N° 3 - MARZO 2014 - ADAR SHENÌ 5774 • ANNO XLVII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma
MONDO
STATI UNITI
ISRAELE
L’ONU È IL NUOVO
PAPATO UNIVERSALE
PIACE L’EDITORIA
EBRAICA ITALIANA
LA FELICITÀ CON
UN PASSAPORTO SPAGNOLO
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Il boicottaggio
di Israele
La nuova forma
di un vecchio
antisemitismo
Pesach: l’aiuto divino e l’azione umana
‫בס’’ד‬
EDITORIALE
Il boicottaggio di Israele:
un’immorale azione politica
che puzza di antisemitismo
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
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ono trascorsi 80 anni da quando,
agli inizi della persecuzione
nazi-fascista, si invitavano i
cittadini a non comprare dagli
ebrei. Sulla base di una supposta
purezza razziale apparvero i cartelli
‘Questo negozio è ariano’, o ‘Tedeschi,
per difendervi non comprate dagli
ebrei’. Boicottandone il commercio,
l’antisemitismo hitleriano e
mussoliniano dava inizio a un
isolamento economico e sociale del
popolo ebraico, indicandolo come
reietto, spregevole e infido. Dopo il
boicottaggio delle attività commerciali
sarebbero poi sopraggiunte le
persecuzioni, le deportazioni, gli
omicidi di massa.
La stessa operazione di disprezzo è
oggi messa in campo in chiave globale
e mondiale da un’organizzazione
internazionale BDS che promuove il
boicottaggio, il disinvestimento e le
sanzioni contro lo Stato di Israele,
colpevole di produrre beni e servizi al
di là della Linea verde che segna i
vecchi confini del 1967.
Non è la prima volta che Israele viene
fatta oggetto di tentativi di isolamento.
I boicottatori, i paladini della causa
palestinese non sono mai mancati. Nel
2009 il segretario provinciale del
Flaica–Uniti–Cub, sindacato autonomo
del commercio che raccoglie sotto la
sua sigla circa 8000 lavoratori della
grande distribuzione e della
ristorazione romana, propose il
boicottaggio dei negozi degli ebrei
romani, sollevando il giusto sdegno e la
riprovazione generale.
Ciò che è cambiato oggi è il palese
squilibrio, la vergognosa disparità di
trattamento a cui viene sottoposto
Israele. Persino un recente rapporto
dell’Onu accusa Israele di “pulizia
etnica” nei confronti dei palestinesi.
Un’accusa talmente inverosimile,
grottesca e falsa da chiedersi come
dovrebbero allora essere definiti i
genocidi commessi in Bosnia, in Siria,
in Libia o nel Centro Africa.
E’ sulla linea di questa esagerazione,
delle colpe o degli errori che Israele
può commettere, che si muove il
movimento BDS antisionista ed
antisemita che spera di isolarlo
economicamente, mettendone in crisi le
relazioni internazionali e gli scambi.
Come ha recentemente spiegato il noto
intellettuale americano Alan
Dershowitz il boicottaggio di Israele
è immorale per molte ragioni, fra cui,
ad esempio:
1. Attribuisce agli israeliani l’intera
colpa dell’occupazione ma non
riconosce la realtà storica del rifiuto
sessantennale del mondo arabo, anche
in presenza di ritiri unilaterali di
Israele.
2) Favorisce il radicalismo dei
palestinesi nel rifiutare le soluzioni di
compromesso al conflitto, che anzi
sanno di poter alzare continuamente le
richieste.
3) Mette in gioco l’esistenza stessa di
Israele.
4) Accusa Israele nonostante esso sia
l’unica democrazia del Medio Oriente
ed in cui i suoi cittadini arabi godono di
più diritti di qualsiasi altro arabo in
qualsiasi altra parte del mondo.
Lavorano alla Knesset, nel sistema
giudiziario, nei servizi esteri, nel
mondo dell’istruzione e in quello degli
affari. Sono liberi di criticare Israele e
di sostenere i suoi nemici. Persino gli
arabi di Ramallah, Betlemme e
Tulkarem hanno più diritti umani e
politici della stragrande maggioranza
degli arabi nel mondo d’oggi.
5) E’ così desideroso di arrecare danno
ad Israele che non gli importa di
arrecare danni anche a migliaia di
palestinesi che lavorano nelle aziende
israeliane che si vorrebbero boicottare
o ai milioni di cittadini che nel mondo
beneficiano dei prodotti e delle
invenzioni Made in Israel.
6) Incoraggia l’estremismo dell’Iran, di
Hezbollah e Hamas.
7) Non si occupa delle ingiustizie molto
più gravi, inclusi i genocidi che
avvengono nel mondo.
8) Incolpando lo Stato nazione del
popolo ebreo, esagerando le sue
pecche, promuove l’antisemitismo,
tanto è vero che il movimento Bds è
promosso su siti internet neonazisti,
che negano l’Olocausto, o su altri siti in
ogni modo apertamente antisemiti.
Antisionisti, boicottatori, nemici di
Israele certamente non vi mancherà il
coraggio di rinunciare ai datteri, ai
pompelmi, ai prodotti di bellezza. Ma
siate almeno coerenti, tornate alla
comunicazione dell’età della pietra
visto che la stragrande maggioranza
della tecnologia digitale e delle
telecomunicazioni viene da Tel Aviv. E
quando starete male rinunciate agli
antibiotici prodotti dall’Istituto
Weizmann o se vi dovesse capitare di
rimanere paralizzati, non azzardatevi
ad alzarvi dalla sedia a rotelle grazie
all’isoscheletro meccanico inventato da
un ingegnere israeliano.
Quindi prima di boicottare pensateci.
SHALOM‫שלום‬
COPERTINA
Quell’Europa strabica
che guarda Israele
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FIAMMA NIRENSTEIN
l’ossessione anti-israeliana
del movimento Bds
DANIEL MOSSERI
Non è una questione
di pompelmi e datteri
ARIEL DAVID
Identikit degli
odiatori di Israele
STEFANO GATTI
ISRAELE
Attenti a chi vorrebbe Israele
come Stato puro e perfetto
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UGO VOLLI
Quando è lecito discutere
con i nemici?
ANGELO PEZZANA
Parlare con gli antisionisti?
A volte è necessario
DONATELLA DI CESARE
FOCUS
Un doppio passaporto
per vincere il pessimismo
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PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO
L’espulsione strumento per
fermare la ‘contaminazione’
MARINA CAFFIERO
PENSIERO
L’orgoglio dell’appartenenza
ed il legame identitario
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CLELIA PIPERNO
un nuovo papato universale:
non è il Vaticano ma l’Onu
GIORGIO ISRAEL
Piace agli americani
l’editoria ebraica italiana
ALESSANDRA FARKAS
Henry il diavolo
e Hannah la santa
PIERO DI NEPI
La malattia come
“premonizione”
DAVID MEGHNAGI
COPERTINA
Quell’Europa strabica
che guarda Israele
Il Vecchio Continente firma decine di accordi
di cooperazione e di ricerca con
lo Stato ebraico. Poi impone condizioni e limiti
che favoriscono il boicottaggio dei beni
israeliani, prodotti su territori i cui confini
sono ancora oggetto di trattativa
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a strada intrapresa dall’Europa nei confronti di Israele
non è chiara. Da una parte, non passa giorno senza che
nuovi importanti accordi vengano firmati, la visita di
Angela Merkel con tutti i suoi ministri dei giorni scorsi è
solo uno dei segnali dell’enorme interesse europeo per l’high tech,
la medicina, l’innovazione in genere e poi, alla fine, la vitalità che
Israele riesce ad esprimere. Ma dall’altra parte le nuove direttive
europee, in particolare le cosiddette “guidelines” della signora
Ashton promulgate nel luglio scorso, dimostrano una animosità
antisraeliana sempre più evidente, che monta come panna montata nella fantasia di chi ama la
grande menzogna di “Israele
Stato di Apartheid”, una eco
della risoluzione ONU del 1975
“Sionismo eguale razzismo”.
Il 2012 è stato l’anno di 60 nuovi
accordi e di accordi cornice per
facilitare l’esportazione in Europa da Israele. Ma il 2013 è stato
l’anno orribile in cui le guidelines
arbitrariamente hanno scavalcato ogni eventuale futuro accordo
fra palestinesi e israeliani, e
hanno deciso che la Linea Verde
ovvero i confini del ‘67, dovevano
essere il futuro confine dello Stato Palestinese. Le guidelines non
incoraggiano solo il boicottaggio contro entità economiche e produttive nel West Bank, ma con tutto ciò che in un Paese piccolo e
intrecciato nei commerci, nelle parentele, nelle abitazioni come
Israele ha a che fare con l’West Bank. Una posizione persecutoria
che deriva, e può allargarsi, a causa di una posizione cornice adottata dal Consiglio per gli affari esteri dell’UE del 2012: “Ogni
accordo fra lo Stato d’Israele e l’Unione Europea deve inequivocabilmente ed esplicitamente indicare la sua inapplicabilità ai territori occupati”, che come si sa, per l’ONU, sono invece territori
disputati. Ma l’Europa la sa più lunga, anche che nel processo di
pace non si parla, come invece si parla, dei famosi “swap” territoriali che scavalcheranno, eventualmente, la LInea Verde. Di fatto
cioè, i territori sono “disputati” anche oggi al tavolo delle trattative aperto fra Tzipi Livni e Sa’eb Erakat, ma l’UE ha già dettato i
suoi confini. Come dicevamo, la sa più lunga.
Tutti si chiedono se il boicottaggio e il disinvestimento, il BDS, sia
un movimento che può veramente incidere sul futuro di Israele
oppure sia solo una mossa di propaganda politica destinata al fallimento. La verità è che le guidelines hanno una stretta parentela
ideologica con il BDS, e quindi applicano a Israele lo stesso sistema
che vanta la guerra antiapartheid in Sud Africa e che ha già avuto
un grande successo ideologico nel rendere popolare una menzogna
evidente e ignobile: cioè, il movimento per il boicottaggio suggerisce che Israele debba essere punito dalla comunità internazionale
per crimini mai commessi, e inventa che Israele sia uno Stato razzista. Nulla potrebbe essere più pazzesco per un Paese dove la mino-
ranza araba, nonostante gli svantaggi culturali legati soprattutto
alla propria tradizione arcaica sulle donne e sul tribalismo e alla
volontà dei suoi capi politici di sfuggire all’integrazione con un
atteggiamento molto aggressivo verso lo Stato Ebraico, gode di una
perfetta eguaglianza giuridica che si manifesta ovunque, basta
guardarsi intorno, alla Knesset, come in tutte le istituzioni dello
Stato e della società civile. Un ospedale israeliano è l’esempio
patente di come ebrei e musulmani, israeliani e palestinesi, possano giacere come pazienti in letti contigui e operare come medici
fianco a fianco nelle corsie.
Il mondo si è bevuto in larga parte la fandonia di “Israele Paese di
apartheid” come quelle ancora più vergognose sull’ “ethnic cleansing” dei palestinesi, e altri orrori mai commessi. Il pregiudizio è la
base teorica del BDS, ed esso è diffuso in tutto il mondo arabo.
Basti pensare che una bambina siriana ha raggiunto Israele, come
tanti altri, per farsi curare ma una donna era stata incaricata di
sorvegliare i medici israeliani ogni minuto perché “ci hanno detto
che le avrebbero rubato gli organi per venderli”. Il successo del
BDS passa per il rifiuto di alcuni artisti (attori, cantanti) a venire in
Israele, per i gruppetti scalmanati che nei supermarket impediscono la vendita di prodotti israeliani, per le università che celebrano
la “settimana dell’apartheid”, ma soprattutto nella scelta dell’Europa di scegliere le guidelines come linea di comportamento. Esse
suggeriscono e permettono il boicottaggio dei terriori ma anche
dei rapporti interni di Israele con
i Territori, e poi si vedrà.
Ovvero, il boicottaggio dell’Europa può investire tutta Israele, e
non solo i Territori, e di fatto lo
sta facendo, se si pensa che una
grande banca come la Bank ha
Poalim è stata messa sulla lista
nera della Deutsche Bank perché
ha qualche succursale nel West
Bank.
Soltanto la parte più estremista
dei palestinesi, ovvero i finto-liberal Hanan Ashrawi e Omar Barghouti sono entusiasti del boicottaggio e delle guidelines: Abu Mazen non gradisce l’ondata di
aggressività che il movimento per il disinvestimento e il boicottaggio, e con esso l’atteggiamento europeo, hanno saputo sviluppare.
Ma ormai non c’è giorno in cui una banca o un’impresa non sviluppi da qualche parte d’Europa il forte sospetto che i suoi commerci,
i suoi business, possano essere danneggiati da un’ombra sul politically correct e sui suoi business se si affermasse l’idea che abbiano
a che fare con l’economia dei Territori Occupati, non sia mai. Così,
mettono questo e quello in una lista nera cui plaudono i movimenti
e le ONG estremiste di tutto il mondo. Deutsche Bank, Danske,
Nordea, Pggm cercano di danneggiare le banche che semplicemente hanno le loro succursali o i loro investimenti in quel piccolissimo
Paese di sette milioni di abitanti in cui tutto è intrecciato, in zone
come Gilo e Pisgat Zee Bank Ha Poalim, Mizrahi Tefahot, Israel
Discount Bank, non possono, naturalmente, essere assenti.
Ci sono grandi fondi pensione, come quello olandese Pggm o quelli norvegesi, che ritirano i soldi, c’è l’agenzia UK trade and Investment che scoraggia ogni commercio con aziende israeliane coinvolte con gli insediamenti. Un’operazione con risvolti e prospettive molto aggressivi, data come dicevamo la dimensione di un
Paese che mangia e esporta gli stessi pomodori e beve e esporta
gli stessi vini di Benyamina o del Golan, per altro molto apprezzati in tutto il mondo.
Più apprezzati ancora sono i medicinali indispensabili ai malati
gravi, le ricerche sull’Alzheimer e sul cancro, gli strumenti elettronici come quello che permette a Stephen Hawking di esprimersi, le
mille invezioni di high-tech che muovono la comunicazione dei
computer di tutto il mondo, le
scoperte da Nobel che fanno
svoltare le strade della chimica, della fisica, della biologia.
Tutto questo diventerebbe
oggetto di boicottaggio se
fosse oggetto di ricerche
nell’Università di Har haTzofim, a Gerusalemme est?
Ma la sconsideratezza del boicottaggio va avanti come un
carro armato, proprio come
avvenne col boicottaggio dei
prodotti, degli affari, dei libri
ebraici e dei professori ebrei
durante l’attacco antisemita
degli anni Trenta. Basta pensare che nelle scorse settimane la Vitens, azienda olandese di erogazione dell’acqua, ha deciso il boicottaggio dell’omologa
israeliana Mekorot che realizza un importantissimo progetto di
acqua per Israele, palestinesi e giordani. In Norvegia i supermarket
Bama e Coop non forniranno più a i loro virtuosi clienti prodotti
degli insediamenti, altre fabbriche abbandonano le loro quote di
investimento nei territori, e chi ne viene a soffrire, ancora di più dei
lavoratori israeliani che comunque possono sperare di ricollocarsi
nell’economia interna alla Linea Verde sono i lavoratori palestinesi.
Essi godono, nelle fabbriche che popolano il West Bank, di un trattamento identico a quello dei lavoratori ebrei e ciò che significa
salari di molto superiori a quelli dei loro compatrioti, assicurazioni,
indennità, pensione.
Il boicottaggio è un mezzo
immorale, un ricatto che stimola i palestinesi a ottenere i
loro scopi senza cedere nulla,
a non trattare veramente
(infatti rifiutano di riconoscere lo Stato del Popolo Ebraico),
a proseguire nella politica di
incitamento antiebraico a
scuola e su media che esaltano il terrorismo e promuovono
l’odio, ad aspettare che la
comunità internazionale gli
consegni tutto ciò che desidera. Le guidelines sono anche
una prova vergognosa di doppio standard perché né la Turchia, né il Marocco, né la Cina,
tutti Paesi occupanti e molto
meno rispettosi dei diritti umani, vengono sanzionati con boicottaggi dei prodotti nei loro territori occupati. Le guidelines sono anche
inutili perché esistono grandi mercati orientali e soprattutto americani pronti a sostituire il mercato europeo, e poi perchè Israele non
cederà mai al ricatto del BDS. Quello che l’Europa non capisce è che
Israele crede in se stesso e cerca con tutte le sue forze, e da decenni, di raggiungere la pace, ma non può farlo compromettendo la
sicurezza e anche l’orgoglio del suo popolo. L’Europa non conosce
più bene la parola integrità, ed è per questo che sbaglia: un Paese
integro, come una persona, non cede mai a un ricatto, specie se
basato su una bugia.
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COPERTINA
Dalle aziende, alle Università, al gay pride:
l’ossessione anti-israeliana del movimento BDS
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
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Gli obiettivi, verificabili online, sembrano scritti a due mani
dai leader di Hamas e di Hezbollah
ultima notizia viene dalla
Danimarca. È di febbraio
la decisione del più grande istituto finanziario
danese, la Danske Bank, di inserire
l’israeliana Bank Hapoalim nella
lista delle imprese presso le quali
non bisogna investire “poiché non
rispetta le regole internazionali del
diritto umanitario”, riferisce orgogliosa la pagina web del movimento
Bds, acronimo delle parole inglesi
“Boicotta, disinvesti, sanziona”
(stessa decisione è stata presa
anche dalla tedesca Deutsche Bank,
ndr.). Di quali atrocità si è dunque
macchiata la banca israeliana per
entrare nella lista nera danese:
sostegno alle mutilazioni genitali femminili in Africa? Traffico di
organi in Asia? Campagne di discriminazione contro la comunità
Lgbt come accade, tanto per restare in Europa, nella vicina Russia? Molto più semplicemente, fra le sue molteplici attività Bank
Hapoalim finanzia anche alcune imprese edili che contribuiscono
all’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, al di
là cioè della Linea Verde del 1967. Quella della banca danese è
una decisione che viaggia in buona compagnia perché molte
imprese, istituti finanziari, sindacati, Università ma anche governi
della Scandinavia adottano da anni restrizioni analoghe. Poche
settimane prima, per esempio, l’esecutivo di Oslo guidato dalla
premier Erna Solberg aveva deciso di escludere le aziende israeliane Danya Cebus e Africa-Israel Investiment dalla lista dei possibili beneficiari di investimenti da parte del ricco fondo pensionistico nazionale. Una decisione con la quale il governo Solberg si è
adeguato alle indicazioni del Consiglio etico nazionale norvegese,
secondo cui le due ditte israeliane “contribuiscono alla seria violazione di diritti individuali, in
guerra o in conflitto, con la
costruzione di insediamenti a
Gerusalemme est”.
La meticolosa attenzione con cui
gli evoluti popoli nordici si muovono sul terreno del conflitto
israelo-palestinese fa onore, in
linea teorica, alla loro tradizionale attenzione per i diritti umani.
Stupisce però come, a cuor leggero, delle capitali lontane cerchino di minare in maniera univoca le imprese e in sostanza lo sviluppo dell’intero Stato ebraico.
Perché è evidente che il core business della Bank Hapoalim, primo
istituto finanziario di Israele, non è certo la crescita dell’edilizia
israeliana in Cisgiordania.
Nato nel mondo arabo a partire dal 1948, con la fondazione cioè di
Israele, il boicottaggio diretto delle imprese israeliane, e poi quello
indiretto di tutte le aziende che intessevano rapporti con “l’entità
sionista,” si è evoluto nel tempo. Dopo la guerra dei Sei Giorni fu
tutto il blocco sovietico, Romania esclusa, a rompere le relazioni
diplomatiche con lo Stato ebraico. Agli arabi e ai satelliti di Mosca
si unì gran parte dei Paesi non-allineati. Ancora nel 2014 la cosiddetta primavera araba non sembra aver cambiato le cose: gran
parte delle capitali arabe e del
mondo islamico non riconoscono
Israele con il pretesto che non ha
risolto il conflitto con i palestinesi (come se invece dal 1948 al
1967 fosse stato tutto uno scambio di ambasciatori). Consolidatosi nel 2005, il Bds è la versione
umanitaria della stessa idea: boicottare Israele, ma a fin di bene.
Un’operazione che per l’Occidente è moralmente accettabile: se
mezzo mondo ha rifiutato di riconoscere lo Stato ebraico da 70
anni a questa parte, cosa ci sarà di male nel boicottare le sue
aziende oppure nell’organizzare campagne affinché i consumatori
scartino nei supermercati e nei negozi i prodotti “Made in Israel”?
Gli obiettivi del movimento, verificabili online, sembrano scritti a
due mani dai leader di Hamas e di Hezbollah. Senza riguardo per
il processo di pace in corso, gli accordi di Oslo o il ritiro israeliano
da Gaza (che nelle pagine web del Bds risulta ancora sotto occupazione), si chiede “di riconoscere il diritto inalienabile del popolo
Palestinese all’autodeterminazione e di rispettare completamente
le norme del diritto internazionale: ponendo termine alla occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe allo smantellamento del Muro (la barriera che separa Israele dalla Cisgiordania e
che ha fermato una luna serie di attentati terroristici contro la
popolazione civile d’Israele, ndr); riconoscendo i diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispettando, proteggendo e promovendo i diritti dei profughi
palestinesi al ritorno nelle loro
case e nelle loro proprietà come
stabilito nella risoluzione 194
dell’Onu”.
Qual è la reazione di Israele
davanti alla campagna Bds? Una
fonte diplomatica di Gerusalemme lo spiega a Shalom. “In primo
luogo – premette – è difficile
quantificare il danno apportato
all’economia israeliana: i nostri
numeri sono positivi: il Pil è in
crescita e le esportazioni in
aumento. È vero però che questi
numeri non dicono tutto: se da
una parte conosciamo la minoranza che ci boicotta apertamente,
dall’altra non sappiamo chi aderisce silenziosamente alla campagna, evitando di commerciare con noi”. La reazione di Israele è
dunque impostata su tre cerchi concentrici: “Primo: affrontare
apertamente il problema così come facciamo con l’Unione europea
quando propone alcune misure concrete, quali, per esempio, un’etichettatura diversa delle merci prodotte negli insediamenti al di
là della Linea Verde. Poi incoraggiamo i nostri amici a discutere
del boicottaggio. Non devi essere necessariamente pro-israeliano
per avere dei dubbi: siamo sicuri che le azioni Bds siano il modo
migliore di gestire la situazione nella regione?
Infine cerchiamo di sostenere le aziende che
esportano, aiutandole a competere sul mercato globale e puntando sulla competitività dei
loro prodotti”.
Guai a definire antisemiti i sostenitori del Bds,
anime belle che vogliono solo la pace in Medio
Oriente. Peccato, invece, che la costante campagna di odio contro le aziende israeliane
percoli, come i liquidi di decomposizione dei
rifiuti, in ambienti che per loro natura e obiettivi istituzionali dovrebbero ben guardarsi dal
discriminare e sanzionare, e che dovrebbero
invece aprire al confronto e al dialogo. Su tutti,
il mondo delle Università. È la stessa fonte
diplomatica a toccare l’argomento partendo
proprio dal particolare successo del movimento Bds nell’Europa del Nord, regione peraltro
in prima fila nel vietare la macellazione rituale
prescritta dalle regole alimentari ebraiche o
nel mettere paletti alla pratica della circoncisione dei neonati maschi, base fondante della tradizione e del
credo ebraico: “Possiamo supporre che la popolarità del boicottaggio sia l’effetto di una società civile più organizzata o di un
ambiente politico più favorevole. Non manca tuttavia chi, per
esempio, dalla Spagna boicotta le nostre Università”.
È di inizio 2014 la notizia che - dopo molti casi analoghi registrati
in Gran Bretagna - anche la American Studies Association ha
deciso di boicottare le relazioni accademiche con Israele. Delirante il comunicato del suo numero uno, il professor Curtiz Marez
dell’Università della California, secondo cui “il boicottaggio è la
strada migliore per proteggere ed espandere
la libertà accademica e l’accesso all’educazione”. La libertà accademica si difenderebbe
quindi rompendo i rapporti con le sole Università del Medio Oriente dove gli studenti accedono a prescindere dalla loro nazionalità o
religione – quelle israeliane –, e mantenendo
invece ottime relazioni con le accademie delle
tante dittature che costellano la regione e il
pianeta. Pronta la risposta dello Stato di New
York, che a fine gennaio ha messo in cantiere
una legge per boicottare i boicottatori, negando cioè finanziamenti e strutture a chi nel
mondo accademico discrimina le università di
un altro Paese. Ma la battaglia culturale contro
chi, con la scusa della solidarietà ai palestinesi, cerca solo di azzoppare Israele nel suo
complesso è lungi dall’essere vinta. Fra gli
esempi più tristi di come il virus del Bds abbia
attecchito in ogni sorta di ambiente, superando cioè l’obiettivo prefisso del boicottaggio
commerciale, resta il caso del gay pride di Madrid del 2010. Adducendo la volontà di solidarizzare con i palestinesi di Gaza, gli
organizzatori madrileni della parata dissero no a una delegazione
israeliana. Una scusa patetica e soprattutto molto mal informata
quella opposta dagli spagnoli, visto che non è certo nel confinante
mondo arabo ma proprio in Israele che i gay palestinesi cercano di
vivere la loro condizione in libertà. Ottenebrati dall’odio anti-israeliano instillato dal Bds, a Madrid non ci hanno riflettuto neanche
per un secondo, rimediando una figuraccia internazionale.
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MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
È PIÙ DI UNA COMPAGNIA AEREA, È ISRAELE
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COPERTINA
Non è una questione
di pompelmi e datteri. Israele
viene ossessivamente rifiutata
Il movimento per il boicottaggio ha fatto
un salto di qualità, trasformandosi
da fenomeno marginale in una campagna globale
che minaccia il benessere e lo status
internazionale dello Stato ebraico
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a campagna internazionale per il boicottaggio economico,
politico e culturale d'Israele si sta rapidamente trasformando: da un rigagnolo alimentato da pochi fanatici in un
fiume in piena. Soprattutto in Europa, ma anche negli Stati
Uniti, si moltiplicano le iniziative BDS – sigla che in inglese sta per
"Boycott, Divestment and Sanctions" – che mirano a isolare lo Stato
ebraico e a costringerlo, a detta dei promotori, a porre fine all'occupazione dei Territori palestinesi.
A gennaio, il più grande fondo pensione olandese, PGGM, ha ritirato i propri investimenti da cinque banche israeliane, ree di svolgere
le proprie attività anche negli insediamenti in Cisgiordania. La
stessa decisione è stata presa dalla svedese Nordea Bank e dalla
Danese Danske Bank. Sempre in Olanda,
divenuta bastione del movimento per il boicottaggio, diverse aziende hanno tagliato i
ponti con Israele sotto pressione del proprio
governo, rinunciando a contratti e collaborazioni che avrebbero interessato anche Gerusalemme Est e la Cisgiordania.
Ma non c'è solo il paese dei tulipani. L'anno
scorso l'Unione Europea ha ordinato il blocco
dei fondi per la ricerca e gli investimenti per
aziende e istituzioni che operano oltre la
Linea verde, e la Germania ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti in ossequio alle nuove
linee guida di Bruxelles. Con l'Europa primo
partner commerciale d'Israele, il boicottaggio
comincia a danneggiare anche le esportazioni. Nel 2013, gli agricoltori della Valle del Giordano hanno visto le
vendite ridursi di 21 milioni di euro, circa il 14 percento, perché
sempre meno negozi e supermercati del vecchio continente vogliono sui propri banchi i datteri, i melograni e i pompelmi dello Stato
ebraico.
Intanto, sull'altra sponda dell'Atlantico sono sbarcate le iniziative
per il boicottaggio accademico e culturale d'Israele. L'Associazione
per gli Studi Americani (ASA), che raccoglie cinquemila tra docenti
e ricercatori che studiano la storia e la cultura del continente, ha
votato a dicembre il boicottaggio di tutte le università e istituzioni
accademiche israeliane. Anche se l'iniziativa è stata condannata da
quasi tutti gli atenei statunitensi, si tratta ancora una volta di un
pericoloso precedente.
Non mancano anche le battute d'arresto per la campagna BDS: in
Francia alcuni attivisti sono stati multati perché i loro appelli al
boicottaggio sono stati considerati una violazione della legge contro l'istigazione all'odio razziale.
Grande scalpore ha fatto poi la vicenda di Scarlett Johansson, attaccata dai militanti filopalestinesi per aver accettato di fare da testimonial alla SodaStream, società che opera una fabbrica in Cisgiordania e impiega centinaia di palestinesi. La star americana ha
resistito agli appelli che la invitavano a rinunciare all'accordo, ma il
problema è che anche queste apparenti sconfitte offrono grandi
spazi mediatici al movimento BDS, dandogli la possibilità di fare
sempre più proseliti.
Sebbene i danni per l'economia israeliana siano al momento ancora
trascurabili, la sensazione in Israele è che il movimento per il boi-
cottaggio abbia fatto un salto di qualità, trasformandosi da fenomeno marginale in una campagna globale che minaccia il benessere e
lo status internazionale dello Stato ebraico. Che Gerusalemme
senta crescere la pressione lo dimostra la linea del governo del
premier Benjamin Netanyahu che, dopo aver a lungo ignorato la
campagna BDS, ha cominciato a reagire alla minaccia. Purtroppo, la
reazione della leadership israeliana si dimostra spesso scomposta,
controproducente, e consiste principalmente nel lanciare accuse di
antisemitismo e sparare a zero su chiunque critichi il governo o
faccia persino menzione del boicottaggio.
Esempio della nuova sensibilità israeliana sull'argomento è Naftali
Bennett, ministro dell'Economia e leader del partito ultranazionalista Habayit Hayehudi, la Casa Ebraica. Bennett si è prodotto in una
drammatica uscita dall'aula della Knesset per protestare contro il
discorso del presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, che
parlando all'emiciclo di Gerusalemme aveva osato sollevare dei
dubbi sulle politiche israeliane in Cisgiordania. In precedenza, Bennett aveva accusato il
segretario di Stato USA John Kerry di essere
un "portavoce degli antisemiti" per aver ragionevolmente paventato che senza un accordo
di pace con i palestinesi i boicottaggi e i
pericoli per la democrazia israeliana si moltiplicherebbero.
Anche il ministro della Difesa Moshe Yaalon
ha attaccato Kerry, definendolo "messianico"
e "ossessionato" dal desiderio di porre fine al
conflitto, suscitando così lo sdegno della
Casa Bianca. Il ministro delle Finanze, il
moderato Yair Lapid, si è invece schierato
con gli americani, dichiarando che il fallimento dei colloqui farebbe guadagnare terreno
alla campagna per il boicottaggio e che le conseguenze per l'economia israeliana sarebbero disastrose. Naturalmente a zittirlo ci ha
pensato Bennett, che ha ribadito il suo "no" all'indipendenza palestinese, affermando che il vero disastro economico per Israele sarebbe
la nascita di uno "stato terrorista" ai suoi confini.
Al contrario dei boicottatori, che addossano a Israele tutta la
responsabilità per le difficoltà del processo di pace, chi segue le
vicende mediorientali con un minimo di obbiettività sa che lo stallo
nei negoziati è causato in buona parte dall'intransigenza palestinese su questioni-chiave del conflitto come la spartizione di Gerusalemme e la rivendicazione del cosiddetto "diritto al ritorno" entro i
confini d'Israele per milioni di profughi palestinesi. Ma il presidente
dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen non ha ragione di
ammorbidire le proprie posizioni quando il suo avversario continua
a fornire spontaneamente nuovo materiale mediatico e argomentazioni a chi sostiene che Israele non voglia la pace e sia guidato da
un regime razzista e pericoloso. Dal suo punto di vista, Abu Mazen
deve solo lasciare che gli screzi con gli alleati, le sceneggiate di
politici estremisti e la continua espansione degli insediamenti in
barba alle condanne internazionali alimentino la campagna globale
contro Israele e portino la pressione sullo Stato ebraico a un livello
insostenibile.
Netanyahu avrà anche ragione quando dichiara che la campagna
BDS non è altro che "il vecchio antisemitismo in una nuova veste".
Ciò non toglie che, con le sue politiche, Israele rischia di fare il gioco
dei suoi nemici.
ARIEL DAVID
Identikit degli odiatori di Israele
I
l Movimento 5 Stelle agli inizi di febbraio ha presentato una
mozione parlamentare in cui chiede che il Gruppo Acea,
azienda responsabile del settore idrico di Roma, interrompa
il contratto stipulato nel dicembre scorso con la Mekorot
compagnia idrica israeliana, poiché gli israeliani forniscono acqua
agli insediamenti ebraici presenti nel territorio conteso di Cisgiordania. Nel dicembre scorso la campagna di boicottaggio “L’acqua
è limpida, gli affari di Sodastream in Palestina, no: boicotta le
bollicine dell’Apartheid israeliana” promossa dalle componenti
più estremiste dell’antisionismo italiano, ha convinto l’assessore
all’ambiente del comune di
Trieste Umberto Laureni a non
usare i prodotti dell’israeliana
Sodastream per i suoi punti di
distribuzione di acqua. Questi
recenti episodi di boicottaggio
anti-Israele sono solo due dei
tanti esempi di BDS che si susseguono continuamente ormai
da anni in Italia e nel mondo.
Il BDS italiano viene promosso
da centinaia di associazioni e
da piccoli partiti e movimenti,
quasi tutti gravitanti all’interno
della galassia della sinistra
radicale, dell’estremismo islamico-palestinese e della chiesa
‘di base’.
