Allevamento del Setter Inglese E.N.C.I. - F.C.I. N°5473 Fongaro's di Fongaro Renato Via dei frassini - 4 37141 – Verona www.fongaros.it Alla mia compagna di vita. Ai miei figli, che ho visto giocare e crescere in giardino attraverso la finestra dello studio. Ai Setter Inglesi che hanno speso la vita al mio servizio. Ai veri pochi amici; essi sanno di esserlo. Un cane aveva sempre accontentato il suo padrone affrontando coraggiosamente tutti i terreni di caccia, ma sotto il peso degli anni cominciò ad infiacchirsi. Una volta, indirizzato a riportare un grosso fagiano, corse per quel che poteva e lo afferrò, ma a causa dei doloranti denti cariati mollò la presa. Allora, il cacciatore contrariato sgridò il cane. A lui la vecchia bestia abbaiando:« Non è stato il mio coraggio ad abbandonarti, ma le mie forze. Se ora condanni quel che sono, in realtà stai lodando quel che ero». Introduzione La cultura cinofila, intesa come esperienza, trova nella tradizione venatoria italiana l’elemento di coesione tecnicamente più significativo. Purtroppo si continua a riscontrare sul campo una profonda, se non totale, mancanza di uniformità nell’interpretazione di tale esperienza, per cui l'allevamento, l'addestramento e l'utilizzo del cane da caccia è inconsciamente, ancor oggi, tramandato secondo criteri soggettivi. Lo studio delle varie branchie delle Scienze che analizzano il cane, sono senza dubbio un iter formativo che comporta un periodo di acquisizione che si può attuare solo a medio e lungo termine, seguendo un progetto organico ed univoco. La ricerca proposta non intende porsi come un atto presuntuoso od ambizioso, ma vuole essere considerato come uno strumento che dia inizio ad un lavoro che abbia quale obiettivo la conoscenza approfondita del cane, ed in particolare di quello da ferma. All'allevatore, all'Esperto Giudice ed all'handler deve essere riconosciuto un ruolo centrale per la crescita, non solo numerica, ma anche qualitativa di un movimento sportivo che deve rispondere ad esigenze crescenti: produrre cani da caccia di qualità, che rispondano alle esigenze degli sportivi quanto a quelle dei puristi. L’elaborazione di un programma ancor più complesso ed articolato di quello esistente, destinato alla formazione dei tecnici, deve essere considerata un’iniziativa prioritaria dell'Ente e da non demandare a terzi, perché indispensabile per rendere l’istruzione qualificata e professionale: il risultato da raggiungere deve essere considerato una sfida per chi non vuole adeguarsi alle nuove scoperte scientifiche. Numerosi i cinofili coinvolti in questo progetto, concedendoci un confronto interessante basato sull’analisi dei principi della selezione, della tecnica addestrativa, della storia e del futuro della Cinofilia Venatoria italiana. Le accese discussioni a tavola, a bordo campo ed a bordo ring, hanno evidenziato le diverse esperienze, le differenti culture di riferimento e le eterogenee procedure di selezione ed addestramento, ma certamente tutti si sono arricchiti, nel confronto, dell’opinione altrui. Il dibattito vivo ed appassionato dimostra che la nostra cinofilia è vitale, pronta a migliorarsi, come a confermarsi nei principi inalienabili che trovano la loro ragione di essere nella natura stessa del rapporto umano con il cane da caccia. L’apporto offerto dagli allevatori ed handlers interpellati sono stati elementi che l'autore ha valutato in termini particolarmente positivi. A quanti si accingono alla lettura, che in alcune parti potrebbe apparire difficoltosa (perché destinata a persone competenti nel settore), vogliamo ricordare quanto sia importante conoscere per poter capire e validamente tramandare. Ci appelliamo, quindi, alla spiccata curiosità che è certamente la caratteristica principale del buon cinofilo. Ci auguriamo così che il dibattito avviato non si fermi alla stesura di questa ricerca, ma che possa invece concretizzarsi in altri strumenti didattici più approfonditi, ove i principi di base possano trovare una semplicità di esposizione ed una facilità di apprendimento tali da poter diventare patrimonio comune di tutti i praticanti. I risultati saranno particolarmente evidenti quando finalmente ritroveremo una cinofilia univoca, che si identifichi in un sistema atto a conseguire successi venatori concomitanti a quelli agonistici, in una situazione che enfatizzi la disponibilità e la plasticità del gesto atletico del cane da ferma. Un obbiettivo raggiungibile esclusivamente con un lavoro serio, metodico e prolungato nel tempo, che non si identifica certamente in concetti di estemporaneità ed improvvisazione. In ultima, non possiamo peraltro nascondere la profonda soddisfazione per aver portato a termine una ricerca coraggiosa, perché presta il fianco alle facili critiche di quanti hanno sempre avuto in passato il timore di esporsi in prima persona. “LA FORMA È SOLO L'ESPRESSIONE PLASTICA DELLA FUNZIONE?” Psicologia, Cinognostica, Anatomia e Morfologia Funzionale del cane da ferma Renato Fongaro Prefazione Da chiacchere, scambi d'opinione e da una disamina dell'andamento del mondo cinofilo-venatorio moderno nasce questo scritto. Un'indagine svolta in un decennio di ricerche, affrontando l’Anatomia del cane, la Morfologia Funzionale, la Psicologia, l’Etologia, la Cinognostica, la Biomeccanica, il Comportamentismo (1), l’addestramento e che si ferma nell’istante in cui l’autore trae le considerazioni basandosi esclusivamente sulle varie branche della Scienza (le uniche fondamentalmente attendibili per analizzare la macchina cane). Il titolo della ricerca è una frase manomessa del grande Leonardo da Vinci e che viene apostrofata da un punto interrogativo: il suo significato, volutamente ironico, suggerisce al lettore la ricerca scientifica innanzi a qualsiasi dubbio cinofilo. Il motto è:« Approfondire la conoscenza in modo sistematico». Le forme del cane ed il rapporto cane/uomo sono in continua evoluzione: nessun testo avrà mai l’opportunità od il diritto di arrogarsi l’essere il più completo. Queste pagine sono quindi da considerarsi un’insieme di spunti di riflessione ed approfondimento per il cultore già formato, od un punto di partenza per il neofita che abbraccia la cinofila venatoria moderna. I temi verranno affrontati e richiamati molteplici volte, in varie sfaccettature e cioè in tutte le occasioni che si presenteranno come valide per rendere concetti già espressi di più semplice digeribilità. Ciò che è appreso dal cane, se ripetuto per generazioni, modifica più o meno parzialmente le informazioni genetico-ereditarie. Per dirla in maniera semplice, oggi si può affermare con scientificità che la progenie derivante da cani addestrati è di più facile addestramento. Non è invece ancora quantificabile con concretezza la percentuale con la quale l'addestramento modifica il pacchetto genetico che si trasferisce da genitori a figli. L'importante non è quantizzare tale percentuale, ma è sapere che esiste e che la cinofilia ufficiale ha le capacità d'intervenire nel bene e purtroppo anche nel male. L'accenno al rinforzo positivo (condiviso dall'autore) come via percorribile per l'addestramento del cane da caccia, apre la strada all'applicazione della Psicologia canina nella Cinofilia Venatoria. Nel terzo millennio non basta quindi masticare un po' di Anatomia, conoscere gli standards e cenni di Morfologia Funzionale per poter essere insignito Dall'ente a comprendere le potenzialità di un cane da caccia, ma diviene rilevante interpretare il loro operato dal punto di vista fisiologico e psicologico in un nuovo contesto che chiama tutti gli appassionati (e gli stessi esperti) ad ampliare le proprie conoscenze. Argomento trainante sarà il capire come la Psicologia, l'Anatomia e la Morfologia Funzionale, possano andare di pari passo intrecciandosi più volte nel testo ed aiutando il cultore a mettere a fuoco come ogni soggetto esprima, nel movimento, la costruzione, le doti ed il carattere. La Psicologia, L'Etologia, il Comportamentismo e l'addestramento Partendo dal presupposto che le misure biometriche sono numeri assoggettati a regole matematiche (e come tali vanno accettati), bisogna ricordare che gli standards elencano, in modo diluito e non approfondito, le caratteristiche psicologiche che deve avere il rappresentante tipo di una determinata razza di cani da caccia. La maggior parte di queste caratteristiche fanno appunto riferimento esclusivamente al portamento. La Psicologia ci insegna che il carattere di un soggetto (e lo stato emozionale che deriva dagli stimoli del mondo esterno) viene espresso tramite atteggiamenti quali la postura, il movimento e le relazioni intra ed inter-specifiche generate dalle esperienze maturate. I muscoli sono fondamentali per produrre movimento, mantenere l’equilibrio posturale, ma la loro funzione va ben oltre una semplice azione meccanica; i muscoli producono gesti ed espressioni emozionali a significato relazionale intra ed inter-specifici e che si caricano di significati psicologici. In questo contesto espressivo si dà ampio rilievo a quel complesso processo di coordinazione muscolare che genera atteggiamenti posturali e che esprimono, per lo più inconsapevolmente, i modi d'essere al mondo. Di estremo interesse è il fatto che diverse funzioni del sistema muscolare sono affidate, talvolta, agli stessi gruppi di muscoli. Tale apparente paradosso è ben superabile se si pensa alla regolazione operata dal Sistema Nervoso Centrale sia sottocorticale che corticale: in quest’ultima struttura encefalica (es. area parietale) si dovrebbero coordinare tutti i livelli funzionali che impegnano i muscoli. La coordinazione attiva è strettamente legata (o il diretto prodotto) all’autorappresentazione immaginativa. Pertanto si potrebbe sostenere che gli atteggiamenti postural-corporei sono rappresentazioni periferiche delle rappresentazioni del corpo (immagine corporea elaborata corticalmente). Inoltre, a partire dalla nascita e per tutta la carriera venatoria, verranno espresse esclusivamente quelle capacità affiorate o fatte magistralmente affiorare dall’uomo benché il cane sia già dotato di un minimo supporto genetico: le doti innate. Non affrontando anche questo argomento, avvantaggiandosi della Psicologia, si ometterebbe di verificare alcune caratteristiche che sono d'importanza basilare per una attenta selezione del cane da ferma moderno. L’analisi psicologica del cane ha portato a comprendere che l’espressione delle doti naturali non può essere supplita dall’insegnamento. Altrettanto è affermabile che le doti naturali possano cadere nel dimenticatoio senza l’esistenza dell’apprendimento dai congeneri. Un vero rebus naturale. Da questa presa di coscienza si rende necessario che chi ha intenzione d’intraprendere la carriera di allevatore o di handler, non deve misurarsi solo con la selezione estetica e/o morfo-funzionale, ma anche con la selezione psicologica che è, per esempio, direttamente correlata con l'aggressività e la combattività. Se da un lato è intuibile il fatto che un dresseur possa aver piacere di condurre un soggetto che spicca per tali doti di dominatore, è altrettanto vero che nella routine delle prove di lavoro spesso sono più gli inconvenienti che i vantaggi derivanti dal fatto di avere un cane del genere (anche se nella maggior parte delle volte tali doti sono solo esternate tramite posture). Dall'analisi di ciò espresso sopra, addestramento e Comportamentismo vanno quindi di pari passo. Addestrare vuol dire insegnare e radicare nel cane determinati comportamenti e risposte a stimoli di varia natura, sapendo, nel contempo, assecondare caratterialmente il cane: errata istruzione od errato apprendimento conducono a ripetitività comportamentali non consone a ciò effettivamente richiesto dall’addestratore e dalla pratica venatoria. Utilizzando la Psicologia canina ed analizzando come il cane impara dalle sollecitazioni del mondo circostante, si può capire il metodo con cui è meglio stimolare il singolo all’apprendimento. D'altro canto, l'Esperto Giudice potrà, tramite la conoscenza del Comportamentismo, capire il metodo utilizzato per addestrare il soggetto in visione, le sue potenzialità, il suo livello di apprendimento, ecc. Il Comportamentismo è quindi lo specchio dell'addestramento a prescindere dal turno dei dieci minuti delle prove di lavoro. Zoognostica, Cinognostica e Cinometria (con compendi di Anatomia e Morfologia Funzionale) Come tutti sanno, gli standards vanno interpretati. Può quindi capitare che le interpretazioni personali si discostino l’une dalle altre a tal punto da generare errori di selezione. Questi si ritorcono, a lungo andare, sulla stessa stabilità morfologico-funzionale-temporale della razza. Gli errori d’interpretazione prendono forma da quei dettami degli standards che generano caos e conflittualità tra gli stessi cinofili, anche se tutti mirano, coscienziosamente, allo stesso obbiettivo. Sino ad oggi l'allevamento si è basato su un empirismo tramandato e/o sul soggetto premiato, creando così un tipo nella mente dell'osservatore. Come nella maggior parte delle volte succede, il soggetto che ha conquistato il gradino più alto del podio è il meno peggio tra quelli presentati nell'occasione della manifestazione. Purtroppo ciò viene invece interpretato come lo standard fatto cane, anche se così non è. Per possedere capacità interpretative e leggere in modo coerente gli standards morfologici, è necessaria una basilare e solida conoscenza dell’Anatomia e della Fisiologia del cane. E per comprendere quest'ultime si impone la conoscenza della terminologia anatomica. E’ perciò importante, per la futura evoluzione e selezione di una razza, che tali fraintendimenti vengano a ridursi al minimo e nel minor tempo possibile. Questa ricerca non si limiterà a mettere in evidenza l’apparato scheletrico (e che da solo tenderebbe a semplificare la complessità dell'argomento), ma darà dovuto spazio all'Anatomia nel suo complesso, soffermandosi sugli organi di movimento e di senso. Come guida visiva saranno presenti illustrazioni anatomiche e richiami esplicativi che permetteranno al lettore di concentrare l'attenzione sulla parte del corpo analizzata. La Morfologia Funzionale ed Adattativa La Morfologia Funzionale è quella branca delle Scienze che studia il perché delle strutture biologiche e la loro presunta funzione su basi matematiche. Gli organi di movimento (i muscoli), quando montati su uno scheletro proporzionato e con giunture ossee conformi allo standard, danno origine ad armoniosità delle forme. Se queste sono abbinate ad una psiche equilibrata generano un movimento corretto. In effetti, solo il movimento corretto sviluppa in modo ottimale ed armonico la massa muscolare e quindi, durante l'accrescimento, lo scheletro. Paradossalmente, paragonando il movimento corretto (dal punto di vista scientifico è il più utile ed il meno affaticante) alla forma dei muscoli sviluppati con l'allenamento, si potrebbe risalire a quale debba essere la loro grandezza e dimensione tipo in rapporto all'ossatura sviluppata. Se la struttura ossea indica, a grandi linee, la postura ed il tipo di movimento che potrà essere eseguito, la muscolatura crea, come anticipato, quelle sfumature conformazionali che sono l’ultimo tocco dell’artista e che danno pieno risalto ad una bellissima scultura: il cane da caccia moderno. La Morfologia Funzionale analizza e spiega scientificamente, tramite la Fisiologia e le leggi della Fisica, il movimento. Quindi, la Morfologia Funzionale si assoggetta alla Fisiologia ed alle regole della Fisica (che ne sono punti cardine). Fare riferimenti alla Fisiologia ed alle leggi della Fisica a piacimento non consente una precisa analisi morfo-funzionale. Quando un cane da caccia è costruito in maniera corretta ed è dotato di capacità venatorie eccellenti, si può parlare di soggetto bello e bravo. Questo non è altro che l’anello di congiunzione tra le corrette proporzione del corpo e l’essere dotato di caratteristiche psicologiche che ne stimolano il movimento e le posture. Quindi non è solo la morfologia che detta postura e movimento, ma altrettanto importante è la psiche. Una corretta forma, quando mescolata al carattere di razza, mette in relazione corpo e anima del vero campione assoluto. IL CANE Canis lupus familiaris ordine Carnivora famiglia Canidae genere Canis specie familiaris Esopo (23), già sei secoli prima di Cristo, meditava su come classificare le razze esistenti a quei tempi. Il criterio scelto era di classificarli secondo i paesi di provenienza ed a sommarie funzioni, privilegiando la caccia. Così fu anche per Aristotele (24), Senofonte (25) e Virgilio (26). Nel Medioevo con Alberto il Grande (27) e nel Rinascimento si avranno nuove ipotesi di classificazione fino a giungere nel cinquecento al celebre Dottor Caius (John Keis) (28) di Cambridge che nel suo Trattato delle razze canine proporrà una classificazione per funzioni suddividendo i cani in tre grandi categorie: -- cani da caccia (compresi i Levrieri); -- cani da utilità (da gregge, da guardia, da traino, ecc); -- cani da compagnia. Siamo nel settecento ed i cani sono ravvisabili in una trentina di aspetti, meglio ancora che di razze. Quindi Buffon (29) li riordina secondo un sistema tutto suo, basato sulla posizione delle orecchie: -- cani a orecchie erette (Volpini, da Pastore ed altri); -- cani a orecchie semiricadenti (Levrieri, ecc); -- cani a orecchie molli e ricadenti (le razze da caccia). Qualche decennio più tardi, George Cuvier (30) amplierà i criteri di classificazione andando oltre alla posizione delle orecchie, prendendo in considerazione anche le caratteristiche del cranio e della struttura del pelo. A fine Ottocento, il cinologo francese Jean Pierre Mégnin (31) fonderà la sua celebre (ed ancora attuale) classificazione sulla base di criteri di somiglianza morfologica e suddividerà di conseguenza i cani nei seguenti quattro gruppi: -- Lupoidi Cranio piramidale, muso allungato, occhi piccoli e obliqui, orecchie solitamente dritte, corpo agile e proporzionato, temperamento sospettoso ed indipendente. Il mantello può essere da molto lungo (Pastore Belga, Pastore Scozzese e Spitz), a corto e duro (Pastore tedesco e Fox Terrier), a lungo a boccoli e ciocche (Bobtail, Briard e Pastore Bergamasco). Il tronco è generalmente iscritto nel quadrato. -- Braccoidi Testa che si avvicina alla forma prismatica, con il muso tanto largo all’estremità quanto alla sua base e separato dalla fronte da una depressione (stop) ben marcata; il tronco è inscrivibile in un rettangolo, orecchie cadenti, le labbra superiori si accavallano alle inferiori. Il carattere è dolce, plasmabile (cani da ferma). -- Graioidi Testa a forma di tronco di cono allungato, cranio stretto, orecchie piccole portate indietro o dritte; muso lungo e sottile in linea retta con la fronte; naso saliente ed angoloso debordante con la bocca; labbra piccole, corte e serrate; tronco iscritto in un quadrato, corpo slanciato, ossa leggere, ventre retratto, temperamento distaccato ed ipersensibile. Si tratta del gruppo dei Levrieri, il più omogeneo ed è anche quello che meglio ha conservato le caratteristiche originali. -- Molossoidi Cranio voluminoso cuboide, orecchie piccole e cadenti, muso corto; labbra lunghe, spesse e lasse; struttura massiccia, temperamento placido ed equilibrato (dal San Bernardo al Carlino). Tronco iscritto nel rettangolo. Le razze di cani ufficialmente riconosciute oggi sono più di quattrocento e variano per taglia dal chilogrammo scarso del Chihuahua all’oltre quintale del San Bernardo. Questa enorme variabilità di forma e dimensione, frutto di millenni di selezione da parte dell’uomo, si accompagna ad una pari variabilità nell’espressione dei comportamenti tipici di specie. È impensabile che il lungo ed articolato processo evolutivo che a partire dal lupo ha consentito di arrivare al cane (Canis lupus familiaris) in tutte le varietà che esistono oggi, non abbia modificato in maniera diversa da razza a razza il complesso etogramma (9) del cane. Per questo sono sorte, in ambito scientifico, diverse diatribe sull’origine evolutiva del cane. Dal punto di vista genetico si è potuto riscontrare una corrispondenza quasi completa tra il DNA di lupo e quelli di cane, sciacallo e coyote (rispettivamente Canis lupus, Cane Familiaris, Cane Aureus e Cane Latrans). Studi che analizzano il DNA mitocondriale possono supportare l’ipotesi che questi quadrupedi derivino da un antenato comune, molto simile al lupo, di cui si possono praticamente considerare sottospecie. Al genere Canis appartengono, oltre al cane, lo sciacallo, il lupo, il cuon, il coyote e la volpe, tutti con lo stesso numero di cromosomi (settantotto). Lupo, cane, sciacallo e coyote, infatti sono in grado, se incrociati, di dare prole feconda e sono contraddistinti unicamente da differenze di natura ecologica ed etologica, oltre che morfologica. Tutti i canidi sono animali opportunisti (cioè poco specializzati e capaci di adattamento a molti ambienti), ottimi corridori e con una strategia di caccia fatta di lunghi inseguimenti. La vita sociale è tutta rivolta al successo predatorio. Dal punto di vista sociale, questi animali hanno adottato strategie diverse, a seconda del tipo di risorse ambientali disponibili, come anche lo stesso lupo varia la composizione numerica del branco a seconda del tipo di prede che deve cacciare. Lo sciacallo ed il coyote sono monogami e vivono in clan, la volpe conduce una vita in gran parte solitaria, il lupo ed il licaone possono vivere solitari, in gruppi familiari oppure in grandi branchi. Il cane, a sua volta, può adottare tutte queste strategie sociali (alcuni cani vivono agevolmente in mute numerose senza conflitti, altri tollerano a malapena un esemplare di sesso opposto per il periodo dell’accoppiamento). Per meglio comprendere il comportamento (8) del cane è bene analizzare le caratteristiche che oltre dodicimila anni fa hanno fatto sì che l’uomo lo scegliesse come primo animale domestico. I più antichi reperti archeologici che possono confermare una convivenza di uomini e cani risalgono al periodo Mesolitico (circa diecimila anni prima di Cristo). Si può ipotizzare che la prima funzione utile svolta dal cane fosse quella di sentinella: i cani selvatici-lupi avevano probabilmente cominciato a vivere intorno agli insediamenti umani cibandosi dei residui alimentari che reperivano nelle discariche (funzione di spazzini) e quando qualcuno (uomo o animale) si avvicinava, avvisavano che il territorio era stato invaso. Questo servizio era sicuramente molto utile in un mondo ancora frequentato da temibili fiere e tribù nemiche. Vi sono teorie molto più attuali che fanno però risalire la domesticazione (10) del cane a periodi di gran lunga antecedenti a queste date e che asseriscono addirittura che il sopravvento di alcuni clan di primi uomini cacciatori di Cro-Magnon su gli uomini Neanderthaliani sia stato determinato proprio dall’alleanza dei primi con i lupi, che gli avrebbe permesso, attraverso il loro utilizzo a fini venatori, la possibilità di passare più velocemente, rispetto ai concorrenti, ad una dieta prevalentemente a base di carne (con tutti i risvolti evolutivi che ciò ha implicato). La convivenza più stretta con il lupo ha permesso all’uomo di notare la grande efficacia predatoria (spesso frutto del lavoro di gruppo) di questo animale. Non fu però solo l’uomo, ma più probabilmente l’ambiente da esso modificato a selezionare i caratteri dei cani che il bipede poteva ritenere adatti al cambiamento di stile di vita in essere. Il cane, quindi, non è altro che il risultato della disgiunzione in singoli moduli comportamentali (32) del corredo innato del suo precursore. Il passo successivo della co-evoluzione delle due specie è stato quello di collaborare nella caccia e successivamente nella sorveglianza degli armenti poiché da cacciatore/raccoglitore il bipede stava diventando coltivatore ed allevatore. L’uomo ha attuato, quindi, un processo di selezione artificiale ed il criterio con cui venivano scelti i soggetti che potevano accedere alla riproduzione ed acquisire così la possibilità di trasmettere il loro corredo genetico alle generazioni successive, era quello di privilegiare i soggetti più efficaci nel lavoro e geneticamente programmati per ubbidire o, quando permesso, divenire leader. Quando un cane assomiglia comportamentalmente al lupo, significa che è fortemente gerarchico. Molti appartenenti a razze da ferma tedesche (così classificate dalla F.C.I.) hanno assoluto bisogno di identificare il capobranco in un rigido conduttore. In un eventuale caso contrario, tendono ad assumere questo ruolo in prima persona. Questo si traduce in un cane autoritario, disobbediente, testone, fuggiasco, ecc. Ciascun comportamento può essere considerato come una sequenza di schemi motori (che ne sono le componenti elementari). Il modo in cui ogni schema motorio viene eseguito da un individuo è condizionato da come lo specifico assetto genetico dello schema stesso è stato elaborato in base all’esperienza. Comportamenti geneticamente programmati hanno bisogno comunque di essere attivati e modulati, spesso in periodi critici o situazioni specifiche. Per esempio, il comportamento materno ha una forte base istintiva (33), ma viene notevolmente migliorato dall’apprendimento che ha avuto luogo in eventuali parti precedenti o assistendo all’allevamento di cucciolate di altre femmine (spesso la madre stessa della fattrice). Esiste comunque un limite oltre il quale l’ambiente non è in grado di influenzare l’intensità con cui si manifesta un comportamento determinato geneticamente: non è possibile far comparire repertori assenti o cancellare quelli presenti. Per esempio, un cane da seguita è selezionato per abbaiare durante l’inseguimento e può tendere a farlo anche in altre circostanze in cui è eccitato. Nel caso in cui uno di questi cani durante la caccia non abbaiasse, sarebbe piuttosto improbabile riuscire ad insegnarglielo in quanto la base del comportamento è genetica. L’organizzazione di un branco di lupi è rigida al suo interno, ma può variare da branco a branco a seconda del numero dei componenti e del grado di loro imparentamento. La solidità del branco viene mantenuta attraverso i rituali di socializzazione (34), che si attuano attraverso i gesti di affetto, di sottomissione, i cerimoniali di saluto, di pacificazione, di gioco e che a noi umani possono far sorridere e possono perfino sembrare ridicoli per la loro eccessiva teatralità (ma che per il lupo e per il cane sono alla base della comunicazione). I branchi sono in genere costituiti da cinque/quindici componenti massimo, dato che un numero maggiore di individui sarebbe antieconomico in termini di capacità predatoria. L’organizzazione è basata sulla predominanza lineare, cioè sulla gerarchizzazione rigida a scendere verso il basso, partendo da un maschio chiamato alfa (non così tra i cani, dove può essere indifferentemente maschio o femmina). La posizione di ogni membro appartenente al branco è detta rango e viene stabilita sin da cuccioli attraverso lotte e sottomissioni continue, come avverrebbe nelle cucciolate di cani se non venissero allontanati fin da giovani dalla fattrice per destinarli ai nuovi proprietari. Il maschio del lupo concorre alla crescita della prole e, al momento buono, spiega le regole del gioco gerarchico in concorso con la madre. Il rango può variare a seconda della capacità del singolo di farsi strada risalendo la scala sociale scontrandosi con i propri superiori e battendoli uno a uno sino ad arrivare al capobranco. Questo tipo di arrampicata sociale è di fatto continuamente saggiata dagli sfidanti nei confronti dei dominanti, attraverso una ritualizzazione dell’aggressività che evita assolutamente il passare veramente alle vie di fatto, sino al momento buono, che in genere coincide con la stagione degli accoppiamenti. E’ quindi un continuo valutarsi, sfidarsi e sottomettersi ritualmente ciò che governa la gerarchia, senza però passare mai, se non perché veramente convinti dell’opportunità’ di tale scelta per risalire la scala gerarchica, alla vera e propria lotta. E’ una guerra psicologica in cui il vincitore è sempre il più astuto o il più opportunista, non necessariamente il più forte o il più aggressivo. Per quanto riguarda i cani, si può affermare che le femmine di solito sono meno attive fisicamente, tendono a sottomettersi all’uomo più facilmente ed amano di più il contatto fisico con esso. Con gli altri cani, però, specie se femmine, spesso si instaurano forme di aggressività di difficile gestione. I cani maschi, come i lupi, hanno maggior necessità di ritualizzare i comportamenti aggressivi per fare sì che si limitino alla fase di minaccia. Tutti i cuccioli sono istintivamente dominanti e solamente l'uomo gli può fornire un’educazione ed una protezione, cioè il sostegno psichico necessario a capire che tale atteggiamento deve essere necessariamente moderato al momento giusto, in modo da permettere un futuro sereno inserimento all’interno del contesto caccia e prove di lavoro. Dobbiamo quindi vedere le cose dal punto di vista del cane per capirne la comunicazione. I metodi con i quali comunichiamo con il cane si possono riassumere in segnali uditivi e visivi sostanzialmente legati ai nostri atteggiamenti corporei (o posture), organizzati in forme più o meno ritualizzate e complesse, tattili (quali lo scrollamento della pelle tra le spalle e la nuca, la tirata d'orecchio, lo strattone al collare) e chimici (involontari). In questo ultimo caso, sarebbe meglio parlare di informazione più che di vera e propria comunicazione. Infatti la comunicazione si verifica ogni volta che tra un emittente (che invia un segnale) ed un destinatario (che lo riceve) si stabilisce il cosiddetto patto comunicativo che prevede un reciproco e comune interesse. In assenza di questo c’è solo informazione. Un esempio. La cagna comunica al cane che è pronta per l’accoppiamento. La comunicazione di un animale dipende dalla sua percezione. Se non sappiamo come e cosa percepisce non possiamo comunicare con lui. La percezione dipende dagli organi percettivi, dalla percezione dello scorrere del tempo e dalla rilevanza dei segnali per la specie esaminata. La comunicazione del cane avviene principalmente attraverso quattro canali facenti riferimento ai corrispettivi sensi: olfattivo (e paraolfattivo), visivo, acustico e tattile. Spesso il cane usa associazioni di questi mezzi comunicativi. Questa pratica si definisce ridondanza informativa e serve a rafforzare alcuni segnali. Un classico esempio di segnale diretto al cacciatore (ma da pochi rilevato come tale) è il cercare con gli occhi il selvatico a terra dopo averlo fermato con l'olfatto (indice della immediata vicinanza della preda). Tornando ai lupi, la responsabilità del leader è quella del padrone del branco, che guida la caccia, difende il territorio, prende l’iniziativa sempre ed in ogni occasione. Viene ossequiato dagli altri con rituali di sottomissione che si attuano annusando e mordicchiando la bocca in quello che viene chiamato invito al rigurgito e che altro non è che un rituale di richiesta di cibo messo in atto dai lupi, ma anche dai cani sin da cuccioli. Il capo branco ha tra le sue prerogative il privilegio di accedere al cibo per primo, ma ha anche l’obbligo di soddisfare tutti gli altri che partecipano al banchetto dopo di lui, lasciando una parte sufficiente di alimento. Nel periodo degli accoppiamenti ha il diritto di presentarsi per primo alla femmina recettiva, ma sono poi le femmine che si riservano di decidere se il maschio che gli si propone possiede le caratteristiche genetiche complementari alle loro. Il meccanismo con cui le femmine di lupo, ma anche di cane, operano questa selezione, è ancora ignoto e si ipotizza un sistema su base olfattiva o paraolfattiva mediante feromoni (21). Questo meccanismo serve anche ad evitare che venga ostacolata la dovuta differenziazione dei riproduttori, meccanismo che in natura tutela la preservazione di quello che viene chiamato pool genetico. Se tanti riproduttori sono disponibili perché selezionati dalle femmine, non andranno avanti solo i geni dei più forti o dei più aggressivi, ma ci sarà spazio anche per il più opportunista, il più scaltro o l'ipersessuato. Il fenomeno del polimorfismo comportamentale all’interno delle varie cucciolate serve a garantire la possibilità che non tutti debbano necessariamente avere la volontà di divenire leader. Il territorio di caccia dei lupi varia nell’ordine di centinaia di chilometri quadrati ed è marcato con le feci, con le urine e attraverso le ghiandole perianali, nonché con le emissioni di feromoni che sono prodotti negli spazi interdigitali. Questi hanno il compito, visto che ogni singolo animale è riconoscibile per il suo peculiare tipo di emissione feromonale (un tipo una impronta digitale olfattiva), di chiarire agli interessati che il territorio è occupato. Il marcare il territorio cresce nel lupo come nel cane con l’aumentare del numero dei soggetti presenti o che vi hanno lasciato la loro firma. Nei campi prova ed addestramento cani avviene ovviamente in misura maggiore. Ed è anche il motivo per cui i cani maschi di norma “sporcano” di più delle femmine durante le prove di lavoro. E’ comportamento soggettivo ed è dovuto alla maggior territorialità, in quanto il ruolo di cacciatore naturale spetterebbe più al maschio che alla femmina. Nel momento in cui si decide di dotarsi di un cane da caccia, bisogna prendere in considerazione anche diversi altri fattori come sesso, taglia e similitudine tra la vocazione originaria ed il reale utilizzo che se ne farà: è ovvio che per la caccia alla lepre, sarà più indicato un segugio che un Setter Inglese od un Pointer Inglese. -- Sesso Quasi tutti i cacciatori che decidono di prendere un cane per la prima volta vogliono un maschio. Non sempre è la scelta migliore. Tra i vantaggi si può considerare il fatto che non va in calore e sicuramente non si rischia di avere cucciolate indesiderate. Spesso è più appariscente, con più pelo, una testa più grande, insomma a prima vista più bello. Almeno in teoria è possibile poter usare il maschio come riproduttore guadagnando con i diritti di monta. Gli svantaggi invece comprendono il fatto che molto più spesso delle femmine non va d’accordo con i conspecifici dello stesso sesso, inoltre è più frequente che “marchi”, scappi e vagabondi. Quando deve sporcare emette piccoli quantitativi di urina ripetutamente e le uscite igieniche devono essere più lunghe per coloro che non possiedono un box. Più frequentemente delle femmine ha problemi di tipo gerarchico nei confronti dei familiari del cacciatore. Un maschio non di qualità eccelsa, non provvisto di titoli espositivi o agonistici, difficilmente viene scelto come riproduttore. La femmina rispetto al maschio è più piccola, sicuramente meno appariscente e richiede attenzioni nei periodi di calore. Anche se non morfologicamente perfetta, si può far riprodurre godendo dell’esperienza del veder crescere una cucciolata ed ottenendo un certo guadagno con l’eventuale vendita dei cuccioli (che comunque comporta anche numerose spese extra). Quando si libera la femmina, questa emette tutta l’urina in una volta e le uscite igieniche sono più brevi. Spesso la femmina è di indole più dolce ed affettuosa. Non vi sono differenze provate nella capacità performativa in compiti specifici addestrativi e di lavoro tra maschi e femmine. -- Taglia Un luogo comune piuttosto diffuso è quello che considera un cane piccolo meno bisognoso di spazio ed attività rispetto ad uno medio o grande. Non sempre è vero, anzi spesso lo è il contrario. Solitamente ha più bisogno di movimento un Epagneul Breton di un Setter Inglese od un Pointer Inglese. --Vocazione ed utilizzo finale Il criterio con cui inizialmente sono state differenziate le razze da caccia è stato quello di ottenere soggetti specializzati per determinati lavori, in cui fosse meno impegnativo nel passaggio da una generazione all’altra il lavoro necessario per ottenere un ausiliario operativo ed efficace. Parallelamente si è messa in atto una evoluzione dell’aspetto esteriore perfezionata enormemente nell’ultimo secolo, sia per le sue valenze funzionali che per le estetiche. Mano a mano che al cane è stata modificata la funzione utilitaristica, le sue capacità performative sono diventate, a volte, inopportune, perché prive di un contesto in cui esprimersi. Ne è esempio l'insistenza di taluni cacciatori di voler restringere il raggio di cerca dei cani da ferma inglesi. Se si sceglie un Setter Inglese od un Pointer Inglese, dobbiamo tenere conto delle esigenze dell’animale che abbiamo preso: se non sono compatibili con i nostri metodi di caccia, faremo meglio a pensare a quale è il costo di sopprimere completamente impulsi per lui spontanei (ammesso di esserne capaci da riuscire nell’impresa), in termini di impegno per noi e di sofferenza per l’animale. Per un cane, il poter esprimere i comportamenti intrinseci del suo patrimonio genetico fa parte del soddisfacimento dei bisogni vitali, come il mangiare: gli schemi motori, specialmente quando ipertrofizzati, hanno forti motivazioni interne ed è la loro stessa esecuzione che fornisce appagamento. Quando comperiamo un cane da ferma inglese, se abbiamo a cuore il suo benessere (oltre che il nostro), dobbiamo tenere conto anche di questo, analizzando le effettive possibilità di soddisfare le esigenze etologiche del nostro compagno. Andando a verificare per che utilizzo si sono selezionate le razze da caccia, si può avere un’idea delle eventuali difficoltà di adattamento che potrebbero incontrare in un contesto diverso. 1) LA PSICOLOGIA Il termine Psicologia ha etimologia greca e significa discorso sull’anima. La Psicologia odierna è una scienza sperimentale basata sull’osservazione (19) e sull’esperimento (studio formale e matematico dei contenuti mentali). I primi studiosi che avviarono nell'Ottocento lo studio sperimentale, intendevano provare la continuità tra i fenomeni fisici e quelli psichici. A questo obiettivo miravano le ricerche condotte da Weber e da Fechner sul rapporto tra lo stimolo (17) fisico e la risposta sensoriale. Secondo loro, l’intensità della risposta sensoriale è direttamente proporzionale al logaritmo dello stimolo fisico. Altre ricerche compiute dalla Psicofisica cercavano di individuare in maniera rigorosa la soglia al di sotto della quale uno stimolo cessa di produrre una risposta. Sembrava quindi delinearsi la possibilità di unificare in un’unica trattazione matematica i dati del mondo fisico e le corrispondenti risposte mentali. Un'altro studioso della materia, Wundt, diede un contributo decisivo per la costruzione sistematica di una Psicologia sperimentale basata sui fatti e su rigorose misure matematiche. Per Wundt la mente è formata da contenuti elementari che, aggregandosi, danno vita ad un composto. Gli elementi semplici sono di tre tipi: immagini, sensazioni e sentimenti. Nel composto, però, appaiono proprietà addizionali che non si trovavano negli elementi semplici, analogamente a quanto accade nella formazione dei composti chimici. Alcuni esperti americani, anziché considerare la mente come un ricettacolo di contenuti, preferirono prendere in esame le interazioni tra la realtà mentale e l’ambiente esterno in cui essa opera e con cui spesso entra in rapporto conflittuale. Secondo questo indirizzo, la Psicologia doveva studiare i processi di adattamento della mente nei confronti dell’ambiente. Nel proseguo, taluni studiosi abbandonarono la prospettiva che privilegiava i contenuti e preferirono mettere l’accento sugli atti che la mente compie: condividevano l'opinione che gli atti mentali erano contrassegnati dalla intenzionalità. L’intenzionalità consisteva nel fatto che essi si riferiscono sempre a qualche oggetto; un pensiero, per esempio, è sempre pensiero di qualcosa. Questa oggettività intenzionale, che è il correlato dell’atto mentale, doveva essere distinta dall’esistenza reale degli oggetti esterni alla mente. Gli oggetti a cui questa si rivolge sono, infatti, interni ad essa stessa. Proposero quindi una classificazione tripartita degli atti mentali: ideazioni (che sono le mere rappresentazioni degli oggetti), giudizi e sentimenti. Altri psicologi, sostenevano che la percezione di una totalità di elementi è la percezione di una forma non riducibile alla somma degli elementi che vi prendono parte. Ciò equivale a sostenere un punto di vista olistico, ossia il primato della totalità rispetto alle parti costitutive. Nella visione, per esempio, non vengono percepiti i singoli elementi separati l’uno dall’altro; al contrario la coscienza coglie immediatamente delle totalità strutturate, come appare evidente quando osserviamo un quadro e spontaneamente raggruppiamo i molteplici elementi in forme significative e relativamente semplici, quali sono quelli del soggetto in primo piano, del panorama formato da monti e nuvole, ecc. L’interesse degli psicologi si è successivamente indirizzato verso uno studio sistematico dei principi fondamentali secondo cui la mente costituisce le totalità strutturate della percezione. Possiamo elencare i principi della somiglianza, della vicinanza, della chiusura, della buona continuazione e del destino comune. Questi principi di unificazione permettono di individuare all’interno del campo visivo i blocchi secondo cui si struttura la percezione. Il principio della buona continuazione fa sì che, là dove è possibile, la mente percepisca figure relativamente regolari e continue; il principio del destino comune fa sì che venga visto come un blocco unitario ciò che si muove con la stessa velocità nella medesima direzione. Le ricerche compiute misero in evidenza quei fenomeni di improvvisa ristrutturazione dei materiali psichici che permettono di considerarli in una prospettiva nuova e che suggeriscono, talora, la soluzione di un problema. Questo fenomeno di ristrutturazione è chiamato intuizione ed è alla base del cosiddetto pensiero produttivo. La psiche, con tutti i fattori cognitivi, emotivi e gli oggetti dell’ambiente circostante, costituiscono un campo totale. All’interno di questo operano molteplici forze che, interagendo l’una con l’altra, producono i bisogni, gli impulsi, ecc. 1.1) L'orientamento fondamentale della Psicologia scientifica Il Comportamentismo è un indirizzo della ricerca psicologica in connessione ad indagini nell’ambito della Fisiologia. Esso tende a spiegare tutto ciò che si riferisce alla mente in termini di comportamento osservabile. Tutto ciò che non è riconducibile al comportamento può essere accantonato in quanto non necessario alla rigorosa indagine scientifica. Il vantaggio che dovrebbe derivare da questa scelta metodologica dovrebbe essere quello di elevare la Psicologia a un rigore sperimentale paragonabile a quello della Fisica. La mente è considerata, dal Comportamentismo, un sistema che fornisce risposte a stimoli provenienti dall’ambiente fisico o dall’organismo vivente. I concetti fondamentali furono tratti dalle ricerche del fisiologo russo Pavlov. Studiando la Fisiologia della digestione nel cane, Pavlov osservò che, se ad uno stimolo S, che normalmente provoca la risposta R, si associa ripetutamente un altro stimolo S2, che normalmente non produrrebbe la risposta R, allora, a seguito della ripetuta associazione, basta che si verifichi S2 affinché segua la risposta R. Questo è, in generale, lo schema (16) del condizionamento (13). Così, per esempio, posto che normalmente il cane emette saliva quando gli viene somministrato il pasto, la vista dell'arrivo del dresseur con la ciotola da cui abitualmente gli è somministrato il cibo, potrà bastare, per effetto del condizionamento, a suscitare la salivazione. Dallo studio della correlazione stimolo/risposta si è giunti a formulare la legge dell’effetto e la legge della ripetizione. La legge dell’effetto afferma che una qualsiasi connessione tra stimolo e risposta risulta consolidata se la risposta è accompagnata da qualche soddisfazione per il cane. La legge della ripetizione afferma che, a parità di condizioni, una connessione tra stimolo e risposta risulta consolidata allorché è ripetuta. La ripetizione degli esercizi durante le sedute di addestramento, segue i dettami di questa legge. Il cosiddetto Neo-Comportamentismo, sviluppatosi in successione al Comportamentismo, ha attribuito alla mente un ruolo più attivo nell’esplorazione dell’ambiente e nell’elaborazione delle conoscenze: nell’interazione tra soggetto ed ambiente vengono introdotte le aspettative e le condizioni psicologiche, cioè il quadro delle possibili relazioni tra le componenti dell’ambiente. Tutti questi fattori si inseriscono nella relazione tra lo stimolo e la risposta e sono perciò detti variabili intervenienti (7). Un esempio. Un selvatico viene abbattuto e cade al di là di un canale pieno d'acqua. Tra lo stimolo (selvatico caduto) e la risposta (riporto) insiste la variabile canale che, se il soggetto ne è intimorito, inibisce la risposta ed allontana l'aspettativa del cane di ricevere un rinforzo positivo (premio o carezza) dopo aver eseguito il riporto . Taluni soggetti manifestano l'allontanamento dell'aspettativa con stati d'ansia più o meno evidenti. 1.2) La Psicologia canina e l'Etologia La Psicologia canina è la scienza che studia il comportamento del cane socializzato con l’uomo. Questa scienza ci viene in aiuto trasmettendoci preziose informazioni sui sistemi di apprendimento dei cani e su come sia possibile condizionare e controllare efficacemente i loro comportamenti, premiando quelli graditi ed ignorando quelli non desiderati. Il comportamento di un cane è il risultato dell’influenza combinata tra informazioni genetiche ed ambiente in cui vive. Come ogni animale domestico, anche il cane deriva da un antenato selvatico. Lupo e cane condividono un patrimonio genetico tanto simile da poter essere classificati nella stessa specie: canis lupus. Il cane, però, non è semplicemente un lupo da salotto: è un animale altamente specializzato, perfettamente adattato all’ambiente domestico, proprio come il lupo è perfettamente adattato all’ambiente selvatico. Il cane è cambiato per l’intervento diretto dell’uomo che, attraverso la selezione, ha aumentato e ridotto alcuni comportamenti e determinate attitudini, allo stesso modo con cui seleziona l’altezza al garrese od il colore del pelo per una certa razza. Tutti i cani mantengono comunque lo stesso comportamento di base. Il cucciolo di cane eredita quindi il risultato genetico di quest’antica ed in parte ancora misteriosa storia di uomini e lupi, ma non solo: subisce anche l’influenza dell’ambiente in cui vive. L’ambiente è tutto il mondo esterno, dalla pancia della madre fino alle carezze dell’uomo ed alla detonazione di una cartuccia. Tutto questo influenza lo sviluppo del comportamento del cane. In alcuni comportamenti è più forte la componente genetica (il cane è in grado di esibirli in modo completo ed efficace fin dalla prima volta ed è poco influenzabile dell’esterno). In altri, invece, è maggiore la componente ambientale ed il cane è in grado di modificare il suo comportamento, quindi di imparare. I fattori implicati nell’ontogenesi del comportamento, intesa come elaborazione, perfezionamento od evoluzione dello stesso comportamento durante lo sviluppo dell’individuo, sono definiti determinanti del comportamento e sono quei fattori che gli conferiscono una peculiarità differenziandolo da altri comportamenti. I determinanti sono classificati in due categorie: interni (o fattori genetici) ed esterni, quali l’ambiente esterno e l’esperienza. Ma l’affermazione moderna è che la genetica e l’ambiente non sono dei determinanti che si sommano o procedono con direzioni parallele, ma sono in interazione permanente. Nel millenovecentosessantanove, il dottor Jansen pensava che l’intelligenza avesse una base ereditaria all’ottanta per cento e un’influenza dell’ambiente nella misura del venti per cento, ma ciò fu largamente rifiutato ed etichettato come un nonsenso scientifico. La difficoltà delle diatribe concernenti l’innato e l’acquisito non dipendono tanto dai termini o dalle percentuali, ma dalla relazione fra queste componenti. La “e” evoca un’accumulazione, mentre si tratta di un’interazione. Ed è per questo che l’espressione “trasmissione del patrimonio genetico” induce in errore. Un patrimonio è la risultante di oggetti precostituiti, mentre non esistono che promesse genetiche, che si realizzeranno o meno con l’interazione, o la variazione, dell’ambiente esterno. La selezione canina, basata esclusivamente sui campioni di lavoro, è scientificamente scorretta perché è l’interazione fra genotipo ed ambiente che crea un insieme unico di caratteristiche che costituiscono il fenotipo. Mentre ora si ammette comunemente che questa interazione intervenga nell’ontogenesi dei comportamenti, prima non lo è stato di certo. Ne è testimone la celebre ed accesa discussione sull’innato e l’acquisito, che ha dominato per molto tempo la storia dell’etologia. Sulla base di queste premesse, la Psicologia canina procede a spiegare l’apprendimento come complesso di abitudini che si instaurano per mezzo dei riflessi condizionati (es. processi di condizionamento di Pavlov). In sostanza, l’apprendimento è ricondotto all’istituirsi di abitudini comportamentali. L’indirizzo comportamentistico è tuttora uno degli orientamenti metodologici fondamentali della Psicologia Scientifica. Il termine Etologia (studio dei gesti) è comunemente usato come equivalente di studio del comportamento animale. Alcuni studiosi intendono solamente lo studio delle componenti istintive del comportamento. L'etologia comprende la descrizione e l'analisi delle attività degli animali ed il valore adattativo di queste ed i fattori che ne hanno determinato lo sviluppo e l'evoluzione. Il comportamento degli animali ha sempre interessato l'uomo, ma l'Etologia, come scienza, nasce solo verso la fine del milleottocento quando ad opera di alcuni neurofisiologi si iniziò ad osservare i comportamenti con spirito scientifico. I fondatori dell'osservazione scientifica del comportamento sono considerati Loeb, Pavlov e Watson che, in quanto meccanicisti, cominciarono a sperimentare sull'animale con lo stesso approccio allora usato per le altre scienze: studiare le parti per comprendere il tutto. Essi rivolsero la loro attenzione ai tropismi (Loeb), come già detto alle reazioni condizionate (Pavlov), al comportamento dei ratti nei labirinti sperimentali ed alle loro capacità di apprendere (Watson). Ma ben presto altri e più importanti studiosi si affacciarono nel mondo dell'Etologia con approccio più moderno: in Europa operarono Lorenz ed altri nomi importanti del secolo scorso. Essi osservarono gli animali in natura, scoprendo che gli organismi funzionano per mezzo di meccanismi scatenanti innati che permettono loro di riconoscere lo stimolo appropriato appena questo si manifesta: una parte importante del comportamento risulta così ritualizzata e la restante è lasciata all'esperienza e all'apprendimento. A questo approccio si contrapponeva la scuola degli psicologi americani, secondo i quali, invece, quasi tutto il comportamento dipende dall'ambiente al quale l'animale si adatta seguendo le leggi universali dell'apprendimento. Secondo teorie più moderne, è molto probabile e verosimile che gli organismi posseggano un programma innato non così rigido e standardizzato come vorrebbero la scuola di Lorenz, ma più o meno adattabile alle diverse situazioni (e perciò modificabile in modo naturale). Una ricerca etologica inizia con l'analisi preliminare dei comportamenti, che non è solo descrizione di essi, ma anche studio quantitativo e statistico. Per tale scopo si utilizzano tecniche e strumenti diversi. È divenuta pratica comune applicare ai più diversi animali (ma anche negli ultimi anni alla Scolopax Rusticola Linnae) emittenti radio al fine di seguirli nei loro spostamenti in natura (radiogoniometria e triangolazione satellitari). Lo studio etologico di una specie animale inizia, quindi, con un inventario dei moduli comportamentali detto etogramma e che l'osservazione permette di identificare nell'apparentemente grande variabilità dei comportamenti. L'analisi del comportamento può richiedere la sperimentazione, ma l'osservazione ripetuta in condizioni naturali o seminaturali è insostituibile. L'analisi causale dei comportamenti è diretta alla soluzione di quattro problemi fondamentali: le cause immediate, il significato biologico, i determinanti ontogenetici e quelli filogenetici. Le cause immediate (lo studio dei come) cercano di analizzare il comportamento con i metodi propri della Fisiologia, pur con gli ostacoli dovuti all'enorme complessità dell'apparato nervoso ed avendo presente che spesso i sistemi complessi non possono essere compresi in base alle sole proprietà delle loro componenti elementari. Il significato biologico rappresenta lo studio dei perché di un dato comportamento; esso generalmente porta alla conclusione che quel comportamento è diretto al successo riproduttivo dell'individuo. Gli altri due problemi riguardano i determinanti del comportamento, sia quelli che hanno operato durante l'ontogenesi dell'individuo che quelli che si sono modellati nel corso dell'evoluzione della specie: il comportamento è parte del fenotipo e come tale si realizza individualmente dall'interazione con l'ambiente dei fattori ereditari che sono responsabili sia delle azioni istintive, che dei limiti della capacità di apprendere; a loro volta i fattori ereditari della specie cane sono determinati dall'origine della specie stessa e dalle successive selezioni a cui è stata sottoposta. Sebbene ogni specie si comporti in maniera propria, in linea di massima la complessità dei comportamenti è proporzionale a quella dell'animale che li esprime. In ogni caso, elementi comportamentali semplici non si trovano solo negli animali ad organizzazione primitiva, ma fanno parte del repertorio anche del cane (animale evoluto), sebbene spesso integrati in comportamenti complessi. 