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 Il melodramma del ’600
Dalla polifonia alla monodia – All’inizio del secolo XVII°, la polifonia, dopo
un’egemonia durata diversi secoli, cedette il campo alla monodia, che rispondeva
alle necessità di un’espressione più individualizzata, più nobile e più profonda, che
l’uomo formato dalla civiltà del Rinascimento esigeva.
La monodia fece le prime prove importanti nel teatro con il Dramma per musica,
che successivamente si chiamò Melodramma e Opera Musicale.
Il passaggio dalla polifonia alla monodia era stato favorito da:
a) la nascente sensibilità armonico-verticale;
b) dalla consuetudine di sostituire le voci inferiori di una composizione con uno
strumento polivoco che le riassumesse tutte.
Origini del Melodramma – Il Melodramma è una rappresentazione
teatrale in cui convergono tutte le arti. Musica, poesia, danza e arti
figurative insieme concorrono a rappresentare, sulla scena, un fatto, un
evento, sia storico che immaginario, sia drammatico che sentimentale o
brillante. Il Melodramma ebbe origine dall’ intento di alcuni colti
gentiluomini di Firenze, i quali volevano far rivivere la musica greca. Essi
erano i musicisti Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, Emilio dé Cavalieri;
i poeti Ottavio Rinuccini, Jacopo Corsi ed altri. Questi nell’ultimo
ventennio del secolo XVI° si riunivano in casa del Conte Giovanni dé
Bardi per discutere intorno alla poesia e musica della loro epoca posta
in relazione a quanto si conosceva della musica greca.
Durante queste riunioni il loro spirito colto ed irrequieto indagava il modo
di ricreare la musica greca che, a loro parere, era stata più perfetta e più
espressiva di quella della loro epoca; essi muovevano aspre critiche alla
polifonia, affermando che l’intreccio delle parti, impedendo la
comprensione delle parole, si rivelava inefficace a riprodurre i sentimenti
evocati dal testo. Si propose di creare un particolare linguaggio
musicale, definito recitar cantando, in cui la musica aveva il compito di
accrescere il senso delle parole, secondo quanto si riteneva fosse
accaduto nell’antica Grecia.
Il vero animatore di questo salotto musicale letterario del tardo
Rinascimento fiorentino non fu tanto il conte dé Bardi, quanto Vincenzo
Galilei, il musicista e teorico che organicamente ha tracciato nel famoso
Dialogo della Musica antica e della moderna (1581), i principi
fondamentali del nuovo stile musicale che sarebbe uscito per la prima
volta da questo gruppo di dotti.
Dopo i greci ed i romani, che si occuparono di musica soprattutto per quanto
riguarda il teatro, si apre, secondo il Galilei, quel lungo ed oscuro periodo di
decadenza a causa delle invasioni barbariche. La nuova musica, la monodia
accompagnata, non era altro, nella mente dei musicisti e dei teorici del tempo,
che la ripresa della genuina tradizione greca che si riteneva fosse ad una sola
voce o all’unisono. Il ritorno ideale alla musica greca significava anzitutto
l’individuazione del Medioevo come lungo periodo storico di decadenza e
oscurità. Il fine principale della nuova musica era quello di “muovere gli affetti”.
I primi drammi per musica furono: Dafne ed Euridice di Jacopo Peri su testo
di Rinuccini; Euridice di Caccini su testo di Rinuccini; Rappresentazione di
Anima e di Corpo di E. dé Cavalieri su testo di padre Agostino Manni.
Il fervore di esperimenti della nuova forma drammatico-musicale sorto a
Firenze, si spense a poco a poco e la città che l’aveva tenuto a battesimo
perse, ben presto, lo scettro dell’opera lirica. Roma e Venezia erano chiamate
a succederle.
La scuola Operistica Romana
La prima città nella quale il Melodramma, nato a Firenze, trovò ospitalità e favore
fu Roma. Qui, durante la prima metà del XVII° secolo si formò una scuola
Romana. Essa prese le mosse del recitar cantando che vi era stato importato da
Firenze da G. dé Bardi e da E. dé Cavalieri, interessò i maggiori musicisti di Roma
e segnò la strada agli operisti delle generazioni successive. L’atto di nascita della
scuola Romana è costituito da La Rappresentazione di Anima e di Corpo, un
“dramma per musica” di argomento spirituale messo in scena nel 1600. La fortuna
dell’opera a Roma fu dovuta alla simpatia dimostrata verso il nuovo genere dai
cardinali Barberini. Essi fecero costruire nel loro palazzo il primo teatro d’opera
che fu inaugurato nel 1632 con l’opera S. Alessio di Stefano Landi. Questa opera
fu importante in quanto contiene tutti gli elementi che caratterizzarono l’opera
romana in seguito. Si approfondisce la distinzione tra il recitativo e l’ aria. Il
recitativo perde l’originario ruolo di preminenza e l’aria acquista sempre maggiore
importanza. Anche il coro diventa più importante ed appaiono per la prima volta
alcuni personaggi comici, appartenenti per lo più alle classi umili. Questo prelude
in un certo senso all’ Opera Buffa che si sviluppa a Napoli.
