Colpa della pubblica amministrazione

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SERAFINO RUSCICA
Colpa
della pubblica
amministrazione
Estratto da:
DIGESTO
delle Discipline Pubblicistiche
Aggiornamento
***
con la collaborazione di
Adolfo Angeletti - Raffaele Bifulco - Alfonso Celotto
Marco Olivetti - Elisabetta Palici di Suni
INDICE
Tomo I
Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali di M. Vellano . . . . . . . p.
1
Agibilità (certificato di) di A. Massone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
7
Aree naturali protette di A. Crosetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
10
Arricchimento ingiustificato (dir. amm.) di R. Tomei . . . . . . . . . . . . . . . »
24
Assistenza e beneficenza di I. A. Sorace
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
31
Atti normativi (tecniche di redazione) di S. Amore . . . . . . . . . . . . . . . »
44
Autorità amministrative indipendenti di M. Poto . . . . . . . . . . . . . . . . »
54
Autorità amministrative indipendenti nel diritto europeo di U. Cerasoli . . . . . . »
62
Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di E. Giardino »
95
Avvalimento di S. Cresta
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 108
Azioni positive di M. Caielli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 115
Beni forestali di A. Crosetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 135
Bibliografia di A. Patron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 150
Biblioteca di A. Patron
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 156
Biblioteconomia di A. Patron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171
Bureau international des expositions (BIE) di M. Vellano . . . . . . . . . . . . » 172
Centrali di committenza (dir. amm.) di R. Tomei e V. D. Sciancalepore
Codice di comportamento (dir. amm.) di L. Capogna e R. Tomei
Colpa della pubblica amministrazione di S. Ruscica
. . . . . . » 177
. . . . . . . . . » 186
. . . . . . . . . . . . . . » 199
Consiglio delle autonomie locali (dir. cost.) di D. Coduti
. . . . . . . . . . . . » 210
Contraente generale di F. Pascucci e R. Tomei . . . . . . . . . . . . . . . . . » 222
Contratti pubblici di R. Caranta
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 237
Costituzione economica di G. Bianco
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 259
INDICE
3
Danno all’immagine della pubblica amministrazione di F. Lillo . . . . . . . . . . p. 273
Devoluzioni di P. Vipiana
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 292
Dichiarazione di inizio attività di F. Pavoni
. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 309
Doveri costituzionali di F. Pizzolato e C. Buzzacchi . . . . . . . . . . . . . . » 319
Efficienza energetica di L. Gili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 340
Emendamento di G. Pistorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 353
Farmacia di S. Ciccotti
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 372
Fiducia parlamentare di G. Rivosecchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 377
Funzioni amministrative regionali (dir. cost.) di G. Tarli Barbieri . . . . . . . . . » 401
Giustizia costituzionale di E. Palici di Suni . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 427
Inchiesta parlamentare di C. di Ruzza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 446
Tomo II
Legislazione bibliotecaria di A. Patron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 471
Materie (riparto di competenze) di G. Di Cosimo
Multiculturalismo (dir. comp.) di E. Ceccherini
. . . . . . . . . . . . . . . » 475
. . . . . . . . . . . . . . . . » 486
Naturalizzazione di C. Bersani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 501
Nullità dell’atto amministrativo di T. Citraro
. . . . . . . . . . . . . . . . . » 512
Occupazione nel diritto amministrativo di S. Mirate
. . . . . . . . . . . . . . » 520
Ombudsman (dir. comp.) di M. Comba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 535
Paesaggio di A. Crosetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 542
Pari opportunità di G. Montella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 585
Parità di genere di E. Palici di Suni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 593
Partiti politici europei di G. Grasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 609
Patrimonio dello Stato s.p.a. di A. Giuffrida
. . . . . . . . . . . . . . . . . » 638
Potere sostitutivo (dir. cost.) di Q. Camerlengo
. . . . . . . . . . . . . . . . » 652
Potestà legislativa in materia ambientale (riparto tra Stato e Regioni) di C. De Benetti » 663
Principio di precauzione di A. Zei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 670
Pubblico impiego di G. Gallenca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 695
Regione (dir. cost.) di A. Ruggeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 708
Regolamenti comunali di E. Giardino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 741
Responsabilità amministrativa e contabile di S. Rodriquez . . . . . . . . . . . . » 756
Responsabilità della pubblica amministrazione (principi di) di R. Chieppa . . . . . . » 768
Risarcimento del danno ambientale di G. Festa
. . . . . . . . . . . . . . . . » 780
Secessione di D. E. Tosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 789
4
INDICE
Semplificazione normativa (dir. pubbl.) di A. Celotto e C. Meoli . . . . . . . . . p. 806
Sponsorizzazione (contratto di) di R. Tomei e V. D. Sciancalepore
. . . . . . . . » 827
Stato (dir. internaz.) di G. Arangio-Ruiz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 841
Suolo (difesa del) di A. Crosetti
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 875
Trasparenza (principio di) di P. Tanda
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 884
Valutazione ambientale strategica di L. Gallo . . . . . . . . . . . . . . . . . » 946
Colpa della pubblica amministrazione
Bibliografia: Alla colpa della p.a. dopo la sentenza Cass. civ., S.U.,
22-7-1999, n. 500 si riferisce una letteratura molto corposa di prevalente matrice pubblicistica con qualche interessamento della dottrina civilistica. Si rinvia tra i contributi più significativi a Caranta,
La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, FI, 1999, I,
3208; Caringella-Protto, Il nuovo processo amministrativo dopo
la legge 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001; Carrà, L’esercizio illecito della funzione pubblica ex art. 2043 c.c., Milano, 2006; CasettaFracchia, Responsabilità da contatto, profili problematici, FI, 2002,
III, 1; Chieppa, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa,
DPrA, 2003, 683; Racca, La responsabilità della pubblica amministrazione e il risarcimento del danno, in Garofoli-Racca-De Palma,
Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del
danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003; Micari, La
colpa della pubblica amministrazione - autorità tra normativa comunitaria e ingiustificati privilegi intertemporali. Proposte ricostruttive,
GC, 2006, 9, 1788; Scoca, Per un’amministrazione responsabile, GiC,
1999, 4061.
Legislazione: artt. 1218, 2043 c.c.; art. 43 c.p.; art. 24 l. 28-12-2005,
n. 262 (disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei
mercati finanziari).
Sommario: 1. La colpa della p.a. come «colpa dell’apparato»: dalla
colpa in re ipsa alla «gravità della colpa». – 2. La responsabilità da
contratto amministrativo quale nuovo approdo. – 3. La rilevanza
dell’errore scusabile. – 4. Il modello di responsabilità aquiliana: un
ritorno al passato?
1. La colpa della p.a. come «colpa dell’apparato»:
dalla colpa in re ipsa alla «gravità della colpa».
Il soggetto pubblico è tenuto ad osservare i principi
di legalità, imparzialità e buon andamento previsti
dall’art. 97 Cost., in ossequio agli stessi, deve rispettare il precetto di cui all’art. 2043 c.c.: nelle ipotesi di
negligenza, imprudenza, imperizia, o di violazione di
leggi e regolamenti la pubblica amministrazione non
è meno colpevole del cittadino.
Il tradizionale orientamento giurisprudenziale in tema di responsabilità civile dell’ente pubblico distingueva tra attività materiale ed attività provvedimentale e, con riferimento a quest’ultima, ha sostenuto a
lungo che la colpa non dovesse essere accertata
aliunde, in quanto insita nella mera adozione di un
provvedimento illegittimo da parte di un soggetto
«dotato di capacità istituzionale e di competenza
funzionale» relativa al settore di riferimento.
In tal senso si erano espresse le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione (1), secondo le quali si ravvisava
la prova della colpa di per sé nella violazione della
norma operata con l’emissione o l’esecuzione dell’atto illegittimo affermando il ben noto principio
della culpa in re ipsa.
Più specificatamente la Cassazione aveva ritenuto
che «se è vero che anche per quanto attiene alla
responsabilità della p.a. per danni ingiusti arrecati a
terzi con attività materiale o con attività provvedimentale della stessa deve sussistere l’elemento soggettivo della imputabilità, per colpa o dolo, dell’attività medesima, è altrettanto vero che, per quanto
concerne gli atti illegittimi, la colpa è, di per sé, ravvisabile nella violazione delle norme, operata con
l’emissione dell’atto e con la sua esecuzione (...)».
L’opinione secondo cui gli estremi del dolo e della
colpa sono propri della responsabilità degli individui
e non delle organizzazioni (2) portava a prescindere
dalla natura del vizio inficiante l’atto, atteso che la
colpa si risolveva esclusivamente nella difformità del
provvedimento rispetto ai criteri che reggevano il
modularsi della discrezionalità amministrativa.
Per lungo tempo una concezione psicologico-volontaristica della colpa pensata e plasmata sull’operato
dei singoli soggetti fisici ha costituito un supporto
straordinario per limitare, se non escludere, la responsabilità di soggetti organizzati sia pubblici che
privati.