1.2.1) Il benessere animale Scopo di questo richiamo è quello di presentare al lettore poche righe che permettano la comprensione del benessere animale, tematica sempre presente nella Psicologia canina ed oggi molto dibattuta anche in Italia. E’ pertanto necessario richiamare alcuni concetti di base per farsi una idea generale. Innanzi tutto è bene sottolineare che le problematiche relative al benessere si possono capire e quindi migliorare solo con un approccio scientifico e razionale. Il benessere di un organismo, nel nostro particolare caso il cane, è il suo stato in relazione ai tentativi che mette in atto per adattarsi all'ambiente. È uno stato di salute completa, sia fisica che mentale, in cui è in armonia con ciò che lo circonda. Da questa definizione deriva il fatto che la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che il cane mette in atto per adattarsi all’ambiente in cui si trova per trarne il massimo vantaggio. Infatti, l’organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, primi e precoci segni di necessità di adattamento, ma anche con meccanismi fisiologici che possono avere ripercussioni sullo stato di salute, sull’accrescimento, sull'apprendimento e sul rendimento venatorio. -- I bisogni ed il benessere Nel corso dell’evoluzione i cani preistorici si sono dotati di metodi fisiologici e comportamentali per affrontare le varie difficoltà che incontravano nel corso della vita. Poiché tutti gli animali si sono evoluti in questo modo ed ogni specie è adatta in un modo particolare ad un particolare ambiente, ogni definizione del benessere deve tener conto dell’ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell’animale preso in considerazione. Il benessere di un tal cane è una condizione intrinseca all’animale e non un insieme di valori assegnati al quadrupede dagli umani. Nel corso della vita, i cani, specialmente quelli da lavoro, possono incontrare difficoltà che vanno dall’insignificante al rischiare la pelle durante il lavoro (si pensi alla caccia d'alta montagna). I singoli affrontano queste difficoltà con successo variabile, a seconda delle condizioni ambientali, fisiologiche e comportamentali in cui si trovano ad agire. Fra questi due estremi, il benessere animale può variare da ottimo a pessimo. Da queste considerazione deriva la seguente definizione di benessere. Il benessere è la condizione di un soggetto in conseguenza dei suoi tentativi di affrontare i problemi posti dal suo ambiente. I cani hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici, sebbene alcuni siano stati modificati nel corso della domesticazione. È ovvio che esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e comodo ricovero, non sono cambiate nel passaggio dal cane selvatico a quello domestico. Può essere meno ovvio che la spinta con cui gli animali selvatici si esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell’acqua e del riparo, siano ancora presente nei cani domestici. Come il benessere, anche il bisogno (6) è una caratteristica intrinseca del soggetto. Il benessere del cane può essere valutato attraverso misurazioni (tests) del comportamento, della fisiologia e della salute. Sebbene in alcuni casi una singola misurazione possa dare un’indicazione dello stato, di solito è necessario valutare diversi indicatori per ottenere una valutazione chiara. Il test di preferenza, per esempio, consiste nel mettere l'animale di fronte a delle scelte fra differenti cibi. La forza di una preferenza determina se può essere vista come un bisogno. Il test di avversione può misurare la forza dell’avversione di un cane ad un dato stimolo. Sono di qualche utilità il misurare gli effetti del rumore da colpo di fucile, ma i risultati possono essere confusi dagli effetti dell’errato apprendimento. Anche la performance agonistica può essere utilizzata come indicatore, ma bisogna fare attenzione a valutarla. Una sostanziale riduzione delle capacità motorie non è per forza indice di scarso benessere; può benissimo essere imputata allo scarso allenamento, all'invecchiamento precoce o ad un motivo fisiologico temporaneo. -- La motivazione Gli animali permangono motivati nell’espletare certi comportamenti anche se ciò viene loro impedito. Ciò si traduce in modelli di comportamento anormali in cui l’animale espleta i comportamenti motivati in una forma o in un contesto inusuale. La forza della motivazione può essere valutata misurando quanto l’animale è disposto a pagare, in energia o tempo, per espletare quel comportamento. Capita quindi, a volte, che soggetti sottoposti ad impedimento mettano in atto le cosiddette stereotipie. Le stereotipie sono sequenze di movimenti ripetuti e relativamente invariati che non hanno alcuno scopo evidente. Si sviluppano quando il cane è frustrato in modo acuto o cronico, ed indicano che è in difficoltà nell’affrontare i problemi posti dal suo ambiente e che il suo benessere è minimo. Ne è un esempio un giovane Setter Inglese che, dopo aver iniziato l’attività venatoria con l'uomo, è stato messo a riposo per problemi di lavoro del proprietario. Dopo pochi giorni di inattività ha cominciato a mordicchiarsi il pelo a livello delle cosce ed alla base della coda. La stereotipia da costrizione è una patologia di natura ansiosa che colpisce i cani da lavoro in giovane età. In tutti gli animali in cui è stata descritta questa patologia, l’anamnesi racconta di un periodo di addestramento, allenamento o di caccia , oppure di una restrizione dell’esercizio fisico (riduzione dei turni di allenamento), o della prima fase della vita trascorsa in un luogo ipostimolante. Le prime manifestazioni organiche si osservano dopo circa dieci giorni dall’inizio del fattore scatenante. La diagnosi delle stereotipie tiene conto di alcuni sintomi generici: -- la stereotipia ha un’insorgenza spontanea; -- l’etogramma del cane, escludendo i momenti della comparsa della stereotipia, è normale; -- in alcuni casi si nota uno stato di ipervigilanza; -- i sintomi compaiono sempre dopo l’interruzione di un periodo di attività intensa, o a seguito di un impoverimento dell’ambiente sensoriale. Le stereotipie sono diverse, ma ne cani da ferma si riscontrano più frequentemente la rotazione su se stesso accompagnata da autolesionismo, i salti sul posto con abbai ritmati quando il cane atterra al suolo e movimenti di va e vieni lungo un percorso sempre uguale (recinzione del box). In certi casi, ma più raramente, si osserva una diminuzione della durata del sonno. Si tratta di una patologia stabile, ma quando i disturbi permangono da più tempo compaiono fenomeni di iper-vigilanza e di uno stato ansioso. La stereotipia con giravolta su se stesso favorisce la comparsa di un granuloma da leccamento. Infine, questa patologia può evolvere in disturbi depressivi. Di seguito vengono riportate le Cinque Libertà per la tutela del benessere animale che il British Farm Animal Welfare Council definì nel millenovecentosettantanove. Queste libertà dovrebbero essere universalmente applicate a tutti gli animali: -- libertà dalla fame, sete e malnutrizione; -- libertà di avere comfort e riparo; -- libertà dal dolore, lesioni e malattie; -- libertà di attuare modelli comportamentali normali; -- libertà dalla paura e dallo stress. Mentre alcune di queste sono universalmente riconosciute e applicate normalmente dai cinofili, le ultime due rappresentano qualcosa di non sempre di immediata comprensione ed applicazione e rientrano in quel bagaglio scientifico che deve essere fatto proprio da tutti gli operatori del settore: un richiamo alla deontologia degli Addestratori Cinofili (approvato dall'E.N.C.I. In data 8 Marzo 2005) è importante in questa sede. Come si evince da ciò esposto a riguardo del benessere animale, il richiamo alla libertà di attuare modelli comportamentali normali e alla libertà dalla paura e dallo stress aderisce in pieno al concetto dell'uso del rinforzo positivo (quando possibile) come metodo addestrativo principale del cane da caccia. Il benessere animale, come si può quindi comprendere, è un argomento complesso. 1.2.2) L'etogramma L’etogramma è l’intero repertorio comportamentale specie-specifico. Ogni specie ha le proprie caratteristiche comportamentali che sono il risultato di un adattamento al proprio ambiente. All’interno dell'etogramma vi sono grosse variabilità individuali. Il catalogo minuzioso dei moduli comportamentali propri dell'animale (che è la base di qualsiasi ricerca etologica), viene quindi denominato etogramma. Nella pratica non è affatto difficile vedere atteggiamenti quali il raspare, il rizzare la testa, le orecchie, il pelo, muovere la coda, sdraiarsi, ecc. Il linguaggio del corpo dipende proprio dalla postura delle orecchie, della coda , della bocca e degli arti. La coda si è evoluta come segnale di dominanza perché sotto ci sono le ghiandole perianali che trasportano molte informazioni olfattive. Se prestassimo più attenzione al comportamento del cane, ci accorgeremmo che odorare le feci di un suo simile o fare lo schizzo d’urina più in alto degli altri cani non sono azioni inutili. Molti pensano che annusare dove gli altri hanno lasciato marchi di urina sia disgustoso e ci sono cinofili ignoranti che richiamano o puniscono i loro animali quando tentano di odorare l’urina altrui. Un altro comportamento specie-specifico è quello del cane che esprime la sua dominanza appoggiandosi contro un consimile. Se questi accetta il gesto e si sposta leggermente vuol dire che ammette la superiorità del cane. Allo stesso modo un cane che tenta di appoggiare una zampa su di una persona cerca di esprimere dominanza. I cani, però, si esprimono anche in un altro modo: attraverso il sesso. Un maschio che monta un altro maschio non mostra una tendenza omosessuale ma semplicemente dominanza. Si possono vedere anche femmine che montano altre femmine. Nessuno di questi comportamenti è un approccio sessuale. Anche quando i cani tentano di montare un essere umano lo fanno per esprimere dominanza, perché voglio diventare il leader. Le emozioni, le sensazioni ed i pensieri vengono quindi esternati con le posizioni del corpo, della coda e dalle espressioni del muso, e tutte fanno parte dell'etogramma. A suo tempo Darwin elaborò un principio detto dell’antitesi. Secondo tale principio, se per indicare la mia allegria dovrò tirare in alto gli angoli della bocca in un sorriso, dovrò fare il contrario per dimostrare il sentimento opposto (dispiacere), impiegando come sempre, in Natura, la via più semplice. Un uomo in posizione eretta, con il torace in fuori ed il mento rivolto verso l’alto, si contrappone per stato emotivo e postura ad un uomo curvo, con il torace incassato e la testa piegata a guardare il suolo. Per comunicare di volta in volta gli opposti stati emotivi, si deve semplicemente invertire gli atteggiamenti. Quindi, un cane che esprime minaccia avrà le orecchie in avanti, peli del dorso eretti e coda in alto sopra la linea dorsale. Viceversa, per esprimere la sua sottomissione, avrà orecchie schiacciate indietro, pelo del dorso schiacciato su una schiena curva, coda rovesciata in basso a coprire i genitali ed il ventre. In realtà Lorenz ha poi in seguito dimostrato che gli animali più evoluti quali il cane comunicano quasi sempre delle emozioni per così dire miste (atteggiamenti ambivalenti), non provando in realtà quasi mai emozioni pure. Il risultato comunicativo delle posture è quindi il compromesso tra almeno due emozioni prevalenti in quel momento. In un atteggiamento di dominanza, la mimica corporea tende ad ingrandire il corpo, porre gli arti rigidi, testa alta, coda alta ed erezione del pelo della schiena. La mimica facciale si esprime con orecchie dritte e sguardo fisso. La postura del corpo tende a sopravanzare l'avversario e sovrastare fisicamente un altro soggetto. Il linguaggio aggressivo comprende inoltre l'emissione vocale del ringhio e la mimica facciale consiste nell'arricciare le labbra per scoprire i denti: in avanti se il cane è più portato a combattere, all'indietro se preferirebbe evitare lo scontro fisico. Quando la mimica corporea tende a rimpicciolire il corpo del cane ponendo coda bassa o addirittura nascosta in mezzo agli arti posteriori, corpo che tende ad abbassarsi fino a strisciare, distogliere lo sguardo e l'orinazione avviene in posizione accucciata nei maschi adulti, si parla di sottomissione. Il cane usa in questo caso anche l'ammiccamento, che ha un effetto di richiesta di pacificazione e che gli anglosassoni chiamano segnali calmanti. La coda, in questo gioco di segnali visivi, si unisce alla comunicazione del corpo e ne sottolinea i messaggi, mentre le orecchie fanno da importantissimo rinforzo ai segnali emessi dalla testa. Lo scodinzolio vero è sempre espresso tenendo la coda al di sotto della linea della groppa e attraverso movimenti ampi della coda. Se viceversa la coda è tenuta al di sopra della linea dorsale, tanto più se eretta e si muove rapidamente solo la punta, il significato è l’opposto dello scodinzolio. I segnali visivi possono derivare da caratteristiche morfologiche, da movimenti emozionali o dall’esecuzione di movimenti specifici da parte del soggetto che emette il segnale. I primi, in realtà, intervengono solo come elementi di sostegno o di orientamento degli altri. Le caratteristiche morfologiche, invece, consistono essenzialmente in macchie di colore che, per effetto del contrasto, sottolineano più o meno delle risposte emozionali o servono da bersaglio nell’esecuzione di determinati atteggiamenti. I movimenti specifici derivano dalle produzioni motorie involontarie. Le modalità di esecuzione e di associazione delle posture e delle mimiche devono essere imparate dal giovane cane durante la socializzazione; esse sono soggette a variazioni abbastanza importanti e possono essere profondamente modificate negli animali che vivono con l’uomo. Tutti i comportamenti semplici possono essere ritualizzati, sia che si tratti di riflessi primari dei cuccioli neonati, di richiesta di materiale rigurgitato utilizzato dai cuccioli nella fase di svezzamento, di comportamenti sessuali, ma anche di zoppie, di grattamento della pelle o di colpi di tosse. Il cucciolo sviluppa i suoi primi rituali durante il gioco e le interazioni con la madre. L’atteggiamento di sottomissione nei confronti del genitore deriva dalla ritualizzazione della minzione provocata dalla madre. Ciò vale anche per le reazioni indotte da una morsicatura profonda. L’arretramento, le orecchie portate dietro la testa, ma anche il grido acuto che ha immobilizzato il cucciolo mordace e fatto intervenire la madre diventeranno elementi di sottomissione. Il grido acuto del cucciolo che il veterinario afferra per la collottola durante la prima vaccinazione, non è causato dalla iniezione stessa, ma dalla pressione esercitata su una regione associata ai combattimenti gerarchici. Gridando, il cucciolo manifesta la sua sottomissione. Alcuni rituali importanti si definiscono nel corso dell’apprendimento delle regole gerarchiche. Bisogna inoltre ricordare che il modellamento morfologico realizzato dalla selezione o dalla chirurgia estetica può alterare in modo considerevole la potenza di certi segnali. E’ il caso dei cani a faccia poco mobile come il Boxer, o di quelli caudectomizzati come l'Epagneul Breton. Il taglio della coda limita molto l’uso dei segnali inviati con essa e riduce l’efficacia di uno dei principali segnali di comunicazione del cane. I cani caudomizzati (o anuri) hanno il doppio delle possibilità d’avere incontri bellicosi rispetto a quelli con la coda lunga e ben visibile, in modo speciale quando, sguinzagliati, dovrebbero dedicarsi esclusivamente alla ricerca della selvaggina. Ci si può d’altronde domandare se l’apparente esuberanza degli atteggiamenti dell'Epagneul non corrisponda ad un incremento comunicativo che contrappone questa razza alla coda amputata. Anche l’abbondante pelosità facciale di alcune razze (Griffon Korthaal) avrebbe lo stesso significato. 1.2.3) Lo studio della psiche ed i comportamenti del cane, del lupo e del canide preistorico: un parallelismo difficile L’Etologia sviluppa i propri ragionamenti dall’osservazione degli animali nel loro habitat naturale e senza (o con il minimo indispensabile) contatto diretto con l’uomo. Tuttavia l'ideale metodologico per l'osservazione di esseri viventi a organizzazione superiore rimane quello di riuscire ad abituare degli animali in libertà all'osservatore, in modo tale che anche in sua presenza non modifichino il proprio comportamento ed in modo che sia possibile predisporre degli esperimenti con questi animali nell'ambiente naturale. L'approccio etologico puro concede massima importanza all'obiettività dell'osservatore che deve fare in modo che la sua presenza non influenzi il comportamento dei soggetti osservati. Alla fine della ricerca spetta poi al ricercatore descrivere un quadro coerente dei processi psicologici osservati, avanzando ipotesi interpretative atte a rendere più plausibili i comportamenti osservati. Ciò che caratterizza l'Etologia, a differenza di altri approcci, non è solamente l'importanza attribuita all'osservazione diretta nell'ambiente naturale, ma soprattutto il fatto che essa possa rappresentare un pre-requisito alla sperimentazione: l'osservazione produce ipotesi che la sperimentazione poi deve verificare. Il cane sul quale verranno basati i ragionamenti, è un soggetto che vive in casa (od al limite in canile) ove il rapporto cane/uomo si sviluppa tramite un contatto giornaliero e ripetuto nel tempo, quindi, non paragonabile al preistorico canide od al lupo studiato nel suo habitat (cioè libero in Natura). A questo tipo di rapporto se ne aggiunge poi uno successivo nel periodo dell’addestramento e della caccia, ove l'apprendimento continua fino all’età adulta. Eseguire quindi parallelismi generalizzati tra cane, canide e lupo studiato dall’Etologia (ed il tipo di approccio puro agli animali che questa scienza utilizza), vorrebbe dire non cogliere alcune sfumature comportamentali: cane, canide e lupo possono essere accomunati solo in alcuni casi. Per dirla tutta, il canide ed il lupo non hanno gli stessi comportamenti del cane da caccia nei confronti delle novità (cercano di fuggirle) e non sono altrettanto capaci di socializzare in fretta e mantenere viva quella caratteristica chiamata docilità che, se esasperata nel periodo adolescenziale da un errato rapporto cane/uomo, porta alla neotenia (3). Parlare di docilità in via assolutistica e senza relazionarla al carattere, all’indole ed alla capacità d’apprendimento non è corretto. Il comportamento del cane è la espressione/risposta a stimoli che, nel nostro particolare caso, possiamo derivare dalla maturazione del rapporto casalingo cane/uomo e dall’addestramento alla caccia... Il tutto sapientemente miscelato con l’indole del soggetto che è formata dalle doti psichiche che dettano una serie di comportamenti genetico trasmissibili dai genitori ai figli (esperienza genetica). Il comportamento di un cane è quindi formato da doti innate, da insegnamenti ricevuti durante la vita di relazione con i consimili e dall'addestramento (insegnamenti ricevuti dall'uomo). Per complicare le cose, l’addestramento è poi direttamente correlato alle capacità d’apprendimento del singolo soggetto ed alle variabili intervenienti durante l'apprendimento. Il cultore della cinofilia deve quindi spendere molto tempo in osservazioni rimanendo in una posizione marginale, scoraggiando qualsiasi tentativo di coinvolgimento e giudicare i comportamenti senza ipotesi preconcette che lo porterebbero a standardizzare e catalogare nella propria mente alcuni stimoli/risposte già osservati in passato in altri soggetti. In altre parole, due cani che manifestano uguale risposta ad identico stimolo non è detto che abbiano subito lo stesso condizionamento addestrativo e tendano allo stesso obbiettivo. Due cani possono impegnarsi in egual misura per raggiungere un capo abbattuto, ma mentre il primo lo riporta coscienziosamente, il secondo lo ingoia o lo seppellisce. La conoscenza del catalogo comportamentale permette poi di identificare eventuali atteggiamenti anomali (provocati, probabilmente, da eventuali errori di dressaggio). Il cultore può quindi affinare le capacità di giudizio avvicinando l'interpretazione personale alla risposta del cane a tale stimolo. In sostanza, l'osservazione etologica permette di fare emergere la relazione tra un comportamento e quel determinato stimolo e portare alla luce i meccanismi che lo hanno provocato. Alcuni studi hanno confermato che i cani sottoposti a stimolo visivo aumentano l'attenzione se questo viene addizionato di uno stimolo sonoro. Tutti gli addestratori lo applicano senza sapere che tale indicazione arriva proprio dall'etologia (fischietto e gesto ad indicare la direzione in cui si vuole che il cane proceda nella ricerca del selvatico). Quindi, il campo d'applicazione dell'etologia nella Cinofilia Venatoria moderna può essere messo in discussione solo da coloro che si arroccano su posizioni personali. 1.2.4) Lo sviluppo comportamentale del cane 1.2.4.1) Il comportamento In passato gli etologi hanno classificato tutti i comportamenti in due categorie: innati (istintivi) ed appresi. Queste categorie tradizionali erano state create per distinguere i meccanismi che sono alla base dei diversi tipi di comportamento. Mentre si riteneva che il comportamento appreso fosse completamente dipendente dall'esperienza, cioè dalle influenze ambientali, si assumeva come dato di fatto che gli istinti fossero controllati geneticamente. Ma è stato dimostrato che i comportamenti di un soggetto, comunque etichettati, scaturiscono sempre dall'interazione tra fattori genetici e ambientali, la cui integrazione avviene durante lo sviluppo. La corteccia cerebrale è la sede dei ricordi del cane, di come ha associato gli stimoli con i quali è venuto a contatto, quindi in base a ciò che filtra, elabora ed immagazzina la sua corteccia, il cane mette in opera comportamenti diversi. Questo significa che è molto importante come il cane incontri nuovi stimoli mai paragonandoli a situazioni troppo impegnative e valutandole da evitare. È quindi sempre meglio un approccio graduale nei confronti dell'attività venatoria (attività complessa comprendente cerca, ferma, consenso, filata, guidata, riporto). Questo importante concetto verrà più volte ripetuto perché sia sempre presente al cinofilo. Vi sono, tuttavia, importanti differenze nei meccanismi immediati (fisiologici e neurologici) che controllano il comportamento innato e quello appreso: molti comportamenti non si adattano rigidamente né all'etichetta di istintivo né di appreso perché spesso gli istinti possono essere modificati dall'esperienza e l'apprendimento, e talvolta diventare immodificabili. Per taluni etologi gli istinti sono schemi fissi d'azione, cioè risposte automatiche messe in atto in maniera completa una volta attivate da un semplice segnale (segnale stimolo o evocatore) e che rappresenta l'elemento chiave del segnale. Questi studiosi hanno quindi focalizzato la loro attenzione sui comportamenti istintivi. Altri psicologi hanno considerato, invece, come obiettivo principale delle loro ricerche i comportamenti appresi. Oggi si può affermare con certezza che nel comportamento di un cane sono comprese più sfaccettature, che si vanno via via maturando con l’età (esperienze di vita) e compensate o compensatrici dell’esperienza geneticamente trasmessa da genitori a cuccioli. L’esperienza genetica è quindi difficilmente maneggiabile, migliorabile e con certezza trasmissibile per nostro tornaconto cinofilo, al contrario delle esperienze di vita (addestramento). 1.2.4.2) Lo sviluppo del cucciolo Lo sviluppo del cucciolo può essere diviso in quattro fasi. -- Periodo prenatale (trentottesimo/quarantacinquesimo giorno di gravidanza). -- Periodo neonatale (dal primo al quattordicesimo giorno di vita). -- Periodo di transizione (dal quattordicesimo al ventunesimo giorno di vita). -- Età sensibile di socializzazione (dal ventunesimo al sesto/dodicesimo mese di vita). L'ultimo punto verrà affrontato quando si parlerà del periodo di socializzazione (1.2.4.3). 1.2.4.2.1) Periodo prenatale È da poco tempo che si inserisce questo concetto nel contesto generale dello sviluppo comportamentale del cucciolo. Ed è stato possibile solo grazie all’apporto dell’indagine ecografia. Tre i punti da focalizzare: -- sensibilità tattile; -- reazioni emotive; -- preferenza alimentare. È stato dimostrato che lo sviluppo del comportamento del cane inizia ancor prima di nascere. Nell’ultima fase della gestazione, il cervello si sviluppa modificandosi strutturalmente. Il feto non è in grado di apprendere, però ha reazioni che possono condizionare il comportamento futuro. Esistono quindi, senza alcun dubbio, degli scambi d’informazione fra la madre ed i feti, capaci di provocare stati di stress tali da interferire sul normale sviluppo del comportamento. Riportiamo delle osservazioni effettuate in via sperimentale che ci permettono di illustrare scambi d'informazione allo stato embrionale fra cuccioli, madre ed ambiente. -- Risposta dei feti a stimoli tattili Il feto presenta deficit sensoriali, infatti è sordo e cieco, tranne che per la parte tattile. Questo è stato riscontrato ecograficamente da una prova clinica del dottor Patrick Pageat (35). «Sono state effettuate delle palpazioni ripetute ed intense in zona addominale in corrispondenza dei corni uterini di una cagna al trentacinquesimo giorno di gestazione. Le reazioni dei feti hanno messo in risalto una certa agitazione degli stessi per circa trenta secondi. In seguito alle successive palpazioni, i feti reagivano con minore intensità fino a non reagire più, dimostrando così una certa sensibilità tattile già nel feto, ma anche la possibilità di assuefazione a questo stimolo. Questa capacità di abituarsi agli stimoli tattili potrebbe rivelarsi importante nella determinazione della soglia di sensibilità tattile del futuro cucciolo». -- Risposta dei feti in seguito a reazione emotiva della madre Lo stimolo consiste in una forte detonazione prodotta con una pistola a salve. «La risonanza della reazione della madre che si produce nei feti è evidente: cambiano immediatamente i loro movimenti ed assumono un comportamento di suzione del cordone ombelicale o di un arto anteriore. La durata di tale comportamento è variabile e dura al massimo un minuto. La differenza di durata della risposta del feto dipende dall’intensità della reazione della madre. Più l’intensità della reazione della madre è elevata, più la reazione dei feti è prolungata». Per Boris Cyrulnik (36) «La madre crea in questo modo un’ecologia affettiva molto differente a seconda che sia iperattiva o calma, stressata o tranquilla, a seconda che il suo ambiente la renda più o meno sicura. E’ noto che gli ormoni passano facilmente la barriera placentare, quindi, in caso di emotività, l’ipercortisolemia materna si trasmetterà molto rapidamente ai suoi feti». Questi risultati mettono in rilievo l’importanza dello stato emotivo delle femmine gravide in relazione al futuro sviluppo emozionale dei cuccioli. -- Preferenza alimentare I risultati delle prove cliniche di Pageat dimostrano l’orientamento gustativo dei cuccioli. «Se ad una cagna in gestazione viene aggiunto essenza di timo nell’alimentazione, la cucciolata ricercherà maggiormente le mammelle su cui è stata frizionata la stessa essenza, o sceglierà la ciotola contenente l’alimento aromatizzato. Ciò determina l’importanza della corretta alimentazione nella gestante e che permetterà inoltre un più facile svezzamento della cucciolata se avverrà con lo stesso alimento». 1.2.4.2.2) Periodo neonatale Questo periodo è molto importante per lo sviluppo neurologico. Infatti, durante il periodo neonatale due fattori principali caratterizzano lo sviluppo delle connessioni nervose: il programma genetico di crescita e l'interazione con l’ambiente circostante. Si affronterà quest'ultimo punto quando si parlerà del periodo di socializzazione (1.2.4.3). 1.2.4.2.2.1) Il programma genetico di crescita Il programma genetico di crescita è responsabile della formazione delle cellule nervose. Esse si uniscono secondo uno schema che è proprio ed esclusivo di ogni soggetto, da cui dipende la qualità dello sviluppo sensoriale e quindi la capacità di ricevere ed elaborare dati che determinano i vari comportamenti. Per un corretto sviluppo degli schemi d’interconnessione fra le varie cellule, è necessario che il cucciolo riceva degli stimoli dall’ambiente esterno. Questi stimoli sono indispensabili a tenere in vita determinate cellule della corteccia cerebrale, le quali, in assenza di stimoli, morirebbero e non potrebbero quindi assolvere al compito per le quali si sono generate. Nel periodo neonatale, il sistema nervoso è largamente immaturo: la corteccia cerebrale non è completamente formata ed il cucciolo fa affidamento alla zona sottocorticale. Il sistema nervoso non è mielinizzato, tranne il nervo trigemino, il facciale, parzialmente l’olfattivo e la porzione vestibolare del nervo uditivo. La mielinizzazione avverrà dalla parte craniale verso la caudale, dal cervello verso il midollo spinale. L’attività del neonato, durante il periodo neonatale, è il sonno. Esso ricopre il novanta per cento dell’intera attività del cucciolo. Durante il restante dieci per cento del tempo, il cucciolo è impegnato nell’attività di nutrimento. Essendo evidente la mancanza di autonomia fra i vari circuiti indispensabili alla sopravvivenza, si ritrovano alcuni riflessi primari. Questi sono circuiti transitori che permettono comportamenti innati con le seguenti caratteristiche: rapidi, automatici, sempre uguali come forza ed intensità e compaiono in seguito a stimoli semplici. Alcune sinapsi sembrano essere programmate per avere solo un’esistenza transitoria. Esse giocano un ruolo guida per altre afferenze e degenerano spontaneamente quando queste ultime diventano funzionali. Quindi, il periodo neonatale è caratterizzato dall'egocentrismo assoluto (15) e che sta a significare la mancanza di differenziazione tra l’Io ed il mondo esterno. Un primo superamento non definitivo dell’egocentrismo caratteristico del cucciolo si attua mediante l’affinamento dei riflessi e delle risposte percettive spontanee. Si sviluppa, in tal modo, l’intelligenza sensomotoria caratterizzata dalla capacità di coordinare le percezioni ed i movimenti, allo scopo di interagire con l’ambiente e di esplorarlo mediante i sensi: non è quindi conveniente che i giovani cani da ferma rimangano nel box fino all'età di un anno. Taluni allevatori ed handler giustificano tale metodica rifacendosi alla probabilità di inficiare un accrescimento osteo-artrosico-muscolare armonico e che non ha nessun riscontro scientifico se non chiamando in causa l'esagerazione nella durata dei turni di addestramento o la incosciente richiesta di una immediata ferma da stilista ai primi incontri con la selvaggina. 1.2.4.2.2.2) Lo sviluppo del sistema nervoso Prima di continuare nella nostra descrizione è bene capire lo sviluppo del sistema nervoso che è basato su un sistema complesso composto da un programma genetico di accrescimento, un programma di maturazione di contatti fra cellule (sinapsi) ed un programma genetico suicida (di autodistruzione). Lo sviluppo corporeo si accompagna a quello del sistema nervoso e del cervello e quest'ultimo è l’organo principale dell’integrazione dei comportamenti. Ad uno stadio precoce dello sviluppo cerebrale appare una struttura primitiva (la placca neurale) che si ripiega rapidamente su se stessa (formando una sorta di tubo) e che in seguito andrà a suddividersi in più vescicole. Durante questa fase, detta neurulazione, le cellule che sono i precursori dei futuri neuroni si moltiplicano in modo estremamente veloce. Una caratteristica delle cellule nervose è che, una volta formate, non si dividono più. Non appena si differenziano, al termine della divisione cellulare, esse cominciano a sviluppare connessioni una con l’altra. Di conseguenza, la rete delle connessioni diventa sempre più complessa, soprattutto dopo la nascita. L’estremità distale di una connessione in via di sviluppo ha forma conica, per cui viene definita cono di crescita. È una sorta di ricognitore che consente alla connessione in crescita di trovare la propria strada: esso riesce a trovare i propri neuroni bersaglio grazie alle estensioni digitiformi dette filopodi ed alle membrane dei filopodi stessi. Mentre si muove, il cono di crescita saggia le cellule in cui si imbatte, finché non raggiunge e non riconosce le proprie cellule bersaglio. Dopo averle riconosciute, il cono si connette ad esse formando una sinapsi. Le caratteristiche delle cellule bersaglio di un dato neurone sono in prevalenza determinate a livello genetico. Può tuttavia succedere che un dato neurone riconosca più cellule bersaglio di uno stesso tipo. Vi è, dunque, un certo grado di incertezza sulla destinazione finale di questo neurone. Per risolvere questo problema il neurone si connette ad un numero di cellule superiore rispetto a quello necessario nello stadio adulto. Esiste pertanto un primo stadio, nel quale vengono stabilite troppe connessioni, la ridondanza sinaptica, seguito da uno stadio successivo, nel quale le connessioni superflue vengono eliminate. In altre parole, la rete delle connessioni dell’adulto viene stabilizzata e le sinapsi che sopravvivono sono selezionate durante lo sviluppo. La nozione neurobiologica di stabilizzazione sinaptica selettiva permette di comprendere come gli avvenimenti ambientali che circondano il cucciolo (e particolarmente le interazioni precoci) vadano ad imprimersi definitivamente nel sistema nervoso, determinando, dunque, il suo ulteriore funzionamento. Perché ciò avvenga, c’è bisogno di uno stimolo dell’ambiente esterno che provochi un’attivazione del recettore sensoriale specifico. Sulla membrana della prima cellula nervosa si formerà un potenziale elettrico, un messaggio elettrico che, giungendo a livello della terminazione presinaptica, permetterà il rilascio di un messaggio chimico (un neurotrasmettitore) nello spazio sinaptico e che raggiungerà la terminazione postsinaptica del dendrite della cellula adiacente. Qui il segnale chimico darà origine ad un nuovo segnale elettrico denominato potenziale sinaptico. Quest’ultimo potrà essere di due tipi: eccitatorio o inibitorio. I potenziali inibitori tendono a sopprimere l’eccitabilità del neurone, impedendogli di condurre l’impulso nervoso. Quelli eccitatori, invece, se sufficientemente ampi daranno origine ad un nuovo potenziale di azione (garantendo la propagazione dell’informazione fino all’assone). Quindi, una reazione a catena si produrrà dal recettore verso il cervello, passando di cellula in cellula. Ad ogni punto di contatto, maturerà una sinapsi. Le sinapsi che non saranno attivate resteranno immature ed in seguito saranno distrutte. È veramente importante rendersi conto che la pressione ambientale e l’apprendimento comportano cambiamenti nelle connessioni tra neuroni e provocano così trasformazioni anatomiche. Infatti, Mike Musnik ha esaminato l’area della mano nelle scimmie e ha scoperto che soggetti diversi avevano rappresentazioni corporee della mano di tipo e dimensioni diverse. Musnik non sapeva se ciò fosse dovuto al fatto che le scimmie fossero geneticamente eterogenee o al fatto che avessero avuto esperienze tattili differenti. Allora fece in modo che, per ricevere il cibo, le scimmie dovessero azionare, per molti giorni di seguito, una barra; scoprì così che le aree associate alle tre dita usate per azionare la barra si espandevano moltissimo a spese di altre aree del cervello. A questo punto è importante introdurre il concetto di periodo sensibile della stabilizzazione sinaptica. Un periodo sensibile è una parte di tempo durante il quale si realizza un apprendimento facilitato e memorizzato a lunga scadenza. Ad ogni periodo corrisponde l’acquisizione di comportamenti specifici di base. Esiste dunque, per ogni struttura neuropsichica, un periodo sensibile la cui comparsa e durata sono geneticamente determinate e durante il quale si stabilisce la funzionalità. Un periodo sensibile non sarà specifico solo per un dato sviluppo neurologico od ormonale, ma anche per quello che riguarda il contesto cognitivo, emotivo e sociale. I punti cardine del periodo sensibile sono la breve durata, l’apprendimento facilitato ed a lungo termine (per esempio il processo d’impregnazione, di abituazione, del distacco, della gerarchizzazione). È da notare come i periodi sensibili siano preceduti e seguiti da un periodo di transizione, in cui la sensibilità risulta diminuita. Le tappe indicative dei periodi sensibili sono: prima della nascita, tra la nascita e la seconda settimana di vita, tra la seconda e la terza settimana di vita, tra il terzo e il quarto mese di vita, tra il quarto mese e la pubertà, la pubertà. 1.2.4.2.2.3) I riflessi I riflessi (14) sono elementi ubiquitari del comportamento. Si parla di riflesso ogni volta che un determinato stimolo produce una reazione semplice, automatica, regolare e costante; quindi, è tipico del riflesso uno stretto rapporto tra stimolo e risposta. A parità di condizioni, stimoli uguali inducono sempre risposte eguali. A prima vista si può avere qualche difficoltà a considerare i riflessi come elementi del comportamento, in quanto per il profano rappresentano di più fatti della Fisiologia che delle risposte prevedibile a stimoli naturali: il riflesso pupillare, per esempio, si induce illuminando l'occhio e genera la contrazione del relativo muscolo. Ad un esame più esteso, però, i riflessi appaiono essere componenti essenziali del comportamento in quanto sono parte integrante di moduli complessi. Sono inoltre considerati l'atto finale di catene di azioni. Pertanto, non è possibile tracciare un limite netto tra riflessi e comportamenti: le reazioni di orientamento, per esempio, possono essere dirette al mantenimento di una particolare posizione del corpo nello spazio (postura), oppure al raggiungimento di un determinato luogo (movimento). Un esempio è il riflesso perianale. Quando il cucciolo resta isolato dai fratelli e dalla madre, emette dei gemiti e delle grida. In questo caso la madre lo avvicina a sé o agli altri cuccioli. Tuttavia il cucciolo di questa età è in grado di riconoscere la provenienza della fonte di calore più vicina e si dirige verso di essa con movimenti del corpo di trascinamento e rotolamento. Non ha ancora la capacità di autoregolazione termica e quindi ha bisogno di calore che gli viene fornito dalla madre. L’assunzione del latte materno avviene per mezzo della suzione del capezzolo e di movimenti di spinta che il cucciolo pratica sulla mammella con gli arti anteriori. La poppata richiede molta energia da parte del cucciolo che, dopo pochi minuti si stanca e cade nel sonno. Allora la madre gira il cucciolo col muso, lo pulisce e leccandolo sui poli genitali e sull’ano ne favorisce la minzione e la defecazione. Infatti, l’attività eliminatoria non avviene ancora spontaneamente e il riflesso perineale perderà la sua funzione dopo la terza/quarta settimana, ma acquisirà per il cucciolo una fondamentale funzione comunicativa, trasformandosi in una posizione di sottomissione, indispensabile nel processo della socializzazione. I movimenti del cucciolo sono molto limitati: non si regge sulle zampe posteriori e quindi può solo rotolare e strisciare verso la madre per ricevere calore e nutrimento. I sensi già sviluppati sono il tatto ed il gusto. È per mezzo del tatto che riesce a percepire il calore e ad orientare i propri movimenti verso la madre. Per mezzo del gusto riesce a riconoscere nel latte materno l’elemento nutritivo e quindi ad alimentarsi. Gli altri sensi si sviluppano più tardi, nella terza settimana di vita, chiamata periodo di transizione. Un altro fattore che avviene al momento della nascita è l’attaccamento da parte della madre nei confronti dei cuccioli. L’attaccamento è molto importante perché permette alla madre di elaborare i comportamenti di difesa della prole, nonché di curarla e nutrirla adeguatamente (istinto materno) (33). 1.2.4.2.3) Il periodo di transizione Questo periodo è caratterizzato dall’acquisizione degli ultimi elementi sensoriali necessari per intraprendere i vari processi di relazione. Viene identificato nella terza settimana di vita del cucciolo, ma per essere precisi inizia con l’apertura degli occhi (quattordicesimo giorno) e termina con l’apparizione del senso dell’udito, caratterizzata dal manifestarsi del riflesso del sobbalzo. In questo periodo il cucciolo inizia un comportamento esplorativo. Si dirige, grazie ai sensi della vista e dell’olfatto e perde quindi il riflesso automatico d’orientamento. Inizia a reggersi sulle quattro zampe ed a fare i primi passi ben articolati. Quindi inizia la percezione del mondo esterno e parallelamente, anche grazie allo sviluppo della parte corticale del cervello, inizia l’apprendimento. La durata del sonno diminuisce in percentuale ed in questa fase il sonno paradossale raggiunge il cinquanta per cento. Ma la prima cosa che percepisce il cucciolo nell’ambiente è la madre, non più solamente intesa come sorgente di cibo, calore e morbida al tatto, ma come elemento sociale. Scatta quindi il processo di attaccamento e conseguentemente di impregnazione. Per comprendere il processo di attaccamento si farà riferimento alla tesi di Bowlby (37) che sintetizzò l’incontro fra due discipline, l’etologia e la psicanalisi, dando vita al concetto di attaccamento. «L’attaccamento esiste ed è necessario; esiste in tutti gli uomini ed anche in tutti i mammiferi. In assenza della madre, oggetto primario di attaccamento, il bambino od il giovane mammifero sceglierà un altro oggetto di attaccamento: la possibilità di adozione in quasi la totalità delle specie superiori avvalora la necessità vitale di questo legame». Foto 1: Setter Irlandese con una numerosa cucciolata Il processo di attaccamento è un meccanismo bidirezionale in quanto anche la madre lo subisce nei confronti della cucciolata. Questo legame si instaura nelle prime ventiquattro ore dalla nascita ed avviene grazie alla produzione feromonale emessa dai cuccioli e dai loro annessi placentari. L’attaccamento materno viene favorito anche dall’aspetto neotenico della prole. Bowlby sostiene che il meccanismo dell’attaccamento sia automatico, definendolo un comportamento istintivo, termine per noi impreciso e generatore di confusione. Non è d’altronde una pulsione, il primum movens così caro agli psicanalisti. Si ricordano le quattro caratteristiche di un comportamento istintivo: -- lo schema è analogo e prevedibile in tutti gli individui di una stessa specie e dello stesso sesso; -- non è una semplice risposta, ma una sequenza comportamentale; -- la sua utilità è evidente per la perseverazione dell'individuo e la continuità della specie; -- se ne trovano alcuni esempi anche in totale assenza di meccanismi di apprendimento. Dagli studi sui feromoni effettuati da Pageat si è a conoscenza che questo comportamento istintivo è indotto dalla produzione di feromoni da parte della madre: il DAP (Dog Appeasing Pheromone) che il cucciolo riesce ad acquisire solo nel periodo di transizione, cioè quando il sistema dell’organo vomeronasale di Jacobson (vedi 3.3.3.4.1.1 L'olfatto) diventa funzionante, avvalora questa tesi. È possibile sintetizzare le finalità dell’attaccamento in quattro punti principali: -- sopravvivenza e protezione (1.2.4.2.3.1) ; -- impregnazione (1.2.4.2.3.2) ; -- esplorazione; -- acquisizione dei rituali sociali. Si affronteranno gli ultimi due punti quando si parlerà del periodo di socializzazione (1.2.4.3). 1.2.4.2.3.1) Sopravvivenza e protezione Per Bowlby è una delle funzioni principali dell’attaccamento. «I neonati di specie superiori, essendo incompetenti per lungo tempo dopo la nascita (sul piano motorio e sensoriale), potranno sopravvivere solamente sviluppando un meccanismo che permetta loro di mantenere una vicinanza con un adulto protettore. E l’attaccamento riempie questo ruolo». Il cucciolo risulta protetto non solo dall’attacco di eventuali predatori, ma anche da elementi interni al gruppo sociale di appartenenza oltre che essere nutrito e riscaldato (in questo modo le possibilità di sopravvivenza del cucciolo divengono massime). Le situazioni di pericolo possono però attivare un attaccamento paradossale, se non addirittura scioccante. Foto 2: amorevole fattrice durante una poppata. 1.2.4.2.3.2) L'imprinting e l'impregnazione Il primo ad osservare l'imprinting fu il noto Konrad Lorenz con un interessante studio sulle taccole e lo definì imprinting (4) (mentre nel cane si parla di impregnazione). All’inizio degli anni settanta, proprio nel periodo nel quale gli etologi Bateson (39) e Immelman proponevano importanti osservazioni sui vari fenomeni di apprendimento simili all’imprinting, gli americani Scott e Fuller (40) pubblicavano un importante studio di Psicologia canina nel quale veniva dedicato ampio spazio ad un interessante fenomeno di apprendimento precoce strettamente collegato alla maturazione della socialità. Secondo gli etologi Scott e Fuller, i comportamenti sociali dei cani adulti, sia nei confronti di individui appartenenti alla specie (conspecifici), sia di non cospecifici, vengono profondamente influenzati dall'esperienze accumulate durante un brevissimo lasso di tempo che si situerebbe all’incirca tra la terza e l’ottava settimana di vita del cucciolo e per qualcuno avrebbe il suo periodo di acme alla quinta settimana. La nozione di imprinting nasce quindi con i lavori di Konrad Lorenz, iniziati nel millenovecentotrentuno. Come spesso accade, questa scoperta avvenne in modo assolutamente casuale: se non si fosse mosso, errore imperdonabile per un osservatore etologo rigoroso, non avrebbe scatenato il meccanismo di imprinting nei piccoli di oca selvatica. «Per ventinove giorni avevo covato le mie venti preziose uova di oca selvatica… solo negli ultimi due giorni io avevo tolto alla tacchina le dieci uova biancastre, ponendole nella mia incubatrice… Volevo spiare ben bene il momento in cui sarebbero sgusciati fuori i piccoli, e ora quel momento fatidico era arrivato… La mia prima ochetta era dunque venuta al mondo, e io attendevo che, sotto il termoforo che sostituiva il tiepido ventre materno, divenisse abbastanza robusta per poter ergere il capo e muovere alcuni passetti. La testina inclinata, essa mi guardava con i suoi occhi scuri; o meglio, con un solo occhio, perché come la maggior parte degli uccelli, anche l’oca selvatica si serve di un solo occhio quando vuole ottenere una visione molto netta. A lungo, molto a lungo mi fissò l’ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e mi salutò: col collo ben teso e la nuca appiattita, pronunciò rapidamente il verso con cui le oche selvatiche esprimono i loro stati d’animo, e che nei piccoli suona come un tenero, fervido pigolio… E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subìto l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia di saluto». L’apporto principale di questa teoria fu dimostrare che questo meccanismo era automatico, che non era legato a comportamenti di cure parentali e che metteva in atto comportamenti autonomi del giovane. Dagli studi effettuati, Lorenz definì le principali caratteristiche di questo fenomeno: -- l’imprinting avviene sempre durante un periodo sensibile; trascorso questo periodo, l’animale perderà la capacità di impregnarsi; -- l’imprinting è irreversibile; infatti, contrariamente all’apprendimento, che è sempre labile, la conoscenza dell’oggetto scatenante persisterà per tutta la vita; -- l’imprinting seleziona non i caratteri individuali, ma quelli specie-specifici. Un’oca selvatica imprintata sull’uomo segue tutti gli uomini; -- l’imprinting implica sempre solo una reazione determinata da un oggetto determinato: una taccola, allevata da Lorenz, considerava l’uomo un partner parentale e sessuale, pur volando con taccole bigie (compagne di volo) ed accettando giovani taccole quali compagne filiali; -- l’imprinting può completare un’azione istintiva non ancora installata (per esempio, il determinismo del partner sessuale); -- gli stimoli dolorosi sembrano rinforzare l’imprinting (al contrario dell’apprendimento, dove lo stimolo doloroso porta all’evitamento). Il meccanismo dell’imprinting viene dunque osservato negli uccelli e nei mammiferi nidifughi quali gli erbivori. Al contrario, nei mammiferi nidicoli, quali i carnivori domestici, questo fenomeno non esiste. Tuttavia, è possibile stabilire alcuni parallelismi tra le caratteristiche dell’imprinting e quelle di un altro fenomeno, l’impregnazione, che si svolge su periodi di tempo molto più lunghi, ma che comprende caratteristiche comuni, la più importante delle quali è la capacità di avere risultanze comportamentali molto distanziate nel tempo(per esempio il comportamento sessuale). Nell’imprinting si nota: -- la preferenza per un oggetto; -- gli oggetti in movimento sono più scatenanti; -- l’imprinting è rinforzato dall’esposizione all’oggetto; -- esistenza di un periodo sensibile, talvolta molto breve; -- l’inizio è considerato quale un processo stabile nei confronti dell’ambiente circostante; -- la figura di attaccamento resta anche dopo la separazione. Per quanto riguarda l’impregnazione, si nota che: -- all’inizio si verifica un largo ventaglio di stimoli; -- alcuni stimoli sono più efficaci; -- l'attaccamento aumenta in funzione della durata dei contatti; -- esiste un periodo sensibile spesso lungo; -- l’inizio del processo avviene in modo stabile; -- una nuova impregnazione è difficile dopo la fine del periodo sensibile. Foto 3: cucciolata di Setter Irlandesi Le osservazioni del cucciolo dimostrano che il processo di attaccamento è prodromico al meccanismo di impregnazione. Per cui si può ragionevolmente pensare che l’attaccamento ad un essere con caratteristiche feromonali, visive e tattili particolari, favorirà l’attuazione di un’impregnazione dei comportamenti parentali e sessuali. Una caratteristica importante dei carnivori domestici è la possibilità di una doppia impregnazione anche se con connotazioni diverse. Nel cane, questo complica la situazione anche se rispetta la regola dell’anteriorità dell’attaccamento. Un cucciolo non potrà impregnarsi alla specie umana, se non avrà creato un legame di attaccamento ad un umano specifico. 1.2.4.3) Periodo di socializzazione Il periodo di socializzazione inizia dalla terza settimana ed ha un termine molto fluttuante (dal sesto mese all’anno di età) perché in questo periodo viene inglobata anche la fase della pubertà che contraddistingue il momento del passaggio del cucciolo alla fase dell’adolescenza e, dunque, all’entrata nel mondo degli adulti. Il periodo della pubertà è quindi variabile per sesso e razza; è una metamorfosi ormonale caratterizzata dalla presenza di un nuovo periodo sensibile. I comportamenti dei cuccioli non sono più dei semplici riflessi, ovvero delle azioni automatiche di risposta ad uno stimolo, ma delle azioni che si modellano in qualità ed intensità man mano che si producono, modificando anche la capacità di evocazione degli stimoli. In questo modo il comportamento diventa un qualcosa di ben organizzato e strutturato. Foto 4: cuccioli durante la vita di relazione in canile La socializzazione può essere di diversi tipi: -- socializzazione intraspecifica; -- socializzazione interspecifica. La prima si riferisce all’esperienza di relazione fra membri della stessa specie (cani con cani), mentre la seconda è relativa ai rapporti con esemplari di specie diversa (cane con uomo). Non bisogna tuttavia trascurare la socializzazione ambientale, ossia la conoscenza dei vari stimoli che possono essere prodotti dall’ambiente in cui è destinato a vivere il cane. Per esempio, in campagna il rumore del vento, i vari odori emessi dagli elementi presenti nell’ambiente, ecc. In città, il rumore delle auto, gli schiamazzi, gli odori innaturali presenti sull’asfalto e sul territorio urbano, gli stimoli visivi prodotti dal traffico, ecc. È molto importante che il cucciolo, in questo periodo di vita, socializzi molto ed entri in contatto con moltissimi stimoli di natura diversa. In questo modo potrà conoscere molti elementi indispensabili per costruire il proprio bagaglio comportamentale futuro. Attraverso il processo di socializzazione il soggetto riceve, per mezzo dei sensi, degli stimoli che vengono elaborati dal cervello e tradotti in azioni motorie (comportamenti). Il cane è un animale sociale, destinato a vivere in un branco con una struttura gerarchica ben definita. Nel periodo di socializzazione i cuccioli giocano tra di loro, assumono le prime posture corporee di dominanza e sottomissione. Osservando i cuccioli durante questo tipo di relazione, sarà possibile individuare i soggetti predisposti a diventare maggiormente dominanti, quelli più sottomessi, quelli più addomesticabili, ecc. Le posture di dominanza a quest’età sono: -- giocare cercando di sovrastare i fratelli mettendo sempre il proprio capo sulla schiena degli altri; -- mordere la coda e collottola dei fratelli; -- cercare sempre di occupare i posti più elevati; Le posture di sottomissione invece sono le seguenti: -- farsi sovrastare durante il gioco; -- coricarsi supini sotto il corpo dei fratelli più dominanti in segno di resa; -- leccare gli angoli della bocca dei fratelli. Le posture giovanili possono mantenersi inalterate od evolversi, nell'adulto, in più complesse. Lo psicologo canadese Stanley Coren (professore di Psicologia all’Università’ della British Columbia e studioso del comportamento canino) afferma che i cani parlano tra loro come altrettanto comprendono i messaggi inviati dagli umani e dai loro simili. Riuscendo a comprendere il come i cani comunicano, possiamo capire ciò che provano, pensano e che obiettivi hanno. Il linguaggio è fondamentale per gli uomini e per gli animali tanto che molti studi hanno dimostrato che la capacità di un immigrato di integrarsi nella nuova società dipende dalla rapidità di apprendere la nuova lingua. Di seguito proponiamo alcune posture di adulti ed il loro significato: -- posizione eretta, sguardo fisso, un arto anteriore in appoggio e l'altro portato sotto il torace, ambedue gli arti posteriori in appoggio: in attenzione; -- posizione eretta, tutti gli arti in appoggio, diritti, collo proteso in avanti, orecchie sollevate: piena attenzione; -- posizione eretta, arti anteriori flessi, schiena convessa verso l'avanti, bocca chiusa o leggermente aperta, orecchie sollevate, coda in movimento: invito al gioco; -- posizione eretta od ad sfinge o seduta, testa piegata verso un lato, orecchie sollevate, sguardo fisso, bocca chiusa: non capire, tentativo di interpretazione. Gli atteggiamenti ambivalenti e plurivalenti: -- il cane che sorride Succede quando un cane accetta il rimprovero dal padrone esprimendolo con atteggiamenti di sottomissione ma, nel contempo, non vuole farsi vedere completamente inerme nei suoi confronti e quindi, pur accettandolo, mostra i denti consapevole di potersi ribellare ed avere la meglio. Non viene emesso nessun vocalizzo; -- scodinzolo, calpestio sul posto e digrignamento dei denti Il cane che vive in box, avendo meno familiarità con gli esseri umani, può esprimere questo sentimento ambivalente di contentezza (dovuto alla visione di una persona che gli fa visita) e nello stesso tempo di timore per la situazione a cui non è ben abituato ( comportamento neofobico (5)). Questi soggetti, pur di fatto mostrando i denti, non mordono praticamente mai. La riprova che il mostrare i denti, contrariamente a quanto succede di solito, non sia in questo caso da considerarsi come un segnale di aggressività, è il fatto che in queste circostanze non si associa mai l’emissione di ringhio o le classiche posture intimidatorie; -- il saluto cerimoniale Quando due cani non conviventi si incontrano, si verifica il saluto cerimoniale. Dopo essersi esplorati a vicenda, se nulla ostacola il proseguo del contatto (rango sociale), si assiste ad una postura tipica definita invito al gioco. Il cane assume una posizione con posteriore in alto, testa e zampe allungate al suolo, percuotendo contemporaneamente il terreno con entrambe le zampe anteriori. In questa posizione mima rapidamente tutti gli aspetti utili alla maggior parte delle attività che un cane dovrà avere da adulto: sottomissione, dominanza, attacco e fuga, passando da uno stato di apparente timore ad uno di allegria, con uno sfondo sessuale sempre presente in quanto questo rituale viene usato anche per il corteggiamento. Quello che fa più trambusto e che stimola maggiormente l’altro con investimenti e colpetti con il muso è sempre il più sottomesso. Il dominante è più calmo ed acconsentirà alla familiarizzazione distogliendo lo sguardo. Il linguaggio dei cani è costituito anche di suoni, ma chiunque cacci con un cane sa che esso impara velocemente a reagire ad un certo numero di parole:“ No!”, “Resta!”, “Al piede!”, “Bravo!”, “Piano!”, “Andiamo!”, “Porta!”, “Giù!”, “Fermo!”, “Vieni!”, ecc. Questo non significa assolutamente che il cane capisca il significato della parola, ma attraverso il linguaggio del corpo umano riesce a comprendere se tali parole sono rivolte a lui e ad agire di conseguenza. Tornando ai suoni, fondamentale nel rapporto uomo/cane è capire il perché dell’abbaio che cambia secondo la circostanza. L’abbaio è una specie di grammatica del cane ed è composto di sequenze diverse come ad esempio sequenze rapide di tre o quattro abbai o abbai rapidi o continui. I cani, a differenza dei lupi, abbaiano molto di più ma ululano di meno, questo perché i cani hanno già chi fornisce loro cibo e cure, quindi lo scopo dell’ululato (rinforzare l’identità del gruppo) viene meno. Un cane emette un lungo e prolungato ululato quando si sente isolato od il momento prima della somministrazione del pasto giornaliero. Un linguaggio articolato e denso di significati è anche l’urlo che è un suono simile a quello di un bambino quando prova un dolore acuto od è preso dal panico. Il periodo di socializzazione, favorito da un corretto attaccamento alla madre, oltre ad essere il più lungo è anche il più complesso in quanto si svilupperanno i processi che influenzeranno i comportamenti del cane per tutta l’esistenza: -- esplorazione dell’ambiente circostante (1.2.4.3.1); -- comunicazione (1.2.4.3.2); -- acquisizione degli autocontrolli; -- distacco (1.2.4.3.3); -- gerarchizzazione (1.2.4.3.4). 