BDS, acronimo di Boicottaggio
Disinvestimento Sanzioni, si autodefinisce “contro Israele, costituito da associazioni e gruppi che hanno aderito all’appello della
società palestinese del 2005”, è un movimento internazionale
composto da Organizzazioni Non Governative (NGO) nato il 6
aprile del 2004 a Ramallah su ispirazione arabo-palestinese, che
nel luglio 2005 attraverso il web ha lanciato il suo manifesto
“Boycott, Divestment and Sanctions against Israel” ispirato al
manifesto antisionista stilato dalle organizzazioni NGO durante la
famigerata conferenza ONU contro il razzismo di Durban 2001.
Il BDS fa uso di un ristretto numero di slogan che si richiamano
alla terminologia usata dai movimenti antirazzisti contro l’apartheid in Sud-Africa. Questi slogan includono le accuse che Israele
è “uno stato colonialista e di apartheid”, “un regime discriminatorio e di occupazione”, “violatore delle leggi internazionali”, “un
occupante repressore”. Il movimento internazionale per il boicottaggio da un lato sostiene di battersi affinché lo Stato ebraico
rispetti la legge internazionale ed i principi universali dei diritti
umani, ma dall’altro promuove “l’abolizione di Israele”.
Il BDS è composto da un numero relativamente basso di militanti
anti-Israele attivi a tempo pieno, generosamente finanziati, e che
vengono ispirati ed incoraggiati dai più importanti esponenti
dell’estremismo palestinese come Omar Barghouti, Mustafa Barghouti, Nabil Sha’att ed altri. Anche numerosi studiosi di fama e
persone di spettacolo occidentali, per lo più vicini alla sinistra
radicale, si sono fatti portabandiera delle campagne contro Israele, uno dei più attivi è l’ex leader dei Pink Floyd Roger Waters che,
in una recente intervista, ha inneggiato al BDS contro “il regime
israeliano di apartheid razzista”.
Il BDS si articola in tre sezioni: boicottaggio culturale, boicottaggio commerciale e boicottaggio accademico, e si fa promotore di
molteplici iniziative, soprattutto in Europa e Nord America, raccoglie fondi, organizza seminari, conferenze e dimostrazioni in supporto all’isolamento ed al boicottaggio di Israele in ogni modo
possibile. Il movimento afferma di godere del sostegno di centinaia di organizzazioni non governative che hanno sottoscritto i suoi
documenti di base, tuttavia, ad un attento esame, molte di queste
organizzazioni NGO firmatarie sono fasulle, o sono sigle di facciata dietro cui si celano gli estremisti antisemiti di Hamas e di altre
organizzazioni terroristiche arabo-islamiche.
Il modus operandi del BDS è di frequente aggressivo, fatto di campagne minacciose e talvolta
azioni violente (distruzione di
negozi e di merci, pestaggi,
etc.) dirette contro associazioni,
aziende, marchi e singoli individui associati in qualche modo ai
‘sionisti’. A Londra nel 2009 un
gruppo di militanti che partecipavano alla campagna di boicottaggio contro la catena internazionale di caffetterie Starbucks, ha assalito e distrutto un
negozio di “Starbucks sionista
che finanzia l’esercito israeliano”.
Recentemente l’attrice americana Scarlett Johansson ha scelto
di rinunciare all’incarico di
ambasciatrice per Oxfam, dopo
che l’organizzazione umanitaria l’aveva duramente attaccata per
aver scelto di diventare testimonial dei prodotti della ‘sionista’
Sodastream, società con fabbrica nella West Bank.
Le campagne BDS usano spesso temi ed immagini dell’antisemitismo, il paradigma più utilizzato è quello cospirativista che si alimenta al famigerato falso antisemita Protocolli dei savi di Sion.
Anche il network delle organizzazioni non governative che formano il BDS attinge ampiamente all’archivio antisemitico, nel 2010 la
NGO palestinese Badil per una sua campagna ha usato la caricatura di un ebreo ritratto secondo una tipizzazione antisemita
seduto sul cadavere straziato di un bambino, e a marzo del 2013
la NGO palestinese Miftah ha pubblicato un articolo in cui gli
ebrei vengono accusati di praticare omicidi rituali di non-ebrei.
Molti studiosi di antisemitismo ormai, come sottolineato durante
il 4° Global Forum for Combating Antisemitism svoltosi a Gerusalemme nel maggio 2013, ritengono il BDS una nuova forma di
antisemitismo, ed anche la definizione operativa dell’antisemitismo adottata dall’EUMC/FRA nel 2005 ritiene il disinvestimento
una manifestazione di antisemitismo. Da un po’ di tempo però la
linea del boicottaggio e del disinvestimento non è più solo un
mezzo degli estremisti, anche grandi fondi pensione e chiese cristiane specie del Nord-Europa hanno deciso di disinvestire da
società e banche israeliane, e negli ultimi mesi persino il Segretario
di Stato americano John Kerry, l’ambasciatore dell’Unione Europea
in Israele Faaborg-Anderson e certe “guidelines” UE hanno ambiguamente minacciato il boicottaggio dello Stato ebraico.
Il BDS si configura come un tentativo di legittimare la delegittimazione di Israele all’interno del discorso politico, e di etichettare i
sostenitori dello Stato ebraico come i complici di un’entità maligna.
STEFANO GATTI
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Nel nostro Paese il boicottaggio dello Stato ebraico viene promosso da centinaia
di associazioni e da piccoli partiti e movimenti, quasi tutti gravitanti all’interno della galassia
della sinistra radicale, dell’estremismo islamico-palestinese e della chiesa ‘di base’
9
COPERTINA
Quell’odio viscerale
contro Israele
Da dieci anni, nel mese di
marzo, in quasi tutti i campus
universitari del mondo si tiene
la IAW ‘Israel Apartheid Week’,
la settimana del boicottaggio
O
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
rmai il boicottaggio contro i prodotti israeliani nelle sue più svariate manifestazioni è diventato
una questione di principio e un
modus vivendi per coloro che ritengono
Israele la causa principale della crisi del
Medio Oriente.
L’ultimo episodio, che ha fatto eco in tutto
il mondo è stato il boicottaggio della SodaStream, azienda israeliana produttrice di
un elettrodomestico che permette di creare diverse bibite in casa propria, il cui spot
non è stato trasmesso al SuperBowl perché il principale stabilimento di produzione si trova in Cisgiordania (dove dà lavoro
a 900 palestinesi). Certamente la vicenda
non avrebbe avuto tanto peso se la testimonial non fosse stata Scarlett Johansson,
la quale, a seguito delle critiche, ha deciso di interrompere la collaborazione con
Oxfam, una confederazione di ONG schierata a favore della causa palestinese e per
la quale da otto anni ricopriva il ruolo di
ambasciatrice.
Questo episodio ha messo in luce a livello
globale un fenomeno in realtà già molto
diffuso e ben radicato: quello del boicottaggio anti-israeliano organizzato. Il BDS,
Boycott, Divestment and Sanctions Movement, un movimento globale nato nel
luglio 2005 e creato da quasi 200 ONG
palestinesi che attraverso pressioni politiche ed economiche non violente, chiede
la fine dell’occupazione delle terre palestinesi e della colonizzazione, l’eguaglianza
dei diritti per gli arabi-israeliani e il ri-
10
spetto dei diritti dei rifugiati a ritornare
alle proprie abitazioni e proprietà. I metodi del movimento prevedono il boicottaggio non solo delle società - sia israeliane
che internazionali - in qualche modo coinvolte nel supposto abuso dei diritti dei
palestinesi (come quelle con sedi nei territori occupati), ma anche delle istituzioni
culturali, accademiche e sportive, che con
il loro operato sostengono e promuovono
scambi e partnership con lo Stato ebraico.
Il movimento ha come obiettivo quello di
creare un’immagine criminale di Israele
e ad esso si sono stati l’Association for
Asian American Studies (AAAS) e l’American Studies Association oltre al noto fisico Stephen Hawkins.
Lo stesso rappresentante per la questione
dei diritti dei rifugiati palestinesi presso
il Consiglio ONU per i Diritti Umani, Richard Falks (che recentemente ha accusato Israele di pulizia etnica nei confronti
dei Palestinesi), nel suo rapporto del 2012
ha esplicitamente raccomandato il boicottaggio di specifiche società che hanno interessi nei territori occupati, come la HP,
la Caterpillar e la Motorola.
Possiamo renderci conto di quanto questo
fenomeno sia rilevante se pensiamo che
una settimana l’anno, durante il mese di
marzo, da dieci anni, si pratica in quasi
tutte le città e campus universitari del
mondo, a cui si sono recentemente aggiunti Sud Africa, Regno Unito, Canada
e USA, la IAW (Israel Apartheid Week),
una serie di dimostrazioni come analisi
letterarie, multimediali e culturali mosse
per mettere alla luce come Israele sia uno
stato basato sull’apartheid e sull’usura.
Recentemente anche in Italia il fuoco del
boicottaggio anti-israeliano si è ulteriormente alimentato, a seguito dell’accordo di collaborazione siglato tra ACEA e
Mekorot; i rappresentanti del Movimento
5 Stelle hanno presentato sia un’interrogazione parlamentare che una di fronte al
Consiglio del Comune di Roma criticando
questa decisione.
Ma per boicottare davvero Israele, non
basta limitarsi a rinunciare alle bibite di
Soda-Stream: per coerenza bisognerebbe
iniziare a non usare più nessun oggetto
che sia stato anche solo progettato in Israele. Parliamo di oggetti di uso quotidiano:
chiavette USB, alcuni microprocessori di
computer e alcuni antivirus, ma anche di
fondamentali strumenti di diagnostica e
medicine, come il Copaxone, per la cura
della Sclerosi Multipla.
YAEL DI CONSIGLIO
Ariel Nacamulli
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Mekorot: la società israeliana,
accusata di rubare acqua
ai palestinesi
N
egli ultimi anni sono spuntati
come funghi siti e gruppi di
persone che dedicano le proprie giornate soltanto all’attività di sabotaggio della crescita economica
e commerciale israeliana; dai pompelmi
Jaffa ai cosmetici Ahava, dai datteri,
all’intimo di Victoria’s Secret: la scusa per
far partecipare più persone possibile al
boicottaggio è che le fabbriche e gli
impianti dei prodotti in questione si trovano in Cisgiordania, in quei territori
contesi che dagli anni ‘70 in poi la propaganda palestinese si è raccomandata di
chiamare “colonie”.
Il mix esplosivo di malafede dei fautori e
ignoranza dell’opinione pubblica, fa si che
attraverso queste attività si divulghino
informazioni false e calunnie nei confronti
dello Stato Ebraico e dei suoi cittadini.
Quando si organizzano queste campagne
denigratorie, infatti, non solo vengono tirate in ballo questioni geopolitiche complesse con una superficialità infinita, ma non si
tiene neanche conto dei fattori cruciali che
danneggiano gli stessi palestinesi.
Parlando delle aziende israeliane nel
West Bank, per esempio, non si prendono
in considerazione le migliaia di cittadini
palestinesi che vi lavorano, con pari diritti e stessi compensi dei colleghi israeliani. I boicottatori, paladini di una giustizia
fai da te, non tengono conto del danno
che recano a chi, grazie a queste fabbriche, porta a casa l’unico stipendio della
famiglia e coltiva sul posto di lavoro ami-
cizie e scambi culturali con i vicini di
casa, che alcuni vogliono che restino
nemici. Nel caso dell’azienda SodaStream, per esempio, sono state ignorate
completamente le voci dei lavoratori palestinesi che chiedevano di non mettere in
difficoltà la società, senza la quale si
ritroverebbero disoccupati.
L’ultima campagna di boicottaggio importante in Italia, ha visto protagonista, suo
malgrado, l’azienda idrica Mekorot, che
gestisce gli impianti di acqua in Israele e
che ha firmato accordi con l’Autorità
Nazionale Palestinese nel ‘95, nell’ambito
degli accordi di Oslo. A sventolare la bandiera dell’odio sono stati gli attivisti di
BDS, seguiti a ruota da alcuni esponenti
del Movimento 5 Stelle, per cercare di far
saltare le intese tra la società israeliana
ed ACEA. La quantità di false informazioni fornite non ha visto limiti; si è accusato
Israele di rubare l’acqua ai palestinesi, di
fargliela pagare cara, di chiudere i rubinetti nel momento del bisogno, e di gestire risorse idriche di proprietà dell’Autorità Palestinese. Ecco come stanno realmente i fatti.
Mekorot è una società israeliana a partecipazione statale, che gestisce le risorse
idriche di Israele e fornisce alla popolazione palestinese il 25% del consumo totale di
quest’ultima, perché il restante 75% di
acqua è gestito e distribuito direttamente
dall’Autorità Nazionale Palestinese. Que-
sto vuol dire che
le accuse che Israele lascia a secco i
palestinesi non
può essere vera.
Mekorot garantisce la distribuzione d’acqua ogni
giorno e 24 ore su
24. L’azienda non
ha mai tenuto
conto della crisi
politica tra lo Stato Ebraico e ANP, e neanche della situazione con Hamas a Gaza. Ha
lavorato anche in casi di emergenza, come
quando nel 2013 ha fornito nella Striscia
gli strumenti per evacuare le zone colpite
da una grande inondazione. Quindi comunque vadano gli accordi fra israeliani e
palestinesi, la fornitura d’acqua non ne
risente. Mekorot vende l’acqua all’ANP ad
un prezzo minore rispetto a quello richiesto allo Stato israeliano. Esattamente 2,85
shekel, contro 4,16. Chi cerca la disparità
la trova nel prezzo, quindi. È però in favore
dei consumatori palestinesi. È vero che la
gran parte dei palestinesi si trova spesso
in carenza di acqua: questo è dovuto alla
pessima gestione degli impianti idrici da
parte della stessa Autorità Palestinese.
Per migliorare le conoscenze sulla gestione delle risorse idriche, Mekorot organizza
corsi di formazione sulla bonifica e sulla
desalinizzazione dell’acqua.
L’ANP mantiene ottimi rapporti con Mekorot. La proficua collaborazione rappresenta
una sicurezza per la popolazione palestinese. Ora, chi vuole può continuare a boicottare ciò che vuole, ma si risparmi almeno la
fandonia che lo fa per il bene del popolo
palestinese; se c’è una speranza per quella
gente, è proprio il mantenimento di rapporti lavorativi ed economici con uno stato che
non sia corrotto come le autorità che governano i territori palestinesi.
MICOL ANTICOLI
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Quando le accuse
affogano in
un mare di bugie
11
ISRAELE
Attenti a chi vorrebbe Israele come Stato puro e perfetto
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
U
12
Sono coloro che rifiutano la dimensione quotidiana e terrena dello Stato ebraico.
Sono coloro che in nome di un’utopia vorrebbero vedere cancellata la realtà
di un paese che resiste e combatte
no dei fatti che non può non colpire chi si occupa di
Israele, e naturalmente è molto commentato, è il grado
di inimicizia e di odio vero e proprio che lo colpisce nella
società contemporanea, soprattutto negli ambienti politici, giornalistici, intellettuali. Pur essendo la
società israeliana di
grande successo economico, sociale e culturale,
pur avendo una natura
democratica profonda,
pur rispettando le sue
minoranze e gestendo i
conflitti coi nemici che la
circondano in maniera
da ridurre al minimo
possibile la violenza, pur
non avendo per dimensioni, popolazione, risorse naturali la possibilità materiale di
diventare una potenza aggressiva, Israele è il solo stato al mondo
ad essere continuamente delegittimato, demonizzato, boicottato,
accusato nelle istanze internazionali di colonialismo e imperialismo, trattato dalla stampa e dai politici anche dei paesi amici
come se fosse un pericolo pubblico, con un governo sempre etichettato di "estremismo", comunque composto. Anche in questi
anni in cui Israele è stato palesemente il luogo più pacifico e
tranquillo del Medio Oriente, manifestazioni e boicottaggi si sono
rivolti contro di lui, ignorando luoghi come la Siria, la Libia, l'Egitto, l'Iraq devastati da terribili guerre civili.
Che tutto ciò venga dai nemici dell'ebraismo è comprensibile,
anche se certamente inaccettabile. Il fatto è però che molti ebrei
di diverso orientamento e competenza hanno sostenuto e sostengono posizioni in diverso grado modo analoghe. C'è chi accusa
Israele di essere uno stato criminale, razzista, che pratica l'apartheid (Chomski e Falk e Goldstone, i Neturei Karta e qualche
petulante loro imitatore nostrano). C'è chi nega l'esistenza del
popolo ebraico, magari per ridurlo a una religione in cui non
crede e distaccarsi così da esso (Shlomo Sand) in modo da sentirsi solo internazionale e interculturale. C'è chi si limita a deplorare la presenza dei “coloni” (“non sono nostri fratelli”) e magari anche degli “ultraortodossi”, accettando solo un pezzo di
Israele, quello “laico”, di cui ignorano però le radici. C'è chi
spiega che non c'è nessun legame fra ebraismo e sionismo e si
attribuisce il diritto, anzi il dovere di essere ebreo e antisionista
assieme (a livello internazionale studiosi noti come Butler e
Boyarin, anche in questo caso con qualche imitatore locale). C'è
chi condanna “il governo” e “le politiche” e non in linea di principio lo stato, peccato che si tratti di tutti i governi e di tutte le
politiche effettive. C'è chi aderisce alle rivendicazioni palestinesi, considera giusto il riarmo iraniano, appoggia le flottiglie. Chi
si limita a voler “costringere” Israele alla “pace”, cioè alla resa
alle posizioni palestinesi, naturalmente “per il suo bene”. Molte
di queste posizioni si intrecciano e si mescolano variamente. Ma
infine ci sono anche gli “utopisti”, che possono condividere le
posizioni che ho citato, ma la condiscono con un punto di vista
morale: trovano sbagliata, intollerabile, disgustosa la situazione
attuale, e che vorrebbero un Israele puro e perfetto. Il boicottaggio è un mezzo immorale, un ricatto che stimola i palestinesi a
ottenere i loro scopi senza cedere nulla, a non trattare veramente (infatti rifiutano di riconoscere lo Stato del Popolo Ebraico), a
proseguire nella politica di incitamento antiebraico a scuola e sui
media che esalta il terrorismo e promuove l'odio, ad aspettare
che la comunità internazionale gli consegni tutto ciò che desidera. Vorrei occuparmi soprattutto di costoro.
Perché questi atteggiamenti? Anche qui, bisogna distinguere. C'è una
parte che si adegua
all'antisionismo circostante, come nell'Ottocento moltissimi ebrei
espressero luoghi comuni antisemiti, a partire
da Marx per arrivare al
nostro Lombroso. Questo adeguamento può
essere interessato: certamente un ebreo che si
dichiari antisionista o "critico" ha più probabilità di piacere a un
pubblico che condivide i suoi pregiudizi, di ottenere rubriche sui
giornali, interviste a dittatori arabi, platee politically correct plaudenti, premi letterari, cattedre universitarie e incarichi nelle organizzazioni internazionali. O può essere semplicemente la subordinazione alle correnti di opinione che purtroppo capita a tutti. Non
mi interessa però qui discutere di questi personaggi.
Quel che incuriosisce e preoccupa sono altre posizioni, personalmente certo più rispettabili, ma certamente pericolose, quelle che
ho chiamato utopistiche che fino a prova contraria vanno attribuite a un sentimento di stima e di amore se non per il popolo ebraico in carne ed ossa, almeno per una sua immagine utopica, trovata nella storia, nella Torah, nella filosofia. Alla base sta l'idea più o
meno messianica che gli ebrei non possano e non debbano essere
un popolo come tutti gli altri nemmeno nella loro organizzazione
politica, ma debbano vivere in uno stato di perfezione che sia di
esempio a tutti – o rassegnarsi all'esilio e alla schiavitù. O santi,
nel senso cristiano di perfetti, non in quello ebraico di separati, o
schiavi, senza via di mezzo. Queste posizioni sono alla radice
dell'antisionismo haredì, di cui i Neturei Karta sono solo la punta
più visibile (e fastidiosamente esibizionista) dell'iceberg, ma che
coinvolge i molto più numerosi chassidim di Satmar e molti altri
almeno parzialmente: se non guidati direttamente dal Messia, e
dunque dalla volontà divina in seguito a un raggiunto stato di
purezza del popolo, insediarsi in Israele non solo è inutile ma sbagliato, fare uno stato è contrastare il decreto divino.
Da posizioni molto diverse, un grande maestro di Torah come
Yeshayahu Leibowitz si scagliò contro lo stato di Israele, fino a
definire “nazista” Tzahal. E in maniera ancora diversa, senza
arrivare a questi eccessi, Martin Buber (prima di lui Ahad Haam)
polemizzò duramente contro le scelte politiche che portarono alla
costituzione dello stato di Israele, giudicandole moralmente dubbie: una posizione condivisa dal primo rettore dell'Università
Ebraica di Gerusalemme, Leon Magnes, che arrivò a fare una
campagna in America per dissuadere l'amministrazione Truman
dal riconoscimento del nuovo stato. Fuori dall'ambito religioso, e
paradossalmente sulla base di una posizione teorica che esalta la
posizione politica, Hannah Arendt si schierò spesso contro Israele
per ragioni analoghe, perché Israele era uno stato e regolava il
proprio statuto interno e le relazioni esterne sulla base della
imperfetta logica del possibile, senza indicare un rinnovamento
utopico della convivenza umana.
politica che è premessa e non conseguenza della rivelazione della
Torah, come si vede chiaramente
dal racconto di Esodo 18-19). L'idea che l'ebraismo debba essere
apolitico e utopico, o “santo” e
messianico (che in fondo è la stessa cosa) è estranea alla nostra
tradizione, oltre che storicamente
infondata. Dappertutto e sempre
l'ebraismo si è organizzato come comunità civile, costruendo le
istituzioni di autogoverno che poteva realizzare e usandole come
base per realizzare la forma di vita prescritta dalla tradizione.
Quando ha dovuto non ha esitato a difendere la sua vita con le
armi, dalle battaglie di Abramo a quella che conclude il libro di
Ester fino alla resistenza antinazista e alla difesa dello Stato di
Israele. La dimensione politica e militare è perfettamente presente a partire da quel testo originario dell'anima ebraica che è il
canto di Mosè dopo il passaggio del mare. L'ebraismo non è mai
stato né anarchico, né pacifista (anche se desideroso della pace,
certamente, ma non in ogni modo e ad ogni costo). E non è stato
utopico, anzi è la più topica delle religioni (ammesso che sia una
religione), quella più strettamente legata a un edificio (il Tempio),
un luogo (Gerusalemme), una terra (Israele), un popolo. Negare
questi legami in favore di universalismi, utopie, pretese di perfezioni assolute, porta vicino alle varie categorie dei nemici del
popolo ebraico, da cui questa riflessione è partita.
UGO VOLLI
Nella pagina a fianco da sin.: Martin Buber, Yeshayahu Leibowitz, e
Leon Magnes in alto da sin.: Schlomo Sand e Richard Goldstone
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Tutti questi casi, così diversi fra
loro, e altri ancora più recenti che
si potrebbero indicare anche in
Italia, hanno in comune la sfiducia o piuttosto il rifiuto della
dimensione quotidiana e terrena
dello stato di Israele, contrapponendolo a un'utopia in cui il potere non dovrebbe essere più
oppressivo, non ci sarebbe più
violenza e ingiustizia, lo stato stesso potrebbe deperire nell'anarchia. In assenza di questa condizione ideale, sarebbe meglio
“subire l'ingiustizia che commetterla” (come recita una celebre
affermazione che Platone attribuisce a Socrate), e dunque non
costituire uno stato ma vivere sotto il dominio dei popoli. E' facile
mostrare come questa posizione sia irrealistica e pericolosa. Basta
richiamare alla storia eterna dell'antisemitismo, al fatto che, come
prevede l'Aggadà, non c'è stata generazione nei vari esili che ha
subito il popolo ebraico (in Egitto, in Babilonia, in Persia, negli
ultimi duemila anni in tutto il mondo) che non abbia subito
aggressioni e tentativi di genocidio. E' facile anche richiamare la
conclusione del libro dei Giudici, con le orribili stragi interne al
popolo ebraico e il dibattito che segue quando il popolo chiede di
avere “un re che ci governi” (cioè un sistema politico) “come tutti
gli altri popoli”, Samuele si oppone ma la voce divina gli dice, sia
pure a malincuore, di accettare la proposta (Samuele, cap. 8). O su
tutti i passi talmudici in cui, pur sotto il dominio oppressivo dei
romani, si dice che un governo, anche cattivo, è preferibile all'anarchia, dove “gli uomini si divorerebbero fra loro”.
Il punto è ancora più generale, ha a che fare con la costituzione di
Israele come popolo, sulla instaurazione della sua organizzazione
13
ISRAELE
Quando è lecito discutere
con i nemici?
Serve parlare con chi visceralmente odia Israele?
“L
a pace si fa con il nemico”, quante volte abbiamo ascoltato questa frase
a sostegno della ineluttabilità di un accordo – qualunque esso sia
– abbinato con un’altra espressione “
Israele è pronta per fare scelte dolorose”,
due modi di dire che contengono un’alta
dose di rispettabilità, indici di quella
buona volontà che nello Stato ebraico è
sempre esistita pur di arrivare alla pace
con il mondo arabo. Israele ci è arrivata,
appunto, facendo la pace con i nemici –
Egitto e Giordania – ha ceduto territori
conquistati in guerre difensive, pur di
arrivare alla pace. Ha optato per ‘scelte
dolorose’, come l’uscita da Gaza, pur di
dimostrare al mondo che a Gaza poteva
nascere una parte di quello Stato che gli
ASSOCIAZIONE
D.A.N.I.E.L.A
DI CASTRO
AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA
L’“Associazione Daniela Di Castro
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Amici del Museo Ebraico di Roma”
14
è nata per aiutare il Museo Ebraico
di Roma nella tutela, conservazione,
promozione, diffusione e sviluppo
della ricchezza del suo patrimonio.
PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI:
www.associazionedanieladicastro.org
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Tel. 334 8265285
arabi-palestinesi da alcuni decenni rivendicano. Circa diecimila israeliani sono
stati evacuati dalla Striscia, una scelta
che ha causato disperazione e sofferenze,
motivata però dal bisogno di dimostrare
la buona fede di Israele. Ma Gaza è diventata una entità criminale, un aborto di
Stato il cui unico scopo è la guerra agli
ebrei, ovvero la distruzione di Israele. A
distanza di quasi un decennio, è bene
chiedersi se il duplicato di quella tragica
esperienza – l’abbandono della Valle del
Giordano, come Usa e Ue chiedono con
insistenza a Israele di accettare – sia da
mettere all’ordine del giorno.
Mentre scrivo si è appena appreso il fallimento della Conferenza di Ginevra per
porre fine al massacro siriano, ma la cosa
non ha destato particolari recriminazioni,
in più nessuno si è preoccupato di stabilire a chi andava attribuita la responsabilità. I massacri continueranno, come avviene in Libia, Iraq, Sudan, Nigeria e in gran
parte del mondo arabo-musulmano, guerre tribali nelle quali è difficile stabilire a
quale delle parti sia da attribuire la maggiore criminalità. Le notizie scompaiono
dalle prime pagine, passano agli esteri,
per diventare alla fine ‘brevi’ di agenzia.
Con Israele no, se i colloqui con l’Anp –
quasi giunti a conclusione – si riveleranno
un fallimento, fin da ora Usa e Ue hanno
decretato che la responsabilità è di Israele. Giunti a questo punto è opportuno
chiedersi se quel nemico con il quale deve
essere fatta la pace ha titolo per sedersi al
tavolo delle trattative, se ha le carte in
regola. Mentre Israele riconosce l’Anp
come partner, lo stesso non si può dire
della controparte. L’Anp si rifiuta di riconoscere Israele quale Stato degli ebrei. Le
istituzioni internazionali avrebbero dovuto pretenderlo, ma si sono ben guardate
dal farlo, così come non intervengono mai
a sanzionare le infinite violazioni dei diritti civili che contraddistinguono la società
palestinese. È un problema di legittimazione: si deve discutere con chi non ti
riconosce? Se gli infiniti incontri – non
ultimo quello che sembrava definitivo di
Oslo – si sono rivelati inutili, ha senso
ripetere ogni volta lo stesso errore?
Riflettevo su questa domanda lo scorso
mese, in merito alla presentazione a Torino di un libro di Donatella Di Cesare sulla
filosofia ebraica, dopo aver visto che il
suo interlocutore era Gianni Vattimo, certamente un filosofo, ma anche l’espressio-
ne del più virulento anti-sionismo, diciamo pure uno degli odiatori di Israele più
viscerali. L’immagine, insieme al suo collega Piergiorgio Oddifreddi, del cattivo
maestro. Aver scelto di discutere con
Vattimo equivale alla sua legittimazione,
lo qualifica quale interlocutore e non
come un nemico le cui idee vanno combattute proprio perché sono conosciute.
Vattimo non è un avversario con il quale è
lecito confrontarsi, come non lo è Oddifreddi. Sono due nemici, e i nemici si
combattono, con loro non ci si siede intorno a un tavolo, non hanno nulla da comunicarci se non l’odio per Israele.
La Stampa, giornale sul quale Vattimo ha
sempre scritto, ha reciso il contratto di collaborazione, lo stesso è successo a Oddifreddi, la Repubblica ha definitivamente
chiuso il suo blog. È giusto lanciargli un
salvagente che lo ri-legittima, dopo tutte le
menzogne che in continuazione lancia contro Israele? La domanda non è retorica.
ANGELO PEZZANA
Nella foto in basso: il dibattito tra
Donatella Di Cesare (sin.) e Gianni Vattimo (dx.)
Accettare la disputa con chi accusa Israele anzitutto
di illegittimità, con argomenti vecchi e nuovi, può essere
faticoso, frustrante, irritante, ma è un obbligo
S
arebbe forse impensabile, in Italia, un dibattito televisivo su Israele. Questo dà la misura della
situazione. Il tema è censurato a
priori, evitato sistematicamente ovunque
nello spazio pubblico, come se non potesse esserci un dibattito democratico. Si
può parlare della Shoah, si possono
affrontare i temi più tradizionali dell’antisemitismo e della discriminazione, ma
sembra che il tema, certo nuovo, dello
Stato di Israele debba essere evitato.
Quasi per quieto vivere.
Questa specie di legge non scritta, che di
fatto limita e ghettizza la discussione,
con ripercussioni deleterie anche all’interno del mondo ebraico, emerge soprattutto quando occorrerebbe fronteggiare
non gli amici, coloro che riconoscono l’esistenza dello Stato di Israele, caposaldo
del mondo democratico, ma i nemici, cioè
coloro che ne mettono in discussione l’esistenza. Con una etichetta, non sempre
trasparente, possono chiamarsi “antisionisti”.
L’antisionismo è il diritto di essere “democraticamente” antisemiti. Proprio questo
lo rende particolarmente insidioso. Dopo
la Shoah l’antisemitismo appare squalificato all’interno del discorso democratico.
Proclamarsi antisemiti è impensabile - a
meno di non essere neohitleriani e, magari, negazionisti.
Ecco perché le distinzioni, anche linguistiche, sono così importanti. Chi nega la
Shoah è un negazionista. Chi mette in
discussione lo Stato di Israele denunciandone l’illegittimità è un antisionista.
Certo che di solito i negazionisti sono
anche antisionisti. Ma non vale la reciproca: ci sono antisionisti che possono perfino riconoscere l’ebreo come vittima dei
nazisti nello stesso istante in cui ne fanno
il carnefice dei palestinesi. Questo perverso meccanismo con cui si nazifica
Israele per giudaizzare i palestinesi, più
subdolamente diffuso di quanto non si
creda, è uno dei grandi ostacoli a un confronto aperto, oltre ad essere una minaccia incombente.
Che fare allora? Nel caso dei neohitleriani
e dei negazionisti non c’è alcuna condivisione e perciò non è in nessun modo
possibile discutere. Può valere questo per
chi si proclama antisionista? Si può avere
un confronto pubblico con chi ritiene illegittimo lo Stato di Israele? Non si rischia,
fra l’altro, di offrire visibilità a quelle
posizioni e fare da cassa di risonanza a
quelle accuse?
Può darsi che si corra questo rischio. Ma
sottraendosi al confronto si corre un
rischio ben più grave. Anzitutto perché si
fa credere di essere trincerati dietro una
“
Il perverso meccanismo con
cui si nazifica Israele per
giudaizzare i palestinesi,
più subdolamente diffuso di
quanto non si creda, è uno dei
grandi ostacoli a un confronto
aperto, oltre ad essere una
minaccia incombente
difesa intransigente, ma non articolata e,
dunque, apparentemente priva di contenuti. E inoltre si dà a intendere di non
avere argomenti per smontare le accuse.
Certo non si può essere così ingenui da
credere che un antisionista incallito cambi
idea. Ma che ne è delle persone giovani
su cui potrebbe esercitare un influsso?
Non dovremmo preoccuparcene?
L’antisionismo è complesso e variegato;
ha forme diverse, più radicali e oltranziste, più superficiali, inconsapevoli, ma
non meno dannose. Nelle scuole, nelle
università, nel mondo intellettuale - non
solo nel contesto italiano, ma in genere in
quello europeo - è estremamente presen-
te. Può emergere nella scelta dei termini,
quando si parla di “coloni”, come se nulla
fosse, oppure quando si rimprovera garbatamente Israele di voler essere uno
Stato “ebraico”.
È opportuno ricordare che negli ultimi mesi
in Italia due riviste, e cioè “Limes” e
“Micromega”, hanno dedicato molte pagine a Israele dove prevale una lettura di
parte e parziale. “Micromega” ha addirittu-
ra ospitato un dibattito intitolato “Sionismo
e antisionismo”, eco di un dibattito più
ampio, iniziato negli Stati Uniti, che ha fra i
protagonisti anche la intellettuale e filosofa
ebrea americana Judith Butler, dichiaratamente antisionista (il volume è uscito da
poco e si intitola Deconstructing Zionism).