L’impossibilità di rinvenire e provare una colpa dell’organizzazione intesa come stato psicologico dell’operare ha fornito un argomento a sostegno del
principio dell’incapacità dello Stato di commettere
illeciti (3).
Il superamento del tradizionale principio di irresponsabilità civile dello Stato basato sul dogma The King
can not do wrong, porta al cedimento della nozione
psicologico-volontaristica della responsabilità dei
soggetti organizzati e di quelli pubblici in particolare
ed al conseguente tentativo di elaborare una nozione
di colpa dell’organizzazione con caratteri diversi rispetto alle colpe imputabili ai singoli.
I legami tra colpa dell’apparato e colpa del singolo
6
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
agente sono stati diversificati in tre diversi modelli:
la colpa del singolo agente individuato può esaurire
quella dell’organizzazione rappresentandone l’unico
canale di emersione, in alternativa, la colpa può essere integrata dalle colpe di più soggetti fisici che
concorrono a formarla o, infine, può accadere che la
disfunzione dannosa non sia neanche astrattamente
riferibile all’operato di singoli soggetti fisici e l’esito
dell’esercizio illecito della funzione si radicherebbe
unicamente nell’anonimato dell’apparato organizzativo (4).
Già da tempo l’ordinamento tedesco ha assistito alla
creazione di una figura autonoma di responsabilità
dell’apparato svincolata dalla colpa del soggetto fisico agente e ancorata alla violazione di regole di
condotta imposte all’organizzazione (5).
Più volte la dottrina civilistica (6), aderendo ad una
nozione di colpa oggettiva o sociale, ha finito con
l’ispirarsi ai principi di matrice penalistica: si è trattato, dunque, di qualcosa di non molto lontano dalla
cosiddetta concezione normativa della colpevolezza
teorizzata dagli studiosi del diritto penale (7).
Era, quindi, ben presente la preoccupazione per cui
la colpa e il dolo in senso soggettivo diventavano
inafferrabili quando si trattava non di persone fisiche, ma di una pubblica amministrazione in cui la
responsabilità operativa è ripartita tra vari livelli tra
loro separati (8).
Ad irrigidire ulteriormente tale modello giuridico di
colpa si sono inserite pronunce che hanno sancito
l’impossibilità per l’ente pubblico di liberarsi da ogni
tipo di responsabilità giovandosi dell’errore scusabile del proprio agente: l’irrilevanza per l’amministrazione di tale strumento si giustificava sulla base del
meccanismo in virtù del quale essa, rispondendo in
via diretta (9) della propria attività provvedimentale,
non poteva servirsi dell’errore scusabile riconducibile esclusivamente ai propri funzionari (10).
La parificazione sotto il profilo dell’imputabilità della condotta tra pubblica amministrazione e privato
cittadino, è stata, tra l’altro, conseguenza della mancanza di un «aggancio» normativo che legittimasse
una differenziazione tra privato e soggetto pubblico
da cui è derivata la necessità imprescindibile, anche
per quest’ultimo, del riferimento all’elemento soggettivo della responsabilità pur se riconducibile all’adozione di provvedimenti illegittimi (11).
L’avvertita necessarietà ed opportunità di un’accurata indagine sull’elemento della colpa dell’amministrazione sembrava coincidere con la crisi del rapporto di tendenziale equivalenza tra illegittimità ed
illiceità dell’attività amministrativa e, in particolare,
con la rinnovata consapevolezza che il concetto di
culpa in re ipsa appariva sempre più «incompatibile
con i principi generali della responsabilità civile e
del carattere eccezionale di quella oggettiva».
Diventa allora frequente il richiamo all’art. 43 c.p.
(12) — unico referente normativo in mancanza di
un’analoga previsione nel codice civile — per una
definizione di colpa: secondo tale previsione il fatto
è colposo se prevedibile ed evitabile e causato da
negligenza, imprudenza o imperizia (la c.d. colpa generica) o dalla inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (la c.d. colpa specifica) ritenendosi
quest’ultima insita nel mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa (13).
L’affermazione che l’attività provvedimentale illegittima di per sé integrasse la colpa dell’apparato pubblico, quale consapevole violazione di norme o di regole di condotta non scritte ex art. 43 c.p., poneva
dubbi di compatibilità con il principio della personalità della responsabilità civile (fermo restando il carattere eccezionale della responsabilità oggettiva) e
realizzava una disparità di trattamento tra l’amministrazione pubblica e gli altri soggetti dell’ordinamento la cui colpa di regola deve essere provata e
non è presunta.
Si consideri inoltre che con la legge 7-8-1990, n. 241,
i principi di efficienza e di economicità dell’azione
amministrativa, e insieme di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, sono diventati
criteri giuridici positivi.
La nuova concezione dell’attività amministrativa
non poteva, quindi, non avere riflessi sull’impostazione del problema della responsabilità della pubblica amministrazione.
Il modello della responsabilità aquiliana continuava
ad apparire di gran lunga il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del diritto soggettivo si verifica in presenza di un’attività materiale
(comportamento senza potere dell’amministrazione)
che abbia leso l’interesse al bene della vita di un
qualsiasi soggetto al di fuori di un rapporto, ma poteva esser messo in discussione per l’attività provvedimentale alla luce dei principi di democraticità e
partecipazione codificati dalla legge n. 241/1990.
I numerosi tentativi volti a svalutare l’elemento soggettivo nell’illecito aquiliano dell’amministrazione,
sono stati smentiti da considerazioni di carattere generale attinenti all’ordinamento positivo alla stregua
delle quali, se si vuole inquadrare la responsabilità
dell’amministrazione nell’ambito dello schema dell’illecito di cui all’art. 2043 c.c., non si può prescindere dall’indagine sull’imputabilità della condotta
cosı̀ come avviene per i privati.
Le ragioni di semplificazione probatoria sottese all’orientamento tradizionale, volte a non imporre al
privato un onere di allegazione eccessivamente pesante e ad adeguare l’accertamento dell’elemento
psicologico ad un’organizzazione complessa, sono
apparse non più decisive alla successiva giurisprudenza.
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Tuttavia, ancor prima della nota pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 500/1999
(14), parte della giurisprudenza aveva sostenuto la
necessità di un giudizio sull’elemento psicologico
dell’illecito aquiliano, avvalendosi di argomentazioni
non sempre del tutto persuasive e destinate a soccombere dinanzi alla presunta convinzione di equivalenza tra illegittimità dell’atto e colpa.
Tuttavia, al di là di tali prematuri tentativi ricostruttivi non vi è dubbio che il primo vero mutamento di
prospettiva preordinato a restituire effettività all’elemento soggettivo è ravvisabile nella sentenza
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 1999,
essa è «solo un punto di partenza, non prestandosi a
dare una soluzione a tutte le ipotesi di responsabilità
o presunta tale della p.a.» (15).
La sentenza n. 500/1999 segna il passaggio dalla culpa in re ipsa alla colpa dell’apparato (16): «il giudice
ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento della illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa
ad esso applicabile, bensı̀ estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma
della p.a. intesa come apparato ... che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e buona amministrazione
alle quali l’esercizio dell’azione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare,
in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità».
«La foresta pietrificata dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi si è trasformata nel mobile bosco di
Birnam: tutto è in movimento, dalla ridefinizione delle situazioni soggettive ai criteri di riparto della giurisdizione, dalle frontiere del danno ingiusto alle tecniche di sindacato e di tutela giurisdizionale» (17).
Un tale mutamento di opinione, più che dovuto (come sostiene la Suprema Corte) all’incompatibilità
del precedente indirizzo della culpa in re ipsa con la
nuova lettura dell’art. 2043 c.c., quale norma primaria che ammette la tutela risarcitoria anche delle situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi, appare giustificato dall’esigenza di porre un argine all’accresciuta responsabilità dell’amministrazione (la «rete di contenimento» secondo la felice
definizione di Busnelli) (18).
Quel che si è voluto evitare era, dunque, il rischio
dell’affermarsi di una vera e propria responsabilità
oggettiva, ove l’illegittimità riscontrata fosse prova
di per sé, senza ulteriori indagini, della colpa della
p.a.; rischio incombente dato il tradizionale orientamento giurisprudenziale in materia di risarcimento
per lesione di diritti soggettivi.
7
Tuttavia, l’attribuzione di uno stato psicologico ad
un ente inteso nel suo complesso organizzativo è
apparsa impropria in quanto disancorata da una
manifestazione di volontà, quanto meno formalmente ascrivibile ad una persona fisica legittimata
ad esternarla e, d’altra parte, subordinare il risarcimento all’esistenza di un nesso psicologico, molto arduo da rilevare in un soggetto diverso da una
persona fisica, avrebbe rischiato di togliere con la
sinistra quella risarcibilità formalmente concessa
con la destra: l’ambiguità del concetto dell’apparato di colpa elaborato dalla Cassazione inaugurava
un travaglio giurisprudenziale che dava contezza a
quella che rischiava di diventare «una colpa senza
colpevoli» (19).