1.2.4.3.1) Esplorazione dell’ambiente circostante Serenità, pace, sicurezza, procacciamento del cibo, riproduzione., tutto questo è legato a doppio filo all'esplorazione. In gioventù, come nella maturità, il cane esplora guidato da una curiosità dai risvolti consapevoli del fine ultimo: la sopravvivenza. L'esplorazione dell'ambiente è, in fin dei conti, il metro di misura dell'evolversi del cane in correlazione alla maturazione degli organi di senso. 1.2.4.3.2) Comunicazione Lo sviluppo dei sistemi di comunicazione è una necessità assoluta per tutte le specie animali, particolarmente per le specie sociali. Comunicare significa trasmettere un messaggio da un individuo ad un altro, ma ciò non si limita ad uno scambio neutro, in quanto qualsiasi tipo di comunicazione presuppone uno scambio affettivo. La trasmissione risulta veramente efficace solo quando colui che comunica ha delle affinità con il ricevente. Ogni tipo di comunicazione presuppone l’emissione di segnali che stimolano un sistema sensoriale dell’individuo ricevente (vista, tatto, olfatto, udito). Si è soliti parlare di canali di comunicazione per designare i segnali che sono diretti ad uno stesso sistema sensoriale. Il cucciolo, durante il periodo di socializzazione, apprende la comunicazione utilizzando i differenti canali. 1.2.4.3.3) Distacco Si tratta di un avvenimento determinante nella socializzazione dei cuccioli. Anche se nessuno studio è in grado di determinare in modo assolutamente preciso l’età alla quale comincia il distacco, si può dire che esiste un certo accordo fra gli autori per situarlo nel periodo che segue l’eruzione dei denti da latte. Il dolore della cagna durante la poppata causerebbe il primo distacco tra i cuccioli e la madre; tuttavia questa spiegazione è sicuramente troppo semplicista e sono probabilmente coinvolti meccanismi ormonali, affettivi e cognitivi. Ci si può domandare se le modificazioni morfologiche dei cuccioli non alterino la loro capacità nel determinare dei comportamenti materni e ciò potrebbe spiegare il fatto che la cagna diviene meno tollerante. Questo primo distacco avviene in modo differente a seconda del sesso dei cuccioli. Come già descritto sopra, la cagna prima rifiuta i maschi entrati nel periodo della pubertà e successivamente, in modo progressivo, ci sarà un allontanamento delle femmine che diventerà definitivo solo al secondo estro. Tenuto conto dell’importanza e delle funzioni del legame di attaccamento, ci si potrebbe attendere che questa rottura causi un profondo disagio nei cani sub-adulti; al contrario, sembrerebbe che il cucciolo passi da un attaccamento esclusivo verso la madre ad un attaccamento al gruppo sociale, sostenuto dai rituali tipici del suo canile. Dopo lo sviluppo sessuale, possiamo definire il cane un soggetto adulto. Il cane metterà in pratica tutto ciò che avrà appreso precedentemente. È ancora in grado di apprendere, ma tale capacità diminuisce gradatamente col tempo. Per imparare impiegherà più tempo che durante il periodo giovanile. A quest’età il cane dovrà ottenere l’affermazione del proprio ruolo gerarchico e, una volta ottenuto, svilupperà dei comportamenti atti al mantenimento di tale ruolo. 1.2.4.3.4) Gerarchizzazione Come tutti i mammiferi sociali, il cane organizza la sua vita in gruppo sulla base di regole gerarchiche. Il cucciolo deve apprendere queste regole per poter interagire correttamente con i suoi conspecifici. Dagli studi di Pageat, durante il processo di acquisizione di queste regole, sono state messe in evidenza due tappe. La prima tappa avviene nelle prime settimane che seguono lo svezzamento: sino a questo momento i cuccioli che si nutrono alla mammella non seguono alcuna regola di accesso all’alimento. Allo svezzamento, la madre li conduce presso una fonte di cibo disponibile e, una volta di fronte ad esso, i cuccioli affamati cercano di avvicinarsi ma ne vengono violentemente allontanati dagli adulti. Essi dunque apprendono progressivamente a rispettare l’ordine di precedenza alimentare ed assumono atteggiamenti di subordinazione per avvicinarsi al nutrimento. All’inizio di questo periodo, i cuccioli presentano un notevole aumento della frequenza e dell’intensità dei loro atteggiamenti aggressivi. L’apprendimento delle regole di accesso al cibo determina il ritorno ad una situazione normale da una di aggressività; questa stabilizzazione potrebbe essere considerata come un effetto di acquisizione dei rituali alimentari. La seconda tappa è contestuale alla pubertà nel maschio ed il secondo estro nella femmina. Nel maschio questo periodo si manifesta con un duplice picco di aggressività seguito dal ritorno alla normalità. Tale momento è caratterizzato dall’interruzione del legame di attaccamento, dell’acquisizione del controllo dei comportamenti sessuali e dell’utilizzo dello spazio. I cuccioli vengono allontananti sia dai maschi adulti che dalle femmine. Questa emarginazione degli adolescenti è accompagnata dall’inibizione del comportamento sessuale in presenza dei soggetti dominanti. Le cagne adolescenti subiscono lo stesso processo, ma in modo più progressivo; la loro emarginazione non è completa fino al secondo estro; inoltre è possibile che il controllo della loro sessualità sia anche realizzato dai feromoni emessi dalle femmine adulte. 1.2.5) Gli stimoli Il cane è dotato, come l'uomo, di cinque sensi. Odorato e vista sono però quelli più sviluppati. Tutti gli organi di senso traggono informazioni che vengono elaborate poi dal cervello. L'elaborazione dei dati che colpiscono le aree cerebrali possono, se reputate importanti, essere immagazzinate nella memoria come pacchetti informativi chiamati engrammi. Possiamo paragonare la memoria ad una cassettiera ove vengono riposti gli engrammi. Si può fare riferimento a tre tipi di memoria: a breve, a medio ed a lungo termine. Ad uno specifico engramma ogni soggetto dà una certa importanza che definisce in che cassetto della memoria lo stesso andrà a depositarsi. Poiché il comportamento è in larga misura indotto, mantenuto e diretto da stimoli esterni, l'analisi etologica di una specie animale non può prescindere dalla conoscenza delle sue capacità percettive. In tempi recenti sono state scoperte nei cani sensibilità che l'uomo non possiede, come quelle relative alla percezione degli ultrasuoni e dei feromoni. Di norma, l'informazione sensoriale (percezione) si avvale di tre strutture fondamentali: il recettore, i neuroni di senso primario ed i neuroni centrali. Il recettore è costituito da una o più cellule che funzionano da trasduttori attivi: in risposta agli stimoli produce scariche di impulsi nervosi che vengono trasmessi dai neuroni di senso primari sino ai neuroni centrali, i quali analizzano l'informazione ricevuta e decidono l'eventuale risposta. Benché ogni impulso nervoso abbia identiche caratteristiche fisiologiche, l'informazione sensoriale si diversifica in vari modi. Vi è, innanzitutto, il fatto che, a seconda di quali fibre trasmettono gli impulsi, vengono stimolati neuroni corticali diversi producendo sensazioni differenti. Vi è poi una diversificazione dell'informazione a seconda dell'intensità dello stimolo. Vi è, infine, un tipo di diversificazione dell'informazione che interviene quando vengono contemporaneamente eccitate più fibre sensitive: in questo modo, per esempio, si origina l'informazione sulla qualità della luce e la sensazione del colore. Gli organismi vivono immersi in una miriade di stimoli, ma gli organi di senso trasducono solo una minima parte dell'energia che li investe: questi, perciò, rappresentano finestre aperte sul mondo degli stimoli e filtri periferici dell'informazione sensoriale. Un caso estremo di selettività del filtro, ovvero di specializzazione sensoriale, è rappresentato dalla percezione dei messaggi chimici trasmessi da un animale all'altro con sostanze specifiche: i feromoni. Spesso il recettore raggiunge qui il massimo valore adattativo con una bassissima soglia di sensibilità per una sostanza determinata e con l'insensibilità per altre, anche se chimicamente affini. Ben conosciuti sono i feromoni con i quali le femmine attirano i maschi anche da qualche chilometro di distanza. Tra due cani (gli attori della comunicazione) lo scambio informativo avviene quindi con diversi messaggeri ed con metodi diversi. Viene di seguito riportato uno schema nel quale si analizza il rapporto che interviene durante la comunicazione, ossia: -- comportamento dell’emittente del segnale; -- natura del segnale (es. visivo, uditivo, ecc); -- comportamento del destinatario del segnale (esempio: risposta del cane allo stimolo). Il comportamento dell’emittente del segnale è legato a: -- gli organi utilizzati per emettere il segnale (ghiandole, posture del corpo, organi, ecc); -- i fattori interni che influenzano l’emissione (il sesso, la maturità, il metabolismo, le caratteristiche genetiche, l’apprendimento, ecc); -- i fattori esterni (luce, buio, la temperatura, la presenza/assenza di individui della stessa specie, ecc). La natura del segnale è legata a: -- le caratteristiche fisico-chimiche del segnale. Per esempio, per quanto riguarda i segnali olfattivi, l’intensità e la composizione chimica. Per i segnali uditivi, l'intensità, la frequenza e la lunghezza d'onda, ecc. -- la scansione temporale del segnale Il comportamento del destinatario del segnale è legato a: -- la soglia di risposta, cioè il segnale minimo capace di influenzare una reazione; -- tipo di reazione o comportamento evocato, la natura della risposta (innata, appresa); -- gli organi utilizzati, le caratteristiche morfofunzionali. 1.2.6) I canali di trasmissione e ricezione degli stimoli 1.2.6.1) Canale tattile La disposizione dei recettori sensitivi cutanei non è ancora tutt’oggi completamente conosciuta. Alcuni recettori sono diffusi su tutta la superficie corporea, altri sono localizzati sul tartufo, sulle vibrisse poste sulle labbra, sul mento e sulle sopracciglia. I corpuscoli del Meissner sono implicati nella percezione delle sensazioni tattili fini e sono più largamente presenti a livello dei “baffi”, ai quali si attribuisce un ruolo nell’esplorazione di oggetti complessi, mentre i corpuscoli lamellari di Vater Pacini intervengono nelle percezioni somestesiche (poiché sensibili alla pressione). Li si ritrova soprattutto nelle sopracciglia (dove agiscono come le ciglia nello scatenare il processo di chiusura degli occhi in seguito ad una minaccia), ma anche a livello del mento e del canale intermascellare (dove permettono al cane di seguire il terreno durante un pistaggio senza ferirsi con le asperità del terreno). La comunicazione tattile compare precocemente nella vita del cucciolo. Durante il periodo prenatale il feto percepisce la pressione esercitata sulle corna uterine, mentre, dopo la nascita, il leccamento effettuato dalla madre, così come i contatti effettuati con il tartufo e con la bocca, sono fondamentali per l'instaurarsi del legame di attaccamento. Secondo Pageat è possibile evidenziare quanto segue. -- Contatti che intervengono nell’instaurazione dei rapporti gerarchici: sono realizzati soprattutto a livello della testa, del garrese e della groppa. Avvengono durante le prime fasi dell’interazione sociale tra due individui sia dello stesso sesso, sia di sesso differente. Il cane riconosciuto come capogruppo appoggia la sua testa sulla testa o sul garrese dell’avversario e, a volte, lo mordicchia sul capo utilizzando gli incisivi; inoltre, esplora olfattivamente e lecca i feromoni presenti sulla faccia mediale dei padiglioni auricolari. -- Contatti di rassicurazione: sono effettuati per tranquillizzare un individuo o per stabilire un contatto. La postura di sottomissione può essere completata da contatti torace contro torace tra gli individui coinvolti nell’interazione. Inoltre, è possibile riscontrare mordicchiamenti e colpi di lingua sotto il mento e sulle labbra accompagnati da guaiti. -- Contatti sessuali: comprendono i comportamenti di corteggiamento che consistono nel leccamento del muso, della faccia mediale dei padiglioni auricolari, del perineo e della vulva da parte del maschio, e degli organi genitali maschili da parte della femmina. 1.2.6.2) Canale olfattivo La comunicazione olfattiva nei carnivori in genere, e nel cane in particolare, è stata oggetto di numerosi studi. Tra le sostanze emesse, i feromoni occupano un posto importante. I feromoni non sono semplici odori, sono messaggi che possono avere caratteristiche olfattive particolari, ma non agiscono solo in qualità di stimoli olfattivi. Nel loro insieme, i componenti identificati sono tutti dei composti organici semplici dal peso molecolare piuttosto moderato, condizione necessaria per ottenere una corretta volatilità. La maggior parte di questi composti appartengono alle famiglie degli acidi carbossilici, alcoli, chetoni, aldeidi, ammine, steroli, terpeni e alcuni alcali. I feromoni sono capaci di: -- intervenire sulle secrezioni ormonali (soprattutto sulla secrezione degli steroidi sessuali) per stimolazione ipotalamica; -- indurre modificazioni emozionali all’origine delle variazioni dello stato reattivo. Esistono particolari strutture presenti nelle mucose olfattorie che sono coinvolte nella percezione dei feromoni e, nonostante il meccanismo di percezione non sia stato del tutto chiarito, la situazione meglio conosciuta è quella che implica la stimolazione dell’organo di Jacobson (o organo vomeronasale) in seguito ad un comportamento detto Flehmen. Si tratta di un comportamento proprio dei mammiferi e consiste nel rialzare, a bocca semi aperta, il labbro superiore. Nel cane esiste una controversia: alcuni autori non lo ritengono in grado di effettuare il Flehmen; secondo P. Pageat, invece, si identifica tale comportamento in un atteggiamento di animazione con rialzo del labbro superiore e raggrinzimento del tartufo che si osserva per esempio quando il cane esplora delle deiezioni. 1.2.6.3) Canale uditivo Il cane possiede un udito molto efficace che gli permette di percepire frequenze comprese tra sessantacinque Hertz e quindici chilo Hertz. La gamma dei suoni e delle vibrazioni da lui emesse è dunque estremamente varia. Due emissioni sonore sono state identificate e discriminate in funzione del fatto che siano emesse con la voce oppure no. I segnali vocali sono l’abbaio, il ringhio, l’urlo, il grido acuto, il gemito, il miagolio, il guaito, il colpo di tosse ripetuto. I segnali non vocali sono essenzialmente rappresentati dal battere dei denti e dall’ansimare. Non esiste, per essere esatti, un lessico che associa un determinato tipo di emissione ad una situazione o ad una funzione e la diversità, l’intensità e la frequenza delle emissioni vocali variano molto in funzione della razza (ma anche dell’età). Le emissioni sonore del cane sottostanno ad una maturazione in tre tempi. Durante il periodo neonatale, i cuccioli emettono essenzialmente gemiti e miagolii poco modulati, sovente associati a situazioni di ricerca del contatto con la madre, quando questa si allontana. Il periodo di transizione segna una seconda tappa nello sviluppo delle emissioni vocali. I cuccioli, sebbene ancora sordi, producono suoni sempre più variati ed è proprio in questo periodo che cominciano ad apparire il ringhio, i primi abbai e le grida acute. Questa seconda tappa coincide con le prime settimane della socializzazione. Il terzo periodo può essere riassunto in una diminuzione della frequenza di emissione delle vocalizzazioni; ciò è vero nella maggior parte delle razze canine eccetto quelle per le quali tale caratteristica è desiderata (segugi). Questa regressione di frequenza sembra sincrona allo sviluppo del canale visivo, quindi all’aumento delle capacità di postura e di mimica. È necessario insistere sulla dualità della comunicazione sonora che, insieme a quella chimica, rappresenta l’unico modo di comunicare a distanza. A tal proposito, le vocalizzazioni emesse in certe circostanze (per esempio la protezione del proprio territorio) svolgono una funzione essenziale. Al contrario, le emissioni sonore emesse in prossimità dell’individuo rappresentano generalmente degli elementi di sostegno ad un atteggiamento. Le emissioni sonore senza vocalizzazioni hanno una funzione simile a quelle dei feromoni. Si tratta di segnali che tradiscono uno stato emotivo. L’ansimare, inoltre, sembra associato alla comunicazione olfattiva. 1.2.6.4) Canale visivo L’acquisizione dei segnali di comunicazione del canale visivo è senza dubbio uno dei fenomeni più affascinanti del periodo di socializzazione. L’occhio del cane è soprattutto adatto alla visione in condizione di luce scarsa; la sua retina, molto ricca in bastoncelli, permette la visione di oggetti poco luminosi, anche se questa percezione manca di definizione. Al contrario, la visione dei dettagli in piena luce è possibile a condizione che l’oggetto osservato sia posto a più di venticinque centimetri. L’occhio del cane, come quello di numerosi carnivori, è adatto in particolare alla percezione dei movimenti. Contrariamente a quanto si credeva, il cane può vedere i colori, ma le sue capacità sono nettamente superiori per le gamme dei blu e dei verdi, mentre la sua retina sembra poco sensibile alla luce rossa. Oltre alle proprietà intrinseche dell’occhio, è bene tenere in considerazione anche il campo di visione. L’angolo formato dagli assi oculari varia tra otto e venticinque gradi in funzione della conformazione anatomica: le razze brachicefale sono quelle in cui l’angolo è più acuto, mentre è il contrario per quelle mediolinee e dolicocefale. Il campo visivo, invece, varia secondo valori meno estremi, essendo compreso tra ottanta e cento gradi. I segnali visivi possono derivare da caratteristiche morfologiche, da movimenti emozionali o dall’esecuzione di movimenti specifici da parte di colui che emette il segnale. Gli elementi morfologici consistono essenzialmente in macchie di colore che, per effetto del contrasto, sottolineano più o meno delle risposte emozionali o servono da bersaglio nell’esecuzione di determinati atteggiamenti. Li si può osservare nelle razze più vicine al modello originario costituite, per esempio, dalle chiazze bianche della regione del sottogola che, come già detto, vengono prese di mira negli attacchi duranti i combattimenti gerarchici. Al contrario, il modellamento morfologico realizzato dalla selezione e dalla chirurgia estetica può alterare in modo considerevole la potenza di certi segnali. È il caso degli Epagneul Breton caudectomizzati. Si potrebbe ipotizzare che l’apparente esuberanza di tali cani corrisponda ad un adattamento della comunicazione di questa razza alla coda amputata. Il secondo tipo di segnali visivi (movimenti emozionali) corrisponde anch’esso ad un sistema involontario. Le emozioni causano movimenti del corpo diversi: erezione dei peli, midriasi o miosi, movimenti dei padiglioni auricolari o della coda, tremiti, sobbalzi, perfino stati di immobilità di breve durata rappresentano altrettanti elementi che accompagnano la manifestazione degli atteggiamenti. Il terzo tipo di segnale (movimenti specifici) deriva dalle produzioni motorie volontarie. Le modalità di esecuzione e di associazione delle posture e delle mimiche devono essere apprese dal cucciolo durante il periodo di socializzazione. Le posture e le mimiche sono in effetti le azioni specifiche che costituiscono sequenze comportamentali particolari che permettono agli animali di comunicare. Tali sequenze sono chiamate rituali ed il processo di costruzione di un rituale è la ritualizzazione. I rituali hanno la particolarità di derivare dal riorientamento di comportamenti elementari più spesso legati a funzioni vitali (mangiare, bere, montare od accettare la monta). La sequenza primitiva subisce una serie di trasformazioni in merito alla sua organizzazione sequenziale, determinando la perdita della sua funzione iniziale ed acquisendo una funzione comunicativa. Alla fine della ritualizzazione, la nuova sequenza ha acquisito nuove caratteristiche. Innanzi tutto essa possiede uno stimolo appetitivo specifico; ciò significa che la situazione nella quale l’animale si prepara ad eseguire il rituale è sempre la stessa. La fase appetitiva è anch’essa specifica e più spesso totalmente differente da quella della sequenza primitiva: nella maggior parte dei casi mira a focalizzare l’attenzione del ricevente. Appena questo obiettivo è raggiunto, l’animale esegue la fase consumatoria che è uguale a quella della sequenza che è stata ritualizzata. Ma essa ha subìto un’importante trasformazione. L’animale ripete ed accentua questa fase fino a che il ricevente adotta il comportamento richiesto. Questa modificazione del ritmo e dell’intensità di esecuzione è stata descritta per la prima volta da Morris con il nome di intensità tipica. L’autore ha insistito sul fatto che essa condiziona la non ambiguità del messaggio. Infatti, i parassiti prodotti dalle emozioni soggiacenti, oltre la loro espressione somatica diretta, altererebbero l’esecuzione del rituale impedendo di raggiungere l’intensità tipica e sarebbero così all’origine dell’emissione di rituali ambivalenti. Ritualizzandosi, un comportamento non cambia solo di organizzazione sequenziale per acquisire una funzione comunicativa, ma diventa anche un fattore di coesione sociale. In effetti, eliminando le ambiguità che sorgono facilmente in qualsiasi interazione sociale, esso diventa ansiolitico e diminuisce la probabilità di scatenare aggressioni. I rituali sono dunque indispensabili alla sopravvivenza del gruppo sociale; essi limitano la comparsa di conflitti che hanno sempre come conseguenza la destabilizzazione del canile. Ma un’altra funzione molto importante è stata postulata da Lorenz. Se esistono dei rituali che non variano per una medesima specie, il modo di funzionamento stesso della ritualizzazione rende possibile l’adozione di innumerevoli variazioni all’interno di una stessa specie. Tenuto conto delle funzioni rassicuranti dei rituali, si comprende come un individuo si trovi più a suo agio nel canile in cui è nato piuttosto che in un altro che possiede altri rituali. Possiamo dire che in tal modo resta attaccato all'affisso di nascita. Questa teoria sembra confortata da osservazioni realizzate in canili ove vengono mescolati cani provenienti da differenti affissi; si osserva allora una incapacità di stabilire interazioni che sono abitualmente risolte mediante l’esecuzione di un rituale specifico, in questo caso incomprensibile da cani estranei. Per tale motivo i combattimenti aumentano. Queste variazioni, che appaiono destabilizzanti all’interno di un gruppo sociale, verranno in futuro fissate e trasmesse da una generazione all’altra come una ricombinazione di rituali, contribuendo alla nuova originalità del gruppo. Lorenz ritiene che i rituali specifici di un gruppo costituiscono il cemento affettivo che lega gli individui al canile a cui appartengono. Alcuni rituali importanti si definiscono nel corso dell’apprendimento delle regole gerarchiche. 1.2.7) L'adattamento e l'apprendimento 1.2.7.1) L’adattamento generazionale, o selezione naturale Si esplica attraverso la selezione di quei caratteri definiti idonei per quell’ambiente specifico e l’estinzione di quelli di non adattativi, non finalizzati all’adattamento. Un esempio di adattamento generazionale ci è offerto dalla giraffa, col suo spropositato collo. Fluttuazioni casuali genetiche hanno portato alla nascita d’alcuni individui della specie con il collo lungo, i quali avevano la possibilità di raggiungere le foglie poste più in alto sugli alberi (probabilmente mutamento delle condizioni ambientali), quindi con maggiori probabilità di sopravvivenza, di riproduzione e trasmissione del carattere adattativo alla prole. Ogni nuovo carattere può essere adattativo o no all’ambiente. 1.2.7.2) L'istinto È un impulso che spinge a reagire per realizzare un particolare obbiettivo tramite schemi d'azione innati. Quando parliamo di istinti, pensiamo immediatamente all'istinto materno, a quello sessuale ed a quello venatorio. Scientificamente parlando, li possiamo classificare come risposte stereotipate specie-specifiche e che possono venire soffocate dall'apprendimento. Più un cane è istruito e più è improbabile che questi reagisca a stati emozionali od a stimoli utilizzando l'istinto (es. se affamato, mangiare la selvaggina invece di riportarla). Gli istinti sono formati da impulsi. Esistono istinti primari (fame/nutrizione, sessualità/riproduzione) ed istinti strumentali, i quali supportano i primi anche se possono essere indipendenti esternando la ritualità (es. un cane avverte, segnala e segue una traccia olfattiva di un selvatico anche se non ha fame). Le azioni istintive sono quindi serie di movimenti o moduli ordinati che hanno una considerevole costanza di forma nell'ambito della specie. Sono per esempio istintive (e come tali non apprese durante l'addestramento) la rincorsa della preda, i movimenti di pulizia del corpo (grattarsi e leccarsi), l'accoppiamento, ecc. Negli animali evoluti come il cane, si osserva un progressivo incremento delle componenti acquisite del comportamento: da esse dipendono, per esempio, i fenomeni di assuefazione agli stimoli ripetuti, i riflessi condizionati, il riconoscimento dei luoghi e dei percorsi, il riconoscimento di odori, l'affinamento delle tecniche di caccia, ecc. Una elevata quota di componenti apprese conferisce plasticità al comportamento e rappresenta il presupposto per manifestazioni di comportamento intelligente che si attuano principalmente con la capacità di utilizzare esperienze passate in situazioni del tutto nuove e diverse. Il comportamento intelligente è rivelatore dell'esistenza nel cane di fenomeni mentali, cioè di esperienze soggettive paragonabili a quelle dell'uomo. Foto 5: Setter Irlandese in ferma Per cercare di far quadrare il cerchio, bisogna pensare che sono le motivazioni che modulano le risposte istintive. Tralasciando le motivazioni di ordine fisiologico (bisogni corporali, accoppiamento, ecc), parlare di cane addestrato e di impulsi senza fare riferimento alle motivazioni che le modulano non ha senso. Nessun apprendimento può consolidarsi e divenire patrimonio dell’allievo se alla base dello stesso non c’è una valida ed efficace motivazione. La motivazione può essere definita come una forza interiore che origina, sostiene e dirige il comportamento. In altri termini, per affermare che è presente nel cucciolone una valida motivazione nei riguardi della caccia, è necessario che il soggetto inizi a frequentare i prati (spinta che origina il comportamento finalizzato al reperimento della selvaggina). Ciò però non è sufficiente. L’allievo, infatti, deve anche continuare a frequentare tali luoghi con l’impegno necessario (in questo modo è presente la seconda condizione importante che consiste nel consolidamento della passione). Ed infine una valida motivazione deve dirigere il comportamento del giovane cane a raggiungere la meta finale, quella cioè rappresentata dall’imparare a trovare la selvaggina. L’handler dovrà anche tener conto che alla base della motivazione ci sono i “bisogni”. Sono questi ultimi che creano la forza interiore che spinge all’azione. Tali bisogni, come già detto, possono essere primari e secondari. Sono primari quelli che derivano da uno stato di privazione, soprattutto a livello fisiologico. Infatti si determinano nel sangue alcune alterazioni chimiche, caratteristiche di alcuni specifici bisogni, che producono ben precisi comportamenti. Così , se un cane è tenuto per un certo tempo a digiuno, diventerà necessariamente un animale attivo ed affamato e questa condizione di privazione (bisogno di cibo) lo spingerà a muoversi e sarà capace di scavalcare la recinzione del canile, pur di arrivare al cibo e consumare, soddisfacendo così il suo bisogno. Un cane ben nutrito non si agita e non si muove senza la stimolazione dell’istruttore o di chiunque altro si prenda cura di lui. Qualsiasi processo educativo e formativo, come già è stato evidenziato in precedenza, per raggiungere i suoi obiettivi deve puntare sull’interesse. Questo termine è strettamente collegato a quello di motivazione. Motivare un cane significa anche e soprattutto riuscire nell'interessarlo alla selvaggina. Ma come descritto precedentemente, la motivazione spinge alla ricerca del selvatico solo e soprattutto quando gli altri bisogni sono soddisfatti. In altri termini, i giovani quadrupedi saranno veramente motivati se non hanno difficoltà a livello di bisogni primari (fame, sete, sonno ecc.). Nella cinofilia odierna pochissima attenzione viene dedicata a questi aspetti e molto spesso si trascurano gli aspetti emotivi ed affettivi dei cani. Il comportamento di questi ultimi viene così interpretato in modo errato e si rischia di aggravare la situazione psicologica. Ecco perché di fronte allo scarso impegno dell’allievo od alla mancanza di buoni risultati da parte dello stesso, sarebbe consigliabile non assumere immediatamente posizioni dure, ma cercare di capire cosa stia succedendo nella testa del cane. Il bisogno di stima e d’affetto non può essere sottovalutato. Il bravo dresseur saprà porsi come punto di riferimento, tranquillizzando il cane, aiutandolo, ma soprattutto dimostrandogli d’avere fiducia in lui e di saper attendere un suo valido impegno, che non potrà mancare da lì a poco. Durante la caccia, la motivazione del cane è il reperimento della selvaggina e, nella maggior parte delle volte, è l'emozione che il selvatico concede al cane che genera la motivazione. Quindi, la motivazione spinge il cane a cercare fino al raggiungimento dell'obbiettivo “reperire la selvaggina”: la ferma. Dopo l'abbattimento della preda ed il riporto, il cane da caccia appagato riposa brevemente la mente per poi rimettersi in caccia di spontanea volontà, spinto dalla ricerca di ulteriore appagamento tramite una possibile ferma successiva, oppure spinto dal rinforzo positivo ricevuto dal cinofilo o dal cacciatore (stimolo). Comportamento differente quello del cane da prove: raggiunto lo scopo di aver reperito il selvatico e dopo il frullo, passa in una fase di quiescenza mentale molto più prolungata. Il rilassamento che esternano i soggetti dopo l'involo, a guinzaglio ed a termine dell'azione, avvalora questa teoria. Solo un ulteriore comando impartito può risvegliare la motivazione della ricerca (ma sempre solo dopo il termine dello stato di quiescenza). Questa è la spiegazione più logica per effettuare i cosiddetti richiami e completamenti durante le prove di lavoro. Molto più comunemente viene indicata da taluni e percepita da altri come “concessione di un certo tempo di recupero fisico”. Ma è più psichico che fisico. Se così non fosse, la selezione andrebbe nella direzione di una costruzione morfologica che permetterebbe al cane di cacciare solo quindici minuti? Ovviamente no. Il turno di lavoro non è altro che una verifica morfologica (dal punto di vista del movimento) ed attitudinale. 1.2.7.3) L'intuito Quando si pensa all'intuito degli amici a quattro zampe, ricordiamo con piacere un fatto accaduto una decina d'anni fa durante l'addestramento di una giovane Setter Inglese alle prese con la sua prima starna. L'erbaio si presentava rado e d'una altezza non consona per questo selvatico che alternava lunghe pedinate a soste in cui faceva capolino per tenere d'occhio il cane impegnato nei lacets. Con sicurezza il soggetto agganciò il punto e si mise in ferma. Ci trovavamo ad una distanza tale da non poterci fare sotto immediatamente e si concesse così una specie di elastico tra starna e cane. Passati alcuni minuti e dopo un centinaio di metri di ferme e ripartenze, il soggetto si sottrasse dall'emanazione percorrendo rapidamente e con passo felpato (tipo filata) un ampio mezzo cerchio, tagliando la via di fuga alla veloce pedinatrice. Posizionato il pennuto tra noi e lei, si rimise in ferma bloccando a terra la starna e risolvendo l'azione. In questo caso il soggetto aveva trovato una soluzione originale ad un problema che mai aveva affrontato in precedenza. Nella mente del cane si era accesa la classica lampadina, l'idea geniale, mettendo poi in pratica il pensiero con profitto (risolvere l'azione di caccia bloccando la pedinata del volatile). Capita a volte di presenziare a fatti che hanno dell'incredibile ma che sono riconducibili ad un tipo specifico d'apprendimento: quello intuitivo. 1.2.7.4) Il condizionamento operativo o strumentale Acquisizioni fondamentali nell’ambito della Psicologia comportamentistica sono dovute allo studioso Skinner. Egli ha introdotto, accanto al condizionamento classico (o rispondente) studiato da Pavlov, il condizionamento operativo. Questo è un condizionamento che si verifica anche in assenza di stimoli esterni al soggetto e consiste nel fatto che un comportamento diretto da stimoli interni viene trasformato a seguito di particolari eventi gratificanti. Il Condizionamento strumentale è quindi una forma di apprendimento associativo: in questo caso l'animale impara ad associare un'attività volontaria agli effetti che ne conseguono. «Prova, prova...prima o poi riesci!». Questo pensavano i dresseurs del passato dei giovani cani da caccia osservandoli correre sul campo. Essi sapevano che ripetendo più volte l'esercizio si sarebbe arrivati al risultato voluto. L'intuito, però, non concede al cane di risolvere sempre un quesito in maniera brillante. La maggior parte delle volte il cane pensa, sceglie tra le varie soluzioni memorizzate e messe in atto in passato per casi simili, oppure tenta la prima cosa che gli viene in mente e... Può sbagliare. L'avere errato fa scartare al cane la possibilità di risolvere in futuro lo stesso quesito nel modo che lo ha portato al non ottenimento del risultato voluto (es rinforzo positivo). L'errore verrà poi inglobato nelle esperienze. Vediamo di fare un esempio pratico. Durante l'addestramento, quasi tutti i giovani soggetti sono più o meno portati alla ferma tendendo però ad avvicinare la selvaggina per catturarla prima del frullo. La fuga del volatile ricompensa negativamente l'operato del cane che ne rimane amareggiato. Oltre al rimanere attonito ed alla frustrazione, interviene spesso il rinforzo negativo somministrato dal conduttore (per correggere l'operato). Ecco perché il rinforzo negativo deve essere ponderato secondo la gravità dell'errore generato ed all'insistenza nel ripeterlo nel proseguo dell'addestramento. Per alcuni soggetti non serve il rinforzo negativo ma basta la frustrazione che provano nell'impossibilità di risolvere, con merito, l'azione venatoria stessa. Quando la ferma si consolida, il cane capisce che aspettare il fucile a giusta distanza dal selvatico vuol dire catturare la selvaggina dopo l'abbattimento. 1.2.7.5) L'assuefazione L'assuefazione viene definita coma la forma più facile di apprendimento: essa non comporta nuove risposte ad uno stimolo, ma piuttosto la perdita di quelle acquisite. A dimostrazione di questa teoria si può prendere ad esempio una lumaca. Deponiamo l'invertebrato su un tavolo e mentre cammina diamo un colpetto. La lumaca si ritrarrà nel guscio dal quale riuscirà per camminare solo dopo un certo lasco di tempo. Ripetendo il tutto, la lumaca si ritrarrà nuovamente e riprenderà il cammino in un tempo nettamente inferiore. Mano a mano che ripeteremo l’esperimento, la lumaca riprenderà il movimento sempre più velocemente sino a quando non rientrerà più nel guscio perché si sarà assuefatta al colpetto sul tavolo. La stessa cosa accade a noi umani quando dobbiamo dormire accanto ad una ferrovia: inizialmente sarà impossibile, poi il nostro cervello farà sì di bypassare il rumore del treno che passa. Lo stesso accade quando l'handler utilizza in maniera non consona il fischietto trasformandolo in un piffero da concerto solista: la soglia di stimolo si innalza ed il fischietto diventa un rumore che si perde nel vento. L'assuefazione è da considerarsi quindi un sistema d'apprendimento al contrario: cancella ciò imparato in precedenza. Dato l'elevato numero di concertisti che vagano sui terreni di caccia e di prove, ci sembrava il caso di darne un accenno in questo frangente. 1.2.7.6) La sensibilizzazione Diametralmente opposta all'assuefazione è la sensibilizzazione, cioè dove la ripetizione di una stimolazione provoca un aumento di attivazione dell’individuo o un aumento nella frequenza delle risposte. È innegabile il valore adattativo di questi due tipi di apprendimento. L’incontro con un animale pericoloso (nutria, cinghiale, ecc) comporterà una sensibilizzazione dopo una sola presentazione, anche senza la necessità di essere sottoposti a procedimenti di rinforzo/punizione. Viceversa, l’interesse per stimolazioni irrilevanti deve necessariamente diminuire. Ad esempio, in Natura, i vari rumori o segnali di preavviso preannuncianti l’avvicinamento di un predatore o la presenza di possibile cibo diventano essenziali per la sopravvivenza dell’individuo e quindi necessitano di una sensibilizzazione. Viceversa stimoli tipo il rumore delle foglie mosse dal vento porta ad un’assuefazione. La sensibilizzazione è un fenomeno direttamente collegato al riflesso d’orientamento pavloviano. 1.2.7.7) La funzione del cervelletto La principale funzione del cervelletto è quella di mediare, dividere ed a volte attenuare gli stimoli percepiti tramite gli organi di senso e che raggiungerebbero il cervello in modo confusionario impedendogli la corretta funzione. La ripetitività della stessa esperienza (che è composta da uguali stimoli di uguale intensità) porta a cambiare la meccanica della elaborazione degli stimoli a livello del S.N.C. (Sistema Nervoso Centrale): gli stimoli tendono a fermarsi a livello del cervelletto che prenderà le decisioni opportune lasciando il cervello libero di svolgere attività più complicate elaborando stimoli per lui nuovi o complessi. La risposta sarà quindi più celere (emanazione → ferma) venendo quasi confusa con i cosiddetti riflessi involontari. La ripetitività di un esercizio comporta il suo espletarsi in modo sempre più celere e perfezionato grazie anche al cervelletto. 1.2.7.8) L'apprendimento Il tema dell’apprendimento riveste una fondamentale importanza nell’ambito della esistenza psichica del cane. L’apprendimento viene definito come una modificazione relativamente stabile del comportamento e che si verifica grazie all’esperienza. L’apprendimento è frutto di una interazione del singolo soggetto con il mondo esterno, che si misura con un parametro empirico (esperienza diretta e concreta nell’ambiente in cui vive). L’esperienza è il rapporto di un soggetto con un contenuto oggettivo e si risolve nello sforzo che ogni organismo vivente, cane compreso, deve compiere per modificare a proprio vantaggio una situazione. A tal proposito gioca un importante ruolo la naturale propensione ad apprendere, che permette l’acquisizione di tutti i comportamenti indispensabili per la crescita. Ogni apprendimento, perciò, è la conseguenza di una elaborazione percettiva e cognitiva di uno stimolo. Ciò significa che l’apprendimento, da molti definito “motivazione alla competenza”, presuppone una coscienza vigile in grado di recepire gli stimoli provenienti dall’ambiente. Questo processo è pertanto diverso da quello della maturazione. Quest’ultima si accompagna alla modificazione permanente di schemi ed aspetti comportamentali del cane. Possono, ad esempio, estinguersi riflessi presenti alla nascita e comparirne altri durante l'accrescimento. Questi mutamenti, presenti in ogni individuo, sono indipendenti dalle esperienze soggettive e dalle diversità ambientali, per cui non costituiscono un aspetto dell’apprendimento. L’apprendimento è quindi una capacità che permette all’individuo di adattarsi alle molteplici variazioni ambientali e, volendo ampliare il concetto, potremmo dire che apprendere è una questione di sopravvivenza. In Natura si apprende per sopravvivere ad una situazione, salvare la pelle, procacciarsi cibo, perpetuare la specie. Per apprendimento si intende non solo acquisizione o modifica di comportamenti, ma anche accumulazione di conoscenze che non sempre hanno una utilità immediata o pratica. Il cane non è dotato, come l'uomo, d'intelletto superiore. In effetti non è dotato di coscienza, della parola e non è capace d'imparare a leggere e scrivere, quindi capisce, elabora e memorizza le esperienze vissute e che in Natura mirerebbero alla conservazione della specie. Altro discorso è l'autocoscienza. Gordon G. Gallup, psicologo alla State University of New York ad Albany, nei suoi esperimenti ha impiegato uno specchio come strumento per saggiare la presenza di autocoscienza. L’intuizione alla base dell’esperimento è semplice: se un individuo è in grado di riconoscere la propria immagine allo specchio, allora deve avere una qualche forma di consapevolezza di se stesso. Altrimenti, è una creatura inconsapevole. Se un cane è in grado di riconoscere sé stesso, questo è dovuto al fatto che ne ha un modello nella propria mente ed avere un modello, conclude Gallup, è un indice di una qualche forma di autocoscienza. Il cane domestico si adatta a capire ed elaborare gli stimoli che provengono dal mondo che lo circonda, memorizzando immediatamente chi ha il compito di nutrirlo giornalmente. Una esperienza memorizzata è composta da un certo numero di stimoli di una certa intensità. Gli stimoli vengono recepiti tramite gli organi di senso, transitano attraverso il midollo spinale, il cervelletto e raggiungono le apposite aree della corteccia cerebrale per venire elaborate. Successivamente alla elaborazione dei dati, il cervello risponde agli stimoli per la strada inversa. La risposta può essere di differente natura. Un esempio classico è la risposta motoria (fuga) che il cane mette in pratica alla vista del giornale arrotolato usato in passato dal padrone per punirlo corporalmente. Ma come avvieni in sostanza l’apprendimento? Di quali metodi pratici si serve il cane per imparare tutto ciò che è necessario per comprendere il mondo che lo circonda? Il continuo modificarsi delle condizioni ambientali crea la necessità negli organismi di modificare qualcosa nei propri schemi comportamentali per adeguarsi, pena l’estinzione. Un organismo, sia esso superiore od un semplice virus, per adattarsi ad un ambiente ha sostanzialmente due possibilità: -- generazionale (lenta): che si attua attraverso la trasmissione genetica; -- ontogenetica (o selezione naturale): più veloce e compresa temporalmente nella vita dell’individuo. 1.2.7.8.1) L'apprendimento associativo I cambiamenti di comportamento che avvengono quando un cane forma un'associazione fra eventi ambientali e le risposte a questi, vanno sotto il nome di apprendimento associativo. Un tipo di apprendimento associativo è il condizionamento classico, un fenomeno studiato per la prima volta dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Questo autore dimostrò che se si somministra della carne ad un cane e contemporaneamente si fa udire un particolare suono, esso rimane condizionato in misura tale che la salivazione ha inizio solo udendo quel suono anche senza rapporto diretto col cibo. Normalmente la salivazione è la risposta incondizionata o automatica all'esposizione a stimoli alimentari e che vengono perciò etichettati come stimoli incondizionati. Ma i cani sono in grado di apprendere con l'esperienza che un suono può essere associato alla possibilità di ottenere cibo, il che li porta alla salivazione: questa è una risposta condizionata scatenata da elementi (stimoli condizionati) come il suono di un campanello o di un fischietto che inizialmente non aveva alcun effetto sul comportamento dell'animale. 1.2.7.8.2) L'apprendimento per emulazione Per tale processo, conoscenze, strategie e modalità comportamentali possono trasferirsi da un soggetto (modello) ad un altro (osservatore). Detta modalità di apprendimento è facilmente riscontrabile nell’ambiente naturale e sociale. L’imitazione di modelli e di determinate condotte è continuamente proposta e rinforzata fin dalla prima infanzia anche nei cani. Tanto in psicologia umana, quanto in psicologia animale, svariate prove sperimentali hanno dimostrato la superiorità del tipo di apprendimento anzidetto. Gli studi sull’imitazione non hanno avuto uno sviluppo costante, ed il fatto che gran parte del comportamento canino possa derivare dall’esposizione a modelli sociali è stato variamente interpretato. Prima degli anni `60, l’apprendimento per imitazione è stato sistematicamente analizzato da Millerd e Dollard (1941). Negli anni successivi, gli sviluppi degli studi etologici e gli studi di Bandura hanno dato vita a formulazioni teoriche e a sperimentazioni sistematiche (Meazzini, 1977). Bandura (1969) definisce “modeling” il processo in cui è presente uno sdoppiamento di ruolo tra un soggetto che osserva ed un soggetto che fa da modello. Studi e ricerche hanno dimostrato l’efficacia del modellamento a livello terapeutico (Nisi-Rolandi, 1984). Il “modeling”, infatti, è molto efficace nell’intervento su soggetti che presentano scarsa capacità di apprendimento, nell’insegnamento a cuccioloni e nel recupero di giovani soggetti sottoposti ad errati dressaggi. La sua efficacia, inoltre, è molto più consistente se il modello è credibile e si trova in uno status sociale rilevante (Rosenthal e Bandura, 1978). Il soggetto tende ad imitare maggiormente modelli che attraggono l’attenzione e che riscuotono la fiducia di chi osserva. Molto importante è anche la somiglianza tra osservatore e modello. Da quanto detto appare chiara la funzione di questo tipo di apprendimento, che richiede al cane leader un comportamento, una capacità relazionale ed una competenza tecnica indispensabili per essere un leader da seguire e da ammirare sul terreno di caccia quanto all'interno del canile. Nel mondo animale esiste un’imitazione senso-motoria e talune volte l’imitazione nell’animale è possibile mediante la semplice ripetizione delle azioni di un modello. Ciò avviene quando l’osservazione richiede rappresentazioni mentali molto semplici. Un aspetto molto importante dei cani leader riguarda le abilità didattiche che debbono possedere affinché l’insegnamento raggiunga gli scopi preposti. Grazie anche alla conoscenza dello sviluppo cognitivo dell’allievo, l’handler dovrà favorire al massimo un valido processo d’acquisizione delle attività e delle regole della cinofilia. In altri termini, dovrà essere soprattutto capace di analizzare ciò che il cane leader comunica e trasmette all'allievo. Molti ricercatori hanno studiato a lungo gli schemi ed i principi dell’apprendimento sia con gli animali che con i bambini. I risultati dimostrano che schemi adeguati d’apprendimento si consolidano solo dopo una pratica assidua con determinati tipi di problemi. Se, al contrario, si procede con un esercizio ed una pratica discontinui, si verifica un processo d’apprendimento molto debole e perciò poco efficace. Questi esperimenti favoriscono alcune opportune conclusioni e determinano necessarie scelte: i giovani cani vanno guidati attentamente affinché si verifichi un valido apprendimento delle abilità fondamentali previste dalle attività venatoria. Solo quando ciò si è verificato si può passare ad insegnare ed a far effettuare compiti più difficili e complessi. A livello operativo sarà opportuno far compiere al cane leader una serie graduale e graduata di esercizi ben connessi ed armonizzati tra di loro, in modo che le difficoltà che affronta il novello vengano affrontate progressivamente senza forzature e traumi che possano scoraggiare ed avvilire colui che sta imparando. Imparare ad apprendere è un compito che prevede molti fattori quali la capacità di concentrazione ignorando gli stimoli distraenti. Occorre inoltre sottolineare che in ogni processo di apprendimento porta un certo livello d’ansia (livello di tensione cognitiva e fisiologica) che facilita l’apprendimento ma, quando la stessa raggiunge livelli di un’entità eccessiva, diventa devastante. In questo caso non consente al soggetto di organizzare le conoscenze e di effettuare specifici esercizi con precisione. A tal proposito sarebbe opportuno evitare di usare espressioni verbali urlate e comportamenti aggressivi e poco rassicuranti. Inoltre, l’allievo deve essere messo in condizione di cogliere (capire) le caratteristiche cognitive più salienti di ciò che gli si vuole insegnare. Anche in questo caso molto dipende dal cane leader, che deve essere chiaro, sicuro ed al limite dell'esagerato nelle sue esternazioni corporee, ricorrendo così all’uso di un linguaggio semplice quale la postura. A cura del dresseur vi è anche il far sì che lo scolaro si concentri solo sul compito da svolgere, senza prestare attenzione a stimoli distraenti (altri cani, rondini, farfalle, ecc), sguinzagliandolo in ambienti idonei alle lezioni e garantendo un zona “immune da distrazioni” e che faciliti la concentrazione. Sarà poi l’handler a scegliere tra due tipi d’apprendimento. Tali tipi possono essere definiti “concentrati” o “ripartiti”. I primi prevedono che si debbano insegnare una serie di esercizi in un certo periodo di tempo, impegnando il cane in modo continuativo. I secondi, invece, prevedono di frazionare l’impegno in tempi più flessibili, meno concentrati e ristretti. Così la pratica ripartita prevede intervalli di riposo tra i vari tentativi d’apprendimento di un esercizio, mentre l’altra concentra i vari esercizi, o tentativi di esercizio, in una successione continuativa. Gli studi e le ricerche hanno dimostrato che l’apprendimento ripartito è senza dubbio migliore di quello concentrato. Bisogna anche aggiungere, però, che esistono molte eccezioni a questa regola. Per quanto riguarda i vantaggi del primo tipo di apprendimento è stato dimostrato che un intervallo di riposo di un'ora tra una prova e l’altra rendeva più semplice e precisa l’esecuzione di un esercizio rispetto ad un intervallo di 15 minuti. Una spiegazione possibile del vantaggio della pratica ripartita può essere individuata nella “teoria del consolidamento”. Questa presuppone che mutamenti prodotti dall’apprendimento sul Sistema Nervoso richiedono tempo per consolidarsi e per poter essere sistematizzati ed immagazzinati nella memoria. Solo un tempo sufficientemente lungo può consentire le modificazioni fisiologiche che garantiscano la stabilità di un dato apprendimento. La modificazione fisiologica deve essere sottoposta ad un esercizio di consolidamento durante il quale essa è ancora instabile. Così un bravo dresseur dovrà evitare di far ripetere continuamente lo stesso esercizio all’allievo, sperando che in tal modo lo possa eseguire alla perfezione. Sarà opportuno, invece, che egli suddivida l’esercizio in varie fasi e le faccia eseguire dal cane leader gradualmente e con adeguati intervalli. L'apprendimento per emulazione è il metodo naturale con cui i lupi insegnano a cacciare alla prole. I cuccioli seguono da vicino la madre cacciatrice dalla fine dello svezzamento e ne emulano i comportamenti fino ad impararli alla perfezione. Il lupo sa bene che gli istinti e la loro evocazione nel giovane sono di primaria importanza per la futura sopravvivenza dello stesso. Una fattrice ben addestrata alla caccia può iniziare i cuccioli alla ferma molto prima del più bravo handler sulla piazza. La recettività è legata alla giovinezza, l'emulazione alla partecipazione (presenziare e prendere parte ad un accadimento). Si capisce come la Psicologia canina diviene importante nel carpire il momento in cui il giovane abbia imparato a cacciare e decidere che debba essere allontanato dalla madre per obbligarlo a fare da sé. Anticipando la separazione il giovane può non aver assimilato totalmente gli insegnamenti, posticipandola possono instaurarsi atteggiamenti tipo la sindrome del gregario (immaturità che denota incertezza, ricerca di accondiscendenza dell'operato del compagno di coppia tramite lo sguardo, andare a rimorchio, ecc). Un cane che, quando adulto, rimarrà incompiuto ed in cui emergeranno in modo saltuario o continuativo atteggiamenti che denotano incapacità ed impreparazione psicologica all'attività venatoria. 1.2.7.8.3) L'apprendimento latente Viene definito apprendimento latente quel tipo di associazione in cui lo stimolo non si esaurisce in una risposta evidente. Tutto ciò che viene appreso rimane apparentemente nascosto (latente) per emergere in seguito a fronte di specifiche necessità. Senza esserne a conoscenza, i dresseurs mettono a volte in pratica l'apprendimento latente nell'insegnamento della cerca, percorso e riporto. Un giovane soggetto che segue con interesse l'operato di altrui cane sostando a bordo campo, vede tutto ciò che succede. Il modo in cui la cerca si svolge, viene percepito dal giovane quadrupede come:« Se cerco in questo modo trovo anch'io la selvaggina!». Passato un certo periodo, quando il dresseur decide di sciogliere il giovane da solo, questo, a volte, mette in atto tutto ciò che ha visto fare precedentemente. Anche se taluni soggetti abbisognano, nel proseguo, di minime correzioni, in linea di massima l'esercizio è già stato digerito. Fortunatamente i cani da ferma sono tra le razze più curiose. Ed è proprio la curiosità insita nelle razze da caccia a rendere fruttuoso l'apprendimento latente. Senza la curiosità di razza cadrebbe l'attenzione e lo stimolo, e non sarebbe possibile questo tipo di apprendimento. L'apprendimento latente si instaura quindi tramite la curiosità del singolo (cioè senza una vera e propria emulazione). Se si dà la possibilità ad un cane di muoversi liberamente ed in modo autonomo all’interno di un campo di addestramento, questi prenderà conoscenza, oltre che del territorio, anche di eventuale selvaggina presente. In un secondo tempo, quando riporteremo il soggetto nel campo per eseguire la ricerca della selvaggina, troveremo meno difficoltà nell’insegnamento. Questo perché il cane sfrutterà ciò che ha appreso senza una precisa esigenza. È però consigliabile terminare sempre le sedute di addestramento in maniera positiva; l’esercizio ben fatto rimane appreso in maniera latente e si manifesterà in futuro consolidando il livello tecnico del cane. 1.2.7.8.4) L'esercizio mentale Quando si parla di addestrabilità si tende a confonderla con la recettività che possiede un cane rispetto ad un altro soggetto. L'handler cerca sempre di creare un modus operandi generalizzato e che possa inculcare nei cani gli esercizi da svolgere in modo ottimale e senza troppo faticare. I paragoni poi si sprecano tra i vari esemplari di sua conoscenza. Si accendono molto spesso dispute verbali su come questo o quel soggetto deve essere affrontato per potergli insegnare come andare a caccia correttamente. I cani possiedono un proprio carattere e con il quale si deve avere a che fare durante l'addestramento. Molte volte si cade nell'errore di giudicare un soggetto come ben addestrabile solo per il fatto che questi abbia risposto positivamente ed in modo celere al comando ed abbia memorizzato l'esercizio in una o due sedute d'addestramento. Ma non è sempre così. Corre in aiuto di taluni soggetti il cosiddetto esercizio mentale. L'esercizio mentale è una facoltà che ha il cervello di ripassare una cosa imparata senza fisicamente applicarvisi. Il cane lo esegue inconsciamente durante la primissima fase del sonno ed è simile all'apprendimento per emulazione (ma in una fase inconscia). La fase successiva è il sonno profondo ove sono comuni i movimenti delle zampe in una immaginaria corsa frenetica, accennare un lieve sbuffante abbaio o ringhio e così via. In via generale, tale facoltà è una prerogativa dei mammiferi e ne è un esempio il bambino che, verso i due anni di vita, nel periodo antecedente il sonno ripassa inconsciamente sottovoce le nuove parole imparate. Nell'uomo in età adulta è invece volontario. Per questo caso basti pensare ad uno scolaro che ripassa volontariamente ciò che ha studiato prima dell'interrogazione e ad un paracadutista od uno sciatore che mima con piccoli movimenti ciò che si accinge a fare da lì a poco. Ritornando al mondo a quattro zampe, l'esercizio mentale inconscio è una prerogativa non soggettiva, ma legata all'età ed allo sviluppo psicologico. Si potrebbe presupporre, quindi, che la scelta dettata dall'esperienza di qualche handlers sul miglior periodo in cui iniziare l'addestramento (attorno agli otto/nove mesi d'età) sia proprio legata a quella fase in cui l'esercizio mentale è più ricorrente. 