Accettare la disputa con chi accusa Israele anzitutto di illegittimità, con argomenti
vecchi e nuovi, può essere faticoso, frustrante, irritante, ma è un obbligo. E vuol
dire smontare le accuse per rispedirle al
mittente - decostruire chi decostruisce.
Valga per tutti l’argomento della terra su
cui si basa l’accusa di illegittimità non
politica, ma esistenziale, e il rimprovero
di essere un paese colonialista (da cui,
appunto, i “coloni”).
È evidente che appare necessario accettare dispute che sono politiche, ma hanno
anche un respiro culturale e perfino teologico. Non si tratta di conoscere il particolare geografico, di tenere a mente il dettaglio storico. Nei secoli passati, e in condizioni ben più difficili di quelle in cui
viviamo, gli ebrei prendevano parte alle
dispute e non di rado avevano la meglio.
Chi difende Israele non ha nulla da temere. E ha molti argomenti positivi e fondamentali da sviluppare. Nell’era dell’informazione e dei nuovi media non ha senso
tacere o evitare il tema. Si può e si deve
essere pronti a dialogare democraticamente, ma senza concessioni, per far
capire quanto decisiva sia per il mondo la
presenza di Israele.
DONATELLA DI CESARE
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Parlare con gli antisionisti?
A volte è necessario
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FOCUS
Un doppio passaporto
per vincere il pessimismo
Cresce la percentuale degli israeliani che vorrebbero avere un’altra
cittadinanza da utilizzare in caso di conflitto ma anche come
soluzione alla crisi economica e alla generale mancanza di fiducia
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
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I
16
n molte case di Israele si parla con
sempre minore curiosità e sempre
maggiore serietà della legge che il
governo spagnolo starebbe per varare
e che concederebbe la cittadinanza ai
discendenti degli ebrei cacciati con
l’Espulsione del 1492. Non sappiamo
esattamente quanti israeliani potrebbero
rientrare nelle liste dei candidati a ricevere
il passaporto spagnolo, ma possiamo
affermare che quasi tre milioni di cittadini
dello Stato di Gerusalemme hanno, nel
proprio albero genealogico, uno dei
cognomi sefarditi apparsi nelle liste “non
ufficiali” pubblicate dal governo di Madrid.
Il comico Nadav Abekasis, ridendo,
commentando ed ironizzando la notizia ha
sottolineato come finalmente sia arrivata
la giusta “uguaglianza tra ashkenaziti e
sefarditi che, ottenendo un passaporto
straniero, avranno anche loro un posto
dove fuggire quando scoppierà la prossima
guerra.” Siamo certi che questa sia solo
una spiritosa interpretazione di un comico
di Sefarad? Il 68% degli israeliani
vorrebbero un passaporto straniero ed è la
situazione economica del paese a
preoccupare più della sicurezza o di una
drammatica ipotesi di guerra. E’
interessante notare che coloro che sono
più interessati all’idea di un doppio
passaporto sono nativi israeliani, sabra,
con un curriculum di studi di livello
universitario ed un reddito generalmente
superiore alla media. La ricerca è stata
fatta a nome della Sderot Conference for
Society, una sorta di joint venture nata
nell’Aprile del 2013 con la partecipazione
del Sapir College e del Council for Social
and Economic Security, alla cui presidenza
siede il Magg. Gen. Uzi Dayan.
La nascita di questa innovativa
piattaforma di riflessione vede le proprie
motivazioni di esistenza nel bisogno di
una nuova agenda socio-economica per lo
Stato di Israele che affianchi le ricerche
sulla sicurezza. Le risposte del campione
intervistato hanno dato queste
preferenze: il 42% vorrebbe avere un
passaporto statunitense, il 9% dell’Unione
Europea e della Gran Bretagna, il 5 % un
passaporto australiano e mentre un 7%
non ha preferenze nette il restante 3%
accetterebbe ben volentieri anche un
passaporto dell’Europa dell’Est, cioè un
passaporto dalle stesse nazioni dove
l’antisemitismo e l’antigiudaismo hanno
espresso ed esprimono momenti di
violenza contro gli ebrei difficilmente
eguagliabili nella storia. Eppure, secondo
questa ricerca, alcuni israeliani non
avrebbero problemi a richiedere un
passaporto polacco, piuttosto che
ungherese o ucraino. Questo dato così
significativo è anche grottesco perché
dimostra che alcuni di noi sarebbero
pronti a tornare ad essere cittadini di quei
luoghi che negli anni del 1930 erano
tappezzati di graffiti che “invitavano” gli
ebrei ad andarsene in Palestina e che
oggi, come farebbe notare lo scrittore
Amos Oz, sono pieni di graffiti che
“invitano” gli ebrei ad andare “fuori dalla
Palestina”. E qualcuno in Israele lo
farebbe volentieri o vorrebbe avere in
tasca la possibilità di poterlo fare. Cosa è
accaduto al sionismo dei padri? Cosa sta
accadendo all’idea sionista delle nuove
generazioni di Israele? Perché dobbiamo
notare che coloro che sono interessati
all’idea di un doppio passaporto hanno
per lo più una età compresa tra i 18 ed i
54 anni ( decisamente la nuova e
produttiva generazione del paese) e sono
tendenzialmente più laici o tradizionalisti
e non certo charedim e generalmente non
ortodossi. Il paese sembra quindi essere
ben lontano da un’idea di nazione laica ed
ebraicamente accogliente. C’è da dire che
la ricerca ha una reale possibilità di errore
del 4,4% ma lascia comunque aperte
molte riflessioni, se non qualche fondato
timore. Zeev Tzachov professore del Sapir
College ha affermato che per molti
israeliani non esiste più nessuna
preoccupazione per l’antisemitismo
crescente, mentre paradossalmente nella
Diaspora questa preoccupazione spinge
sempre più famiglie a decidere di
intraprendere la non facile alyà, salita,
verso la terra avita. “I dati mostrano un
acuto problema sociale” - ha affermato
Tzachov - “molto più grave di quello della
sicurezza. Negli anni scorsi, quando la
situazione della sicurezza era molto più
grave, nessuno prendeva in
considerazione l’idea di un passaporto
straniero. La realtà era difficile, ma si
percepiva una speranza. Oggi siamo di
fronte ad una crescente disperazione. Le
persone non hanno più fiducia in un
possibile cambiamento ed in molti
credono che se non ci dovesse essere per
loro un futuro migliore, che almeno ci sia
per i loro figli un posto più sicuro dove
vivere.” In sostanza sembra che la
crescita economica diseguale, la crescente
povertà e la partecipazione alla forza
lavoro del paese che è una delle più basse
tra i paesi sviluppati siano motivi di
grande preoccupazione per molti giovani
israeliani, tanto da diventare ipotesi di
abbandono del paese. Forse il percorso di
normalizzazione del paese passa anche
per la possibilità di poterlo lasciare
quando e come si vuole? Certamente,
questo è giusto. Crea qualche pensiero
l’idea di poterlo fare attraverso un
passaporto straniero, ricevuto per nome e
conto di qualcuno, un padre, un nonno,
un qualsiasi avo, che è stato costretto a
lasciare quei paesi data la propria
inevitabile ebraicità. Gli ebrei con il
sionismo sono stati messi di fronte alla
possibilità concreta di proclamare la
propria fedeltà ad una terra particolare ed
anche ad una specifica tradizione senza
necessarie giustificazioni né in nome
proprio né tanto meno in nome degli altri
popoli loro vicini. Oggi parte dei figli di
coloro che scelsero il sionismo come
espressione della propria identità sono
messi di fronte ad una realtà che non
somiglia più ai sogni dei loro nonni e
necessita di interventi sociali ed
economici reali ed urgenti, se non
vogliamo dare libero sfogo ad una società
settoriale, sempre meno laica e con
sempre meno doveri condivisi. Il sionismo
dei padri ha riportato in auge la realtà dei
legami ebraici, liberando gran parte del
popolo ebraico dell’imbarazzo per la
propria identità e per la stessa lealtà a
questa identità, alla propria storia
particolare ed in alcuni contesti anche al
proprio credo particolare. Il sionismo (o il
post-sionismo reale) dei figli ha portato
un’intera generazione in piazza a chiedere
un’urgente giustizia sociale o, persino, a
sognare un passaporto ucraino pur di
avere un’eventuale via di uscita dal sogno
dei padri.
PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO
L’espulsione degli ebrei come strumento
per fermare la ‘contaminazione’
Con l’editto di espulsione firmato dai re cattolici si voleva costruire
- dopo 1500 anni di integrazione - una società omogenea culturalmente e religiosamente.
Il pluralismo faceva paura
clima sempre più teso, in cui si aggiunsero la ripresa dell’accusa
di omicidio rituale secondo la quale gli ebrei uccidevano i
bambini cristiani per cavarne il sangue con cui impastare le
azzime per la loro Pasqua, con l’azione congiunta della monarchia
e dell’Inquisizione spagnola fu emanato l’editto di espulsione. Ma
la ragione profonda risaliva ancora
più lontano nel tempo.
Le conversioni di massa del 1391,
che pure portarono al battesimo di
circa centomila persone in breve
tempo, avevano creato un problema
nuovo ai cristiani “vecchi” di Spagna,
dal momento che i neoconvertiti
avevano cominciato a penetrare
massicciamente in alcuni importanti
settori della vita economica e
pubblica dai quali gli ebrei erano
stati sempre esclusi. L’ingresso dei
nuovi cristiani nella società suscitò
risentimenti e invidie da parte dei
vecchi cristiani che cominciarono a
lanciare contro tutti i componenti
del gruppo dei conversos l’accusa
di cripto ebraismo (marranesimo)
per frenarne l’ascesa sociale e
economica. Così furono emanate
le leggi di limpieza de sangre (di purezza di sangue) che
escludevano i cristiani discendenti degli ebrei da numerose
cariche e professioni. La macchia originaria non era affatto
cancellata con il battesimo e l’appello al sangue ereditario
implicava un pericoloso ricorso al dato biologico e naturale che
anticipava l’antisemitismo razziale del Novecento.
Intanto, il tribunale dell’Inquisizione perseguiva l’eresia dei
cristiani sospettati di ebraismo. Migliaia di nuovi cristiani furono
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
5774
L
a cronaca recente ci fornisce molti spunti per tornare
a riflettere sulla storia degli ebrei. La notizia che il
governo spagnolo si accinge a emanare una legge che
offre la possibilità di ottenere la cittadinanza a coloro che
possano dimostrare di discendere dagli ebrei espulsi nel 1492
suscita emozioni ma anche molte
riflessioni, sul passato e sull’oggi.
Innanzi tutto ricordiamo i fatti. Il 31
marzo 1492 i re cattolici Ferdinando
di Aragona e Isabella di Castiglia
emanarono dalla città di Granada,
capitale del regno musulmano
espugnata solo tre mesi prima, un
editto che imponeva a tutti gli ebrei
residenti nel regno iberico di lasciare
il paese entro il 2 agosto successivo.
Eliminata la potenza musulmana
dal Regno, toccava ora agli ebrei.
Si trattava infatti di costruire
una identità collettiva univoca
e omogenea, in cui il pluralismo
culturale e religioso non aveva
spazio. L’editto costituiva l’ultimo e
finale atto di una vicenda drammatica
di persecuzioni, stragi e conversioni
forzate di ebrei iniziata già nel XIV
secolo e che avevo prodotto episodi drammatici di violenza
come le stragi di migliaia di persone a Siviglia e a Cordoba
nel 1391, a cui avevano fatto seguito moltissime conversioni.
Parallelamente a questi eventi anche la legislazione spagnola
si era andata irrigidendo, soprattutto in direzione di una più
netta separazione tra ebrei e cristiani e di un severo controllo nei
confronti dei conversos, i convertiti, accusati sempre più spesso
di giudaizzare e dunque del gravissimo reato di apostasia. In un
17
FOCUS
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
giudicati dai tribunali, videro confiscati i
loro beni e spesso salirono sul rogo.
Il nodo problematico essenziale che portò
alle espulsioni degli ebrei era costituito
dalla preoccupazione di evitare pericolose
“contaminazioni”: andava cioè tagliato il
filo di contatto che legava i molti convertiti
agli ebrei restati nell’ebraismo che erano
accusati di agire per far rientrare i primi
nell’antica religione. Occorreva perciò
espellere gli ebrei dal nuovo regno e
impedire regiudaizzazioni o pentimenti dei
convertiti. Di conseguenza, l’espulsione
del 1492 trova la sua chiave di lettura nelle
conversioni di massa del 1391. Infatti,
una volta fallita la strategia politica della
conversione generale degli ebrei spagnoli
restava come diretta conseguenza l’espulsione degli ebrei restati
tali. Cacciati questi ed estirpata l’eresia dei nuovi cristiani, il
problema ebraico sarebbe stato risolto con l’integrazione, sia
pure subordinata e piena di rischi, dei convertiti cristianizzati.
La storiografia ha approfonditamente analizzato le diverse
motivazioni dell’editto di espulsione, prima tra le quali le
necessità politiche della omogeneizzazione, oltre che nazionale e
identitaria, anche religiosa della nuova monarchia, già unificata
territorialmente con l’unione politica dei regni di Castiglia e di
Aragona e con la caduta del regno di Granada (2 gennaio 1492),
che aveva posto fine all’enclave musulmana sul territorio della
penisola iberica. Ma quel che qui interessa sono le conseguenze
di tale cacciata che poneva fine alla presenza, durata ben
quindici secoli, degli ebrei spagnoli nella mitica “Sefarad” e che
costrinse all’emigrazione circa centomila individui.
Con quella che gli storici hanno definito “la rivoluzione ebraica
del sedicesimo secolo”, dopo il fallimento del progetto di
conversione totale, ebrei specializzati in diverse attività –
allevatori, artigiani, medici, banchieri, commercianti, rabbini,
uomini di cultura - si diressero verso il Portogallo, i paesi
dell’Africa settentrionale (Marocco, Tunisia, Algeria), nei Balcani
e negli altri domini dell’immenso Impero Ottomano, dove
trovarono condizioni favorevoli e di tolleranza, e poi in direzione
dell’Europa orientale e della Polonia.
E’ certo positivo che dopo più di cinque secoli si voglia risarcire
e riconoscere il crimine commesso. Ma certamente oltre al piano
18
simbolico, vanno considerate più prosaiche
motivazioni: da parte della Spagna, al di
là dell’appello a costruire un pluralismo
religioso e culturale senz’altro benefico
nella tormentata area mediterranea, va
considerato l’obiettivo di attirare nel paese
in crisi forze e risorse capaci di muovere
l’economia; da parte degli israeliani, che
pare assedino l’ambasciata spagnola per
avere informazioni, il desiderio di ottenere
un passaporto europeo, oltre a quello
israeliano, utile nella eventualità di un
futuro difficile.
Ma, anche senza considerare che si tratta
di circa tre milioni di persone tra israeliani
ed ebrei sefarditi sparse per il mondo,
come dimostrare la discendenza dagli
antichi ebrei, e perfino dai marrani? Con il cognome, che pure
tra i marrani cambiava? Con la lingua, anch’essa pure mutata
nel tempo? Con un certificato che dimostri la discendenza?
Paradossalmente la legge progettata nella Spagna di oggi
riproduce lo stesso cammino della ricerca della prova della
ebraicità della Spagna del Cinquecento, ma all’inverso. Allora,
la prova per escludere dalla cittadinanza e oggi la prova per
concederne una nuova. Ma ciò non significa ancora una volta
legare il diritto di cittadinanza al sangue?
E c’è dell’altro. Gli spagnoli di oggi, nonostante le trasformazioni
storiche e culturali della loro identità intervenute in cinque secoli,
a cui peraltro non si fa cenno alcuno nel progetto, con la loro
offerta mostrano di considerarsi eredi diretti e identici di quegli
spagnoli di cinquecento anni fa che cacciarono gli ebrei sulla
base di una immagine nazionalistica e biologica delle identità. Se
ne può dedurre che l’offerta rivolta agli ebrei di oggi costituisca
una ripresa, sia pure ancora una volta rovesciata quanto alle
conseguenze, di questa presunzione identitaria fondata su un’idea
di appartenenza nazionalistica – “siamo tutti spagnoli” – tutt’altro
che limpida. Altro che il pluralismo tanto invocato, allora!
MARINA CAFFIERO,
Università degli Studi di Roma
L’editto del 31 marzo 1492 che imponeva agli ebrei
di abbandonare la Spagna
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Con l’espulsione nacque
il fenomeno dei conversos
e dei marranos
D
urme, durme mi angelico Hijico chico de tu nacion
Criatura de Sion No conoces la dolor Porque nombre,
me demandas? Porque no canto yo? Ah, cortaron las,
mis alas y mi voz amudicio Ah, el mundo de dolor.
Questo è una delle centinaia delle kantigas che dal 1492, anno
dell’Editto di Espulsione degli ebrei dai regni Spagnoli, ha
cominciato a vagare nello spazio e nel tempo.
Molto è stato scritto sulle conseguenze economiche del decreto
dei re cattolici Ferdinando ed Isabella così come il successivo
arricchimento culturale, sociale ed economico delle terre che
diedero asilo ai sefardim: dalla Turchia a Salonicco, da Livorno
ad Amsterdam. Scrisse lo storico
Cecil Roth: “E’ significativo il fatto
che la grande epoca dello sviluppo
turco si sia prodotto nella
generazione successiva all’arrivo
degli ebrei spagnoli.” Sono state
studiate con attenzione le relazioni,
tra sefardim ed ebrei locali a Roma
come in Marocco. Forse non è stato
scritto abbastanza sul trauma e sul
dramma identitario nati come
conseguenze dell’espulsione. Non è
stato affrontato con una seria
analisi il sentimento di tragedia e
di esclusione dall’identità nazionale spagnola dopo quindici
secoli di vita. Gli ebrei d’Europa avevano già sperimentato le
espulsioni, dall’Inghilterra nel 1290 e dalla Francia nel 1394. Si
trattava però di nazioni “ospitanti” non di una terra madre come
lo fu Spagna. Una terra che gli ebrei avevano contributo a
sviluppare con la loro presenza, le loro attività, il loro apporto
culturale. Molto anche è stato scritto sui conversos, o anusim,
ma ancora poco si è scritto sui ritorni all’ebraismo che negli anni,
fin dalla prima generazione dopo l’Espulsione, molti di essi
intrapresero, fuggendo da un Portogallo o da una Spagna o da
un Sud Italia dai confini sotto stretto controllo dei Santi Uffici
Inquisitori e con i roghi sempre accesi.
Dal punto di vista storico è difficile seguire l’emigrazione di una
persona da Lisbona che, nel 1600, esce dal regno come fedele
suddita cristiana, cambiando il suo nome a Livorno e tornando
alla fede dei padri, in quanto ebreo. Scrive lo storico Americo
Castro: “Gli ebrei lasciarono una Spagna molto ebraicizzata e
partirono molto ispanizzati.” Ciò ha prodotto una tragedia non
solo religiosa, ma anche culturale e sociale che ha colpito e
colpisce intere generazioni di discendenti di ebrei che hanno
vissuto il terribile dilemma della conversione e le persecuzioni
dell’Inquisizione. I ritorni all’ebraismo dei conversos spagnoli e
portoghesi non furono facili, né dal punto di vista halachico né
dal punto di vista spirituale. Di fatto gli anusim spagnoli e
portoghesi che si ricongiungevano con l’ebraismo vissero una
situazione di fermento intellettuale ed esistenziale difficile ed
opposta rispetto al resto del mondo ebraico europeo che iniziava
a vivere l’illuminismo dell’Haskalà.
Mentre il mondo ebraico mitteleuropeo cominciava ad uscire
intellettualmente dai ghetti, dopo due o tre generazioni
dall’Espulsione dalla Spagna alcuni conversos lasciavano
l’ambito culturale europeo per varcare la stretta soglia della
minoranza, una minoranza assai diversa dalla maggioranza
cristiana nella quale erano cresciuti, pur nella consapevolezza del
proprio marranesimo. Dopo l’Espulsione il fenomeno del
marranesimo divenne il trauma nazionale della collettività ebraica
sefardita, un trauma che vide molte persone di nuovo condotte
all’emarginazione, sia dal mondo cristiano al quale non erano mai
veramente appartenute, sia dal mondo ebraico al quale non
riuscivano ad appartenere intellettualmente e spiritualmente.
Come scrisse De Barrios, un conversos d’Olanda, nelle Epistola a
una mal encaminado (Lettera a colui che percorre un sentiero
tortuoso): “Non sei gradito da un
popolo perché l’hai abbandonato,
l’altro popolo non ti considera fedele
perché ti vede simulare…“.
Comprendendo questo dramma
intellettuale ed identitario si
metterebbero in luce le crisi di
personalità come Uriel da Costa e
Baruch Spinoza, quindi una parte
fondamentale del pensiero europeo.
Uriel da Costa, per esempio, visse
una crisi identitaria realmente
ebraica quando si lamentava delle
“barriere” che i saggi avevano
eretto intorno alla Torà e che potevano portare ad un errore del
popolo che non avrebbe compreso la differenza tra le barriere,
divenute legge e la stessa legge di Moshè.
L’Espulsione dalla Spagna fu un evento storico che, ancora oggi
dopo 500 anni, non abbiamo veramente analizzato, né
veramente metabolizzato anche a causa delle scomparsa, per
mano nazista, delle grandi comunità sefardite di Salonicco,
Rodi, Corfù. Al dramma di una nazione senza più patria e di
una lingua, il ladino, senza più terra, nei secoli si è aggiunto il
dramma dei conversos ed il dramma della Shoà nel mondo
mediterraneo che è stata la violenza più tragica e senza ritorno
che il mondo sefardita abbia vissuto. Oggi, questo stesso
mondo sefardita, vive un isolamento spirituale potente: pochi
coloro che parlano il ladino, poche le sinagoghe di rito spagnolo
o portoghese e non “orientali”, pochi i maestri sefarditi che
ancora conservano e sostengono un approccio halachico
profondamente ebraico ma altrettanto vicino alla realtà
“mondana”. In questa realtà difficile non sono perduti i segni
dell’Espulsione del 1492 e le volontà di ritorno. Volontà che
possono avere radici antiche.
Abraham Israel Pereyera, un converso tornato all’Ebraismo in
Olanda scrisse: “Posso liberare me stesso solo con difficoltà
dalle false opinioni che mi dominavano poiché è difficile
correggere se stessi […] poiché conoscevo opere secolari (quanta
ignoranza!), mi consideravo più saggio dei saggi della Torà e
quando parlavo di loro lo facevo con poco rispetto e siccome poi
la mia volontà si rivolse al piacere, escogitai ragioni, alle quali
credevo, per confondere la virtù..”. Espulsione e poi solitudine:
il simbolo di una intera identità umana.
P.P.P.
In alto: espulsione degli ebrei di Siviglia, Joaquín Turina Areal (XIX sec.)
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Gli enormi effetti sociali ed umani
della cacciata degli ebrei dalla Spagna
si riproducono ancora oggi
19
PENSIERO
L’orgoglio dell’appartenenza
ed il legame identitario
Rimangono intatte, anzi più attuali che mai, le motivazioni e l’impegno che furono alla base
del movimento giovanile FGEI. A giugno a Firenze, un raduno di quarantenni-sessantenni
per dare vita ad un laboratorio di idee
I
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
n queste ultime settimane insieme
all’ambizione determinata di Renzi è
venuta a galla la ferma decisione di
un gruppo di cinquanta-sessantenni, di “ripostare” in vita, in un social
network, i fatti, le amicizie, le alleanze, le
prese in giro di un gruppo denominato
‘Mitica FGEI’, per chi non lo sapesse,
Federazione Giovanile Ebraica Italiana.
Un luogo di aggregazione che ha creato
legami talmente forti da essere arrivati in
pochi giorni a circa 400 membri, ancora
in crescita.
Non rientra certo nel mio spirito e tantomeno in quello delle persone che hanno
aderito il come eravamo, quanto piuttosto
come è stato bello, quanto ci siamo divertiti... e poi vedremo…
Per diversi motivi questo non è un ospizio per vecchi che non si riconoscono, in
primis perché in trenta anni la chirurgia
plastica ha fatto passi da gigante…. Battute a parte, perché si sono fatte cose
importanti in un momento in cui nel
paese l’impegno giovanile era comunque
fortissimo in diversi settori e le esperienze non meritano di essere svilite indicandole nominativamente, ma ritengo invece che
vada raccontato, per quanto possibile, il clima di quei campeggi
di quei congressi, in cui si è formata gran parte della attuale
leadership ebraica italiana, e i cui legami sono rimasti intatti, con
l’ondivagare temporale che la vita impone e detta, talora inesorabilmente. Ma quanto fosse profondo il vincolo, non lo dimostra
solo il successo dell’account, ma la ricerca di una parte di quelle
persone di un progetto intorno al quale far ripartire concretamen-
20
te le proprie capacità ed energie.
Tutto questo mentre c’è chi si permette di
parlare di un ebraismo italiano che, a loro
avviso, non mostra eccessivi segnali di
vitalità, senza nel frattempo cercare di
fare nulla, certamente anche per incapacità, ma adottando lo sport nazionale
dell’autodistruzione, ovvero chi ne dice
peggio vince.
In questo gruppo la cosa più evidente è
l’orgoglio di appartenenza e il legame
identitario che ne discende e lo trascende.
I percorsi sono stati i più diversi, ma nessuno ha mai scritto, potendolo fare nel
luogo magico del social, una recriminazione sul tempo trascorso insieme, e posso
assicurare in prima persona che non furono rose e fiori. Non sono certo il tipo di
persona che si può permettere, anche
solo, di pensare che quegli anni non siano
stati la base della mia vita, dell’educazione di miei figli, e oggi di essere madre e
figlia, professionista come sono. Per me
furono otto anni, per altri meno, ma l’intensità è stata la stessa, le basi della vita.
Chi entrava senza sapere, usciva avendo imparato a memoria (il
tempo di un campeggio erano solo due settimane), ma con la
cognizione del senso delle parole dette.
Uno dei momenti topici di questo gruppo è stato sicuramente l’esperienza di Mosca nell’estate del 1985, che veniva dopo alcuni
anni in cui i legami di alcune generazioni si erano un po’ allentati.
Ci fu una sorta di chiamata alle armi, per un occasione che sicuramente ha siglato in maniera indelebile chi venne e che ancora oggi
vincola i partecipanti ebrei con quelli non ebrei in una sorta di
telefono rosso a più terminali, che può essere attivato in qualunque momento, ed è stato effettivamente così.
Non ci ritroviamo per dire quanto siamo stati bravi, che non sarebbe neanche sgradevole, ma piuttosto per inventarci qualcosa
ancora e la cosa che più ci ha caratterizzato è stata la capacità di
interscambio nei luoghi apicali, capendo quasi sempre come fosse
opportuno passare il testimone, ma consentendo nel frattempo di
portare i rappresentanti della Federazione ai livelli più alti delle
associazioni giovanili europee e mondiali. Tutto questo è avvenuto
con battaglie epocali, appassionate e fratture profonde, che forse
per alcuni si sono protratte nel tempo, ma ha creato in tutti un
legame identitario senza pari.
Ci vedremo a Giugno 2014 a Firenze e a nome di tutti voglio ringraziare Ester Silvana Israel, per aver creato l’account, curarlo e
editarlo, con una passione rara. Grazie a chi spulciando negli
armadi, e finalmente facendo le pulizie di Pesach come si deve,
trova foto di momenti dispersi nella memoria.
E’ stato per la FGEI, l’Hashomer Ha-Tzair e il Benè Akiva, un tributo dovuto, per tutto quello che ogni persona ha rappresentato e
rappresenta come esempio nel film della vita di chiunque sia
entrato in contatto con quelle realtà. Luoghi in cui non ha mai
abitato l’ambizione fine a sé stessa, che speriamo tutti ora non
abbia trovato casa a Palazzo Chigi.
CLELIA PIPERNO
È nato un nuovo papato universale:
non è il Vaticano ma l’Onu
Propone una nuova morale e una nuova idea di famiglia, basate sulla poltiglia concettuale
del politicamente corretto e le vuole imporre all’umanità
anche scuole “politicamente corrette”. E invece no: s’avanza un
nuovo totalitarismo mascherato sotto la veste della tolleranza. Ma
la tolleranza totalitaria è un ossimoro osceno.
Del resto, si è visto di cosa sia capace questa nuova ideologia. Lo si
è visto nei rapporti presentati e ripresentati al Parlamento europeo
o proposti dall’Oms, in cui l’educazione sessuale scolastica mostra
il volto di una pedofilia neppure tanto mascherata, quando si arriva
al punto di prescrivere l’apprendimento della “gioia della masturbazione precoce” a bambini di meno di 4 anni. Si vogliono fare
scuole siffatte? Le si facciano e chi vuole ci mandi i figli. Il problema
sorge quando si pretende che ogni scuola si adegui a una simile
ideologia.
Quindi quel che accade
non riguarda solo il mondo
cattolico e sarebbe sbagliato voltarsi dall’altra parte:
de te fabula narratur. Domani – e non è affatto una
fantasia, viste le iniziative
già in corso sul tema della
circoncisione – potrebbe
essere chiamato sul banco
l’ebraismo, le sue concezioni della morale e della vita
associata, le regole di vita che trasmette da secoli, la sua educazione scolastica. L’aspetto tragicomico della faccenda è che l’offensiva
delle politiche di genere ignora completamente l’islam, che pure
avrebbe qualche problema in merito alla concezione del rapporto di
genere e alle tematiche evocate dall’Onu: del resto, della commissione Onu faceva parte un rappresentante dell’Arabia Saudita.
Sembra che l’occidente, in una delle manifestazioni estreme del suo
spirito suicida, stia manovrando la mazza del politicamente corretto
per fare di sé terra bruciata e lasciarvi (derisoriamente) in piedi
soltanto chi potrà riempire lo spazio vuoto con dottrine e concezioni
della vita associata di natura radicalmente opposta.
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MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
D
a più parti si lamenta che in ambiente ebraico sia passato quasi sotto silenzio il documento con cui l’Onu ha
attaccato duramente la Chiesa cattolica in materia di
pedofilia. È comprensibile la tentazione di lasciare che
ognuno si occupi dei suoi problemi, a condizione però che questi
siano esclusivamente suoi e non abbiano implicazioni generali.
Questo non è il caso, neppure se il documento dell’Onu si fosse
limitato a critiche specifiche sulla gestione da parte della Chiesa
dei casi di pedofilia al suo interno, perché l’Onu è troppo compromesso in questa materia – come ha duramente denunciato il Wall
Street Journal – per potersi impancare ad autorità morale.
Ma la questione pedofilia è
soltanto un pretesto del
documento che, inanellando una lunghissima serie
di punti, ingiunge in modo
assai perentorio alla Chiesa di introdurre una serie
di modifiche sostanziali
nella propria dottrina religiosa e morale, nel diritto
canonico, nel catechismo e
persino nelle sue pubblicazioni. Si invita la Chiesa a
modificare le sue posizioni in tema di aborto, matrimoni omosessuali e contraccezione. Si condanna il fatto che essa concepisca la
famiglia in un sol modo, e cioè come basata sul rapporto tra un
uomo e una donna. Le si intima di modificare il diritto canonico in
tal senso, riconoscendo la diversità delle composizioni familiari; di
considerare gli abusi sessuali come crimini e non come delitti contro la morale. Si danno precise indicazioni per la riforma delle scuole cattoliche che debbono rimuovere gli “stereotipi di genere”,
anche riscrivendo da cima a fondo i libri di testo in esse adottati.
Come se non bastasse, si ingiunge di superare tutte le barriere
riguardanti la sessualità degli adolescenti che impediscano un
pieno accesso all’informazione sessuale, di porre al centro le loro
decisioni assicurando che l’educazione sessuale sia parte del curriculum obbligatorio delle scuole cattoliche.
Potremmo continuare ma quanto precede è sufficiente. Naturalmente ognuno può pensarla come vuole, e anche concordare in toto
con il punto di vista della Commissione dell’Onu. Ma proprio questo
è il punto: qui pare che ormai nessuno possa pensarla come vuole
e che neppure la Chiesa cattolica – che si scopre in una sconcertante condizione di debolezza – ha il diritto di avere la sua visione
morale, la sua visione dei rapporti umani, della famiglia, di avere un
diritto canonico e persino di poter impartire liberamente nelle proprie scuole un’educazione conforme alle visioni di cui sopra. È nato
un nuovo Papato universale, quello dell’Onu, che si è dato la propria
dottrina, il proprio diritto canonico, essenzialmente basati sulla
poltiglia concettuale del politicamente corretto. Ma anche qui nessun problema: libero chi vuole di aderire a quel nuovo Papato, alla
sua dottrina e di considerarla la nuova luce del mondo, e non una
squallida poltiglia, come ritiene chi scrive. Purché questa non
diventi un dogma universale e il nuovo Papato non si ritenga dotato del potere di imporla d’autorità con decreti che assomigliano a
bolle medioevali, con la pretesa di uniformarvi il pensiero e persino
il linguaggio di chiunque. Noi ci illudiamo ancora che si possa vivere in società in cui coesistano fedi diverse, in cui vi siano scuole
ispirate alle concezioni della laicità classica, scuole religiose che
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Piace agli americani l’editoria ebraica italiana
Nasce una casa editrice sostenuta dal Centro Primo Levi di New York,
che vuole diffondere la storia e la cultura degli ebrei italiani
N
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
EW YORK – Una nuova casa editrice ebraica in un
momento di grave crisi per l’editoria mondiale? La
coraggiosa iniziativa che sta suscitando interesse in
America è del Centro Primo Levi di New York che, il
prossimo marzo, debutterà nelle librerie Usa con i suoi libri targati CPL Editions. “La nostra missione è far conoscere la storia e la
cultura degli ebrei italiani nei paesi anglosassoni”, spiega a Shalom il fiorentino Alessandro Cassin, Direttore Editoriale della
nuova publishing house.