Le reazioni alle incertezze si sono concretizzate, infatti, da un lato, nel tentativo di tornare ad una nozione oggettiva di colpa, e, dall’altro, nel tentativo di
agevolare la posizione del privato tramite letture interpretative che comportassero un’inversione dell’onere della prova.
Per primo il Consiglio di Stato rilevava come i criteri
enunciati dalla Suprema Corte nel 1999, oltre a peccare di inevitabile astrazione, non tenevano conto
del fatto che la violazione dei limiti esterni della discrezionalità comportava l’illegittimità dell’atto per
eccesso di potere. Contravvenendo alle stesse premesse, i medesimi criteri avrebbero comportato una
verifica di tipo oggettivo (20) che avesse tenuto conto dei vizi inficianti il provvedimento e, in linea con
le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della
gravità della violazione commessa dall’amministrazione anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni
discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della
giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento (21).
Quanto alla seconda tendenza essa ha cercato di ovviare alla difficoltà della prova, posta dalle Sezioni
Unite a carico del privato leso, svolgendo l’indagine
sull’elemento soggettivo in funzione negativa, vale a
dire al fine di verificare se sussistano fatti o circostanze idonee ad escludere che l’illegittimità possa
essere imputata all’amministrazione a titolo di colpa:
è stata realizzata, sostanzialmente, un’inversione dell’onere della prova, rimettendo all’Autorità l’onere
di provare l’errore scusabile.
Nel tentativo di dare un seguito al cammino iniziato
con la sentenza n. 500/1999, di fronte all’astrattezza
del criterio che finiva comunque nel limitarsi ad una
verifica di tipo oggettivo (la violazione dei limiti
esterni della discrezionalità comporta l’illegittimità
dell’atto per eccesso di potere), la giurisprudenza
amministrativa ha, quindi, da un lato proposto una
nozione oggettiva di colpa che tenesse conto della
gravità della violazione commessa dall’amministra-
8
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
zione secondo un modello molto simile a quello
adottato in sede comunitaria, e dall’altro ha tratto
spunto dalla tesi della «responsabilità da contatto»
per ripartire l’onere della prova dell’elemento soggettivo secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’art. 1218 c.c., attraverso
una presunzione relativa di colpa derivante dall’illegittimità dell’atto che comportasse la sussistenza in
capo al ricorrente di un mero onere di allegazione
dell’inadempimento e, in capo all’amministrazione,
quello della prova liberatoria della sussistenza di un
errore scusabile.
A stretto rigore però è apparsa problematica la configurabilità di una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione in presenza di un
atto illegittimo o comunque di una violazione delle
regole, in quanto in mancanza di una espressa previsione normativa, una presunzione relativa generalizzata non potrebbe operare (22). Possono, invece,
operare le regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c.: quest’ultima
non può, tuttavia, ritenersi efficace in via generale
ma andrebbe desunta dalla singola fattispecie (23).
Si è, quindi, ritenuto che la colpa del soggetto pubblico dovesse essere individuata in presenza di una
«violazione grave», maturata in un contesto nel quale sono imputati all’amministrazione addebiti sotto il
profilo della diligenza e della perizia.
Un qualcosa non molto lontano dalla cosiddetta
concezione oggettiva della colpa per cui un comportamento può dirsi colposo soltanto se si pone in
contrasto con regole obiettive di adeguatezza sociale formate nel tempo, seguendo il criterio della prevedibilità e avendo riguardo «al comportamento
dell’uomo di media e normale diligenza, cioè del
buon padre di famiglia» (24). A rigore, però, neanche questo criterio ritagliato sul modello delle persone fisiche, potrebbe essere utilmente impiegato
per spiegare i meccanismi di imputazione in una
organizzazione complessa come la pubblica amministrazione. Si è reso pertanto opportuno, ferma restando la caratterizzazione oggettiva della colpa,
modularne il contenuto in maniera differenziata a
seconda della natura umana o meno della responsabilità (25).
La giurisprudenza, partendo dalla linea tracciata dalla sentenza della Corte di Cassazione nel 1999, si è,
quindi, avviata verso un nuovo orientamento che
identifica la colpa in una «mera specificazione aggravata» dei vizi del provvedimento, ritenendola sussistente esclusivamente in caso di colpa grave: la «violazione grave», è indice identificativo della colpa del
soggetto pubblico secondo i principi elaborati dalla
Corte di Giustizia (26).
Il criterio della gravità della violazione, quale presupposto indefettibile per poter formulare un giudi-
zio di colpevolezza della pubblica amministrazione,
può riconoscersi frequentemente nelle sentenze del
giudice amministrativo, il quale ha rilevato che sussiste «violazione grave» (e quindi colpa), nelle ipotesi in cui possano effettuarsi ampie valutazioni discrezionali da parte dell’organo competente per
l’emanazione dell’atto amministrativo o per la sua
esecuzione, vi siano precedenti giurisprudenziali e
sussista, infine, un effettivo apporto partecipativo del
privato nel procedimento (evidentemente trascurato
dall’organo amministrativo).
Si è, inoltre, proposto di distinguere il grado della
colpa a seconda della tipologia del vizio lamentato:
nel caso in cui sussista la violazione di legge si assisterebbe sul piano dell’elemento soggettivo ad una
colpa oggettivizzata che, pur non potendo essere ricondotta al vecchio principio della culpa in re ipsa, fa
si che il giudizio di responsabilità si incardini necessariamente su tale obiettivo riscontro (27). Viceversa
in presenza di un vizio di eccesso di potere del provvedimento, l’elemento colposo andrebbe provato (28).
Si è a tale proposito rilevata la distinzione tra il «profilo oggettivo della colpa» riconducibile alle violazioni
normative ed il «profilo soggettivo» rappresentato
dalla condotta complessiva dell’amministrazione (29).
Anche per l’indicata influenza della giurisprudenza
europea, l’accertamento dell’elemento soggettivo da
indagine psicologica diviene piuttosto valutazione
del comportamento complessivo dell’amministrazione alla luce della situazione normativa e di fatto entro cui ha operato. La giurisprudenza europea, sindacando la conformità delle normative processuali
nazionali con la direttiva 89/665/CEE sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, ha precisato che richiedere la prova
dell’elemento psicologico «degli organi o degli agenti amministrativi» per accordare il risarcimento del
danno in caso di violazione della disciplina di origine
europea in materia di appalti può pregiudicare, rendere eccessivamente onerosa o addirittura impossibile la tutela delle posizioni soggettive degli aspiranti contraenti direttamente riconosciute dall’ordinamento europeo (30).
Sono state, quindi, dichiarate incompatibili con il diritto europeo le norme che richiedono al soggetto
che ha subı̀to la violazione la «prova della colpa o
del dolo dei titolari degli organi o degli agenti amministrativi» dell’amministrazione.
Tuttavia, ammettendo l’equivalenza tra «violazione
grave» e colpa si finirebbe con il circoscrivere eccessivamente le ipotesi di responsabilità dell’ente pubblico, in quanto si assisterebbe all’automatica esclusione di obbligazioni risarcitorie in presenza di vizi
formali apparentemente meno gravi.
Il requisito della gravità della violazione si colloca,
allora, in un rapporto di proporzione inversa rispet-
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
to all’ampiezza del potere discrezionale: quando un
provvedimento amministrativo si connota per un
elevato tasso di discrezionalità, l’indagine del giudice sulla gravità dell’errore, quindi sulla colpa, si rivelerà notevolmente più ostica; mentre in presenza
di atti scarsamente discrezionali, quanto meno nel
«quando» e nel «quid», la gravità della violazione
assumerebbe una valenza indubbiamente decisiva
ed assorbente.
L’inserimento tra gli indici rivelatori della colpa dell’amministrazione dell’univocità della normativa di riferimento ha, inoltre, consentito di prevedere spazi
notevoli di non colpevolezza e circostanze aventi portata esimente: la giurisprudenza ha fatto riferimento
alla presenza di un quadro normativo oggettivamente
confuso e privo di chiarezza, suscettibile di differenti
interpretazioni, operando in ogni altro caso, la regola
della inescusabilità dell’error iuris. L’elemento della
violazione grave e manifesta costituisce anch’esso una
questione di diritto, ma deve essere riferito al contenuto precettivo della norma non osservata e non al
carattere grave e manifesto del vizio dell’atto.
Il giudizio di responsabilità colposa deve, allora, diversificarsi in relazione ai caratteri intrinseci della
disposizione normativa. Altrimenti si rischierebbe
che «possono essere fonte di risarcimento solo gli
atti macroscopicamente illegittimi, i casi più clamorosi di maladmnistration: la circostanza che il vizio
sia particolarmente grave non deve rilevare sotto il
profilo dell’elemento soggettivo, perché un comportamento ben può essere colposo anche se l’illegittimità non è macroscopica e non si rinviene alcuna norma nel nostro ordinamento che limiti in linea
generale la responsabilità dell’amministrazione alle
sole ipotesi di colpa grave» (31).