1.2.7.8.5) L'attivazione mentale L'attivazione mentale è una magnifica metodologia che tutti coloro che vogliono rifinire l'addestramento di un cane da caccia possono applicare con incredibili vantaggi e stupefacenti effetti. Il cane è un animale intelligente anche se spesso sottovalutiamo le sue capacità. Quando ci avviciniamo all'attivazione mentale ci rendiamo conto che il nostro cane, oltre ad avere quattro zampe, ha anche molte capacità e soprattutto anche lui ha necessità di usare il suo cervello. Come si svolge l'attivazione mentale? In pratica, si tratta di proporre delle situazioni variabili appositamente create per portare il cane a trovare, in modo autonomo, la soluzione a problemi di crescente difficoltà. Cambiare ambiente di caccia e tipo di selvaggina ne sono un esempio classico. Anche lasciar correre in un prato un fagiano ferito per indirizzare il giovane cane al recupero (dopo aver sparato a salve) può essere ricondotto all'attivazione mentale: il cane dovrà trovare il modo per risolvere il problema ed ottenere così il rinforzo positivo dall'handler. Dovrà interrogare il vento, od inseguire a vista, ragionare, pensare e trovare la soluzione. Ogni gioco inventato deve essere differente ed approntato per ottenere risposte specifiche. Ogni cane è diverso e per questo chi è esperto nell'applicare tale metodologia sceglie, mano a mano che si progredisce nell'addestramento o voglia correggere degli errori, le situazioni variabili più adatte. In questo modo si possono sviluppare le capacità cognitive del soggetto, sia per l'addestramento che per la correzione. Il cane acquisirà quindi competenze sempre maggiori ed inizierà ad eseguire correttamente ciò voluto dai crismi cinofili. Quali sono i vantaggi e le finalità dell'attivazione mentale? Numerosissime. Il principale è certamente quello di riuscire a sviluppare in maniera sempre crescente l'intelligenza del giovane e contrastare, prima del radicamento, atteggiamenti non consoni ai parametri cinofili utilizzando la capacità di ragionare nonché riflettere. Il cane che viene allenato o corretto con tale metodo sarà quindi in grado di risolvere i problemi in modo sereno ed equilibrato, senza mostrare stress od ansia quando si presentino (e di questi casi se ne vedono parecchi sui campi prova ed a caccia). Il cane impara ad avere fiducia in sé stesso, aumenta la propria autostima e la sicurezza nello svolgere i compiti assegnati. Dato che è il dresseur che propone queste situazioni variabili, il cane aumenterà anche la sua fiducia ed il rispetto per il suo leader. L'handler/cacciatore non sarà più solo colui che nutre e gestisce il cane, ma diventerà anche un individuo che propone l'attività venatoria come attività estremamente divertente e sempre interessante, potenziando le capacità del cane dal punto di vista dell'attenzione e riflettendole sulle aspettative dello stesso. Osservando il quadrupede alle prese con queste nuove situazioni, scopriremo molti aspetti del suo carattere che ci erano sconosciuti ed il nostro rapporto con lui diventerà più completo, sereno ed equilibrato, diventando così partners attivi del gioco chiamato caccia. Inoltre, grazie a queste attività, riusciremo a stancarlo mentalmente: ragionare, concentrarsi e trovare soluzioni sempre più ingegnose stancano in modo positivo anche il cane già formato che calca i terreni più volte la settimana durante l'allenamento. Ricordiamo infatti che la sola attività fisica al di fuori della stagione venatoria o quella delle prove spesso non sopperisce alle sue necessità. In alcuni casi può persino essere controproducente in quanto fa perdere di significato all'azione della cerca durante la caccia od il turno di lavoro e tradotta poi, dall'uomo, in disinteressamento, fiacchezza, perdita di smalto, meccanicità nell'azione, ecc. Un esercizio fisico eccessivo, infatti, porta il cane solo ad avere sempre più necessità di movimento: potremmo paragonarlo ad un allenamento che non può più essere eliminato, indirizzando il cane ad un risparmio energetico nella prima fase del lavoro ove è richiesta invece massima spinta e concentrazione. Se invece lo attiviamo mentalmente, seguendo un corretto programma, tutto questo non accadrà: il cane si stancherà in modo positivo e dopo un congruo tempo di recupero essere sempre pronto a dare il massimo (es. turno di richiamo o completamento). Un buon lavoro mentale potrà essere sicuramente più breve del classico allenamento, ma certamente più intenso e di qualità superiore rispetto a quello fisico. Si dovrà però tener presente alcune accortezze. Prima di tutto è importante farsi consigliare e seguire da un esperto in tale pratica e che ci guiderà in questo percorso insieme al cane. Il dresseur deve proporre ed assistere ai progressi del cane, sempre pronto a trarne conclusioni ed intervenire se necessario. Qual è l'aspetto più importante per la scelta del “gioco” adatto al soggetto? Non dobbiamo mai dimenticare che il cane deve riuscire sempre a risolvere la situazione variabile proposta, sia esso un adulto in correzione od in allenamento, oppure un giovane in addestramento. Non deve frustrarsi o stressarsi in modo negativo. Fin dal principio, se parliamo di giovani, dovremo scegliere una situazione variabile semplice. Passeremo ad una difficoltà maggiore solo quando il passo precedente è stato superato in modo efficace. Nessuno è mai stato promosso dalle elementari direttamente all'università. 1.2.7.8.6) L'accomodamento e l'assimilazione: i regolatori dell'apprendimento Dopo aver analizzato i vari tipi di apprendimento, è corretto trattare, in via generale, i loro regolatori. Viene detto schema una particolare connessione tra stimolo e risposta, ossia, in altri termini, un particolare modo di rispondere agli stimoli provenienti dall’esterno. Ci sono due funzioni costanti mediante cui la mente del cane regola e modifica la produzione delle risposte agli stimoli esterni: l’assimilazione e l’accomodamento (11). L’assimilazione consiste nel rispondere a nuovi stimoli per mezzo di schemi preesistenti. Un giovane soggetto capace di nuotare, metterà in pratica la sua esperienza acquatica anche per il riporto. Il nuovo stimolo “selvatico in acqua” innescherà lo schema preesistente abbattimento/riporto. L’accomodamento, invece, consiste nell’elaborazione di schemi nuovi, più rispondenti alle caratteristiche degli stimoli esterni, in un riadattamento nei confronti della realtà esterna che è via via sempre meglio adeguato. Un giovane soggetto impara a riportare un fagiano. Le prime volte potrà afferrarlo da un'ala o per il collo per poi trascinarlo alla meno peggio fino al cacciatore. L'accomodamento concederà, durante i riporti successivi, di ferrare il fagiano dal corpo, semplificando il trasporto (minor dispendio energetico per il cane) e non rovinare la compostezza del piumaggio per il piacere del cacciatore. Nello sviluppo dell’intelligenza la mente del cane estende i propri schemi da quelli spontanei (i riflessi) ai vari stimoli che le giungono dall’ambiente. Ma questa assimilazione risulta in larga misura insoddisfacente giacché in base ad essa vengono trattati come uguali stimoli che, in realtà, sono diversi. Allora deve subentrare l’accomodamento a far sì che vengano prodotti nuovi schemi più corretti e più rispondenti alle sollecitazioni che provengono dalla realtà. Nel meccanismo generale dello sviluppo dell'apprendimento, l’assimilazione ha il compito generale di produrre all’interno della mente uno squilibrio; l’accomodamento ha invece il compito di ripristinare l’equilibrio ad un livello di adattamento alla realtà superiore a quello precedente. 1.2.7.9) Capire, apprendere e memorizzare Capire, apprendere e memorizzare sono il riassunto di come il cane relaziona ed impara dal mondo esterno tramite i sensi e sono punti fondamentali per comprendere come il cane recepisce gli stimoli esterni (gradevoli o sgradevoli), li memorizza, li evita o li ricerca. Partendo da questo presupposto, è il conduttore che deve farsi capire ed incanalare le capacità del quadrupede nella direzione richiesta: il lavoro. La Psicologia suggerisce l'impossibilità di trarre il massimo vantaggio da tutti i soggetti usando lo stesso metodo addestrativo: ogni cane fa storia a sé. Spesso improvvisati dresseurs tendono a standardizzare l'addestramento, rendendo, con l'insistenza, molti giovani soggetti refrattari alla selvaggina o, alla meno peggio, automi senza significato. Foto 6: soggetti di razza Setter Inglese seduti ed in attenzione verso il conduttore. Bisogna inoltre ricordare che lo stimolo cerebrale raccolto dai sensi concede, nel primo periodo di vita, un migliore sviluppo della corteccia cerebrale e genera quindi soggetti più intelligenti. Un esempio. Due Setter Inglese nati da una fattrice ed allontanati da essa nello stesso periodo, vengono posti uno in un box, l’altro a vivere in casa. Il soggetto cresciuto a contatto con gli umani riceve più stimoli di quello cresciuto all’interno del box e che entra in contatto con l'uomo solo nel momento della somministrazione del pasto e delle pulizie. Esiste quindi, nella vita del cane da caccia, un periodo d’apprendimento migliore di altri e che deve essere utilizzato al meglio sia per generare un corretto apprendimento, sia per uno sviluppo psicologico ottimale: la gioventù. Anche se gli addestratori del passato ignoravano la Psicologia canina, la applicavano in modo empirico: i più grandi campioni di lavoro che la cinofila ricordi avevano sempre dormito sotto la tavola della cucina dei dresseurs. 1.2.7.10) L'autostima Se è appurato che il cane possiede una qualche forma di autocoscienza (come afferma Gordon G. Gallup, psicologo alla State University of New York), una personalità ed un carattere tutto suo che prende lentamente forma (come un mosaico formato da tasselli che il cane riceve dagli stimoli del mondo circostante), si può anche dire, quindi, che il cane ha consapevolezza di sé stesso, dell'essere ed esistere (in effetti si disinteressa presto della propria immagine riflessa allo specchio di casa) e quindi possiede autostima. L’autostima, al di là della volontà del cane, è qualcosa che gli appartiene, che inizia a svilupparsi fin da cucciolo e che continua ad alimentare con le esperienze di vita. È molto importante essere consapevoli del fatto che la stima influenza il comportamento, le relazioni gerarchico-sociali e l'efficienza venatoria. Più l'autostima è alta, più un cane è fiduciosi negli altri cani (es. consenso) e nell'uomo, dimostrandocelo con mille attenzioni ed imparando velocemente i comandi. Se invece un cane possiede poca stima, non riesce ad affrontare le situazioni stressanti e si lamenta innanzi a qualsiasi piccola difficoltà. È possibile modificare l’autostima di un cane? È possibile poter riparare un’autostima molto bassa generata, per esempio, da un errato addestramento? Quando è meglio intervenire e in che modo? In questo paragrafo verrà brevemente illustrato il modo in cui si forma, come si modifica e l’influenza dell’autostima sull’andamento della vita del cane e soprattutto nel lavoro. L’autostima è uno schema cognitivo-comportamentale che viene appreso via via che gli individui interagiscono con gli altri e con l’ambiente. È basata sulla combinazione di informazioni oggettive e valutazioni soggettive di queste informazioni. Pensiamo ad un cane che dopo aver fermato arriva per secondo a raccogliere il capo abbattuto: oggettivamente ha raggiunto un buon risultato e soggettivamente valuta in modo positivo le sensazioni provate durante il reperimento del selvatico e la ferma, quindi può essere soddisfatto di se stesso. Riprendendo l’esempio, invece di esserci una valutazione soggettiva positiva, il cane si sente insoddisfatto perché avrebbe dovuto a tutti i costi arrivare primo per poter effettuare il riporto e raccogliere le lodi del cacciatore. L’autostima, quindi, scaturisce dai risultati delle esperienze confrontati con le aspettative. Se dall'handler arrivano sempre dei messaggi molto richiedenti, di perfezionismo, si formano degli standard di comportamento ideale che possono causare grande insoddisfazione nel cane, portando a far scomparire atteggiamenti di fierezza ed entusiasmo (esternati con teatralità) e che si riscontrano nei giovani soggetti al compimento di un corretto esercizio. Anche l’inesperto cacciatore riconosce tale insoddisfazione, in quanto, confrontando il proprio cane da caccia con i soggetti presentati alle prove di lavoro, coglie la sensazione d’osservare, talune volte, dei robots. Il concetto di sé evolve con l’età, nel senso che si sviluppa e si differenzia con l’aumentare delle esperienze, con le interazioni, con i successi ed i fallimenti. Con il susseguirsi di queste esperienze di apprendimento i cuccioloni cominciano a sviluppare una autostima sempre più differenziata, specifica per ogni ambito. L’autostima nel canile si differenzia per prima rispetto all’autostima generale. Il cucciolo vive tra adulti che si prendono cura di lui, lo educano e lo proteggono. I comportamenti , gli atteggiamenti, i messaggi e le informazioni che il cucciolo riceve dalle interazioni sociali hanno un ruolo determinante. Il cucciolo introietta ed elabora quello che il mondo gli comunica su se stesso, interiorizza i comportamenti che gli adulti hanno nei suoi confronti e comincia a considerarle realtà indiscutibili. Gli atteggiamenti dei cani adulti vengono considerati dal cucciolo tanto più importanti e veritieri quanto più gli provengono da soggetti per lui significativi e che costituiscono i suoi punti di riferimento per tutte le altre informazioni; questi messaggi vengono conservati poi, per il resto della vita, influenzando tutte le esperienze. Il cucciolo, quando è accettato e compreso dagli adulti del canile, sviluppa un senso di adeguatezza che tende ad essere generalizzato alle altre situazioni che si presenteranno nel corso dello sviluppo. Le Relazioni inter ed intraspecifiche, il controllo sull’ambiente circostante, il successo venatorio e l’emotività sono molto importanti per lo sviluppo dell’autostima e sono componenti che influiscono in egual misura rispetto alla formazione dell’autostima globale, anche se bisogna notare che alcune dimensioni possono avere livelli diversi di importanza a seconda del cane. Tutte le dimensioni dell’autostima sono differenziate già all’età di nove/dodici mesi, ma ci possono essere variazioni tra i vari ambiti che aumentano apprezzabilmente dopo i quattordici/sedici mesi. Dopo questa età solo esperienze molto forti possono far cambiare tendenza allo sviluppo dell’autostima. Tornando al canile, bisogna sottolineare che quando il cucciolo cresce ed i cani adulti avuti a contatto nell'infanzia (fattrice, fratelli, altri cani del canile) non sono più presenti, continuano a trasmettere le loro azioni e comportamenti attraverso il ricordo. Attraverso questo processo il cucciolo, quando adulto, tratta sé stesso nello stesso modo come è stato trattato da piccolo. Se l’esperienza di essere morso in continuazione dagli altri soggetti del canile, di non aver potuto relazionare, giocare e vivere una convivenza serena, può rispecchiasi soprattutto nel lavoro facendo provare al cane un senso d'inadeguatezza al compito da svolgere e sempre sotto pressione. Anche se la stima del dresseur nei confronti del cane è molto importante, se lui stesso è alla ricerca continua di approvazione o se l’approvazione da parte dell'addestratore viene a mancare, la sua autostima si riduce e possono venire a mancare la motivazione nell'esercizio della funzione di cercatore di selvaggina col fine ultimo della cattura (riporto). L’autostima, infatti, incoraggia all’autopotenziamento. La stima permette di prendere decisioni da soli, risolvendo azioni/situazioni venatorie mai affrontate e di mettersi in relazione con gli altri cani in un rapporto di parità ed uguaglianza. Vediamo le caratteristiche del cane con poca autostima: -- tende ad essere passivo e sottomesso nell’adattarsi a richieste e a pressioni dell’ambiente; -- esprime spesso senso di inferiorità; -- ha frequenti manifestazioni d’ansia, depressione, disturbi psicosomatici (ferite e piaghe da autolesionismo/leccamento); -- tende ad essere solitario e ad avere difficoltà nello stabilire rapporti con gli altri soggetti del canile; -- ha difficoltà a resistere alle pressioni sociali del canile; -- tende a stare ai margini del gruppo sociale ed è estremamente raro che assuma atteggiamenti da leader; -- dà eccessiva rilevanza alle manifestazioni positive che riceve dal dresseur (fino all'urinazione inconsapevole). La fiducia in se stessi appare quindi fondamentale per riuscire nell'attività venatoria e nella vita di relazione. All’interno dell’ambito lavorativo l’autostima dà il coraggio per affrontare un cambiamento, per rafforzare l’impegno per raggiungere l'obiettivo di trovare e catturare la preda. La mancanza di autostima rende invece inattivi, apatici e toglie la motivazione. La stima di sé nel lavoro può dipendere dalla sensazione che prova il cane di gestire gli eventi ed avere un certo controllo della situazione, dalla capacità di realizzare l'obiettivo della cattura, dalla sensazione di sentirsi utili ed importante per il cacciatore, dallo svolgere il lavoro senza dover rinunciare alle “Cinque libertà per la tutela del benessere animale” del British Farm Animal Welfare Council. Vediamo le caratteristiche del cane con buona autostima: -- tende ad assumere una posizione attiva ed assertiva in occasione di richieste provenienti dal conduttore; -- prevale in lui un senso di orgoglio, rispetto di sé; -- manifesta una certa dipendenza dal gruppo sociale o dall'handler anche nelle situazioni di maggior pressione; -- tende a godere di un certo rispetto tra i congeneri del canile; -- dimostra fiducia nella propria capacità di affrontare le situazioni (anche nuove); -- raramente prova uno stato di ansia intensa. La stima, come abbiamo precedentemente notato, è un comportamento appreso. Quindi, il giovane cane, piano piano apprende dei comportamenti nuovi, degli atteggiamenti diversi. Un’ulteriore considerazione da fare è rispetto alla correlazione tra bassa autostima e stress da lavoro. Se il cane ha una buona autostima è più preparato a prevenire gli aspetti negativi dello stress e dell'affaticamento. È anche vero che, a volte, la bassa autostima può essere conseguenza dello stress. Più eventi negativi si verificano durante il lavoro, più il cane ha la tendenza a considerarsi incapace. Più si considera incapace e più aumenta lo stress, alimentando un circolo vizioso molto dannoso (specialmente durante l'addestramento) e che porta fino al punto di rifiutare il solito mezzo di trasporto che lo conduce al campo addestramento. Esistono vari modi con cui il cane arriva ad avere od a consolidare un basso livello di autostima; i più comuni sono le sensazioni negative (punizioni coporali inflitte dall'addestratore in tempi, modi ed intensità scorretti), le aspettative irrealizzate (sfrullare o non incontrare selvaggina), il bisogno di approvazione (concesso dall'handler con intensità, modi o tempi scorretti), la bassa tolleranza alla frustrazione, ecc. Durante il lavoro, per il cane esistono tre fonti principali di autostima: il successo nel raggiungimento dell'obiettivo (catturare il selvatico), il lavoro di gruppo (in muta) o di coppia (come avviene nelle prove per cani da ferma inglesi) e la possibilità di esercitare una certa influenza sugli altri cani durante lo svolgimento dell'azione venatoria (ricevere il consenso quando in ferma). Il lavoro di gruppo o di coppia implica il ricevere supporto, dare il proprio contributo al lavoro e stabilire relazioni basate sulla cooperazione (es. “consenso”, “curare il compagno”). Più i cani collaborano tra loro e più i singoli contributi hanno modo di essere apprezzati dai rispettivi compagni generando rispetto per il lavoro altrui; rendendosi disponibili nell’aiutare il compagno di coppia, senza aspettarsi qualcosa in cambio, ogni cane può anche ricavarne un senso di soddisfazione ed appagamento. Ne sono esempio i grandi consentitori. Per alcuni poi diventa particolarmente gratificante avere la possibilità di esercitare la propria influenza sugli altri, fornire suggerimenti che influenzino positivamente il corso degli eventi. Ne è esempio il cane che avvicina lentamente il compagno di coppia che non riesce a risolvere un'emanazione. Questo aiuta tali soggetti a sentirsi più realizzati, con notevole vantaggio per l'autostima, anche se tale comportamento è contrario ai crismi cinofili. Che cosa si può fare per migliorare l'autostima di un cane? Innanzitutto, prima di intraprendere qualsiasi azione, ci dovrebbe essere una riflessione: -- come mai il cane si comporta in questo modo? -- Posso scegliere di continuare l'addestramento come iniziato o proseguo in modo più positivo? Per migliorare l'autostima di un cane possiamo iniziare a fare delle cose che per alcuni possono sembrare futili, ma che fanno parte del sapersi prendere cura dei bisogni di un cane. Concedergli dei vizi come un buon pasto al di fuori del solito box e molte carezze, sono già un buon punto di partenza. E' infine importante, per un addestratore che si reputi professionista, conoscere gli standards comportamentali per poterli modificare. Per un cucciolo, inizialmente, gli standards comportamentali sono stabiliti dagli altri: è la fattrice in primis e gli adulti del canile in secundis che definiscono ciò che va bene e ciò che non si deve fare; segni di lode (leccamento o scodinzolio) da parte della fattrice (o del branco) verso specifici comportamenti, li rinforzano ed inducono a ripeterli; quindi, il cucciolo, se è trattato dagli altri in modo positivo ed è rassicurato sul fatto di essere apprezzato ed amato, potrà sentirsi bene con se stesso e con gli altri. Durante l’età dell'apprendimento è l'addestratore che cerca di impostare degli standards. Quindi diventano importanti altre performance: dare risposta celere ai comandi impartiti, impegnarsi a fondo nella cerca, ecc, ecc. Quando i cuccioloni cominciano a lavorare con gli adulti, questi influenzano le loro idee sull’adeguatezza o meno di alcune performance precedentemente svolte: incominciano a valutare sé stessi anche in base al confronto con gli altri cani. Diventa quindi importante non una lode per un esercizio ben svolto, né un'azione percepita dallo steso giovane come successo predatorio, ma il non essere inferiore ad una abilità espressa dagli altri soggetti. Sottoposti a tutte queste influenze esterne, i cuccioloni interiorizzano una serie di standards. Capita che dei giovani molto dotati considerino un singolo errore come un fallimento; le loro grandi potenzialità sembrano giustificare la convinzione che se ci si mettessero d’impegno potrebbero essere perfetti e, convincendosi di questo, si “raffreddano”, divenendo, quando adulti, modesti cani da ferma. Per questo è importante individuare la fonte degli standards, accoppiando ai giovani, per le prime volte, dei cani bravi ma non eccellenti. I cani “bravi” verranno sostituiti, nel proseguo dell'addestramento, con gli “eccellenti”. Solo lo stolto può chiedere ad un cucciolone di affrontare l'università della cinofilia senza transitare dalle scuole dell'obbligo... Nemmeno l'intelligente bipede, nel rispettivo campo, può farlo. 1.2.8) L'insegnamento e l'apprendimento Il dresseur, come l'attento cinofilo, per fare in modo che il giovane soggetto apprenda o corregga taluni atteggiamenti, si deve avvalere di metodi e tecniche differenti; ma per mirare il suo intervento, ancor prima deve conoscere il cane. Tale conoscenza deve avere come oggetto due aspetti fondamentali: l'interesse ed i bisogni (ossia il campo delle motivazioni) e le capacità del singolo. Le teorie dell'apprendimento seguono le direttive delle scuola del comportamentismo e del cognitivismo. I comportamentisti sostengono che si può osservare solo il comportamento verso l’esterno dell’individuo, ovvero la reazione ad uno stimolo. Ad esempio, se il cane ode un rumore improvviso (stimolo), risponde con una reazione (es. abbaio); se lo chiamiamo per nome, si rivolge verso chi ci chiama, ecc. L’apprendimento, secondo questa scuola, consisterebbe nell’inventare una reazione nuova a uno stimolo nuovo. Se la risposta allo stimolo appare adeguata, essa viene conservata dall’organismo e ripetuta ogni volta che si ripete lo stimolo stesso. Di conseguenza, l’insegnamento consisterebbe nell’offrire al cucciolone gli stimoli giusti. Il cognitivismo, invece, avanza delle ipotesi su determinati fenomeni mentali, come per esempio il modo in cui una nozione nuova viene inserita in un sistema di nozioni preesistenti. Gli esperimenti dovrebbero poi confermare o meno le ipotesi. In ogni caso tutto quel che si insegna ai cuccioloni deve riferirsi a oggetti ed a situazioni che loro conoscono; è molto importante che imparino a capire i voleri del conduttore. Per questo motivo i comandi deve avere un riferimento concreto: adottare termini incomprensibili, parlare troppo, usare un tono di voce non udibile o sgradevole, sono tutti elementi che interrompono la comunicazione con il cane e quindi non favoriscono l’apprendimento. Quando si parla della teoria “stimolo-risposta” si dice che l'organismo tende a ripetere indicazioni che hanno avuto successo e a non ripetere indicazioni sbagliate. Una risposta adeguata costituisce un successo, quindi produce un sentimento di soddisfazione che a sua volta serve da rinforzo per la risposta data. Una richiesta (stimolo) incomprensibile, un esercizio troppo difficile, determinano un insuccesso e una conseguente frustrazione: l’indicazione tende così a non ripetersi. Se l’insuccesso si ripete nel tempo, dopo che molte risposte sono state date senza che sia stato ottenuto un risultato, si rischia di vedere minacciata la motivazione all’apprendimento. L’handler deve dunque per prima cosa cercare di produrre situazioni di benessere, di fiducia e di entusiasmo; il coinvolgimento e la partecipazione rendono più piacevole la relazione del binomio addestratore-cane e si dimostrano efficaci per il buon apprendimento. Pertanto il dresseur deve adottare a sua volta un comportamento che aiuti a creare questa situazione: -- Si rivolge ai cani chiamandoli per nome. -- Occupa una posizione funzionale alla situazione. -- Usa un linguaggio e una gestualità che trasmette entusiasmo. -- Utilizza la voce (tono, frequenza, volume) in modo di favorire un clima tranquillo, fiducioso e incoraggiante. -- Crea sintonia tra messaggio verbale e non verbale utilizzando tempistiche adatte alla comunicazione. -- Effettua esercizi che presentano difficoltà proporzionate all'età ed alle capacità del singolo soggetto. -- Effettua ed analizza la corretta ricezione dei messaggi inviati e ne modifica, nel caso, tono, frequenza e volume. -- Utilizza in modo ottimale gli spazi ed i tempi. -- Predispone una corretta alternanza tra carichi di lavoro e pause. -- Individuato un errore, propone efficaci soluzioni. -- Approva e rassicura l’operato del cane in addestramento. -- Analizza lo stato d'apprendimento e pianifica la prosecuzione dell'addestramento. Quanto detto permette all’addestratore di fare un’analisi abbastanza precisa sulle motivazioni e sulle capacità dell’allievo. Considerando che la cinofilia è uno sport di movimento, esiste una attitudine morfologica ben definita: arti lunghi, tronco corto e poco peso sono in linea di massima caratteristiche positive, ma non debbono essere certo pregiudiziali se si scontrano con gli standard di razza. Può essere comunque utile, per chi addestra più cani contemporaneamente, avere una scheda nella quale sia riportata una valutazione a fianco dell'esercizio svolto. Questa scheda ricorderà all’handler la progressione nell’apprendimento, ponendo in relazione le difficoltà incontrate nello specifico esercizio con le eventuali lacune riscontrate. Non sempre il dresseur segue la caccia cacciata nel caso in cui questa sia affidata al proprietariocacciatore. Deve quindi esistere sempre una buona integrazione dei due ruoli. 1.2.8.1) L’apprendimento come processo cognitivo Accanto ai processi di apprendimento e che si basano sulle associazioni e sulla formazione di abitudini, esistono forme di apprendimento molto più elaborate e complesse. Un handler, troppo entusiasta per l’apprendimento associativo, potrebbe fare un uso eccessivo della memorizzazione di certi modus operandi e dell’esercizio ripetitivo, senza adoperarsi ed agire in modo che il giovane allievo capisca ed organizzi in modo personale e costruttivo quello che gli viene insegnato. La percezione e la conoscenza svolgono un ruolo rilevante, che deve essere tenuto nella giusta considerazione. Pertanto, oltre alla memorizzazione, è fondamentale evidenziare il ruolo e l’importanza della comprensione e dell’organizzazione di tutti gli elementi che vengono appresi (cerca, ferma, consenso, riporto, guidata, ecc). Nell’apprendimento cognitivo sono ritenuti fondamentali tutti i processi e le attività intellettuali più elaborate e complesse (l’intuizione, la soluzione del problema, ecc). Queste considerazioni hanno spinto un noto studioso, Kohiler (1917), ad effettuare studi e ricerche su scimpanzé impegnati nella soluzione di problemi. Tra questi è ormai famoso, e riportato diffusamente in letteratura, lo scimpanzé Sultano che riuscì a cogliere i nessi di un problema in modo rapido senza prove ed errori e senza condizionamento alcuno. L’animale, infatti, riuscì a raggiungere una banana collocata fuori della sua gabbia ristrutturando in modo sorprendente il suo campo percettivo. Dal posto in cui era chiuso, Sultano non poteva raggiungere il frutto, molto desiderato dall’animale che era affamato. Tra la banana e lo scimpanzé erano stati posti due bastoni uno di lunghezza ridotta, l’altro molto più lungo. Sultano con il bastone corto non riuscì a prendere il frutto, allora grazie ad una immediata intuizione, con il primo avvicinò a sé il secondo bastone, con in quale prese facilmente la banana mangiandola avidamente. In questo modo l’autore dimostrò che Sultano aveva afferrato i nessi del problema in una forma di “insight” (percezione delle relazioni essenziali esistenti nella soluzione di un problema). Questo chiaramente esclude i tentativi di apprendere per prova ed errori. Questo tipo di apprendimento, detto anche intuitivo, effettuato da animali capaci di dare una risposta motoria in modo molto rapido ad uno stimolo-segnale (banana al di fuori della gabbia), smentisce la possibilità di un apprendimento per prove ed errori. Occorre aggiungere che quello delle scimmie resta ancor oggi un classico esperimento non facilmente generalizzabile. Infatti, il dibattito tra studiosi del settore ha permesso di chiarire che le potenzialità cognitive possono essere studiate e verificate su animali con un cervello evoluto. Inizialmente, i primi cognitivisti, come Tolman (1948), hanno affermato che nell’uomo come nei ratti non esistevano differenze qualitative a livello di organizzazione dei messaggi nervosi e mentali. Queste affermazioni, abbastanza forti, hanno consentito di chiarire alcuni punti con studi e ricerche ad hoc. Così i ricercatori hanno potuto dimostrare che il ratto é un buon modello per l’apprendimento associativo, ma le sue capacità di rappresentazione mentale sono nulle o deboli. Alcuni studi hanno già da molto tempo dimostrato (Maier, 1932; Maier e Schneirla, 1935) che alcuni comportamenti caratterizzati da un probabile processo di insight, sono stati sempre preceduti da un periodo in cui gli animali hanno esplorato gli oggetti situati nell’ambiente circostante. Per questo motivo si può verificare un apprendimento latente, che può favorire eventuali soluzioni di compiti nuovi. Pertanto, sembra possibile ritenere che tutte le esperienze fatte in precedenza dagli animali, grazie al condizionamento classico o all’apprendimento latente, possano permettere loro di mostrare comportamenti intuitivi (insight) caratteristici dei processi mentali superiori. Questo fatto dimostra anche come diverse forme di apprendimento sono strettamente collegate e interconnesse tra di loro. Dunque, lo sviluppo di una di esse influenzerà lo sviluppo delle altre e viceversa. Ciò, a giudizio di Piaget (1936), può essere analizzato anche nei cani. Infatti, lo sviluppo dell’intelligenza di questi ultimi sarebbe strettamente collegata e dipendente dalle esperienze effettuate dal soggetto nello stadio dell’intelligenza senso-motoria, in cui ha esplorato minuziosamente tutto ciò che esisteva nell’ambiente circostante. A livello di età adulta, un certo insight viene dato per scontato. Questo fenomeno si presenta a volte improvvisamente come una luce che si accende in un luogo oscuro. E’ il famoso “Eureka!”, che fa apparire immediatamente la soluzione del problema. Esiste quindi un rapporto tra i differenti tipi di apprendimento in relazione alla qualità del concetto che deve essere appreso. Nell’apprendimento per associazione, che si verifica in modo automatico, il soggetto produce risposte inconsapevolmente e con minima comprensione (salivare in presenza di un cibo appetitoso). Questo tipo di apprendimento diviene sempre meno presente quando i concetti o le condotte sono più complessi. Infatti, l’apprendimento per cognizione, diviene predominante nel momento in cui occorre imparare cose complesse. A metà strada si collocano molti apprendimenti che richiedono sia la formazione delle abitudini (apprendimento associativo o per condizionamento) sia la comprensione intuitiva. 1.2.8.2) Apprendimento ed ansia Il rapporto che esiste tra apprendimento ed ansia consente di rilevare aspetti comportamentali dei cani che, molte volte, vengono interpretate in modo sbagliato, commettendo errori grossolani che danneggiano il rapporto creato con i futuribili gregari. E’ certo che il rendimento è condizionato da componenti emotivo/ansiose a cui i cani vengono sottoposti prima dell'attività venatoria o dell'addestramento riconoscendo, nelle azioni dell'handler o nei luoghi frequentati, zona adibita al “divertimento”. Tale stato si identifica bene nei cani che mostrano nervosismo, ipervigilanza e respiro affannoso. È ovvio pensare (e si è nel giusto) che i soggetti poco ansiosi rendono meglio dei soggetti molto ansiosi, soprattutto quando gli esercizi da affrontare sono molto complessi. Altrettanto si può dire quando un dresseur insiste perché un esercizio venga assolutamente compiuto rapidamente. Questo crea notevoli difficoltà nei soggetti ansiosi mentre, al contrario, per i poco ansiosi i richiami verbali sono molto efficaci. Quando i soggetti in dressaggio possiedono abilità medie, quelli ansiosi ottengono risultati molto mediocri. Agli estremi opposti, invece, l’ansia sembra avere scarsa influenza sul rendimento nell’apprendimento di esercizi ove si richiede al cane di risolvere quesiti complessi e mai affrontati (es. primo recupero di fagiano ferito che si è sottratto di pedina). Infatti, i cani poco “intelligenti” riescono male, indipendentemente dal loro livello di ansia, mentre quelli più “bravi” riescono a controllare gli effetti negativi di questo stato emotivo. La teoria più condivisa sostiene che, quando le abilità cognitive del soggetto sono di buon livello, l’ansia può favorire la qualità delle prestazioni anche perché aumenta la motivazione dei soggetti verso il compito da svolgere. Premesse queste riflessioni, che derivano da studi e ricerche, sembra opportuno analizzare in particolare gli aspetti che caratterizzano l’ansia o per meglio dire il soggetto ansioso. Il cinofilo dovrà conoscere i parametri che fanno identificare un cane come soggetto ansioso. Paura, ansia e fobia sono termini non molto spesso usati in cinofilia per identificare il disagio di soggetti che non si sentono sereni e meritano una descrizione chiara ed analitica. La prima considerazione, piuttosto scontata, è che la paura fa riferimento a processi che alterano in modo più o meno rilevante la risposta ad un comando. In breve, è un fenomeno che investe il cane nella sua globalità. Questa concettualizzazione, però, è così vaga da perdere ogni capacità definitoria. Come distinguerla, infatti, dalle altre emozioni? In breve, la paura si caratterizza per la presenza dei sotto citati elementi. a) Una o più situazioni presenti nell’ambiente, che da parte del soggetto vengono valutate come eventi minacciosi e potenzialmente pericolosi (es. corso d'acqua, dirupo, ecc). b) Processi fisiologici, che alterano l’equilibrio omeostatico del cane e che sono quelli tipicamente associati al concetto di emozione. c) Autoaffermazioni negative rilasciate dal soggetto, che riflettono il suo stato soggettivo. d) Azioni orientate contro la situazione paurogena (combattimento/attacco) oppure nella direzione opposta (fuga). e) Alterazioni dei processi cognitivi. Occorre introdurre alcune riflessioni su tale concetto. La prima di queste è correlata ad eventi di natura fisiologica. Tali eventi, presi isolatamente dagli altri, non sono in grado di fornire informazioni adeguate a specificare il tipo di emozione vissuta dal cane, considerando anche che le manifestazioni fisiologiche della tensione non subiscono variazioni significative al variare del tipo di emozione. In altri termini la sola valutazione dei parametri fisiologici è insufficiente per identificare lo stato emozionale che coinvolge il soggetto. A conferma di ciò è l’immutabilità della risposta fisiologica, che non cambia a seconda del segno, positivo o negativo, dell’emozione. Così ci ritroviamo innanzi parametri fisiologici alterati, sia quando il soggetto è investito da uno stimolo che genera paura, sia quando innanzi ad uno piacevole. Occorre precisare che la paura, come altre sensazioni, può essere prodotta sia dalla comparsa di particolari stimoli esterni (es. corso d'acqua, dirupo, visione di un soggetto bellicoso) sia dall’affluire alla mente di pensieri, immagini o di altri eventi cognitivi con caratteristiche estremamente negative. L’altro elemento, vale a dire la valutazione che esprime il cane sul grado di pericolosità o di minacciosità della situazione-stimolo, è molto più vaga e poco definibile. Esso, infatti, pare nasconda insidie dal punto di vista della logica. Generalmente il cane ragiona in questo modo: una situazione è definita paurogena se contiene elementi che il soggetto valuta come pericolosi. Quando ciò avviene si innescano tutte le altre risposte (fisiologiche, ecc.) che accompagnano lo stato di paura. In questi casi nel soggetto sono o possono essere presenti: -- risposte fisiologiche, da considerarsi condizione essenziale e necessaria se vogliamo parlare del concetto di paura, ecc. Ciò significa che quelle situazioni, le quali non suscitano particolari forme di reattività fisiologica, non vengono considerate generatrici di paura. Tale considerazione ci permette di distinguere, per lo meno in parte, il concetto che il cane ha della “paura” da quello di “preoccupazione”. In quest’ultimo caso, infatti, non si prevede una particolare reattività fisiologica; -- risposte cognitive, che fanno riferimento a tutte le inevitabili interferenze prodotte sui processi cognitivi da uno stato elevato di attivazione fisiologico (scarse abilità di risolvere l'esercizio proposto); -- risposte comportamentali che, come già indicato in precedenza, possono assumere aspetti diversi e contrastanti. Vi può essere la fuga o l’attacco e, in casi eccezionali, addirittura l’immobilità. Sono numerosi infatti gli animali che, alla presenza del predatore, mettono in atto tale strategia, il cui scopo è renderli meno visibili; -- risposte vocali, che possono avere una natura tipicamente espressiva (guaiti tipicamente associati alla paura) oppure costituire un indizio per penetrare nell’esperienza, così come viene vissuta dal soggetto in dressaggio. In conclusione, quindi, il dresseur può affermare che un cane ha paura quando, oltre alla reazione fisiologica, sono presenti una o più delle altre classi di risposte. Se queste sono le caratteristiche portanti del concetto di paura, quali sono gli elementi in grado di distinguerlo da quello di fobia o d’ansia? Per accordo quasi unanime, la fobia fa riferimento ad una paura molto intensa, che si caratterizzerebbe per i seguenti elementi. a) È del tutto sproporzionata alle richieste provenienti dalla situazione. Il soggetto, infatti, può anche essere lontano dall’oggetto, dall'animale, dall'uomo o dal luogo che produce la reazione fobica. b) Non può essere eliminata attraverso sollecitazioni positive dell'handler (carezze e rassicurazioni verbali). c) Va al di là del controllo volontario. d) Spinge il cane ad evitare la situazione temuta. e) Persiste per un periodo di tempo piuttosto lungo. f) È del tutto disadattiva (il soggetto non riesce, per esempio, ad integrarsi in modo adeguato nel canile in cui vive od alla situazione di caccia). In altre parole, le dimensioni sulle quali è possibile distinguere la paura dalla fobia sono: intensità, gravità del disadattamento e durata. Meno facile, invece, la distinzione tra paura ed ansia. Fino a qualche tempo fa si sosteneva che il termine paura sarebbe stato usato per far riferimento a situazioni stimolo molto precise, mentre il termine ansia sarebbe stato impiegato per parlare di fenomeni più ampi e meno definibili nell’esperienza concreta. La prassi successiva ha fatto piazza pulita di questa proposta tanto che, oramai, si usano i due termini come se fossero simili. Dopo aver analizzato il significato dei diversi termini usati per descrivere fenomeni emotivi, particolarmente interferenti con i processi dell’apprendimento, sembra utile ed opportuno descriverne l’evoluzione e lo sviluppo in rapporto all’età dei soggetti. Negli studi e nelle ricerche effettuate su ansie, paure e fobie è stato evidenziato come tali stati emotivi generalmente diminuiscono col crescere dell’età. Vi sono collegamenti piuttosto precisi tra età del cane e paure segnalate. In altri termini, non tutte le paure diminuiscono col passare dell’età. Così, se diminuisce la frequenza delle paure legate ai rumori, alle situazioni strane ed alle lesioni corporali, aumenta quella connessa con le situazioni incombenti (es. la paura emerge il momento prima dell'attraversamento di un corso d'acqua). Un altro dato interessante relativo alle paure e alle fobie, è connesso alla loro distribuzione e stabilità nel tempo. Mentre sembra esserci unanime accordo sul fatto che tutti i cani provino paure a causa di particolari situazioni, non esistono dati affidabili relativi alla prevalenza genetica (numero dei cani interessati da questo problema facenti parte la stessa stirpe). Più ridotta, fortunatamente, è la percentuale dei soggetti che presentano delle fobie. Tale percentuale oscilla da allevamento ad allevamento. Le ragioni che stanno alla base di questa oscillazione sono presumibilmente di origine correlata ai diversi ambienti in cui si allevano i cani ed ai diversi stili educativi adottati dagli allevatori e dresseur. Quante volte, infatti, paure molto intense vengono apprese dai cuccioli e cuccioloni grazie a pratiche educative inadeguate. Molto spesso, ancora oggi, alcuni allevatori ed handlers si rifanno ad azioni punitive per ottenere dai cani silenzio ed ubbidienza. In genere la paura ha una durata limitata nel tempo, a meno che non si trasformi in fobia. In questo caso essa persiste a lungo ed è necessario l’intervento del comportamentista canino. A conclusione di questo argomento, reso noto per rendere più efficace l’opera dell’addestratore e la sua competenza nel processo addestrativo dei suoi allievi, è necessario sottolineare ancora una volta che prima di ogni processo di apprendimento i giovani soggetti devono essere tranquillizzati ed acquisire sicurezza. Il tempo dedicato all’identificazione e alla comprensione dei problemi del cucciolone in dressaggio sarà il più valido e produttivo investimento. L’attenzione autorevole ed affettuosa verso le problematiche emotive dei cuccioloni permetterà sia di evitare errori di dressaggio, sia di rendere più agevole ed interessante il rapporto tra handler e cani. 1.2.8.3) Apprendimento, ricompense e punizioni L’handler professionista, gravato da responsabilità ed incaricato di mettere in pratica sistemi didattici per insegnare ai cani a seguire le regole cinofile, deve prendere decisioni importanti ed applicare una metodologia che gli consenta di raggiungere validi traguardi con i suoi soggetti. Nel fare ciò, molto spesso, ricorre o può ricorrere all’uso di ricompense e punizioni. Senza dubbio il successo della sua attività professionale dipenderà molto da come avrà saputo usare questi mezzi, che potranno facilitare l’apprendimento nel momento in cui l’handler propone al soggetto alcuni obiettivi crescenti da raggiungere. L’impegno del cane produrrà delle ricompense che potranno essere intrinseche ed estrinseche al compito da svolgere. Un giovane che impara a fermare, può presentare una motivazione intrinseca, che sente interiormente e soprattutto spontaneamente (piacere di immobilizzare la preda a terra). Nello stesso tempo, però, può essere anche motivato dalla paura di essere punito del contrario (forzare il selvatico). In quest’ultimo caso la motivazione che regge il comportamento si deve definire estrinseca, perché nasce da una situazione esterna al cane. Se possibile, è sempre consigliabile ricorrere a motivazioni intrinseche, strettamente collegate al compito eseguito. In questo modo un soggetto che è stato stimolato ed incentivato a fermare fin da quando era giovane, continuerà ad impegnarsi nell’attività cinofila molto più a lungo e con maggiore impegno rispetto a quell’allievo che si sarà dedicato alla ferma sotto la minaccia di punizioni. Dobbiamo comunque tener presente che, anche il primo cane (motivato intrinsecamente) può e deve essere gratificato con qualche ricompensa estrinseca, soprattutto quando è costretto ad impegnarsi in faticosi percorsi (pendii scoscesi, prunai, ecc) per raggiungere la selvaggina. La continua ripetizione dell’esercizio porta alla saturazione e molto spesso ciò che si è costretti a ripetere più volte diventa noioso. In questo caso un premio costituisce un buon motivo per continuare ad impegnarsi. Comunque, se si riesce a stimolare i cuccioloni con la forza del valore intrinseco del reperimento del selvatico, si potrà conseguire un grosso obiettivo, perché il soggetto troverà in quest’attività una forte motivazione e nel proseguo della carriera altrettanti riconoscimenti dagli Esperti Giudici. A questo proposito è necessario fare qualche altra considerazione. Tutti conoscono bene il fondamentale ruolo che gioca il rinforzo nei processi d’apprendimento. A questo punto però risulta importante sottolineare che le ricompense estrinseche possono determinare situazioni poco valide dal punto di vista della psicologia addestrativa. Tra queste, due in particolare meritano la nostra attenta riflessione. a) La ricompensa estrinseca non favorisce l’originalità e l’niziativa, che solo la motivazione intrinseca (interna al soggetto) può generare. Con la ricompensa estrinseca, alla lunga, il cane si convince che deve praticare la ricerca della selvaggina solo perché gli procura dei vantaggi in termini di premi appetibili e lodi. b) Molto spesso i premi hanno prevalentemente carattere competitivo, per cui, se in una coppia od un gruppo di cani che cacciano all'unisono uno solo viene premiato, per gli altri comporta un elevato livello di stress. Queste situazioni, più di qualsiasi altre, possono far capire quanto sia importante la motivazione intrinseca. Il piacere di cercare la selvaggina, a prescindere dai biscotti somministrati dal dresseur, è la sola vera motivazione che rende i cani forti di fronte all’ineluttabile frustrazione che può scaturire dal non reperirla o da un esagerato sforzo fisico. Il ruolo dell’addestratore si configura, anche e soprattutto, in questa capacità di suscitare e favorire la nascita di motivazioni intrinseche, che rendono i cani “orgogliosi” di cimentarsi nelle prove di lavoro e nell'attività venatoria. Il discorso sugli effetti del premio richiama necessariamente quello relativo alle punizioni. Fino a qualche tempo fa e ancora oggi, forse, in specifici ambienti si riteneva e si ritiene che le punizioni sono un mezzo efficace per controllare il comportamento e l’apprendimento dei cani. Molte sono state le dispute verbali (a bordo campo prove e ring d'esposizione) sull’utilità della punizione. Anche diversi studiosi hanno discusso di questa problematica. Così si è passati man mano da una concezione coercitiva (fondata sulla punizione degli errori) a una metodologia educativa, fondata sul rinforzo dei comportamenti adeguati. Ciò, molto probabilmente è avvenuto non solo per ragioni umanitarie, ma anche perché la punizione somministrata in tempi e modi scorretti ha dimostrato di essere meno efficace della ricompensa. In questo caso, come prima, è opportuno fare riferimento alle ricerche e agli studi effettuati su questo argomento e che riportiamo sotto. a) La punizione non raggiunge obiettivi educativi se somministrata in modo e/o tempistica scorretta. Infatti, la risposta indesiderata non scompare quando evocata dallo stimolo (es. selvatico a vista = sfrullo deciso). b) Quando la punizione é efficace, il soggetto può evitare certi comportamenti ed attua condotte alternative che possono essere ricompensate. Non appena la punizione può essere evitata (es. cane non a vista del conduttore), il soggetto si comporta come in precedenza, per cui l'atteggiamento non consono ai crismi della cinofila ricompare con tutta la sua forza. La punizione, anche molto severa e prolungata, sopprime temporaneamente la risposta ma non la indebolisce. Altri svantaggi della punizione possono essere i seguenti. a) Le conseguenze della punizione non sono prevedibili come quelle della ricompensa. Pertanto, poiché con la punizione viene detto al cane di smettere di comportarsi in un certo modo, ma non viene indicato il comportamento idoneo, é probabile che il cane sostituisca l'azione punita con una condotta ancora più negativa. b) Molto spesso la stessa punizione sommistrata scorrettamente può favorire la comparsa o addirittura aumentare la frequenza di un comportamento indesiderato, piuttosto che eliminarlo. Punire in modo scorretto un cane perché sbaglia un esercizio può avere delle conseguenze completamente devastanti. Il cane infatti, a causa della punizione, può acquisire ansia ed insicurezza che potrebbero portarlo ad effettuare azioni sempre più maldestre, fino a non essere più in grado di organizzare mentalmente ed in pratica l’esercizio venatorio da eseguire. c) L’ultimo aspetto molto negativo della punizione, è collegato strettamente sia al rapporto istruttocane, sia al rapporto cane-selvaggina. E’ logico pensare che un’interazione basata solo sulle punizioni porta e produce ansia, fobia e paura nei riguardi della persona che le somministra e nei riguardi dell'attività cinofila, rappresentando la causa principale dell’insuccesso agonistico e venatorio. Si ricorda anche che i giovani soggetti identificano l'handler con l'attività venatoria. Se fallisce il primo, la seconda delude le aspettative del cane e l’interesse per la selvaggina scompare completamente, dando spazio ad un’emozione negativa nei riguardi dei terreni di caccia e della selvaggina stessa. E’ un errore grossolano credere che il cucciolone possa essere indirizzato ad altri modesti dresseur per continuare la pratica venatoria. L’adulto, in genere, quando è fortemente motivato riesce anche a non scoraggiarsi di fronte alle disabilità (forme reumatiche, calo del visus, sordità, ecc) e continua ad impegnarsi nonostante tutto. Al contrario, il giovane soggetto, di fronte ad un comportamento poco rispettoso dei suoi tempi e della sua personalità reagisce demotivandosi lentamente. Dopo aver descritto le controindicazioni della errata punizione, sembra anche doveroso e giusto soffermare l’attenzione su eventuali, possibili, aspetti positivi della stessa di seguito riportati. a) La punizione, a volte, può costituire un mezzo efficacie per sopprimere un comportamento inadeguato. Perché ciò avvenga è necessario, però, che chi viene punito per una scelta abbia a disposizione risposte alternative, che vengano ricompensate. Così un cane che non vuole incrociare sul terreno, nonostante le nostre buone maniere e i nostri adeguati incitamenti verbali ed a gesti, può ricevere un colpo di collare elettrico, fermo e deciso, nel momento in cui si avvia per una direzione che non fa parte dell’itinerario che deve percorrere. A causa della punizione, se sarà subito in grado di rettificare il percorso, l’intervento deve essere ritenuto utile perché l’animale è riuscito a modificare, reimpostare, il suo comportamento. Una volta avviato nella direzione giusta, deve immediatamente ricevere anche un premio (ad esempio: incitamento verbale di accondiscendenza dell'operato) dal dresseur. b) La punizione può essere efficace anche nel momento in cui si impara a rispondere ad un segnale (es. fishietto, buzzer, ecc) per evitare di essere puniti. Così i possibili sfrulli che si celano in un terreno di un percorso difficile rappresentano il simbolo di una punizione minacciata, in quanto controllano il rendimento agonistico. Infatti, se durante la gara viene sfrullato un selvatico, si è eliminati. Questo fallo crea condizionamenti emotivi (ansia) grazie ai quali il cane porrà maggiore attenzione per non farli accadere nuovamente. Volendo ricorrere ancora a un esempio, questa volta “umano”, basta immaginare la situazione che si crea quando si attraversa un incrocio nel momento in cui il segnale verde che consente di farlo cambia in rosso, notando al tempo stesso la presenza di un poliziotto in prossimità di tale incrocio. In questo caso, l’agente rappresenta una punizione minacciata. Egli infatti non controlla il comportamento del cittadino con metodi aggressivi o violenti. La sua figura, però, produce un senso d’ansia, perché legata a una possibile sanzione amministrativa a seguito dell’infrazione commessa. In questo caso, dopo aver attraversato, si presta attenzione per verificare se il vigile usa il fischietto per fermare ed elevare la contravvenzione. Quando questo non avviene, il soggetto colpevole di trasgressione si tranquillizza e lo stato d’ansia si normalizza. La tensione emotiva scompare e la ricompensa deriva dall’aver evitato la multa. Una situazione che peraltro rende il soggetto più disponibile ad adeguarsi, in futuro, alla legge. In conclusione, anche la punizione possibile ma non certa può provocare l’effetto intimidatorio della punizione stessa. Così il cane, nell’effettuare un percorso, presta più attenzione all'erba alta che ha gli ha causato in passato lo sfrullo e l'eliminazione dalla prova di lavoro. c) La punizione può essere utile quando ha carattere informativo. Le correzioni effettuate dal cinofilo sugli esercizi che eseguono i giovani cani costituiscono, a rigor di logica, vere e proprie punizioni perché evidenziano un’incapacità di coloro che apprendono. Nello stesso tempo, però, diventano anche delle prescrizioni e delle direttive che garantiscono un valido apprendimento delle tecniche cinofile. Ciò avviene sempre e comunque nel momento in cui i cuccioloni sono messi in condizione (e capaci) di capire i loro errori e si nota, nel proseguo, l’impegno a correggerli. Come in altre situazioni, ancora una volta, la punizione riesce a ristrutturare gli schemi cognitivi e comportamentali, limitatamente a quelli che sono in grado di eseguire gli esercizi in modo tale da meritare lodi e ricompense appetitose. A conclusione di queste brevi note sui principali aspetti delle punizioni, si può affermare che quella informativa (es. fischietto, buzzer del collare d'addestramento, ecc) è un tipo di punizione che presenta una qualche utilità a livello didattico. Infatti, essa consente al soggetto di capire e di sapere quello che può e quello che non può e non deve fare. I cuccioloni in particolare, molto spesso compiono delle azioni che potremmo definire “esplorative”, per cercare di capire fino a che punto possono spingersi, anche nella trasgressione di regole cinofile già acquisite, senza incorrere nella punizione. Quando ciò avviene, l’handler, come qualsiasi altra figura (cacciatore, cinofilo, ecc), deve imporsi con autorevolezza e con fermezza, rendendo il soggetto responsabile delle scelte che vorrà fare e delle quali dovrà assumersi la responsabilità. Questa metodologia educativa riesce a superare la punizione sostituendola con la prescrizione condivisa. Una simile ottica vede il cucciolone come un soggetto con il quale è necessario “contrattare” la programmazione di un iter formativo, durante il quale si possono verificare anche delle situazioni non troppo piacevoli e che richiedono un certo intervento da parte dell'addestratore. Il richiamo verbale o sonoro (es. fischietto, buzzer, ecc) non deve mai essere inteso come una punizione che avvilisce e scoraggia il cane, ma come un intervento teso ad arginare e correggere un comportamento che non produce alcun vantaggio, ma che, al contrario, danneggia lo stesso soggetto, il conduttore e l'azione venatoria. Ecco il perché siamo, come detto in altre parti di questo testo, contrari all'uso spropositato del fischietto da parte dei conduttori. Un uso eccessivo purtroppo concesso dalla maggioranza degli Esperti Giudici italiani di prove di lavoro. Dare fiducia ed avere fiducia, a lungo termine, paga sempre. Evidenziare il positivo, anche se minimamente rappresentato nelle condotte dei giovani gregari, vuol dire concedere al cane di sviluppare sempre più fiducia nelle sue possibilità. Punire in continuazione ed evidenziare solo ciò che va male, alla fine scoraggia e deprime il giovane soggetto che si convincerà di essere incapace, allontanandolo dalle attività che gli procurano delusioni, mortificazioni e punizioni corporali. 