In questo ultimo decennio la professione dell’ostetrica è andata incontro ad
una serie di cambiamenti, sia culturali che di competenze. Con il D.M.
n.740, che regola l’esercizio della professione, all’ostetrica viene
riconosciuta un’autonomia nella gestione dell’intervento assistenziale di
propria competenza.
Inizierei pertanto proprio dal DM, dove si stabilisce che : “l’ostetrica
assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto
e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria
responsabilità e presta assistenza al neonato” (Art. 1 comma 1).
In questo primo comma ritroviamo l’essenza del ruolo dell’ostetrica e
fortunatamente è ciò che ha riguardato sia la mia formazione che la
maggior parte della mia esperienza lavorativa
Questa definizione circa il ruolo dell’ostetrica porta con sé ulteriori
considerazioni : l’ostetrica accompagna la donna gravida lungo tutta la
sua esperienza, rappresentando un tramite fra lo status precedente di
donna a quello di madre. Non a caso, nella nostra cultura partenopea, il
termine mammana sta ad indicare proprio “colei che fa diventare
mamma”.
Devo però prendere atto che negli ultimi dieci anni della mia esperienza
personale, invece, ho assistito ad un cambiamento in senso riduttivo in
merito all’esperienza del parto; infatti, nella mia Struttura, più della metà
dei parti avviene mediante taglio cesareo.
L’aumento esponenziale di parti cesarei rispetto ai parti naturali ha
comportato vari tipi di conseguenze: psicologiche, sociologiche,
professionali, educative.
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Le conseguenze psicologiche fanno riferimento al fatto che la donna
gravida perde la naturalità dell’esperienza del parto, riducendo il suo
passaggio da donna a madre alla stregua di un qualunque intervento
chirurgico. Si finisce, così, per medicalizzare una gravidanza ed un parto
che al contrario dovrebbe essere per lo più un’esperienza del tutto naturale.
Conseguenze sociologiche, in quanto si perde il valore della figura
tramite, l’ostetrica appunto, che in passato entrava nella vita di una
donna (addirittura entrava nelle case) dalle primissime fasi della
gravidanza e che la sosteneva lungo tutto il percorso fin dopo il parto,
agevolando così quella delicata fase di passaggio nella vita di una
giovane donna, che divenuta a sua volta madre, può definitivamente
separarsi dalla propria madre assumendo lo stesso ruolo sociale.
Conseguenze professionali, in quanto, rispetto al nostro profilo
professionale, l’ostetrica di oggi vede depauperato il suo ruolo,
trovandosi molto spesso in difficoltà nel prestare assistenza ad una donna
che non ha mai conosciuto, con la quale non ha potuto instaurare un
rapporto di fiducia e che, pertanto, è poco o per niente collaborativa al
momento del parto. All’inizio della mia professione le donne primigravide
che venivano a partorire, per lo più accompagnate dalle mamme, si
rapportavano principalmente con l’ostetrica, nella quale comunque
riconoscevano la figura (e quindi il ruolo e l’autorità) di colei che
l’avrebbe fatta partorire. A tale proposito vorrei ricordare alcuni film
con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida (Pane, amore e …), girati sul
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finire degli anni 50 e quindi 1 o 2 generazioni fa, nei quali (in uno in
particolare) si nota che per la popolazione le uniche figure di riferimento
erano il Prete, il Comandante della Stazione dei Carabinieri, il Medico
Condotto e soprattutto l’Ostetrica, cui spesso si demandava il ruolo di
Consigliere, Giudice e comunque Risolutore nelle liti.
Invece, oggi quando una donna gravida giunge in ospedale spesso è già
sensibilizzata in merito al fatto che il parto cesareo sia la scelta migliore;
l’ostetrica pertanto può solo prendere atto della cosa ed assistere la
paziente comunque al meglio senza far altro, in quanto sarebbe del tutto
inutile e fuorviante fornire alla donna in un momento così delicato,
informazioni che potrebbero solamente ancor di più confonderla,
accentuandone ulteriormente la distanza tra di loro.
Oggi la nuova ostetrica alla luce di questi cambiamenti deve
riappropriarsi di questo ruolo come leader di un processo naturale,
gravidanza e parto, e, conscia delle problematiche territoriali ambientali e
sociali,
cercare
di
riproporsi
come
veicolo
principale
dell’empowerment, affinché la donna le possa riconoscere di nuovo il suo
ruolo.
Ultime, ma non per questo meno importanti, le conseguenze educative e
formative derivate dal fatto che le studentesse ostetriche e anche i medici
ginecologi di oggi risulteranno essere certamente più esperti nell’eseguire
e nell’assistere ad un taglio cesareo, ma saranno impreparati rispetto ai
parti naturali, per non aver avuto modo di fare esperienza in tal senso e
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soprattutto per non aver avuto l’opportunità di confrontarsi con ostetriche
più esperte, appartenenti a quel periodo in cui il parto naturale era la regola
Concludendo, alla luce della mia esperienza ventennale e di quanto detto
finora, vorrei sottolineare il fatto che la donna gravida deve essere messa
in condizione di poter scegliere se far nascere il proprio bambino con un
parto cesareo o naturale. Dobbiamo quindi implementare nella donna
gravida il processo di empowerment fin dal primo momento in cui scopre
di essere incinta.
Si tratta, pertanto, di far leva sul ruolo dell’ostetrica, la quale,
accompagnando la donna gravida lungo tutto il percorso all’interno di
Ambulatori di gravidanza fisiologica, potrà fornirle tutte le informazioni
necessarie per poter effettuare la propria scelta in maniera assolutamente
consapevole. Ne scaturisce perciò la necessità di un’integrazione dei
servizi ospedalieri e quelli territoriali dell’assistenza fornita nel corso
della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, con condivisione
della medesima filosofia tra tutte le ostetriche territoriali ed
ospedaliere.
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