“La presentazione dell’intero progetto editoriale avverrà per fasi”,
continua Cassin, “mentre siamo pronti per la messa in vendita dei
primi libri in versione elettronica e cartacea, stiamo ancora lavorando sulla biblioteca-archivio digitale. Si tratta di una nostra idea
ambiziosa di digitalizzare progressivamente testi importanti
sull’ebraismo italiano. L’accesso alla biblioteca virtuale avverrà
dal nostro sito tramite membership”.
Come nasce l'idea di creare una casa editrice targata Centro
Primo Levi?
“Da una semplice constatazione: se si vuole davvero che la storia
e la cultura degli ebrei italiani - e la loro interazione con la maggioranza cattolica attraverso i secoli - siano conosciute nei paesi
anglosassoni, servono i libri. Ma molti dei testi fondamentali non
sono stati tradotti o non sono più reperibili. Inoltre solo una minima parte della migliore ricerca storiografica italiana delle ultime
decadi viene tradotta in inglese. Nei casi in cui accade, i prezzi
elevati escludono un pubblico non specializzato. Ad esempio
After Mussolini: Jewish Life and Jewish Memories in Post-Fascist
Italy di Guri Schwarz, tradotto e pubblicato nel 2012 da Vallentine
Mitchell, è in vendita a 79 dollari”.
A che tipo di audience rivolgerete la vostra attenzione?
“A un pubblico generale, con un interesse per l’Italia e gli ebrei, e
al pubblico accademico. Oggi quasi nessun dipartimento di italianistica, storia o Jewish Studies, offre corsi specifici sull’ebraismo
italiano. Per invertire la rotta occorrono testi su cui potranno formarsi futuri dottorandi”.
Qual è la missione della CPL Editions?
“Aprire una casa editrice in un momento di crisi profonda dell’e-
22
ditoria internazionale è una sfida che raccogliamo con entusiasmo, convinti che la nostra è una nicchia, con un pubblico potenziale sufficiente a sostenerla. Non puntiamo a grandi numeri, ma
piuttosto a offrire un servizio culturale: un ponte tra l’Italia ebraica e gli Stati Uniti. Se i grossi gruppi editoriali sono in crisi, le
nuove tecnologie offrono strumenti a basso costo per una piccola
editoria indipendente ma di qualità. Questa per l’appunto è stata
a lungo una delle attività predilette dagli ebrei italiani”.
Si tratterà di editoria cartacea o digitale?
“Non credo che il libro tradizionale verrà soppiantato dal libro
elettronico. Ci sono testi che la gente continuerà a comprare in
edizioni cartacee e altri che verranno letti sui vari supporti elettronici. La chiave è che il cartaceo verrà stampato come print-on
demand, evitando spese di deposito e rimanenze. Il Centro Primo
Levi è una no-profit, il nostro fine è che i nostri libri vengano letti,
per questo avremo dei prezzi estremamente competitivi: 8 dollari
per la versione e-book e 12 per quella di carta, in più ci saranno
saggi brevi a un prezzo ancora inferiore”.
Quante persone lavoreranno alla nuova iniziativa?
“CPL Edition ha una struttura molto piccola, che si avvale di un
folto gruppo di collaboratori e consulenti in Italia, Israele e negli
Stati Uniti. I libri sono ideati e curati direttamente da noi, con una
veste grafica del noto designer milanese Jonathan Wajskol, mentre la realizzazione è a cura del nostro partner O/R Books”.
Privilegerete la saggistica sulla fiction?
“CPL Editions è un’estensione logica dell’attività del Centro
Primo Levi di New York: da un lato ci occuperemo dell’eredità
culturale e umanistica di Primo Levi e dall’altro di tutto ciò che
concerne la presenza millenaria degli ebrei nella penisola italiana.
L’enfasi è sulla saggistica suddivisa in otto collane, ognuna caratterizzata da un colore specifico: due collane su Primo Levi, Biografie & Memorie, Arte, Storia, Cultura scientifica, Tradizione liturgica italiana e Atti di conferenze e convegni”.
I libri saranno pubblicati in italiano o inglese oppure in entrambe le lingue?
“I libri saranno pubblicati in inglese, salvo casi particolari come le
Lezioni di Primo Levi che saranno offerte in edizione bilingue,
grazie a un accordo con Einaudi. Tra i volumi in preparazione per
il 2014: Luck and The Holocaust di Robert S. C. Gordon, Primo
Levi, the Friend, di Bianca Guidetti Serra, Americordo - A portrait
of Italian Jewish Exile, di Gianna Pontecorboli”.
Quali canali di distribuzione pensate di utilizzare?
“I libri saranno messi in vendita su Amazon, e su una pagina
dedicata a CPL Editions sul sito www.centroprimolevi.org. Chi è
interessato potrà scaricare un’App gratuita che segnalerà via via
i nuovi titoli disponibili”.
ALESSANDRA FARKAS
PESACH 5774
Pesach: l’aiuto divino e l’azione umana
dimostri una disponibilità, la volontà di scegliere una nuova
strada; serve che l’energia che viene direttamente dall’alto trovi
una struttura capace di riceverla. La preparazione del sacrificio di
Pesach rappresenta il desiderio di riscatto del popolo ebraico, la
dimostrazione del suo definitivo distacco e rifiuto dell’Egitto, la
disponibilità di venire incontro alla “mano” venuta a liberarlo.
Ogni anno, celebrando Pesach ricordiamo tutti i particolari di
questa storia, con la massima attenzione ai dettagli, perché tutto
questo indica la strada da percorrere. La redenzione di Israele
non può fare a meno dell’intervento diretto dall’Alto, ma neppure
della nostra disponibilità a crescere e migliorarci con l’impegno
personale.
Pesach kasher wesameach ‫פסח כשר ושמח‬
RICCARDO SHMUEL DI SEGNI
MARTEDI 1 APRILE
te della Haggadà, poiché il Sabato che precedette Pesach costituì
di fatto l’inizio della redenzione del popolo ebraico.
ROSH CHODESH
Il mese di Nisan è considerato dalla tradizione ebraica il mese della liberazione, per via dei grandiosi miracoli che il Signore operò in
occasione della redenzione dalla schiavitù egiziana, e per questo,
fra tutti i mesi del calendario ebraico, gode di uno status particolare, da cui derivano alcune peculiarità, principalmente nella tefillà,
volte a sottolineare il clima festivo di questo mese. Durante tutto il
mese non si recita il Tachannun e Zidqatechà nella preghiera pomeridiana di Shabbat. Inoltre non vengono decretati digiuni pubblici, ed in generale è vietato digiunare, ad esclusione del Ta’anit
Chalom, il digiuno che viene osservato qualora si sia fatto un sogno sconvolgente. Durante Nisan non si fa l’hesped (orazione funebre), se non per commemorare personalità di grande rilievo. Si va
al cimitero solo per sepolture, ricorrenze (settimo, mese, fine anno)
ed anniversari. Di Nisan si usa inoltre recitare la birkat ha-ilanot
(benedizione degli alberi), di cui riportiamo il testo:
‫ ּו ָברָא‬,‫ּבָרּוְך ַאּתָה ה׳ אֱֹלקֵינּו ֶמלְֶך הָעֹולָם ֶׁשֹּלא ִחּסַר ּבְעֹולָמֹו ָדבָר‬
:‫בֹו ְּברִיֹות טֹובֹות וְאִילָנֹות טֹובִים ְלהַּנֹות ָּבהֶם ְּבנֵי ָאדָם‬
“Barukh Attà H. Eloqenu Melech ha-‘olam shelò chissar be’olamò
davar
leannot
baem
a‫ וְ ִצּוָנּו‬uvarà
‫ִמצְֹותָיו‬vò‫ ְּב‬beriot
‫ְׁשנּו‬
ָ ‫ִקּד‬tovot
‫ֲׁשר‬
ֶ ‫א‬weilanot
‫ הָעֹולָם‬tovim
‫ֵינּו ֶמלְֶך‬
‫ה׳ אֱֹלק‬
‫ַאּתָה‬benè
‫ָרּוְך‬
‫ּב‬
dam.”
:‫ֵץ‬
‫מ‬
‫ח‬
ָ
‫ִיעּור‬
‫ּב‬
‫ַל‬
‫ע‬
“Benedetto Tu sia Signore D.o nostro, Re del mondo, che non ha
fatto mancare nulla al suo mondo, e vi ha creato buone creature e
buoni
godessero
uomini.”
‫ִל ְבטִיל‬alberi,
‫ְרּתֵיּה‬affinché
‫ְדלָא ִב ַע‬ne
‫ֵיּה ּו‬
‫דלָא ֲחזִּת‬gli
ְ ‫ִי‬
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּות‬
Questa benedizione si recita solamente una volta l’anno (meglio di
:‫עָא‬preferibilmente
‫וֵי ְּכ ַע ְפרָא דְַא ְר‬non
‫וְֶל ֱה‬
Rosh Chodesh Nisan, o entro la fine del mese,
di shabbat) davanti ad almeno due alberi da frutto in fiore, che diano
siano
le‫בר‬
gemme.
usa
‫לָא‬frutti
‫ֵיּה ּו ְד‬commestibili,
‫ֲחזִּתֵיּה ְד ִב ַע ְרּת‬e di
‫לָא‬cui
‫ֵיּה ּו ְד‬
‫ֲחזִּת‬visibili
‫ְׁשּותִי ַד‬
ִ ‫ְדאִיּכָא‬Si‫ָא‬
‫מִיר‬riuni‫ּכָל ֲח‬
re un minian per recitare la birkat ha-ilanot, facendo seguire un
:‫ְַא ְרעָא‬
‫ְּכ ַע ְפרָא‬sono
‫ל ֱהוֵי‬tenute
ְֶ‫ְבטִיל ו‬a‫ִל‬recitare
‫ַע ְרּתֵיּה‬la‫ִב‬
Qaddish alla benedizione. Anche
le‫ ד‬donne
benedizione degli alberi.
IL CHAMETZ
E’ da considerarsi chametz ogni cibo che contenga una quantità
anche minima di grano, orzo, segale, avena o spelta impastata con
acqua, che abbia lievitato prima della cottura, e comunque qualsiasi cibo la cui preparazione non sia stata controllata da un’autorità
rabbinica competente. Gli Ashkenaziti vietano anche l’uso di riso e
“legumi” durante Pesach. A Roma si usa permetterli (tranne quelli
in scatola). La definizione di legumi non va intesa in senso stretto,
ma comprende anche altre specie, come la soia ed il mais.
KASHERIZZAZIONE
Si possono utilizzare stoviglie e posate che siano state utilizzate
durante l’anno solo dopo averne eliminato ogni forma di chametz. Esistono vari modi per kasherizzare gli utensili, in relazione ai modi in cui sono stati utilizzati; i principali modi di kasherizzazione sono:
• Hag’alà (immersione del recipiente in acqua bollente);
• Libbun (arroventamento);
• ‘Erui miklì rishon (versamento di acqua bollente da un recipiente);
Le regole della kasherizzazione sono numerose e spesso complicate; per questo si rimanda a testi come Guida alle regole di Pesach
di Rav Colombo, e al libro di Rav Di Segni Guida alle regole alimentari ebraiche.
L’Ufficio Rabbinico risponde a richieste di spiegazioni e mette a disposizione domenica 13 aprile dalle ore 12 alle ore 16, nei locali
della scuola “V. Polacco” in Via del Tempio, un servizio pubblico di
hag’alà (bollitura). Il materiale da trattare deve essere già pulito e
non usato nelle 24 ore precedenti. Per facilitare le operazioni di kasherizzazione si prega di staccare preventivamente le parti smontabili di pentole e stoviglie.
ALIMENTI PERMESSI E PROIBITI
Mangiare chametz durante Pesach è una trasgressione estremaSABATO 12 APRILE
mente grave; per questo i Maestri hanno vietato l’assunzione di
SHABBAT HA-GADOL
qualsiasi cibo che contenga lievito, anche in piccolissime dosi. RiLo shabbat che precede Pesach è detto Shabbat Ha-Gadol. L’origiportiamo di seguito alcune categorie di prodotti di uso comune, inne di questo nome è stata variamente interpretata, e ricorderebbe
dicando se sono permessi o meno durante Pesach.
un grande miracolo avvenuto nel Sabato che precedette Pesach,
Cibi confezionati (ad es. olio, cioccolato, margarina, liquori): vietaprobabilmente una sorta di guerra civile fra egiziani favorevoli e
ti in assenza di un controllo rabbinico.
contrari all’uscita del popolo ebraico dall’Egitto.
Zucchero: è preferibile utilizzare zucchero di canna. Lo zucchero a
Secondo altri questo nome si riferisce al fatto che il Rabbino del
velo deve essere certificato.
Bet Ha-kneset (il “grande”) tiene, durante questo Shabbat, la lezioSale: va acquistato prima di Pesach.
chametz10.indd 1
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ne in cui illustra le regole di Pesach. Durante questo Shabbat si uCaffè solubile: vietato in assenza di controllo.
sa leggere come Haftarà un brano del profeta Malachì, in cui si
Latte: proibito in assenza di controllo. In caso di seria necessità
preannuncia la redenzione messianica (il giorno “grande e terribisi può acquistare latte UHT in assenza di controllo, acquistato
le”). Alcuni, durante la preghiera pomeridiana, usano leggere parprima di Pesach.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
“Q
uando il gioco si fa duro, i duri cominciano a
giocare”. E’ un proverbio noto che spiega tante
cose del quotidiano e spiega bene anche qualcosa della nostra storia. Vi sono momenti drammatici e decisivi in cui gli eventi sono guidati dai massimi protagonisti. Così è stato nella storia di Pesach. Da una parte un potere
schiavista guidato da un sovrano irriducibile. Dall’altra un popolo
oppresso, guidato da Moshè, in attesa di liberazione. Chi viene a
liberarlo? Nella haggadà ripetiamo: Anì welò malakh, Ani welò
shaliach, “Io e non un angelo, Io e non un inviato…”. Qadosh
barukh hu scende in campo direttamente senza intermediari,
perché solo Lui può compiere la salvezza, per la durezza del rifiuto e per la difficoltà di tirar fuori dal fondo il suo popolo. Ma perché tutto si compia è necessario che anche il popolo sia pronto,
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PESACH 5774
MEDICINE
In generale è vietato assumere sciroppi e farmaci che abbiano sapore, mentre è permesso utilizzare farmaci che non vengono assunti per via orale. Per tutti gli altri farmaci è bene in ogni caso
interpellare un rabbino. Esistono liste di medicine controllate a
disposizione dell’Ufficio Rabbinico, che può essere contattato per
ogni chiarimento, sia telefonicamente, comunicando il nome del
farmaco e lasciando un recapito telefonico, sia inviando una email all’indirizzo: [email protected]. Si ricorda comunque che
bisogna considerare sempre la gravità della condizione del malato, in base alla quale si devono trascurare anche i divieti più rigorosi.
DOMENICA 13 APRILE DALLE 20,17
BEDIQAT CHAMETZ
La ricerca serve ad eliminare eventuali residui di chametz che non
siano
in
prima
data
‫ ּו ָברָא‬stati
,‫ָדבָר‬trovati
‫ְעֹולָמֹו‬
‫ ּב‬precedenza.
‫ָם ֶׁשֹּלא ִחּסַר‬Per
‫הָעֹול‬questo,
‫ֵינּו ֶמלְֶך‬
‫אֱֹלק‬di‫ה׳‬questa
‫ָרּוְך ַאּתָה‬
‫ּב‬
bisogna eseguire un’accurata pulizia di tutti quei luoghi in cui pos:‫בֹו ְּברִיֹות טֹובֹות וְאִילָנֹות טֹובִים ְלהַּנֹות ָּבהֶם ְּבנֵי ָאדָם‬
sa essere entrato del chametz, anche in piccola quantità, durante
l’anno. La Bediqà è preceduta dalla seguente benedizione:
‫ְׁשנּו ְּב ִמצְֹותָיו וְ ִצּוָנּו‬
ָ ‫ֲׁשר ִקּד‬
ֶ ‫ּבָרּוְך ַאּתָה ה׳ אֱֹלקֵינּו ֶמלְֶך הָעֹולָם א‬
:‫עַל ּבִיעּור ָחמֵץ‬
“Qualsiasi chametz che sia in mio possesso, che non abbia visto o
eliminato, sia annullato e considerato come polvere della terra.”
Se non si fosse eseguita la ricerca durante la notte della vigilia, è
obbligatorio eseguirla in seguito, il giorno successivo (a lume di
candela), durante Pesach, o persino dopo la festa, al fine di eliminare comunque qualsiasi sostanza lievitata che sia stata in possesso di Ebrei durante la festa. Se la ricerca non è stata eseguita
a tempo debito non bisogna recitare alcuna benedizione.
Coloro che passano Pesach lontano da casa, se non possono affidare ad altri il compito di effettuare la bediqat chametz, devono comunque eseguire la ricerca con un lume la sera prima di partire e
recitare la formula d’annullamento. In questo caso non si dovrà recitare la berakhà sulla ricerca.
LUNEDI 14 APRILE DALLE 5,19
DIGIUNO DEI PRIMOGENITI
La vigilia di Pesach i primogeniti, sia da parte di madre, sia da parte di padre, digiunano dall’alba al tramonto, in ricordo di quando il
Signore colpì i primogeniti egiziani, risparmiando quelli ebrei. Secondo alcuni anche le primogenite digiunano. Ciascuno è tenuto a
seguire il proprio uso locale (quello romano è che non digiunino).
Gli ammalati, il Mohel, il Sandaq ed il padre del bambino, nel caso
in cui ci sia una milà la vigilia di Pesach, sono esentati dal digiuno.
E’ possibile interrompere il digiuno assistendo al Sijum Massakhtà, una lezione pubblica che conclude lo studio di un trattato talmudico, o di un trattato di Mishnà con il commento di Rabbì Ova‫ברָא‬da
ָ ‫ ּו‬,‫ָר‬
‫ּבָרּוְך ַאּתָה ה׳ אֱֹלקֵינּו ֶמלְֶך הָעֹולָם ֶׁשֹּלא ִחּסַר ּבְעֹולָמֹו ָדב‬
dià
Bertinoro.
:‫בֹו ְּברִיֹות טֹובֹות וְאִילָנֹות טֹובִים ְלהַּנֹות ָּבהֶם ְּבנֵי ָאדָם‬
LUNEDI 14 APRILE ENTRO LE 11,33
‫ְׁשנּו ְּב ִמצְֹותָיו וְ ִצּוָנּו‬
ָ ‫ּד‬BI’UR
‫ֲׁשר ִק‬
ֶ ‫ א‬CHAMETZ
‫ּבָרּוְך ַאּתָה ה׳ אֱֹלקֵינּו ֶמלְֶך הָעֹולָם‬
Il 14 di Nisan, bisogna eseguire il bi’ur chametz, l’annullamento fi:‫עַל ּבִיעּור ָחמֵץ‬
sico del chametz in nostro possesso. E’ assolutamente consigliabile eseguire tale annullamento entro il termine della quinta ora solare
giornata.
in
‫ְבטִיל‬della
‫ֵיּה ִל‬
‫לָא ִב ַע ְרּת‬Il‫ְד‬chametz
‫ ֲחזִּתֵיּה ּו‬può
‫ְדלָא‬essere
‫רְׁשּותִי‬bruciato
‫אִיּכָא ִב‬o‫ ְד‬eliminato
‫ָל ֲחמִירָא‬
‫ּכ‬
altro modo. La formula di annullamento, con leggere varianti ri:‫ָא‬
‫ע‬
‫ר‬
ְ
‫ְַא‬
‫ד‬
‫ָא‬
‫ר‬
‫פ‬
ְ
‫ע‬
ַ
‫ּכ‬
ְ
‫ֵי‬
‫ו‬
‫ה‬
ֱ
‫ל‬
ֶ
ְ‫ו‬
spetto alla sera, dovrà essere recitata entro il termine della quinta
ora solare:
“Barukh Attà H. Eloqenu Melech ha-‘olam asher qiddeshanu bemitzwotaw wetzivvanu ‘al bi’ur chametz”
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּותִי ְדלָא ֲחזִּתֵיּה ּו ְדלָא ִב ַע ְרּתֵיּה ִל ְבטִיל‬
“Benedetto tu sia Signore Dio nostro Re del mondo che ci ha santi:‫עָא‬eliminare
‫ְפרָא דְַא ְר‬i ‫ע‬cibi
ַ ‫ֵי ְּכ‬lievi‫וְֶל ֱהו‬
ficato con i Suoi precetti e ci ha comandato di
tati.”
Bisogna fare attenzione a non parlare fra la benedizione e l’inizio
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּותִי ַד ֲחזִּתֵיּה ּו ְדלָא ֲחזִּתֵיּה ְד ִב ַע ְרּתֵיּה ּו ְדלָא‬
della ricerca. In tal caso si dovrà ripetere la benedizione. E’ bene
:‫ָא‬
‫ָא דְַא ְרע‬
‫ְּכ ַע ְפר‬la‫וֵי‬ricerca.
‫טִיל וְֶל ֱה‬Con
‫ ִל ְב‬un’unica
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּותִי ַד ֲחזִּתֵיּה ּו ְדלָא ֲחזִּתֵיּה ְד ִב ַע ְרּתֵיּה ּו ְדלָא ִב ַע ְרּתֵיּה‬
comunque evitare di parlare
durante
tutta
:‫ִב ַע ְרּתֵיּה ִל ְבטִיל וְֶל ֱהוֵי ְּכ ַע ְפרָא דְַא ְרעָא‬
benedizione si può fare la ricerca in varie abitazioni. Si possono anche riunire varie persone e assegnare loro il compito di eseguire la
“Kol chamirà deikkà birshutì dachazitè edlà chazitè deviartè udlà
ricerca in diversi luoghi.
viartè livtil velevè keafrà dear’à”
La ricerca deve essere eseguita in ogni angolo della casa, anche in
“Qualsiasi chametz che sia in mio possesso che abbia visto o che
terrazze, pianerottoli, sotto i letti, negli armadi, e comunque in onon abbia visto, che abbia eliminato o non abbia eliminato, sia angni luogo nel quale possa trovarsi del chametz. Bisogna eseguire
nullato e considerato come polvere della terra.”
la ricerca anche nelle automobili, nei negozi e nei cassetti nelle SiE’ bene che tale formula venga recitata direttamente dal padrone
nagoghe. Parimenti bisogna effettuare una cernita dei medicinali
di casa; in caso contrario può recitarla (con leggere varianti testuain nostro possesso, cercando di individuare ed accantonare quelli
li) un familiare o un altro incaricato.
contenenti chametz. Si faccia attenzione inoltre al cibo per gli aniI Maestri hanno vietato tutto il chametz che non sia stato venduto
mali, che spesso contiene chametz. Prima della ricerca si usa naad un non ebreo prima di Pesach. La vendita deve avvenire entro
in vari punti della casa 10 pezzettini di pane (di peso inchametz10.inddscondere
1
01/03/2010 13.29.51
la quinta ora solare della vigilia. Tutto il chametz che intendiamo
feriore a 29 grammi) avvolti nella carta, per avere la certezza biur
dichametz10.indd
tro1
01/03/2010
vendere deve essere riunito in una stanza, una cantina, o un armavare del chametz da bruciare il giorno successivo.
La
a ‫ל‬lume
di‫ל‬una
candela
o di
‫רָא‬ricerca
‫ ּו ָב‬,‫דבָר‬deve
ָ ‫לָמֹו‬essere
‫ּסַר ּבְעֹו‬eseguita
‫ָם ֶׁשֹּלא ִח‬
‫ְֶך הָעֹו‬
‫ֵינּו ֶמ‬
‫ ה׳ אֱֹלק‬di‫ּתָה‬cera
‫ָרּוְך ַא‬
‫ ּב‬dio, e dal momento della vendita non si deve entrare nella stanza,
o aprire gli armadi o le casse che contengono del chametz. Per la
paraffina, o, in alternativa, di una torcia elettrica. Non si possono
:‫ בֹו ְּברִיֹות טֹובֹות וְאִילָנֹות טֹובִים ְלהַּנֹות ָּבהֶם ְּבנֵי ָאדָם‬vendita si può usare la delega pubblicata nelle pagine successive.
utilizzare candele intrecciate, come quelle che si usano per l’havdalà. Al termine della ricerca bisogna eseguire l’annullamento
ACCENSIONE DEI LUMI
mentale
di
‫תָיו וְ ִצּוָנּו‬del
‫ִמצְֹו‬chametz,
‫ְׁשנּו ְּב‬
ָ ‫ִקּד‬per
‫ֲׁשר‬
ֶil‫א‬timore
‫הָעֹולָם‬che
‫לְֶך‬qualche
‫אֱֹלקֵינּו ֶמ‬piccolo
‫ּתָה ה׳‬pezzo
‫ָרּוְך ַא‬
‫ ּב‬Di Yom Tov, come di Shabbat, bisogna accendere dei lumi in onore
chametz sia sfuggito alla ricerca. Tale annullamento avviene attra:‫ עַל ּבִיעּור ָחמֵץ‬della festa, recitando la benedizione leadliq ner shel Yom Tov.
verso una breve formula in lingua aramaica, che viene recitata al
termine dalla ricerca dal capo famiglia (o chi per lui):
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּותִי ְדלָא ֲחזִּתֵיּה ּו ְדלָא ִב ַע ְרּתֵיּה ִל ְבטִיל‬
:‫וְֶל ֱהוֵי ְּכ ַע ְפרָא דְַא ְרעָא‬
“Kol chamirà deikka birshutì delà chazitè udlà viartè livtil velehevè
keafrà
dear’à”
‫ֵיּה ּו ְדלָא‬
‫ּכָל ֲחמִירָא ְדאִיּכָא ִברְׁשּותִי ַד ֲחזִּתֵיּה ּו ְדלָא ֲחזִּתֵיּה ְד ִב ַע ְרּת‬
:‫ִב ַע ְרּתֵיּה ִל ְבטִיל וְֶל ֱהוֵי ְּכ ַע ְפרָא דְַא ְרעָא‬
LUNEDI 14 E MARTEDI 15 APRILE
IL SEDER
Il Seder (letteralmente ordine) è la cerimonia che ha luogo le prime
due sere di Pesach, con la quale si celebra la fine della schiavitù egiziana e la libertà del popolo ebraico.
13.29.51
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Riso e legumi: proibiti per gli Ashkenaziti, permessi per i Sefarditi
dopo averli accuratamente esaminati. Alcune diffuse marche presentano confezioni con riso mescolato a cereali.
Carne e pesce freschi: permessi. Alcuni Ashkenaziti vietano la
carne di volatili. Alcune famiglie romane di Pesach non consumano
pesce.
Frutta e verdura fresche: permesse.
Nocciole, pistacchi, arachidi: proibiti in assenza di controllo.
25
PESACH 5774
I 4 BICCHIERI DI VINO
Durante il Seder è obbligatorio bere 4 bicchieri di vino. Questo
obbligo, come tutti gli altri del Seder, vale anche per le donne.
Anche gli astemi devono sforzarsi di bere. E’ preferibile utilizzare
del vino rosso, ma all’occorrenza si potrà usare anche del vino
bianco. I bicchieri devono contenere almeno 87 cc, e bisogna bere
almeno la maggior parte del bicchiere. I bicchieri vanno riempiti
completamente. I bicchieri di vino, come la matzà, il korech e l’afiqomen devono essere consumati con l’hasibà, cioè stando seduti ed appoggiati sul gomito sinistro. Chi non può bere vino consulti un rabbino.
MATZÀ E MAROR
Durante il Seder bisogna consumare matzà e maror (erba amara). Si ricorda che è assolutamente consigliabile consumare durante il Seder delle matzot shemurot, matzot preparate con farina controllata dal momento della mietitura del grano, reperibile
nelle rivendite autorizzate. Bisogna fare estrema attenzione a
mangiare almeno un kezait (circa 29 grammi) di matzà ed un kezait di maror. Le matzot attualmente in commercio pesano circa
30 grammi, per cui, mangiandone una intera, si esce d’obbligo.
Per il maror è necessario consumare 2-3 foglie di lattuga di medie dimensioni.
LE TEFILLOT DI PESACH
Le tefillot di Pesach si differenziano da quelle dei giorni feriali.
Riportiamo di seguito le differenze principali:
- Nei giorni di Mo’ed bisogna recitare la ‘amidà di Mo’ed, ricordando nella benedizione centrale che è Pesach, zeman cherutenu, tempo della nostra libertà.
- Nei primi due giorni di Mo’ed si recita l’Hallel completo, mentre nei restanti giorni di Pesach se ne omettono alcuni Salmi (le
omissioni sono indicate in qualsiasi tefillà).
- A partire dal 1° giorno di Pesach, dalla tefillà di Musaf, anziché
dire Mashiv ha-ruach umorid ha-gheshem (che fa soffiare il
vento e scendere la pioggia) si dice morid ha-tal (che fa scendere la rugiada). Nel rito romano e sefardita alla fine di Musaf
si canta l’ ‘osè shalom (“le pizzarelle”)
- A partire dalla seconda sera di Pesach, inizia il conteggio
dell’‘omer, che si protrarrà sino alla vigilia di Shavu’ot. La benedizione e la formula da recitare, sono reperibili su qualsiasi
tefillà.
- A partire dall’uscita del secondo giorno di Mo’ed, nella 9° benedizione della ‘amidà (barech ‘alenu) non si dice più la parola
umatar.
- All’uscita di Mo’ed si fa l’havdalà recitando la benedizione sul
vino e quella finale.
- La mattina dell’ultimo giorno di Pesach, al termine della tefillà,
viene impartita la benedizione dei bambini.
Si ricorda inoltre che, in base all’uso sefardita e italiano recente,
non si indossano i tefillin durante tutta la festa di Pesach.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Sedarim pubblici
26
I e II sera
Istituto Pitigliani - Via Arco dè Tolomei, 1
Info e prenotazioni tel. 06-5800539
II sera
Asili Infantili Israelitici “Tevat Noah”
Lungotevere Sanzio 14 Tel. 06-5803668 - [email protected]
Scuola Elementare - Via del Tempio, - tel. 06-6896007
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Tempio Shirat Ha-Yam Via Oletta 20
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V. Portico d’Ottavia 6 Roma Tel. 06 68806129
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Via L. il Magnifico 70 - 00162 Roma 06/44243959
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Via S. Gherardi 16/18 - 00146 Roma Tel. 06/5565231
V. S. Gherardi 44 – 00146 Roma Tel. 065572565
V. G. Boni 18 – 00161 Roma Tel. 0644254461
V. del Portico d’Ottavia 11 00186 Roma Tel. 0668135002
MACELLERIA TERRACINA
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Via F. Maurolico 28 00146 Roma Tel. 06/5560822
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Via Cremona 48 - 00162 Roma Tel 06/44290570
PRANZI E CENE KASHER LE PESACH
DI CHOL HA MOED ALLA SCUOLA “V. POLACCO”
Giov. 17 aprile 2014 – pranzo e cena
Ven. 18 aprile 2014 – pranzo
Sab. 19 aprile 2014 – cena
Dom. 20 – pranzo in due turni
Per informazioni Tel. 339 1285276
DOMENICA 13 APRILE 2014
DALLE ORE 12 ALLE ORE 16
verrà effettuata un’Hagalà pubblica (bollitura)
nei locali della scuola “V. Polacco” V. del Tempio
Per rispondere alle richieste di ospitalità per il Seder invitiamo chiunque sia disponibile
a chiamare o contattare l’ufficio rabbinico al numero 06.68400651 fax 06.68400655 e-mail: [email protected]
F
ra le tante cose da comprare
alla vigilia di Pesach non dovrebbe
mancare
anche il libro dell’Haggadà. Quest’anno è disponibile un’edizione veramente speciale (acquistabile
presso l’Asilo e nella libreria Kiryat Sefer): quella disegnata e colorata dai bambini
dell’Asilo
Israelitico
“E.
Toaff”.
In mezzo al testo tradizionale i
disegni, le foto, le composizioni, i collage eseguiti dai bambini, in uno sfavillante succedersi di
colori che rendono ‘divertente’ (da cui il
titolo “L’Allegra Haggadà”) il racconto
della miracolosa uscita degli ebrei
dall’Egitto.
Non esiste festa ebraica come Pesach
in cui sia così importante la partecipazione dei bambini (ad essi è affidato il compito di iniziare con il
canto Ma Nishtanà) ed in cui è così
forte l’aspetto educativo e la trasmissio-
ne di generazione in generazione della
nostra storia.
“I brani dell’Haggadà - ricordà nell’introduzone la direttrice dell’Asilo, Judith Di
Porto - si iniziano a cantare fin dalla
Scuola Materna, quando l’apprendimento della lettura è ancora lontano ed è
così che l’atmosfera della festa avvolge tutti, piccoli e grandi, in una sensazione unica di riconquistata libertà”.
E’ quindi in perfetta sintonia con
questa partecipazione dei più piccoli alla festa aver pensato e aver
creato, con il supporto fondamentale delle morot,
una Haggadà scritta
dai piccoli per i loro
coetanei ma anche per
i grandi. Perché - ricorda nell’introduzione rav
Roberto Colombo - al
figlio (ben, dal verbo
banà-costruire) “è dato il
compito di edificare il popolo ebraico e permettere l’eternità di Israele”.
G. K.
Gli orari di Roma
per Pesach 5774
Rosh Chodesh Nisan:
martedì 1 aprile
Shabbat Ha Gadol:
sabato 12 aprile
Ricerca del chametz:
dalle 20.17 di domenica 13 aprile
Digiuno dei primogeniti:
lunedì 14 aprile dalle 5.19 (secondo
alcuni 5.02) alle 20.18
Sjium massakhtà: lunedì 14 aprile
Tempio Spagnolo alle 7.00
Oratorio Di Castro alle 7.30
Via Pozzo Pantaleo alle 7.30
Bet Shemuel, Bet El alle 7.30
Tempio Maggiore alle 7.45.