1.3) La recettività e l'addestramento Come già accennato, il cane impara durante tutta la vita, ma durante il periodo giovanile è più recettivo. La recettività si assottiglia mano a mano che il cane diviene adulto per poi scomparire nel cane anziano che accusa ridotta percezione e/o risposta agli stimoli (dovute anche alla riduzione delle capacità sensoriali). Compaiono ipoacusia, disorientamento spaziale e temporale, alterazione degli apprendimenti, modifiche nei livelli di attività, alterate interazioni sociali, modifiche del ritmo sonno/veglia, stato d'ansia ed irrequietezza, alterazioni dell'appetito, manifestazioni involutive ed aumento dei comportamenti aggressivi. Capire i tempi naturali dello sviluppo sensoriale del cucciolo vuol dire saper intervenire con tempismo ed efficacia durante il delicato momento dell'addestramento. Il cane appena nato è cieco e sordo per dieci giorni circa. Dopo tale periodo inizia gradualmente a ricevere stimoli dal mondo circostante e ad avere rapporti intra ed inter-specifici. Attorno ai venti giorni di vita inizia ad utilizzare l'olfatto consciamente, mentre, dalla fine del secondo mese e fino al compimento del terzo, il sistema sensoriale si sviluppa rapidamente. In questo delicato periodo si deve concedere al cucciolo di fare il maggior numero di esperienze possibili (non ci stancheremo mai di ricordarlo). Anche le relazioni inter-specifiche devono rafforzarsi: questo si può fare aumentando il tempo che il conduttore dedica al cucciolo nell'insegnamento dei primi rudimenti all'obbedienza. Saper sfruttare le doti naturali ed incanalare correttamente l'impulso venatorio discerne l'attento cinofilo da quello meno competente. Nei giovani la curiosità è pilastro portante della maggior parte delle azioni e la recettività del cucciolo discrimina le esperienze negative da quelle positive. Come nella vita, anche durante l'addestramento le esperienze negative sono memorizzate in maniera più rapida di quelle positive. Le esperienze negative sono legate principalmente al dolore oltre che a sensazioni sgradevoli al gusto e derivano da un trauma autocagionato (contusione durante una corsa, salto, ecc), generato da un congenere (morso) o dall'handler (punizione). Omettendo l'ultimo caso, i primi due sono da considerarsi naturali, dettando comportamenti da mantenere durante la vita e servono ad evitare incidenti di percorso che potrebbero mettere a rischio il proseguo della vita stessa. Un canide con una slogatura che limita la deambulazione, non è più capace di procurarsi il cibo. Un canide con una ferita traumatica o da morso, può essere colpito da una infezione che, alla lunga, si può rivelare letale. Un soggetto da caccia che zoppica vistosamente durante la cerca, corre senza evidenziare tale problema durante il raggiungimento della selvaggina abbattuta per riportarla. Se si pensava provasse dolore manifestando una zoppia, come mai che il quadro clinico scompare innanzi alla selvaggina abbattuta? Si può pensare che i cani, come i i loro precursori canidi, preferiscano limitare i danni piuttosto che rimanere immobili per un tempo di recupero che li porti ad una debilitazione tale da renderli inefficaci nella caccia (e condurli quindi a morte certa per inedia). Cercare la selvaggina ponderando le energie da sfruttare al momento della cattura è il modo più coscienzioso di affrontare i sopraggiunti problemi che limitano la deambulazione. Quindi, in questo particolare caso, la zoppia deve essere paragonata ad una sensazione fastidiosa, un segnale d'allarme piuttosto che ad un vero e proprio dolore profondo limitante il movimento. Il cane impara dai propri errori: tanto più le conseguenze di una azione sono rischiose, in miglior maniera sarà memorizzata tale esperienza. Addestrare un cane tramite le esperienze negative cagionate, che altro non sono che le punizioni corporali (rinforzi negativi), può quindi essere, in certi casi, deleterio: il cane può faticare a dimenticarle mettendo in evidenza atteggiamenti scorretti, di difficile eradicazione e quando meno ce li si aspetta. Molti sono i cani che, sottoposti ad errato dressaggio, rifiutano di fermare il selvatico quando ne incontrano l'odore. Anzi, lo fuggono con manifestazioni più o meno evidenti (chiamato in gergo cinofilo “rifiuto di selvatico”). Durante l'addestramento, la sensazione sgradevole provata dal cane tramite l'esperienza negativa deve essere sempre rapportata equamente alla causa che ha generato l'errore d'interpretazione del volere del conduttore e non al suo umore del momento. Chiedere al cane di bruciare le tappe dell'addestramento e punirlo se non si comporta in maniera consona al proprio volere, lo renderà inutilizzabile per l'attività venatoria, in special modo se il soggetto non sarà capace di rimuovere dalla memoria il ricordo sgradevole della punizione. Non esiste nessun cane incapace d'apprendere, esistono solo dresseurs incapaci di farsi comprendere. Diffidate quindi da chi appartiene al gruppo di quelli che sanno molto e che evitano le opinioni altrui rifiutando il confronto. Per lo svolgimento di un corretto esercizio, lo stimolo, la motivazione ed il rinforzo sono i passaggi chiave che portano dall'ordine all'esecuzione dello stesso. Lo stimolo è il fattore che evoca nel cane un qualsiasi bisogno sia o no fisiologico. Nell'addestramento lo stimolo è generato dall'ordine impartito dal dresseur. In questo caso si traduce come il bisogno di soddisfare il conduttore. La motivazione è il perché il cane si assoggetti all'ordine. Il rinforzo, come dice la parola stessa, serve a radicare nel soggetto memoria del suo operato, corretto o scorretto che sia. Il rinforzo deve essere sempre somministrato con la giusta tempistica ed in maniera che lo scolaro sappia collegare l'azione svolta con la sensazione gradevole o sgradevole che il rinforzo genera. Il rinforzo (positivo o negativo) viene generalmente considerato il premio o la punizione ricevuta dopo o durante un esercizio. Nel caso dei cani da ferma, il più corretto e naturale rinforzo negativo sarebbe lasciare al cane ricevere la punizione dal selvatico che s'invola perché il quadrupede gli si è avvicinato troppo senza fermarlo. Oltre che di tempismo nella somministrazione, il rinforzo positivo (come il negativo) abbisogna di una scala graduata che definisca, come il voto per lo studente, un compenso proporzionato al risultato dell'azione svolta. Un cane che svolge in maniera perfetta l'azione venatoria deve essere lodato con manifestazioni verbali accentuate, alcune volte anche esagerate per i nostri gusti. Al contrario, un soggetto che commette un errore veniale non deve subire lo stesso rinforzo negativo di uno che genera appositamente un errore per il piacere personale (caricare sistematicamente la selvaggina per catturarla). Utilizzare sempre la stessa maniera e/o quantità di lode (rinforzo positivo), con il passare del tempo può essere recepita dal cane come stimolo sotto la soglia minima. Un rinforzo standardizzato e non modulato porta, col tempo, ad una demotivazione nello svolgere l'azione venatoria tanto quanto se lo si concedesse in tempi sbagliati o non concedendolo affatto. Il cane deve sempre collegare il rinforzo con l'azione svolta. La tempistica della somministrazione è molto importante tanto quanto la qualità del rinforzo. Partendo dal presupposto che durante la caccia l'esercizio della ricerca della selvaggina può durare anche alcune ore, si deve tenere anche conto del tempo di attenzione. Questo tempo deve essere considerato come quel periodo nel quale il cane mantiene una giusta concentrazione nello svolgere la fase dell'azione venatoria richiesta dal precedente comando impartito. Durante la ricerca della selvaggina, il tempo che intercorre tra il comando che dà inizio all'azione e la risoluzione della stessa con il reperimento della selvaggina e la ferma, può durare anche alcune ore. Durante questo periodo sopraggiungono stanchezza fisica e psichica che intaccano la motivazione, pilastro portante dell'azione stessa. Entrano in gioco, a questo punto e solo nei soggetti dotati, possessività e temperamento che contrastano la stanchezza e rinforzano la motivazione. Gli altri soggetti abbisognano di una riimpartizione dell'ordine. In alcuni modesti cani da ferma, quindi, poter fermare e riportare un selvatico ad inizio caccia li stimola ad una cerca più concentrata e meticolosa, prolungando il tempo di attenzione ed aumentando lo stimolo (questi però non sono certo cani da mettere in riproduzione). Nella mente di questi ultimi si instaura una consapevolezza di poter raggiungere il fine ultimo (la lode per l'operato svolto e/o il piacere di abboccare per effettuare il riporto) più volte ed in breve tempo, moltiplicando la sensazione di benessere e compiacimento che questa procura. C'è però un rovescio della medaglia. Concedere al cane l'opportunità d'incontrare troppi selvatici riduce il tempo di attenzione e di conseguenza la motivazione. È il caso dei soggetti utilizzati esclusivamente nella Aziende Venatorie ad alta concentrazione di uccelli insidiabili facilmente. Si suggerirebbe quindi, al primo sentore di stanchezza, di sospendere l'attività. Questa sospensione può durare da alcuni minuti fino ad una giornata, a seconda dei tempi di recupero del soggetto. Un soggetto che preferisce cacciare per il piacere del conduttore più che per il proprio, può cadere in abitudine (quando si trovi nella condizione di cui sopra) rendendo l'attività venatoria una sterile successione di meccaniche risposte ai comandi. Cambiare il tipo di terreno di caccia ed il tipo di selvaggina può ovviare a questo spiacevole inconveniente. In ambedue i casi, quindi, il troppo storpia. Entrando più nel dettaglio, l'azione venatoria comprende più esercizi singoli: recarsi sul terreno di caccia al guinzaglio, liberare il cane che inizia la cerca, sondare a fondo il terreno, fermare o consentire, filare, guidare, riportare, recuperare, ecc. Taluni di questi vengono insegnati od indotti dal conduttore (ferma al frullo/sparo), altri vengono imparati e corretti tramite l'esperienza (non avvicinarsi troppo per non indurre il frullo) e l'interpretazione dei suggerimenti/incitamenti del conduttore (recupero del selvatico). Gli esercizi appresi dagli errori personali sono motivati, per alcuni soggetti, dal fine ultimo (trovare ed abboccare la selvaggina), per altri, dal rinforzo positivo che riceveranno al compimento dell'esercizio. Frazionare l'azione venatoria in esercizi semplici rende più facile l'insegnamento e l'apprendimento. Gli esercizi si uniranno insieme in un secondo tempo. 1.3.1) Definizione degli obiettivi L’addestratore può iniziare il suo lavoro solo dopo aver analizzato le capacità del soggetto, definito gli obiettivi finali che si prefigge il proprietario e posto dei traguardi intermedi che si vorrebbero raggiungere. Se l’obiettivo finale (che nel nostro caso è praticare la cinofilia venatoria a livello agonistico nelle prove di lavoro riconosciute) resta immutato, gli obiettivi intermedi variano in base alle capacità del cane e possono essere modificati nel corso del lavoro d'addestramento attraverso opportune verifiche, che devono far rilevare una rispondenza maggiore o minore del soggetto in termini di apprendimento. La buona istruzione di base è il primo anello di una catena che potrebbe portare il quadrupede a diventare un eventuale campione. Le variabili che intervengono nella formazione di un campione non sono individuabili nell’analisi del giovane, anche se taluni allevatori e dresseur si sprecano in mille parole per convincere proprietari e colleghi sulla futuribile carriera del soggetto analizzato nei cinque minuti precedenti. Sarebbe quindi velleitario (e produrrebbe discriminazioni) fare valutazioni in tal senso sulla base delle attitudini giovanili (es. fermare lo farfallina con la canna da pesca od essere un gran corridore di spazi aperti). Non è detto che all’attitudine si accompagni la motivazione necessaria ad essere vincente nel proseguo dell'addestramento. Non sempre le difficoltà iniziali di apprendimento coincidono con la mancanza di attitudine. Pur permanendo lo scopo di “creare” cani competitivi, non si devono imbastire selezioni basandosi su prerequisiti, poiché si finirebbe con l'impedire al vero campione di emergere. Solo più avanti si vedrà in che misura il professionista dovrà saper stimolare l’agonismo e creare le basi perché i soggetti, che ne hanno la possibilità, si affermino. L’handler deve avere chiaro il suo obiettivo: permettere a tutti i soggetti in suo possesso di praticare la migliore cinofilia possibile, compatibilmente con le capacità di ognuno. Nella definizione del metodo di insegnamento, il dresseur deve naturalmente tenere in grande considerazione i cani che ha a disposizione ed il livello di apprendimento raggiunto. I metodi possono essere integrati tra di loro e possono essere modificati in relazione alle nuove esigenze poste dalla crescita e dall'evoluzione psicologica dei soggetti. -- Metodo della libera esplorazione Se i cani sono molto giovani, risultano particolarmente indicati i metodi che lasciano loro libertà di espressione; questi metodi, purtroppo, nel nostro sport sono in genere in contrasto con la necessità di tenere sempre sotto controllo i bricconcelli. In questo caso il dresseur ha un ruolo tendenzialmente passivo. Questo è un metodo molto responsabilizzante in quanto si lascia al cane piena automia eplorativa. -- Metodo della scoperta guidata Il giovane soggetto è responsabilizzato a risolvere autonomamente dei quesiti, ma solo nel ristretto ambito stabilito dall’handler. Si chiede inizialmente l’esecuzione di un esercizio senza dire come eseguirlo, portanto, per esempio, il cane ad incontrare un selvatico; in base al risultato, alla comparazione tra le diverse esecuzioni, nel cane nasce la consapevolezza dell’esecuzione corretta: la ferma. Il limite di questo metodo è costituito dal fatto che il soggetto a volte risponde a stimoli non corretti; ciò può indurre il cane a pensare di avere agito correttamente anche quando in realtà sbaglia forzando il volatile. Anche questo metodo deve necessariamente essere integrato con una chiara spiegazione di quello che è accaduto, con lodi, punizioni od indifferenza da parte dell'addestratore. -- Metodo dell’emulazione Implica la dimostrazione (da parte di un provetto cane) e successivamente la realizzazione autonoma da parte del cucciolone che affronterà a grandi falcate il terreno avendo visto involare, in precedenza, la selvaggina. E’ il tipico caso del lavoro a volontà. L’addestratore, nell’utilizzare tale metodo, dovrà essere quanto mai competente ed attento, dovendo controllare la quantità, l’intensità e la qualità del lavoro eseguito dal giovane che non deve mai essere lasciato strafare. -- Mezzi ed attrezzature Ogni fase di sviluppo del cucciolone richiede spazi ed attrezzi diversi (guinzaglio, corda lunga, lancia selvaggina, collare d'addestramento, pistola a salve, fucile, ecc). L’area raccolta di un campo recintato è il luogo ideale per le prime lezioni. E’ ovvio che quando ancora non c’è un buon controllo del cane da parte dell’handler andranno evitati gli spazi molto ampi, anche se recintati. Al contrario, con un buon controllo del cane, il dresseur avrà la necessità di provare le attitudini di cui il soggetto è capace e questo lo potrà fare solo in ampi spazi. La creatività dell’handler può fare molto per realizzare esercizi utili con gli strumenti che ha a disposizione, specie per organizzare sedute di addestramento che tenagano sempre viva l'attenzione del giovane quanto quelle del provetto fermatore. Di una cosa dovrà preoccuparsi sempre: della sicurezza dei soggetti di cui è responsabile. I terreni di lavoro dovranno essere sempre esenti da crepe, buchi o corpi contundenti, mai eccessivamente molli o scivolosi; le recinzioni non dovranno presentare elementi sporgenti tali da costituire un pericolo inevitabile per i cani in corsa. 1.3.2) L'educazione di base Per educazione si intende il processo attraverso il quale si insegnano al cane tutte le regole di comportamento necessarie per un buon inserimento nella società ed un perfetto adattamento alle varie situazioni in cui è destinato a lavorare. L'obbiettivo è quello di gestire e controllare il comportamento del cane ed è necessario quindi imparare ad ottenere obbedienza ed a evitare che insorgano comportamenti indesiderati ancor prima di insegnargli a cacciare. Fino ad un sessantina di anni fa, la maggior parte dei cani da caccia veniva alloggiato alla meno peggio, a catena, oppure in rudimentali piccoli recinti. Solo le famiglie benestanti, quali i possidenti terrieri od i signorotti locali, permettevano ai cani di scorrazzare liberi per casa e cortile e dormire in quella stanza che oggi chiamiamo cucina. L'evoluzione della società, l'industrializzazione ed il modo di andare a caccia si sono molto evoluti da quei tempi ed oggi non è comune vedere il cacciatore cinofilo, munito del fatidico sacchettino, scendere in ascensore col cane al guinzaglio per portarlo al parco per i bisogni corporali. Il sempre maggiore numero di cani che vengono accolti nelle nostre famiglie e la relazione sempre più strettamente affettiva che lega i familiari ai propri cani richiedono un momento di riflessione per comprendere se, a fronte di questo nuovo legame, ci sia da parte di tutti i neocinofili la consapevolezza di cosa vuol dire avere un cane e se, soprattutto, riescano a mettersi nei panni del cane ed a vedere le cose dalla parte dello stesso. Questa impostazione non è, ovviamente, fine a se stessa: se ben interpretata, serve a mettere il cacciatore in condizioni di educare il proprio cane e di renderlo quindi gestibile nella totalità delle situazioni nelle quali si viene a trovare. Tale risultato si concretizza in una serie di benefici effettivi anche per l'animale, come, ad esempio, non dovrà essere più rinchiuso in un'altra stanza quando la moglie si incontra con le amiche (perché il cane saprà stare tranquillo), potrà essere portato a caccia in mezzo ad altri cani senza che la cosa determini problemi (perché il conduttore avrà la possibilità di controllarlo ed il cane sarà in grado di ubbidire con entusiasmo e felicità, indirizzando la sua attenzione nei confronti della ricerca della selvaggina e non di altri cani). Quindi, sfruttando il legame che si va a costruire e rafforzare, potranno essere affrontate insieme discipline cinofile pre e post periodo venatorio che, oltre a divertire ed entusiasmare il conduttore, sono fonte di soddisfazione, gratificazione e stabilità psicofisica anche per il cane. Pertanto, educazione significa gestione e controllo dei comportamenti del cane. E per raggiungere questo scopo bisogna considerare approfonditamente i tre aspetti fondamentali della costruzione del rapporto cane/cinofilo: la relazione affettiva, la relazione gerarchica, gli esercizi di obbedienza ed i rudimenti della caccia. 1.3.2.1) La relazione affettiva Spesso, nel parlare di relazione affettiva tra conduttori e cani si corre il rischio di urtare la sensibilità del cacciatore che crede di aver instaurato un buon rapporto con il proprio animale. Purtroppo, però, a volte tale rapporto si basa su incomprensioni e sull'eccessiva antropomorfizzazione delle azioni e reazioni del cane; dall'altra è troppo sterile e manca quasi completamente di comunicazione e relazioni affettive. Il buon rapporto con il proprio ausiliare si basa su un tipo di relazione affettiva sana ed equilibrata ed è ottimale quando si tiene conto delle caratteristiche di razza, delle sue predisposizioni caratteriali e dell'età. Mentre possiamo essere molto amorevoli con un cucciolo di due/tre mesi, dobbiamo tenere un comportamento più serio quando il cane diventa adulto. Eccessi di espressioni affettive possono causare iperattaccamento e dipendenza, bloccando i processi di sviluppo comportamentale a livello di dipendenza. In questo caso, il cane avrà problemi a sviluppare una cerca autonoma, avrà difficoltà di adattamento al terreno di caccia e non vorrà mai restare solo in quanto esclusivamente in presenza del conduttore si sentirà al sicuro. L'eccesso contrario è altrettanto dannoso in quanto i cani hanno tutti bisogno di relazionare. Come spesso accade, la cosa migliore è una via di mezzo tra le due posizioni estreme. 1.3.2.2) La relazione gerarchica Quando il cane entra in una famiglia, entra in effetti in un gruppo sociale che ha le stesse caratteristiche di un branco. Con i vari membri di questo strano branco inizierà a comunicare in modo da affermare la propria posizione gerarchica, seguendo la sua predisposizione naturale a sviluppare più o meno dominanza. I componenti della famiglia dovranno imparare a diventare tutti superiori in grado nei confronti del cane. Sia in casa che a caccia ,è importante quindi che non mangi mai assieme all'uomo e/o quello che mangia esso, che impari a camminare dietro, che non si sieda o prenda possesso di sedie o poltrone e riceva premi gratuiti. Il premio è uno strumento didattico che viene utilizzato al fine dell'addestramento alla caccia e che va concesso senza dimostrare debolezza ma considerando importante coerenza e rispetto della natura del cane. 1.3.3) I rinforzi Prima d'inoltrarci più apporfonditamente nell'argomento “addestramento”, nelle precedenti pagine e nel trattare gli aspetti ed i fattori dell’apprendimento, è stato citato più volte il rinforzo, che si può anche esprimere, con altri termini, come premio, gratificazione, ecc. Data la sua notevole importanza in campo addestrativo, questo argomento deve essere trattato in modo più dettagliato. Occorre premettere la definizione di rinforzo. Si individua col termine rinforzo l’evento, la situazione, l’oggetto, ecc., che seguono l’emissione del comportamento e ne rendono più probabile e frequente la ricomparsa. Chiarita la terminologia di base, si può passare alla classificazione dei vari tipi di rinforzo. Il rinforzo può essere positivo oppure negativo. Il primo caso è la situazione più usuale, nella quale il soggetto è protagonista di una azione o prestazione per la quale riceve un rinforzo positivo. Esempio: il soggetto esegue un esercizio. La sua prestazione positiva è seguita da un bravo molto vibrante. Il cane guarda l’addestratore e questi si accuccia per accarezzarlo molto affettuosamente; il “bravo” e le carezze rappresentano due rinforzi estremamente graditi ed il cane continuerà a ripetere l'esercizio per ricevere tali gratificazioni. Nel secondo caso (rinforzo negativo), invece, viene eliminata una situazione di stimolo negativa. Esempio: il cane, invece di rincorrere a fondo, striscia ai piedi dell'addestratore dopo lo sfrullo. L’handler lo guinzaglia ed il cane evita la punizione. Tale atteggiamento gli consentirà di sfrullare nuovamente al successivo sgancio. A questo proposito é necessaria una precisazione. Occorre fare attenzione a non confondere il rinforzo negativo con la punizione. La seconda, infatti, fa cessare l'azione scorretta del soggetto e ne diminuisce la frequenza. L’handler, nell’esempio citato, somministrerebbe una punizione se di fronte all'atteggiamento del cane, invece di legarlo, nel momento dello sfrullo somministrasse una scarica elettrostatica con il collare d'addestramento o lo obbligasse, nel proseguo, a ripetere più volte l'esercizio in corda lunga perché non sfrulli. In questo caso l'atteggiamento del cane verrebbe punito dalla prescrizione dell’istruttore (ripetere due o più volte l'esercizio). Successivamente difficilmente l’allievo sfrullerà, sapendo che per questo potrebbe essere punito. La punizione, come abbiamo già sottolineato, finché somministrata con determinazione da chi ha potere, impedisce ad un comportamento di ripresentarsi. Pertanto, la frequenza dello stesso diminuisce fino a scomparire, al contrario di quanto avviene nel rinforzo negativo, nel quale la frequenza del comportamento aumenta. L’allievo che sfrulla, grazie a una bassa concentrazione, ogni volta che non vorrà impegnarsi gli basterà strisciare ai peidi del conduttore. Quindi, la differenza sostanziale tra rinforzo negativo e punizione è che con il primo s'intende rafforzare la risposta o un comportamento attraverso l’eliminazione di uno stimolo negativo, mentre col secondo si intende eliminare un comportamento sgradito mediante la somministrazione di uno stimolo spiacevole (evento punitivo). I rinforzi possono avere una matrice genetica oppure sociale. I primi vanno sotto il nome di rinforzi “primari”, i secondi sotto quello di rinforzi “secondari” o “sociali”. Esempi della prima classe di rinforzi sono: cibo, acqua, temperatura entro limiti di tolleranza ecc. Esempi della seconda classe sono: segni di attenzione, d’affetto ecc. Naturalmente questi sono definiti secondari, in quanto vengono appresi fondandosi sui rinforzatori primari. Il rinforzo può consistere in cose o elementi piuttosto diversi. Proprio per questa ragione è stata sentita la necessità di approntare la seguente classificazione. a) Rinforzi tangibili. Consistono in oggetti e stimoli di natura fisica. All’interno dì questa classe di rinforzi è possibile introdurre un’ulteriore distinzione tra rinforzi “alimentari” e “tangibili” in senso lato. I primi, naturalmente, sono costituiti da generi alimentari, che possono essere i più svariati e cambiare a seconda dei gusti del soggetto. Dei secondi fanno parte gli oggetti come i riportelli, le palline, i pupazzetti, ecc. b) Rinforzi sociali. Sono tutte quelle manifestazioni di affetto, attenzione, eccetra, che servono a esprimere l’approvazione nei confronti di azioni portate a termine con successo. Non è difficile individuare questa classe di rinforzi. Infatti essi sono o dovrebbero essere i più diffusi nei rapporti tra cinofilo e cane. Concretamente, i rinforzi sociali possono consistere nello sguardo rivolto all’allievo, nelle carezze o in altre manifestazioni d’affetto nei suoi confronti, in espressioni verbali del tipo “Bravo”, ecc. L’ostacolo maggiore, che si frappone all’uso di tale categoria di rinforzi, sta nella scarsa disponibilità nei confronti dei cani, conseguenza questa di una cultura cinofilovenatoria e di un sistema educativo che ha spinto sempre ad evidenziare nel soggetto in esame gli aspetti negativi a tutto discapito di quelli positivi. c) Rinforzi dinamici. Sono costituiti da quelle attività che riescono ad incrementare la frequenza dei comportamenti che le precedono. Anche questa classe di rinforzi è piuttosto diffusa. Quante volte un cinofilo ha chiesto al proprio cane di eseguire il “seduto”, concedendogli un succulento boccone solo dopo la corretta esecuzione del comando. In questo caso lo scopo era quello di far nascere nel cane il piacere di ubbidire che, in questo caso, deve costituire la base e la causa di un’attività più piacevole svolta successivamente: masticare il gradevole cibo. d) Rinforzi simbolici. Sono costituiti da elementi convenzionali, quali giocattoli, riportelli (dummy), palline, orsacchiotti, ecc, che, per l'appunto, non essendo alimenti, hanno per il cane un valore simbolico. Citiamo ora alcune regole che il vero dresseur professionista mette in pratica durante l'addestramento o la correzione. -- Tempestività nell’erogazione del rinforzo: è opportuno, se non addirittura necessario, che il rinforzo sia erogato subito dopo che il soggetto avrà terminato l'azione desiderata. Ogni ritardo, infatti, è controindicato e ne diminuisce l’efficacia. -- All’inizio dell'addestramento è importante usare rinforzi sociali, per poi eventualmente ricorrere a rinforzi tangibili, nel momento in cui ci si accorge che i primi non sono efficaci. -- Passaggio rapido, ma graduale, da rinforzi tangibili a quelli sociali. Tale transizione è resa necessaria dal fatto che nella gerarchia canina si fa uso costante di rinforzi sociali (ammiccamenti, leccamenti, posture di sottomissione o di dominanza, ecc), con ovvia esclusione di quelli tangibili. Saranno infatti questi a influenzarne successivamente le azioni, consolidando quelle più valide. -- Passaggio dal rinforzo continuo a quello intermittente. Nella fase iniziale d’addestrametno è consigliabile, ed in certi casi addirittura indispensabile, iniziare con un programma di rinforzo verbale continuo. Ciò significa rinforzare i comportamenti adeguati ogni volta che vengono messi in evidenza dal soggetto. In caso contrario, si corre il rischio di non riuscire ad incrementare la frequenza con la quale compaiono gli atteggimaneti corretti. Raggiunto tale obiettivo, è opportuno diluire l’erogazione dei rinfori, passando al rinforzo intermittente. Il che implica rinforzare la risposta corretta di tanto in tanto, secondo regole che vengono precisate a seconda della situazione. Ancora una volta, la ragione che sta alla base di tale regola si fonda sull’opportunità di passare il più velocemente possibile da situazioni artificiali di rinforzo, com’è quella in cui si ricorre al rinforzo continuo, ad altre più naturali (una piccola pacchetta sul costato o sulla testa nel momento del riporto di selvatico abbattuto). In effetti, è del tutto fuori luogo che le azioni correttamente svolte siano sempre e comunque rinforzate. In realtà conviene che vengano rinforzate di tanto in tanto, per l’appunto ad intermittenza. Dopo aver identificato alcune delle regole da seguire, qualora il cinofilo faccia ricorso al rinforzo, rimangono da analizzare due ultimi aspetti: -- Identificare i rinforzi che sono graditi ad uno specifico cane, scegliendo un rinforzo idoneo. È possibile identificare i rinforzi: nel momento in cui si conosce il soggetto, bisogna cercare di scoprire ciò che gli piace e di organizzare, grazie a queste informazioni, una gerarchia di premi basata sul grado di interesse e di piacere che gli stessi procurano al cane in addestramento. -- Osservare il cane sistematicamente e per periodi di tempo piuttosto lunghi. Sarà possibile in tal modo scoprire quali siano le attività nelle quali il soggetto si sofferma con più insistenza, gli oggetti che preferisce rosicchiare, ecc. Conclusa la parte necessaria a delineare e a definire i rinforzi, può considerarsi conclusa anche la parte relativa alla presentazione di tale tecnica, con una dose giustificata di ottimismo. Il rinforzo, infatti, può essere applicato nei confronti di tutti i comportamenti o quasi, indipendentemente dal luogo in cui si manifestano e dalle loro specifiche caratteristiche. 1.3.4) Gli esercizi di obbedienza ed i rudimenti della caccia Spesso, quando il proprietario di un cane si rivolge a professionisti dell'addestramento, è perché il soggetto agisce come vuole ed i tentativi di ottenere un comportamento consono ad un cane da ferma che si rispetti non danno risultati. In realtà i comportamenti del cane non sono determinati da decisioni autonome, ma da regole naturali quali le caratteristiche innate di predisposizione di specie, di razza e caratteristiche innate di predisposizione individuale dette anche variabili interne (condizioni psicologiche e fisiologiche, stato ormonale, organico, ecc), nonché da variabili esterne (che non sono caratteristiche innate ma acquisite) quali l'influsso ambientale nel quale il cane è inserito, il tipo di socializzazione con animali della stessa specie (intra-specifico) e con animali di specie diverse (inter-specifico). Le variabili esterne influenzano moltissimo il normale sviluppo comportamentale del cane e, a volte, possono addirittura alterarne il processo in modo tale da provocare degli stati patologici di anomalia comportamentale. Per questa ragione è molto importante intraprendere una relazione corretta tale da aiutare il cucciolone a costruire quel normale sviluppo previsto dalle caratteristiche naturali individuali e della specie. In questo modo il soggetto svilupperà un buon equilibrio psicofisico e potrà adattarsi correttamente alle esigenze del cacciatore. Per insegnare l'azione venatoria corretta, ci sono molti metodi. Le differenze dipendono sia dai principi da cui deriva la loro ideazione, sia dalla tipologia di addestramento. Nella loro applicazione si notano anche delle differenze di carattere personale, dovute allo stile ed alla professionalità dell'handler, maturati con gli anni di esperienza e di pratica. Tuttavia è molto importante considerare la netta distinzione tra due metodi di base diametralmente opposti: il metodo basato sulla motivazione ed il metodo basato sulla costrizione e punizione. 1.3.4.1) Metodo basato sulla motivazione Il cane esegue l'esercizio perché motivato dal far piacere a se stesso e pertanto instaura un rapporto positivo con il proprio conduttore, coinvolgente e soprattutto mai conflittuale. Per applicare correttamente questo metodo, che prevede un apprendimento basato sul piacere di eseguire l'esercizio, bisogna conoscere e praticare uno schema operativo ogni volta che si vuole ottenere dal cane un determinato comportamento. Questo principio è valido sia per insegnare esercizi semplici che per insegnare esercizi anche molto complessi. Vediamo alcuni importanti termini ed il loro significato. Motivazione È il principio su cui si basa il metodo. Si deve creare una motivazione molto forte per ottenere dal cane un rapido apprendimento del comportamento desiderato. Possiamo provocare una grande motivazione instaurando nel cane il desiderio di ricevere una ricompensa. In pratica, bisogna fargli capire che, se adotta il comportamento desiderato, avrà di conseguenza una gratifica (carezza, bocconcino, ecc). Attenzione È il punto di partenza per effettuare qualsiasi comunicazione. Il cane deve rivolgere la propria attenzione al conduttore per poter recepire i suoi messaggi e metterli in pratica. Tale concetto è espresso in modo ermetico in taluni standard di lavoro. Quando si parla di un cane che incrocia un lacet e passando innanzi al conduttore gli getta uno sguardo, di cosa pensate si parli? Stimolo/Azione È necessario produrre uno stimolo che provochi nel cane l'azione corrispondente all'esercizio richiesto. Ad ogni stimolo (gesto) sarà associato un comando sonoro (stimolo secondario) in modo che, dopo parecchie ripetizioni, il solo stimolo secondario sarà sufficiente ad evocare il comportamento desiderato. Pensare di fermare un “inglese” lanciato al galoppo in ampi lacets solo con un gesto è veramente difficile. Rinforzo positivo Bisogna premiare il cane appena ha eseguito l'esercizio, così sarà contento di averlo eseguito e si rinforzerà la possibilità che lo ripeta quando si ripresenteranno le stesse condizioni di richiesta (condizionamento). I premi sono sempre costituiti da apprezzamento vocale, carezze, bocconcini. Perché l'istruzione di un esercizio sia efficace e durevole nel tempo, dobbiamo considerare le tre fasi che la compongono (apprendimento, correzione, consolidamento). Fase di apprendimento È la prima fase dell'istruzione: prevede l'insegnamento. Si pratica utilizzando una tecnica di comunicazione tale da ottenere il comportamento desiderato. Il cane dovrà dimostrarci di avere appreso l'esercizio esibendo il comportamento desiderato immediatamente in seguito alla nostra richiesta. Fase di correzione Quando il cane ha imparato l'esecuzione di un dato esercizio è possibile che inizi a farlo male o a modo suo, commettendo errori, oppure che non voglia eseguirlo mettendoci alla prova in una specie di sfida. È del tutto normale e questo è il momento di adottare la fase di correzione composta da tecniche di comunicazione correttive che riportino il cane ad eseguire bene e prontamente ciò richiesto. Fase di consolidamento Per consolidamento si intende sia il perfezionamento dell'esecuzione dell'esercizio (es. perfetta consegna sul riporto) sia il rafforzamento della memoria dei comportamenti (ripetitività d'azione). Questa fase si pratica con la ripetizione dell'esercizio (allenamento). 1.3.4.2) Metodo basato sulla costrizione e punizione Questo metodo dovrebbe essere praticato in quei casi ove l'imposizione si renda necessaria. 1.3.4.2.1) Il deterrente e la punizione nell'uso corretto dei dispositivi d'addestramento a distanza La stimolazione statica generata dai collari d'addestramento può essere, a seconda dell'intensità somministrata, una punizione od un tipo di deterrente. Parlare di deterrente vale a dire parlare di “qualcosa di spiacevole in grado di correggere un certo comportamento”. Considerando esclusivamente l'uso dello strumento come deterrente, bisogna dire con franchezza che talune volte questo metodo si rende necessario per modificare e correggere comportamenti non consoni ai criteri cinofili. La scelta di utilizzare un sistema con deterrente e punizione dipende dalle preferenze personali, dal temperamento del cane, dal risultato desiderato e dall'efficacia di altri metodi sperimentati. Cosa rende gli attuali sistemi elettronici di addestramento più umani rispetto ai loro predecessori? I primi prodotti con stimolazione statica si trovavano in commercio con un unico livello di stimolazione piuttosto elevato. Grazie ai progressi tecnologici, i prodotti attuali dispongono di livelli multipli di stimolazione che possono essere regolati in base al temperamento di ciascun cane. Quando si utilizza la stimolazione statica, è meglio partire dal livello più basso di stimolazione che si rivela efficace per il cane, per il suo temperamento e per il comportamento che si cerca di correggere. Inoltre, i prodotti attuali sono diventati più sofisticati: antenne, batterie e componenti hanno permesso ai dispositivi di addestramento a distanza di diventare sempre più perfezionati, con raggi d'azione più estesi, livelli di stimolazione più numerosi e facilmente modificabili, collari ricevitori e trasmettitori di dimensioni più ridotte e più leggeri. I moderni dispositivi sono inoltre più facili da usare, alla portata ditutti e più efficaci dei precedenti. Esistono molti metodi che possono essere applicati per correggere il comportamento di un cane e numerose persone, dai comportamentisti specializzati ai normali proprietari di cani (passando per gli addestratori professionisti), hanno opinioni diverse su ciò che è meglio fare. Ma ciò che rimane punto fermo per tutti è il giusto momento in cui somministrare la punizione o la stimolazione deterrente. Si parla di stimolazione deterrente in quanto taluni collari d'addestramento di ultima generazione sono muniti di un segnalatore acustico che può essere attivato dal radiocomando. Il cane impara presto a rispettare tale suono di avvertimento, in quanto, le volte precedenti, tale suono veniva percepito appena prima della stimolazione statica. Il risultato è ovvio: anticipare l'azione scorretta del cane senza, nel proseguo dell'addestramento, somministrare la stimolazione. Infatti, questo particolare momento è il giusto attimo in cui il cane non si comporta in modo voluto e la maggior parte delle volte avviene a distanze ove lo stesso addestratore/cacciatore è impossibilitato ad intervenire direttamente. Gli esempi si possono sprecare: dall'insegnamento della ferma al frullo, alla correzione di quei soggetti che si fanno distrarre dalla piccola migratoria nei cespugli, passando per spiacevoli inconvenienti quali l'attraversamento stradale per inseguire una lepre od un fagiano sfuggito alla fucilata. Quest'ultima evenienza è la meno considerata, ma che porta a dover affrontare le peggiori conseguenze che vanno dalle responsabilità civili alle penali. I dispositivi di addestramento a distanza sono generalmente costituiti da un trasmettitore a distanza (radiocomando) ed un collare ricevitore indossato dal cane. Questi due elementi, utilizzati insieme ad un protocollo di addestramento, possono contribuire a facilitare tutti i tipi di addestramento e correzioni. I sistemi attuali dispongono di numerose caratteristiche: il raggio d'azione (da meno di cento metri ad oltre tre chilometri), la resistenza all'acqua, la taglia, il numero di livelli di stimolazione ed i tipi di stimolazione. Quindi possono essere fatti indossare aqualsiasi cane, su qualsiasi terreno e con qualsiasi condizione meteo. 1.3.4.2.2) La punizione La punizione è qualcosa di negativo che il cane subisce dopo una azione a noi sgradita. Il cane “carica” la selvaggina? Voi lo punite... Ed il cane non può scegliere perché la punizione segue sempre l'azione: quando il cane viene punito non può più fare niente per evitare l’azione errata. Quindi, la prima regola è non punire mai il cane nel momento scorretto se esiste un'alternativa, altrimenti la punizione non è altro che uno sfogo emotivo ed un abuso. A volte è difficile vedere la soluzione alternativa: per gli umani è molto più naturale associare un comportamento sgradito ad una punizione. La seconda regola è capire che il cane non è in grado di dare un giudizio morale al proprio comportamento: giusto o sbagliato non esistono, esistono solo vantaggioso o svantaggioso. Dunque, la punizione funziona se quel certo comportamento diventa svantaggioso. Non è così facile. Prendete il caso di un cane che “tassa” la selvaggina. Voi pensate: “« Lo sgrido così capisce che non deve più mangiare le quaglie». Nella maggior parte delle volte, però, l’unico risultato è inibire il comportamento in vostra presenza (il rischio è che il cane si allontani, si nasconda e consumi il pasto), oppure associare una situazione già stressante a nuovo stress (il rischio è aumentare lo stato ansioso generato dalla paura che un contendente, voi, vogliate la sua preda). Se proprio volete punire il cane, usate almeno un segnale che permetta al cane di interrompere la propria azione prima della punizione stessa. All'uopo esistono in commercio, come antecedentemente detto, collari d'addestramento muniti di un tasto (sul radiocomando) che fa emettere un suono al collare. In pratica si può intervenire anticipando il cane e se dopo l'avviso acustico il cane interrompe il comportamento, rinforzate l'azione svolta con carezze o bocconcino. Se dopo l’avviso il cane continua nell'intento, fate seguire la stimolazione statica. Preferite eventi che per il cane siano negativi ma non dolorosi e non associati al rapporto con voi (il collare d'addestramento, usato con le dovute cautele, è perfetto perché usato sotto della soglia del dolore crea una situazione ove il cane rimane attonito ad una distanza che non vi collega alla sensazione provata). Usate però la stimolazione solo in casi eccezionali e quando nessuna altra strada ha dato risultati. Con la punizione il cane può associare un certo comportamento a delle conseguenze spiacevoli: la punizione deve essere più intensa del suo desiderio di comportarsi in un certo modo. Anche se agite nel modo migliore, il vostro intervento non risponde alla domanda più importante: se quello che sta facendo il cane è sbagliato, cosa è giusto? Prima di arrabbiarvi per il suo comportamento, dovreste essere sicuri che il cane conosca una valida alternativa: riportare la selvaggina invece di mangiarla o seppellirla, stare fermo invece di caricare la selvaggina e così via. Tutti gli esperimenti hanno dimostrato che gli animali che vengono premiati per il comportamento corretto o distolti dagli atteggiamenti sbagliati tramite deterrente (stimolazione statica leggera) imparano più in fretta e meglio di quelli che vengono puniti corporalmente (in modo diretto e con tempistica errata) per i comportamenti sbagliati. In questo caso, la punizione deve essere tradotta come intervento diretto dell'uomo (ceffone) o come stimolazione statica di un collare d'addestramento usato scorrettamente. La stimolazione da dispositivo di correzione a distanza non viene mai correlato dal cane all'uomo, sia usato in modo giusto o sbagliato. La punizione diretta ha per il cane un significato preciso: aggiungere qualcosa di sgradevole o togliere qualcosa di piacevole in conseguenza al suo comportamento. Se per esempio vi fate riportare e lasciare un volatile a comando e ve lo tenete, per un cucciolone è una punizione! Il cane ha riportato e lasciato, e voi gli avete tolto qualcosa di piacevole (punizione). Se non volete giochicciare col selvatico ed il cane, come si conviene talune volte con i giovani soggetti, potete premiarlo con un bocconcino o con particolari espansive attenzioni effettuando una specie di scambio. 1.3.4.2.3) Punizione uguale a stress Non è affatto scontato che il cane capisca che siamo arrabbiati per qualcosa che sta facendo (o non sta facendo). E’ molto probabile che capisca che siamo arrabbiati senza capirne il motivo. Per il cane la punizione diretta è prima di tutto una aggressione sociale. Ma la definizione tecnica di punizione è “un evento negativo che riduce la probabilità che l’animale esibisca un certo comportamento”. Se avete sgridato il cane più di tre volte perché ha seppellito un fagiano, quello che state facendo tecnicamente non è una punizione e di sicuro non ha funzionato. State causando stress all’animale senza ottenere un risultato. Il che, oltre ad essere inutile e dannoso, è pure stupido. Per il cane ottenere la vostra attenzione (anche se state imprecando) può essere persino più importante del dolore e del disagio che gli causano i ceffoni per aver nascosto il volatile. 1.3.4.2.4) Effetti collaterali della punizione diretta L'effetto immediato e quello più evidente e gratificante della punizione diretta è interrompere il comportamento sgradito. Sgridarlo o picchiarlo significa impressionarlo, conquistare con uno scontro diretto il ruolo di dominante, sembrare quindi il più forte ed aggressivo. I due effetti sicuri della punizione diretta sono solo impressionare ed inibire. Il cane ha davvero imparato qualcosa da una tirata d'orecchi dopo aver seppellito un fagiano? Forse non lo farà più quando ci siete voi nei paraggi, ma potreste scommettere che non lo farà nascosto dalle fronde di una siepe? La punizione, sgridare, cercare di correggere il cane con rinforzi negativi scorretti e fuori tempo ha quindi effetti collaterali numerosi ed imprevedibili. Il cucciolone che viene malmenato perché non ferma la selvaggina, spesso associa l'odore del selvatico ed il proprietario all’aggressione. Il Risultato? Potrebbe non interessarsi più dei volatili in presenza del proprietario (il cosiddetto rifiuto del selvatico) oppure cercare e fermare ma non riportare più. Potrete portarlo a caccia per ore con l’unico risultato che si ciondolerà a destra e sinistra cercando di evitare ciò che il cacciatore anela. Il cane che viene schiaffeggiato perché non torna al richiamo, non osa più avvicinarsi, o si avvicina lentamente invece di tornare subito festante. Quando viene punito, il cane associa non solo punizione e comportamento, ma l’intera situazione: voi, il vostro atteggiamento, l’ambiente in cui si trova. Se punite il cane durante l'addestramento e siete poi tesi nelle prove di lavoro, il cane leggerà la vostra tensione come un segnale dell’imminente aggressione. La punizione rende il cane ansioso, insicuro, e può portarlo fino ad esibire disimpegno (evitare ogni contatto sociale con il conduttore). Questo comportamento lo si nota bene al momento di legare (durante le prove di lavoro), cioè quando il cane continua nella cerca ignorando l'handler, oppure raggiunge il conduttore con difficoltà e spronato da un susseguirsi di stimoli. Altre volte si reca direttamente al furgone ove troverà la sua sicura gabbia ad attenderlo. Ogni volta che si parla di punizione c’è qualche dresseur poco professionale che salta fuori con la storia della madre che punisce i cuccioli. Crediamo che questa diceria derivi da un comportamento tipico degli adulti con i cuccioli, quello che l’etologo Dehasse definisce "put and keep down". L’adulto schiaccia a terra il cucciolo e non gli permette di andarsene finché il piccolo continua a ribellarsi. Non appena si rassegna e si immobilizza, l’adulto lo lascia andare. Questo strano comportamento non serve a punire il cucciolo, ma ad insegnare l’autocontrollo. Cuccioli che non hanno avuto questa esperienza possono, crescendo, avere difficoltà di controllare le proprie reazioni e giustamente l'Ente cinofilo pretende, vietandone la cessione in tenerissima età, che i cuccioli permangano in presenza della fattrice per un congruo lasco di tempo per imparare relazionando con i fratelli e con essa. Altro comportamento tipico dell’adulto è fissare e ringhiare prima di attaccare. Non è una punizione, è normale comunicazione sociale. Il cucciolo impara a riconoscere questi segnali ed evita la zuffa. Un cane può insegnare ad un altro cane a comportarsi bene, ad andare a caccia, percorrere perfetti lacets o tornare al richiamo, ma non a riportare la selvaggina. Queste sono abilità insegnate dai dresseur e per il cane non sono giuste o sbagliate, sono piacevoli se associate ad un rinforzo, o spiacevoli se associate ad una punizione. Per le caratteristiche innate quali la predazione, bastano i geni ereditati. 1.3.4.2.5) La paura ed il pericolo potenziale Al che si dica (e ne abbiamo sentite di cotte e di crude), nessun cane nasce timoroso o pauroso. Non esiste nessun riscontro scientifico che correli la paura alla trasmissibilità genetica. La paura è una risposta indotta dalle sensazioni e come tutti gli esseri viventi dotati di una certa intelligenza e consapevolezza di sé stessi, anche il cane può essere afflitto da fobie e paure. È importante discriminare il concetto di paura che prova il cane da quello che prova l'uomo. La paura che prova il quadrupede è legata ad una sensazione sgradevole ed improvvisa, imparata a proprie spese e quindi memorizzata per non riassaporarla. L'uomo presta attenzione per l'attraversamento stradale e cura la propria incolumità essendo cosciente che un possibile investimento procura dolore e lesioni (anche se tali sensazioni non le ha mai provate sulla propria pelle). L'uomo possiede anche un tipo di consapevolezza che classifica le armi come oggetti pericolosi anche se non è mai stato colpito. Questo non accade nel cane. Puntare il fucile su un quadrupede mentre si è osservati da questi, non induce una risposta di timore evidenziata dalle classiche posture canine. La manifestazione più ovvia è invece quella di stupore mista a curiosità. In via generale e per estrapolare meglio il concetto, si può affermare che il cane non reputa nessuna situazione od oggetto inanimato come pericolose se da questi non ne abbia tratto sensazioni sgradevoli. Al cane manca quindi la capacità di percepire il pericolo potenziale. Un soggetto timoroso innanzi alla detonazione delle armi da sparo non si rifiuta di salire in auto per andare a caccia, tanto meno si rifiuta di cercare avidamente la selvaggina. Nel momento in cui il cane in ferma viene avvicinato dal cacciatore per risolvere l'azione venatoria con l'abbattimento, il soggetto, se memore di una esperienza negativa passata, si impaurisce e si allontana. Taluni corrono all'auto pensando di rincasare il più in fretta possibile. In questo caso, l'avvicinamento del conduttore al cane in ferma rievoca una sensazione sgradevole memorizzata in precedenza. Se vogliamo dirla tutta, il cacciatore, rincuorando il cane tremolante genera un rinforzo positivo (corretto svolgimento dell'esercizio fuga verso l'auto) radicando l'errato atteggiamento nel modus operandi del cane. Anche un oggetto utilizzato per la punizione corporale casalinga (la scopa) può generare timore nei confronti del fucile che, per forma e dimensioni, gli assomiglia abbastanza. Il cane quindi percepisce solo una paura impellente e non meditata come quella che possono provare gli uomini quando puntati da un'arma da fuoco. Entrare nel merito ed approfondire le molteplici cause che possono generare la paura della fucilata è complesso ed articolato. Il cucciolo impara osservando la madre: se questa non è impaurita ma eccitata dalla deflagrazione, incuriosirà l'ignaro piccolo che ben presto saprà correlare il fastidioso rumore con la possibilità di divertirsi catturando e facendo propria la selvaggina. L'allevatore coscienzioso utilizza i palloncini gonfiabili che i cuccioli possono fare scoppiare tra di loro al fine di abituarli al rumore degli scoppi. Se i cuccioli non riescono a farli scoppiare, ci penserà la fattrice con la loro più grande gioia. La Psicologia canina permette quindi di comprendere come il giovane quadrupede impari dalle esperienze. Simulare un gioco per stimolare l'apprendimento sarebbe una via corretta ma purtroppo non funziona con tutti i soggetti. Taluni, imparato l'esercizio, lo svolgono come gioco e non come lavoro. Lo stimolo non deve evocare il gioco bensì una risposta ben definita, un'azione che, espletata correttamente, è chiamata esercizio. Il gioco inteso come simulazione dell'esercizio è sì importante, ma deve essere interrotto quando il cane lo percepisce come fine a sé stesso. Partire invece dal presupposto di addestrare un cucciolone utilizzando esclusivamente le punizioni (rinforzo negativo) per un comportamento non consono alle regole cinofile, vuol dire diminuire la curiosità giovanile ed intaccare il temperamento. Educare ed addestrare correttamente vuol dire capire i limiti d'apprendimento del singolo soggetto ed applicarvisi perché questi li superi con cognizione. Generare nel futuro gregario dipendenza mista ad amicizia è un buon punto di partenza. Un bravo dresseur deve essere quindi un psicologo empatico: l'anello di Re Salomone sarebbe un bel vantaggio. 