Capitolo 1 Il colore - Medicalinformation.it

Indice
Prefazione
7
Presentazione
8
Introduzione
10
Capitolo 1
Il colore
13
Capitolo 2
Componenti del colore dentale
21
Capitolo 3
Discromie dentali
31
Capitolo 4
Sbiancamento dei denti vitali
39
Capitolo 5
Casi clinici
69
Bibliografia
88
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Capitolo 1
Il colore
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Capitolo 1
• Il colore
Definizione e classificazione
I
l colore di un oggetto provoca all’osservatore una “percezione cromatica” se illuminato da una luce bianca ed osservato
in determinate condizioni standard. Qualsiasi luce che non
contenga tutte le radiazioni monocromatiche nella proporzione della luce solare è percepita come colorata. L’occhio umano,
illuminato da luce monocromatica di varia lunghezza d’onda
percepisce i diversi colori. A questo punto è lecito chiedersi
come sia possibile stabilire, in modo sperimentale, che
la luce solare effettivamente contenga tutte le lunghezze d’onda che provocano la sensazione cromatica. La
risposta è stata data tre secoli fa da Newton con le sue
fondamentali esperienze sul fenomeno della dispersione
della luce. Nel 1676, Newton ha dimostrato che la luce
solare bianca è scomponibile in colori spettrali mediante
un prisma trilatero. Questo spettro racchiude tutti i colori
di base eccetto il porpora. Newton ha eseguito l’esperimento nel seguente modo: la luce proviene da una fessura, colpisce il prisma trilatero e il raggio di luce bianca
si scompone nei colori spettrali. E’ possibile raggruppare questo ventagli di colori su uno schermo, ottenendo
di un millimetro. L’occhio umano può vedere soltanto onde di
luce comprese nel campo tra 380 e 760 nanometri, sotto i 380
nm e sopra i 760 nm avremmo invece rispettivamente raggi
ultravioletti e raggi infrarossi, non percepibili dall’occhio umano. Le onde di luce sono incolore. Il colore nasce soltanto nel
nostro occhio e nel nostro cervello.
In un secondo tempo il fisico Young realizzò l’esperimento opposto. Se Newton, come già visto, aveva scomposto la luce nei
colori spettrali mediante un prisma, Young la ricompose.
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Figg. 1 e 2 La luce del sole, grazie a fenomeni di riflessione e dispersione, tinge il cielo di blu durante il giorno e di giallo-arancio
all’alba e al tramonto
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in tal modo uno spettro di colori. Questo spettro si estende
continuamente ossia senza interruzione dal rosso, arancione,
giallo, verde, blu fino al viola. Se si riunisce questo spettro di
colori mediante una lente, su un secondo schermo si riottiene
una luce bianca mediante addizione dei colori.
Nella seconda metà dell’800, J. C. Maxwell scopre che il campo
visibile all’occhio umano comprende una serie di colori cui corrispondono precise lunghezze d’onda. La lunghezza di queste
onde è misurabile in nanometri, ovvero la milionesima parte
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La luce costituisce una banda molto piccola di un ampio spettro di radiazioni, lo spettro elettromagnetico, tutte con una
propria lunghezza d’onda che nel campo del visibile varia approssimativamente da 400 a 800 nm. L’insieme dei colori visibili cui vanno aggiunte le radiazioni nella zona dell’ultrarosso e
dell’ultravioletto non visibili all’occhio umano, prende il nome
di spettro luminoso (Figg. 1 e 2). La luce colora i corpi secondo
un meccanismo che ruota intorno al grado di assorbimento
dei raggi da parte della superficie dell’oggetto.
Il colore •
L’aspetto dei corpi opachi è dovuto alla loro capacità di riflettere alcuni componenti dello spettro luminoso e di assorbirne
altri. Ci appaiono bianchi i corpi che riflettono la luce bianca,
senza alterare le proporzioni di vari componenti dello spettro,
e neri (o grigi) quelli che assorbono la luce interamente (o in
parti circa uguali per ogni componente).
I corpi che ci appaiono di un determinato colore riflettono
esclusivamente i componenti di quel colore, assorbendo tutti
gli altri; per esempio, se un corpo assorbe i raggi rossi, apparirà
blu-verdastro, se assorbe quelli blu, apparirà arancione. La capacità di assorbimento dei raggi luminosi varia fortemente da
una sostanza all’altra e dipende sia dalla composizione atomica della sostanza sia dal suo stato fisico. Ad esempio, lo iodio
appare nero allo stato solido, mentre i suoi vapori appaiono
violetti.
La percezione soggettiva del colore
Nell’uso corrente, il termine colore indica la sensazione prodotta sulla retina dalle radiazioni visibili, che può non coincidere con la corrispondente composizione spettrale poiché
entrano in gioco anche elementi soggettivi.
Il colore di un corpo può essere percepito in maniera diversa
da soggetti diversi, e dallo stesso soggetto al variare delle condizioni di illuminazione e, più in generale, dell’ambiente.
Nella percezione dei colori entrano anche componenti cognitive, che tendono a mantenerla costante riconducendo sensazioni diverse a uno stesso standard di colore, e componenti
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Capitolo 1
culturali, in particolare simboliche, che portano ad attribuire
ai colori particolari significati analogici e a privilegiarne alcuni rispetto ad altri, a cominciare dal bianco e nero, analoghi
di luce e ombra e sostanze o gli oggetti del mondo reale non
sono però colorati di per se stessi. I corpi che ci circondano
hanno la facoltà di emettere, riflettere o di trasmettere onde
elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda e di diversa
intensità, tali da stimolare il nostro sistema sensoriale e provocare la visione dei colori.
La percezione del colore di un oggetto altro non è che il risultato di una risposta fisiologica ad uno stimolo fisico. La sensazione è un fatto soggettivo mentre il fascio di luce, che è lo
stimolo fisico che produce la sensazione, è interamente oggettivo. La risposta al colore percepito nasce da un fascio di luce
bianca, o da una porzione di tale fascio, che viene riflesso o
trasmesso. Adottiamo qui la definizione di colore formulata
dal Comitato sulla Colorimetria della Optical Society of America: “Il colore consiste nelle caratteristiche della luce diverse dalle inomogeneità spaziali e temporali; la luce essendo
quell’aspetto dell’energia raggiante di cui l’osservatore umano
ha conoscenza attraverso la sensazione visiva che nasce dalla
stimolazione della retina dell’occhio”.
La percezione del colore di un oggetto da parte dell’occhio
umano è regolata quindi da un meccanismo di assorbimento
e riflessione.
Le cellule della retina sensibili alla luce sono di due tipi, chiamati rispettivamente bastoncelli e coni (Figg. 3 e 4).
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Figg. 3 e 4 Anatomia dell’occhio umano (a destra): l’occhio umano è stato spesso paragonato ad una macchina fotografica, per la presenza di
una ”pellicola” sensibile, la retina, di una lente in grado di mettere a fuoco diversi piani. La retina presenta infatti una sola zona di visione ottimale,
chiamata fovea, nella quale sono raggruppati la maggioranza dei coni, i fotorecettori destinati alla visione diurna. La restante parte della retina
possiede coni e sopratutto bastoncelli, fotorecettori che non percepiscono i colori e che vengono saturati velocemente da una luce intensa. I bastoncelli infatti sono deputati alla visione notturna. La visione totale dell’occhio umano è di circa 140° in orizzontale e di 120° in verticale. La visione della
fovea abbraccia invece solo 8° orizzontalmente e 6° verticalmente
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