Limite per mangiare il chametz:
10.18 di lunedì 14 aprile
Limite per l’annullamento e la vendita:
11.33 di lunedì 14 aprile
Seder: la sera del 14 e 15 aprile
Pesach termina:
alle 20.44 di martedì 22 aprile
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
L’allegra Haggadà disegnata
dai bambini dell’Asilo Israelitico “E. Toaff”
27
PESACH 5774
Delega per la vendita del chametz
Il sottoscritto __________________________________________________________________________________________________________________
delega il Rabbino Capo di Roma, affidandogli per questo pieni poteri, ad eseguire in sua vece ed a suo nome:
• La vendita di tutto il chametz, di cui consciamente o inconsciamente sia in possesso secondo la definizione della
Toràh e delle leggi rabbiniche, o chametz che appartenga ad altri e sia a mia disposizione: chametz, mescolanze che
contengano chametz, chametz dubbio ed ogni sorta di materiale contenente chametz, incluso il chametz che tende ad
in­durire e ad aderire alla superficie interna degli utensili (incluso quello che verrà acquistato sino al momento dell’affitto successivamente menzionato).
• L’affitto dalle ore 11,33 del 14 aprile fino alle ore 20,44 del 22 aprile di ogni luogo posseduto o di cui si abbia l’usufrutto
in cui si trovi chametz ed in particolare negli immobili situati in (indicare le proprie residenze, anche quelle secondarie
e usate per le vacanze, uffici, negozi)
_______________________________________________________________________________________________________________________________
oltre a tutti i luoghi ed oggetti che è in mio potere affittare, in cui vi sia chametz, mescolanze di chametz, o chametz dubbio, mio o di altri .
Lo stesso Rabbino ha il pieno diritto di vendere o affittare, nel modo che ritenga opportuno o necessario nei termini e con
le formule del contratto generale, che verrà da lui compilato, per la vendita del chametz, contratto che accetto pienamente
senza alcuna eccezione e che deve considerarsi parte integrante di questa delega. Conferisco inoltre all’acquirente il diritto di accedere alle mie proprietà, e mi impegno a consegnargli le chiavi di tali luoghi in qualsiasi momento egli desideri.
Il sottoscritto affida altresì allo stesso Rabbino i pieni poteri e l’autorità di scegliere e delegare in sua vece un sostituto
Rabbino al quale poter affidare i medesimi poteri di vendita e di affitto alle condizioni della presente delega. I poteri concessi con questa delega sono in conformità con le leggi della Torà, con i regolamenti e le leggi rabbiniche e con le leggi
di questo Stato.
Roma, lì ________
Nisan 5774 ______ Aprile 2014
Firma _____________________________________
DA CONSEGNARE COMPILATO ALL’UFFICIO RABBINICO O AL RESPONSABILE DI UN BETH HA-KNESSETH
O PER FAX 06.68400655 ENTRO LE 11,33 DEL 14 APRILE.
LA DELEGA SARÀ DISPONIBILE ALL’INDIRIZZO WWW.SHALOM.IT E PUÒ ANCHE ESSERE
INVIATA PER E-MAIL ALL’INDIRIZZO: [email protected]
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Dal 2 al 13 aprile
28
Prenota il tuo turno
e porta la tua ricetta:
troverai gli ingredienti in sede
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14 E 15 APRILE - ORE 20,30
CON
DANIELE BOARI
II° Seder in collaborazione
con l’Adei Wizo
In collaborazione con l'Ufficio Rabbinico
PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA
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Info e prenotazioni 06.5897756 - 06.5800539 (int. 2)
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29
CATENA
DI AVVENIMENTI
Nella storia del popolo ebraico non esistono la noia o le situazioni banali. Una vita piena di avventure, peripezie, vicissitudini,
opere di ingegno, cambi di paese sono la normalità. Che valore
hanno queste storie?
Un valore immenso perché sappiamo che ogni decisione e atto,
in qualsiasi momento della nostra vita, può cambiare il destino
di un uomo, di altri uomini, di tutto il mondo. Per questo i Lasciti le Donazioni e i Fondi al Keren Hayesod sono la migliore
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oggi avrà senso anche domani. Sostenendo tra l’altro progetti
per Anziani e sopravvissuti alla Shoah, Sostegno negli ospedali, Sviluppo di energie alternative,Futuro dei giovani, Sicurezza
e soccorso, e Restauro del patrimonio nazionale.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Tu con il Keren Hayesod
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30
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Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia
vi potrà dare maggiori informazioni
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PENSIERO
Henry il diavolo
e Hannah la santa
È
nato a Furth, in Baviera, il 27 maggio del 1923, e in Germania è stato
chiamato Heinz Alfred. Alla grande storia del secolo scorso passerà
sotto il nome made in USA di Henry. Henry
Kissinger, naturalmente: un ebreo di
Manhattan che neppure aveva compiuto i
cinquant’anni della piena maturità, quando
nel 1968 il Presidente Nixon lo
sottrasse al Board dell’Università di Harvard, per elevarlo al
rango di Consigliere per la
Sicurezza Nazionale.
I genitori di Kissinger erano
riusciti a fuggire dal Terzo
Reich nel 1938: prima a Londra, poi a New York. Il soldato
semplice Henry combatté
valorosamente nelle Ardenne.
Decorato e promosso sergente, si occupò della caccia agli
agenti della Gestapo e poi della “denazificazione” del Distretto di Hesse. Parlava
ovviamente un perfetto tedesco: gli abitanti lo ricordano come un ebreo “morbido” e
non vendicativo. La guerra fredda era già
iniziata: Henry percepiva perfettamente
che l’aria stava cambiando. La strada fu
subito chiara, e lo avrebbe portato molto
lontano. Il viaggio di Richard Nixon a Pechino, che Kissinger aveva personalmente
voluto ed organizzato alla fine di febbraio
del 1972, avviò la conclusione della guerra
in Vietnam e accerchiò l’Unione Sovietica.
Kissinger ottenne il successo più fenomenale. Ma dovette pagare un prezzo elevato
alla destra del Grand Old Party repubblicano, per la normalizzazione dei rapporti tra
Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese.
Verso la fine dell’anno successivo, si trovò
al centro di due grandi, pessimi affaires
internazionali: il golpe in Cile e poi, a ottobre, la Guerra del Kippur. Dal 6 al 26 ottobre l’esercito di Israele si batté su due
fronti. A sud, nel Sinai, contro l’Egitto del
Presidente Anwar el-Sadat, e a nord, sul
Golan, contro i siriani che volevano Haifa e
forse la vita stessa di Israele. L’undici di
settembre del 1973 il Cile socialista di Salvador Allende era finito sotto il tallone dei
militari. Kissinger ne sapeva qualcosa. Fu
premiato da Nixon anche con il Dipartimento di Stato, dove restò in carica fino al 20
gennaio 1977.
Se raccontando vicende ebraiche fosse possibile paragonare il diavolo con l’acquasanta, certe carriere diasporiche si caratteriz-
zerebbero in modo esemplare. Kissinger ha
rappresentato infatti per decenni la bestia
nera di tutte le sinistre del mondo, mentre
Hannah Arendt è stata impropriamente
santificata fino a incarnare l’immagine perfetta e dunque ridicola dell’ebreo preferito
dalla sinistra antisionista e dagli stessi
ebrei radical desiderosi di legittimazione.
Nata ad Hanover nel 1906, lasciò la Germania già nel 1933, rifugiandosi in Francia. Nel
1940 fu internata nel campo di Gurs. Riuscì
ad ottenere un visto per gli USA appena in
tempo, grazie a due veri “giusti” americani: Hiram Bingham e Varian Fry. Anche
Arendt poté godere di straordinario prestigio accademico – a Yale, a Princeton, a
Stanford—e per conto del prestigioso The
New Yorker seguì a Gerusalemme il processo contro Adolf Eichmann. Non s’era certo
sottratta alla missione di molti ebrei tedeschi che tornarono in Germania, nel 19451946, per assistere gli scampati del genocidio. E fu poi attiva nell’azione della Alyat
ha-Noar che aiutava i più giovani nell’emigrazione verso Israele.
Attribuire ad Hannah Arendt l’adesione
all’antisionismo militante è una pura sciocchezza. Al di là delle polemiche a posteriori,
il suo libro più celebre “Eichmann in Jerusalem – La banalità del male” permise
allora agli ebrei più giovani che ebbero la
possibilità di leggerlo, ebrei cresciuti in
famiglie miracolosamente sopravvissute al
massacro, di avviare un percorso interiore
di comprensione. Nazismo e fascismo uscirono così per la prima volta dal mondo degli
incubi per trasferirsi in quello della storia.
Non è questa l’occasione per occuparsi
della tormentata, passionale, incomprensibile relazione di Hannah Arendt con il filosofo nazista Martin Heidegger. Si deve però
discutere di un film molto particolare dedicato ad Arendt da Margarethe von Trotta.
La regista è probabilmente inconsapevole
dei condizionamenti originari e mai completamente rinnegati di alcuni grandi ebrei
tedeschi, i quali finirono per scoprirsi del
tutto leali – c’è anche una psicologia delle
diaspore, e quella germanica è inconfondibile -- di fronte ai poteri nuovi, politici o
accademici che fossero, cui dovevano prestigiose posizioni. Ma la sua filmografia
risulta importante per comprendere la Germania attuale e decifrarne la complessità.
Le ferite inferte dal nazionalsocialismo al
corpo della nazione tedesca sono forse
rimarginate, ma le cicatrici restano profonde. Sembrano tuttora impossibili sia l’espiazione che il risarcimento. Anzi, la rinascita
di una Germania grande e unita, di nuovo
nel ruolo di potenza globale che può condizionare il destino dell’intera Europa, non
piace a nessuno, e non piace soprattutto
agli inglesi. “Li abbiamo battuti due volte,
ed eccoli di nuovo”, disse la signora Thatcher nei giorni della riunificazione.
Sono ormai quarant’anni che von Trotta
ragiona sulle vicende del suo paese, scavando nel passato e meditando sul presente. Nata nel 1942, ha però un problema: gli
ebrei. Conoscere gli ebrei e i drammi della
loro storia è indispensabile per vivere la
Germania e in Germania. Le piacciono
ovviamente gli ebrei “sul confine”, quelli
più esposti e più indifesi. Ecco dunque
Rosa Luxemburg, e poi Rosenstrasse,
adesso Hannah Arendt. Rovesciando il
titolo più celebre, in questo caso Arendt
non ha potuto difendersi dal “male della
banalità”. Von Trotta potrebbe dedicarsi
anche agli spettatori illustri e passivi dei
crimini nazisti, nomi che fanno sobbalzare
–- poiché qualcuno può essere tranquillamente iscritto tra i veri ispiratori e complici intellettuali del nazionalsocialismo decisivi nella cultura del Novecento: Karl
Schmitt, Martin Heidegger, Wilhelm Furtwangler, Werner Heisenberg, Ernst Junger, e perfino Max Planck. E’ una lista
parziale. Devoti alla Germania hitleriana
senza particolare riluttanza, alcuni pagarono con la vita dei figli la guerra nazista e il
complotto del 20 luglio 1944. Per giunta,
furono spesso vicini e vicinissimi agli ebrei
tedeschi, che non vollero e non poterono
salvare. Ma non ci sono “giusti”, tra questi
nomi.
PIERO DI NEPI
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Vite quasi parallele di ebrei tedeschi negli Stati Uniti.
Kissinger ha rappresentato l’espansionismo americano,
la Arendt il dibattito culturale post Shoah
31
PENSIERO
La malattia come “premonizione”
Considerazione sul Parnàs di Silvano Arieti
I
l 1° agosto del 1944 poco prima che la
città di Pisa fosse liberata, Giuseppe
Pardo Roques, il Parnàs della comunità,
è barbaramente trucidato nella sua casa
insieme agli ospiti e alla badante cristiana,
che non ha voluto abbandonarlo. Alla sua
memoria è dedicata, la ricostruzione di Silvano Arieti nel 1979, prima della morte per un
male incurabile. Quando Silvano Arieti, il
grande psichiatra ebreo americano di origine
italiana, pubblica la storia del Parnàs della
Comunità ebraica di Pisa, la Shoah non si è
ancora imposta nella cultura occidentale
come elemento centrale della storia e della
memoria europea del Novecento. In sintonia
con una consapevolezza nuova, che si va
affermando nella cultura occidentale, Arieti
afferma che «la società tutta quanta» non si è
ancora resa conto “delle effettive dimensioni
dell’Olocausto» e che la cultura non ne ha «ancora recepito il
pieno significato». Il destino dell’umanità dipende in larga misura dalla cognizione «che le future generazioni» avrebbero avuto
di questa tragedia, dal modo in cui avrebbero reagito alla consapevolezza «dell’enorme potenzialità del male».
Quanto più grande è il male, ancor più grande deve esserne «la comprensione e l’amore
necessario per sconfiggerlo». «I prodromi di
questa superiore comprensione, di questo
più grande amore – si legge nella pagina
conclusiva, con riferimento alla malattia di
Pardo Roques – a volte si celano in oscure
idee e in strane forme di sofferenza e dolore».
Non è escluso che di fronte «alle irresponsabilità di tanti uomini politici e alla cecità di
molte persone normali» queste idee si possano ritrovare «nella malattia mentale». In
un’opposizione speculare alla malattia individuale di Pardo, c’è la malattia nazismo con le
sue perversioni sociali e culturali. Un terzo
elemento sul quale l’autore intende richiamare l’attenzione è il “nesso”, direi quasi sincronico, che s’instaura tra le due forme di
malattia.
Collocato ai margini della sua produzione scientifica, quasi fosse
una breve parentesi in una lunga vita di studioso e di ricercatore,
il Parnàs ne rivela il mito profondo, le scelte di studioso e l’approccio terapeutico al disagio e alla sofferenza mentale.
L’intenzione di Arieti è di raccontare fatti realmente accaduti.
BANDO PER L’ATTRIBUZIONE DEL SUSSIDIO
PER LA FREQUENZA DELLE SCUOLE
DELLA COMUNITA’ EBRAICA DI ROMA ANNO 2013/2014
famigliare è assistito. Detta documentazione sarà allegata al resto
dei documenti presentati ai fini dell’ottenimento del contributo.
Non saranno accettate le domande che verranno presentate oltre i termini o prive della prescritta documentazione.
Saranno altresì rigettate le domande di quei nuclei famigliari
che si trovano in posizione debitoria nei confronti della Scuola,
giusta delibera della Giunta della Comunità Ebraica di Roma
del 4 aprile 2012.
La Giunta della Comunità Ebraica di Roma procederà con propria
delibera alla nomina di una apposita Commissione con il compito
di valutare le domande ed attribuire il sussidio.
La Commissione nominata potrà procedere alla verifica della
documentazione presentata e alla richiesta di informazioni aggiuntive avvalendosi anche del supporto di figure professionali
esterne; potrà altresì annullare eventuali sussidi erogati qualora
si accertasse la non veridicità della documentazione presentata e
della condizione economica dichiarata.
La Commissione, formata da un minimo di tre membri, rimane in
carica per tutta la durata necessaria all’espletamento dei lavori.
Al termine dell’analisi delle domande, l’Ufficio Amministrazione
Scuole procederà a comunicare agli interessati l’esito della domanda stessa e le decisioni assunte dalla Commissione.
Non sarà possibile procedere al ricorso in seconda istanza, tranne nel caso in cui non siano cambiate le condizioni economico-patrimoniali della famiglia o non siano nel frattempo incorsi
altri utili fattori tesi alla rivalutazione della domanda.
Sarà invece possibile procedere al ricorso presso l’Organo Superiore, come stabilito dal vigente Regolamento; la domanda di
ricorso potrà essere presentata presso l’Amministrazione Scuole entro 15 giorni dall’avvenuta risposta dell’esito e sarà valutata da una Commissione diversa dalla precedente composta da:
l’Assessore con delega i sussidi scolastici, dal Presidente della
Commissione Sussidi Scolastici e da un Rav indicato dall’Ufficio
Rabbinico.
Ogni altra utile informazione potrà essere richiesta o telefonicamente o via e-mai all’indirizzo di posta elettronica [email protected]
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
L
32
a Comunità Ebraica di Roma, in fase di approvazione del
bilancio di previsione per l’anno 2014-15, ha stanziato
la somma di € 238.500,00 volta all’attribuzione di sussidi scolastici per la frequenza alle Scuole della Comunità
Ebraica di Roma per l’anno scolastico 2014-15 per quegli alunni le
cui famiglie si trovano in comprovato stato di disagio economico.
La somma, come da delibera della Giunta del 11/12/2013 e del
Consiglio del 26/12/2013, è così ripartita:
- € 85.000,00 Scuola primaria paritaria Vittorio Polacco;
- € 85.000,00 Scuola Secondaria paritaria di I grado Angelo
Sacerdoti;
- € 68.500,00 Scuola Secondaria paritaria di II grado Renzo Levi
Al fine di ottenere detto sussidio, gli interessati dovranno far
pervenire entro e non oltre il 30 aprile 2014 all’Ufficio Amministrazione Scuole della Comunità Ebraica di Roma (via del Tempio
5, tel/fax 06/5811294, orario di apertura al pubblico dal lunedì al
giovedì dalle 8.00 alle 13.30 e dalle 14 alle 16 e venerdì 8.00-13.00)
i seguenti documenti:
- domanda di partecipazione e foglio notizie (da ritirare presso
l’Ufficio Amministrazione Scuole);
- fotocopia dei documenti di entrambi i genitori;
- dichiarazione dei redditi o ISEE riferito all’anno 2013;
- nulla osta rilasciato dall’Ufficio Tributi della Comunità ebraica
di Roma che attesti la regolarità nei pagamenti dei tributi
previsti per l’anno in corso e per gli anni precedenti;
- ogni altro documento considerato utile ai fini della valutazione della domanda (ricevuta pagamento affitto, piano ammortamento mutuo, attestazioni invalidità, eventuale lettera tesa
a motivare la richiesta di contributo).
Quei nuclei famigliari che sono già assistiti dalla Deputazione
Ebraica di Assistenza dovranno, oltre alla su citata documentazione, presentare anche una lettera rilasciata della Deputazione
stessa nella quale vengono indicati i motivi per i quali il nucleo
le». Esegue la manovra con compostezza e
discrezione, ma lo scopo è evidente. Alcuni lo
compatiscono, altri ridono o lo provocano.
Eppure, in veste di capo della comunità, di
imprenditore e di uomo di cultura è altamente
rispettato. E’ un uomo di cultura, buono e competente.
Nella rappresentazione idealizzata di Arieti, è
un messaggero di verità per un’umanità che
ha smarrito la ragione e il sentimento della
compassione. Secondo la metafora di Isaia, è
un profeta teso a salvare le poche olive rimaste sull’albero dopo la tempesta. Nel suo ultimo incontro col Parnàs, Arieti è incoraggiato a
proseguire gli studi. Chi sa che quel giovane
brillante, che ha visto crescere, non potesse
un giorno illuminarlo sui segreti del male da
cui è afflitto. Colto di sorpresa da quelle parole, Arieti è commosso. Forse che il vecchio
saggio abbia compreso il motivo più segreto
per il quale il suo amico più giovane ha deciso
di dedicare la propria vita allo studio dell’animo umano, diventando medico e psichiatra?
Nello scritto pubblicato quarant’anni dopo, a suggello di un’opera pluridecennale di studi e ricerche, la malattia di Isacco Pardo
Roques assume un significato profetico. Non potendo e non
volendo accettare l’idea che l’uomo possa essere un lupo per i
suoi simili, il Parnàs si è ammalato. Chiuso nella sua casa insieme con altri vecchi ebrei e non ebrei che gli sono rimasti vicini
sino alla fine, il Parnàs scopre la notte prima del suo martirio, il
segreto della malattia che lo ha oppresso per decenni. Le sue
fobie sono solo grandiose creazioni della mente che intravvedono oscuramente dei pericoli che le persone “sane” possono
rifiutare di guardare. La sua malattia è un roveto ardente, la voce
oscura che dal profondo aveva intimato a guardare il grave pericolo che si annoda nelle pieghe della storia e che si sta per
abbattere sul popolo ebraico e sull’umanità intera. Le fissazioni
di cui ha lungamente sofferto e che per incanto svaniscono di
fronte ai suoi aguzzini, sono la maschera di una paura più grande
e del bisogno di conservare intatta la fede in Dio.
DAVID MEGHNAGI
Silvano Arieti, Il Parnàs,
Milano, Mondadori, 1979
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MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
L’autore ha «accertato la verità della maggior
parte dei fatti esposti». Le parole attribuite
ai personaggi sono quelle che hanno “probabilmente pronunciato».
Prima delle leggi razziste del 1938, Pardo
Roques era ricevuto dalla famiglia reale a
Villa San Rossore. Nel suo salotto appariva
ritratto con i reali e con Mussolini. In una foto
appare con Nahum Sokolov, un ex-compagno
di scuola di Freud, che fu suo ospite nel 1927
in occasione di un viaggio italiano. Amico di
Chaim Weizman, futuro primo presidente
dello Stato di Israele, il Parnàs è un finanziatore generoso del Fondo Nazionale Ebraico e
un attivo sostenitore dei movimenti giovanili
ebraici e una fonte di aiuto costante per i
profughi ebrei che passavano per l’Italia. Il
suo salotto è un’oasi di libertà e di umanità,
dove nel clima asfittico della cultura italiana
di quegli anni si può discutere di Husserl,
Martin Buber, Ahad Ha’am e Sigmund Freud.
Nel salotto del Parnàs, Arieti ascolta dalla viva voce di Sokolov
parole cariche di angoscia sul futuro degli ebrei. Ha l’opportunità
di parlare con un grande pioniere della psicoanalisi italiana,
autore di un’importante opera su Freud che Arieti divora e studia. Cacciato dall’università, Enzo Bonaventura parte per Gerusalemme, dove morirà nell’attacco terroristico contro il contingente di medici ebrei nella guerra di distruzione scatenata dagli
eserciti arabi per impedire la nascita dello Stato ebraico. Arieti
opta per gli Usa portando con sé il libro di Bonaventura avuto in
prestito dal Parnàs. Trattato come un “oggetto transizionale”, il
libro con la dedica a Pardo Roques sarà il viatico di un cammino
lungo e fecondo.
All’epoca del suo ultimo incontro col Parnàs, Arieti ha ventiquattro anni. Il suo interlocutore sessantaquattro. Ora che ne ha
quasi raggiunto l’età, scrivere «col sangue» e con le lacrime per
combattere l’oblio, è un atto dovuto. Prima che la morte condanni pure lui al silenzio, come purtroppo accadrà con la grave
malattia da cui sarà consumato poco dopo l’uscita del libro.
Discendente di un’antica famiglia ebraica di origine spagnola,
Pardo Roques è a capo della comunità ebraica nel suo momento
più tragico. Benestante e scapolo, dedica gran parte delle sue
energie alla conduzione della vita comunitaria e al sostegno
delle persone più bisognose. Gravemente malato, è impegnato e
animato da progetti che spaziano nei più svariati campi della
vita sociale e culturale. La malattia non impedisce a Pardo di
abbinare alle sue funzioni di presidente della comunità ebraica
pisana un’intensa attività sociale e filantropica e di azione a
sostegno del movimento sionista. In Sant’Andrea la sua presenza, la sua casa, la sua beneficienza del venerdì – quando all’ora
fissata, secondo una tradizione viva nella cultura sefardita, riceve i bisognosi e non mandava via mai nessuno a mani vuote – è
sentita. Nei ricordi vivi di Arieti, egli è una persona versata negli
studi biblici e talmudici, con una solida conoscenza della cultura
classica e dei movimenti politici «che durante i primi quattro
decenni» del Novecento hanno cambiato il volto dell’Europa. Il
“benefattore” vive nell’incubo che centinaia di animali possano
da un momento all’altro assalirlo, balzargli addosso mordendolo
e lacerandone il corpo prima di ucciderlo. Egli ha paura di tutti
gli animali: leoni, tigri e serpenti. Vivendo in città le sue fobie si
sono concentrate sui cavalli, sui gatti. Soprattutto teme i cani. In
particolare quelli che per forma ricordavano i lupi. Quando esce
da casa, porta con sé un bastone che si passa dietro la schiena
da una mano all’altra con movimento semicircolare per assicurarsi che nelle vicinanze non ci siano animali né bestie. Lo utilizza «alla maniera dei ciechi, con la differenza che, anziché muoverlo davanti a sé”, controlla “lo spazio invisibile alle sue spal-
33
MEDIO ORIENTE
Libia: oggi l’obiettivo
della guerra è il “nero”
Nel Paese non vi è alcuna pacificazione,
ma uno scontro tribale e razzista
tra diverse etnie tutte musulmane
I
l Sabato 18 gennaio, un gruppo di combattenti pesantemente armati hanno preso d'assalto una base aerea fuori dalla
città di Sabha, nel sud della Libia, espellendo le forze fedeli
al "governo" del primo ministro Ali Zeidan, e occupando la
base. Allo stesso tempo, all'interno del paese hanno cominciato
ad arrivare alla spicciolata, combattenti con la bandiera verde
della Gran Giamahiria Araba Libica Socialista Popolare gheddafiana. Nonostante la scarsità di informazioni verificabili - il
governo di Tripoli ha fornito solo i dettagli vaghi e conferma una cosa è certa : la guerra per la Libia continua.
Il primo ministro libico Ali Zeidan ha convocato una sessione di
emergenza del Congresso generale nazionale per dichiarare lo
stato di allerta per il paese dopo la notizia della presa della base
aerea di Sebha. Un portavoce del ministero della Difesa in seguito ha affermato che il governo centrale aveva recuperato il controllo della base aerea. In aggiunta all'assalto alla base aerea, ci
sono stati altri attacchi contro singoli membri del governo a Tripoli. Il più grave incidente è stato il recente assassinio del Vice
Ministro dell'Industria Hassan al- Droui nella città di Sirte. Anche
se non è ancora chiaro se sia stato ucciso dalle forze islamiste o
combattenti della resistenza verde, il fatto inequivocabile è che
il governo centrale è sotto attacco e non è in grado di esercitare
una vera autorità o fornire sicurezza nel paese.
L'aumento delle forze di resistenza verdi in Sebha e altrove è solo
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una parte del calcolo politico e militare più grande e più complesso nel Sud dove un certo numero di tribù e vari gruppi etnici
sono insorti contro quello che percepiscono come una politica
economica del Governo centrale, di emarginazione sociale. Gruppi come le minoranze etniche Tawergha e Tobou, che sono
entrambi gruppi africani neri, hanno subito attacchi feroci per
mano delle milizie arabe senza alcun sostegno da parte del
governo centrale. Non solo questi e altri gruppi sono stati vittime
della pulizia etnica, ma sono stati sistematicamente tagliati fuori
della partecipazione alla vita politica ed economica della Libia.
Le tensioni sono venute al pettine all'inizio di gennaio, quando
un capo ribelle della tribù araba Awled Sleiman è stato ucciso.
Invece di un'indagine ufficiale o un processo legale, le tribù
Awled hanno attaccato i loro vicini Toubou neri, accusandoli di
coinvolgimento nell'omicidio. Gli scontri conseguenti hanno causato decine di vittime, dimostrando ancora una volta che i gruppi arabi dominanti vedono ancora i loro vicini di carnagione
scura come qualcosa di diverso dagli altri connazionali.
Nonostante la retorica degli occidentali in materia di "democrazia"
e "libertà" in Libia, la realtà è lontana da essa, soprattutto per i
libici di carnagione scura, che hanno visto il loro status socio-economico e politico diminuito con la fine del governo di Muammar
Gheddafi. Mentre questi popoli godevano di un ampio margine di
uguaglianza politica e protezione ai sensi della legge nella Libia
di Gheddafi, l'era post-Gheddafi li ha visti spogliati dei loro più
elementari diritti. Invece di essere integrati in un nuovo stato
democratico, i gruppi libici neri sono stati sistematicamente esclusi. Anche Human Rights Watch ha riferito che "un crimine contro
l'umanità, cioè lo sfollamento di massa forzato, continua senza
sosta, e che le milizie provenienti soprattutto da Misurata hanno
impedito a 40.000 persone dalla città di Tawergha (di pelle nera)
di tornare alle loro case da cui erano stati espulsi nel 2011". Questo fatto, unito con le storie terribili e le immagini di linciaggi,
stupri, e altri crimini contro l'umanità, dipinge un quadro molto
cupo della vita in Libia per questi gruppi.
Nel suo rapporto 2011, Amnesty International ha documentato
una serie di crimini di guerra flagranti operati dai cosiddetti
"combattenti per la libertà" della Libia che, pur essendo salutati
dai media occidentali come " liberatori", hanno colto l'occasione
della guerra per svolgere esecuzioni di libici neri così come di
clan rivali e di gruppi etnici. Bisogna stare attenti a non fare
troppe ipotesi circa la situazione in Libia oggi, i dati affidabili
sono difficili da trovare. La guerra (interna) di Libia infuria, che
il mondo lo voglia ammettere o no.
RAFFAELINO LUZON
Scuola ebraica di Torino:
ricerca personale docente
La scuola primaria “Colonna e Finzi” (paritaria e parificata) ricerca a partire dall’a.s. 2014/15 una/o maestra/o elementare,
preferibilmente in possesso dei requisiti per insegnare in una
scuola ebraica. La scuola secondaria di primo grado “Emanuele Artom” (paritaria e legalmente riconosciuta) ricerca a partire
dall’a.s. 2014/15 un/a insegnante di materie letterarie abilitato/a.
I candidati dovranno far pervenire il loro curriculum alla direzione della Scuola Ebraica - via Sant’Anselmo, 7 - 10125 Torino
- entro il 15 maggio 2014. Le domande saranno valutate in base
ai titoli e ad un colloquio.
Siria: una guerra che ha per nemico i bambini
er capire l’immensità della
tragedia siriana bisogna
trasformare ogni numero
in un essere umano” ha
sentenziato Domenico Quirico, giornalista de La Stampa rapito in Siria per 5
mesi, dall’aprile al settembre del 2013, in
occasione del convegno “L’infanzia rubata – La tragedia dei bambini siriani”.
Organizzatrice dell’incontro, svoltosi
nella Sala delle Colonne della Camera dei
Deputati, Fiamma Nirenstein, la quale,
introducendo i relatori, ha spiegato come
il suo obiettivo sia quello di sensibilizzare
l’opinione pubblica sulla tragedia che sta
attraversando la Siria, di cui i bambini
sono le vittime principali. Sono infatti state citate le cifre di morti,
feriti, sfollati, con i numerosi effetti avuti per i più giovani: la mancanza dell’educazione scolastica, l’irrazionale desiderio dei bambini di tornare in patria per prendere le armi, i drammi dei bambini-soldato, le torture e gli abusi sessuali a cui sono sottoposti.
Dopo il collegamento telefonico da Gaziantep di Giacomo Cuscunà
dell’associazione ‘Non c’è Pace Senza Giustizia’, il quale ha fornito una testimonianza diretta della tragica
realtà con cui si confronta ogni giorno, i
relatori presenti hanno arricchito il dibattito con le loro esperienze. Sandro Gozi,
Vicepresidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, ha fatto
notare come sia a rischio un’intera generazione, distrutta fisicamente e psicologicamente, senza contare coloro che
nascono nei campi profughi e non vengono neppure registrati. Da politico, Gozi
ha rilevato i due obiettivi che si pone
l’Europa: maggiore flessibilità, quindi
più coraggio, nell’accoglienza dei profughi siriani, e un assiduo lavoro sui corridoi umanitari in aree strategiche, come
nei pressi di Homs.
L’Ambasciatore Giulio Terzi, ex Ministro
degli Esteri, si è detto profondamente
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BIRCHONIM - LIBRETTI
deluso dall’andamento della Conferenza
Ginevra II: si sarebbe dovuto parlare di
“transizione”, ma la delegazione governativa siriana ha imposto che si trattasse
solo il tema del terrorismo. Tuttavia, il
rapporto del Segretario Generale delle
Nazioni Unite Ban Ki-moon, oltre a
denunciare le terribili atrocità di questi
tre anni, ha compiuto il significativo
passo di riconoscere la responsabilità del
governo siriano, richiamato anche al
rispetto della Convenzione dei diritti del
fanciullo di cui fa parte. Critiche all’andamento di Ginevra II per la mera retorica
che ha prodotto senza garantire risultati
concreti sono giunte anche da Luigi
Compagna, senatore della Commissione Esteri.
Non manca chi si adopera per aiutare concretamente i bambini
siriani: a questo proposito, hanno descritto la propria attività Giacomo Guerrera, Presidente dell’UNICEF Italia, e Ben Sion Houri,
Direttore dell’Unità di Terapia Intensiva Pediatrica al Wolfson
Hospital in Israele. Il primo ha illustrato gli obiettivi del prossimo
anno: garantire l’accesso all’acqua pulita, effettuare vaccini per
malattie che stanno riemergendo, proteggere ed educare i bambini. Houri ha parlato del suo progetto “Save a Child’s Heart”
(SACH), che lo ha condotto ad operare
nella clinica israeliana di Holon bambini di
diverse nazionalità, inclusi molti siriani.
I bambini che sopravvivranno a questa
tragedia saranno parte di una generazione caratterizzata dal rapporto abitudinario con l’odio e dall’ovvietà della sofferenza, ha affermato Quirico nel suo intervento. Tuttavia, la rivoluzione si è profondamente trasformata dal 2011: la
prima generazione di insorti è oggi
ampiamente contaminata dall’Islam radicale, mentre il protrarsi dell’inerzia della
comunità internazionale ha reso la situazione di ancor più difficile risoluzione.