1.3.4.3) Le fasi dell’allenamento L’allenamento può essere suddiviso in tre fasi: periodo fondamentale, periodo speciale, periodo di riposo attivo. -- Il periodo fondamentale è la fase in cui si creano le condizioni ottimali: in questa fase deve essere adottato il principio della gradualità del riscaldamento muscolare e della preparazione psicologica del cane ad affrontare il terreno. -- Il periodo speciale è quello che coincide con l’attività agonistica. La condizione, già ottenuta, in questo periodo deve essere mantenuta considerando il livello delle gare in scadenza: preparatorie, principali, obiettivo dell’anno. Nel corso di questa fase la condizione atletica non deve essere consumata, anzi deve continuare a crescere sino all’obiettivo principale. Va da sé che il numero delle gare programmabili è molto diverso: poche gare paesane di un giorno possono essere considerate preparatorie. Se la programmazione alla partecipazione di prove di lavoro, che consentono di mantenere la condizione, riesce difficile, si potrà ovviare riducendo il numero degli appuntamenti, oppure partecipando ogni tanto a qualche prova non riconosciuta. -- Il periodo di riposo attivo, della durata di 3/4 settimane, ha per obiettivi la distensione del sistema nervoso e l’applicazione di eventuali cure preventive (comprese alimentazioni ricche in particolari elementi). In questo periodo l’intensità e il grado di difficoltà dell’allenamento sono molto bassi, pari al 50 -75% dei carichi massimi; gli esercizi sono diversi da quelli specifici della ricerca della selvaggina o del percorso, con prevalenza del lavoro di resistenza. In ogni caso deve essere previsto un periodo di compensazione, in cui il carico di lavoro si riduce considerevolmente, in modo da ottimizzare le risorse prima delle prove del campionato. Il riposo è un momento molto importante dell’allenamento, specie nel periodo fondamentale. I piccoli danni che provoca lo sforzo sono riparati dall’organismo e queste riparazioni rendono più forti i tessuti. Il danno, ovviamente, deve avere un’entità facilmente riparabile; se così non fosse avremmo sbagliato la programmazione ed allora avremmo a che fare con vere e proprie patologie che riducono le capacità funzionali anziché migliorarle. Il riposo non deve essere solo fisico ma anche mentale; non significa chiudere il cane in box, ma farlo muovere al passo ed al trotto (es. bicicletta e/o guinzaglio). 1.3.4.4) L’agonismo La competizione è un test per valutare il lavoro di preparazione svolto. E’ un gioco in cui ci si confronta con i pari affermando una competitività controllata dalle regole. E’ un’occasione d’incontro e confronto. Apparentemente tutti possono praticare la competizione, eppure molti handler e cinofili presentano numerose difficoltà psicologiche ad affrontare al meglio la prova di lavoro ed i loro cani sentono le tensioni del conduttore, non dimostrando appieno le loro possibilità. Nel corso di una competizione solo il cinque/dieci% del tempo è dedicato al turno di lavoro; il resto il concorrente lo passa ad aspettare, camminare, preparare il cane, pensare. C’è troppo tempo per pensare ai propri successi ed ai propri insuccessi. Esiste una relazione tra ciò che passa per la testa dell'handler ed i suoi comportamenti. Se in questo lungo tempo si ha modo di pensare che non si è all’altezza della competizione che si dovrà affrontare, i comportamenti delo stesso saranno indirizzati verso l’insuccesso e trasmessi inconsciamente al cane. Questi tempi potrebbero essere meglio utilizzati per osservare i migliori dresseur sulla piazza e trarre da questa osservazione stimoli di natura tecnica e psicologica. La qualità fondamentale per “un vincente” è quella di mantenersi a un livello superiore alle proprie capacità, in tutte le circostanze e qualunque sia la pressione del risultato da conseguire. Questa solidità mentale non è innata, la si può costruire adottando un atteggiamento mentale per il quale il livello della competizione coincide esattamente con l’immaginario riferito dalla mente. I punti da prendere in esame in modo isolato, che il dressatore deve sviluppare sino ad essere qualità del suo comportamento, sono: -- Il clima mentale ideale lo si trova facilmente quando non accadono contrattempi. Bisogna imparare a convivere con le avversità. -- Vi è una contraddizione difficile da dosare tra l’intensità, l’energia e la calma profonda, indispensabili a una buona performance. -- L’atteggiamento ottimista, positivo e l’entusiasmo sono indispensabili. -- Il piacere non deve essere provato solo se si conquista un C.A.C, ma si deve “fare” cinofilia perché si ha piacere di farla. --Non bisogna concentrarsi sul risultato, ma sulla tecnica e l'addestramento necessari per ottenerlo. -- Non si può comandare, forzando il cane; un ottimo turno viene da se. -- La fiducia in se stessi è indispensabile, ma deriva dalla preparazione del binomio caneconduttore. -- Il clima mentale ideale corrisponde a una coscienza del proprio corpo, capace di non rispondere ad alcuna distrazione. -- Ci si deve compiacere della capacità di controllo. Le circostanze esterne possono essere vissute come elemento di aggressione di cui conduttore e cane saranno vittime. Va poi considerato un altro fattore importante: anche in presenza di una intensa energia positiva, la tensione positiva del cane forma una curva che può variare considerevolmente da soggetto a soggetto e dalla situazione di attesa. Le attività che precedono la competizione (prelievo del cane dal furgone, farlo “sporcare”, ecc) andranno regolate tenendo in considerazione questa curva e che il cane, quindi , non venga sguinzagliato per la prova nel momento in cui la curva stessa sia discendente. -- Definire il concetto di risultato. Pensare che solo la vittoria sia la comprova dell’ottenimento del risultato è sbagliato. Deve essere ridefinito cosa i cinofili e l'handler stesso debbono considerare un successo. Anche l'ECC. (Eccellente), come il M.B. (Molto Buono), sono ottimi risultati. -- Controllo del pensiero. Prima e durante la prova dirigere il proprio pensiero in senso positivo. Respingere ogni pensiero negativo. Amare la difficoltà e nel contempo ricollocarla al suo posto: “ci sono miliardi di persone al mondo a cui non importa nulla se la prova del mio cane sarà positiva o negativa”. -- Fare tutto affinché la giornata di gara sia piacevole. Tale allenamento mentale ha valore se la prova sia adeguata al binomio. Il luogo della gara deve essere conosciuto dall’handler e, nell’esaminare il tipo di prova a cui verrà sottoposto il proprio ausiliare, debbono essere teute di debito conto le capacità di natura tecnica del cane: fondo, percorso, tipo di selvaggina, ecc. Elementi secondari e quindi trascurabili, sono la distanza del luogo, a meno che non sia eccessiva. Si deve ricordare che nel lavoro per obiettivi le prove non sono un episodio isolato, ma fanno parte di un programma che ha una finalità predefinita. Un elemento secondario, che però ha incidenza maggiore, è il livello organizzativo della manifestazione: la possibilità di lavorare con calma dipende dall’efficienza organizzativa. Anche se abbiamo detto che il risultato non deve essere confuso con la vittoria, è indiscutibile che conquistare un C.A.C. fa bene, e fa vincere ancora. Purché la vittoria sia ottenuta meritatamente, superando le difficoltà di un turno adeguato od il giudizio di un Esperto Giudicie rigoroso. Le facili vittorie ottenute ricercando escamotage o giudizi compiacenti, non permettono di lavorare per obiettivi. In ogni caso, la ricerca del successo, dove è più facile, interromperà la crescita del cane. 1.3.4.5) La cinofilia amatoriale Una nota di richiamo è d'obbligo per quello che concerne l'attività cinofila a livello amatoriale. L'amatore può presentarsi al professionista con un cucciolone od un soggetto non più giovane, a cui si è affezionato e magari anche spinto da amici che sopravalutano le capacità del cane. Tale soggetto, in vece, può portare con sé difetti acquisiti durante l'atività venatoria lasciata svolgere sempre in piena libertà. Per l'amatore, quanto per il cacciatore, qualsiasi via o mezzo che porta al risultato utile del fermare e dell'incarnierare la selvaggina è percorribile. Quindi, per tali persone, il vero cane da caccia utile è e non può altro che essere il cane da carniere, a prescindre dal metodo per il raggiungimento del fine ultimo. Si trascinde quindi da quello che può essere l'essenza della cinofila e che si rispecchia nella selezione delle genealogie seguito dall'addestramento secondo i crismi e le regole. Solitamente, per il professionista dell'addestramento, il cane di riferimento è il giovane nelle sue diverse fasce d’età, perché il giovane è colui su cui maggiormente si può costruire nella prospettiva agonistica. Non va però dimenticato che il giovane viene avviato alla pratica cinofila anche dall’educazione e dai comportamenti recepiti nella famiglia in cui è stato accudito. Il dresseur deve possedere le conoscenze cinofile e responsabilmente accettare ed assumersi le responsabilità nello svolgere la sua professione applicandosi al soggetto maturo solo se in grado di definire un programma di lavoro che utilizza la progressione e porta a lavorare per obiettivi. Ed è qui che emerge il vero cultore che se anche sprovvisto di furgone all'ultimo grido, sa frammentare gli obiettivi e dilazionarli nel tempo. Alla modesta condizione atletica sopperisce diluendo i carichi di lavoro, insistendo molto e condizionando il cane con la sua ripetizione. Il cane adulto non deve essere considerato un allievo di serie B, ma si debbono adattare le tecnologie educative ai suoi mezzi ed alle sue possibilità. Se i suoi progressi non marceranno alla stessa velocità dei più giovani del canile, la sua maturità gli permetterà di comprendere meglio ciò che il dresseur gli chiede. Nel momento in cui il soggetto non progredisce più, è correttezza rivolgersi al prorpietario mettendolo al corrente della situazione. Con un po’ di creatività nei programmi d'addestramento ed aggiornando le proprie conoscenze, l'handler può arrivare a soddisfare un maggior numero di domande e soprattutto essere partecipe all'ampliare del mondo degli appassionati del nostro sport e del cane da caccia in genere. Non va quindi sottovalutato l’agonismo amatoriale che costituisce una voce importante nell’attività cinofilo-agonistica. L’amatore che si avvicina alle prove di lavoro ha una forte motivazione e la sua maturità gli consente di apprezzare il valore di una buona istruzione impartita al proprio cane, sia esso adulto che giovane; per contro, il tempo disponibile e la presenza alle stesse prove sono a volte scarse, preferendo fantasticare al telefono con l'handler dopo un buon risultato. Sarebbe un grave errore allontanare dalla cinofilia agonistica tale fascia di appassionati offrendo loro facili illusioni in breve tempo. Si rischia peraltro di allontanare quanti vogliano praticare un’attività amatoriale e di creare ostacolo alla realizzazione di uno degli aspetti più significativi del nostro sport, rappresentato da un’occupazione del tempo libero che coinvolgerebbe molti più appassionati di quanti ne coinvolga attualmente. 1.3.5) Caratteri psichici del cane Il carattere del cane (doti caratteriali) è formato dalla componente genetica che i genitori trasferiscono ai loro piccoli, dalle cure che la madre accorda alla cucciolata e dall’allevamento ove il cane nasce. Il carattere può essere descritto riferendosi alle seguenti componenti: -- Socialità o socievolezza Questa dote è legata alle caratteristiche di razza, in quanto con la selezione l’uomo ha creato i presupposti per i tipi di cane più o meno socievoli a seconda dell’utilizzo. Comunque, se il cucciolo conosce gli esseri umani fin dai primi giorni di vita avrà nei loro confronti un atteggiamento generalmente più socievole. È quindi importante scegliere sempre un soggetto proveniente da un allevamento ove il numero delle cucciolate (due/tre l'anno) permettano all'allevatore di seguire con parsimonia ogni cucciolo ed il suo sviluppo psicologico. -- Docilità È la dote per cui il cane s’inserisce nel consorzio umano come avrebbe fatto nel branco. È in stretta correlazione con la socievolezza. Non bisogna confondere la docilità con la tempra molle. Il soggetto molle lavora per evitare la spiacevole correzione, quello docile lavora anche senza correzione per aderire alla volontà dell’uomo. Vi sono soggetti duri e docili, molli ed indocili. Un cane non docile, spesso a causa di un’errata selezione o fase di socializzazione con l’uomo, creerà problemi nell’addestramento e non accetterà di fare quello che gli handlers chiedono. Quindi, pur essendo la docilità legata alla razza, potremo fare in modo, con i giusti accorgimenti, di migliorarla. -- Temperamento Si può dire che il temperamento misura in un certo senso la velocità di reazione del cane ad uno stimolo ricevuto, sia esso positivo o negativo. Avremo, a seconda dei tempi di reazione, cani di temperamento brillante, attento, normale o apatico. È molto importante, durante l’addestramento e nella gestione del cane, tenere presente il tipo di temperamento del soggetto e utilizzare i modi di porci adeguati. -- Tempra È la capacità del cane di sopportare stimoli negativi interni od esterni, di natura fisica o psichica. Secondo la tempra i cani si dividono in duri e molli con una infinità di gradazioni. È duro il soggetto che, ricevuta la correzione al frullo, rifrulla volontariamente subito dopo. È molle quello che, nelle medesime circostanze, indugia lungamente prima di avvicinare nuovamente un selvatico e fermarlo. Al cane duro occorre una mano energica, al molle una leggera. Dovremo quindi individuare il tipo di tempra del cane, senza confondere questa caratteristica con comportamenti dovuti al temperamento od alla vigilanza. Un soggetto con tempra molle potrebbe dare delle risposte che si possono interpretare come dovute ad un temperamento brillante, un cane con tempra dura potrebbe essere confuso con un soggetto apatico in quanto tende a non reagire. Il meglio sarebbe avere un soggetto della tempra giusta per il compito a cui sarà chiamato. Anche se molti handlers professionisti li preferiscono, i cani di gran tempra saranno più difficili da addestrare e correggere in quanto la correzione lascia al cane duro un ricordo breve. Dall'altra permette al dresseur errori d'addestramento rimediabili. È come dire che si opta per faticare di più nell'addestrare e nel contempo lasciare una finestra aperta nel caso di un errore d'addestramento. Questo, però, non è certo professionismo. I soggetti durissimi e mollissimi sono difficilmente addestrabili. Foto 7: Setter Irlandese in atteggiamento di vigilanza -- Vigilanza Si intende l’attenzione che il cane ha verso il mondo esterno ed agli stimoli che da questo gli giungono. La vigilanza si rivela dall’atteggiamento della coda, delle orecchie e della voce quando il cane avverte qualcosa di particolare. La vigilanza è la pronta reazione a stimoli olfattivi, uditivi, visivi. Un cane vigile sarà sempre molto attento al proprio conduttore e pronto a recepire ogni segnale che questi gli invia. Il concetto di vigilanza si lega, oltre a quelli di tempra e temperamento, anche a quello di tempo di attenzione, inteso come il tempo per il quale il cane continua ad eseguire una determinata azione senza distrarsi, quindi anche per quanto tempo si può fare eseguire un turno di prova senza che questo sia controproducente. Un cane ben attento sarà dotato di un buon temperamento, di tempi di reazione facilmente rinnovabili e di una tempra tale da non essere facilmente distraibile. -- Mordacità È la reazione ostile che ha il cane di fronte a stimoli spiacevoli. Esistono cani paurosi e mordaci, cani coraggiosi e non mordaci. Paura e coraggio non devono essere intesi in senso umano e morale: la paura è autoconservazione, suggerisce al momento opportuno la fuga e salva la vita. Una specie senza paura si estingue presto. I cani introdotti alla pratica sportiva della caccia e delle expo, non devono dimostrare di possedere questa caratteristica. La mordacità si traduce inoltre in problema se è immotivata e se sfugge al controllo del proprietario. -- Coraggio È coraggioso il soggetto che, in particolari circostanze, dimentica l’interesse per la propria integrità ed affronta volontariamente un pericolo al quale potrebbe sottrarsi. Coraggioso deve essere il cane da cinghiali e quello da tana. Il cane coraggioso si comporta in confronto al branco in maniera da tralasciare il proprio interesse per difendere l’interesse comune. Il cane coraggioso è naturalmente combattivo verso altri animali. Foto 8: Pointer Inglese ferma in un acquitrino. Esiste anche un coraggio difforme dal precedente e che riguarda l'affrontare ostacoli di tipo psicologico, quali l'attraversamento di un corso d'acqua pericoloso per effettuare un riporto. -- Aggressività Sicuramente non si può parlare dell’aggressività nel mondo animale cercando di dare a quei comportamenti che rientrano in questa definizione delle spiegazioni riconducibili ad atteggiamenti messi in atto dagli esseri umani. Infatti, non si deve confondere l’aggressività animale con qualcosa che sia paragonabile a cattiveria, rancore, invidia, ma bisogna collocare gli atteggiamenti nel contesto giusto e trovare quindi le spiegazioni con i corretti parametri di valutazione. L’atteggiamento di aggressività si concretizza principalmente come una risposta ad una situazione ed il suo livello sarà legato a certi momenti della vita come: --- la conservazione della posizione gerarchica --- la difesa della prole --- le dispute per l’accoppiamento in queste situazioni, infatti, la possibilità di assumere comportamenti aggressivi garantisce la funzione fondamentale della conservazione della specie. Ciò detto, una componente ben calibrata e comunque mai eccessiva di aggressività è da considerarsi necessaria ed insostituibile al fine di ottenere un ottimo ausiliare da caccia; --- la competitività legata alla conquista di un fagiano da riportare; --- indotta dal dolore quando il cane reagisce violentemente al dolore cagionato; --- indotta dalla paura messa in atto in quelle situazioni in cui, per vari motivi, il cane è sottoposto ad uno stress non gestibile (nel rapporto con l’uomo si manifesta in quei soggetti poco socializzati); --- territoriale rivolta verso coloro i quali invadono quello che il cane ritiene il proprio territorio, o comunque quando viene superata quella che si definisce distanza di fuga, cioè quella distanza variabile da soggetto a soggetto, ritenuta sufficiente a garantire una via di fuga; --- predatoria legata all’istinto di procacciarsi il cibo, nel cui caso, ci troviamo di fronte all’aggressività interspecifica; --- materna nei casi di difesa della prole dagli estranei; --- appresa indotta sia con l’addestramento sia involontariamente tramite il rinforzo positivo di atteggiamenti di difesa delle cose o delle persone; --- idiomatica che si scatena senza apparenti cause e dipende da situazioni patologiche. -- Combattività dopo una prima reazione più o meno marcata ad una situazione sgradevole, il cane persevererà nella reazione stessa; la durata e la qualità di questa risposta ci dà la misura della combattività. L’impulso di lotta è stato ben definito dall’americano Thorndike come:« Il piacere d’eccitarsi». L’austriaco Menzel l’ha chiamato:« Il gusto per la baruffa», un gusto quasi sportivo. Un soggetto molto combattivo sarà anche caratterizzato da marcata ossessività ed aggressività, quindi tenderà ad essere dominante. -- Difesa L’impulso alla difesa induce, in caso di minaccia, ad un pronto intervento in difesa del compagno. Anche i cani paurosi e molli possono avere l’impulso della difesa. -- Resistenza È l’impulso che permette ad un soggetto di trovare in sé sempre nuove forze (psichiche e fisiche) per prolungare il lavoro. -- Curiosità visiva La verifica della curiosità visiva del cane da addestrare è indice importante, poiché lo sguardo molto attento indica certamente buone facoltà addestrative. È la curiosità che spinge il cucciolo dai due a i tre mesi di età ad allontanarsi dalla madre ed a iniziare ad esplorare in modo autonomo lo spazio che lo circonda. Questo atteggiamento gli permette di acquisire informazioni preziose che nel futuro gli serviranno per concentrare i suoi interessi su specifiche situazioni da lui riconoscibili (fonti di cibo, di compagnia, di identificazione sociale, occasioni di riprodursi). È quindi molto importante, specialmente nella fase giovanile del cane, che l'allevatore non ostacoli mai, anzi, incoraggi e favorisca questi atteggiamenti, in modo da fargli acquisire il maggior numero di esperienze possibili. Forse questo tipo di curiosità si manifesta maggiormente nelle femmine che nei maschi. Nei cuccioli la curiosità visiva è in genere più evidente che non negli adulti. -- Discernimento È la facoltà di compiere l’azione giusta al momento opportuno. È una facoltà ereditaria. Ma il discernimento è anche la capacità di non sbagliare più dopo una prima volta e trarre ammaestramenti dalle esperienze passate. -- Territorialità Con questo termine si fa riferimento alla caratteristica caratteriale del cane che, individuata una determinata area, la difende ritenendola di proprietà. La territorialità nei maschi si sviluppa a circa otto mesi, momento in cui iniziano ad alzare la zampa durante la minzione. La territorialità può essere scarsa, presente o accentuata. La difesa del territorio non è prerogativa esclusiva dei soggetti maschi, anche le femmine possono essere territoriali e provvedere alla difesa del territorio identificato come proprio. Il concetto di territorialità può essere confuso con la difesa della vera proprietà (box, giardino di casa, appartamento) o con la aggressività da competitività. Un cane da caccia deve essere il meno territoriale possibile. Il cane territoriale, anche se non aggredisce i consimili, marca in continuazione, disinteressandosi della possibile selvaggina presente. -- Possessività Questa caratteristica consente al cane di avere ambizioni di possesso sulle persone o cose. È una caratteristica apprezzabile perché, se ben canalizzata, può risultare utile nell’addestramento del cane al riporto. Un soggetto possessivo non deve per forza di cose essere ritenuto aggressivo. La possessività è una caratteristica modificabile e può essere accentuata stimolando precocemente i cuccioli. Può essere bassa, media, alta. 1.3.6) Gli schemi motori Nei comportamenti tipici delle varie razze da caccia l’uomo ha abilmente modulato la sequenza degli schemi motori della predazione interrompendola prima del completamento, ipertrofizzandone alcune fasi e/o sopprimendone altre: gli schemi motori cambiano sia per l’effettiva presenza, che per intensità e frequenza di apparizione (o facilità ad essere evocati). Si possono così vedere cani che mettono in atto tutta la sequenza, come per esempio i segugi che cercano, scovano, inseguono e uccidono la volpe, o cani che arrivano all’immobilizzazione della preda ma non la uccidono, come i levrieri arabi. Alcuni cani invece si limitano a localizzare ed avvistare, poi interrompono la sequenza predatoria esasperando la fase di reperimento con un’immobilità molto spettacolare come la ferma. Molti dei comportamenti del cane sono riconoscibili nell'atto predatorio ancestrale in cui viene eseguita una sequenza di azioni contraddistinta dalla successione di fasi consecutive concatenate (localizzazione, sguardo, avvicinamento, inseguimento, morso per immobilizzare, morso per uccidere, consumo). Attraverso la selezione è stato quindi possibile modulare anche l’espressione di schemi motori legati alla socializzazione ed alla capacità di comunicare, in particolare nelle diverse razze è stato notevolmente influenzato il comportamento agonistico. Sostanzialmente non vi sono grosse differenze nelle modalità con cui i cani competono, ma la variazione è nella facilità con cui i suddetti comportamenti possono essere evocati: alcuni cani hanno per esempio eliminato (o sensibilmente ridotto) la capacità di recepire segnali di sottomissione o di interrompere un’aggressione per preservare la propria integrità (cani da caccia in tana). Attraverso la selezione possono comunque anche comparire repertori comportamentali agonistici nuovi o modificati. Ne sono esempio alcune correnti genealogiche italiane di cani da ferma inglesi che hanno perso il consenso poiché incrociate con soggetti derivanti dalla grande cerca (selezionati per resistenza, elevata competitività e tempra durissima) e dove il cane che ha spiccato o naturale consenso non vince mai. Si potrebbe andare avanti all’infinito a citare esempi di come l’uomo ha pescato a suo piacimento nel calderone dei repertori comportamentali del cane, isolando quei comportamenti o quelle sequenze di schemi motori che più gli facevano comodo. Fino alla seconda metà dell’Ottocento le razze che noi oggi conosciamo praticamente non esistevano. Solo allora l’uomo ha cominciato a mettere in atto programmi di allevamento zootecnicamente evoluti in cui gli individui erano isolati sessualmente e veniva effettuata una vera e propria selezione artificiale, registrando poi gli accoppiamenti nei libri genealogici ed impedendo la riproduzione dei soggetti non iscritti ai suddetti libri. Il criterio prevalentemente utilizzato sino a quel momento per identificare i soggetti degni di trasmettere le loro caratteristiche alle generazioni successive, era quello di scegliere gli individui che meglio sapevano svolgere un lavoro specifico. I caratteri morfologici, il cui valore è prevalentemente cosmetico come colore o lunghezza del mantello, portamento delle orecchie o della coda e così via, sono stati presi in seria considerazione per la prima volta in quel periodo. Oggi, purtroppo, per taluni allevatori le differenze morfologiche, per altri le attitudini al lavoro, vengono spesso superficialmente considerate le uniche caratteristiche sulle quali basare la selezione a discapito della conformazione caratteriale. Ma il profilo comportamentale di un individuo di una data razza è l’espressione di un assetto genetico esattamente come lo possono essere i caratteri morfologici (il modo di reagire agli stimoli ambientali è in funzione anche di una differente distribuzione e quantità dei neurotrasmettitori nelle diverse sezioni del cervello). È stato rilevato che razze canine con tendenze reattive diverse hanno un diverso assetto di neurotrasmettitori (come la dopamina e altre monoammine) e che sono direttamente coinvolti nell’attivazione delle vie neuronali alla base di comportamenti come la predazione o l’aggressione. Un cane da lavoro porta in sé dei repertori comportamentali notevolmente specializzati e solidamente radicati nel suo patrimonio genetico attraverso generazioni di incroci. La presenza di quelle caratteristiche, apparentemente innate, è spesso definita istinto. A differenza dei lupi, anche addomesticati, i cani sono addestrabili a compiere lavori in collaborazione con l’uomo. Come già detto, la possibilità di essere addestrati non è uguale in tutti i cani. Il cane è come l’uomo una specie neotenica, cioè che conserva anche da adulto modalità infantili di apprendimento o relazionarsi con l’ambiente e con gli altri individui (per esempio è più facilmente portato a socializzare con specie diverse dalla sua). La compresenza di schemi motori adulti con quelli giovanili durante la lunga fase evolutiva offre alle specie neoteniche una maggiore plasticità comportamentale: il cucciolone può organizzare gli schemi motori in sequenze nuove mescolando quelli dell’adulto (in genere strutturati in sequenze funzionali fisse) con quelli infantili. Si vengono ad ottenere successioni che non erano disponibili negli schemi originari. Di solito il processo di apprendimento in cui comportamenti adulti vengono messi in atto fuori contesto in sequenze non funzionali al conseguimento di obiettivi apparenti, viene definito gioco. Sfruttando la propensione a giocare, l’handler può far eseguire al cane gli schemi motori della specie organizzati in nuove sequenze, ottenendo così comportamenti a lui utili. Questo è quello che, in parole povere, avviene nell’addestramento. Le razze più facilmente addestrabili sono quelle più neoteniche, quindi più plastiche nelle modalità di apprendimento. L’addestramento può rendere massimamente produttive le tendenze intrinseche dell’animale, estrapolandole al meglio e modulandone le modalità espressive, ma non può in nessun modo determinare la presenza di schemi motori che hanno una base genetica. Per esempio, si può insegnare al cane a mantenere la posizione di ferma per un tempo più lungo, dando modo al cacciatore di organizzarsi al meglio per sparare al selvatico, ma non si riuscirà mai a far mettere in ferma un cane che non ha questa tendenza. Il cane deve spesso eseguire compiti complessi in cui la sua libertà di esprimere i comportamenti di specie è imbrigliata in una sequenza artificialmente controllata dall’uomo e priva di un significato etologico. Camminare, per esempio, è un comportamento normale per il cane, farlo al guinzaglio ed a dieci centimetri dal ginocchio del conduttore che ha appena pronunciato le parole «Al Piede» è il frutto di un addestramento specifico. In questi casi la valenza della selezione artificiale è quella di privilegiare i soggetti fisicamente meglio conformati per il compito da svolgere e con tendenze reattive ed emozionali le più adeguate possibile al lavoro che dovrà essere insegnato con l’addestramento. È risultato invece più difficoltoso identificare le modalità con cui si trasmettono caratteristiche comportamentali più complesse come quelle che consentono di riuscire nel lavoro ai cani da ferma: nei diversi lavori sono state trovate effettivamente relazioni tra le capacità performative dei genitori e quelle dei figli, ma non sempre fisse. Probabilmente questa relazione incostante si può spiegare considerando il fatto che comportamenti complessi come quelli che consentono di emergere nelle prove di lavoro (per per bravura) a taluni cani da ferma, sono risultato dell’espressione di un grande numero di geni che si può organizzare in infinite maniere diverse. Inoltre, risulta più difficile misurare e confrontare i risultati di queste attività. Incrociare il campione X con la campionessa Y, genera le stesse speranze di “riuscita” di un accoppiamento tra due buoni cani da caccia morfologicamente coretti. Prima di passare ad una descrizione dei comportamenti dei vari gruppi di razze è bene mettere in chiaro il fatto che una classificazione di questo tipo consente di effettuare previsioni di tipo approssimativo sull’effettivo carattere di un individuo: il comportamento è condizionato da una molteplicità di fattori tra cui la componente puramente ereditaria è rilevante, ma non certo preponderante. L’ambiente di sviluppo e gli apprendimenti, con particolare influenza di quelli avvenuti nei periodi di sensibilità, condizionano sicuramente l’indole e la reattività del singolo. Il tipo di previsione che si può fare sulla base della razza è tendenzialmente di tipo probabilistico: se noi prendiamo, per esempio, trenta cuccioli di Setter Inglese di tre mesi e li mettiamo di fronte ad una quaglia, noteremo che la maggior parte tenderà a mettersi in ferma, ma è improbabile che lo facciano tutti e quelli che non fermano rimangono comunque dei Setter che fermeranno o che non fermeranno nel proseguo. Ma per morfologia apparterranno sempre alla loro razza. 1.3.6.1) Schemi motori della predazione di alcune razze da caccia Di seguito riportiamo gli schemi motori della predazione delle razze da caccia. Si notino le voci in grassetto che riguardano gli schemi ipertrofizzati dall'uomo durante la selezione. Segugi e levrieri Localizzazione → Segnalamento → Inseguimento → Morso per afferrare → Morso per uccidere → Consumo (difetto) Cani da ferma Localizzazione → Sguardo → Avvicinamento → Inseguimento (difetto) → Morso per afferrare → Morso per uccidere → Consumo (difetto) Retriever Localizzazione → Sguardo → Avvicinamento → Inseguimento → Morso per afferrare → Morso per uccidere → Consumo (difetto) N.B. in grassetto sono evidenziati gli schemi ipertroffizzati dall'uomo 1.3.7) Caratteristiche fisiche indotte dall'addomesticamento Con l'evoluzione genetica del cane, l'addomesticamento ha caratterizzato alcuni cambiamenti morfologici. Di seguito vengono riportate le più palesi caratteristiche indotte dall'addomesticamento. -- Orecchie pendenti, inesistenti nei canidi selvatici adulti ma comuni a quasi tutti i cuccioli. Questa caratteristica si riscontra soprattutto nelle razze da caccia, ovvero nelle primissime specializzazioni del cane domestico. -- Occhi scuri che danno al cane un'espressione più dolce ed in qualche modo più umana, ma che non esistono nei canidi selvatici. -- Muso corto che fa assomigliare il muso del cane al viso degli umani. -- Abbaio. Il canide selvatico adulto non abbaia praticamente mai (pur essendo perfettamente in grado di farlo) e si limita a pochissime espressione vocali: tutti i cuccioli, invece, sono dei gran chiacchieroni. 1.3.7.1) La neotenia e la scala neotenica Col termine neotenia s'intende il mantenimento in età adulta di alcune caratteristiche giovanili. Di seguito vengono riportati i vari stadi evolutivi del cane. I° stadio I cani al primo stadio hanno caratteristiche fisiche infantili, tipiche nel primo e secondo mese di vita. Il muso è corto, le orecchie piccole e pendenti, il cranio tondeggiante, il corpo tozzo e l'andatura goffa. Psicologicamente il cucciolo è legato esclusivamente alla madre ed ai fratelli. Il mondo esterno gli interessa poco, ha paura di tutto ciò che non conosce e tende a reagire aggressivamente a qualsiasi stimolo estraneo. Non sono gerarchici, perché l'ordinamento gerarchico inizia solo verso i tre mesi. I cani appartenenti a questo stadio non riconoscono nell'uomo il padrone/capo branco. II° stadio I cani al secondo stadio neotenico si avvicinano al cucciolo di lupo dal terzo al quarto mese di vita. Manifestano curiosità e vivacità verso gli stimoli esterni, giocano spontaneamente con i loro simili ma diffidano di ciò che non conoscono. Provano grande piacere nel prendere tutto in bocca. L'aspetto fisico presenta orecchie più lunghe dello stadio precedente, muso allungato e corpo più agile e proporzionato. Sono affettuosi e di indole giocosa, hanno una vera passione per la caccia ed il riporto. I cani da ferma ed i retrievers appartengono a questo raggruppamento. III° stadio Corrisponde al giovane lupo di quattro/sei mesi. Le orecchie si trovano in posizione eretta o quasi eretta, il muso si è ulteriormente allungato, i movimenti sono agili. In questo stadio il cane non è più nella fase dell'abbocco e quindi è meno appassionato al riporto: manifesta invece la tendenza a sorpassare qualsiasi animale in movimento, intercettandolo e tagliandogli la strada. Questo comportamento viene detto “parata” e rappresenta una sorta di preparazione al comportamento predatorio. In natura, dai quattro ai sei mesi, avvengono le fase di ordinamento gerarchico e di ordinamento del branco (sono molto gerarchici e collaborativi). Questi cani sono adatti a compiti di guardia e difesa perché territoriali, di lavoro su pista perché conoscono già le tecniche di caccia che li spingono a usare l'olfatto, di conduzione del gregge perché tendono a raggruppare gli animali che vengono loro affidati. IV° stadio Nel IV° stadio il cane presenta un fisico simile a quello del lupo adulto: orecchie dritte, muso lungo, muscolatura ben sviluppata, corpo agile. Sono cani indipendenti, capaci di prendere iniziative in proprio e fortemente predatori. Tendono ad inseguire e bloccare la preda addentandola nei quarti posteriori. Sono fortemente gerarchici e rispettano solo il capo branco. V° stadio Il cane somiglia fisicamente e caratterialmente ad un lupo adulto. Tende a non abbaiare (come abbiamo già detto, l'abbaio è una manifestazione infantile), ma può ululare per motivi sociali. Molto indipendente e predatore, può avere un legame molto forte solo con i membri di rango superiore che sappiano conquistarsi la sua stima. 1.3.8) Caratteri psichici necessari al cane da caccia Osservando le caratteristiche che compongono il carattere del cane, si possono tracciare diversi identikit a seconda dell’uso a cui l’ausiliario deve essere introdotto. Doti e carenze possono rendere il lavoro del cane altamente soddisfacente a seconda dell’attività che gli è richiesta di svolgere. Un generico cane da ferma dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: -- tempra media; -- temperamento vivace; -- buona docilità; -- buona socialità conspecifica ed intraspecifica; -- bassa aggressività; -- bassa o nulla mordacità; -- media vigilanza; -- buona possessività. Le caratteristiche enunciate sono motivate dal fatto che la tempra deve essere necessariamente media perché, a tempra dura, normalmente è abbinata bassa docilità. La tempra molle, invece, non consente al cane di praticare in aree ove il terreno di caccia presenta difficoltà di movimento: palude (terreno molle), ghiaioni (terreno sdrucciolevole), corsi d'acqua in corrente, prunai, ecc. Il temperamento deve essere vivace perché il cane da caccia deve essere rapido nell’esecuzione dei comandi prestando brillante attenzione al lavoro in cooperazione con il conduttore. La docilità deve essere buona perché il lavoro va svolto in coppia (cane/cacciatore) e dove la guida deve essere nelle mani del cacciatore (mentre al cane è richiesto di svolgere un lavoro olfattivo in simbiosi con il cinofilo). La socialità conspecifica deve essere buona in quanto il cane da caccia deve lavorare spesso in coppia (se non in presenza di più conspecifici) e senza essere di disturbo per l'altro cane. Anche la socialità interspecifica, soprattutto indirizzata verso l’uomo, deve essere buona: il cane deve amare l’uomo in genere per andare a cercarlo ripetutamente durante il lavoro (collegamento). L’aggressività deve essere bassa e controllata così come la mordacità (il perché è evidente). La vigilanza deve essere media, non alta come si potrebbe pensare, in quanto un’eccessiva vigilanza può essere fonte di interferenza e disturbo della concentrazione al lavoro. La possessività deve essere media in quanto, se ben indirizzata, può essere sfruttata nei momenti di gratificazione per il cane (cioè al momento della consegna dopo il riporto). Riassumendo, la personalità (che si evince dal comportamento e dalle capacità decisionali) e le mille sfaccettature espresse nel comportamento di un cane comprendono un mix di curiosità, competitività, docilità, sociabilità, possessività, aggressività, temperamento, ecc. Alcune di queste sono considerate doti, altre capacità. Era stato precedentemente detto che il cane, oltre che essere costruito per il movimento, abbisognava di sviluppare ed accomunare nella sua personalità tutte o la maggior parte di queste caratteristiche psicologiche (in diversi gradi). Tutti i cuccioli, dall'apertura degli occhi (nella fase neonatale) alla indipendenza materna, si interessano, chi più chi meno, agli stimoli che ricevono i sensi che si stanno in loro sviluppando. Non assecondando volontariamente la curiosità, od essendone impossibilitati (soggetto sempre rinchiuso in box), si riducono le capacità interpretative dei vari stimoli raccolti. In effetti, senza spiccata curiosità, i cuccioli ed i cuccioloni non si interesseranno, o si interesseranno poco, agli stimoli che provengono dal territorio di caccia (prevalentemente odori), rimanendo, la maggior parte del tempo, vicini al conduttore. In linea di massima e per fortuna di alcuni, possiamo annoverare le razze da ferma inglesi fra quelle più curiose: caratteristica che facilita un'alta percentuale di riuscita come ausiliari per l'attività venatoria. Anche la competitività, come le altre doti, si sviluppa fin dall'infanzia. Il preferire un luogo per riposarsi e riscattarlo allontanando un altro cucciolo, strappare un oggetto dalla bocca di un fratellino ed impettito portarlo in bocca per tutto il canile, è indice di competitività. Nel cane adulto e provetto cacciatore si traduce in spasmodica ricerca della selvaggina spingendolo al limite del fuori mano, sia durante le prove di lavoro che durante la caccia cacciata. Anche la smania cronica di incontrare, fermare e riportare il selvatico abbattuto, sopravanzando gli altri congeneri partecipanti l'azione venatoria, deve essere considerata competitività mista a possesso ed aggressività. Per quanto concerne un elevato grado di possesso (che si esprime ai massimi livelli nel nascondere il selvatico invece di riportarlo), i cani da caccia possono essere dominati dal conduttore tramite un rigido addestramento all'ubbidienza (e variarne quindi l'atteggiamento). È invece di difficile gestione un elevato grado di aggressività che può anche emergere senza palese preavviso. L'aggressività viene solitamente considerata l'attitudine ad aggredire i propri simili: la femmina può essere aggredita solo da altre femmine ed i maschi possono essere aggrediti da maschi e da femmine. In altre parole i maschi possono etologicamente aggredire solo altri maschi. Se il cane paragona l'uomo ad un proprio simile, può aggredire anche egli. Gli stimoli che portano ad una errata ed esagerata risposta aggressiva sono da ricercarsi, quando non derivano da errore di selezione, nella mancanza della fase giovanile del gioco con la fattrice o con i consimili (prematura sottrazione del cucciolo dalla fattrice). È proprio nella fase del gioco giovanile che il cucciolo impara a dosare il proprio morso ricevendone altrettanti e di pari (se non superiore) entità dalla madre e dai fratelli. Altri casi in cui la risposta aggressiva è superiore allo stimolo che la ha risvegliata sono da ricercarsi nella difesa personale (soggetto timoroso) e nella difesa delle mura domestiche o del box (possesso del territorio). In effetti, nel cane primordiale, come nel lupo, il possesso veniva generato dalla proprietà dal territorio di caccia (ora sostituito dal box, dall'appartamento o dalla recinzione attorno l'abitazione). Allontanare gli estranei dal proprio territorio voleva dire preservare le possibili prede da fauci non appartenenti al proprio branco e difendere quindi la fonte di sostentamento. Oggi è l'uomo a fornire il cibo al cane, quindi il territorio di caccia non dovrebbe avere più motivo psicologico di esistere. Lo spazio sottoposto a possesso viene attualmente considerato come conservazione di un'area tranquilla ove riposare ed attendere la somministrazione del pasto quotidiano. Il grado di possessività dipende dal temperamento e dalle capacità di vigilanza. Quest'ultima è la dote che serviva a mettere in allarme gli appartenenti al branco durante una possibile intrusione nel proprio territorio. Se il soggetto abbaia spesso (risposta allo stimolo) al minimo rumore (stimolo), si dice che ha una soglia d'attenzione bassa che viene superata da un qualsiasi minimo stimolo. Con il perdurare di tale stimolo la soglia d'attenzione solitamente si alza e non si avrà più l'effetto (abbaio). Facciamo un esempio. Il postino arriva innanzi alla cassetta delle lettere, sosta per imbucare la posta e si allontana. Il cane percepisce questo atteggiamento come una intrusione od un tentativo d'intrusione nel proprio territorio e quindi abbaia ricevendo poi gratificazione dal comportamento del postino che, compiuto il dovere, si allontana di spontanea volontà per niente impaurito dai vocalizzi del cane al di là della recinzione. La scena si ripete giornalmente: il postino porta le lettere ed il cane compie il suo dovere nell'allontanarlo con il ringhio e l'abbaio. Un bel giorno il postino sosta, cambia atteggiamento e concede un succulento biscotto all'impavido cane che rimane attonito. In effetti il quadrupede si attendeva, come fino ad allora successo, una rapida fuga del bipede al suo incalzante abbaiare. Facciamo un'altro esempio. Prendiamo sempre il nostro postino. L'iter è simile al precedente. Il postino arriva, imbuca la posta, il cane abbaia, il postino si allontana. La scena si ripete giornalmente ed il cane perde lo smalto delle prime volte reagendo allo stimolo (arriva il postino) con un tempo di latenza sempre più lungo e con una risposta via via più blanda (abbaio sempre meno acceso). Il tempo di latenza è da considerarsi quel tempo che intercorre tra la percezione dello stimolo, l'elaborazione delle informazioni e la risposta (in questo particolare caso l'abbaiare per raggiungere il fine ultimo di allontanare l'intruso). La differenza tra i due esempi sopra è presto detta: il primo soggetto, al contrario dell'altro, è dotato di un pacchetto caratteriale contenente maggiore possessività, aggressività e temperamento ed ha quindi sviluppato una personalità più forte che viene messa in dubbio esclusivamente dal mutato atteggiamento del postino nel porgere il biscotto. Il nuovo stimolo porta ad una reazione successiva... Accettare il regalo oppure tentare ulteriormente di allontanare lo sfacciato intruso che non ha seguito l'avvertimento vocale precedente. Nel rapporto intra-specifico, invece, sono la dominanza (capobranco del canile) e l'insofferenza le cause principali dell'aggressività, ma che, nella maggior parte dei casi, si tramutano in esternazione di posture e vocalizzi intimidatori piuttosto che sfociare in combattività esagerata. Mentre un certo tipo di aggressività indirizzato nei confronti della selvaggina (impulso venatorio) è richiesto per la riuscita di un provetto cane da ferma, la combattività deve essere evitata il più possibile. Un qualsiasi stimolo che venga interpretato come minaccia comporta una risposta esagerata che raggiunge l'apice con il morso. La combattività è quindi da considerarsi una reazione involontaria, sia essa inter che intra-specifica (e come tale difficilmente modulabile dal cane e controllabile dall'addestratore). Questa deriva da un pacchetto di informazioni ereditate geneticamente e che affiorano, più o meno saltuariamente, perché prettamente dedicate alla difesa. Quindi, la combattività può essere paragonata ad una difesa passiva esercitata quando il cane si sente minacciato, mentre l'aggressività può essere paragonata ad una difesa attiva. Come ben si evince, la risposta agli stimoli che generano aggressività e combattività vengono generati in momenti spaziali ben differenti: il cane combattivo attacca solo se stimolato da vicino, il cane aggressivo risponde a stimoli anche lontani (esempio: visione di un cane all'orizzonte). Per fortuna, docilità, socialità e grado di socializzazione (grado di conoscenza dell'uomo da parte del cane) sono capaci di modulare aggressività e combattività. Un cane combattivo non può partecipare alle esposizioni od alle prove cinofile. Come reagirebbe un Esperto Giudice che al controllo della dentatura o del microchip venisse morso o tenuto a distanza dal un bel sorriso intimidatorio? Come già accennato in precedenza, il temperamento (prontezza di risposta) è quella dote capace di tenere bassa la soglia d'attenzione il più a lungo possibile. Ricercare tra i cani da caccia il soggetto che non abbaia, come molti cacciatori desiderano (per non arrecare disturbo al vicinato) è perciò sconsigliabile dal punto di vista venatorio. C'è inoltre da aggiungere che i cani che tendono ad abbaiare sono quelli più arretrati dal punto di vista neotenico, quindi i più addestrabili. Il temperamento è dunque dote importante: partecipa, assieme alla tempra, a sostenere il soggetto durante una fatica fisica prolungata e lo stimola a rimanere concentrato a lungo nella ricerca della selvaggina. Alcuni soggetti eccessivamente possessivi, paragonano il terreno di caccia ad una proprietà privata ove disporre delle selvaggina presente. Questa dote caratteriale viene manifestata anche solo dopo una seduta di allenamento o caccia, riconoscendo, alla prima annusata, l'esserci stato in precedenza. A nulla vale, per i cani inglesi, far correre in coppia il turno di prova ad un soggetto con possesso meno sviluppato dell'antagonista, in quanto tra due contendenti la ferma si è già instaurata una posizione gerarchica (anche se poco evidente) ancor prima di essere sguinzagliati. La presentazione tra due cani partecipanti lo stesso turno di prova, per esempio, avviene in un attimo e nel tempo di uno sguardo mentre i conduttori sostano innanzi all'Esperto Giudice prima dell'inizio del turno. Queste manifestazioni caratteriali poco evidenti possono inficiare il turno di prova del soggetto intimorito e far eseguire ad un ottimo cane equilibrato un turno sottotono, non nella nota del concorso o da squalifica, anche se la settimana antecedente ha meritato un C.A.C.. Per fortuna questa situazione si realizza raramente ma, innanzi a tali possibili evenienze, l'uomo dovrebbe correre ai ripari. Quindi, potrebbe essere un errore concedere l'allenamento sul terreno di prova il giorno precedente la manifestazione e, nell'immediato antecedere del turno, radunare innanzi all'Esperto Giudice i due soggetti. Dall'altra, dare la possibilità di allenare su tali terreni prima della prova potrebbe essere poi metro di giudizio psicologico/caratteriale durante il turno (ma solo per l'Esperto che possieda capacità interpretative), valutando così, oltre alle capacità venatorie, anche l'equilibrio tra le doti caratteriali dei soggetti in esame e che ricordiamo essere geneticamente trasmissibili. Questa analisi può essere eseguita in pochi secondi prima dell'inizio del turno, osservando l'atteggiamento della coppia. Ma si sa, non è compito dell'Esperto. E noi non siamo qui a chiedere che gli venga attribuito anche tale incombenza quando la settorializzazione delle competenze è punto cardine delle regole generali. Dal discorso però si evince che possesso e competizione dovrebbero essere sempre ben dosati nella selezione psicologica del cane da ferma. Selezione che, purtroppo, non viene presa in considerazione perché di difficile analisi ai più ed il risultato da raggiungere viene percepito, da chi non vuole adeguarsi, più come una sfida che come un obbiettivo della selezione. La tempra, consente al cane di sopportare stimoli negativi quali il dolore e l'affaticamento. È inutile affermare nuovamente che il cane da caccia, come tutti i cani da lavoro, deve essere dotato di tempra accentuata (ma non ptroppo). Al contrario non potrebbe essere sottoposto a dressaggio, ferma al frullo, sopportare la detonazione del fucile, affrontare acque gelide e pungenti roveti per la cerca, recupero o riporto. Altre caratteristiche importanti per la selezione del cane da ferma e per il suo addestramento sono la docilità e la sociabilità. Se il cane non accettasse il ruolo di gregario nei confronti dell'uomo e non sapesse assoggettarsi fin da cucciolo allo spazio concessogli, non si potrebbe ritenerlo utile alle destinazioni che l'intelligente bipede ha predefinito per lui. 2) ZOOGNOSTICA, CINOGNOSTICA E CINOMETRIA (con compendi di Anatomia e Morfologia Funzionale) La Zoognostica è quella scienza che studia e classifica gli animali in base ai loro caratteri morfologici, fisiologici ed alle loro attitudini, determinandone il valore funzionale e commerciale. La Cinognostica (cino = cane, gnostica = conoscenza) è una branchia della Zoognostica che mira alla valutazione delle razze canine a partire dal loro fenotipo. Parlare di caratteri morfologici e valutazione morfologica non deve sembrare fuori luogo anche se nel nuovo millennio le elaborazioni e le tecniche genetiche costituiscono assunto di base del miglioramento genetico e dei livelli qualitativi della cinotecnia. Quindi, l'esame della conformazione esteriore e la valutazione morfo-funzionale (capisaldi della cinofilia del secolo scorso) costituiscono ancora la base pratica di partenza per il miglioramento delle razze e la scelta dei riproduttori ed un sistema per ridurre i fenomeni patologici derivanti dal logorio a cui sono sottoposti i cani da lavoro; è chiaro che una errata conformazione (dettata dall'ereditarietà) predispone a malattie ed a fattori indesiderabili. Quale scienza applicata, la Cinognostica fa ricorso ad una propria terminologia o, se volete, ad un lessico su cui è opportuno intendersi. Il concetto di bellezza è sinonimo di utilità e l'utilità delle forme è bellezza utilitaria, sostituendo per alcuni, od affiancandosi per altri, al criterio cinognostico della armonia delle forme. Ma un cane è bello quando risponde allo standard ed in minor misura allo scopo a cui è destinato, oppure quando risponde allo scopo discostandosi dallo standard morfologico? L'armonia tra la conformazione esteriore e le funzioni costituisce la cosiddetta bellezza: il Setter Inglese è prototipo della bellezza armonica, il Pointer Inglese può considerarsi bellezza di adattamento alla velocità per essere longilineo e con arti lunghi ed asciutti. Quindi, il cultore cinofilo, per avere un quadro completo, dovrebbe osservare il lato estetico, il lato funzionale ed il lato psichico. Ai fini di alcuni allevatori, comunque, non importa tanto la nozione del bello e dell'equilibrato, quanto solo la nozione dell'utile nel disimpegno delle sue funzioni (anche se da sola ha per noi puro valore intrinseco). Se il concetto di bellezza attiene alla conformazione generale dell'organismo, l'insieme dei pregi e difetti riguarda il perfetto od il mancato adattamento di una regione o di un organo alla sua precipua funzione. Ad esempio, gli arti brevi e forti sono un pregio per il cane da tana, ma costituiscono un difetto per il galoppatore da ferma inglese. La Cinognostica si basa sull'osservazione diretta e sulla Cinometria (cino = cane, metria = misurazione). Le principali misurazioni servono a stabilire: l’altezza, la lunghezza del tronco, l’inclinazione della groppa, l’inclinazione della spalla, la capacità toracica, la lunghezza dell’avambraccio e la lunghezza dei lombi. L’altezza di un soggetto viene misurata al garrese per mezzo del cinòmetro. Si deve porre il cane in stazione (in posizione piazzata), misurando dalla sommità del garrese a terra. La lunghezza, intendendo come lunghezza quella del tronco, viene misurata con il metro a nastro, partendo dall’angolo scapolomerale esterno ed arrivando, caudalmente, sino alla tuberosità ischiatica. A completamento dì quanto detto e per una corretta acquisizione del linguaggio cinognostico, è utile richiamare all'attenzione come descrivere ed individuare parti del corpo, organi o parti di essi ricorrendo a ben precisi riferimenti anatomici e formalismi. Ci occuperemo quindi, a grandi linee, della corretta conformazione del cane, dei pregi, difetti e tare. Si dice estremità craniale la parte più vicina alla testa, estremità caudale quella opposta. Si usa il termine craniale per le parti più vicine alla testa e caudale per le parti più vicine alla coda. Per gli arti si suole indicare come prossimali o superiori (le parti dell’arto più vicine al tronco) e distali le parti inferiori dell’arto, dorsale la faccia anteriore, volare la faccia posteriore, mediale la faccia interna, laterale la faccia esterna. I soggetti si dicono iscritti nel quadrato quando l’altezza al garrese corrisponde alla lunghezza del tronco (Pointer Inglese). Si dicono iscritti nel rettangolo quando la lunghezza del tronco è maggiore all’altezza la garrese (Setter Inglese). Tuttora in uso la denominazione di treno anteriore per indicare la parte del corpo dalla testa alla fine del dorso (compresi gli arti toracici) e treno posteriore il resto del corpo tra l'inizio della regione lombare e la coda (compresi gli arti pelvici). 2.1) Pregi e difetti, vizi e tare 2.1.1) Pregi Per pregio s'intende il perfetto adattamento di una regione in rapporto ad una determinata funzione. I pregi si dicono assoluti qualora riscontrabili in tutte le razze di cani (come la correttezza degli arti) e relativi quando il mancato adattamento ad una funzione è graduale e discriminante nell’ambito di una razza in quanto richiesti a quella particolare razza stessa. 