Nel dibattito sulla limitazione alla sola colpa grave
nell’attività provvedimentale della pubblica amministrazione si inserisce la previsione dell’art. 4, 2o co.,
lett. d), d.lg. 29-12-2006, n. 303 (32) che aggiunge
all’art. 24 legge n. 262/2005, il comma 6 bis, a norma
del quale nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo, la Banca d’Italia, la Consob, L’Isvap, la Covip,
i componenti dei loro organi nonché i loro dipendenti rispondono dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave.
L’introduzione di siffatta limitazione della responsabilità dell’apparato amministrativo ha sollevato in
dottrina condivisibili dubbi attinenti sia la legittimità
formale (33) che sostanziale (34) del provvedimento
normativo.
Tuttavia, non può non rilevarsi come la scelta legislativa finisce quasi per consacrare gli ultimi approdi giurisprudenziali che sembrano far discendere
da una violazione grave e manifesta perpetrata dall’amministrazione nell’esercizio scorretto dell’attivi-
9
tà provvedimentale, una colpa che non è certamente
riconducibile alla culpa levis (35).
La tesi in parola, peraltro, non sarebbe conforme al
principio di eguaglianza ed a quello di piena tutela
delle situazioni giuridiche (artt. 3 e 24 Cost.), nella
parte in cui renderebbe eccezionali i casi di risarcimento e — pertanto — porrebbe la p.a. su un piano
di supremazia e di ingiustificato privilegio: in una
simile prospettiva, infatti, si opererebbe una limitazione della responsabilità della pubblica amministrazione ai soli casi di colpa grave.
(1) Cass. civ. S.U., 22-10-1984, n. 5361, GC, 1981, I, 1893; Cass.
civ. S.U., 9-6-1995, n. 6542, RCP, 1995, 711 ss.
(2) Sembra introdurre una concezione normativa della colpevolezza C. St., sez. V, 2-9-2005, n. 4461, GC, 2006, 3, 705, secondo cui «l’attività della pubblica amministrazione non può essere ricondotta all’atteggiamento psicologico dell’agente, ma è il
frutto di procedimenti impersonali che la rendono oggettiva, di
modo che l’imputazione a colpa della condotta dell’amministrazione va considerata in termini di raffronto tra il comportamento effettivamente tenuto e quello richiesto dall’ordinamento
per evitare la lesione dell’interesse dei singoli cittadini».
(3) Carrà, L’esercizio illecito della funzione pubblica ex art.
2043 c.c., Milano, 2006, 47 ss.
(4) Carrà, op. cit., 97.
(5) Si fa riferimento all’istituto disciplinato dal § 839 BGB e
dall’art. 34 GG (Amtshaftung).
(6) Alpa, Il problema dell’atipicità dell’illecito, Napoli, 1979, 175 ss.
(7) Cfr. Mantovani, Diritto penale, Padova, 2001, 297 ss. Il fatto
colposo diventa un fatto involontario che non si doveva produrre: si rimprovera il non averlo impedito, agendo in modo
difforme da come previsto dall’ordinamento. La colpevolezza
avrebbe carattere normativo nel senso che l’atteggiamento del
responsabile è valutato con riferimento ad esigenze scaturenti
da una norma.
(8) Cfr. Abbamonte, Tutela degli interessi legittimi e risarcimento del danno, in Atti del Convegno nazionale sull’ammissibilità
del risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di
interessi legittimi, Napoli 27/29-10-1963.
(9) La tesi predominante propendeva per una responsabilità
diretta e soggettiva fondata sul c.d. «rapporto organico», in
virtù del quale l’amministrazione risponde del fatto illecito dei
suoi dipendenti sulla base della relazione di immedesimazione organica che ad essa li lega. Sul punto cfr. M. A. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, II, Napoli, 1989, 1168;
Alessi, «Responsabilità della P.A.», in NN.D.I., XV, Torino,
1957, 660; secondo altra parte della dottrina, invece, il modello
ricostruttivo sarebbe riconducibile alla responsabilità indiretta per fatto altrui: l’amministrazione sarebbe chiamata a rispondere in via sussidiaria per fornire una maggiore garanzia di solvibilità del dipendente verso il danneggiato. Cosı̀ Casetta, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953; v. G. Greco,
La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti,
in Diritto amministrativo, I, Bologna, 2005, 895.
(10) Cfr. Cass. civ., 7-4-1994, n. 3293, CorG, 1994, 1124.
(11) M. A. Sandulli, Intervento alla tavola rotonda sulla responsabilità per lesione di interesse legittimo, Roma 24-4-1982,
FA C. St., 1982, 1693.
(12) T.A.R. Lombardia - Milano, sez. II, 27-7-2005, n. 3438,
DeG, 2005, 38, 50, afferma che accanto ad una responsabilità
civile della p.a. per colpa «specifica» derivante dalla violazione
di specifiche disposizioni di legge, deve ritenersi parimenti configurabile una diversa responsabilità per colpa «generica». Tale
ultima ipotesi di responsabilità colposa deriva dalla violazione
10
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
di parametri operativi di natura generale, non codificati in disposizioni normative.
(13) Nell’ambito della concezione normativa della colpevolezza, l’espressione «colpa grave» indica la gravità della colpa intesa come colpa «in concreto», secondo il grado di antidoverosità della condotta. C. Conti reg. Calabria, sez. giurisd., 2-22004, n. 64, RCC, 2004, 2, 241.
(14) Cfr. Cass. civ., S.U., 22-7-1999, n. 500, FI, 1999, I, 2487.
(15) Chieppa, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di
responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della
responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, DPrA, 2003, 683.
(16) Sui rilievi critici al concetto di «colpa d’apparato» v. Romano Tassone, Risarcimento del danno da lesione di interesse
legittimo, DPrA, 2001, 632, il quale sostiene che la «colpa d’apparato» abbia comportato un ampliamento dei margini della
responsabilità della pubblica amministrazione, che si troverebbe a dover rispondere del danno in modo indiscriminato; cfr.
Cerulli Irelli, Tre problematiche aperte sull’azione risarcitoria
nei confronti delle pubbliche amministrazioni, Relazione al
Convegno di Catania del 24/26-4-2003, sulla Lesione delle situazioni giuridicamente protette e tutela giurisdizionale, Atti, CdC,
2004, n. spec., 117, che considera la «colpa d’apparato» una
costruzione artificiosa coincidente con la disfunzione amministrativa della quale l’illegittimità dell’atto costituirebbe già un
prodotto o un sintomo.
(17) Torchia, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam, nota a Cass. civ., S.U., 22-71999, n. 500, GDAm, 1999, 849; il riferimento è ad un famoso
passo del Macbeth: «Macbeth non sarà vinto fino a quando il
gran bosco di Birnam non avanzi contro di lui verso l’alta collina di Dunsinane».
(18) Lesione di interessi legittimi: dal «muro di sbarramento»
alla «rete di contenimento», DResp, 1997, 269.
(19) Romeo, Gli umori della giurisprudenza amministrativa in
tema di responsabilità della pubblica amministrazione, DPrA,
2003, 144.
(20) C. St., sez. IV, 14-6-2001, n. 3169, GDAm, 2002, 143.
(21) Opinione che torna frequentemente anche di recente nella
giurisprudenza v. T.A.R. Sicilia - Catania, sez. III, 17-5-2007,
n. 846, FA Tar, 2007, 5, 1814.
(22) Lo Presti, L’elemento ecc., TAR, 2002, II, 92.
(23) Chieppa, op. cit., 683 ss.
(24) T.A.R. Campania - Napoli, sez. III, 11-9-2007, n. 7487, in
Red. amm. TAR, 2007, 9.
(25) C. M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano,
1994, 541.
(26) C. Giust. CE, 30-1-1992 (cause riunite C-363.364 del 1988);
C. Giust. CE, 23-5-1996 (causa C-5 del 1994), FA, 1, 1, secondo
cui, affinché possa sorgere responsabilità, occorre provare la
presenza di errori inescusabili, con conseguente esclusione della possibilità di presunzioni di colpa.
(27) Scoca, Per un’amministrazione responsabile, GiC, 1999,
4053.
(28) Liberati, Il risarcimento del danno cagionato dalla pubblica amministrazione, Padova, 2005, 475.
(29) Racca, La responsabilità della pubblica amministrazione e
il risarcimento del danno, in Garofoli-Racca-De Palma, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del
danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003, 158;
Avanzini, Responsabilità civile e procedimento amministrativo,
Padova, 2007, 327, secondo cui non può escludersi che sebbene
il danno procedimentale non è un danno oggettivo, tuttavia la
prova della sussistenza della colpa può desumersi dalla violazione delle regole di correttezza, salvo prova contraria.