DANIELE TOSCANO
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
“P
Se ne è discusso in un convegno che ha voluto denunciare
il silenzio del mondo. Sta morendo un’intera generazione
35
STORIA
La Grande Guerra: ebrei italiani al fronte
La storia eroica di Umberto Beer
U
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
mberto Beer (Ancona, 16 settembre 1896 - San Paolo del Brasile,
22 gennaio 1979) - figlio di
Umberto e Clelia Almagià – iniziò la carriera militare come Sergente
volontario ciclista nel Corpo Nazionale
Volontari Ciclisti per la durata della guerra
dal 30 maggio 1915. Nel corso della guerra
viene nominato prima Allievo Ufficiale di
complemento, poi aspirante Ufficiale, Sottotenente di Fanteria, Tenente e in qualità
di Comandante di compagnia è ferito in combattimento il 24 maggio 1917 ed
è decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare perché “In diciotto mesi di campagna fu mirabile esempio
di attività, calma, ponderatezza ed ardimento. Quale
comandante di compagnia,
nel mantenimento di una
difficile posizione, vivamente contrastata dal nemico e
bersagliata con tiri di ogni
genere, tenne contegno
superiore ad ogni elogio. Ferito piuttosto
gravemente in più parti mentre si adoprava volontariamente all’ardua e generosa
impresa di salvare tre feriti gravi, giacenti
presso i reticolati avversari, volle mantenere il comando del reparto ancora per qualche tempo, e soltanto dopo viste le insistenze e dopo prese tutte le disposizioni
per la sicurezza della linea, si decise a farsi
accompagnare al posto di medicazione.
Grazigna, 14 - 25 maggio 1917”.
Dopo un periodo di cura il 19 aprile 1918
36
rientra al reggimento. Aiutante Maggiore
in 2^ del 9° Reparto d’Assalto dal 9 giugno
1918 è decorato di una seconda Medaglia
d’Argento al Valor Militare perché “… fu
intelligente e coraggioso coadiutore del
comandante del battaglione. Percorse più
volte di notte una zona a lui sconosciuta e
battuta intensamente dal fuoco nemico,
per mantenere il collegamento fra i reparti.
Con pochi uomini si slanciò avanti per
opporsi all’avversario, che disperatamente
cercava di infiltrarsi e dilagare nelle nostre linee. Con
l’esempio validissimo contribuì, poi, ad un’altra vittoriosa azione che fruttò numerosi prigionieri, mitragliatrici e
grande quantità di materiale
bellico. Col Fagheron - Col
Moschin, 15 - 16 giugno
1918”.
Ferito il 26 giugno 1918 è
decorato di una terza Medaglia d’Argento al VM perché
“… Attraverso un furioso
tiro di sbarramento, guidò
vari reparti nella marcia di avvicinamento.
Sotto un tiro distruttore, che produceva
gravissime perdite, continuò ad indirizzare
le truppe, dimostrandosi diligente ed intelligente esecutore degli ordini ricevuti. Sempre in piedi, impavido nei punti pericolosi,
fu l’esempio più bello di sereno coraggio e
di audacia. Si slanciò sul nemico alla testa
dei suoi arditi, infiammandoli con la parola
e con l’esempio. Ferito al braccio sinistro
con una palletta che glielo perforò, non si
scompose, non emise un lamento, ma si
rifiutò di lasciare il combattimento. Ferito
una seconda volta al polso destro si allontanò soltanto quando gli venne tassativamente ordinato, promettendo di farsi
accompagnare alla sezione sanità. Ma poco
dopo, fattasi fare una medicazione superficiale, eccolo ricomparire con l’abituale ardore. Si decise a concedersi un poco di riposo
ad azione ultimata. Esempio fulgidissimo di
militari virtù. Monte Asolone, 24 giugno
1918”.
Ferito più volte il 25 ottobre 1918, ottiene la
quarta Medaglia d’Argento al VM perché
“… Trascinato dall’impeto dell’assalto
sulla posizione nemica insieme con le
prime ondate, subito contrattaccate dal
nemico in forza, resisteva ferito ad un
piede ed una seconda multipla ferita riportava poco dopo, mentre, con generoso
impulso, organizzava uno sbalzo in avanti
per soccorrere il proprio maggiore che era
stato tagliato fuori dal grosso del reparto.
Magnifico esempio di indomito coraggio, di
altissimo sentimento del dovere e di generoso spirito di cameratismo e di devozione
al proprio comandante. Monte Asolone, Col
della Berretta, 25 ottobre 1918”.
Dopo la guerra ricoprirà una serie di importanti responsabilità fino a diventare nel
1934 Regio Addetto Militare presso il Consolato d’Italia a Tangeri nel Marocco e
l’anno successivo Aiutante di Campo Onorario del Re. Partecipa alla guerra in Spagna dove è decorato di Croce di Guerra.
A causa delle Leggi Razziali viene collocato
in congedo assoluto fino al 1945 quando
viene riammesso in servizio e terminerà la
carriera con il grado di Generale di Divisione a “titolo onorifico” il 4 aprile 1970.
COL. ANTONINO ZARCONE
Ph.D. in Storia dell’Europa Orientale
e Capo Ufficio Storico dell’Esercito
Via dei Volsci,165 - 00185 ROMA
06.4462024 (lab.) - 06.93548963 (abit.)
cell. 349.7710957
Gli ebrei che hanno fatto storia
Levi Strauss
Ha fondato, partendo dal nulla, la più famosa
marca di jeans nel mondo
delle tasche dei minatori e degli operai, le
tasche se rinforzate con rivetti di rame,
avrebbero resistito di più comportando un
miglioramento pratico, una novità estetica
ed un risparmio per gli
acquirenti costretti a fare
la spola dai sarti per aggiustare di continuo le loro
tasche. L’idea si rivelò
geniale. I prodotti della
Levi Strauss furono venduti in tutti i cantieri degli
Stati Uniti e più tardi in
quelli di tutto il mondo.
Da semplice azienda all’ingrosso, la Levi Strauss &
Co, grazie a geniali campagne pubblicitarie e alla realizzazione di un prodotto
valido, consolidò la propria
posizione come la migliore azienda di abbigliamento casual e jeanseria al mondo.
Divenuta un simbolo dell’American Style,
ancora oggi, sui suoi prodotti possiamo
vedere l’immagine dei due cercatori d’oro
che indossano rigorosamente dei jeans.
Levi Strauss, scapolo e senza figli, decise di
passare il timone della sua azienda ai suoi
quattro nipoti Abraham, Jacob, Louis e Sigmund. Personaggio eminente del mondo
imprenditoriale americano, egli utilizzò le
sue risorse e la sua influenza in diverse
attività filantropiche; sostenne attivamente
il Tempio Emanuel e la Scuola ebraica di
San Francisco e fu, inoltre, un grande finanziatore dell’orfanotrofio Pacific Hebrew
Orphan Asylum and Home.
Il 26 settembre 1902, Levi Strauss morì
all’età di settantatré anni. Sepolto nel cimitero ebraico di Colma (piccola cittadina a
sud di San Francisco), la sua salma fu
accompagnata da tutti i suoi dipendenti
che vedevano nella sua figura un esempio
da seguire ed un modello d’integrità.
ANGELO M. DI NEPI
Gli ebrei e la moda: dagli stracci all’alta sartoria,
una storia di successi
I
l rapporto degli ebrei con la moda e
l’industria dell’abbigliamento ha radici antichissime; si potrebbe addirittura risalire agli antichi commercianti di
tessuti che viaggiavano per i porti del
Mediterraneo, ma concentrandoci su un
passato più recente non abbiamo difficoltà
ad intuire che l’attuale industria dell’abbigliamento sia un’evoluzione di quell’antico
mestiere “degli stracci” che tanto si applicava a comunità ebraiche come quella
romana; allo stesso modo l’antica imposizione nel poter svolgere solo alcuni lavori.
Focalizzandoci sui paesi europei e gli Stati
Uniti si rimane stupefatti dal grandioso
contributo che gli ebrei hanno dato a questo settore. In Francia aziende come Chanel sono state fondate con una metodologia
molto simile a quella delle attuali start-up;
alla creatività e allo stile originale di Coco
Chanel, si accostò il denaro e la capacità
imprenditoriale della famiglia Wertheimer
(famiglia di ebrei francesi) che riuscirono a
lanciare il marchio anche oltre oceano.
Spostando la nostra attenzione agli Stati
Uniti abbiamo la possibilità di vedere i
maggiori successi di questo settore; partendo da Levi Strauss, storico fondatore
della Levis a grandi stilisti come Ralph
Lauren e Calvin Klein. Questi ultimi si sono
entrambi affermati come stilisti di succes-
so: Ralph Lauren, all’anagrafe Ralph Lifschitz, viene da una famiglia ebraica di
origini bielorusse, anche Calvin Klein, è un
ebreo di origini ungheresi; entrambi cresciuti nel Bronx e formatisi nella Grande
Mela hanno creato dei brands di successo.
Menzionando anche stiliste come Diana
von Furstenberg, Donna Karan e Stella
McCartney (la cui madre era ebrea), arriviamo ai grandi gruppi del retailer come
GAP, celebre azienda americana fondata
da Donald Fischer e sua moglie Doris (la
coppia oltre ad avere dimostrato indiscutibili capacità imprenditoriali, si è fatta carico di diverse iniziative filantropiche in
favore della comunità ebraica di San Francisco) all’Arcadia Group (del Regno Unito)
di Philiph Green che gestisce marchi come
Top Shop, BHS e Dorothy Perkins. Altra
azienda europea di successo è Mango,
fondata dai fratelli Andic, ebrei di Barcellona con origini turche; per anni sono stati i
maggiori competitor del colosso Zara in
Spagna ed altri paesi.
Innumerevoli sono gli altri esempi che
potremmo menzionare per paesi come l’Italia, nella fattispecie Roma, che ha visto
negli anni a seguire la Seconda guerra
mondiale, un grandioso coinvolgimento
degli ebrei romani in questo settore.
A. M. D. N.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
L
a storia di Levi Strauss è la straordinaria vicenda di un uomo che,
partendo da zero, fondò una delle
più importanti aziende d’abbigliamento del suo tempo.
Segnando un’epoca, egli fu
l’inventore della salopette
ed il primo a sostenere la
vendita del prodotto jeans
come normale indumento
casual.
Levi Strauss, all’anagrafe
Loeb Strauss, nacque il 26
febbraio 1829 a Buttenheim, in Germania, da
una modesta famiglia
ebraica. I fratelli del piccolo
Levi, Jonas e Louis, partirono per l’America in cerca
di fortuna; lui invece, ancora piccolo, rimase in Germania con la madre
e le sorelle. Dopo qualche anno tutta la
famiglia Strauss salpò per il Nuovo Mondo
e si stabilì a New York, dove i fratelli Jonas
e Louis avevano fondato una piccola ma
redditizia azienda di abbigliamento all’ingrosso, la Strauss Brothers & Co.
Levi Strauss decise di trasferirsi a San Francisco e diventare un cercatore d’oro. All’epoca, verso la metà del XIX secolo, si era
sparsa la voce in tutti gli Stati Uniti della
possibilità di “trovare con facilità” oro in
abbondanza in California e nelle zone adiacenti alla west - coast americana.
Per ironia della sorte, proprio come accadde
a Conrad Hilton, fondatore della celebre
catena alberghiera, dopo un’attenta ricerca
e viaggi esplorativi, Levi Strauss capì che di
oro ce n’era poco, di cercatori d’oro tantissimi e che di conseguenza si aprivano diverse possibilità di vendita rivolte però, agli
stessi cercatori. Nel 1853, ottenuta la cittadinanza americana, fondò la sua azienda di
abbigliamento, la Levi Strauss & Co. la
quale, nei suoi primi anni, si occupò di vendere capi di abbigliamento da lavoro all’intera popolazione di cercatori d’oro che
aveva invaso la California. Lo stesso Levi
Strauss inventò la salopette, indumento
utilissimo
che negli anni a venire divenne un prodotto
di tendenza della moda anni ‘60-’70. Quello
che però rese la Levi Strauss & Co. la prima
azienda d’abbigliamento in America fu l’invenzione del bottone sulle tasche. Nel 1873,
un sarto di nome Jacob Davis propose al
fondatore della Levis di condividere un brevetto che modificò radicalmente il concetto
di tasca. Secondo il progetto di Davis, in
virtù delle continue rotture delle cuciture
37
LIBRI
Prima di Herzl ci fu Musolino
Nel 1851 un giovane calabrese sognava
uno Stato per gli ebrei
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
N
38
ei difficili decenni del Risorgimento, il calabrese Benedetto Musolino (1809 - 1885), nativo di quella Pizzo Calabro dove nel 1815 s'era tragicamente conclusa l'avventura "protorisorgimentale" di Gioacchino Murat, è una
figura che precorre i tempi. E’ infatti uno dei pochissimi italiani che
non dimentica il legame essenziale che esiste per gli ebrei italiani
tra integrazione nella società, mantenimento della propria identità
religiosa, culturale e linguistica e realizzazione dello storico sogno
di una "homeland" nazionale ebraica. "Homeland" che, precorrendo
Theodor Hertzl (il cui celebre "Der Judenstaat" sarà pubblicato solo
a fine Ottocento), Musolino individua decisamente nella Palestina
ottomana sul suolo dell'antica Israele.
Questo, il dato essenziale emerso nella presentazione della ristampa di "Gerusalemme ed il popolo ebreo", saggio redatto da Musolino
nel 1851 "e la cui prima edizione - ha ricordato David Meghnagi,
docente di Psicologia Clinica e Dinamica alla facoltà di Scienze della
Formazione dell' Università Roma 3 - sarebbe stata stampata solo
un secolo dopo, nel 1951. Quando, lo
stesso anno in cui l'ebraismo italiano
diviene consapevole che la maggior
parte dei ‘sommersi’ della Shoah non
torneranno più, e iniziano le prime commemorazioni pubbliche delle vittime.
Dante Lattes e l'UCEI decidono appunto
di pubblicare questo libro di Musolino:
collegandosi idealmente anche alla
ristampa - fatta da Einaudi subito dopo la
guerra - delle storiche ‘Interdizioni israelitiche’ di Carlo Cattaneo".
"Musolino - ha precisato Riccardo Di
Segni, Rabbino capo della comunità
romana - è una figura straordinaria per
tanti aspetti. Meridionale che si batte
fortemente per l'Unità (tra i difensori della Repubblica romana nel
1849, poi con Garibaldi nell'impresa dei Mille), e contro i primi fermenti razzisti delineatisi, già allora, al Nord. Cresciuto in una Calabria dove gli ebrei erano scomparsi da tre secoli, sviluppa, verso
l'ebraismo, un incredibile senso di rispetto e formula un originale
progetto geopolitico che guarda alla Gran Bretagna, nell'800 "madrina indiretta" di tanti movimenti indipendentisti, da quello greco
all'italiano, e agli altri dell'Europa ancora oppressa dagli Asburgo".
In "Gerusalemme ed il popolo ebreo", Musolino espone appunto
questo progetto, che ha un duplice intento: da un lato favorire il
ritorno in massa degli ebrei nella Terra dei padri, all'epoca Palestina
ottomana, sino alla creazione d'un vero e proprio Stato ebraico,
anche se non del tutto indipendente dall'Impero turco (di cui, anzi,
egli auspica la sopravvivenza, come grande baluardo contro l'espansionismo russo), dall'altro, porre la rinascita nazionale ebraica
sotto una benevole tutela britannica (non a caso, a metà Ottocento,
Musolino espone i suoi intenti al mitico ministro degli Esteri inglese
Lord Palmerston, e al banchiere Rotschild). Tutela che diverrebbe
logica se l'Inghilterra accettasse di costruire una linea ferroviaria
dal Medio Oriente al Pacifico, che porrebbe la maggior parte del
flusso commerciale da Oriente sotto l'egida britannica. Un’idea
quella di Musolino - hanno concluso i relatori – a dimostrazione
della consapevolezza del legame esistente tra ebraismo e italianità;
e una visione dell'identità ebraica in termini quanto mai moderni,
laici ma anche di profondo rispetto per la religione, di per se stessa
e come aspetto essenziale della memoria civile d'un popolo.
FABRIZIO FEDERICI
B.MUSOLINO; "Gerusalemme e il popolo ebreo", con un saggio
introduttivo di David Meghnagi, Firenze, LibriLiberi, 2013, pp. 351,
€. 25,00.
“Le malattie del nostro mondo”:
l’esordio letterario di Miriam Spizzichino
D
isturbi alimentari, discriminazione razziale, violenza sulle
donne, mancanza di comunicazione, autolesionismo,
solitudine, bullismo e lesbofobia; queste sono le “Malattie del nostro mondo”, esordio letterario di Miriam Spizzichino. Otto racconti sui problemi che la nostra società affronta e
combatte tutti i giorni, le cui protagoniste sono donne, spesso giovani. Non una scelta casuale, in quanto secondo l’autrice le donne
sono la forza motrice di questo mondo e hanno una sensibilità
maggiore rispetto agli uomini. Come è riuscita una ragazza così
giovane a racchiudere argomenti così profondi e complessi in un libro? E’ una
domanda che si sono posti il presidente
della Comunità Riccardo Pacifici, il direttore
di Shalom Giacomo Kahn, il presidente del
Consiglio del XII Municipio di Monteverde
Alessia Salmonì, Carla Di Veroli dell’Ufficio
del Sindaco, in un dibattito – moderato da
Ruben Della Rocca - tenutosi nei locali del
tempio Beth Michael con la partecipazione
di un ampio e interessato pubblico.
“L’idea del libro - ha spiegato l’autrice - mi
è venuta al liceo quando ho cominciato ad applicare le nozioni
imparate a scuola, attraverso i tirocini effettuati.” Racconta Miriam:
“Stare a contatto con la realtà che mi circondava ha fatto crescere
la voglia di raccontarla. È nato così un libro che vuol far riflettere i
lettori, perché se solo lo vogliamo siamo ancora in tempo per guarire il nostro mondo da queste infide malattie.”. “Le malattie del
nostro mondo” è il suo esordio letterario, ma vi sono altri progetti.
“Sto lavorando - spiega - alla stesura del mio secondo libro, questa
volta un romanzo con un’unica trama, non dei racconti brevi come
il primo”. Un libro molto interessante adatto ad ogni età.
GIORGIA CALÓ
LA TOP TEN DELLA LIBRERIA
KIRYAT SEFER
1
2
3
4
5
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10
IL FALSO PROFETA
di F. Kellerman, ed. Cooper
LA MIA TERRA PROMESSA
di A.Shavit, ed. Sperling&Kupfer
UNA BAMBINA DA UN ALTRO MONDO
di A. Appelfeld, ed. Guanda
LA NOTTE PIU’ BUIA
di M. Held, ed. Neri Pozza
I CLANDESTINI DEL MARE
di A. Sereni, ed. Mursia
LA BIBLIOTECA PIU’ PICCOLA DEL MONDO
di A.G. Iturbe, ed. Rizzoli
LA VALIGIA
di H. Baharier, ed. Garzanti
L’INTERROGATORIO
di L. Shoham, ed. Giano
IL PUGILE POLACCO
di Eduardo Halfon ed. Rubettino
LE STORIE DI RE SALOMONE
di M.C. Sarano ed. Marietti
In libreria il secondo volume di Riccardo Calimani,
con le vicende dal XVI al XVIII secolo
E
sce in questi giorni in tutte le librerie
italiane il secondo volume della monumentale opera di ricostruzione della
presenza ebraica in Italia, scritta dal
noto giornalista e collaboratore storico di Shalom, Riccardo Calimani. Nel libro sono narrati i
tre secoli cruciali che vanno dall’espulsione nel
1492 degli ebrei dalla Penisola iberica e da tutti
i domini spagnoli alla Rivoluzione francese
(1789), all’Impero napoleonico, fino alla Restaurazione di inizio Ottocento. Una storia contrassegnata da una radicale redistribuzione territoriale
degli insediamenti ebraici – presenti, dal Cinquecento, quasi esclusivamente nelle regioni
centrosettentrionali del nostro Paese – e, dal
punto di vista politico e religioso, dalla poderosa
influenza dell’Inquisizione e dai rigori della Controriforma.
Punto di svolta decisivo di questa fase della storia della comunità ebraica italiana è l’istituzione del ghetto prima
a Venezia (1516) e poi del ghetto romano («il serraglio degli
ebrei») sancita dalla bolla papale di Paolo IV Cum nimis absurdum
del 1555: «Condannati per propria colpa alla schiavitù eterna…
tutti gli ebrei dovranno vivere esclusivamente in una stessa e
unica strada, questi spazi dovranno essere contigui e nettamente
distinti dalle abitazioni dei cristiani, e dovranno avere una sola
I razzisti erano fra noi
Barbara Raggi è autrice di un’ampia ricerca storica sui
personaggi che firmarono il Manifesto della Razza e che dopo
il regime fascista continuarono una ‘brillante’ carriera
P
ersonaggi del mondo della cultura e del diritto si adoperarono attivamente ed ebbero responsabilità dirette nelle
politiche razziali del fascismo, e poi furono riabilitati e in
molti casi “premiati” nel dopoguerra, come se nulla fosse
successo. “Essi non solo non sono stati estromessi dall’università
ma i loro atti politici sono stati cancellati dalla memoria collettiva”. Ciò rappresenta un’altra pagina torbida su
cui per decenni è scesa l’omertà e l’oblio a testimonianza di un Paese che non ha mai fatto i conti
con le politiche del regime. Con il coinvolgimento
del fior fiore di docenti e scienziati che dagli anni
Trenta parteciparono a quel disegno d’individuazione dei metodi per definire la razza, che in Italia
si sviluppò con l’eugenica e l’antropologia a scopi
discriminatori.
Ce ne dà un’opportuna testimonianza un volume
curato da Barbara Raggi, uscito per Editori Internazionali Riuniti, intitolato “Baroni di Razza”. Per
rendersene conto, anticipiamo ciò che accadde ad
alcuni esponenti di primo piano, di cui l’autrice ci
racconta, oltre alle note biografiche, il ruolo avuto
nella discriminazione, a iniziare da Giacomo Acerbo, deputato e vicepresidente della Camera nel
1926 e ordinario di Economia agraria alla Regia
universitaria di Roma, che oltre a votare a favore
delle Leggi razziali, presidiò in quei tragici anni il Consiglio superiore della demografia e della razza e “contribuì alla formazione
teorica del razzismo fascista”. Dopo anni di vicissitudini per il suo
torbido passato e di ricorsi al Consiglio di Stato, nel 1952 riottenne
la docenza di Economia presso l’ateneo romano. E non solo. Nel
entrata e una sola uscita».
Una scelta di segregazione, tuttavia, applicata in modi diversi dai
principi e signori locali, ma che segna il rapporto contraddittorio
tra mondo cristiano e mondo ebraico, in bilico tra bisogni e interessi concreti (i banchi di prestito, le tasse e le
contribuzioni forzose) e le ricorrenti pulsioni
teologiche e politiche contro il «popolo maledetto», sfociate spesso in comportamenti discriminatori e violenti: prediche coatte, battesimi di
minori senza l’assenso dei genitori, roghi di libri,
espulsioni attuate o solo minacciate.
Emblema di tale ambivalenza è la controversa
figura del «marrano»: ebreo, costretto alla conversione suo malgrado, legato alle proprie origini e alla propria identità culturale e religiosa,
non fu ben accetto né dai cristiani né dagli ebrei
e diventò, con le sue molteplici identità dovute
al contatto con genti e terre straniere, sia un
formidabile intermediario economico e culturale
nell’area del Mediterraneo, sia «un ambiguo
fantasma capace di turbare il sonno di tanti
ebrei e cristiani in Europa».
Lungo questi tre secoli, Calimani racconta la storia di un piccolo ed esiguo gruppo ebraico all’interno della grande società cristiana, a volte vittima predestinata, a
volte formidabile protagonista della vita culturale ed economica del
nostro Paese. Una piccola comunità ebraica sempre in bilico tra
sopravvivenza ed estinzione eppure formidabilmente vitale.
Storia degli ebrei italiani
RICCARDO CALIMANI
Mondadori Ed. p 480 – 26 €
1962, il noto collaboratore di Mussolini nella stesura della teoria
razziale ricevette dal Presidente della Repubblica, Antonio Segni,
la medaglia d’oro per i benemeriti della cultura.
Un’altra storia di riabilitazione professionale è quella di Gaetano
Azzariti, presidente del tribunale della razza, che vagliava chi era
in possesso di “sangue ebraico”. Nel dopoguerra venne perfino
nominato giudice della Corte Costituzionale, fino a divenire nel
1957 presidente della medesima. A coronamento di ciò, il suo
busto lo troviamo ancora oggi nella stanza dedicata ai massimi
vertici dell’organismo.
Sulla stessa linea, con gli Atenei pronti a riaccoglierli come se
nulla fosse successo, leggiamo le vicende di Sabato Visco, ordinario di fisiologia, che fu chiamato da Mussolini nel
1938 per redigere il Manifesto della Razza, e di
Nicola Pende, ordinario di medicina, senatore del
Regno e attivissimo antisemita, elaboratore
dell’ortogenetica per il miglioramento della razza e
della biotipologica. Essi, dopo essere stati tra i
principali protagonisti dell’ideologia “razziale”,
furono prosciolti dalle accuse sul loro ruolo e tornarono a fine degli anni Quaranta ad occupare il
loro posto nelle cattedre universitarie. Come scrive l’autrice “la maggior parte degli accademici
aveva preferito non agire la violenza fisica in modo
diretto, quando necessaria preferiva mediarla con
atti formali e legali. Come altro giudicare, infatti, le
attività razziste se non come una violenza permanente esercitata attraverso la mediazione della
carta e della legge?”.
Paradossalmente per molti professori universitari
ebrei, come Giorgio del Vecchio e Tullio Terni
dopo la guerra il destino fu diverso; dopo essere stati allontanati
dagli Atenei in seguito alle leggi razziali, furono bocciate le loro
istanze di riammissione perché “non ci sono state petizioni né voti
dell’Accademia a reclamarli al loro posto”.
JONATAN DELLA ROCCA
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Storia degli ebrei italiani
39
LIBRI
Daniel il Matto
Il secondo romanzo
di Mario Pacifici
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
M
40
ario Pacifici ci propone il suo
secondo romanzo “Daniel il
Matto”, di cui aveva dato una
piccola anticipazione a noi di
Shalom durante la presentazione del suo
esordio letterario “Una cosa da niente e altri racconti”.
Questa volta, l'autore, si è voluto soffermare
sul Ghetto di Roma alla fine del 1700. Viene
raccontata la vita degli ebrei segregati e
tormentati dalla Curia romana. Tra questi,
spunta la figura di Daniel “il Matto”, sofer,
che nella sinossi del libro viene descritto
come un “erudito e artista geniale, lui è
uomo irascibile e scorbutico, refrattario a
ogni regola. Dietro le sue asprezze però,
nasconde i tratti di un cuore generoso. Ed è
lui che armato solo di un genio sublime e di
un carattere irridente, assume la difesa degli oppressi”.
Una lettura molto interessante e scorrevole,
con personaggi che riescono ad entrare nel
nostro cuore proprio perché sembrano così
vicini a noi. Un romanzo che riesce a trasportarti all'interno del racconto per viverlo
in prima persona e una volta finito di leggerlo rimane il vuoto. Mario Pacifici riesce a
mostrarci i tanti volti “stereotipi” che potevano costituire la comunità dell'epoca, ad
esempio Umberto Zarfati il rigattiere, protagonista di uno dei racconti del libro.
E' proprio
questo il
punto
di
forza: sono
nove racconti che
narrano nove episodi
diversi tra
loro in cui è
sempre
presente il
nostro caro
Daniel che
a fine libro,
inesorabilm e n t e ,
sarà uno di
quei personaggi difficili da dimenticare.
Un sofer che rimane nel nostro cuore. Sembra tutto così vero, ma siamo sicuri che sia
così? Realtà o immaginazione?
Vi consiglio, allora, di leggere l'epilogo per
saperne di più. Ne rimarrete ancora più affascinati e vi domanderete anche voi: Chi
era Daniel il Matto? Siamo sicuri che sia
esistito davvero? A voi la parola, buona
lettura!
M. S.
Joshua allora e oggi
Mordecai Richler
Adelphi, p. 461 € 20
L’albero genealogico di Barney Panofsky sembra davvero non aver
fine, ed in questo libro di Mordecai Richler del 1980, tutto ruota
intorno ad un vero e proprio “personaggio” della famiglia: Joshua
Shapiro. Con una madre spogliarellista ed un padre incline all’illegalità, la vita del nostro non poteva che essere inusuale, eccessiva
ed incontenibile, proprio come le sue pulsioni verso la vita. Divenuto affermato giornalista e scrittore, la misteriosa sparizione della
moglie ed il suo successivo ricovero in stato confusionale segnano
l’inizio di un intrigante quanto dolente viaggio a ritroso nel proprio
passato, l’infanzia, gli amici, le donne, gli eccessi. All’arrivo Joshua
troverà le sue risposte, ma il lettore vorrà continuare a viaggiare
con lui.
I calici della memoria
Il vino nella tradizione ebraica
Gianpaolo Anderlini
Wingsbert House, p. 89 € 9
“Come il vino non si può conservare bene né nell’oro, né nell’argento, ma nel più semplice dei contenitori, l’argilla, così le parole
di Torah si conservano in chi è umile ed è pronto ad imparare da
ogni uomo.” Il vino nella tradizione ebraica ha un ruolo centrale
ed insostituibile nella vita della comunità, della famiglia e della
singola persona. Nella Bibbia sono diversi gli episodi in cui si parla
di vino, della vite o della vigna. La tradizione ebraica rende il vino
protagonista rituale nelle feste come Purim, Pesach, si beve durante il kiddush, il brit milà, l’Havdalah, dopo la benedizione del pasto.
Il libro di Gianpaolo Anderlini, che si occupa da oltre trent’anni
di studi sull’ebraismo, illustra il rapporto che esiste tra il vino e
la religione ebraica, sottolineando il ruolo culturale e cultuale del
vino. Le Chaiim!
Il pugile polacco
Eduardo Halfon
Rubettino, p. 128 € 12
Eduardo Halfon, giovane scrittore guatemalteco, racconta con prosa fresca e originale diverse storie, per arrivare alla più importante, alla più intima: quella del nonno materno, ebreo polacco, e della
tragicità del numero tatuato sul suo braccio. Un intreccio di racconti di personaggi si snoda nel libro: un poeta isolato dal mondo
che lo circonda, un accademico esperto di Mark Twain, una hippie
Israeliana in viaggio, un pianista serbo, una madre che cerca di superare la morte del figlio. Tante vicende che portano, come un filo
ininterrotto, a quella del pugile ebreo che salvò il nonno da morte
certa. Nel 2007 Halfon è stato tra i migliori 39 giovani scrittori latinoamericani dell’Hay Festival di Bogotà e gli è stata conferita la
prestigiosa Guggenheim Fellowship. Un successo internazionale.
La terza guerra mondiale
Margarita Khemlin
La Giuntina, p.87 € 13
Per chi ancora erroneamente crede in un “unico modo” ebraico di
affrontare la vita, ecco un’ulteriore occasione per ricredersi. Dalla
penna di Margarita Khemlin, scrittrice e autrice di teatro, emerge
un mondo, quello degli ebrei ucraini, del tutto originale e complesso. In questa raccolta di racconti che attraversano il Novecento, l’ironia della narrazione sottolinea i paradossi della comunità locale,
perennemente in bilico tra la tradizione degli avi, una quotidianità
fatta di compromessi, l’onnipervasività del potere sovietico, in una
continua altalena di paure per i cambiamenti che i tempi richiedono, distacco, speranza nei giorni che verranno, un’innata quanto
surreale saggezza, perché…“se tutti sapevano tutto, gli americani
non si sarebbero arrischiati a fare qualcosa”. Originale e lieve.
A cura di Jacqueline Sermoneta
CINEMA
Storia di una ladra di libri
Dal romanzo culto che ha venduto 8 milioni di copie
in tutto il mondo, un grande film con Geoffrey Rush,
Emily Watson e l’esordiente Sophie Nelisse
“Q
uesto non è solo un film
sulla Shoah, è la storia di
una ragazzina molto
forte. Una giovanissima
donna che saprà fare delle cose straordinarie per conquistarsi una vita lunga e
felice”. Brian Percival, regista della beneamata e pluripremiata serie televisiva
Downton Abbey dirige Storia di una ladra
di libri, tratto dal bestseller La bambina
che salvava i libri dello scrittore australiano Markus Zusak. Un film interpretato
dalla tredicenne ginnasta canadese
Sophie Nélisse, al fianco di mostri sacri
come Geoffrey Rush e Emily Watson, per
raccontare una storia ispirata dal romanzo pubblicato nel 2005, che ha venduto
otto milioni di copie in tutto il mondo ed è
stato tradotto in oltre trenta lingue.
Sophie Nélisse è Liesel, una coraggiosa
ragazzina affidata dalla madre incapace
di mantenerla, ad Hans Hubermann
(Geoffrey Rush), un uomo buono e gentile, e alla sua irritabile moglie Rosa (Emily
Watson). Scossa dalla tragica morte del
fratellino, avvenuta solo pochi giorni
prima, e intimidita dai “genitori adottivi”
appena conosciuti, Liesel fatica ad adattarsi sia a casa che a scuola, dove viene
derisa dai compagni di classe perché non
sa leggere. Con grande determinazione, è
tuttavia decisa a cambiare la situazione e
trova un valido alleato nel suo papà adottivo che, nel corso di lunghe notti insonni,
le insegna a leggere.