2.1.2) Difetti Quando una regione del corpo è costruita in modo diverso dallo scopo cui il cane è stato destinato, si parla di difetto. I difetti si dividono in congeniti, acquisiti, assoluti e relativi. I congeniti sono trasmissibili ereditariamente, gli acquisiti difficilmente trasmissibili, gli assoluti presunti ereditabili ed i relativi i meno gravi in quanto ritenuti attitudinari e funzionali (possono cioè essere determinati dalla conformazione come il cagnolismo anteriore che è legato spesso ad un petto muscolato ed ampio). 2.1.3) Vizi Si parla di vizio quando il difetto riguarda aspetti caratteriali e psichici trasmissibili (?). 2.1.4) Tare Le tare sono anomalie fisiche di origine ereditaria. Quando si tratta della pelle si parla di tare molli (infiammazioni del gomito delle natiche e del garretto), mentre le tare dure trattano delle ossa (rachitismo, fratture, amputazioni) . 2.2) La descrizione Conoscere una razza non vuol dire saper scegliere il miglior soggetto: tutti e nessuno sono i migliori (ognuno rispettivamente nelle proprie peculiarità). Ciò che distingue un modello buono da uno cattivo è la conformazione. Questo però è un termine che si sente rimescolare da molti cinofili senza conoscerne il preciso senso originale. È vero che le parole vengono rivestite di speciali significati a seconda del loro utilizzo nei vari campi e che a volte la nuova versione non sembra apparentemente imparentata con le radici originali; tuttavia, ad un attento esame, si riesce sempre a trovare una connessione di fondo che ne giustifica l'applicazione e, cosa più importante, il nuovo significato diventa di uso comune. Sembra quindi giustificato pensare che coloro che hanno usato per primi i termini conformazione ed angolazione non tentassero di coniare delle espressioni gergali, ma avessero in mente il loro significato originario. Conformazione, dice il dizionario, “È conformità, adattamento; la sagomatura di una cosa per ordinato arrangiamento delle sue parti”. Questo, che è il suo reale significato, ci porta a due considerazioni quando lo applichiamo al cane: -- il soggetto deve seguire lo specifico modello della razza alla quale viene applicato. Ed un cane può fare questo mentre rimane piazzato (in posa da ring) senza mai muoversi. L'adattamento suggerisce anche una modificazione della struttura che lo metta in grado di conformarsi vantaggiosamente al modello; -- la nostra seconda considerazione si deve rivolgere alle sue possibilità funzionali (perché un cane non è nato per stare costantemente piazzato). La disposizione delle parti (per quel che necessita il movimento) deve essere tale che il modello risulti efficiente nell'operare. Perciò abbiamo una conformazione stazionaria o statica ed una conformazione funzionale o cinetica (e dinamica). Può essere che le due considerazioni divergano o tendano comunque a separarsi, ma questo normalmente sfocia nella carenza di una con l'esaltazione dell'altra. L'immagine creata da entrambe deve rimanere costante, perciò i due tipi di conformazione devono essere una e la stessa. Sfortunatamente molti dei modelli definiti ai quali i vari allevatori dovrebbero aderire non sono stati messi in riproduzione. Quando le Società di razza elaborano nuovi aspetti fisici, gli appassionati possono pure tagliare via la coda per conformarvisi, ma non si può manomettere il corpo od il meccanismo per il movimento. Perciò è necessario considerare la conformazione non solo come adattamento ad una specifica immagine, ma anche come ciò che fa lavorare efficientemente quell'immagine. Bisogna anche prendere in considerazione le angolazioni e queste, in accordo con il dizionario, si riferiscono agli angoli formati da linee e piani: nel caso del cane, dal suo corpo e dalle parti che lavorano. Generalmente il termine è usato per riferirsi agli angoli formati dalle ossa nell'assieme degli arti anteriori e posteriori tra se stesse e con il piano sul quale il cane sta in posizione normale. Con più precisione la angolazione è il grado con il quale questi angoli e linee si inseriscono nel desiderato modulo dell'insieme. Ritornando alla conformazione, possiamo dire che la maggioranza delle caratteristiche prese in considerazione sono del tutto relative e che non possono essere giudicate in nessuna altra maniera: un tronco corto per un Setter Inglese potrebbe essere lungo per un Pointer Inglese. Per avere una visione corretta bisogna, secondo noi, considerare il modello rappresentativo della razza e lo scopo o l'intento della determinata caratteristica in esame e quindi proiettarla contro l'insieme. Nella stessa maniera dobbiamo considerare l'uso di espressioni come “coprire terreno” e che nelle esposizioni non ha lo stesso significato che ha nelle prove di lavoro dove viene abusata. Questa è data dal confronto tra la distanza del terreno dal torace del cane (o dalla linea inferiore del corpo) con quella tra gli assiemi dell'anteriore e del posteriore. Lo spazio sotto il cane può essere considerato come un rettangolo ed il confronto del lato lungo con il lato corto rivela la quantità di terreno coperto. Si può prendere un Setter Inglese, accorciare le sue gambe di due o tre centimetri ed esso coprirà più terreno di quanto non facesse prima dell'operazione. Al contrario, allungando le gambe verrà ridotta la quantità di terreno coperto. Un corpo lungo aumenta la quantità di terreno coperto, così talvolta si desidererà un coupling lungo e ciò porterà con se i possibili difetti che lo accompagnano. Molto spesso ci sono Pointer Inglesi e Setter Inglesi indicati come troppo lunghi o troppo corti di testa e di collo, eccessivamente alti sugli arti o qualche altro dei molti difetti o pregi stabiliti dalle misurazioni. Si è invece poi riscontrato, misurando, che non era veramente così. Spesso si esamina un cane che sembra avere una testa estremamente lunga, ma in realtà non è così perché è l'accorciamento del collo o la costruzione muscolosa o massiccia che fa apparire lunga la testa nell'insieme in cui è inserita. È necessario sempre andare al di là di ogni singola caratteristica prima di sentirsi certi di aver visto giusto. Il cane è dotato di un coupling corto o è troppo alto sugli arti? È realmente profondo di corpo o leggermente corto di gambe? È la lunghezza del collo e della testa che gli conferiscono un corpo apparentemente compatto? Queste sono questioni legate a misure relative e devono essere considerate come tali. Ma la questione si complica quando il montaggio, con l'adattamento di una parte all'altra, è anche più importante dell'aspetto delle parti individuali, perché è solo in questa maniera che può essere creato un meccanismo operativo. Riportiamo un breve aneddoto, raccontato da Lyon McDowell, in un suo vecchio libro. “Parecchi anni fa, Matt, un vecchio trialer, redarguì aspramente un Giudice di esposizione. Quest'ultimo aveva appena fatto vincere un Pointer condotto da una ragazza il cui abbigliamento le si adattava come se ai vestiti piacesse quel lavoro, su un altro con dei buonissimi risultati in trial, messo dietro di lui. «Ah, la ragazza non ha nulla a che vedere con questo!», si difese il Giudice arrossendo. «Il suo cane era molto meglio angolato dietro, anche se, devo ammetterlo, non era altrettanto buono nell'anteriore.» «E quella» attaccò Matt «era la migliore ragione per rovesciare la tua decisione. Il cane che hai fatto vincere ha troppa angolazione dietro per quella che le sue spalle possono sopportare. Io ho visto fin troppi dei tuoi cani con una eccellente angolazione dietro ed una angolazione normale sull'anteriore surclassati velocemente dai compagni di coppia che erano buoni su entrambi i capi»”. È una verità che due mediocri unità che si adattino bene l'una all'altra parte produrranno migliori risultati di quanto non accada nel caso in cui una sia tanto superiore da rompere l'armonia. Questa è la reale chiave di lettura della conformazione come si applica all'azione od alla locomozione. In realtà si può ricavare una lezione da ogni animale selvatico perché ognuno degli animali che si muove sul terreno può insegnare qualcosa sulla conformazione funzionale. Gli animali selvaggi sono stati allevati e sviluppati per andare incontro alle loro specifiche condizioni di vita dal più grande fattore selezionante che abbia mai operato: la sopravvivenza del più adattato. Molti cuccioli sono costruiti con equilibrio (al di là del loro scopo) perché lo devono essere per rimanere in vita. Molti di loro cadono al momento di determinate prove ed escono dalle procedure di costruzione dell'immagine e, in questa uscita, è possibile trovare le ragioni usualmente nella mancanza di velocità iniziale o nell'impossibilità di mantenerla. Non è difficile determinare le caratteristiche che segnano la differenza ed approfittare di queste nel selezionare le razze inglesi da ferma per allevarle tenendo conto delle caratteristiche a cui si vorrebbe dare risalto. Tutti gli animali, ed i cani da ferma non sono un'eccezione, hanno la tendenza ad autocompensarsi per la mancanza di conformazione nel loro meccanismo di movimento. E gli animali domestici lo devono fare più di quelli selvaggi. Il Setter Inglese che cammina come un granchio oppure porta il passo, sta facendo proprio questo aggiustamento ed un qualsiasi ring di esposizione può rivelare un notevole numero di queste azioni di compensazione. Quando ci si occupa dell'equilibrio stazionario (o statico) e funzionale (o cinetico), è importante rilevare che entrambi gli aspetti non dovrebbero mai essere separati o trascurati. In alcune delle razze da ferma come il Setter Inglese “italiano” da lavoro, ma ancor di più nello Springer Spaniel “italiano” da lavoro, ritroviamo degli esempi nei quali le due componenti si sono divise e forse non si incontreranno mai più di nuovo se non ci sarà la volontà di farlo. In questa situazione si evidenzia un fattore di compensazione del modo di vedere umano: un soggetto che taglia un campo per vincere una prova trial può sembrare come il cugino di campagna di quello che incede con sussiego per andare a vincere nel ring di esposizione. Ma il trialer sul campo si pone a confronto di quest'ultimo come un oggetto di bellezza e lo scredita come cane da salotto. Non si può essere che inclini a considerare più fondata l'opinione a favore del trialer che non quella contro, perché il cane che vince le prove di Grande Cerca deve per forza possedere equilibrio costruttivo. Ma dall'altra parte ci si domanda: «A quale prezzo di discostamento dallo standard morfologico F.C.I.?». L'artista, o chiunque possieda occhio per la composizione e l'immagine, apprezza sempre la bellezza per simmetria ed equilibrio. Nessuno si aspetterà che ogni cane sia un campione sul campo: pochi tra loro sono allevati per questo scopo. Parimenti non dovrebbero essere allevati per venire considerati arredamento per la casa. Anche nel ring d'esposizione viene dato un giudizio sulla perfezione dell'animale, sull'adattamento ad un modello che ha quattro gambe, come pure a ciascuna parte di esso: quelle gambe devono armonizzarsi l'una all'altra ed alla cosa alla quale sono attaccati in una maniera che si avvicina alla perfezione, altrimenti sarà considerato difettoso. Il vecchio contadino era buon profeta quando commentava: «C'era un tempo in cui l'uomo poteva giudicare le cose, ma dal momento che l'Autorità se ne impossessa, non è più possibile sapere a che destino vanno incontro». Una delle prime situazioni nelle quali si rivela la mancanza di armonia è nell'andatura: sia con il portare il passo, il battere il passo o la andatura da granchio, sia con una andatura corta, steppata per evitare interferenze tra gli arti anteriori e posteriori. L'andatura normale è ritmata in modo tale che la gamba anteriore si muova una frazione di secondo prima della gamba posteriore. Questo dovrebbe produrre il sollevamento della gamba anteriore che così esce dalla traiettoria della gamba posteriore. Più lunga è la falcata, più veloce è l'andatura e più diventa necessaria questa azione. Se il corpo è troppo corto, il passo troppo lungo o la sincronizzazione non troppo esatta, il cane dovrà pestare di lato e muoversi come un granchio. In queste considerazioni viene coinvolto il coupling che è già in se stesso una cosa relativa. La lunghezza del corpo di un cane è la distanza dalla punta dello sterno alla punta della natica. Per misurarla correttamente si dovrebbe usare una speciale asta dotata di un braccio a squadra fissa ad un capo ed un braccio a squadra mobile sull'asta. La misurazione dovrebbe essere effettuata su una linea parallela alla linea centrale del corpo. Il coupling è la distanza tra l'assieme dell'anteriore e l'assieme del posteriore. Un cane potrebbe avere un corpo lungo, ma delle spalle ben inclinate e dei quarti anteriori acutamente angolati, quindi apparire con un coupling corto perché la distanza tra i due assiemi è relativamente corta in confronto al corpo intero. Un corpo profondo, senza riguardo ad altre caratteristiche, tende a far apparire il cane con un coupling corto. I corpi esili, quindi, fanno apparire i cani come se avessero un coupling lungo. Un cane dal coupling lungo usualmente avrà spalle raddrizzate e gambe dritte, con una groppa corta ed eventualmente un corpo esile. Al di là delle misure, in un cane tutti ricercano la bellezza espressa dalla proporzioni delle forme, ma è l’unicità del soggetto la vera bellezza. Se non avete occhi di pietra, usateli. Solitamente l'esame di regioni, rapporti e proporzioni va fatto osservando il cane da una distanza di cinque/sei metri, in stazione piazzata e successivamente in movimento; si procede poi all'esame del particolare a distanza ravvicinata concentrando l'attenzione sulle eventuali tare. All'esame visivo può seguire quello manuale per approfondire la natura e la localizzazione delle eventuali tare e, ove necessario, dello stato di mantenimento. Per i limiti di trattazione descriveremo regioni ed aspetti più significativi, aderenti all'esigenza pratica della valutazione e della morfofunzionalità. Ci soffermeremo quindi, per i limiti che ci siamo imposti, ad una descrizione generale. Si amplieranno in modo approfondito solo talune parti che abbiamo reputato d'interesse particolare e poco trattate da altri testi di Cinognostica. Per la descrizione delle regioni cinognostiche il corpo del cane viene convenzionalmente diviso in tre grandi parti: 2.2.1) TESTA E COLLO; 2.2.2) TRONCO (costituito dal corpo comunemente inteso); 2.2.3) ARTI ED ESTREMITA'. Ogni parte principale viene poi frazionata in regioni. Disegno 2: regioni cinognostiche. 2.2.1) TESTA e COLLO 2.2.1.1) LA TESTA (vedi anche tav. I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, XII, XXXV, XXXVI) La testa è composta da due parti: il cranio ed il muso. Si suddivide in regioni ed il suo esame è da farsi sempre con la massima attenzione perché consente di riscontrare caratteri importanti ai fini della selezione, della peculiarità di razza, dell'espressione e del temperamento. Nell'osservare le forme vanno considerate le proporzioni con il resto del corpo, la direzione e portamento e l'incollatura testa-collo. La testa è oggetto anche di misurazioni biometriche (eseguite con il nonio) che, opportunamente correlate, consentono la determinazione di indici, come il più significativo cefalico, ricavato dal rapporto tra larghezza alle arcate orbitarie e lunghezza dall'occipite alla punta del naso. Disegno 3: direzione delle linee cranio-facciali superiori L'indice cefalico viene influenzato dal sesso ed è di buona base ereditabile. La forma della testa è determinata dal profilo, ossia dalla direzione che presentano le ossa frontali e nasali. Non c'è standard che non parli della testa in modo forbito e ricco, sia dal punto di vista biometrico, sia dell'espressione, appunto, di razza. Si parla, quindi, di profili ortoide, celoide e cirtoide e di assi craniofacciali paralleli, convergenti e divergenti. Secondo la forma della testa, le razze canine si dividono in: dolicocefale (con testa lunga e sottile), mesocefale con testa di (lunghezza ed ampiezza medie), brachicefale (testa corta e larga). Per stabilire il tipo morfologico della testa è importante il riferimento fra la sua larghezza e la sua lunghezza. La larghezza del cranio si misura con il nonio da un margine esterno di una arcata zigomatica all'altro. La lunghezza totale della testa si misura con il nonio dall'apofisi occipitale esterna al margine supero anteriore del tartufo. L'indice cefalico è dato dalla larghezza della testa moltiplicato cento e diviso per la sua lunghezza. Il valore di questo indice determina la suddivisione delle razze canine. I diversi tipi sono: -- dolicocefale: il diametro trasversale della testa è inferiore alla metà della lunghezza totale della testa (con indice cefalico totale inferiore a cinquanta); -- brachicefale: la larghezza della testa risulta sempre maggiore della metà della lunghezza totale della testa (con indice cefalico totale maggiore a cinquanta); -- mesocefale: la larghezza della testa è uguale (o quasi) a metà della sua lunghezza totale (con indice cefalico totale uguale a cinquanta). È inopinabile che dolicocefalia, brachicefalia, e mesocefalia sono l'espressione scientifica dell'indice cefalico totale. Purtroppo alcuni standards non forniscono alcun dato riguardante la lunghezza e la larghezza della testa. 2.2.1.1.1) Il naso Poco c'è da dire sul naso. Gli standards si riferiscono a questa struttura anatomica con particolare attenzione al colore (rispetto a quello del manto) ed alle depigmentazioni (difetti). Per le razze da caccia, alcuni standars accennano alla funzione delle narici ampie (convogliare masse d'aria più voluminose in minor tempo). Vedi anche 3.3.3.4 L'apparato olfattivo. 2.2.1.1.2) Gli orecchi Anche gli orecchi, nella maggior parte delle volte, sono definiti dallo standard: se ne tratta la forma, la direzione, l'attaccatura alla testa, la lunghezza e la tessitura del pelo. Importante ricordare che nei cani da caccia il padiglione è rivolto verso il basso a chiudere il dotto per proteggerlo da eventuali corpi estranei che vi si possono introdurre durante l'attività venatoria. Un padiglione pendente riduce le capacità uditive (non utilizzate nel lavoro della caccia) a vantaggio della protezione. Disegno 4: misure della testa. 2.2.1.1.3) Il muso Il muso visto di fronte può essere più o meno quadrato, più o meno largo, più o meno stretto o a punta. Le facce laterali del muso sono parallele in un muso quadrato e convergenti in un muso appuntito. 2.2.1.1.4) Gli occhi La posizione degli occhi ha grande importanza in quanto è difforme tra le razze ed è principale causa, assieme alla loro grandezza in rapporto del cranio, dell'espressione di razza. Nelle razze da caccia, la visione più frontale possibile concede una visione binoculare che è importante, per esempio, per stimare il punto di caduta di un uccello abbattuto. Foto 9: buone palpebre di Setter Gordon. Il loro posizionamento sul cranio si dice frontale, laterale, subfrontale, semilaterale ed ultralaterale. Per definire la posizione si misura l’angolo che si crea tra l'asse palpebrale e l’asse longitudinale mediano della testa. Quindi, quando l'angolo si avvicina a novanta gradi si dice frontale, con angolo di dieci/quindi gradisubfrontale, con venti/trenta gradi semilaterale. Gli standards trattano anche del colore. Il color bruno (colle sue sfumature) è il più comune, ma ogni standard fa da riferimento per ogni razza. 2.2.1.1.5) Le palpebre Le palpebre (formazione cutaneomembranose che ricoprono gli occhi per proteggere e distribuire il liquido lacrimale), devono essere aderenti al bulbo oculare e non devono presentare malformazioni congenite quali ectropion od entropion. I margini palpebrali debbono essere pigmentati (difetto da squalifica) e provvisti di ciglia. La forma dello spazio tra le due palpebre, detta rima, è dettata dalla posizione dall'occhio sul cranio. Si dice rotonda quando l'occhio si trova in posizione frontale, ovalizzata quando in posizione subfrontale ed a fessura (più o meno larga) quando l'occhio è in posizione laterale (fino ad ultralaterale). --Entropion Il margine palpebrale dell’occhio si riavvolge verso l’interno. Spesso è una malformazione congenita. Generalmente si manifesta entro l’anno di età, con maggiore frequenza nel cucciolo. Può causare danni alla cornea. Quasi sempre è necessario l’intervento chirurgico. Foto 10: entropion in Shar Pei. --Ectropion La palpebra inferiore è lassa e si abbassa, rovesciandosi verso l’esterno. Sovente causa una congiuntivite cronica. Nei casi più lievi è sufficiente intervenire con colliri e con una normale pulizia e igiene dell’occhio. Nei casi gravi, invece, subentra un’ipertrofia della ghiandola di Harder: in tal caso è necessario effettuare un intervento chirurgico. 2.2.1.1.6) I denti (vedi anche tav. I, II, III, V) Disegno 5: formula dentaria. Il muso del cane è formato da ossa più grandi nella parte superiore (le mascellari superiori) che danno impianto ai denti molari superiori ed ai canini. La mandibola è invece costituita da un osso impari a forma di “V” e dà impianto a tutta la dentatura dell'arcata inferiore. Il cane presenta due tipi di dentatura: la prima destinata a cadere è detta da latte (o decidua), la seconda definitiva (o permanente) e sostituisce la precedente tra il quinto ed il sesto mese di vita dell'animale. Il numero dei denti da latte è di trentadue, mentre quello definitivo del cane adulto è di quarantadue (venti nell'arcata superiore e ventidue in quella inferiore). Disegno 6: Mandibola: 6 incisivi destinati a tagliare (mono-radicati); 2 canini destinati ad afferrare e lacerare (mono-radicati); 8 premolari destinati atagliare, afferrare, recidere (mono, bi o tri-radicati); 6 molari destinati a triturare (mono, bi o tri-radicati). Mascella: 6 incisivi; 2 canini; 8 premolari; 4 molari per la mascella. In totale 42 denti. I denti sono organi duri deputati alla prensione ed alla masticazione degli alimenti. Nei cani la dentizione è di tipo eterodonte, cioè si osservano denti di forma diversa con funzioni diverse. Ciascun dente è contenuto in un alveolo alle cui pareti è strettamente articolato per sindesmosi (gonfosi). Nel dente si individuano una parte che sporge nella cavità orale (la corona) ed una compresa nell'alveolo (la radice), le due porzioni sono collegate da un colletto. All'interno del dente vi è una cavità detta cavità della polpa nella quale si trova un tessuto connettivale molle: la polpa dentaria con vasi e nervi. I denti sono formati per gran parte da dentina su cui è applicato, a livello della corona, uno strato di smalto. Sulla radice può trovarsi una lamina di cemento che in alcuni denti si spinge fino a ricoprire la corona. Foto 11: fauci di Setter Inglese. La formula dentaria indica i denti presenti in ciascuna emiarcata: i tipi morfologici sono indicati come incisivi, canini, premolari, molari. L'eruzione dei denti decidui inizia intorno al ventesimo/venticinquesimo giorno di età e si completa intorno al trentacinquesimo. I primi a comparire sono gli incisivi centrali, gli intermedi ed i canini, seguiti poi dagli incisivi laterali e successivamente dai premolari. All'età di due mesi circa gli incisivi iniziano a cadere mentre spuntano quelli definitivi. A quattro mesi i canini definitivi sono presenti sopra e sotto ed a sei mesi la bocca è completa. 2.2.1.1.6.1) Le malaocclusioni Le malaocclusioni derivano dall'errata chiusure delle arcate dentarie. Vengono anche detti difetti di chiusura. Solitamente, dato che osserviamo con occhio di riguardo la nostra amata razza (Setter Inglese), la chiusura corretta di un mesocefalo è chiamata a forbice, cioè dove gli incisivi superiori si accavallano a quelli inferiori. Se così non fosse, si parla di chiusura incrociata, a tenaglia, prognatismo ed enognatismo. Disegno 7: chiusura a forbice ed a tenaglia. 2.2.1.1.6.1.1) Ortognatismo o chiusura a forbice Volendo dare una definizione agevole di ortognatismo, possiamo dire che si ha ortognatismo quando le mascelle del cane risultano di uguale lunghezza. Spesso si usa anche dire che la mascella (superiore) è di uguale lunghezza rispetto alla mandibola (mascella inferiore). Questa uguaglianza si intende principalmente in due modi: -- l'arcata superiore deve presentare i denti incisivi che coprano, toccandola con la loro faccia interna, la faccia esterna degli incisivi della mandibola. Perciò gli incisivi delle due arcate debbono essere impiantati in modo da formare una forbice e cioè la direzione degli incisivi superiori si protrae più in avanti di quelli inferiori mentre le due mascelle restano di uguale lunghezza; -- gli incisivi superiori poggiano col loro fior di giglio sul fior di giglio degli incisivi inferiori: in tal caso è fuori di dubbio che le due arcate sono perfettamente uguali in lunghezza. A questo punto è opportuno precisare che si può avere ortognatismo anche nel caso di una chiusura dentale cosiddetta a forbice rovescia, vale a dire nel caso in cui la faccia esterna degli incisivi superiori tocchi sulla faccia interna degli incisivi inferiori. Il fatto che la chiusura sia a forbice rovescia potrebbe essere un fatto accidentale che non inficia la uguale lunghezza delle mascelle. Bisogna però prestare molta attenzione a questo particolare tipo di chiusura in quanto a volte può essere l'anticamera del prognatismo essendo appunto dovuta ad un conformazione difettosa delle mascelle. Se la presa è la caratteristica qualificante della razza da caccia, ne consegue che l'apparato mascellare deve essere meccanicamente perfetto, il che vuol dire ortognato, cioè che le mascelle superiore ed inferiore siano della stessa lunghezza e che la dentatura superiore combaci correttamente con quella inferiore. L'ortognatismo è anche la condizione dettata dalla Natura. 2.2.1.1.6.1.2) Chiusura a tenaglia Chiusura richiesta in alcune razze, specie nei molossoidi ed accettata in altre in alternativa alla forbice. Gli incisivi delle due arcate dentarie chiudono fra loro direttamente sulla superficie di taglio del dente. La chiusura a tenaglia è una chiusura ove gli incisivi, a causa della loro contrapposizione, si usurano velocemente. Inoltre, mancando della funzione di guida, con il tempo spesso evolve in una chiusura a forbice rovesciata. Disegno 8: chiusura prognata, enognata ed a forbice rovesciata. 2.2.1.1.6.1.3) Enognatismo È l’opposto del prognatismo: la mascella è più lunga della mandibola. Gli incisivi inferiori risultano arretrati rispetto ai superiori. Nei casi di enognatismo pronunciato anche i canini inferiori risultano arretrati rispetto ai superiori e possono (ma non è detto) danneggiare il palato. 2.2.1.1.6.1.4) Chiusura a forbice rovesciata o retroversione degli incisivi Il margine anteriore della parte libera degli incisivi superiori tocca il margine posteriore della parte libera degli incisivi inferiori. In quest'ultima condizione è ancora ammesso un lieve prognatismo, dove cioè alcuni incisivi delle arcate opposte non sono a stretto contatto fra loro ma in ogni caso non sia deturpato l'aspetto esterno del profilo anteriore del muso. La chiusura a forbice rovesciata, sia detto per inciso, non è necessariamente riconducibile al prognatismo (ne può al limite esserne l'anticamera), perché è principalmente dovuta ad una deviazione degli incisivi dell'arcata inferiore. Foto 12: morso aperto. Quando gli incisivi inferiori e superiori non combaciano a bocca chiusa. Foto 13: morso incrociato anteriore. quando gli incisivi inferiori, a bocca chiusa, si trovano davanti agli incisivi superiori. Foto 14: morso disallineato. Quando l'accrescimento della mascella o della mandibola non è bilateralmente sincrono (detto anche prognatismo od enognatismo laterale). 2.2.1.1.6.2) Il diastema Foto 15: la barra nera indica lo spazio tra i denti dell'arcata superiore (diastema) che permette l'inserimento del canino inferiore durante la chiusura delle fauci. In odontoiatria, la parola diastema è usata per indicare uno spazio che separa due denti. Lo stesso termine, ripreso dalla cinofilia, sta ad indicare più precisamente lo spazio libero che esiste tra gli incisivi superiori ed i canini superiori. Il diastema è molto importante in quanto permette l'esatto inserimento del canino inferiore nell'arcata superiore (durante la chiusura delle fauci) ed è metro di misura dello sviluppo coordinato tra mandibola superiore ed inferiore. Un altro parametro che permette la valutazione delle arcate dentarie in via di sviluppo è l'osservazione dei premolari. Questa osservazione permette di differenziare un prognatismo da una errata occlusione degli incisivi (ove la masticazione non è compromessa). 2.2.1.2) COLLO (vedi anche tav. VI, VII, VIII, IX, XIII, XIV, XV, XVI) È una regione impari a forma di tronco di piramide con la base in basso inserita nel garrese, spalla e petto, mentre il suo apice è attaccato alla testa; è limitato da nuca e gola. La base anatomica è costituita dalle sette vertebre cervicali e sostenuta dal legamento cervicale che con la sua elasticità consente la mobilità della testa (oltre a sostenerne il peso). La forma e la curvatura del tratto cervicale ha grande influenza estetica, in stretta connessione con il muscolo brachiocefalico e con il trapezio. Dal punto di vista della meccanica del cane, il collo costituisce per taluni autori “un braccio di leva alla cui sommità è sospesa la testa”, configurando il cosiddetto bilanciere, indispensabile regolatore dell'equilibrio durante il movimento. Di certo è che esiste una correlazione tra il collo e l'arto toracico. In effetti, più la testa si abbassa verso il terreno e più le parti apicali delle scapole si avvicinano. Alcuni Setter Inglesi e Pointer Inglesi osservati in posizione piazzata, possono avere scapole distanti anche parecchi centimetri più della media della stessa razze d'appartenenza. Queste differenze si notano di più su soggetti ben muscolati e che preferiscono calcare i terreni di caccia piuttosto che i rings d'esposizione. Lo sviluppo dei muscoli di ancoraggio della scapola al torace, oltre che divergere le scapole stesse, a volte generano “fuori ai gomiti”. Quello che più fa interrogare è che taluni confondono e generalizzano una distanza scapolare superiore ai due/tre centimetri ed un “fuori ai gomiti” (dovuti ad allenamento muscolare) con i difetti citati negli standards: si tratta invece di tonicità ed armonico sviluppo, anche se, alcune volte, si riscontrano scapole ben distanziate senza che il cane sia “fuori ai gomiti”. I casi vanno valutati attentamente tenendo conto che il “fuori ai gomiti” generato da scapole troppo sul davanti della cassa toracica è sempre difetto. Anche il collo può essere oggetto di misurazione, non certamente pratica, dalla nuca alla metà del margine anteriore della spalla e la sua lunghezza deve essere commisurata alle parti del corpo. Ogni razza ha il suo collo con la sua conformazione. Il collo deve essere considerato, quindi, secondo le razze. Solitamente i cani che possiedono colli corti hanno scapole ripide e poco petto, quelli con colli lunghi possiedono scapole inclinate ed un petto sviluppato. Abbiamo, poi, definizioni morfologiche come collo a cigno (Setter Inglese), quando il margine superiore del collo è arcuato come appunto quello del cigno, diritto quando i margini del collo sono diritti dal torace fino alla testa, di orientamento spaziale e dimensionali (pesante, leggero, lungo, corto). 2.2.2) TRONCO Il tronco comunemente inteso è tutto ciò che del corpo animale resta, ad esclusione della testa, collo,coda e degli arti. Si distingue un piano dorsale ed uno ventrale, una estremità craniale ed altra caudale, due facce laterali. Si contraddistingue inoltre una cavità toracica posta nella parte craniale ed una cavità addominale che si prolunga con quella pelvica nella parte caudale. 2.2.2.1) La colonna vertebrale (vedi anche tav. XIII, XXXV, XXXVII, XXXIX) Disegno 9: vertebra e sue parti. La colonna vertebrale si trova nella parte medianosuperiore del tronco e viene divisa in cervicale, dorsale, lombare, sacrale, caudale. Le vertebre del garrese (nove) e della schiena sono in numero di tredici (dorsali o toraciche). Possiedono acetaboli nei quali ruotano le teste delle costole (tredici paia di cui diciotto vere costole, sei costole false e due costole flottanti) ed i processi spinosi decrescono in altezza andando verso la zona caudale. Le otto componenti il garrese hanno i processi spinali più lunghi di tutte per provvedere all'ancoraggio dei muscoli della spalla, lo sviluppo dei quali delimita il garrese. Le cinque vertebre che costituiscono la schiena mostrano un graduale cambiamento della forma dalle dorsali a quelle del rene che hanno larghi processi trasversali e sono sette in tutto (lombari). I processi spinosi delle prime dieci vertebre sono inclinati verso il posteriore, i processi spinosi delle ultime due vertebre toraciche e delle vertebre lombari sono inclinati caudalmente. Ricordiamo, come particolare, che successivamente all'undicesima vertebra toracica (anticlinale) i processi spinosi crescono, in modo moderato, nuovamente. Questo punto traccia la divisione tra il sistema dei muscoli tensori anteriori e posteriori. Le vertebre sacrali sono in numero di tre e le caudali circa venti ( a seconda della razza). La lunga fila di vertebre, assieme al sistema muscolare, sostiene il peso del tronco e lo scarica sugli arti. Di contro, riceve la propulsione dagli arti e la trasmette alla colonna vertebrale per distribuirla al tronco e farlo avanzare. Per scaricare a terra il peso, colonna ed arti sono in continuità in modo difforme: gli arti anteriori sono sospesi da muscoli che dalla parte posteriore della scapola si agganciano al torace ed alla colonna vertebrale, mentre gli arti posteriori usufruiscono di un sistema osseo di continuità (bacino e suoi legamenti). La colonna vertebrale è quindi un arco orizzontale composto di costole che è teso dai muscoli vertebrali ed addominali. In posizione statica quest'arco è teso al minimo in quanto i muscoli che intervengono direttamente od indirettamente sulla colonna si trovano in equilibrio. Durante il movimento, i muscoli del tronco capaci d'inarcare la spina dorsale intervengono nel raccogliere sotto di sé il cane, mentre i muscoli propulsivi degli arti intervengono in concomitanza (più esattamente si dice leggermente sfasati) con quelli che raddrizzano la colonna (generando così un'onda di spinta). Sia durante il moto che in posizione statica interviene anche la forza di gravità che tende a raddrizzare la colonna. La colonna vertebrale non è quindi rettilinea ma presenta delle curve (cervicale, dorsale, lombare). Conoscere le dorsali e le lombari è quindi importante per la valutazione dell’attitudine al lavoro in quanto cifosi e lordosi (tare del dorso) non concedono un movimento utile e poco dispendioso, mentre è facile confondere cifosi ed una ottima curvatura lombare (che è un pregio). 2.2.2.2) Piano dorsale del tronco La base anatomica è data dalle prime vertebre dorsali. Il piano dorsale comprende le regioni del garrese, del dorso, dei lombi e della groppa. 2.2.2.2.1) Il garrese (vedi anche tav. XXV, XXXVI, XXXVII) È la regione compresa fra il collo, il margine anteriore del dorso e lateralmente le spalle. È un rilievo della colonna vertebrale in forma di cresta la cui base anatomica è data dalle prime vertebre dorsali. La lunghezza dei processi spinosi di queste vertebre aumenta per poi decrescere. Il punto più alto del garrese (e la verticale che lo congiunge al suolo) rappresenta convenzionalmente la statura del cane o altezza al garrese (misura che si stabilizza intorno ai diciotto/ventiquattro mesi d'età). Quanto più i processi spinosi delle vertebre del garrese sono lunghi ed obliqui, tanto più il garrese è elevato. Il garrese è regione importante per l'inserzione muscolare dei muscoli deputati al movimento e controllo del collo, della spalla e del dorso. I processi spinosi costituiscono inoltre bracci di leva su cui grava la massa della testa e del collo. Il garrese deve essere alto e lungo, con processi spinosi sviluppati in proporzione al peso della testa ed in equilibrio contrapposto a quelli dorsolombari ai quali sono collegati dai muscoli che irrigidiscono la colonna vertebrale. Se il garrese è robusto, lo sarà anche di conseguenza il tratto dorsolombare. 2.2.2.2.2) Il dorso (vedi anche tav. XXXV, XXXVI, XXXIX) È il tratto di congiunzione tra il treno anteriore e quello posteriore. Il dorso è delimitato cranialmente dal garrese, caudalmente dai lombi, lateralmente dal costato. La sua struttura anatomica è costituita dalle vertebre dorsali e dalle articolazioni vertebrocostali. È una regione poco mobile per l'azione antagonista dei muscoli flessori ed estensori che possono irrigidirla. Nello stesso tempo è anche dotata di sufficiente elasticità per svolgere un ruolo attivo nella trasmissione dell'impulso motorio e per attutire le reazioni dal suolo ai visceri. All'osservazione, la sua linea deve avvicinarsi all'orizzontale, od essere, in talune razze da caccia, leggermente inclinata verso il posteriore: il dorso insellato (detto lordosi) può ritenersi difetto importante nei cani da lavoro. Il dorso convesso (detto cifosi) presenta un profilo tipo volta rispetto all'orizzontale ed anch'esso è da considerarsi difetto. Si deve inoltre notare una buona muscolatura della linea dorsolombare. Per questo si procederà osservando il cane piazzato ponendo attenzione alla lunghezza, direzione e larghezza del dorso. Non è mai superfluo osservare il cane traguardando anche dall’anteriore al posteriore lungo la linea sagittale del dorso (solco mediano) in modo da valutare consistenza e sviluppo dei muscoli spinali e la stessa struttura ossea. 2.2.2.2.3) I lombi o reni (vedi anche tav. XXXV, XXXVI, XXXVIII, XXXIX) La base anatomica è formata da sette vertebre con processi traversi lunghi. La regione lombare si trova dietro alla regione dorsale ed è limitata posteriormente dal margine anteriore della groppa e lateralmente dai fianchi e dalle anche. Il segmento lombare è costituito da poche vertebre ed è caratterizzato dalla mancanza delle costole con grande sviluppo dei processi trasversi che sopperiscono queste nella funzione. L'ultimo processo trasverso si articola con il sacro. Dal punto di vista funzionale, questa regione costituisce un ponte sospeso tra il bacino e la colonna vertebrale dorsale e la sua azione meccanica è associata a quella del dorso. La solidità e la flessibilità dei lombi sono relative alla lunghezza, direzione, larghezza e modo di attacco. Una leggera curvatura dei lombi dona maggior agilità e resistenza. 2.2.2.2.4) La groppa (vedi anche tav. XXVIII, XXIX,XXX, XXXV, XXXVI) È la regione che fa seguito alle reni. Lateralmente è delimitata dalle cosce e dalle natiche. La sua base anatomica è costituita da tre vertebre intimamente unite (seguite dalle coccigee in numero variabile da cinque a ventidue), dai due coxali (ileo, ischio e pube) uniti sulla mediana mediante la sinfisi pelvica, formando in basso la cavità pelvica che segue a quella addominale. La sua impalcatura scheletrica (o cintura pelvica) ha il ruolo di riunire gli arti pelvici a quelli toracici tramite la colonna vertebrale promuovendo la propulsione. È regione importante per la locomozione grazie all'imponenza delle sue masse muscolari (glutei, psoas, semitendinoso, semimembranoso) e legamenti che, agendo sulle rispettive leve, consentono l'erezione del tronco e la potenza dell'impulso. Una groppa con coda inserita in basso indica un bacino fortemente inclinato. Durante la spinta, l'estensione all'indietro dell'arto pelvico è ridotta e compromette un'efficace azione propulsiva in piano. All'esame cinognostico la groppa presenta figura trapezoidale, delimitata in avanti da una linea che unisce gli angoli esterni dell’ileo (larghezza anteriore) e all'indietro dalla linea che unisce le due tuberosità ischiatiche (larghezza posteriore). La linea che unisce i rilievi delle due articolazioni coxofemorali è detta larghezza media della groppa. La sua lunghezza è invece data dalla linea che unisce la punta dell'anca alla punta della natica (dall'angolo esterno dell'ileo alla tuberosità ischiatica). Altro elemento da tenere in considerazione nella biometria della groppa è la sua inclinazione, ossia l'angolo nell'articolazione dell'anca lungo la linea direttrice della groppa (dalla punta dell'anca alla tuberosità ischiatica). La lunghezza deve sempre essere superiore alla larghezza mentre la direzione può essere orizzontale od avallata. È orizzontale una groppa che forma con l'orizzonte un angolo tra quindici e venticinque gradi. Una groppa che si avvicina od è inferiore ai dieci/quindici gradi obbliga il garretto ad una posizione troppo diritta ed è difettoso. Si dice avallata quando la linea che unisce la punta dell’anca con la punta della natica forma con l’orizzonte un angolo compreso tra i trenta e quaranta gradi. Dal punto di vista estetico è meno pregevole della groppa orizzontale. Infine vogliamo richiamare l'attenzione del lettore su alcuni muscoli presenti in tale parte anatomica: i muscoli elevatori. I muscoli elevatori prendono attacco sull'ischio. Quando tali muscoli si contraggono, l'ischio viene tirato verso il basso ed il treno anteriore del cane viene sollevato. Questa contrazione diviene rilevante nei cani galoppatori durante, appunto, il galoppo. Cani che possiedono uno scarso sviluppo di tale muscolatura sono dei pessimi galoppatori. 2.2.2.3) Piano ventrale del tronco (vedi anche tav. XXXVI, XXXIX) Il piano ventrale comprende le regioni intraascellare, ventrale, inguinale e l'estremità caudale del tronco. 2.2.2.3.1) La regione intrascellare Questa regione è limitata dalle ascelle, dal ventre e lateralmente in alto dal costato. Si presenta arrotondata in basso e piatta ai lati. È regione importante ai fini del rilevamento biometrico in quanto riferimento preciso per la misurazione del perimetro toracico. 2.2.2.3.2) La regione ventrale (vedi anche tav. XXX, XXXIX) È regione estesa, da non sottovalutare poiché contiene e sostiene gli organi della digestione. Delimitata lateralmente dalle coste, dai fianchi, posteriormente dall'inguine, dovrà essere proporzionata alla struttura ed al volume del cane. Il suo profilo deve elevarsi gradatamente nella linea inferiore. Nel cane da ferma, il ventre proporzionato deve essere relativamente ampio. Può risultare difettoso per eccesso e quindi voluminoso o peggio cadente quando oltrepassa la linea dello sterno. Può essere anche retratto o levrettato quando risulta cilindrico e rilevato bruscamente verso i fianchi e sino al pube. Altro difetto (tara) è l'ernia ombellicale. Taluni autori, per una più completa descrizione, preferiscono dividere tale regione in sottoregioni (epigastrica, mesogastrica e ipogastrica). L'esame visivo è solitamente seguito, nel dubbio, dall'approfondimento manuale. Si dice che un ventre è corretto quando si eleva gradatamente dalla regione inferiore dello sterno unendosi armoniosamente al costato ed ai fianchi. Aggiungiamo inoltre che forme diverse dalle citate non sono difetto in razze con particolari funzioni. 2.2.2.3.3) La regione Inguinale (vedi anche tav. XXX) Corrisponde alla piega dell’inguine e si estende dal ventre alla regione interna della coscia. Deve essere liscia ed aderente. 2.2.2.3.4) L'estremità caudale del tronco (vedi anche tav. XXVII, XXVIII, XXIX,) Come base anatomica troviamo le vertebre coccigee che sono in numero variabile a seconda delle razze. L'estremità caudale comprende l'ano, la coda, il pene (maschio) o la vagina (femmina). 2.2.2.4) Petto (vedi anche tav. XXXV, XXXVI) È la regione muscolare che chiude anteriormente il torace in avanti, delimitata dalla base del collo, dalle punte delle spalle lateralmente ed in basso dalle ascelle; la sua base anatomica è lo sterno (manubrio) ed i muscoli pettorale superficiale e profondo, che si prolungano dallo sterno fino all'omero ed impediscono agli arti di vacillare. La larghezza è rappresentata dalla parte anteriore dello sterno (da non confondere con l'ampiezza del torace) che ha come base anatomica le prime due costole toraciche. Un buon petto presuppone un buon sviluppo delle masse muscolari; l'ampiezza e lo sviluppo dei muscoli pettorali è indizio di buone capacità respiratorie. La sua forma e grandezza devono essere in relazione colla funzione. Per i cani da ferma inglesi il pregio assoluto deriva dal compromesso di un petto di buona ampiezza (che possa contenere un buon volume d'aria per lo scambio gassoso), ben muscolato (resistenza) e che permetta un galoppo potente (Pointer Inglese), leggiadro (Setter Inglese), continuo ed efficace (poco affaticante). 2.2.2.5) Facce laterali del tronco Comprendono le ascelle, il costato ed il torace, fianco ed anca. 2.2.2.5.1) L'ascella È limitata in alto dal petto, in basso dalla regione sternale, nella parte centrale e laterale dal gomito. È ricoperta di sottile e mobile pelle con poco pelo. 2.2.2.5.2) Il costato ed il torace (vedi anche tav. XXXV, XXXVI, XXXIX) Il costato è una regione situata ai lati del dorso e forma le pareti laterali del torace. In Cinognostica si intende invece per torace “quella zona a tronco di cono leggermente appiattito ai lati che è limitata superiormente dalle vertebre dorsali, in basso dallo sterno, in avanti dal petto, dietro dai fianchi e dal ventre”. Come base anatomica si prendono a riferimento le tredici vertebre dorsali, le costole ed i relativi muscoli della regione. Il costato, per la sua forma, convessità e dimensione, condiziona l'attività respiratoria e motoria degli arti toracici, assecondando tutti i movimenti ritmici di espansione e restringimento della gabbia toracica. Inoltre, per quello che riguarda il Setter Inglese, più lunga è la gabbia toracica e meglio è reclinata indietro la scapola. L'inclinazione della scapola a riposo indica la possibilità d'escussione in avanti ed indietro (durante gli atti respiratori). Partendo dal presupposto che alle varie andature l'escussione è definita da un angolo entro il quale oscilla la scapola (circa trenta gradi sessagesimali al passo, attorno ai trentacinque per il trotto ed inferiore ai cinquanta per il galoppo), una scapola troppo inclinata indietro permette solo una buona proiezione in avanti dell'arto toracico. Siccome la propulsione dell'arto anteriore avviene solo quando il piede si trova dietro alla proiezione scapolare a terra, si deduce che la propulsione non sia ottimale perché la levata del piede avviene prima dell'estensione massima dell'arto all'indietro. Questo argomento verrà trattato approfonditamente più avanti. L'apprezzamento cinognostico della regione del torace può fornire elementi di giudizio per le capacità attitudinali del cane poiché contiene, nella cavità toracica, organi importanti per l'espletamento delle sue funzioni. La conformazione del torace ha rilevanza per la determinazione del tipo ed in conseguenza dell'utilizzazione attitudinale. Il suo rilevamento biometrico ed il rapporto proporzionale con altri parametri viene impiegato nella formazione di alcuni indici cinometrici significativi. Citiamo, in proposito, l'indice corporale (lunghezza del tronco · cento / perimetro toracico) che esprime l'intensità di massa rispetto alla lunghezza del tronco ed è quindi importante per definire in termini quantitativi il tipo morfologico e l'anamorfosi (il crescente differenziarsi e specializzarsi degli organi). Sempre al fine di definire il tipo costituzionale, viene usato l'indice toracico (larghezza del torace · cento / altezza del torace) che consente la misurazione dello sviluppo del torace. Lo studio delle proporzioni diametriche e quindi il grado d'intensità di alcuni caratteri commisurato alla intensità di altri, è stato in passato molto proficuo per la determinazione del tipo costituzionale (dolicomorfo, mesomorfo e brachimorfo); oggi, con gli standards di razza, possono essere di ausilio in quei casi di indubbia tipologia individuale. L'apprezzamento cinognostico della regione toracica non può prescindere dalla conoscenza precisa di alcuni suoi parametri che qui richiamiamo brevemente: -- larghezza: è la distanza tra i due punti più sporgenti del costato; la sua misura è legata alla curvatura delle costole; -- profondità: è rilevabile guardando il cane di profilo e misura la distanza fra la punta della spalla e l'ultima costola; -- perimetro: è rilevabile con il nastro toracometrico e va misurato passando dal punto più ampio del costato; -- lunghezza: va misurata dalla punta dello sterno all’ultima falsa costola; -- altezza: è rilevabile per differenza misurando l'altezza al garrese con la distanza che separa lo sterno dal suolo. Occorre però tenere conto del grado di elevazione delle apofisi spinose del garrese (da sottrarsi) per avere una misura più realistica. Può essere inoltre misurata col cinòmetro in corrispondenza della quinta vertebra dorsale (faccia inferiore dello sterno). 2.2.2.5.3) Il fianco (vedi anche tav. XXXV, XXXVI, XXXIX) È limitato dorsalmente dal margine laterale della regione renale, in basso dal ventre, in avanti dal costato, indietro dall’anca e dal margine anteriore della coscia. Un fianco è pregevole quando corto, leggermente arrotondato e regolare nei suoi movimenti. 2.2.2.5.3) l'anca (vedi anche tav. XXVI, XXXV, XXXVI) È allocata tra la coscia e la groppa con base anatomica il femore. La forma e la direzione sono legati alla conformazione della groppa. In un cane con groppa sfuggente l'anca sarà sempre prominente. 2.2.3) ARTI L’esame degli arti è essenziale nel cane e qualunque alterazione è determinante (specie se si tratta di riproduttori) perché costituiscono organi di sostegno e di locomozione. Gli arti anteriori sopportano la maggior parte del peso del cane per cui risultano sempre più esposti ad alterazioni e traumi in confronto a quelli posteriori (che invece hanno una funzione più propulsiva). L’arto anteriore (o toracico) ha quindi funzione più passiva (ma anche di propulsione) del pelvico in quanto è anche ricevitore della massa del corpo e delle reazioni che dal suolo risalgono verso di esso. Le direzioni dei segmenti ossei che formano l’arto presentano angoli fra di loro: angolo scapolomerale, omeroradiale e metacarpofalangeo (in pratica tre spezzature). Per adempiere più agevolmente alla funzione di sostegno, questi tratti ossei devono essere come una molla che respinge il carico e con reazione attutita dalla elasticità dei muscoli e delle cartilagini. All’arto posteriore, unito solidamente con il bacino attraverso l’articolazione coxofemorale, spetta invece il compito di raccogliere sotto di sé il cane per dare il necessario impulso e la spinta in avanti alla massa del corpo. L’impulso al movimento viene quindi assicurato in maggior parte dagli arti pelvici i cui segmenti ossei formano anch’essi angoli. In pratica si osservano quattro spezzature (angolo coxofemorale, femorotibiale, tibiotarsico e metatarsicofalangeo). Le ossa poste in fila al di sotto delle articolazioni del garretto devono essere il più possibile robuste e possono considerarsi appendici passive dell’arto (in quanto prive di muscoli). Gli arti anteriori (o toracici) costituiscono il bipede anteriore mentre gli arti posteriori (o pelvici) formano il bipede posteriore. Si indica come bipede diagonale destro, l’anteriore destro ed il posteriore sinistro, diagonale sinistro, il piede anteriore sinistro e posteriore destro. Molti credono che le angolature all'arto toracico debbano essere rispettate all'arto pelvico. In taluni scritti permane ancora tale ipotesi. Nei galoppatori costruiti in modo corretto è vero il contrario: gli arti toracici sono più raddrizzati dei pelvici. Nella cinofilia odierna, purtroppo, assunti non comprovati creano ancora oggi non poca confusione tra gli appassionati, finanche tra gli Esperti giudici. Introduciamo a questo punto un concetto che servirà nel proseguo. Si dice difetto di appiombo ogni deviazione o anomalia conformazione riscontrabile nel soggetto in esame che alterino sforzi e pressioni sulle parti dell'arto, la stessa dimensione o posizionamento, non rispecchiando la richiesta verticalità e parallelismo. I difetti di appiombo si stabiliscono tramite delle linee immaginarie dette appunto linee di appiombo. Queste vengono tracciate ad occhio a cane piazzato. 2.2.3.1) Arto toracico Si compone di regioni: spalla, braccio, gomito, avambraccio, carpo, metacarpo e piede o zampa. 2.2.3.1.1) La spalla (vedi anche tav. XVII, XIX, XX, XXI, XXXV, XXXVI) È limitata in alto dal garrese, in basso dall'omero, in avanti dal margine inferiore del collo, indietro dal costato. La sua base anatomica è costituita dalla scapola (detta anche omoplata), un osso piatto addossato al torace e legato a questo da una robusta lamina muscolare (il muscolo dentato del torace) ed ancorato (al suo apice) dalla terza alla nona vertebra toracica. La superficie esterna è divisa da una cresta (spina scapolare) che la percorre, per tutta la sua lunghezza, dividendola in due porzioni. Verso l’alto la scapola si completa con la cartilagine scapolare. La scapola è quindi un osso e come tale incapace di produrre movimento: il movimento è lasciato ad i muscoli che si inseriscono sulla stessa. Durante il movimento dell'arto toracico, la scapola oscilla come un pendolo avanti ed indietro ed in su e giù (vedremo più avanti che possiede altre libertà). Il movimento d'oscillazione pendolare è generato da muscoli antagonisti che si alternano nella loro funzione. Da studi scientifici è emerso che l'ampiezza dell'angolo percorso dalla scapola durante il movimento di oscillazione massimo è pari a circa trenta gradi sessagesimali (quindici gradi per parte rispetto alla stazione piazzata). La scapola, a cane piazzato, si trova in una particolare posizione a cui si fa riferimento per il paragone tra i diversi soggetti analizzati. Questa posizione (angolo) viene misurata in sessagesimi ed è compreso tra una ipotetica verticale che incrocia il prolungamento della spina scapolare. Fino a qualche tempo fa si pensava che tale angolo dovesse essere di quarantacinque gradi perché l'arto toracico potesse svolgere il suo ruolo nel miglior modo possibile. Oggi, con il sistema delle lastre a pressione, si è verificata l'impossibilità dell'esistenza di tale angolatura. Dallo stesso sistema e paragonando trottatori e galoppatori, è emerso che sussiste una differenza all'angolo scapolare di circa appena dieci gradi sessagesimali. Scapole oblique (cioè spalle ben inclinate) denotano resistenza ed andatura fluida nel movimento. Disegno 10: posizione della scapola a cane piazzato (sinistra) ed al momento dello stacco da terra dell'arto durante il passo (destra). La scapola a sinistra differisce dalla seconda per un angolo d'inclinazione di quindici gradi sessagesimali circa. Si noti, inoltre, la difficoltà di reperire ad occhio la differenza d'inclinazione tra le due scapole (15°). I bollini bianchi sono stati messi all'uopo: la loro congiunzione proiettata sulla verticale permette di misurare la differente angolatura tra le due scapole. Le caratteristiche morfologiche e di orientamento spaziale della scapola sono quindi indici importanti per la Morfologia Funzionale. All'uopo si analizzano i seguenti punti. -- La direzione È l’inclinazione della spina scapolare rispetto all’orizzontale. Per i Setter Inglesi la velocità è direttamente proporzionale alla falcata ed in minima parte al ritmo ed al numero di battute e quindi l’inclinazione della scapola deve essere media (circa trentotto gradi sessagesimali). Questa inclinazione è sempre associata a groppa leggermente inclinata. In genere la spalla inclinata consente una oscillazione della regione deviata dalla verticale quel tanto che dona un caratteristico movimento di razza. Quindi l'inclinazione della scapola deve essere messa sempre in relazione alla razza ed al lavoro richiesto. -- Il movimento e lo spessore I movimenti osservati devono essere liberi e regolari, non condizionati o risentire di alterazioni delle parti distali dell’arto; anche la muscolatura che rende l’idea dello spessore deve essere ben appariscente, con sviluppo della massa muscolare che si accompagna ad una buona muscolatura del garrese. Nei Setter Inglesi una spalla lunga è anche indice di buona profondità toracica: la spalla corta (e quindi con scapola breve), sposta l’articolazione scapolomerale più in alto verso il collo. Pregio assoluto per tutte le razze è la mobilità della scapola perché assicura maggiore scioltezza durante i cinque movimenti permessi dall'articolazione (estensione, flessione, abduzione, adduzione, circonduzione). Insufficiente mobilità significa che il cane è legato e non riesce a muovere bene l’anteriore. 