(30) C. Giust. CE, 14-10-2004, causa C-275/03, UA, 2005, 36 ss.
(31) Caringella, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in Il nuovo processo amministrativo, dopo la legge 21 luglio
2000, n. 205, a cura di Caringella-Protto, Milano, 2001, 676 ss.
(32) Coordinamento con la l. 28-12-2005, n. 262, del testo unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia (t.u.b.) e del testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (t.u.f.).
(33) Siclari, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria, Padova, 2007, 426 ss. che solleva perplessità sul superamento dei
limiti posti dal legislatore delegante, mentre il legislatore delegato sembrerebbe essersi attenuto alle indicazioni provenienti
dal Fondo monetario internazionale (v. la dichiarazione conclusiva della missione del F.M.I. in Italia del 2.11.2005) con conseguenze facilmente immaginabili sotto il profilo dei dubbi sulla «legittimazione democratica sostanziale di una disciplina
normativa recepita passivamente dall’ordinamento interno».
(34) Siclari, op. cit., 439, ritiene che la suddetta limitazione di
responsabilità potrebbe pure essere giustificata nel solco del
modello di responsabilità previsto dall’art. 2236 c.c., tuttavia,
nel settore considerato, tale limitazione appare contrastare con
i principi che la moderna metodologia di analisi economica del
diritto individua al fine di configurare una «responsabilità efficiente».
(35) T.A.R. Abruzzo - Pescara, 3-3-2007, n. 216, FA Tar, 2007, 3,
1038, ribadisce che per procedersi alla condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni occorre sia presente anche
l’elemento soggettivo della colpa, che può ritenersi sussistente
solo quando la violazione risulta grave e sia stata commessa in
un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza dell’organo
nell’assunzione del provvedimento viziato; tale colpa va esclusa
nelle ipotesi di errore scusabile, configurabile, nelle ipotesi di
illegittimità dell’atto derivante da una successiva dichiarazione
di incostituzionalità della norma applicata.
2. La responsabilità da contatto amministrativo quale
nuovo approdo.
Tra gli indici rivelatori della gravità della violazione,
oltre all’ampiezza delle valutazioni discrezionali ed
ai precedenti giurisprudenziali, assume una particolare rilevanza l’eventuale apporto del privato nel
procedimento.
E proprio il riferimento all’apporto del privato nel
procedimento offre lo spunto per elaborare il modello della responsabilità da «contatto amministrativo
qualificato» (36): si dà rilievo al rapporto in sé, preordinato ad ingenerare nel privato un affidamento circa
la legittimità dell’attività amministrativa; in particolare, si sottolinea che il «contatto» fa sorgere in capo
all’amministrazione specifici doveri nei confronti del
cittadino che sarà tenuto esclusivamente a dimostrare che essa ha provveduto a seguito di un procedimento su sua istanza o da lui stesso partecipato (37).
Tale tesi parte dal presupposto che l’amministrazione non si trova rispetto al privato leso nel suo interesse legittimo, nella posizione del «passante» o del
«chiunque», tipica della tutela aquiliana, poiché a
seguito del contatto che si instaura tra l’amministrazione e il privato nel corso del procedimento amministrativo sorge, se non un vero e proprio rapporto
obbligatorio, un rapporto di fatto senza obbligo primario di prestazione (38).
La dottrina civilistica ha creato tale categoria di obbligazioni per colmare quella «zona grigia a metà
strada tra contratto e torto», caratterizzata da situa-
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
zioni in cui nella realtà emerge la presenza di obblighi specifici, ben diversi dai doveri generici del neminem laedere, tuttavia non riconducibili ad autonomi contratti.
Con riferimento alla p.a., la tesi valorizza il fatto che
l’atto lesivo della sfera giuridica del privato viene
adottato all’esito di un procedimento amministrativo, in cui, a seguito della comunicazione di avvio, o
dell’istanza del privato o comunque della sua partecipazione al procedimento, vi è già stato un contatto
tra questi e la p.a., che viene cosı̀ ricostruito in termini di rapporto giuridico.
L’obbligazione risarcitoria non viene però ricollegata alla lesione di tale rapporto né viene riferita all’utilità finale cui il privato tende, ma, al contrario, ne
prescinde scaturendo dalla violazione di quei particolari obblighi procedimentali il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell’affidamento del privato
sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Da tale impostazione discendono due ordini di conseguenze:
a) l’inquadramento della responsabilità della p.a. per
attività provvedimentale all’interno della responsabilità contrattuale, con le connesse implicazioni in
tema di prescrizione (decennale), onere della prova
e colpa;
b) la tutela risarcitoria viene svincolata dal giudizio
sulla spettanza del bene della vita o della sua probabilità di conseguirlo, incentrandosi invece sugli obblighi procedimentali, in cui il contatto qualificato si
sostanzia.
Quindi, sembra quasi che l’inquadramento sistematico in tale categoria dipenda non tanto dalle caratteristiche obiettive delle fattispecie, ma dall’esigenza
di risolvere, in senso favorevole al danneggiato, i
problemi della colpa della p.a., dell’onere di provarla
e della difficoltà di accertamento della spettanza del
bene della vita in tutte le ipotesi di attività caratterizzata da margini di discrezionalità amministrativa (39). Le conseguenze rilevanti che derivano dall’accoglimento della tesi del contatto sono proprio ed
innanzitutto relative all’onere della prova in quanto
viene interpretata la responsabilità da contatto amministrativo quale responsabilità contrattuale per la
quale l’onere probatorio è in capo al debitore, cioè
nel nostro caso in capo all’amministrazione che dovrebbe dimostrare immediatamente, e non solo in
via di eccezione, che l’illegittimità è derivata dalla
situazione di sussistenza di un errore scusabile.
Rispetto al precedente orientamento della culpa in
re ipsa, non sussisterà una presunzione assoluta (40),
quanto, piuttosto, relativa, superabile da parte del
soggetto pubblico provando che in concreto l’accertata violazione della regola è derivata da vicende
estranee al normale limite di esigibilità della condotta imposto al soggetto pubblico.
11
Ciò che nella tesi è innovativo, ma discutibile, è il
tentativo di far sorgere, quasi in via automatica, una
pretesa risarcitoria in capo al privato per la mera
violazione di regole procedimentali, prescindendo
dalla sorte del provvedimento conclusivo del procedimento e, quindi, dalla spettanza dell’utilità che il
privato tende a conservare o a conseguire.
Come ha evidenziato la dottrina che ha approfondito la tematica della tutela delle situazioni giuridiche
partecipative, si rischierebbe in tal modo di aprire la
strada alla tutela risarcitoria, prescindendo non solo
dall’elemento della colpa, ma dallo stesso danno con
un automatismo che finisce per dare maggiore importanza alle pretese partecipative, piuttosto che agli
interessi sostanziali (41).
Non è dubbio che il privato subisca un danno non
collegato al cosiddetto bene della vita: ma è discutibile che tale danno possa essere riconosciuto in via
automatica, o quasi, senza una rigorosa valutazione
del danno stesso e del suo rapporto di causalità con
la regola procedimentale violata.
Altro orientamento, pur aderendo alla teoria del
«contatto sociale qualificato», critica il tentativo di
graduazione dell’illegittimità della condotta amministrativa e sostiene che la colpa andrebbe valutata
«con riferimento al processo generativo del provvedimento illegittimo, alla sua attitudine a pregiudicare
l’affidamento del privato», senza commisurarla alla
difformità dai criteri normativi disciplinanti l’esercizio del potere amministrativo (42): il contatto procedimentale, una volta innestato nell’ambito del rapporto amministrativo caratterizzato da sviluppi istruttori e da un’ampia dialettica tra le parti sostanziali,
impone al soggetto pubblico un preciso onere di diligenza che lo rende garante del corretto sviluppo del
procedimento e della sua legittima conclusione.
La misura della diligenza è, dunque, definita dalle
regole che governano il procedimento amministrativo ed è attualizzata in funzione del concreto nesso
tra le parti originato dall’iter provvedimentale e dal
suo stato di attuazione.
La violazione di dette regole si traduce, in primo
luogo, nella illegittimità dell’atto. Ma essa esprime
anche l’indice, quanto meno presuntivo, della colpa
del soggetto pubblico.
Dunque, proprio l’adeguata valorizzazione del rapporto procedimentale instaurato tra le parti consente di affermare che l’onere della prova dell’elemento
soggettivo dell’illecito va ripartito tra le parti secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’art. 1218 c.c.
Dall’altro lato, l’amministrazione potrà fornire la
prova di un concorso colposo del danneggiato e in
alcune ipotesi il famoso contatto tra p.a. e cittadino
può anche costituire elemento a favore dell’amministrazione, quando ad esempio è stato il privato a
12
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
violare doveri di correttezza nel fornire il suo apporto partecipativo al procedimento, celando circostanze rilevanti o producendo dichiarazioni inesatte (43).
