mossi da
un’intrinseca azione interpretativa soggettiva.
La ricerca, invece, all’indicazione clinica assoluta permette di raggiungere una posizione unanime,
ritrovandosi concordi sulla scelta di un percorso, dal momento in cui lo si riconosce indistintamente
come il più efficace nel contenere i rischi e nell’esaltare i benefici.
Optando per tal scelta, l’atto sanitario non può che dar luogo al miglior esito, minimizzando le
conseguenze negative e le azioni penali.
Tale obiettivo è da perseguirsi attraverso una capillare e continua professionalizzazione di tutti gli
operatori della nascita; ciascuno di essi deve avvertire l’imperativo etico della propria evoluzione in
termini culturali e di competenze.
Ognuno deve poi, soprattutto, imparare a metabolizzare l’idea che la donna assistita opera le sue
scelte secondo il diritto riconosciutole dal Supremo Collegio, che è quello dell’autodeterminazione,
vivendo serenamente questa condizione nella consapevolezza di rispettare i desideri espressi,
quando possibile, e di averle fornito con correttezza, attraverso il dialogo e l’informazione, tutti gli
elementi per decidere autonomamente.
Solo così facendo, l’ostetrica potrà sentirsi realmente legittimata nel suo operato.
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MONDOSTETRICA 12 Dicembre 2011
Saper essere nella conoscenza
IL CASO CLINICO
ACCETTAZIONE: GIOVEDI ORE 17.00 circa:
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N.A. è una giovane donna, poco più che ventenne, alla sua prima gravidanza.
Giunge in Pronto Soccorso, accompagnata dai genitori e dal compagno, per perdite ematiche
molto liquide a 33 settimane, non accompagnate da attività contrattile uterina.
In Accettazione viene compilata la cartella clinica che riporta:
ANAMNESI: “Riferisce sempre buona salute, anamnesi familiare silente, nega allergie a farmaci,
decorso fisiologico della gravidanza, morfologia e biometria fetale regolare, sierologia e virologia
negativa, aumento ponderale + 12 Kg.”.
RISCONTRO OSTETRICO: “ORE 17.15 : Collo posteriore raccorciato del 60%, pervio al dito,
si apprezza borsa anteriore, perdite ematiche modeste probabilmente miste a liquido amniotico,
PP cefalica, BCF presente e regolare, PROM TEST positivo, AFI 16 cm.”.
MOTIVO DEL RICOVERO: “Sospetta PROM e MPP a 33 settimane di gestazione”.
SALA PARTO: GIOVEDI ORE 18.00: Ingresso in Sala Parto. Viene effettuato dall’ostetrica di
turno il controllo braccialetti, l’auscultazione del BCF nonché gli esami ematici urgenti, esame
urine, urinocoltura e tampone vaginale, come prescritto dal medico al momento del ricovero.
Successivamente inizia terapia antibiotica endovena con Amplital 2gr., alla prima
somministrazione, seguita da 1 gr. ogni 4 ore per sei dosi, unita alla terapia con Celestone i.m..
La signora rimane in osservazione per circa due giorni in Sala Parto, dove continua terapia
antibiotica, TCTG ad intervalli e ripetizione emocromo e PCR.
Gli esami ematochimici sono sempre nella norma, TCTG reattivi e regolari non evidenziano
attività contrattile uterina peraltro mai riferita dalla signora, le perdite, scarse all’ingresso in Sala
Parto, vanno progressivamente diminuendo. La paziente viene trasferita in reparto di Patologia
della gravidanza
PATOLOGIA DELLA GRAVIDANZA
SABATO ORE 17.00: La signora N.A. entra in Patologia della Gravidanza, l’ostetrica di turno, al
momento dell’accettazione, annota in cartella clinica: “non contrazioni uterine, riferisce perdite
ematiche in diminuzione (alonate), MAF percepiti dalla paziente, BCF presente, cambiata
faldina.”.
Ore 20.00 viene auscultato il BCF e in cartella clinica si legge: “BCF presente, no perdite vag.”.
Ore 22.00 dalla cartella clinica emerge che le condizioni ostetriche sono nella norma.
DOMENICA: La signora continua periodo di osservazione, i parametri ostetrici sono nella
norma.
Si eseguono esami ematici di controllo, si prosegue con terapia antibiotica e si esegue TCTG.
Alle ore 20.00 il BCF è presente e regolare.
Alle ore 22.00 in cartella viene segnato l’esito del controllo di routine eseguito
dall’ostetrica:“sogg. bene, utero non contratto alla palp., MAF avvertiti dalla sig., scarse perdite
vag. rosate.”.
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LUNEDI’ ORE 4.35: la signora suona il campanello e “riferisce abbondante perdita di liquido
amniotico misto a sangue, utero rilasciato”.
ORE 4.40: “difficoltà nella rilevazione del BCF si avvisa……(medico di guardia).
ORE 4.45: (medico esegue al letto della signora) controllo ecografico BCF assente, scarse perdite
ematiche vaginali e avvisa il medico di guardia 2° aiuto.
ORE 4.50: il medico 2° aiuto esegue visita ostetrica (collo appianato dilatazione 2-3 cm.), utero
contratto, profusa perdita ematica con coaguli, BCF assente, decide per TC urgente per sospetto
distacco di placenta. La signora viene trasferita in Sala Parto.
Il caso clinico è stato scelto, preparato e sarà presentato da
Lorenza Bianchi
Facciamoci ora delle domande e soffermiamoci su quelle riflessioni che il caso clinico
presentato ci sollecita. Trascrivere i nostri pensieri ci faciliterà la loro condivisione con
le colleghe ed i colleghi nell’incontro del prossimo 12 Dicembre.
Qui sotto troverai alcuni suggerimenti e lo spazio necessario per memorizzare la tua
esperienza.
A presto !
Walter Costantini e Daniela Calistri
1. Come ostetrica professionista hai dei rilievi da fare sulla conduzione clinica del caso?
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2. Come ostetrica professionista, attiva in un reparto di Patologia della gravidanza, come ti saresti
comportata?
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3. Puoi ipotizzare l’esito più probabile per la madre, il feto ed i sanitari coinvolti?
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4. Secondo te, il caso può avere sequele medico-legali e se sì, chi potrebbe coinvolgere?
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5. A quali problematiche, più o meno correlate, ti fa pensare questo caso clinico?
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6. Tutto ciò ti fa ricordare un caso che hai vissuto personalmente o che ti è stato riferito ?:
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