La scuola Operistica Veneziana e Claudio Monteverdi
L’ opera Veneziana nacque nel 1637, quando si inaugurò il primo teatro
pubblico a pagamento: il S. Cassiano di Venezia, l’opera usciva dalle corti e si
democratizzava. Questo fatto influì notevolmente sui suoi caratteri: la favole
pastorali furono definitivamente abbandonate per soggetti mitologici e storici di
più intensa drammaticità; scomparso l’appoggio mecenatesco dei principi, il
gusto del pubblico che pagava fece valere i suoi diritti: il virtuosismo canoro si
affermò rapidamente e contribuì ad allontanare l’opera dallo scrupoloso
recitativo fiorentino. Per economia si giunse a sopprimere i cori, ma non si badò
a spese, invece, per realizzare uno sfarzo inaudito di macchine sceniche.
I caratteri distintivi dell’Opera Veneziana furono:
a) un’imponente, ricco e vario apparato scenico (è in questo periodo che nasce
la scenotecnica);
b) l’amore per un virtuosismo canoro, che accrebbe l’importanza dei cantanti;
c) l’introduzione di soggetti storici.
Nell’Opera Veneziana acquistò un peso maggiore l’ aria. I cori che nell’opera
Romana avevano avuto un ruolo importante, appaiono con frequenza sempre
minore. Il musicista sommo che raccolse e concluse le esperienze
operistiche dell’epoca, collocandole su un piano di altissima arte, fu Claudio
Monteverdi da Cremona. Fu una delle personalità più ardite e ricche di
tensione espressiva di tutti i tempi. Vissuto nel periodo che assistette al
tramonto della polifonia sacra e profana e all’affermarsi della monodia,
contribuì in modo decisivo con la sua opera ai nuovi orientamenti della
musica del XVII° secolo. Egli corona la sua epoca artistica in una sintesi
equilibrata di vecchio e di nuovo. Pur accogliendo lo stile recitativo dei
fiorentini, egli riscattò la musica dalla mortificante sottomissione alle parole,
cui quelli l’avevano costretta. Attraverso gli otto libri di madrigali di Monteverdi
si può seguire il graduale passaggio dalla polifonia alla monodia.
Tra le opere teatrali ricordiamo: l’ Orfeo, l’ Arianna e l’ Incoronazione di Poppea.
L’Orfeo racchiude la miglior musica di Monteverdi; della seconda opera, l’ Arianna, non
è rimasto che un brano, ma sublime, il celebre Lamento. Il processo di
drammatizzazione
monodica
del
madrigale
culmina
nello
straordinario
Combattimento di Tancredi e di Clorinda. Instancabile ricercatore d’innovazione
tecnica, Monteverdi usò, qui, per la prima volta il tremolo3 degli archi a rendere la
vibrazione drammatica. Obbedendo al gusto degli spettatori, Monteverdi ha affiancato
agli episodi drammatici alcune scene comiche o leggere; ha ridotto l’orchestra e
soppresso i cori, appagando invece, il gusto per il “meraviglioso” con costose
macchine teatrali e continui cambiamenti di scene.
I soggetti storici, introdotti accanto a quelli mitologici, danno maggiore verosimiglianza
al dramma. Il recitativo fiorentino è ormai lontano; le arie sono molto meglio definite. La
produzione di Monteverdi fu quasi esclusivamente vocale. L’inclinazione a
comprendere e svelare il significato interiore delle parole è presente in tutta la
produzione di Monteverdi, dalle prime raccolte di madrigali alle ultime opere.
3Dopo
aver accertato che tre sono le principali passioni dell’animo (Ira, Temperanza e Umiltà), che tre sono i generi musicali per esprimerle (concitato, temperato e molle), e che non
«havendo in tutte le compositioni de’ passati compositori potuto ritrovare esempio del concitato genere, ma bensì del molle et temperato (...) et sapendo che gli contrarij sono quelli che
movono grandemente l’animo nostro (...), perciò mi posi con non poco mio studio et fatica per ritrovarlo».
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