Taccuino n. 9 – La riforma del senato. Le grandi riforme si fanno non quando infuria la battaglia, che può portare a soluzioni disastrose, ma quando situazioni relativamente consolidate permettono agli spiriti di ragionare. Questo avverrebbe se in Italia avessimo un Consiglio costituzionale, come ho proposto da tempo. Così come è ora, nella situazione attuale, il progetto di riforma del senato è sbagliato e inopportuno. Nell’ordine politico del regime borghese il senato ha svolto sempre un ruolo di grande prestigio. Il presidente del senato ha sostituito il presidente della repubblica in caso di un suo impedimeto; ai seggi del senato sono andate sempre personalità di un certo rilievo e di prestigio; senatori sono diventati gli ex presidenti della repubblica e senatori sono stati nominati alcuni di coloro “che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. La nostra costituzione ha voluto fare del senato “un’assemblea di riflessione”, privilegiando “un contributo di maggiore ponderazione”, “di più consapevole aderenza alle situazioni e ai bisogni delle collettività regionali poste dalla costituzione a base dell’assetto decentrato cui si intendeva dar vita” (v. Costantino Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, IV ed., Padova, CEDAM, 1958, pp. 338-39). Ora, nel regime di massa, quella istituzione comincia a dar fastidio: 1. Perché rallenta (dicono) il processo legislativo; 2. Per la maggiore indipendenza (ora teorica) dei senatori rispetto ai partiti, sia per la modalità di elezione, sia per il maggior contatto “con i bisogni della collettività”; 3. Per la minore forza di controllo da parte del governo su individui (eventualmente) dotati di prestigio e di competenza. Per questo in genere, in passato, la burocrazia di partito ha trovato collocazione alla Camera e non al Senato. Eliminare di colpo il senato sarebbe stata un’operazione troppo ardita. Lo si è allora depotenziato negli uomini e ora lo si vuole trasformare nella composizione e nelle funzioni. Diventerebbe il “senato delle autonomie locali”, un senato di nominati (non elettivo), di amministratori locali già politicamente qualificati e quindi ben controllabili, privi persino di rimborso spese e quindi maldisposti, con funzioni poco più che amministrative, cosa che finisce col produrre, come è stato scritto, “un bicameralismo diseguale che inciderà in profondo sul modo di funzionare della nostra democrazia e sui rapporti fra centro e periferia” (Ugo De Siervo su “La Stampa”, 28.4.2014). La democrazia borghese sta per essere ancora una volta stravolta da un autoritarismo crescente che abbatte tutte le limitazioni al potere e demolisce tutte le garanzie della vita democratica. Né un “senato delle competenze” può essere una soluzione, perché di nuovo si tratterebbe di nominati, di già collocati e controllati politicamente, di persone sottratte al confronto e alla valutazione dei cittadini. Una politica senza anima e senza coerenza continua a proporre riforme su un piano di pura convenienza dei partiti, su calcoli individuali, che non hanno nulla a che fare con gli interessi del Paese. Il vuoto politico produce l’improvvisazione politica, in un contesto di ricatti reciproci fra i partiti, di opinione pubblica disorientata e stordita dalla volontà di “fare presto”. E con quel “fare presto” si vuole impedire ai cittadini di riflettere, di parlare, di reagire. Per fare le riforme occorrono idee coerenti da parte della classe politica e fiducia da parte dei cittadini. Oggi non abbiamo né le une, né l’altra. E chi credesse di risolvere tutto con i provvedimenti economici imbocca una strada senza uscita. Il processo di sviluppo delle società contemporanee produce spesso, come scrive Samuel Paul Huntington, uno dei maggiori politologi americani, un sovraccarico istituzionale, poiché le istituzioni, così come sono, non riescono a rispondere a nuovi bisogni e a nuove richieste. Questo mette in difficoltà la capacità di elaborazione del governo, specialmente se le istituzioni sono vecchie e sclerotizzate da un immenso apparato burocratico. Occorre allora che le istituzioni siano adeguate al mutamento sociale, che esse siano, come scrive lo stesso Huntington, “adattabili, complesse, autonome e coerenti”. Occorre che ottengano il consenso e il mutuo interesse delle persone chiamate a legittimarle. Il processo di trasformazioine deve essere lento, consapevole e coerente. L’incapacità di avere idee nuove, di istituzionalizzare i conflitti, insieme all’esclusione di gruppi rilevanti della società, spingono invece verso un “sistema sociale pretoriano” dove, scrive ancora Huntington, “i ricchi sono pronti a corrompere, gli studenti tumultuano, i lavoratori scioperano, le folle fanno dimostrazioni e i militari colpi di stato”. Il punto d’arrivo allora non può essere che la rivoluzione. La riforma del senato, dunque, ha imboccato la strada sbagliata. Non quella della democratizzazione e della istituzionalizzazione dei conflitti, ma quella della difesa autoritaria del sistema, del caos della società pretoriana, di istituzioni sempre più deboli a fronte di gruppi sociali forti che gestiscono un potere senza garanzie. E torno allora alla mia proposta. Se si vuole proprio sostituire il senato, si rispetti almeno l’intenzione dei nostri padri costituenti: quella di creare organi più vicini “ai bisogni e alle necessità della collettività”. Lo si sostituisca con due assemblee non permanenti ma elettive: quella degli interessi territoriali e quella rappresentativa degli interessi economici e delle professioni. Assemblee che raccolgano e promuovamo le esigenze della società civile, con il compito di formulare proposte di legge nei più diversi settori, proposte da sottoporre all’unica Camera politica, che potrà accettarle, respingerle o chiedere di modificarle. Sarebbe un importante compito di raccordo fra società civile e potere politico, di autoproduzione legislativa da parte della società civile e sostanzialmente di democrazia reale e avanzata: attività di autoregolazione dei corpi sociali che sale dal basso creando un dualismo, ma anche un equilibrio fra potere che si forma dal basso e volontà politica che scende dall’alto. Purtroppo la volontà che oggi prevale è quella di abolire ogni contenimento alla espansione di un potere sempre più accentrato e dispotico.