Le circostanze esimenti che l’amministrazione è tenuta a provare per escludere la propria responsabilità appaiono, infatti, speculari: la colpevolezza dell’amministrazione è provata quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze
di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e
giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia
dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata in presenza di un errore scusabile.
Altre volte la giurisprudenza ha fatto ricorso alla
presunzione relativa di colpa, accedendo ad un «apprezzamento di frequenza statistica», in virtù del
quale l’accertata illegittimità dell’atto indica la violazione dei parametri che, «nella normalità dei casi»,
costituisce l’indice grave, preciso e concordante della
colpa dell’amministrazione.
Va detto, però, che la portata dirompente della semplificazione probatoria offerta viene immediatamente attenuata dalla previsione dell’immutata operatività del principio dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c.: non sarebbe accettabile, difatti, un
sistema nel quale il danneggiato debba assolvere
pienamente ed esaurientemente alla prova «negativa» dell’assenza di errori incolpevoli dell’amministrazione. Trattandosi di eccezione in senso stretto,
vale a dire di fatti estintivi del diritto al risarcimento
del danno, ex art. 2697 c.c., vanno provati dall’amministrazione danneggiante.
In tale modo si evita di dar vita ad una responsabilità
sui generis, in parte soggetta alla disciplina della responsabilità aquiliana e in parte a quella contrattuale, che costituirebbe un tertium genus di responsabilità ed aprirebbe la strada ad inesauribili problemi
applicativi relativi alla disciplina di riferimento (44).
(36) Sulla responsabilità da «contatto», cfr. Occhiena, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, 415, il quale sottolinea che fondare un obbligo di
risarcimento del danno per violazione di obblighi procedimentali innescherebbe un meccanismo orientato a porre in second’ordine gli interessi sostanziali.
(37) C. St., sez. VI, 20-1-2003, n. 204, CS, 2003, I, 68, in cui viene
affermato che il contatto che si stabilisce fra il privato e l’Amministrazione dà vita ad una relazione giuridica di tipo relativo,
nel cui ambito, il diritto al risarcimento del danno ingiusto,
derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta
una fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano
dell’art. 2043 c.c., in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per
inadempimento delle obbligazioni.
V. Cass. civ., 10-1-2003, n. 157, FI, 2003, I, 78, secondo cui l’inadempimento delle regole di svolgimento dell’azione amministrativa integra una responsabilità che è molto più vicina alla
responsabilità contrattuale, anche se l’inquadramento degli obblighi procedimentali nello schema contrattuale, come vere e
proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di cor-
rettezza e buona fede (artt. 1174 e 1175 c.c.), è proponibile solo
dopo l’entrata in vigore della l. n. 241/1990.
(38) Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002, 270.
(39) Chieppa, op. cit., 683.
(40) C. St., sez. VI, 15-2-2005, n. 478, FA C. St., 2005, 2 328,
afferma che, la presunzione assoluta di colpa — anche se derivante dalla violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi — concepita dall’impostazione giurisprudenziale tradizionale per semplificare l’accertamento dell’illecito e favorire la tutela risarcitoria, è incompatibile con i principi generali della natura personale della responsabilità civile, risolvendosi nell’ingiusta assegnazione all’amministrazione di un trattamento deteriore rispetto a quello
degli altri soggetti di diritto.
(41) Occhiena, op. cit., 415.
(42) C. St., sez. V, 2-9-2005, n. 4461, FA C. St., 2005, 9, 2596.
(43) C. St., sez. VI, 19-7-2002, n. 4007, RCC, 2002, 4, 306.
(44) T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 7-6-2007, n. 5248, FA Tar, 2007,
6, sembra teorizzare una modello di responsabilità che pur riconducibile all’art. 2043 c.c. non è al medesimo sovrapponibile
affermando che è ormai pacifica la risarcibilità del danno per
lesione di interessi legittimi, in presenza non solo di intervenuto
riconoscimento dell’illegittimità dell’atto lesivo, ma di circostanze ulteriori, quali l’effettiva sussistenza della lesione (patrimoniale o anche non patrimoniale), la colpa o il dolo dell’Amministrazione — rapportata agli specifici doveri dell’Amministrazione stessa, in una accezione più restrittiva di quella desumibile dall’art. 2043 c.c. — ed il nesso di causalità fra i primi
due elementi.
3. La rilevanza dell’errore scusabile.
La determinazione delle ipotesi in cui l’errore può
ritenersi scusabile può avvalersi dei risultati raggiunti
dalla giurisprudenza penale in tema di buona fede
nelle contravvenzioni e in tema di errore di diritto
scusabile o non rimproverabile ex art. 5 c.p. (45), soprattutto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988. L’errore esclude la colpevolezza unicamente se non può essere rimproverato all’agente per essere inevitabile come nei casi di oscurità della norma, di incertezze giurisprudenziali (46),
di normative abrogate quando il successivo intervento abrogativo non possa considerarsi evento prevedibile (47), di norme dichiarate incostituzionali (48), o
nei casi di complessità del fatto (49). Cosı̀ come, viceversa, non rappresenta errore scusabile l’omessa
verifica prima dell’adozione del provvedimento, del
contenuto dell’apporto consultivo (facoltativo e non
vincolante) di altra amministrazione; evento che non
esclude profili di colpa sottesi ad un’erronea valutazione seppur influenzata dal parere ricevuto (50). Parimenti l’accertamento giurisdizionale definitivo dell’illegittimità di due dinieghi opposti ad un’istanza di
rinnovo di una concessione rivela, al di là di ogni
ragionevole dubbio, la presenza della colpa e, allo
stesso tempo, l’inconfigurabilità di cause di giustificazione nel caso di errore scusabile (51).
Viceversa può escludere la sussistenza della colpa il
diniego di provvedimento concessorio disposto sulla
base di un piano di lottizzazione efficace e vincolante
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
al momento dell’adozione del provvedimento, la cui
illegittimità sia stata accertata solo successivamente e
proprio nel giudizio proposto avverso i relativi atti
applicativi, oppure ancora si può escludere la colpa
nel caso in cui la p.a. non abbia tenuto conto del parere favorevole al richiedente espresso dal proprio ufficio legale, ovvero quando abbia reiterato con identica motivazione altro provvedimento di diniego già
in precedenza cautelarmente sospeso dal g.a. (52).
Nel giudizio di prevedibilità-evitabilità dell’errore bisogna, allora, tenere presente la condizione soggettiva dell’agente, per paragonarla a quella di un ideale
agente-modello che ponga in essere una certa attività. Nel caso dell’amministrazione occorre tenere in
considerazione che essa è soggetto chiamato ad applicare le norme per realizzare il pubblico interesse:
ne è quindi uno degli interpreti per eccellenza, sicché
dovrebbe pretendersi una rigorosità massima (53).
Si deve, però, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle
norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa
che ha causato la violazione; in simili casi il profilo
probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i
propri strumenti di cognizione in base al principio
iura novit curia (54).
Il ricorrente, dunque, non dovrà fornire una plena
probatio circa l’inequivocità e la assoluta chiarezza
della normativa da applicarsi al caso di specie, ovvero del carattere vincolato dell’azione provvedimentale pubblica, ma solo, al limite, allegarla: è compito
precipuo del giudicante adito conoscere lo stato dottrinale e giurisprudenziale di una certa previsione
disciplinatrice.
Se ciò è vero si sdrammatizza grandemente il problema dell’onere della prova a carico del danneggiato qualunque sia la natura che intendiamo attribuire
alla responsabilità amministrativa da attività provvedimentale: infatti gli elementi oggetto di prova non
sono nella esclusiva disponibilità di una delle parti.
Ciò, almeno, per quanto concerne gli elementi tecnici
integranti, secondo la giurisprudenza, gli estremi costitutivi della colpa amministrativa; il discorso potrebbe all’apparenza mutare in relazione a quegli elementi di fatto che concorrono nella definizione di
colpa del responsabile del procedimento quali la consistenza dell’apporto partecipativo al procedimento
dei titolari degli interessi (privati e pubblici) secondari, rilevante eventualmente ai sensi dell’art. 1227 c.c.
Sarà allora compito del giudice verificare se la norma da applicare sia di oscura fattura, di incerta e
dubbiosa esegesi dottrinale e/o giurisprudenziale,
anche in relazione alla sua confezione grammaticale e a riconoscere, conseguentemente, la scusabilità
o meno dell’errore della pubblica amministrazione;
13
cosı̀ pure nell’ipotesi di determinazione dell’efficacia
di una legge ordinaria nel tempo, ex tunc/ex nunc, e
della natura autoesecutiva o meno di una direttiva
comunitaria, qualora detti elementi di giudizio abbiano rilevanza al fine della integrazione dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria (55).
Tra le diverse fattispecie di contrasto giurisprudenziale che hanno provocato l’induzione di errore scusabile dell’amministrazione, si rinviene oltre all’ipotesi di discrasia tra pronunce del Consiglio di Stato, o
il contrasto tra quest’ultimo e il T.A.R., la semplice
assenza di pronunce sul punto (56).