L’amore di Liesel per la lettura e il crescente attaccamento verso la sua nuova
famiglia si rafforzano grazie all’amicizia
con un ebreo di nome Max (Ben Schnetzer) che i suoi genitori nascondono nello
scantinato e che condivide con lei la passione per i libri incoraggiandola ad appro-
fondire le sue capacità di osservazione.
“Devo ammettere con una certa vergogna
che sapevo poco o nulla della Shoah”,
dice l’attrice giovanissima. “A scuola,
avevo visto un documentario su Anna
Frank e avevamo letto qualcosa, ma né io,
né i miei compagni ci rendevamo conto di
quello che era accaduto in Europa negli
anni Quaranta. Poi quando ho iniziato a
prepararmi per questo ruolo ho visto film
come Schindler’s List, Il Pianista e La vita
è bella… così ho capito tutto e li ho fatti
vedere anche ai miei compagni di classe e
della squadra di hockey. Ci siamo vergognati un po’ della nostra ignoranza, ma,
alla fine, abbiamo capito che cosa era
accaduto veramente. E questo credo sia
molto importante per tutti noi.”
Markus Zusak ha tratto ispirazione per il
libro dalle storie narrate dai suoi genitori
quando era ancora un bambino in Australia. “Era come se un pezzo d’Europa
entrasse nella nostra cucina quando
mamma e papà raccontavano di come
fosse crescere tra Germania e Austria, dei
bombardamenti di Monaco, dei prigionieri che i nazisti facevano sfilare per le
strade - racconta lo scrittore -. Allora non
me ne rendevo conto, ma sono state queste storie a spingermi a diventare scrittore. Era un’epoca di estremo pericolo e
malvagità e mi hanno profondamente
colpito i tanti gesti di umanità compiuti in
quei tempi cupi. Il mio libro parla proprio
di questo: della capacità di trovare la bellezza anche nelle situazioni più orrende.
Uno dei punti centrali della storia è che
Hitler sta distruggendo la mente delle
persone con le parole mentre Liesel di
quelle stesse parole si appropria per scrivere una storia completamente diversa”.
Il regista Brian Percival conclude: “Ho
voluto girare il film a Berlino: anche se il
90% della città è stata distrutta dalla
guerra, i fantasmi e l’eco di quelle storie
risuona profondamente nelle strade e
nelle persone. Dopo alcune scene molto
intense, i membri tedeschi della troupe
avevano le lacrime agli occhi a causa di
un misto di commozione e di vergogna.
Questa solennità e serietà è ciò che rende
il mio film particolarmente importante sul
piano emotivo ed umano. Del resto per me
la cosa più importante non era solo quella
di raccontare ai giovani cosa è accaduto
in passato, bensì quella di offrire ai ragazzi la possibilità di guardare al mondo in
maniera differente.”
MARCO SPAGNOLI
Mi ritroverai dentro di te
S
arà presentato nei principali festival cinematografici internazionali (Chicago, Roma, Barcellona, Madrid), il corto
cinematografico Mi ritroverai dentro di te, (titolo internazionale Me reencontraràs dentro de ti), scritto e diretto dal
giovane regista romano Eitan Pitigliani.
Il cortometraggio, della durata di 13 minuti, è stato girato tra i
vicoli romani di Trastevere, l’Isola Tiberina e il Tempio Maggiore.
E’ interpretato dall’attore argentino Andrès Gil (Il mondo di Patty;
Incorreggibili; Don Matteo 9) e racconta il viaggio in Italia di
Pablo, un giovane argentino alla ricerca delle proprie origini. A
Roma, si metterà sulle tracce del nonno e scoprirà un passato
familiare che non conosceva. Il viaggio diventerà per Pablo un’inaspettata consapevolezza delle proprie origini ebraiche che, oltre lo
spazio, il tempo e la Shoah, sono dentro l’anima, incancellabili.
“Questo cortometraggio nasce – ha spiegato il regista – da una
riflessione sull’importanza del recupero delle proprie origini, che
rappresentano una via per conoscere se stessi, fondamento del
nostro presente e strada per il nostro futuro”.
Mi ritroverai dentro di te è realizzato con il patrocinio della Fondazione Museo della Shoa e della Comunità Ebraica di Roma e sponsorizzato da De Luca Visual Artist e Annamode Costumes. Eitan
Pitigliani, romano, classe 1986, dopo una breve parentesi da
attore, ha studiato Regia Cinematografica a New York e Londra.
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Il corto cinematografico di Eitan Pitigliani,
è un viaggio alla scoperta delle proprie radici
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ROMA EBRAICA
Ospedale Israelitico: se ne è
discusso nell’ultimo Consiglio
I
l tema della gestione dell’Ospedale Israeliatico - oggetto di
alcuni articoli scandalistici della stampa italiana delle ultime
settimane - è stato l’oggetto dell’intera riunione di Consiglio
della Comunità, tenutosi alla fine di febbraio.
È innanzitutto da ricordare che la Comunità ebraica ha un controllo solo indiretto nella gestione della struttura sanitaria, poiché
provvede unicamente alla nomina del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale che poi è libero di assumere le sue decisioni e di
distribuire incarichi e deleghe e di nominare il collegio dei revisori. È altresì vero che i consiglieri svolgono la loro attività a titolo di
volontariato, quindi senza alcuna remunerazione. Si tratta di un
aspetto problematico della governance - ha sottolineato il presidente dell’Ospedale, Aldo Piperno - perché sul vertice amministrativo ricade la rappresentanza legale e quindi risponde davanti
alla legge di azioni commesse dai manager e dai professionali.
E’ ciò che è accaduto per una serie di comportamenti tenuti da alcuni medici non appartenenti alla comunità, le cui azioni sono oggi
oggetto di indagine da parte della magistratura, e che hanno coinvolto non solo il diretto responsabile sanitario della struttura, ma
anche il presidente dell’Ospedale che all’epoca presideva il Consiglio di Amministrazione.
Nel corso della riunione del Consiglio - soprattutto con il contributo di una serie di interventi di professionisti - è stato indicato
chiaramente che l’Ospedale, nonostante contestazioni e debiti
oggetto di confronto con l’Inps - vanta una serie molto significativa di crediti esigibili per circa 34 milioni di euro. L’Ospedale Israelitico è una struttura economicamente sana (con utile di oltre 6
milioni di euro), con uno staff professionale di alto livello, ma
soprattutto con un livello di prestazioni molto apprezzato dal pubblico. Significativo il dato che registra una crescita delle prestazioni in ambito privatistico rispetto al pubblico. Si tratta di una serie
di ragioni che - pur di fronte alla contestazione sollevata dalla
Regione Lazio per cartelle sanitarie contestate (pari a prestazioni
rimborsate per circa 14 milioni di euro, e il cui accertamento l’Ospedale ha contestato con un ricorso al TAR), mette l’Ospedale
Israelitico nella condizione di guardare con assoluto ottimismo al
futuro. Tanto più che dal 2006 l’Ospedale Israelitico è inserito
dalla stessa Regione nel suo piano sanitario.
G. K.
Incontro con il Presidente della Rai
Anna Maria Tarantola ha visitato il Museo Ebraico
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A
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nna Maria Tarantola, Presidente della RAI, ha incontrato i vertici della Comunità ebraica di Roma: un’occasione per migliorare la conoscenza reciproca tra il mondo
ebraico e il mondo esterno. Al colloquio con il Rabbino
Capo Riccardo Di Segni e il Presidente CER Riccardo Pacifici ha
fatto seguito un più ampio
dibattito anche con altri
assessori e consiglieri. Il Consigliere e assessore alle relazioni esterne Ruben Della
Rocca ha riconosciuto la sensibilità avuta in questi anni
dalla televisione pubblica nei
confronti di temi delicati attinenti alla politica, al Medio
Oriente e alla Shoà, lodando
gli sforzi compiuti sulla
memoria specialmente in
occasione del 27 gennaio. Ciò
La delibera del Consiglio
Il Consiglio della Comunità Ebraica di Roma, riunito in seduta
ordinaria il 24 febbraio 2014 presso il tempio Bet-El
Sentite
le relazioni del Presidente CER Riccardo Pacifici, dell’avvocato
Riccardo Troiano del collegio di difesa dell’Ospedale Israelitico e
del dott. Mario Venezia, presidente del collegio dei revisori dei
conti dell’Ospedale stesso, sulla situazione generale dell’Ospedale, in relazione alle note vertenze con Regione, INPS e ASL,
Sentite
le preoccupate considerazioni del Presidente del Consiglio di
Amministrazione dell’Ospedale, prof. Aldo Piperno, a proposito
dell’attuale situazione amministrativa e legale dell’Ospedale, e
sulla necessità di verificare i meccanismi della governance per
superarne le contraddizioni, intervenendo se del caso sullo
statuto,
Rinnova la fiducia
ed esprime solidarietà al presidente Piperno e a tutto il CdA
dell’Ospedale Israelitico; offre inoltre appoggio, in tutte le forme
che possano essere utili, per sostenere la difficile contingenza che
la guida dell’Ospedale si trova a dover gestire.
Approva
la costituzione di un comitato consultivo, deliberata dalla Giunta
di giovedì 20 scorso, con lo scopo di fornire aiuto al CdA dell’Ospedale per tutte le attività di comunicazione, sostegno politico e
relazioni istituzionali. Tale comitato, composto da Rav Riccardo Di
Segni, Riccardo Pacifici, Toni Spizzichino, Livia Ottolenghi e Raffaele Sassun, avrà una vita di circa sei mesi, fino al superamento
dell’attuale congiuntura.
Invita
infine il CdA dell’Ospedale a promuovere un’attività di comunicazione verso l’esterno, ed in particolare verso gli iscritti alla nostra
Comunità, per fugare dubbi e sospetti che possano essere sorti
dalla lettura dei giornali delle ultime settimane, e ribadire l’immagine positiva dell’Ospedale, sia da uno scontato punto di vista
sanitario che da un punto di vista amministrativo e manageriale.
Approvato all’unanimità alle 23:30 del 24 febbraio 2014
che ha auspicato Rav Di Segni è un’attenzione che possa anche
andare oltre, toccando la cultura ebraica nella sua accezione positiva; gli ha fatto eco il Presidente Riccardo Pacifici, il quale ha
ricordato che “trasmettere l’ebraismo non significa trasmettere la
Shoà”. L’assessore ai giovani Giordana Moscati ha parlato di una
riunione “cordiale, in un clima quasi confidenziale”.
Anna Maria Tarantola si è mostrata anche lei soddisfatta dell’incontro, grazie al quale è stato possibile rinnovare la stima reciproca tra le due parti; nel colloquio privato con gli esponenti
della comunità, si è anche
resa disponibile a collocare
in un orario più comodo la
trasmissione televisiva “Sorgente di vita”, la rubrica di
vita e cultura ebraica in onda
su Rai due. L’incontro è proseguito con la visita al Museo
ebraico, dove Tarantola si è
mostrata molto interessata a
quanto esposto, e si è concluso con la visita del Tempio
Maggiore.
D. T.
Un seminario di studi promosso dall’Ucei
D
urante la mattina del 18 e del 19 febbraio si sono svolti
due degli incontri previsti dal programma del seminario
organizzato dal giornale "Pagine ebraiche" e dal portale dell'ebraismo Moked in collaborazione con il Collegio
Rabbinico italiano a Roma. Martedì 18 febbraio, presso la sede dell'Associazione Stampa Romana, il rabbino capo Rav Riccardo Di Segni ha tenuto una lezione
sulle complesse questioni della cultura della parola, il divieto della
maldicenza e dei limiti morali estremamente
labili che la società dovrebbe rispettare per introdurre un dibattito sul dialogo interreligioso
e sulla delicata questione mediorientale. Rav Di Segni ha sottolineato l'importanza che
la parola riveste nell'ebraismo, come forza creatrice o distruttiva del mondo intero. Di tutto il
sistema religioso ebraico, il rispetto della parola e del suo uso è sicuramente uno dei temi più
delicati e che può facilmente condurre all'inciampo nella maldicenza.
Il ruolo dei giornalisti è controverso, perché si
dibatte tra l'esigenza di informare ed il dovere
di rispettare il prossimo da un punto di vista etico-morale. Bisogna cercare di evitare di spargere anche solo "polvere" di maldicenza e rispettare alcune coordinate
fondamentali dell'informazione quali la certezza del fatto che viene
riportato, la consapevolezza di quanto si divulga, ma soprattutto stabilendo delle finalità positive per le quali viene raccontato un determinato fatto.
Al termine della lezione introduttiva, il Rav ha lasciato spazio alle
domande così da dar vita ad un dibattito riguardo la posizione degli ebrei italiani ed il loro appoggio più o meno incondizionato allo
Stato d'Israele, o ancora alle questioni più in particolare riguardanti il Medioriente. Inoltre, ampio interesse hanno riscosso i temi
della bioetica ebraica.
Il giorno seguente, Rav Benedetto Carucci, preside delle scuole
ebraiche di Roma, ha tenuto una lezione presso l'aula magna della
scuola ebraica sull'approccio ebraico ai social network. Il web fa
ormai parte della società tanto da poterlo considerare il motore dei
costanti cambiamenti che avvengono all'interno di essa. La giustificazione della posizione estrema di alcuni chachamim riguardo la
proibizione dell'utilizzo degli strumenti elettronici anche per finalità non banalmente ludiche risiede nel Bitul Torà, l'annullamento
della Torà. L'ebreo dovrebbe infatti dedicarsi ogni momento della
giornata allo studio della Torà, tranne che per gli atti necessari al
proprio sostentamento, e qualsiasi altro impiego di tempo è considerato una distrazione. La posizione maggioritaria è però quella
che consente l'utilizzo di smartphones o tablet d'avanguardia, purché non si ecceda nel loro utilizzo. Le applicazioni ebraiche si stanno moltiplicando e risulta di fatto utile poter avere pagine di ghemarà, mishnà o tefillà a portata di click. Da una parte si condanna
l'eccesso di utilizzo degli strumenti elettronici, più propriamente il
loro abuso, d'altra parte è importante riconoscere il contributo fondamentale apportato dalla tecnologia allo sviluppo di una capacità
multitasking, così come la definisce Rav Carucci, ossia la capacità
di svolgere simultaneamente più attività.
Ed infine, ecco la sfida lanciata da Rav Carucci: proviamo per un
giorno a cronometrare il tempo che spendiamo davanti ad uno
schermo, escluso quello dedicato allo studio o al lavoro, ed impegniamoci nell'impiegare la metà di quel tempo allo studio della
Torà. Un buon compromesso.
CARLOTTA LIVOLI
Saper comunicare la Bibbia
P
Il rischio di un’informazione sbagliata,
un problema antico ma sempre attuale
resso la sede dell’UCEI, in Lungotevere Sanzio, Rav
Alfonso Arbib, Rabbino capo di Milano, il pomeriggio del
18 febbraio ha esaminato i problemi etici, culturali, legali
connessi alla trasmissione di contenuti ebraici in testate
legate all’ebraismo: nel contesto del seminario su “Legge ebraica
e problemi dell’informazione”, organizzato dal Collegio Rabbinico
Italiano e dalla redazione giornalistica dell’UCEI.
Partendo dal celebre brano del Talmud babilonese in cui il sovrano ellenistico Tolomeo II (dal 285 al 244 a.e.v.) incarica 72 anziani
di tradurre in greco la Torah,
Rav Arbib ha evidenziato le
difficoltà anzitutto di cultura religiosa, citate dallo
stesso Talmud, legate alla
traduzione della Bibbia in
greco. Tradurre, ad esempio, il celebre versetto della
Genesi “Faremo l’uomo ad
immagine e somiglianza…“,
anziché “Farò…”, potrebbe
far pensare al lettore che la
Torah alluda a più divinità,
anziché al Dio unico; ma
d’altra parte, secondo altri
critici, quest’ambiguità è voluta, in senso positivo, dalla stessa
Torah, perché scrivere “Faremo” può sottintendere una consultazione degli angeli da parte di Dio, prima appunto di creare l’uomo
(lezione di democrazia, quindi).
La sostituzione, fatta sempre dai 70, del termine “lepre” (all’interno della lista ufficiale degli animali kasher e non kasher) con un
altro nome d’animale più generico, fatta nel timore d’offendere il
re (la cui moglie, in greco, si chiamava proprio “Lepre”), ci ricorda
invece - ha sottolineato il Rav, citando addirittura Enzo Biagi - che
non si può mai prescindere dall’editore, o comunque dal committente, d’un testo: ma è dovere d’ogni giornalista cercar sempre di
ritagliarsi, in ogni situazione, spazi d’autonomia professionale.
Infine, se è senz’altro deplorevole che alcuni traduttori antichi
delle Scritture abbiano omesso episodi come quello di Shekem
(uno degli eccidi legati alla conquista ebraica della Terra promessa), pensiamo però all’effetto che farebbe la lettura d’un brano del
genere su un pubblico già prevenuto nei confronti dell’ebraismo.
Tutti questi problemi - ha concluso Rav Arbib - evidenziano quindi la necessità, per l’ebraismo italiano, d’investire, per il futuro,
nella formazione di traduttori, e specialisti della comunicazione,
fortemente qualificati.
E’ lecita invece, in alcuni casi, la Chanuppah, cioè l’adulazione dei
trasgressori? Questo s’ è domandato, il pomeriggio del 19 febbraio, il Rav torinese Alberto Moshe Somekh. Sottolineando che, con
la sola eccezione di Rabbi Yonah da Gerona (vissuto a Saragozza
alla fine del Duecento), la dottrina ammette questo solo quando
risulti indispensabile per evitare situazioni di grave pericolo, per
l’individuo o la collettività, solo adoperando doppi sensi, mai un
linguaggio diretto, e limitatamente a quelli che possono essere gli
effettivi meriti dei trasgressori (vedi uno dei più classici episodi
biblici, l’incontro tra i due fratelli Yakov ed Esav, ancora fortemente in lite tra loro). Rav Somekh s’è detto disponibile ad approfondire meglio questi temi, magari in videoconferenza. Mentre notizie interessanti sono venute dalle videoconferenze organizzate,
negli stessi due pomeriggi, con Rav Yuval Cherkow, del Presidential Press Council of Israel, e col giovane Daniel Sacker, direttore
della comunicazione all’ufficio del Rabbino capo di Londra.
FABRIZIO FEDERICI
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Leggi ebraiche, libertà di parola
e uso dei social network
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ROMA EBRAICA
‘Il futuro è nelle tue mani’
Una giornata dedicata alla presentazione
delle università e dei corsi professionali in Israele
I
sraele e opportunità. Due parole che mai come negli ultimi
anni stanno diventando sinonimi. Due parole che hanno preso
forma e contenuto nell’aula magna della scuola Renzi Levi, che
ha ospitato l’iniziativa “Il futuro è nelle tue mani”, una giornata dedicata alla presentazione delle possibilità universitarie e professionali presenti nello Stato ebraico. Genitori e studenti liceali
sono stati accolti da Piero Abbina, presidente dell’Associazione
Italiana amici del Technion, che ha ricordato l’importanza di un’ottima istruzione in una società competitiva come quella attuale.
Presidente che nel 2010, assieme all’allora vice presidente UCEI,
Claudia De Benedetti, ha avviato il progetto, atto a promuovere la
formazione universitaria in Israele e due anni dopo ha portato alla
costituzione di Israeluni.it, il portale italiano delle università israeliane, che ha avuto il merito di creare un canale diretto fra i ragazzi
residenti in Italia e gli studenti e docenti italiani che attualmente
studiano e insegnano nelle università in Israele. Un anello di congiunzione, che si sta facendo sempre più solido e che ha reso possibile, come ha sottolineato il consigliere UCEI Alessandro Luzon,
l’introduzione del test psicometrico in italiano e la conseguente
possibilità di effettuarlo a Roma o Milano. Le iscrizioni stanno
aumentando sempre di più e delle 100 previste, ne sono arrivate
270. A suffragare questo dato, le parole di Ruth Dureghello, Assessore alle Scuole della Comunità Ebraica di Roma: “Cinque anni fa
si aveva difficoltà a elargire le borse di studio mentre oggi, il 25%
degli studenti romani sono orientati verso l’estero, Israele sopratut-
Il Bene’ Berith Roma per i giovani
I
FEBBRAIO
MARZO
2014
2014
• ADAR
• ADAR
SHENÌ
RISHON
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l Progetto del Bnei Berith Roma, finalizzato ad offrire ai
giovani spunti e stimoli sul mondo delle “start-up” ha fatto
un altro passo in avanti.
Il 18 Febbraio un gruppo di studenti del Liceo Renzo Levi,
accompagnati dall’ Assessore alle Politiche Educative della Cer,
Ruth Dureghello, dal Preside Benedetto Carucci Viterbi e dal
Presidente del Benè Berith Roma Sandro Di Castro, hanno potuto
visitare la sede di Enlabs, l’acceleratore di start-up, localizzato
nella Stazione Termini. Ad accoglierci, il Direttore Generale Ing.
masa.pdf 1 15/11/2013 16:24:44
Augusto Coppola.
Dopo una breve introduzione teorica, tenuta dal Prof. Spagnoletti dell’Università LUISS, i ragazzi hanno potuto incontrare i team
masa.pdf 1 14/11/2013
delle numerose
start-up11:15:53
localizzate nell’avveniristica struttura.
Gli studenti hanno apertamente manifestato il loro interesse, ed
to”. Una presa di coscienza dei nostri giovani che, come ha dichiarato Daniela Pavoncello, consigliera UCEI e coordinatrice della
commissione Scuola Educazione e Giovani, promuove la loro mobilità e il loro inserimento nel mondo del lavoro. L’evento è andato
avanti con la presentazione delle maggiori università di Erez Israel
da parte dei rispettivi rappresentanti che dopo una breve introduzione, si sono avvalsi di un supporto video, e hanno messo in luce
tutte le eccellenze dei propri istituti.
In secondo tempo i presenti sono stati invitati in un’altra aula per
avere più informazioni, così come per i 250 programmi Masa, un
progetto del governo israeliano, che dal 2004 aiuta le persone dai
18 ai 30 anni che vogliono fare un’esperienza in Israele, ma ancora
non ne conoscono la natura e la durata. Uno dei rappresentanti
Masa in Italia, Gilad Peled ha illustrato le tante opzioni che si possono scegliere: periodi si studio, perfezionamento nella ricerca, alta
formazione, stage professionali e volontariato. Per chi volesse partecipare a Masa, può fare richiesta di una borsa di studio, il cui
importo dipenderà dall’età e dalla lunghezza del programma scelto,
che può anche essere per un periodo tempo ridotto (5 o 10 mesi),
prima di decidere se prolungare l’esperienza oppure tornare nella
propria città con un maggior bagaglio umano e culturale. L’obiettivo
è rafforzare l’identità ebraica e cementare quel ponte ideale fra gli
ebrei italiani e Israele.
DAVID SPAGNOLETTO
in alcuni casi entusiasmo nell’incontrare personalmente i giovani
imprenditori al lavoro, pronti a spiegare le proprie idee.
Il messaggio che i ragazzi del Liceo Levi hanno ricevuto è che c’è
un “mondo nuovo” alla loro portata, ma che occorrono impegno
e competenze per farne parte.
Molto significativa la frase “l’educazione costa, ma l’ignoranza
costa molto di più” Stiamo già preparando nuove attività dedicate ai liceali e, al tempo stesso, non vogliamo trascurare i contatti
internazionali; sia per la formazione dei nostri ragazzi all’estero
che per la possibilità di ospitare a Roma ragazzi provenienti da
altri paesi.
La presenza all’incontro della Jewish Television, emittente televisiva diffusa in molte comunità ebraiche europee, che ha girato
un servizio sull’iniziativa lascia ben sperare.
MARIO VENEZIA,
Vice Presidente Benè Berith Roma
C
M
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CM
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Il tuo futuro è qui.
Oltre 250 programmi in Israele
per i giovani ebrei fra i 18 e i 30 anni
Contatti: Gilad Peled 349 251 6993
[email protected]
www.masaitalia.org
Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell’Agenzia Ebraica ed é reso possibile grazie al generoso cotributo del Keren Hayesod
Rispetto e dialogo
fra ebraismo e cristianesimo
Ribaditi nell’incontro tra papa Bergoglio
e una delegazione dell’American Jewish Commitee
con riferimento alle comuni origini delle due religioni; l’intensificazione della collaborazione nella carità; una crescente attenzione per
i giovani e soprattutto per l’educazione al dialogo.
Non sono mancati riferimenti al prossimo viaggio di Bergoglio in
Israele: il Papa ha chiesto all’AJC di accompagnarlo “con la preghiera, affinché questo pellegrinaggio porti frutti di comunione, di
speranza e di pace”. Rosen non ha esitato a prevedere per questa
visita uno storico successo, visto che Francesco è apprezzato tanto
in Israele quanto presso i palestinesi e altre popolazioni arabe.
L’entusiasmo per questo incontro ufficiale è stato confermato dal
successivo ricevimento, svoltosi in un hotel del centro di Roma, a
cui hanno preso parte le più importanti personalità dell’ebraismo
italiano, tra cui il Presidente UCEI Renzo Gattegna, il Presidente
della Comunità di Roma Riccardo Pacifici e quello di Firenze Joseph
Levi, il Rabbino Capo della Capitale Riccardo Di Segni.
Intervistata da Shalom, la rappresentante in Italia dell’AJC Lisa
Palmieri Billig si è detta molto soddisfatta di questo vertice. Tra i
suoi compiti il dialogo interreligioso e la lotta al razzismo e all’antisemitismo costituiscono gli aspetti principali: “L’AJC è forse l’unica
organizzazione ebraica che mantiene a altissimo livello non solo i
rapporti degli ebrei con musulmani e cattolici, ma anche con indù,
buddisti e altre religioni” ha sottolineato con orgoglio. Ha descritto
il suo lavoro di continuo tramite tra l’Europa e gli Stati Uniti, la frequente organizzazione di convegni ed eventi in Italia e all’estero, lo
svolgimento del delicato compito di mediazione tra le istituzioni, le
comunità ebraiche e il Vaticano. Ha poi concluso il quadro delle
attività dell’AJC affermando che “noi pensiamo che la pace si fa
mettendo d’accordo tutti, quindi cerchiamo ogni forma di dialogo.”
D. T.
P.A.C.E. Una squadra di specialisti
pronti ad ogni emergenza
Un nuovo Sefer Torà
per il tempio Beth Yeudah
Volontari e professionali per fornire assistenza e aiuto
Donato dalla famiglia Perugia in memoria del Prof. Lamberto
È
finita l’emergenza Tevere, ma non si ferma il lavoro di
P.A.C.E. (Pool Anticrisi della Comunità Ebraica), un gruppo
di circa 40 persone - tra volontari e personale dipendente
- coordinati da David Barda, sotto la supervisione del
responsabile della sicurezza Gianni Zarfati. “Tutte persone – spiega Zarfati – preparate attraverso corsi specifici ad operare e ad
assistere nella grandi come nelle piccole emergenze, e che sono
attive e intervengono nel giro di pochi minuti grazie ad uno scambio di informazioni per Sms, web e telefono”.
Lo si è visto quando il Tevere minacciava di allagare le zone limitofe al Tempio Maggiore e quando gli uomini del P.A.C.E., in una
notte di lavoro al termine di uno shabbat, hanno provveduto a
mettere in salvo oggetti e beni del Museo Ebraico e del tempio
spagnolo: libri, talledot, antichi manoscritti, pergamente, tessuti.
Tutto, compresi gli arredi sono stati portati ad altezza di sicurezza.
Poi si è provveduto a posizionare i sacchi di sabbia per fermare
possibili rigurgiti di acque.
“Questo gruppo – sottolinea Zarfati – opera sempre in stretta collaborazione sia con le Forze dell’Ordine sia con la Protezione Civile e
con la Prefettura e presta la sua opera anche in occasione di eventi
o incontri con molta partecipazione di pubblico, come nel caso delle
grandi festività ebraiche, o come in occasione della Festa della
Letteratura Ebraica e la Notte della Cabbalà. È un gruppo estremamanete professionale in grado di intervenire e fornire aiuto e assistenza”. Per aderire al P.A.C.E. è necessario seguire un tirocinio su
sicurezza e gestione delle emergenze. Coloro che sono interessati
possono chiedere informazioni al num. 06.68400671/2.
I
l 28 Gennaio è stato donato un nuovo Sefer Torah al tempio
della scuola ‘Beth Yeudah’ da parte della famiglia Perugia, in
memoria del Prof. Lamberto Perugia, scomparso lo scorso
anno. La cerimonia si è svolta nel cortile della scuola alla
presenza degli alunni, degli assessori e ovviamente della famiglia
Perugia; sono stati proprio il figlio Dario e sua sorella i primi a
ricordare loro padre con grande affetto e commozione e a
ringraziare gli alunni per la
grande mitzvà che svolgono
andando tutte le mattine al
tempio a fare tefillah, sperando che questo sefer li induca
ad avvicinarsi sempre più alla
Torah.
Tra la gioia, i canti e i balli che
hanno riempito questa cerimonia non potevano mancare
i discorsi del presidente Pacifici e dei Rabanim Umberto Piperno e
Della Rocca che hanno sottolineato come “il dono di questo sefer
torà in un tempio dentro una scuola ebraica, dà una grande speranza”. Il Prof. Lamberto Perugia, fra i tanti incarichi, fu anche il
medico ortopedico della squadra di calcio della Roma, all’insegna
di un impegno professionale sia all’interno della società che al
servizio di tutta la Comunità.
GIORGIA CALÒ
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
I
l dialogo interreligioso tra l’ebraismo e la Chiesa cattolica compie una nuova tappa. Una delegazione di 55 membri dell’American Jewish Committee, infatti, è stata ricevuta in udienza da
Papa Francesco il 13 febbraio scorso nella Sala del Concistoro
del Palazzo Apostolico Vaticano. Tra gli altri, vi erano il Presidente
dell’AJC Stanley Bergman, il direttore esecutivo David Harris e la
delegata per l'Italia e la Santa Sede Lisa Palmieri Billig. L’opera
dell’AJC, che intrattiene da tempo un dialogo con la Santa Sede, è
stata particolarmente apprezzata da Bergoglio, il quale ha evidenziato il “desiderio di rispetto e stima reciproci […] per la costruzione
di un mondo più giusto e fraterno”. È quanto hanno riferito con toni
entusiastici nella conferenza stampa pomeridiana il rabbino David
Rosen, Responsabile Internazionale del Dipartimento per gli Affari
Interreligiosi dell’AJC e dell’Istituto per il Dialogo Interreligioso
Internazionale di Heilbrunn, e il padre Norbert Hofmann, Segretario
della Commissione Pontificia per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, moderati da padre Federico Lombardi, Direttore della Sala
Stampa della Santa Sede. Rosen si è soffermato sul crescente dialogo tra ebraismo e cattolicesimo dal Concilio Vaticano II, dal ruolo
determinante avuto dal documento della Nostra Aetate (di cui
quest’anno ricorre il 50° anniversario) ai gesti dei Pontefici che si
sono susseguiti in questi decenni; tuttavia, ha individuato in Papa
Francesco un interlocutore speciale, in virtù dell’impegno e dell’amicizia che lo legano al popolo ebraico. Proprio con questo Pontefice si ritiene da parte dell’AJC che il dialogo ebraico-cristiano possa
offrire risultati ancora più soddisfacenti e nuove sinergie per progetti comuni. Hofmann ha definito questo incontro una “riunione di
famiglia” che ha aumentato la fiducia reciproca, sintetizzando il
discorso del Papa in tre punti: la dimensione teologica del dialogo,
45
ROMA EBRAICA
‘Boss in incognito,
l’avventura di David Hassan
Protagonista di un reality show su Rai2, il suo motto come
imprenditore è: ‘Guadagnare insieme alle persone, non sulle persone’
L
unedì 27 gennaio è andata in
onda, su Rai2, la prima puntata
di “Boss in incognito”: reality
show in cui i dirigenti di alcune
aziende si introducono nelle loro fabbriche sotto mentite spoglie (ad esempio,
nelle vesti di operaio, magazziniere,
autista, commesso, etc.).
Il fulcro del programma è quello di far
capire all'imprenditore i punti di forza e
le debolezze del proprio impero visto
“dal basso”.
Il protagonista della prima puntata è
stato David Hassan, presidente dell'azienda che produce i famosissimi brand
“David Sadler” e “7Camicie”. L'imprenditore, sposato con Ronit e padre di cinque figli (Leone, Alfredo, Linda, Elena e
Alexandra), si dimostra un boss dal
cuore tenero, trasformandosi in “Eddy”
ed emozionando il pubblico da casa già
dai primi minuti della puntata dove ha
parlato del fratello defunto, Wicky Hassan, a cui ha dedicato quest'avventura e
della sua vita che nel 1967 è inesorabilmente cambiata a causa della “cacciata
degli ebrei” dalla Libia, dove viveva con
i genitori e i fratelli. La sua colpa? Essere ebreo. Arrivato in Italia, all'età di 8
anni, ha iniziato a vendere gelati al cinema per pagarsi la scuola. I soldi mancavano e per necessità ha intrapreso diversi mestieri come quella del benzinaio, il
ragazzo di bottega, il magazziniere, il
commesso e, infine, grazie anche al fratello Wicky, il direttore di negozio. Il suo
motto è sempre stato “Per guadagnare
bisogna far guadagnare. Guadagnare
insieme alle persone, non sulle persone”.
In questo periodo caratterizzato dalla
crisi, David ripete
che per mantenere a galla la propria azienda deve
puntare su una
produzione
impeccabile, senza
incappare in errori. Si denota una
forte ricerca di
perfezione nello
svolgere il proprio
lavoro. Alla fine
della puntata, oltre ad aver assunto una maggiore
consapevolezza
riguardo alla sua
azienda, David è conscio che è proprio
grazie ai suoi dipendenti se è riuscito a
capire quali sono i punti deboli su cui
intervenire.