Un’interpretazione di questo genere può essere, peraltro, foriera di inconvenienti dal punto di vista dell’oggettiva applicazione della sanzione di responsabilità: nel giudizio entrano, infatti, in gioco valutazioni soggettive attraverso le quali pervenire alla
conclusione della sussistenza dell’incertezza che variano, inevitabilmente, in relazione all’organo giudicante che le compie.
Non può in effetti negarsi che, se da un lato risulta
poco condivisibile l’idea di una responsabilità oggettiva della p.a. senza possibilità alcuna di prova contraria in assenza di una previsione legislativa in tal
senso, dall’altro, può apparire eccessivamente gravoso per il privato che si trovi ad «incappare» in una
normativa dalla dubbia comprensione, sopportare
integralmente il costo della sua incertezza (57).
(45) Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005,
448.
(46) C. St., sez. VI, 3-4-2007, n. 1514, FA C. St. 2007, 4, 1225;
Cass. civ., 5-6-2007, n. 13061, GCM, 2007, 7-8.
(47) C. St., sez. VI, 2-5-2007, n. 1914, Red. amm. C. St., 2007, 5.
(48) T.A.R. Abruzzo - Pescara, 3-3-2007, n. 216, Red. amm.
TAR, 2007, 3.
(49) T.A.R. Lazio - Roma, sez. III, 6-12-2006, n. 13925, FA Tar,
2006, 12, 3892.
(50) C. St., sez. VI, 17-10-2006, n. 6183, DeG, 2006, 42, 99.
(51) T.A.R. Liguria - Genova, sez. I, 17-7-2007, n. 1397, Red.
amm. TAR, 2007, 7-8.
(52) T.A.R. Campania - Napoli, sez. III, 3-10-2005, n. 15984, FA
Tar, 2005, 10, 3254.
(53) Goggiamani, Colpa dell’amministrazione ed errore scusabile, nota a T.A.R. Campania, sez. II Napoli, 7-2-2002, n. 733,
FA Tar, 2002, 2, 633.
(54) C. St., sez. VI, 3-4-2007, n. 1514, Red. amm. C. St., 2007, 4.
(55) T.A.R. Calabria - Catanzaro, sez. II, 25-6-2007, n. 855, Red.
amm. TAR, 2007, 6.
(56) C. St., sez. IV, 4-11-2002, n. 6000, FA C. St., 2002, 2942.
(57) Papetti, Colpa della p.a.: la soglia dell’errore scusabile, FA
Tar, 2005, 11, 3726.
4. Il modello di responsabilità aquiliana: un ritorno al
passato?
Ripudiando senza autentica motivazione la tesi del
contatto amministrativo qualificato la più recente
giurisprudenza afferma che la responsabilità della
p.a.-autorità, dovrebbe modellarsi sul parametro
normativo di cui all’art. 2043 c.c., il quale, è noto, si
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COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
distingue dal torto contrattuale (anche) per il fatto
che l’onere della prova dell’elemento soggettivo grava in capo all’attore; detto onere probatorio sarebbe
«alleggerito» attraverso il ricorso congiunto a due
fattori: le presunzioni relative di cui agli artt. 2727 e
2729 c.c. (58), ed il riferimento alla giurisprudenza
comunitaria formatasi nell’ambito della tematica
concernente la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, relativamente alla nozione di «violazione grave e manifesta».
Negando la teorica del “contatto”, che pure in un
primo momento aveva trovato vasta eco nella giurisprudenza, e operando con l’ausilio dello schema
aquiliano ex art. 2043 c.c. alla luce dell’insegnamento della sentenza n. 500/1999, la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato sembra inaugurare una
sorte di ritorno al passato: quasi che il concetto di
presunzione relativa di colpa e l’identificazione di
quest’ultima nella violazione dei cosiddetti «obblighi procedimentali» abbiano condotto nuovamente
ai tentativi di obiettivizzazione fortemente criticati
in precedenza (59).
Sebbene in materia di responsabilità aquiliana la
prova della colpa dell’amministrazione incomba su
colui che chiede il risarcimento, l’onere probatorio è
stato circoscritto alla dimostrazione dell’inosservanza delle regole generali di imparzialità, correttezza,
buona amministrazione, celerità, efficienza, ragionevolezza e proporzionalità (60).
Si tratta della decodificazione in via giurisprudenziale «del diritto alla buona amministrazione» cui si
richiama la sentenza n. 500/1999, e che ha trovato
riconoscimento all’art. II-41 della CED che comprende tra l’altro «il diritto di ogni individuo al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni».
In tal modo, la ratio della giurisprudenza della Corte
di giustizia (ovvero l’esigenza di evitare che la difficoltà della prova dell’elemento soggettivo della p.a.
finisca per precludere al privato ogni possibilità di
conseguire il risarcimento) è stata sostanzialmente
rispettata, risultando nel contempo superati i problemi connessi, per un verso, alla individuazione della
persona fisica che, in concreto, ha assunto la determinazione ritenuta pregiudizievole e, per altro verso,
correlati all’eventualità che la «colpa» della p.a. sia
la conseguenza di errori, di carenze o di disfunzioni
organizzative verificatisi «a monte» rispetto all’azione del funzionario agente e difficilmente accertabili
(e dimostrabili) dal danneggiato (61).
La verifica della sussistenza della colpa finisce con il
basarsi su fattori indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell’azione amministrativa, l’univocità della normativa di riferimento e
l’apporto partecipativo del cittadino coinvolto nella
vicenda procedimentale; anzi il giudizio sulla colpa
non dovrebbe prescindere da nessuno di essi, atteso
che ciascuno andrebbe verificato attraverso una valutazione contestuale.
Nel solco di questa impostazione non va trascurata
quell’opinione introdotta dalla giurisprudenza che
muove dal presupposto che anche la colpevolezza
dell’amministrazione possa essere attenuata in presenza di «una situazione connotata da apprezzabili
profili di complessità»: questi ultimi potrebbero essere riconducibili, non solo a circostanze di fatto particolarmente complesse nel senso di difficilmente governabili, ma anche ad un contesto normativo che
offra prospettazioni risolutive dei problemi interpretativi non del tutto agevoli avvalendosi, talvolta,
quale criterio ermeneutico dell’art. 2236 c.c.
La giurisprudenza, peraltro, ha ritenuto più volte
condivisibile l’assimilazione della disciplina della responsabilità del soggetto pubblico a quella del professionista (62) al fine di escludere la sussistenza di
una colpa «grave» della pubblica amministrazione.
La dimostrazione dell’elemento soggettivo si riduce
cosı̀ alla prova di fatti (gravità della violazione, carattere vincolato dell’attività amministrativa, situazione normativa, partecipazione al procedimento)
che operano quali presunzioni semplici ex artt. 2727
e 2729 c.c. della colpa dell’amministrazione e che
presentano evidenti analogie con gli elementi dell’inadempimento dell’amministrazione al generale
obbligo di correttezza.
Sembra ritornare l’antica concezione della culpa in re
ipsa, poiché alla violazione del dato normativo chiaro, e non oggetto di contrasti interpretativi seguirebbe recta via il riconoscimento della colpa specifica e
della conseguente responsabilità in capo all’ente, determinando quella che in diritto penale (63), è stata
definita «responsabilità oggettiva occulta» (64).
Non a caso, in dottrina si è proposto di mutuare i criteri penalistici in tema di colpa affermando che l’adozione di un atto amministrativo in contrasto con la
normativa allo stesso applicabile, possa integrare gli
estremi della colpa imputabile all’amministrazione se
le norme giuridiche violate si configurino di per sé
cautelative o se, nelle circostanze dannose concrete, il
rispetto delle medesime avrebbe evitato il pregiudizio
verificatosi (65), distinguendosi, quindi, ai fini risarcitori tra leggi con finalità precauzionali e leggi con finalità non precauzionali. La colpa dell’amministrazione nell’attività provvedimentale diventerebbe un
tertium genus tra colpa civilistica e colpa penal-pubblicistica, pertanto l’amministrazione risulterebbe suscettibile di un doppio sindacato sotto il profilo della
rimproverabilità colposa della condotta: in primo
luogo, una verifica dell’esistenza di responsabilità per
colpa specifica che trova un ambito di applicazione
decisamente più ampio rispetto a quello del privato
COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
nella responsabilità civile; in secondo luogo essa è
vincolata ai più generali doveri derivanti dall’osservanza dei principi di correttezza ed imparzialità la cui
violazione si sostanza in una colpa generica (66).