Proprio per questo, ha deciso di premiare i più meritevoli. “Boss in incognito”, è
di sicuro un reality che ha messo in risalto le sue qualità da imprenditore e soprattutto il suo lato umano e una spiccata sensibilità.
M. S.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Corso di Tefillà didattica al Tempio Bet Michael
46
Vi è mai capitato di andare al tempio e
di sentirvi persi perché non si sa cosa
succede intorno a voi? Ogni Shabbat al
Tempio Bet Michael (via di Villa Pamphili, 71/C), dalle 09.45 alle 10.25, si
impara come pregare e il significato
delle tefillot insieme a Gadi Piperno,
Ester Di Segni, Ariel Calò e rav Amedeo
Spagnoletto. Questo il programma delle
lezioni:
2. Risveglio e Modè Ani, con Ester Di
Segni (22 marzo)
1. Struttura della Tefillà della mattina,
con Gadi Piperno (15 marzo)
6. Shemà, con Gadi Piperno (24 maggio)
3. Berachot hashachar e Birchat hatorà,
con rav Amedeo Spagnoletto (12 aprile)
4Baruch Sheamar - Pesukè dezimrà,
con Ariel Calò (3 maggio)
5.Berachot dello yotzer, con Ariel Calò
(10 maggio)
7. Amidà, con Ester Di Segni (7 giugno)
Mentana superstar
Incontro ricco di riflessioni nella serata
promossa dai movimenti giovanili
E
ntra nel salone del Pitigliani Enrico
Mentana e parte subito un applauso
scrosciante dalla platea che riempie
tutti i posti a sedere, con tanta
gente in piedi. Si tratta di una serata organizzata dall’assessore alle politiche giovanili
Giordana Moscati che, con le giovani leve
della Comunità e il Centro di Cultura, si è
spesa con tanta energia per lo svolgimento
dell’evento. Il direttore del TG LA7 si siede
sul palco con accanto Fabio Perugia al microfono, conduttore della serata, che si preannuncia ricca di retroscena, visto il calibro del
giornalista ospitato. Si parte dalle domande
del pubblico sul difficile ricambio generazionale che investe il Paese, sul dramma dei
giovani a entrare nel mondo del lavoro. Esordisce l’anchorman: “La situazione è precaria,
il posto fisso diviene realtà solo per una parte
minoritaria. Così l’Italia ha ristretto i suoi
orizzonti. Cosa c’è di più violento di impedire
a una generazione di avere prospettive per il
futuro?”
Spiega alla folta platea come è cambiato il
mondo mediatico da quando esordì nel 1980
al TG1: “A quei tempi chi voleva affermarsi
nel campo mediatico aveva molte opportunità. Mentre oggi ci sono molti più giornalisti e
giornali più di quanto ci sia bisogno. D’altronde la funzione di mediazione giornalistica si è ridotta oggi con il moltiplicarsi di
accesso alle notizie sul web”. E’ un Mentana,
come al solito vibrante, senza peli sulla lingua, come siamo abituati a vederlo nei teleschermi. Così la serata scorre tra aneddoti e
ricordi di giornalismo televisivo. Non mancano racconti del primo incontro con Berlusconi
quando nel 1992 gli affidò la direzione del
neonato TG5 e delle differenze tra televisione
pubblica e privata. Dalla conversazione viene
fuori anche qualche confessione personale,
quando conferma di non avere la patente di
guida e, mentre gusta un ginetto e un biscottino di Boccione sul divano rosso posto al
centro del palco, quando ammette la debolezza del suo palato per la cucina giudaica romanesca con le abituali frequentazioni dei locali
del Portico d’Ottavia.
C’è anche il tempo per rivelare le sue origini
ebraiche materne, e spiegare il fenomeno
italiano di feeling esistente tra le comunità
ebraiche e le Istituzioni, dovuto secondo lui
anche a un presidente della Repubblica da
sempre sensibile agli umori e ai sentimenti
del mondo ebraico. Mentre suonano le note
dolci del pianista che introduce le domande
del pubblico, il direttore e conduttore del TG
LA7 rivela anche che questa esperienza che
lo vede protagonista “potrebbe essere l’ultimo lavoro, prima di andare sulle panchine dei
giardinetti”.
JONATAN DELLA ROCCA
100 anni... e non sentirli!
Buon compleanno a Elvira Piperno
D
omenica 9 febbraio, nella splendida cornice del Pitigliani, si è svolto il centesimo compleanno della signora
Elvira Piperno. Tra i presenti il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e il Rabbino
Capo Riccardo Di Segni che hanno espresso dei calorosi auguri
alla festeggiata. Ad accogliere gli invitati, una video-sequenza di
foto riguardanti la vita di Elvira tra la famiglia, i viaggi fatti, l'amore incondizionato per il marito e la sua grande discendenza. Un
flashback riguardante la sua vita tra la prima e la seconda metà
Le regine delle elementari?
Le cuoche!
Non è facile preparare tanti pasti, avendo cura ed attenzione
anche ai ragazzi celiaci o alle intolleranze alimentari
del Novecento per poi ritornare al presente e alle grandi feste
insieme ai figli, ai nipoti e ai pronipoti sempre vicini.
Tra le tante lettere interpretate dai presenti, spicca quella di
Salvino Glam, amico di famiglia, che l’ha definita sentitamente
una donna “benedetta da Dio”. Una donna che è riuscita a
costruire una famiglia numerosa dopo essere rimasta sola a
causa della Shoah. Una donna che si è rimboccata le maniche per
ricominciare a vivere, perché in ogni caso, purtroppo, la vita
deve andare avanti.
Elvira è riuscita a salvarsi grazie alle autorità vaticane che le
hanno fornito dei documenti falsi per lei ed il marito, cambiandogli
il cognome da “Terracina” (da sposata) in “Bonacina”. Con un
camion, la coppia Terracina è arrivata in incognito nella cittadina
di Todi e, dopo aver passato una notte sotto i freddi portici, è stata
ospitata dalla famiglia Marra che ha tenuto Elvira e il marito al
sicuro fino all'arrivo delle truppe alleate . Una famiglia gentilissima con cui ancora intrattiene ottimi rapporti. Dopo la liberazione,
tornando a Roma, ebbe la terribile notizia riguardante la deportazione di tutta la sua famiglia, adulti e bambini. Al marito, invece,
fu deportata una sorella con due figlie.
Elvira è una donna che, nonostante gli ostacoli che la vita le ha
posto davanti, ha continuato a vivere con grinta e tanta forza,
donando ai propri figli una serena infanzia, senza gli spettri del
passato. Hanno presenziato all'evento anche Rav Alberto Funaro
e Rav Enzo Di Castro che le hanno dato la berachà. Tra le sentite
parole di Rav Di Castro, spiccano gli auguri che hanno più emozionato i presenti. “Ad mea veEsrim (fino a centoventi anni) circondata dalla serenità e dall'amore della tua famiglia!”, conclude il
Rav ed è proprio la famiglia il suo punto di forza. Un nucleo formato dai suoi figli con sette nipoti e tredici stupendi pronipoti al
seguito! Ciò che ha passato questa piccola grande donna fornisce
a noi un racconto straordinario su un'epoca. Un racconto finito in
una sorta di libro immaginario e chi accumula libri, come scrisse
anni fa Ugo Ojetti: “accumula desideri; e chi ha molti desideri è
molto giovane, anche a ottant'anni”. O a cento, perché no?
M. S.
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
5774
D
a che mondo è mondo, le madri di famiglia vengono
comunemente chiamate “le regine della casa”, un po’
come anche le fantastiche cuoche che preparano con
cura ogni pasto ai bambini della scuola elementare Vittorio Polacco, a Roma.
Giorni fa sono andata quindi a conoscerle di persona: Enrica Sonnino, Ines Fellman, Antonella Lo Iacono, Velia Di Veroli, Rossella
Volterra e Rosi Tivoli. 6 donne con una forza incredibile, caratterizzata dall'armonia che riescono a creare nelle cucine, superando
ogni giorno lavorativo con tutta la grinta e la passione necessaria...
E ce ne vuole tanta per arrivare a “cucinare un totale di 90kg di
pasta a settimana”, come ci racconta Velia.
Milena Pavoncello, la direttrice della scuola, ogni mese stila un
menù da seguire (diviso ovviamente in “estivo” e “invernale”).
Durante i mesi più freddi servono spesso minestre mentre, quando
le temperature si fanno più miti, a fare da padrone a tavola sono le
paste fredde e il riso al forno. Molti sono i casi di allergia o di celiachia tra i ragazzi, problematiche che meritano un’attenzione particolare da parte delle cuoche, con differenziazioni sia di cibo che di
pentole: “C'è chi è allergico al pesce, chi all'uovo e chi alla carne.
Noi ad ogni pasto che prepariamo, come la pasta al sugo, mettiamo
l'alternativa della pasta in bianco”, spiega Enrica. Ho chiesto loro se
aiutano i bambini a servirsi e la signora Rossella, con un grande
sorriso, mi racconta: “io ed Enrica portiamo il primo e aiutiamo i
bambini a servirsi, soprattutto i più piccoli, mentre per il secondo
ed il contorno ci pensano le morot. Ovviamente rimaniamo disponibili per ogni evenienza e molte volte invogliamo anche i bambini a
mangiare”. Grazie ai consigli della dietista, c'è una rigida suddivisione delle pietanze settimanali: “Tecnicamente – racconta Antonella - all'interno del regime alimentare dovremmo inserire un
giorno di pesce, ma in realtà facciamo solamente pollo, carne e
uovo. Il motivo di questa scelta è dato dai bambini allergici al pesce
che potrebbero andare in shock anafilattico anche solo con i vapori
che provengono dalla cucina.” Rosi ci tiene ad aggiungere che fortunatamente non hanno mai avuto casi di shock anafilattici, ma
hanno tutte le certificazioni che attestano ogni piccola allergia dei
bambini. Dopo l'intervista sia le cuoche che le addette della mensa
si divertono a ricordare gli eventi passati a cui hanno preso parte,
fuori dal loro lavoro. Tra le tante iniziative, quelle che sono rimaste
nel cuore di tutte sono state le Maccabiadi a Roma dove “abbiamo
preparato per primo la pasta all'arrabbiata e per secondo tante frittate di verdure tutte diverse tra loro”, come rievoca Rossella con gli
occhi lucidi dall'emozione e l'evento di Pesach in cui le persone
venivano a mangiare di Kol HaMoed, le cuoche preparavano anche
pasti a portar via e tante pizzarelle con il miele per tutti!
M. S.
47
DOVE E QUANDO
MARZO
15
16
19.30 Centro Le Palme
17
20.00 Tempio dei Giovani
19
10.00 Adei Wizo
Lettura della Meghillà di Ester
S A B A T O con Rav Gad Eldad
-------------------------------------------------
30
Domenica è sempre Pitigliani:
DOMENICA Tra mito e realtà
11.00 Centro Bibliografico
Tullia Zevi
9.30 Centro Le Palme
Diploma Universitario triennale
in Cultura Ebraica-UCEI
Corso di Etica Medica Ebraica
Lezione del Dr. Cesare Efrati
Nuova lettura della Meghillà
ore 16.30 - Festa alle Palme:
DOMENICA
Purim in allegria
-------------------------------------------------
18.00 Centro di Cultura Ebraica
Ciclo di incontri di etica medica
L U N E D I ebraica: Medicine e kasherut
con Ariel Di Porto
------------------------------------------------Incontro di Torà con Rav Chajm
MERCOLEDI Vittorio Della Rocca
15.00 Adei Wizo
“Gran burraco di primavera”,
torneo di burraco aperto a tutti
31
24
26
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
MERCOLEDI
48
27
10.45 Adei Wizo
Scuderie del Quirinale, Via XXIV
Quanto è buona la pizza!
mostra “Frida Kahlo”
con la Dott.ssa Sara Procaccia.
Info e prenotazioni in sede
20.00 Centro di Cultura Ebraica
20.00 Tempio dei Giovani
Ciclo I doveri del cuore:
Il precetto di amare e il divieto di
mortificare con Roberto Colombo.
Cena + lezione. Prenotazione
obbligatoria. Info: 06 5897589
[email protected]
-------------------------------------------------
20.00 Tempio dei Giovani
Ciclo di incontri di etica medica
ebraica: L’etica medica durante
la Shoah con Rav Amedeo
Spagnoletto
-------------------------------------------------
Ciclo di incontri di etica medica
ebraica: Psichiatria e etica
medica con Prof. Gavriel Levi
APRILE
02
16.00 Centro di Cultura Ebraica
Scuderie del Quirinale, Via XXIV
Maggio 16. Visita guidata alla
mostra “Frida Kahlo” con Cesare
Terracina. Posti limitati, info e
prenotazioni: 06 5897589 –
Ciclo I doveri del cuore: Zedakà
e ghemilut chasadim. Carità,
assistenza e generosità: dare
senza ricevere nulla in cambio
con Gianfranco Di Segni.
Cena + lezione. Prenotazione
obbligatoria.
-------------------------------------------------
17.00 Centro Le Palme
20.30 Il Pitigliani
Ciclo d’incontri Israel Oggi:
Quali media per un Israele
moderno con Carmel Luzzati
in collaborazione con Sochnut Keren Ha yesod
------------------------------------------------
20.00 Centro di Cultura Ebraica
03
Psyko – Sushi: talk show e mojito
Con Stefania Supino e David
Meghnagi
Ciclo I doveri del cuore: Il dovere
di ammonire il prossimo con
Riccardo Di Segni. Cena + lezione.
Prenotazione obbligatoria.
-------------------------------------------------
9.30-17.00 Il Pitigliani
Seminario Le categorie di Yad va
G I O V E D I shem: Giusti, Carnefici,
Indifferenti con Yftach Ashkenazi,
Sergio Della Pergola, Roberto Olla,
Liliana Picciotto in collaborazione
con Uil Scuola – Irase - Yad
Vashem - Progetto memoria - Cdec
16.30 Centro Le Palme
21.00 Il Pitigliani
S A B A T O party. Presenta David Parenzo.
10.00 Adei Wizo
Incontro di Torà
con Rav Vittorio Della Rocca
MERCOLEDI
20.00 Centro di Cultura Ebraica
La Paraschà della settimana
G I O V E D I spiegata dal M.o Roberto
Di Veroli: Tazrià
29
Jewish Community Center,
via Cesare Balbo, 33
Il violinista sul Tevere concerto
spettacolo dell’Orchestra Popolare
Romana. Ingresso libero fino ad
esaurimento posti. Info 06 5897589
[email protected]
------------------------------------------------
L U N E D I Maggio 16 Visita guidata alla
17.30 Centro Le Palme
LUNEDI
11.00 Il Pitigliani
07
I dolci kasher Le Pesach:
Non solo ciambellette
-------------------------------------------------
20.00 Tempio dei Giovani
Ciclo di incontri di etica medica
L U N E D I ebraica: Stato, comunità e diritti
10
del malato con Rav U. Piperno
-------------------------------------------------
20.30 Il Pitigliani
Il Talmud e i suoi maestri:
2° incontro con Rav Benedetto
GIOVEDI
Carucci Viterbi
-------------------------------------------------
13
16.30 Centro Le Palme
Conversazione con M.o. Roberto
DOMENICA Di Veroli in occasione della
festività di Pesach
> A CURA DEL CENTRO DI CULTURA EBRAICA <
APPUNTAMENTI
ADEI
Proseguono i lunedì del burraco:
17-24-31 marzo, 7 aprile. In sede 15.00
IL PITIGLIANI
Il nostro pesach: Dal 1 al 13 aprile
potrai fare le ciambellette!
14 e 15 aprile i tradizionali sedarim
prenotati [email protected]
Gruppo Ghimel: giovedì alle 16.30
Programmi educativi:
Domeniche di Ebraismo: continuano gli
imperdibili incontri di attività e giochi
per delineare e rafforzare la nostra
identità ebraica e imparare l’ebraico!
prossimi incontri: 30 marzo e il 6 aprile
facciamo le ciambellette! Pranzo incluso
Info e prenotazioni: domenicheebraismo
@pitigliani.it Roberta 3395641847
065800539 - 065897756 (Giorgia)
Open Day: giovedì 10 aprile a partire
dalle 16.00, attività manuali e giochi
didattici sulla festa Info e prenotazioni:
065800539 - 065897756 (Giorgia)
SHABAT SHALOM
Parashà: Sheminì
Venerdì 21 MARZO
Nerot Shabath: h. 18:05
Sabato 22 MARZO
Mozè Shabath: h. 19:09
--------------------------------------------------Parashà: Tazria
Venerdì 28 MARZO
Nerot Shabath: h. 18.13
Sabato 29 MARZO
Mozè Shabath: h. 19.17
--------------------------------------------------Parashà: Metzorà
Venerdì 4 APRILE
Nerot Shabath: h. 18.20
Sabato 5 APRILE
Mozè Shabath: h. 20.24
--------------------------------------------------Parashà: Acharé Mot
Venerdì 11 APRILE
Nerot Shabath: h. 19.28
Sabato 12 APRILE
Mozè Shabath: h. 20.32
NASCITE
Daniele, Nathan Astrologo di Fabio e Susanna Limentani
David Yaron Astrologo di Stefano e Scilla Piazza o Sed
Marco, Moshe Ittiel Del Monte di Angelo e Ariela Di Porto
Josh Bondì di Enzo e Rachel Terracina
Michal, Mara Mieli di Marco e Silvia, Haia Galbiati
Fabio Porcelli di Daniele e Fabiana Di Veroli
Angelo Sonnino di David e Giada Della Rocca
Nathan Ascarelli di Daniele e Valentina Armetta
Aharon, Chaim Moscati di Emanuele e Giorgia Aboaf
Rachel Mantin di Haim Vittorio e Barbara Frascati
BAR-BAT MIZVÀ
Thomas Manasse di Vittorio e Claudia Ascarelli
Giordana Spizzichino di Pacifico e Rossella Anav
Angelo Terracina di Cesare e Ruth Di Veroli
Michal Perugia di Angelo e Federica Zarfati
Daniele Mieli di Stefano e Alumà Kedar
PARTECIPAZIONI
BIRCHONIM
LIBRETTI
Mazal Tov
LITOS
ROMA
MATRIMONI
Fulvio Di Porto – Miriam Zarfati
... ringrazia la Signora Elvira Piperno Terracina che in occasione del suo 100° compleanno ha deciso di devolvere alla
Deputazione quanto destinato ai suoi regali. Alla Signora
Elvira e a tutta la sua bellissima famiglia un affettuoso Mazal
Tov
per questo splendido traguardo raggiunto.
... ringrazia Roberto e Piera Frascati per aver devoluto quanto
destinato ai loro regali in occasione delle loro Nozze d’Oro al
sostegno delle famiglie assistite. A Roberto e Piera tantissimi
auguri di
tanta altra felicità ancora insieme.
... ringrazia Bruno e Manuela Calò per aver devoluto in occasione delle loro Nozze d’Argento quanto destinato ai loro regali al sostegno delle famiglie in difficoltà della nostra Comunità.
A Bruno e Manuela un grandissimo Mazal Tov per questo
splendido traguardo raggiunto.
I DOVERI DEL CUORE
Il rapporto interpersonale nella tradizione ebraica
Il precetto di amare e il divieto di mortificare. (Roberto Colombo)
Mercoledì 19 marzo 2014 - ore 20.00
Zedakà e ghemilut chasadim. Carità, assistenza e generosità:
dare senza ricevere nulla in cambio. (Gianfranco Di Segni)
Mercoledì 26 marzo 2014 - ore 20.00
Il dovere di ammonire il prossimo. (Riccardo Di Segni)
Mercoledì 2 aprile 2014 - ore 20.00
Il chassidismo e il rapporto con il prossimo (Shalom Hazan)
Mercoledì 7 maggio 2014 - ore 20.00
Il Musar e il rapporto con il prossimo. La relazione tra il dovere
razionale e la motivazione psicologica nell’applicazione delle
norme della Torah. (Alfonso Arbib)
Giovedì 15 maggio 2014 - ore 20.00
Kosher business. L’etica ebraica nel mondo del lavoro.
(Gheula Cannarutto)
Mercoledì 21 maggio 2014 - ore 20.00
Leshòn harà. L’educazione della parola. (Benedetto Carucci Viterbi)
Mercoledì 28 maggio 2014 - ore 20.00
La relazione interpersonale come metodo di cura: tradizione
ebraica e psicoterapia (Gianni Yoav Dattilo)
Mercoledì 11 giugno 2014 - ore 20.00
Ogni lezione si terrà in uno dei ristoranti kasher della zona del
Portico d’Ottavia. Il costo, comprensivo della cena, è di € 16.00
per ogni incontro. Posti limitati. Prenotazione obbligatoria
entro il lunedì precedente la lezione allo 06.5897589
oppure a [email protected]
AUGURI
Piero Milano, membro del Collegio dei Revisori dei conti della
Comunità ebraica, è recentemente diventato nonno. Il 28 gennaio è nato a Gerusalemme Adam, figlio di Pawel Maciejko e di
Gioia Milano. Ai genitori e ai nonni gli auguri della redazione.
Carissimi auguri a Diana Di Segni che il 4 febbraio, 4 Adar
rishòn, ha conseguito il dottorato in Filosofia presso l’Università
di Colonia, discutendo una tesi dal titolo “Moses Maimonides
and the Latin Middle Ages. Critical Edition of Dux neutrorum I.”
Bar mitzvà per 30 bambini bisognosi
Il Movimento Chabad di Roma promuove una campagna di aiuto
a favore di 30 bambini bisognosi in Israele che devono festeggiare il loro bar mitzvà il prossimo 26 maggio al kotel di Gerusalemme. Perché ciò sia possibile è stata lanciata una sottoscrizione e
chiunque potrà sostenere questi ragazzi. Chabad Lubavitch di
Roma si occupa di fornire tutto il necessario. Ogni contributo è
ben accetto. Per ulteriori informazioni, rivolgersi a Rav Hazan o
a Lillo Naman 0686324176 [email protected]
La redazione di Shalom si stringe con affetto alla collega Nathanya
Di Porto, per la scomparsa della mammma
Grazia Veneziano
La direzione esprime sincere condoglianze alle famiglie Veneziano
e Di Porto.
CI HANNO LASCIATO
Samuele, Leandro Abbina 19/10/1931 – 15/02/2014
Aldo Astrologo 17/05/1948 – 17/02/2014
Ester Astrologo ved. Cangeli 08/07/1935 – 30/01/2014
Fernando Astrologo 08/10/1935 – 20/01/2014
Arlette Cohen ved. Bigio 06/03/1928 – 12/02/2014
Sonia Di Consiglio Di Simone 09/06/1971 – 20/01/2014
Franco Di Segni 07/02/1944 – 06/02/2014
Fabrizio Di Veroli 26/12/1968 – 10/02/2014
Claudio Fiano 02/10/1943 – 09/02/2014
Marcello Segrè 27/11/1923 - 08/02/2014
Mario Spizzichino 18/11/1928 – 02/02/2014
Perla Emma Tedeschi ved. Del Monte 05/08/1921 – 17/01/2014
Betta Vivanti 21/08/1927 – 19/01/2014
Celeste Vivanti ved. Calò 23/02/1930 - 04/02/2014
IFI
00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A
TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
LA DEPUTAZIONE EBRAICA...
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LETTERE AL DIRETTORE
vocedeilettori
La
Un super lettore
Egregi Amici,
avete la fotocopia della ricevuta postale di € 60 per l’avvenuto mio
versamento di tale importo, quale abbonamento anno 2014 al
mensile SHALOM. Ho 101 anni d’età, sono ben vivo e lucido e
m’interesso della situazione d’Israele, molto più di quanto mi interessi della situazione critica d’Italia. Mi congratulo con voi che
avete elevato il valore e l’importanza di tale mensile e vi ringrazio.
UGO SERGIO JONA
MARZO 2014 • ADAR SHENÌ 5774
Lettera ad una sconosciuta
Cara sconosciuta,
ti scrivo tramite Shalom, per chiederti di aiutarmi. Molti anni fa,
esattamente nel marzo del 1944 ero con le mie sorelle ed i miei
genitori, ospite di mia zia Gemma, per sfuggire ai nazisti, in via
Madonna dei Monti. Mio nonno Mosè, che io adoravo, usava portare una catena legata al suo gilet, una manina (forse d’argento)
ed un orologio. Io, che ero molto giovane, m’innamorai di quella
manina e chiesi a mio nonno Mosè di regalarmela. Immediatamente egli la sganciò dalla catena del gilet e me la diede. Zia Clara
(sua figlia 26 anni) lo rimproverò, perché lei gliel’aveva chiesta
tante volte, ma egli non gliene aveva mai fatto dono. Inutile dirti
come ci rimasi male, non fui capace di dirle semplicemente: cara
zia, non m’importa, prendila tu! Io amavo molto zia Clara, ma ero
troppo giovane e non fui capace di dire nulla, così mi tenni il dono
di mio nonno. Pochi giorni dopo, disgraziatamente, mio nonno con
i 3 figli e 3 nipoti, verrà fucilato alle Fosse Ardeatine. Mentre mia
zia Clara, insieme ai 2 bimbi (Giuliana 3 anni e Giovanni 18 giorni)
verranno deportati ed uccisi ad Auschwitz.
Puoi immaginare quanto ancora più cara mi diventò quella manina. La tenevo sempre al collo e me ne separavo solo quando facevo il bagno. E fu proprio in uno di questi momenti che una mano
sconosciuta me la portò via, insieme ad un anello d’oro con una
bella acquamarina, donatami da mio padre per il mio compleanno.
Amica cara, tu eri anche più giovane di me e certamente non hai
pesato al dispiacere che mi davi. Sono certa che non l’hai fatto per
avidità, ma per ingenuità. Che voglio ora dopo 70 anni? Ho sempre pensato che tu non l’avrai né venduta né regalata. Io la porto
ancora nel mio cuore. Se per caso (io lo spero) tu la possiedi ancora, potresti spedirmela in un pacchettino anonimo? L’anello di mio
padre, non m’importa, ma la manina, vorrei regalarla a mio figlio
ed ai nipotini.
GIULIA SPIZZICHINO
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Un grazie a due anziane suore
Caro Direttore,
tramite Shalom vorrei pubblicare questo ringraziamento alle suore
del Bambino Gesù di via Lattanzio: suor Mery e Marina.
Nel convento vennero a conoscenza dalla madre superiora
Romualda Cesarini, grazie anche agli scritti lasciati nel periodo
della guerra 1942 – 1945, che avevano nascosto famiglie ebree,
anche me ed i miei fratelli. Suor Marina e suor Mery con il cuore
hanno approfondito la storia di cosa era successo e accaduto agli
ebrei. Loro tutt’oggi si dedicano a far conoscere ai ragazzi delle
scuole il significato della Shoà e a del popolo ebraico. Io ne sono
testimone. Grazie suor Mery e suor Marina.
P.R.
Quando la parola Fariseo ha un significato dispregiativo
Gentile Redazione di Shalom
vi scrivo in merito ad una notizia che ho ascoltato al telegiornale
[email protected]
regionale di RAI 3. Ho appreso che è in programma al Salone Margherita, e poi anche in altri teatri, uno musical dal titolo “Wojtyla
generation Opera Musical” relativo alla generazione dei Papaboys e agli eventi a cui i giovani presero parte durante il pontificato di Papa Wojtyla; regia di Raffaele Avallone. Fin qui nulla di
male. Apprendo poi che nella trama del musical il gruppo dei Papa
boys si scontra con una Band opposta, denominata “Band dei
Farisei”; nel timore di aver compreso male faccio le mie verifiche
su un sito internet e trovo una conferma di quanto ascoltato, che
la banda opposta a quella dei Papa Boys, la “Band dei Farisei”, è
composta da loro coetanei che hanno fatto “dell’apparire, della
violenza, della droga e del potere” il proprio idolo. Lo spettacolo
ha già avuto il suo debutto in Spagna riscuotendo successo di
pubblico e di critica.
Ecco, mi sono venuti in mente tutti gli sforzi compiuti e il tempo
necessario per scalfire inveterati pregiudizi fondati su una secolare ignoranza e come poi, contando proprio sulla costante dell’ignoranza, questi pregiudizi tanto velocemente siano di nuovo propalati.
Lo segnalo affinché si possa approfondire, come e perché si sia
potuto autorizzare l’utilizzo improprio di questo nome nel musical,
nella speranza che si possano inoltrare le proteste a chi di dovere.
Non si tratta di correggere un modo di dire o una espressione
impropriamente utilizzata da un singolo, a cui si può spiegare il
perché della correzione, ma di bloccare un utilizzo della parola
Farisei così consegnata ad un pubblico ampio in modo subdolo,
contando proprio sull’ignoranza dell’esatto significato del termine; usato stavolta non più solo come sinonimo di ipocrita (nell’accezione in cui talvolta duole ancora ascoltarlo anche da persone di
media cultura), ma come nome che identifica un gruppo di giovani
cattivi, violenti, ingannatori e malvagi. In perfetta sintonia con
l’antigiudaismo di un tempo e con le novità di questi tempi questi
tempi che procedono a base di slogan, banalità e dannose semplificazioni. Grazie per l’attenzione.
CLAUDIA DI CAVE
Un piccolo indennizzo per una enorme sofferenza
Attraverso la redazione di Shalom avrei tanto piacere di poter
ringraziare l’America per il gesto encomiabile (cioè l’indennizzo)
che ci ha riconosciuto, a me e nei confronti dei miei coetanei.
All’epoca eravamo dei bambini soli e indifesi. Quanto abbiamo
sofferto? La nostra infanzia perduta e mai restituita. Non si può
restituire tutto ciò. L’America ha capito tutto ciò. Io, grazie a D-o,
ho potuto riabbracciare mia madre. Piango tutti gli altri che non
hanno avuto la mia stessa “fortuna”. Distinti saluti.
ROSA DI VEROLI
L’ingordigia delle falchette
Eccole là! Tutte belle ingioiellate con l’oro di Roma, l’oro degli
ebrei, ancora. Vi prego. Pubblicate questa mia lettera affinché
tanti di noi che rincorrono la piccola pensione della Claims non
vengano defraudati di 5, 6 o 7 mesi di pensione, da falchette vestite da ebree, ma che non lo sono, di fatto. Io mi sono rifiutata di
pagare un totale di € 1800 per una pratica, che secondo la Claims
Conference è “gratis” (eccetto le loro spese) ed ho pagato “solo”
800 euro che comunque sono molte, moltissime. Tengo a stento a
freno il mio istinto. Ma vi prego di aiutare, coloro per i quali in
questi tempi meschini fanno di tutto per avere le 310 € di pensione. Se nessuno metterà freno alla loro ingordigia, provvederò in
qualche maniera, provvederò. Grazie.
GIULIA SPIZZICHINO
Una storia che mi ha commosso
Caro Direttore,
quest’anno più che mai sono riandato con la memoria alle tragiche
giornate dell’ottobre ‘43, che, tra l’altro, hanno colpito miei carissimi famigliari. Leggendo stralci, finora, dell’importante libro di
Anna Foa “Portico d’Ottavia 13”, mi ha profondamente commosso
la vicenda di Marcella Perugia in Di Veroli, giovane sposa e madre
di tre figli, che partorì un bimbo il 17 ottobre, l’indomani dell’arresto, al Collegio militare. Non è chiaro se il neonato, automaticamente dichiarato “nemico del Reich”, sia stato eleminato all’arrivo ad Auschwitz, o se qualcuno lo abbia sotratto a Roma. Il Padre
Cesare Di Veroli, rimase a Velletri, dove la famiglia si era rifugiata,
con l’altra bimba, Rebecca, di due anni, avendo la moglie desiderato andare a partorire a Roma. Mi rivolgo alla vostra per mettermi
in contatto con lei, per esprimere il mio profondo affetto, con un
messaggio, da Erez Israel, di speranza e di consolazione, per tutti
noi, nel ricordo incancellabile dei nostri Martiri
REUVEN RAVENNA
REHOVOT - ISRAELE
Cerco notizie
Gentile Direttore,
sono un ingegnere in pensione, appassionato lettore di libri antichi e perciò ero un abituale frequentatore delle bancarelle di libri
usati a Fontanella Borghese. Su una di queste bancarelle, molti
anni fa ho trovato un libricino che mi ha molto commosso, ‘I doveri della vita ebraica’, edito nel 1939, cioè in pieno periodo di persecuzioni razziali, con la firma a penna del ragazzino proprietario
del libro, Gianfranco Polgar, con tutta una serie di scritte, schizzi
e scarabocchi che possono dare una idea dell’età e della personalità del bambino. Sulla base di questi elementi, e sovrapponendovi i miei ricordi dell’epoca (nel 1943 avevo 14 anni) e le immagini
orribili dei crimini nazisti, mi sono costruito un’immagine di quel
bambino, e dei possibili percorsi della sua vita, che torna vivissima nella mia mente, con forte impatto emotivo, a ogni ricorrenza
del rastrellamento del ghetto.
Sarei felice se potessi avere notizie di Gianfranco Polgar (e possibilmente anche della sua famiglia), notizie anche solo verbali,
soprattutto per sapere se è sopravvissuto. Ovviamente, non intendo cedere a nessuno e per nessun motivo questo libretto, perché
ormai fa parte della mia vita vissuta. Ringraziando per l’attenzione, porgo cordiali saluti.
CESARE BALZARRO
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L’unica azione davvero radicale che si riuscì a ricordare del suo
soggiorno al Ministero degli Esteri, fu il viaggio nella capitale del
radicalismo islamico. In precedenti epoche avrebbe definito clerico-fascista il regime che governa a Teheran.
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Prof. Emanuele Di Porto scrivendo alla Segreteria della Comunità - Lungo­tevere Cenci - Tempio
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Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel
segno di uno humor che non vuole offendere nessuno,
ma sorridere di tutto.
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