In conclusione il tentativo di oggettivizzazione del
regime di responsabilità, non sembra un fuor d’opera se solo si pensi: a) che fin dalla fine degli anni
sessanta, il Conseil d’Etat francese, a conferma del
suo ruolo primario nell’edificazione del diritto amministrativo d’oltralpe, sempre più sensibile a realizzare forme di garanzia sociale a favore dell’amministrato, ha affermato la coincidenza tra illegittimità
del provvedimento amministrativo e fatto illecito
colposo della p.a. («toute illégalité constitue par elle-même une faute»); b) che autorevole dottrina
(anche in sede di commento della storica sentenza
della Corte di Cassazione, 22-7-1999, n. 500), si mostrava e si mostra sulla stessa linea di pensiero (67);
c) che, secondo parte della giurisprudenza amministrativa, pur dovendosi escludere, ai fini risarcitori,
ogni automatismo tra illegittimità dell’atto ed illiceità della condotta della pubblica amministrazione,
in presenza di un’illegittimità previamente accertata
dal giudice amministrativo, la mancanza della colpa
in capo all’ente potrebbe essere esclusa soltanto in
ipotesi «assolutamente eccezionali, (concretamente
identificabili nell’errore scusabile dell’Amministrazione)» (68). Si riconosce, allora, tendenzialmente la
sussistenza della colpa (specifica) nell’illegittimità
provvedimentale: indicazione che sembra risentire
della evidente suggestione dell’arrêt Blanco del 1873
(responsabilità pubblica sottoposta a regole particolari, che non sono quelle del codice civile).
Questa recente tendenza che sembra legittimare un
ritorno al passato ha indotto la dottrina a proporre
l’applicazione dell’art. 2050 c.c. all’attività amministrativa, sul presupposto che questa sia «obbiettivamente pericolosa, spesso pericolosissima», proprio
in aderenza alla citata impostazione della giurisprudenza francese (69).
Applicando lo schema di cui all’art. 2050 c.c., l’onere
della prova liberatoria, il cui contenuto necessariamente varierà a seconda del tipo di responsabilità
(oggettiva o da colpa presunta), potrà certo recuperare le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza
comunitaria e da quella nazionale (sull’art. 5 c.p.),
adattandole però ai contenuti che deve possedere la
prova stessa, al fine di elidere il nesso eziologico tra
attività pericolosa e danno, o di acclarare la non imputabilità soggettiva dello stesso (contenuti estremamente ridotti se riteniamo che solo la prova del
caso fortuito liberi da responsabilità l’esercente, certamente più ampi se si ritenga di accogliere la tesi
— recessiva — della responsabilità per colpa presunta, con inversione dell’onere probatorio a carico del
danneggiante).
15
In questo modo, inoltre, si potrebbe risolvere il conflitto tra sostenitori della colpa d’apparato e sostenitori della colpa del singolo funzionario, che ha coinvolto, talvolta, anche la giurisprudenza (70), essendo
l’attività pubblica (iure imperii) pericolosa in primis e
ex se e non in quanto esercitata illegittimamente dal
responsabile del provvedimento amministrativo. Tuttavia, è con riferimento all’attività concreta di costui
che potrà essere accertata la ricorrenza delle circostanze esimenti, poiché è con questa attività che si invera la capacità di agire dell’ente di riferimento. Non
solo. Ma sarebbe anche possibile (accolta la tesi della
responsabilità oggettiva vincibile solo con la prova
del caso fortuito) limitare fortemente il ricorso al concetto, eccessivamente elastico e oggetto di continui ritocchi giurisprudenziali, di «errore scusabile» (71).
È interessante sottolineare come l’indagine sulla colpa della p.a. assuma, da ultimo, rilevanza non soltanto nei casi di invalidità del provvedimento, ma altresı̀
nelle ipotesi in cui il provvedimento adottato sia legittimo e tuttavia il complessivo comportamento tenuto dalla p.a. nel suo rapporto con il privato risulti
colposo. La questione si pone sovente nell’ambito di
interventi di autotutela nei confronti di provvedimenti d’indizione di gare d’appalto (72).
Il rapporto obbligatorio nascente tra le parti durante
la procedura di scelta del contraente è costituito dagli obblighi attinenti alla correttezza della procedura
la cui violazione origina una responsabilità per inadempimento degli stessi. L’inadempimento ha come
oggetto immediato l’obbligo generale di correttezza,
specificato e precisato nelle regole di gara, ed esprime la violazione delle clausole generali (ed indeterminate anche dopo la definizione del regolamento di
gara) di correttezza e buona fede di cui agli artt.
1337 e 1175 c.c. (73).
Secondo questa ulteriore linea interpretativa, che
ravvisa analogie tra la responsabilità della pubblica
amministrazione per provvedimenti illegittimi e le
ipotesi di responsabilità precontrattuale attraverso
l’accostamento del procedimento amministrativo alla fase di formazione del contratto, la colpa consisterebbe nella violazione dei doveri di «correttezza» e
di «buona fede» tipici della fase delle trattative precontrattuali: il giudice non è più, come da tempo segnalava la dottrina, chiamato a valutare se il soggetto pubblico si è comportato da corretto amministratore, ma se egli abbia agito da corretto contraente.
Serafino Ruscica
(58) C. St., sez. IV, 16-7-2007, n. 4010, Red. amm. C. St. 2007, 7.
(59) C. St., sez. V, 23-10-2007, n. 5583, Red. amm. C. St., 2007, 10,
secondo cui in tema di risarcimento dei danni conseguenti ad
atto amministrativo illegittimo la colpa della stazione appaltante deve ritenersi sussistente ogni volta che abbia disatteso prescrizioni che essa stessa si era data, atteso che in questo caso
nessun dato, attinente al c.d. elemento psicologico, può esen-
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COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
tarla dalle proprie responsabilità. T.A.R. Piemonte, sez. I, 262-2008, n. 303, www.neldiritto.it.
(60) T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 11-9-2007, n. 7487, Red.
amm. TAR, 2007, 9; Cass. civ., 5-6-2007, n. 13061, GCM, 2007,
7-8.
(61) T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 17-7-2007, n. 1397, Red.
amm. TAR, 2007, 9.
(62) T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 21-12-2006, n. 6040, RCP, 2007,
4, 972; C. St., sez. V, 22-5-2006, n. 2960, FA C. St., 2006, 5, 1441.
(63) Micari, La colpa della P.A.-Autorità, il diritto comunitario
e l’art. 2050 c.c., nota a Cass. civ., 21-10-2005, n. 20454, GC, 2006,
9, 1788.
(64) Si fa riferimento all’annosa querelle relativa al criterio di
imputazione dell’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) per
cui parte della dottrina, ormai minoritaria, fa salvo il principio
di colpevolezza affermando che l’imputazione dell’evento omicidiario è da considerare a titolo di colpa specifica derivante
dalla violazione della norma che punisce i fatti di percosse e
lesioni, trascurando che, come osservato da altra dottrina (Antolisei, Diritto penale, p. spec., Milano, 2003, 76; Mantovani, op.
cit., 369), la colpa specifica non sussiste se non quando la condotta abbia violato una regola cautelare che abbia la funzione
di prevenire proprio quel particolare tipo di evento in concreto
verificatosi e, nel contempo, non tutte le norme penali che puniscono i fatti di lesioni e percosse (artt. 581 e 582 c.p.) non
avrebbero contenuto cautelare bensı̀ proibitivo.
(65) Carrà, op. cit., 89.
(66) Liberati, op. cit., 478.
(67) Alpa, Il «revirement» della Corte di cassazione sulla responsabilità per la lesione di interessi legittimi, RCP, 1999, 920.
(68) T.A.R. Campania, sez. II, 7-2-2002, n. 733, FA Tar, 2002,
630.
(69) Micari, Colpa della p.a., hoheitsverwaltung (attività autoritativa) e pericolosità del provvedimento amministrativo (art.
2050 c.c.), GM, 2006, 9, 2002.
(70) C. St., sez. V, 10-1-2005, n. 32, RGSan, 2005, 253/254, 135.
(71) Papetti, La colpa della pubblica amministrazione in relazione alla natura della responsabilità civile da attività provvedimentale illegittima, FA Tar, 2005, 1298 ss.
(72) Dell’argomento si è altresı̀ occupata l’ad. plen. 5-9-2005,
n. 6. Da ultimo T.A.R. Lazio - Roma, sez. III, 10-9-2007, n. 8761,
Red. amm. TAR, 2007, 9 configura la responsabilità precontrattuale della P.A. nel caso in cui quest’ultima — in violazione dei
doveri di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. — dopo aver bandito una
gara d’appalto e dopo la sua aggiudicazione provvisoria, ne
ritiri d’ufficio gli atti con inescusabile ritardo sulla base della
loro manifesta non conformità alla legge e ai principi della
logica e della buona amministrazione, con ciò evidenziando superficialità e negligenza della condotta.
(73) Racca, op. cit., 19 ss. rileva l’esistenza di «un diritto di
ciascuna parte ad un comportamento corretto, secondo buona
fede, il comportamento lesivo di tale diritto genera responsabilità per inadempimento» e, infine, individua il principio di correttezza come dovere istituzionale della pubblica amministrazione che ne informa tutta l’attività giuridica.
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