2.2.3.1.2) Il braccio (vedi anche tav. XVII, XIX, XX, XXI, XXXV) Il braccio è costituito dall'omero e va misurato dalla punta della scapola alla punta del gomito. L'omero si inserisce superiormente nella scapola (articolazione scapolomerale) ed inferiormente è connesso ad ulna e radio. La base anatomica è data dall'omero e dai muscoli annessi. Le misure biometriche importanti sono la lunghezza e la direzione, che si valutano in rapporto alla scapola. Per quello che riguarda la lunghezza, nei galoppatori inglesi da ferma si riscontra una differenza morfologica: il Pointer Inglese ha, in proporzione colla relativa scapola, il braccio più lungo del Setter Inglese. Per un buon movimento, nei galoppatori si deve rilevare un angolo superiore a centoventi gradi sessagesimali. L'angolo viene misurato con cane piazzato ed è quello che si forma tra la scapola ed il braccio (omero). 2.2.3.1.3) Il gomito (vedi anche tav. XVII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXXV) Il gomito è l'articolazione ulnaradioomerale e corrisponde alla prominenza formata dall’olecrano. È situato tra il braccio e l’avambraccio. È un'importante articolazione in quanto perno della trasmissione della forza sospensiva e propulsiva dell'arto. 2.2.3.1.4) L' avambraccio (vedi anche tav. XVII, XIX, XX, XXII, XXIII, XXXV) È costituito da ulna e radio. Dal punto di vista morfo-funzionale si analizza la lunghezza, la larghezza e la direzione. -- Lunghezza Per reperire la lunghezza si misura dalla punta del gomito alla prima articolazione del carpo (lunghezza dell'omero). L'avambraccio è detto lungo quando è più lungo dell’omero, corto quando è uguale alla lunghezza dell’omero. Un avambraccio lungo comporterà una brevità della regione del metacarpo, quindi favorirà l’ampiezza delle oscillazioni dell’arto. -- Larghezza Non è un indice particolarmente interessante in quanto solo un'analisi scientifica approfondita concederebbe una valutazione corretta. -- Direzione L'avambraccio viene valutato tramite l'appiombo. 2.2.3.1.4) Il carpo (vedi anche tav. XVII, XVIII, XXXV) Il carpo è una regione dell'arto di forma appiattita. Si articola prossimalmente con le ossa dell'avambraccio, distalmente con le ossa metacarpali. La base anatomica è costituita dalle ossa carpali (capitato, uncinato, piramidale, pisiforme, scafosemilunare, trapezoide, trapezio). La funzione del carpo è quella di permettere movimenti di flessione ed estensione e limitati movimenti laterali. Il carpo deve essere largo, robusto e ben diritto o con inclinazione di cinque/dieci gradi e visto di fronte non deve manifestare difetti d’appiombo. Il carpo è la principale cerniera dell’arto anteriore ed ivi si considerano due facce, quella anteriore e quella posteriore ed i due margini laterali, quello interno e quello esterno. Nella faccia posteriore si trova il tubercolo plantare ed il rispettivo cuscinetto digitale utilizzato per ammortizzare i movimenti, evitare di slittare dopo un salto, o per affrontare discese ripide. Nell'insieme, ha aspetto simile al carpo umano (cioè di forma quadrangolare). 2.2.3.1.5) Il metacarpo (vedi anche tav. XVII, XVIII, XXXV) Formato da ossa che si inseriscono tra carpo e zampa anteriore. La base anatomica è costituita da cinque ossa metacarpali. La base delle ossa metacarpali è slargata, a forma di piramide quadrangolare e si articola con le ossa carpali. Dal punto di vista funzionale va osservata la direzione e la lunghezza. Nelle razze da ferma inglesi il metacarpo è poco inclinato (rispetto i trottatori) e breve, consentendo migliore resistenza all'affaticamento durante le andature veloci. 2.2.3.1.6) La zampa o piede (vedi anche tav. XVII, XVIII, XIX, XX, XXIV, XXV) Si trova al di sotto delle ossa del metacarpo ed è formata, escludendo il primo dito, da dodici falangi appartenenti a quattro dita. L’estremità distale delle dita presenta un'unghia non retrattile. Il primo dito è detto sperone, possiede due falangi e tocca il suolo solo in determinate posizioni dell'arto toracico (es. arrampicata di pendio scosceso e sdrucciolevole). Ogni dito possiede un cuscinetto carnoso e duro che ha la funzione di proteggere le parti ossee delle dita e di attutire le pressioni quando il cane poggia sul terreno. Al centro del piede troviamo il cuscinetto plantare (a forma di cuore) che occupa la maggior parte del piede. Nella parte posteriore del carpo si trova un cuscinetto simile a quelli digitali che serve da appoggio al suolo in determinate condizioni. Foto 16: piede di Kurzhaar. Una buona conformazione del piede è essenziale per lo svolgimento di ogni tipo di movimento. La zampa è bella se ben conformata, con dita raccolte e proporzionata alla struttura scheletrica ed al peso del cane. Dall'osservazione di come il cuscinetto plantare tocca terra si possono evidenziare degli errori di costruzione dell'arto toracico che si ripercuotono su un corretto movimento. Se durante il movimento il cuscinetto plantare colpisce il terreno prima che l'arto sia completamente steso in avanti, questi frena l'azione di avanzamento: si dice che “sbatte” quando l'appoggio avviene con vigore, che “preme” quando il cuscinetto tocca terra in modo più moderato ma sempre prima di quando dovrebbe (arto completamente disteso). Anche se non esiste nessun riscontro scientifico, l'unghia pigmentata è sempre da preferire poiché taluni affermano che l'unghia depigmentata sia sempre più debole e fragile. L'analisi della struttura deve mettere in evidenza il volume, la forma e la direzione della zampa. Per Setter Inglese e Pointer Inglese si parla di piede stretto e compatto (volume), piede di lepre (che lascia una impronta ovalare a dita raccolte) e la direzione della zampa è corretta quando l'asse verticale dell'arto (vista anteriore o posteriore) passa tra le due dita centrali del piede. 2.2.3.1.7) I difetti di appiombo dell'arto toracico Esaminando il cane di fronte, quando si nota una conformazione a base molto stretta (in quanto la distanza tra i centri di appoggio dei piedi piazzati sul terreno è ben minore di quella tra le linee centrali degli arti alla loro origine) si parla di chiuso davanti. Nei cani da ferma sottoposti a lavoro è da ritenere difetto relativo data l'ampiezza del petto e lo sviluppo dei muscoli pettorali. Può essere però causa di una irregolare ripartizione delle pressioni con ipertensione dei legamenti laterali, quindi, tutta la parte laterale dell'arto è sottoposta a costante pressione forzando il cane a caricare più peso sulla parte esterna della zampa. Questo fatto si può verificare osservando il consumo dei cuscinetti plantari. Per gli aspetti della selezione, resta importante stabilire l'eziologia di quest'ultima alterazione in quanto ritenuta ereditaria. Il cane chiuso davanti non va confuso con stretto davanti, termine quest'ultimo riferito alla carenza di torace, ciò che non esclude a priori la verticalità degli arti. Quando si osserva un cane di fronte e si nota che la distanza tra le linee centrali dei piedi piazzati sul terreno è maggiore di quella degli arti alla loro origine al petto, si dice aperto davanti. Questa conformazione si associa, in alto, al petto stretto e la parte interna dell'arto nel settore mediale sino al piede è maggiormente sollecitata dalla pressione gravitazionale e tensione. In questo caso il cane è costretto a caricare sulla parte interna della zampa, sia esso mancino che cagnolo. L'anteriore ha comunque una base maggiore di appoggio ed in conseguenza un maggior equilibrio, ma l'andatura è difforme al richiesto. 2.2.3.1.7.1) Il cagnolismo Osservando sempre il cane di fronte si nota che gli assi longitudinali che attraversano le zampe anteriori (dividendo in due coppie le dita del piede) convergono all'interno, l'una contro l'altra. In movimento le zampe descrivono una traiettoria a convessità esterna, manifestando la tendenza a falciare. Il cagnolis Disegno 11: appiombi anteriori. mo degli arti anteriori si riscontra facilmente in soggetti con le scapole posizionate troppo in avanti sul torace. Anche l'osservazione delle orme sul terreno ben livellato può essere d'aiuto nella definizione del difetto, sia esso cagnolismo o mancinismo: le orme convergono in punta lungo la direzione di andatura nel primo caso, mentre si distanziano nel mancinismo descrivendo in levata un arco esterno o interno. 2.2.3.1.7.2) Il mancinismo All'esame frontale si nota che gli assi longitudinali che attraversano le zampe anteriori (dividendo in due coppie le dita del piede) divergono. Di conseguenza le pressioni ed il peso dell'animale si riversano maggiormente sulla parte mediale della zampa. Nella deambulazione gli arti anteriori descrivono una traiettoria a convessità interna, con maggiore probabilità di incrociamento degli arti. 2.2.3.1.7.3) Gli appiombi a lira Questo difetto morfologico, osservando il cane di fronte, consta in ulna e radio che formano una estroflessione (convessità) verso l'esterno ed a forma di lira (strumento musicale). 2.2.3.2) Arto pelvico L'arto pelvico, situato più lontano dal centro di gravità del toracico, è preposto più alla funzione di propulsione che a quella di sostegno. Rispetto all'anteriore risulta più sviluppato nelle masse muscolari, con un maggiore numero di angoli o spezzature. Si compone di bacino, coscia, regione dell'anca o glutea (sottoregione natica), ginocchio (sottoregioni grassella e poplitea), gamba o tibia, tarso o garretto, metatarso e zampa o piede. 2.2.3.2.1) Il bacino (vedi anche tav. XXVI, XXXV) Il bacino è un vaso contenente i visceri ed è fissato nella zona pelvica della colonna vertebrale formata dalla tre vertebre (fuse insieme) del sacro. L'osso coxale (una delle ossa del bacino) dà continuità all'arto tramite l'articolazione coxofemorale (dove appunto è alloggiata la testa del femore). Durante il movimento, il bacino si comporta come una leva ove il fulcro è posizionato esattamente a metà (colonna vertebrale). Le due forze che insistono sui bracci di leva sono date dagli arti pelvici (quando in appoggio). Si può quindi riscontrare un equilibrio tra le componenti in posizione piazzata o ferma ed uno squilibrio continuo durante il moto. Lo squilibrio che si genera durante il movimento fa ondulare il bacino di qua e di là della colonna vertebrale che rimane ferma. Nel gioco delle forze, per valutare il movimento del treno posteriore, gioca un ruolo importante anche l'inclinazione delle pelvi (sull'orizzontale). Gli arti pelvici, durante il loro moto propulsivo, funzionano come dei pendoli: durante la massima escussione in avanti sono sospesi, mentre esercitano la trazione (appoggiando sul terreno) quando percorrono la traiettoria inversa. Cani con pendenza delle pelvi poco ripida “sbilanciano” il rapporto di va e vieni del pendolo, permettendo all'arto una escussione maggiore verso il posteriore. Durante la corsa si noteranno piedi che raggiungono (e talune volte sorpassano) l'altezza dell'addome ed appoggio sviluppato poco dopo della verticalità dell'arto stesso durante la stazione piazzata. Tale movimento non sfrutta appieno le potenzialità d'escussione e di trazione dell'arto, spendendo energia (e tempo) per portarlo ben più in alto e ben più indietro del necessario prima di richiamarlo sotto di sé per l'appoggio successivo. Tale malformazione si nota spesso in Setter Inglesi che concorrono alle prove di pianura. Questi soggetti, come accennato sopra, spendono più tempo (di quelli con una inclinazione pelvica corretta) per richiamare l'arto sotto di sé. Per compensare tale ritardo abbisognano di allungare il passo anteriore. In realtà non si allunga il passo ma il tempo di sospensione, tempo che permette alla forza di gravità di avvicinare il tronco al suolo di quel tanto che basta perché nel momento in cui il piede anteriore tocca terra l'angolo di contatto non sia corretto. Per angolo di contatto intendiamo quell'angolo più o meno acuto che si forma dal congiungimento dell'arto toracico e l'orizzontale (il terreno). Più quest'angolo è acuto e più energia propulsiva viene trasformata in decelerazione (attrito) e dispendio energetico-muscolare della spalla per traslare in avanti la massa del tronco. Il lavoro della muscolatura della spalla è quello di supportare il peso del cane (oltre che generare propulsione) dal momento in cui la zampa poggia a terra innanzi al petto fino al momento dello stacco da terra. In questo periodo di tempo e con il movimento pendolare dell'arto toracico, trasla la massa del tronco in avanti. Cani costruiti in questo modo sono obbligati ad una corsa radente e molto più dispendiosa di quella eseguita da soggetti con angolature pelviche più efficaci e meno dispendiose. Ci domandiamo quindi quale vantaggio (dal punto di vista funzionale) possa trarre un Setter Inglese con movimento radente se non quello di faticare di più e ferirsi più spesso zampe, arti e torace sulle asperità del terreno durante la caccia. Vedi anche 4.13.5. Cani con pendenza delle pelvi troppo ripida “sbilanciano” il rapporto di va e vieni del pendolo, permettendo all'arto posteriore una escussione maggiore in avanti (cioè sotto il cane) piuttosto che indietro. In questo caso l'arto pelvico viene richiamato prima della distensione completa, riducendo il potenziale di spinta dell'arto stesso. A tal riguardo questi esemplari sembrano muoversi meglio in salita (e meno affaticarsi) di cani costruiti per correre in piano (come dovrebbe essere per tutti i Setter). Ne sono classico esempio alcuni soggetti che partecipano alle prove di lavoro della “Saladini Pilastri” e che impressionano gli osservatori con rapide ed efficaci ascensioni da scalatori provetti, mantenendo ritmi esagerati per tutta la durata del turno. Questi cani, posti a correre in pianura, denunciano tutto il loro difetto morfologico. È quindi corretto premiare cani che mostrano utilizzare l'inclinazione del bacino di una capra selvatica piuttosto che di un Setter Inglese? Un buon compromesso angolare delle pelvi si aggira attorno ai trenta gradi sessagesimali. Quest'inclinazione permette al Setter Inglese una meccanica che sfrutta la massima parte dell'energia spesa trasformandola in propulsione. 2.2.3.2.2) La coscia (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXV, XXXVI) Corrisponde alla diafisi del femore e si trova tra bacino e ginocchio e prende rapporti con la regione dell'anca (prossimalmente), con la regione del ginocchio (distalmente), con la regione ventrolaterale dell'addome (cranialmente), con la regione perineoventrale (caudalmente) e con la regione inguinale (medialmente). La coscia è composta dall'osso femore e da una serie di importanti muscoli dedicati alla locomozione. Tra questi ricordiamo il tensore della fascia lata, il quadricipite femorale (estensore della gamba), il gracile, il sartorio, il pettineo ed l'adduttore della coscia (adduttori della coscia), il bicipite femorale, il semitendinoso, il semimembranoso e l'abduttore caudale della gamba (flessori della gamba/estensori della coscia, a seconda che l’arto sia in appoggio o sollevato). Caudalmente alla regione si trova la sottoregione della natica che in parte appartiene alla regione glutea ed è costituita dai muscoli semitendinoso e semimembranoso. Sulla faccia mediocraniale della regione si rinviene il triangolo femorale o di Scarpa (chiamato anche trigono o fessura). Si tratta di uno spazio intermuscolare compreso esternamente tra il muscolo sartorio ed il muscolo gracile; profondamente tra il muscolo pettineo e la terminazione del muscolo ileopsoas. La fascia femorale mediale chiude lateralmente il triangolo trasformandolo nel canale femorale. Prossimalmente corrisponde alla cavità addominale ed è chiuso dalla fascia traversa e dal peritoneo (non completamente). In questo canale vi scorre l’arteria, la vena femorale ed il nervo safeno (ramo del nervo femorale). L’arteria femorale rappresenta la continuazione dell'arteria iliaca esterna che passando davanti al margine craniale del pube prende il nome di arteria femorale (per l’appunto). Questa arteria in realtà è piuttosto superficiale, pertanto può essere rilevato il polso arterioso (ponendo la mano sulla faccia mediale della coscia nella parte più prossimale). Nella parte caudale della regione, tra i muscoli bicipite femorale e semitendinoso, si trova il nervo ischiatico, mentre nella parte mediale si rinviene il nervo femorale. La valutazione morfologica indica, come parametri di giudizio, la lunghezza, direzione e consistenza delle fasce muscolari. -- Lunghezza In via generale, più una coscia è lunga e maggiore sarà la forza prodotta. -- Direzione Si tiene presente la direzione della groppa. Se la groppa è inclinata lo sarà anche la coscia, per cui l’angolo passante longitudinalmente per il femore farà un angolo chiuso con l’orizzontale. Se la groppa è poco inclinata, il femore sarà più raddrizzato. -- Spessore La faccia esterna della coscia deve essere bombata ad indicare armonioso e buono sviluppo muscolare. 2.2.3.2.3) La regione dell'anca o glutea (sottoregione della natica) (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXVI) Corrisponde alla cintura pelvica, cioè alla faccia esopelvica del coxale. Costituisce la groppa insieme a quella dell’altro lato e alla regione sacrale che si trova nel mezzo. I suoi limiti sono la linea che congiunge la tuberosità della groppa (dell’ileo con la radice della coda) prossimalmente, la linea che parte dalla tuberosità dell’anca fino alla tuberosità ischiatica (passando al di sotto del grande trocantere) distalmente, la linea che congiunge le due tuberosità dell’ileo (groppa e anca) cranialmente, il limite dorsolaterale del perineo caudalmente ed in profondità la faccia esopelvica dell’ileo (epifisi prossimale del femore). È in rapporto con la regione sacrale (prossimalmente), la regione della coscia (distalmente), la regione ventrolaterale dell’addome (cranialmente), la regione perineale dorsale, la regione coccigea (caudalmente) e la regione ischiopubica (in profondità ed in basso). Caudalmente alla regione è sempre ben evidente (nelle razze a pelo corto come il Pointer Inglese) il solco verticale tra il muscolo bicipite femorale ed il muscolo semitendinoso. La parte caudale a tale solco è detta sottoregione della natica che comprende i muscoli semitendinoso e semimembranoso e che in parte appartiene alla regione glutea che poi si continua nella regione della coscia. Appartengono a questa regione il muscolo gluteo superficiale, il tensore della fascia lata, il gluteo medio, il lungo vasto, il semitendinoso ed il semimembranoso, oltre al legamento sacroischiatico ed al coxale (faccia esopelvica). Questi due ultimi muscoli appartengono al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e mancano del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. Per ciò che riguarda la valutazione, si osserva la lunghezza e lo spessore. La lunghezza muscolare è sempre un pregio per i galoppatori, come lo sviluppo volumetrico (anche se taluni Esperti di esposizione, a torto, non ne tengono il dovuto conto). Una buona natica indica buon sviluppo della muscolatura femorale (che è deputata alla spinta). 2.2.3.2.4) Il ginocchio (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXX, XXXI, XXXII, XXXV) Regione limitata dalla coscia (prossimalmente) e dalla gamba (distalmente); lega il condilo distale del femore al condilo mediale della tibia. Corrisponde all’articolazione femororotuleotibiale che permette flessione, estensione e parziale rotazione. È una articolazione molto importante anche se pochi sono i testi cinotecnici che approfondiscono questo argomento dal punto di vista morfofunzionale. Disegno 13: rappresentazione schematica dei legamenti dell'articolazione del ginocchio sinistro (veduta caudolaterale). L’articolazione femorotibiorotulea (o ginocchio) è una giuntura piuttosto complessa, formata da due componenti: l’articolazione femororotulea (che si stabilisce tra la superficie articolare della rotula e la troclea dell’epifisi distale del femore) e l’articolazione femorotibiale (che si stabilisce tra i due condili dell’epifisi distale del femore ed i condili dell’epifisi prossimale della tibia). Le incongruenze esistenti tra la tibia ed il femore sono occupate da due strutture fibrocartilaginee, i menischi, dei quali uno è posto tra i condili mediali e l’altro tra i condili laterali di femore e tibia. Nel cane, l’articolazione è completata caudalmente e sopra ciascun condilo femorale da un piccolo sesamoide (o fabella) incluso nei tendini di origine del muscolo gastrocnemio. Un terzo piccolo sesamoide si trova nel tendine d’origine del muscolo popliteo e si articola con la superficie caudale del condilo laterale della tibia. La rotula, o patella, è invece un grosso sesamoide di forma ovalare e schiacciato craniocaudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale (che si incontrano dorsalmente) aiutando a prevenire la dislocazione della patella. La capsula articolare del ginocchio è formata da tre sacche, tutti intercomunicanti: due sono situate tra i condili del femore e della tibia (sacco mediale e laterale) ed la terza è posto sotto la patella. I legamenti meniscali tengono legati i menischi alla tibia ed al femore. Sono sei: -- i legamenti tibiali craniali dei menischi (che dalla parte laterale di ciascun menisco si portano rispettivamente alla parte laterale e mediale dell’area intercondiloidea craniale della tibia); -- i legamenti tibiali caudali dei menischi (dei quali il laterale si estende dall’angolo caudale del menisco laterale all’incisura poplitea della tibia, mentre il mediale va dall’angolo caudale del menisco mediale fino all’area intercondiloidea caudale della tibia); -- il legamento femorale del menisco laterale (che rappresenta l’unico attacco femorale dei menischi e va dall’angolo caudale del menisco laterale alla parte interna del condilo mediale del femore); -- il legamento trasverso od intermeniscale (che unisce gli angoli craniali dei due menischi). I legamenti femorotibiali sono rappresentati dai legamenti collaterali ed dai legamenti crociati. Dei legamenti collaterali laterale e mediale il primo origina dall’epicondilo laterale del femore e, sdoppiandosi, termina con una branca sull’epifisi prossimale della fibula e con l’altra sul condilo laterale della tibia. Il secondo, invece, si estende tra l’epicondilo mediale del femore ed il bordo mediale della tibia (distalmente al condilo tibiale mediale). Disegno 15: vista craniale del ginocchio sinistro, che mostra i legamenti e le strutture associate.1, troclea femorale; 2, labbro laterale della troclea femorale; 3, tendine dell’estensore lungo delle dita; 4, tendine del popliteo; 5, legamento collaterale laterale; 6, menisco laterale; 7, tuberosità tibiale; 8, legamento patellare; 9, rotula; 10, fibrocartilagine parapatellare; 11, legamento intermeniscale; 12, menisco mediale; 13, legamento collaterale mediale; 14, legamento crociato craniale; 15, legamento crociato caudale; 16, labbro mediale della troclea. I legamenti crociati craniale e caudale sono localizzati all’interno della capsula articolare (nella fossa intercondiloidea del femore tra i due sacchi sinoviali dell’articolazione femorotibiale) e si portano entrambi alla spina tibiale. Il legamento patellare è rappresentato dalla porzione distale del tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale e si porta dall’apice distale della rotula alla tuberosità tibiale. Tale legamento risulta separato dalla capsula articolare tramite il corpo adiposo infrapatellare (particolarmente spesso nella sua parte distale). La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla fascia laterale (fascia lata) e da quella mediale del femore, supportate in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale: il laterale va dal bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio dell’epicondilo mediale del femore. Disegno 16: vista caudale del ginocchio destro, che mostra i legamenti e le strutture associate. 1, legamento crociato craniale; 2, legamento collaterale laterale;3, menisco laterale; 4, legamento craniale della testa fibulare; 5, legamento caudale della testa fibulare; 6, fibula; 7, legamento tibiale caudale del menisco laterale; 8, legamento crociato caudale; 9, menisco mediale; 10, legamento collaterale mediale; 11, legamento meniscofemorale. I legamenti crociati sono per il ginocchio strutture fondamentali in quanto regolatori del movimento articolare. Sono distinti in craniale (o anteriore) e caudale (o posteriore). Il legamento crociato craniale parte da una fossetta posteriore sulla faccia mediale del condilo laterale del femore e, dopo aver attraversato obliquamente la fossa intercondiloidea in senso mediolaterale e prossimodistale, termina sull’area intercondiloidea craniale della tibia. Lungo il suo percorso esso descrive una spirale laterale esterna in direzione prossimodistale (di circa novanta gradi). Durante la flessione del ginocchio, il legamento si curva e si torce su se stesso. Il legamento crociato caudale parte da una fossetta della faccia ventrolaterale del condilo mediale del femore e raggiunge la porzione mediale dell’incisura poplitea della tibia. Lungo il suo percorso forma una spirale con lieve intrarotazione e durante la flessione del ginocchio anch’esso si torce leggermente su se stesso. Il legamento crociato caudale, leggermente più lungo e largo del craniale, si trova, rispetto a quest’ultimo, in posizione mediale e si incrocia con esso. I due legamenti crociati sono costituiti da fasci di fibre collagene orientate longitudinalmente e parallele le une alle altre. Tale disposizione regolare delle fibre offre una maggiore resistenza alla trazione, per cui le strutture che ne risultano sono in grado di resistere, senza lacerarsi, a forze anche notevoli applicate parallelamente all’asse maggiore delle fibre stesse. Per consentire un graduale passaggio dal tessuto flessibile del legamento a quello rigido dell’osso, tra le due strutture è posta una zona di transizione fibrocartilaginea che impedisce la concentrazione di stress nel sito di inserzione. I legamenti crociati sono ricoperti dalla membrana sinoviale, dalla quale deriva la maggior parte della loro vascolarizzazione. Essi sono raggiunti da rami delle arterie genicolari mediale e laterale, dall’arteria poplitea e dal ramo terminale dell’arteria genicolare discendente (che penetra direttamente sull’inserzione femorale del legamento crociato caudale). Sono inoltre vascolarizzati da vasi che scorrono nella membrana sinoviale che ricopre i legamenti; da questi vasi sinoviali (o paralegamentosi) hanno origine altri vasi più piccoli che, penetrando nel legamento trasversalmente, formano delle anastomosi con i vasi longitudinali endolegamentosi. Disegno 18: ginocchio sezionato: legamento crociato craniale in estensione Ciascuno dei due legamenti crociati risulta dall’associazione di due componenti che funzionano in maniera indipendente l’una dall’altra durante i movimenti di flessione e di estensione del ginocchio. Il legamento crociato craniale è diviso in una banda craniomediale (che rimane tesa sia durante l’estensione che durante la flessione) e in una parte caudolaterale (che è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione). Disegno 17: ginocchio sezionato che mostra il legamento craniale in flessione: la banda craniomediale (freccia) è tesa, mentre la parte caudo-laterale è rilassata. Il legamento crociato caudale è distinto in una parte craniale (che è rilassata durante l’estensione e tesa durante la flessione) e una parte caudale (che è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione). La stabilità dell’articolazione del ginocchio è dovuta ai legamenti crociati, che ne regolano i movimenti, prevenendo lo slittamento craniale o caudale della tibia sul femore, limitando la rotazione interna della tibia sul femore e opponendosi all’iperestensione del ginocchio. Disegno 19: ginocchio sezionato: legamento crociato caudale in estensione. Si noti che solo la parte caudale (freccia) è tesa. Durante la flessione il legamento collaterale laterale si rilassa, il condilo tibiale laterale si sposta cranialmente e la tibia subisce una rotazione interna sul femore. Quando il ginocchio si estende, entrambi i legamenti collaterali si tendono, il condilo laterale della tibia si sposta caudalmente rispetto al condilo femorale laterale e si ha la rotazione esterna della tibia sul femore. Durante i movimenti di flessione, la rotazione interna della tibia sul femore è limitata dalla torsione l’uno sull’altro dei legamenti crociati. Essi non hanno invece alcun effetto individuale nel limitare la rotazione esterna della tibia sul femore ed a cui si oppongono solo i legamenti collaterali (entrambi durante l’estensione e solo il mediale durante la flessione). Disegno 20: ginocchio sezionato: legamento crociato caudale in flessione. La parte craniale è tesa, quella caudale è rilassata. I legamenti crociati sono anche responsabili della stabilità craniocaudale del ginocchio: il legamento crociato craniale si oppone allo spostamento craniale della tibia sul femore e il legamento crociato caudale si oppone allo spostamento caudale. La principale struttura che impedisce lo spostamento anteriore della tibia sul femore è la banda craniomediale del legamento crociato craniale, in quanto essa risulta tesa sia in estensione che in flessione; se questa componente viene danneggiata, allora subentra l’azione della parte caudolaterale, che, però, garantisce la stabilità dell’articolazione solo durante l’estensione (non in flessione), caso in cui risulta rilassata. Disegno 23: diagramma dell’aspetto craniale del ginocchio durante la flessione. Il legamento collaterale laterale si rilassa permettendo la rotazioneinterna della tibia. I legamenti crociati “torcono” l’uno sull’altro per limitare questa rotazione. Disegno 21: lacets durante la cerca. Disegno 22: diagramma dell’aspetto craniale del ginocchio durante l’estensione. Quando il legamento collaterale laterale si tende, la tibia ruota esternamente. I legamenti crociati si “detorcono” e di conseguenza non hanno nessun effetto individuale nel limitare la rotazione esterna della tibia. Gli effetti individuali sulla stabilità articolare delle due componenti del legamento crociato caudale, a differenza di quanto accade per l’altro crociato, sono minimi. In ultimo, il legamento crociato craniale impedisce l’iperestensione del ginocchio grazie alla tensione che si instaura durante l’estensione; solo se dovesse danneggiarsi verrebbe sostituito in questa sua funzione dal legamento collaterale mediale e dal legamento crociato caudale. D'interesse particolare per i cinofili sono alcuni studi sulla biomeccanica dell’articolazione del ginocchio. L’inclinazione del plateau tibiale rispetto all’asse della tibia stessa rappresenta un fattore determinante nella patogenesi traumatica delle rotture del legamento crociato craniale. Tale inclinazione, che nel cane varia da diciotto a sessanta gradi (con una media di ventiquattro), sarebbe responsabile dell’intensità della spinta tibiale craniale, ossia di quella forza, generata dalla compressione tra femore e tibia durante il carico ponderale, che provoca la traslazione craniale della tibia prossimale (più l’inclinazione è elevata, maggiore sarebbe la spinta craniale della tibia). Questa spinta è normalmente contrastata da meccanismi attivi (i muscoli) e passivi (il legamento crociato craniale ed i menischi). La causa di rottura più frequente durante l'attività cinofila è il trauma. Poiché, come sappiamo, il legamento crociato craniale limita la rotazione interna della tibia sul femore, un danno a suo carico può avvenire quando l’animale in corsa effettua una svolta improvvisa di un angolo maggiore di novanta gradi (nei lacets, inversioni ad “U” effettuati in corsa, si tratta di un centottanta gradi) facendo perno con l’intero peso del corpo sull’arto pelvico interno alla curva; in queste condizioni la tibia è costretta ad un’eccessiva rotazione interna ed il condilo laterale del femore può agire sul legamento crociato craniale causandone la rottura (o l’allentamento) per lacerazione della sua inserzione. Un altro meccanismo che potrebbe portare alla lacerazione traumatica del legamento crociato craniale può verificarsi nel caso in cui, durante una diagonale (linea retta compresa tra due curve che viene percorsa dal cane mentre sonda il terreno durante il lavoro), un arto posteriore resti intrappolato in una buca. In questa condizione la tibia viene fissata e l’articolazione improvvisamente iperestesa. In quest’ultima condizione l'iperestensione può causare la rottura del legamento crociato caudale. Dalla rottura del legamento crociato craniale deriva una instabilità persistente dell’articolazione del ginocchio che determina infiammazione della capsula articolare e della membrana sinoviale, degenerazione della cartilagine articolare e danni ai menischi. La lesione meniscale più frequentemente associata alla rottura del legamento crociato craniale interessa il menisco mediale e ciò è dovuto alla sua notevole stabilità rispetto a quella del menisco laterale che risulta, invece, più libero e mobile. Quando il legamento crociato craniale si rompe, si ha un incremento della rotazione interna della tibia sul femore, che porta il condilo mediale del femore ad esercitare un’eccessiva forza torsionale sul menisco mediale; questa azione di torsione può quindi determinare una distensione del margine concavo interno del menisco e lacerarlo trasversalmente. In alcuni casi il menisco viene schiacciato tra i condili mediali di femore e tibia. Quando a questa forza di compressione se ne aggiunge una rotazionale, si può avere una lacerazione longitudinale nella porzione mediale del menisco. Quest’ultima lesione è definita lacerazione a manico di secchio quando la porzione mediale del menisco lacerata risulta dislocata nell’articolazione. Durante l’estrema flessione è il corno caudale del menisco mediale ad essere compresso tra femore e tibia, per cui, in questa posizione, le forze di rotazione possono lacerare la sua inserzione caudale, permettendo al corno stesso di muoversi quasi liberamente. Dal punto di vista morfo-funzionale, il ginocchio è un'articolazione importante sia per il salto che nella corsa libera ed è da tenere ben presente che i Setter Inglesi costruiti per muovere radente sono i più soggetti ad infiammazioni, traumi, contusioni e lacerazioni di cartilagini, menischi e legamenti, in quanto l'articolazione del ginocchio lavora sempre troppo flessa non arrivando quasi mai alla etensione completa. Le componenti del ginocchio sono quindi sottoposte ad uno stress maggiore di quelle di un cane che corre eretto o moderatamente flesso. Vedi anche 4.13.5. 2.2.3.2.4.1) La sottoregione della grassella La pelle è molto mobile e cranialmente è presente uno spesso pannicolo adiposo, da qui il nome di plica della grassella (formata anche dal muscolo pellicciaio dell’addome). In tale sottoregione troviamo l’articolazione femororotulea vista sopra, che è un ginglimo (o cerniera perfetta) che si stabilisce tra la troclea del femore e la rotula. Dal punto di vista pratico è molto importante il legamento patellare che corrisponde al tendine terminale del muscolo quadricipite femorale. 2.2.3.2.4.2) La sottoregione poplitea È in questa sottoregione che si trova l’articolazione femorotibiale e che è una doppia condilartrosi che si instaura tra i condili del femore e della tibia e le cui superfici sono discordanti e vengono rese congrue dalla presenza di due menischi articolari. La capsula articolare è duplice, una per ciascun condilo, ma le due capsule articolari sono ampiamente in comunicazione fra loro. Dal punto di vista pratico hanno molta importanza i legamenti crociati che sono intrarticolari (cioè si trovano tra le membrane sinoviali delle due articolazioni). Ricordiamo inoltre, a livello dei capi di origine del muscolo gastrocnemio, la presenza di due ossa sesamoidee ed un terzo a livello del tendine di inserzione del muscolo popliteo. Nei galoppatori inglesi questa regione acquista pregio quando si trova spostata dal ventre e la coscia si trova perpendicolare al terreno concedendo la massima libertà di movimento (restando vincolata esclusivamente alle articolazioni). 2.2.3.2.5) La gamba o tibia (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXX, XXXI, XXXII, XXXV) Regione delimitata tra il ginocchio ed il garretto e corrispondente alla diafisi della tibia. È composta dalle ossa tibia e perone e da muscoli importanti per la locomozione ed i movimenti della zampa. La regione presenta due rilievi: uno anteriore, dato dal muscolo estensore comune delle dita ed uno posteriore, dato dal muscolo gastrocnemio (che diminuisce per passare nella corda del garretto). Come muscoli ricordiamo l'estensore comune delle dita, l'estensore laterale delle dita, il tibiale anteriore, il peroneo lungo e breve, l'estensore dell’alluce, il gastrocnemio, il flessore superficiale delle dita, il flessore mediale delle dita, il flessore profondo delle dita, il popliteo ed il tibiale caudale. Da ricordare, in particolare, il muscolo gastrocnemio che costituisce il tricipite surale (il cosiddetto polpaccio). Il tendine del tricipite surale, unitamente al tendine del muscolo flessore superficiale delle dita (perforato), costituiscono la corda del garretto. Questa robusta corda tendinea, localizzata topograficamente posteriormente alla regione della gamba, si fissa sulla sommità del calcaneo (che è un osso del tarso o garretto) ed essendo inestensibile concorre a mantenere gli angoli femorotibiale e tibiotarsico nelle giuste proporzioni. La regione viene attraversata anche da vasi sanguigni come l'arteria poplitea (continuazione dell’arteria femorale) che decorre a livello della superficie poplitea e tra i due condili del femore, quindi nella parte prossimale e posteriore della regione (si divide in tibiale craniale e tibiale caudale). Queste due ultime arterie, insieme anche all’arteria safena, nella regione del piede danno origine a diversi rami che contribuiscono alla vascolarizzazione. I nervi presenti sono il peroneo comune ed il tibiale (i due rami del nervo ischiatico). Disegno 24: veduta laterale dell'arto pelvico dopo rimozione del muscolo bicipite femorale. 2.2.3.2.6) Il tarso o garretto (regione del tarso) (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXXI, XXXII, XXXV) Regione complessa ed importante per la locomozione. È delimitata dalla gamba e dalla zampa. La base anatomica si riferisce alle sei ossa tarsiche che sono disposte in due ordini: I°) calcaneo e astragalo; II°) cuboide, piccolo cuneiforme, grande cuneiforme e scafoide. Paragonabile alla caviglia umana, consta di ossa (cuneiformi, scafoide, cuboide, astragalo, malleolo mediale della tibia, calcaneo) e di tendini (tendine del muscolo tricipite surale, tendine del muscolo flessore superficiale delle dita, ecc). Il garretto agisce come apparecchio ammortizzatore per l'elasticità delle superfici articolari delle sue cartilagini, per i legamenti brevi e molto tesi delle ossa tarsiche. L'articolazione del garretto consente solo movimenti di flessione ed estensione favoriti anche dalla brevità dei legamenti articolari disposti su piani incrociati. Nel garretto convergono gli sforzi dei muscoli estensori che presiedono all'impulso e nello stesso tempo si concentrano le reazioni dal suolo durante l'appoggio dell'arto posteriore e si scaricano le pressioni del peso del corpo del cane quando si raccoglie sotto di sé. Nel momento di massima tensione, l'articolazione si apre a scatto e, per passare dalla flessione all’estensione, occorre vincere notevole resistenza passiva. Il garretto forte è indizio di forza e solidità dell'articolazione, per cui è sempre un pregio assoluto. Il garretto deve essere di buona apertura, che consenta quindi movimenti elastici con appariscente sincronismo e spinta. L'angolo del garretto (o grado di apertura) è in relazione con la direzione della tibia e della zampa e varia a seconda della razza. L'angolo tra di essi comporta di norma un'apertura che consenta una più adatta ed equa distribuzione del peso del corpo sulle ossa e legamenti. La direzione del garretto va considerata rispetto al piano mediale del corpo sull'asse maggiore dell'arto. Quindi, osservando il cane da dietro, si dice aperto dietro se le punte dei garretti divergono e si allontanano l'una dall'altra. Quando saranno convergenti si dice chiuso dietro. I garretti aperti sono sempre divergenti, mentre quelli chiusi sono invece convergenti. Il garretto si dice asciutto quando all'osservazione si delinea tutta la sua struttura ossea ed i contorni risultano netti: il tessuto connettivo deve essere di modesta consistenza e spessore. A questa situazione (che è sempre da preferire) si contrappone quella di garretti molto spessi e tumefatti tanto da non lasciare intravedere la struttura ossea. In tal caso va eseguito un attento esame del garretto e della sua funzionalità. Quest'ultima situazione si manifesta spesso nei cani da lavoro con costruzione non corretta o nei soggetti anziani. Per valutare la conformazione degli arti e quindi determinare la direzione di ciascuno in rapporto al suolo, il cane va osservato abbastanza da vicino (cinque/sei metri), fermo ossia piazzato. Invece, ad una certa distanza e con il cane in movimento, si continua poi a verificare la regolarità degli arti nella propria direzione. Con il termine di appiombo si deve intendere, richiamando il principio del filo a piombo, la giusta direzione che l'arto naturalmente deve avere rispetto al suolo in piano. D'altronde, anche per la Statica animale vale il principio della gravità secondo il quale ogni corpo sollecitato dal suo peso tende a cadere nella direzione del filo a piombo (nel senso della verticale). Condizione preliminare quindi, per verificare gli appiombi, è che, piazzato il cane, il bipede laterale copra esattamente l'altro guardando di fianco, mentre guardando tra gli arti di fronte, il bipede anteriore copra quello posteriore. In definitiva, l'esame degli appiombi deve verificare che la direzione dell'arto segua la direttrice del filo a piombo. L’angolo al garretto varia a seconda della razza ma è sempre pregio quando si presenta largo e con garretto spesso, diritto ed elastico. Nei galoppatori da ferma si ha sempre un angolo più aperto che nei trottatori. 2.2.3.2.7) Il metatarso (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXVIII, XXXIII, XXXIV, XXXV) Formato da ossa che si inseriscono tra tarso e zampa posteriore. È simile al metacarpo dell'arto toracico ma la base anatomica è costituita dalle ossa metatarsali. Il primo osso metatarsale è detto, quando presente, sperone. 2.2.3.2.8) La zampa o piede posteriore (vedi anche tav. XXVI, XXVII, XXXVI) Simile a quello dell’arto anteriore ma con forma meno ovalizzata. Il piede di lepre all'arto pelvico permette al cane di sviluppare accelerazioni rapide ed andature saltate a discapito della resistenza. Nei cani da caccia (siano essi galoppatori che trottatori) è quindi consigliato una via di mezzo tra il piede rotondo (che conferisce resistenza) e quello di lepre (che conferisce velocità e facilità al salto) conferendo una buona media tra velocità e resistenza. È formato dalle ossa metatarsali cui corrispondono altrettante dita formate da tre falangi, la terza delle quali termina con un'unghia. Il primo dito, detto sperone, non tocca mai il suolo e nell'arto posteriore è composto da una sola falange con unghia (presente in alcune razze continentali da ferma). Le dita poggianti al suolo tramite il cuscinetto digitale sono quattro e sono munite di unghia non retrattile. Anche se non esiste nessun riscontro scientifico, l'unghia pigmentata è sempre da preferire poiché taluni affermano che l'unghia depigmentata sia più debole e fragile. Nella zona metatarsofalangea si trova il cuscinetto plantare (a forma di cuore) che è di dimensioni maggiori dei cuscinetti digitali. 2.2.3.2.9) Difetti di appiombo dell'arto posteriore 2.2.3.2.9.1) Chiuso dietro Osservando il cane dal di dietro, la verticale (o direttrice di appiombo) abbassata dalla tuberosità ischiatica al suolo non divide l'arto in due parti uguali, bensì cade sul lato mediale della zampa. Gli arti appaiono ravvicinati tra di loro e troppo inclinati dall'esterno all'interno. Le sollecitazioni sono in eccesso sulla faccia laterale delle ossa, legamenti ed articolazioni. I piedi possono essere indifferentemente sia cagnoli che normali. È una conformazione abbastanza presente in soggetti molto muscolati e con masse muscolari molto sviluppate come i cani da lavoro. Disegno 25: appiombi posteriori. 2.2.3.2.9.2) Aperto dietro Sempre osservando il cane da dietro, la verticale abbassata dalla punta della natica cade sul lato laterale del piede e la distanza tra le linee di appiombo (appoggio del piede al suolo) è maggiore di quella degli arti all'altezza della coscia. L'arto risulta inclinato dall'alto in basso e dall'interno all'esterno. Le pressioni discendenti sono distribuite in modo anomalo nella parte mediale degli arti. Questa conformazione a base larga si associa in genere a garretti vaccini. Può anche associarsi a garretto falciato. 2.2.3.2.9.3) Garretti divergenti Quando le punte dei garretti divergono all'infuori dalla verticale abbassata dalla punta della natica al suolo, siamo in presenza di garretti valgi che si associano ad arti generalmente con gamba arcuata. Dal punto di vista funzionale si nota scarsa solidità del garretto che non è capace di spingere in modo coassiale, bensì vacilla. 2.2.3.2.9.4) garretto a falce Il garretto a falce è una conseguenza del limitato grado di apertura dell'angolo del garretto. Questa conformazione pone il cane sotto di sé, spostando all'indietro il centro di gravità e le pressioni sul garretto risultano esagerate e non certo vantaggiose. L'articolazione è sottoposta a forte tensione stirando esageratamente i legamenti. Il garretto è eccessivamente aperto comportando minore impulso ed andature più rigide. Il posteriore (visto sempre lateralmente) presenta quindi un angolo femorotibiale più aperto e l'articolazione del garretto è dritta. La capsula articolare risulta sottoposta ad esagerata pressione. Gli anteriori sono dritti, poco flessi, ad indicare l'errore del posteriore. Il buon movimento del garretto si apprezza con il moto. Se il movimento del garretto risulta limitato e quindi il suo angolo non chiude a sufficienza, anche l'articolazione femorotibiale sarà limitata nel movimento, per cui si nota un movimento di chiusura a scatto del garretto. Quest'ultimo difetto comporta la riduzione dell'angolo del garretto ed il legamento risulta maggiormente sollecitato. 2.2.3.2.9.5) garretto dritto Osservando il cane lateralmente, questi presenta angolazioni del garretto più ampie (angolo femorotibiale più aperto). Questo comporta minore potenza d'impulso, predisponendo alla formazione di osteoartriti per provocata maggiore tensione sulla capsula articolare. 2.2.4) La pelle La pelle (o cute) è un organo morbido che aderisce a tutto corpo (eccetto alcune razze), lo avvolge proteggendo i muscoli e gli organi sottostanti. Nel cane giovane è più sottile che nell'anziano, mentre nella zona dei tubercoli plantari e carpali l'epidermide risulta in tutti i soggetti più ispessita e callosa. La pelle può essere pigmentata di nero, marrone, bluastro o carnicino e ricoperta di peli (filamenti costituiti di sostanza cornea) che hanno come principale scopo il migliorare l'isolamento termico della pelle. La pelle è composta da tre strati: l'epidermide, il derma ed il tessuto sottocutaneo. 2.2.4.1) L'epidermide L'epidermide è la zona più esterna della pelle. È composto da cellule indurite dalla presenza di cheratina. Alla sua base ci sono numerosi strati di cellule che si riproducono continuamente per sostituire quelle che muoiono. È attraversata dai fusti dei peli. 2.2.4.2) Il derma Il derma è lo strato interno della pelle. In esso sono presenti i bulbi piliferi e le terminazioni nervose, mentre alla sua base si trova un strato formato essenzialmente da grasso che prende il nome di tessuto sottocutaneo. Il ruolo del derma è fondamentale in quanto provvede al nutrimento ed all'ossigenazione della soprastante epidermide (sprovvista di vasi). 2.2.4.3) Tessuto sottocutaneo L'ipoderma è costituita da cellule rotondeggianti piene di trigliceridi (dette adipociti) circondate da una fitta rete di vasi arteriosi e venosi. Lo spessore del sottocutaneo è variabile e funge da isolante, riserva di lipidi, ammortizzatore e favorisce la mobilità della pelle rispetto alle strutture più profonde. 2.2.4.4) Il pelo Il pelo consente protezione dal freddo, dal caldo, dall'umidità e dalla vegetazione durante l'attività venatoria. Esistono manti estivi ed invernali. La loro comparsa viene regolata dal fotoperiodo (38). Presenta una parte aerea (fusto) che termina in una punta (apice) e una parte nascosta che attraversa l'epidermide per impiantarsi nel derma (bulbo pilifero o radice). I peli del manto sono riuniti in strutture più complesse che comprendono gruppi di peli. Il numero dei peli in ciascun gruppo è minore nelle razze a pelo lungo (Setter Inglese) e maggiore nelle razze a pelo corto (Pointer Inglese) e secondo le razze si hanno gruppi che variano da tre a cinque, da cinque a otto, da dodici a quindici e da quindici a diciotto. La consistenza numerica degli stessi gruppi varia anche nello stesso soggetto a seconda dell'allocazione topografica sul manto: i gruppi numerosi si trovano sul dorso e fianchi. Tutti i peli sono muniti di muscolo erettore ma subiscono maggiore erezione i peli del collo, del dorso, della groppa e della coda. Il pelo può essere classificato nel modo seguente. -- Consistenza (tessitura): --- setaceo (Setter Inglese, Epagneul Breton); --- lanoso (Lagotto); --- duro (Drhathaar); --- semivitreo (Pastore Tedesco); --- vitreo (Pointer Inglese, Kurzhaar). -- Lunghezza: --- corto; --- raso; --- semilungo; --- lungo. -- Allocazione: --- collare (margine inferiore del collo); --- frangia (coda, zona perianale, arti, regione posteriore della grassella, ecc); --- barba (labbra, mascella); --- ciglia (sul margine palpebrale); --- tragi (all’interno dell’orecchio); --- mustacchi (sulle labbra); --- sopracciglia (sulle arcate orbitali). -- Colore: --- unicolore (un colore); --- bicolore (due colori); --- tricolore (tre colori). I colori possono essere: -- colori semplici: bianco, nero, sorcino, fulvo, marrone, rosso; -- colori binari: grigio (peli bianchi e peli neri), bianco-nero (prevalenza di bianco punteggiato di nero), bianco-marrone ( prevalenza di bianco punteggiato di marrone), bianco-arancio ( prevalenza di bianco punteggiato di arancio), roano (peli bianchi, neri e fulvi), roano marrone (peli marroni e bianchi), melato (peli fulvi, gialli e bianchi), tricolore (prevalenza di bianco con macchie nere e fulve), nero focato (mantello nero con macchie focate definite dallo standard) e fulvo scuro (peli fulvi alla base con apice nero). 3) ANATOMIA 3.1) L'importanza dello studio C'è sempre stata difficoltà nel convincere gli allevatori a prendere in considerazione altre varietà e particolarmente altre specie animali: l'allevatore della razza Tizio legge sempre e solo gli articoli dei periodici riguardanti la sua razza. Come altrettanto fa l'allevatore della razza Caio. Tutto ciò è ovvio in quanto ogni allevatore di Tizio si chiede perché dovrebbe preoccuparsi di come si muove un Caio piuttosto che domandarsi come migliorare i suoi soggetti. Quell'allevatore ricorda il bambino che maneggiando un modellino ancora da finire chiedeva al padre come facesse a volare un aereo. E mentre il padre si arrovellava il cervello per rispondere, il bimbo passava ad altro gioco. In realtà il ragazzino non voleva una spiegazione alla domanda. Ma ancora maggiore analogia fra l'allevatore ed il bimbo vi è tra allevare cani e costruire modellini. Si dia lo stesso tipo di aereo a due ragazzini: uno ha una buona comprensione di resistenza aerodinamica, portanza, incidenza, ecc, l'altro, dopo aver chiesto qualche informazione, si è disinteressato. Si vedrà che tra le due realizzazioni verrà spontaneo dare la preferenza al montaggio migliore. All'allevatore che ha posto una domanda simile, era stata data risposta sul modo di migliorare gli anteriori, ma è come se lui l'avesse trovata troppo complicata per seguirla. Inoltre è rassicurato e si nasconde dietro l'utilizzare, per la riproduzione, i nuovi campioni dell'allevamento Tal dei Tali. Poiché ci si trova di fronte a qualche centinaio di razze, potrebbero meravigliare i cambiamenti che l'uomo ha prodotto con la selezione; tuttavia, se si dà anche una seconda occhiata, allora ci si accorge che le variazioni sono solo superficiali: anche oggi i cani sono sostanzialmente gli stessi dei canidi primordiali. Non è possibile metterli insieme con la precisione di un modellino di aeroplano, come se si costruisse un piccolo vascello, ma si deve invece produrre qualche cosa che lavora. Lavoro, in questo senso, non significa scavare buche, fermare uccelli o catturare lepri: è come un orologio che fa “tic tac” o come un puzzle da mettere insieme senza dimenticare parti od incastrarle forzatamente in maniera sbagliata. Se si desidera un bel soggetto, non vi è alcun motivo per cui non lo si debba avere (partendo dal presupposto che il cacciatore considera purtroppo esclusivamente la bravura). Se si vuole un bravo cane da ferma o quantomeno qualcosa che il nostro vicino non ha, l'aspirazione può essere legittima. Anche l'orologio, però, deve fare “tic tac”: le parti strutturali e quelle che svolgono un lavoro devono adattarsi insieme e lavorare nella maniera meno affaticante, più elegante ed efficiente possibile durante il movimento. Queste parti, smontate, possono essere disegnate e studiate secondo l'efficienza meccanica. Tale studio deve fornire una più chiara comprensione della parte e la sua relazione con le altre componenti. Non è possibile riconoscere i punti deboli senza sapere ciò che li rendere deboli e quale modifica meccanica li potrebbe compensare o correggere. Anche se non si può mettere insieme un cane come si fa con un modellino, lo si è messo insieme con la scelta dei suoi antenati e lo si è fatto grande o piccolo, lungo o corto, morbido od ispido e qualche volta non si è stati troppo saggi nella scelta delle parti. Gli animali domestici sono handicappati per il fatto che vengono forzate le parti a stare insieme e conservato il cattivo assieme al buono. Gli animali selvaggi, quasi tutte le specie, sono stati più fortunati a causa del grande processo di selezione conosciuto come la sopravvivenza del più adattatato. Quando i primi allevatori svilupparono la razza della quale oggi qualcuno si innamora, possedevano l'esperienza a guidarli sul campo, cosicché potevano selezionare il soggetto più efficiente da quelli che non lo erano altrettanto. Questo fatto rende conto della qualità che è stata tramandata nelle razze canine da ferma attuali. Oggi, l'allevatore manca principalmente dell'esperienza od anche dell'opportunità di osservare tale comportamento così da poter misurare i vantaggi di determinate caratteristiche e mantenere la qualità che gli è stata tramandata. La sola risorsa, allora, è di figurarsi ciò che fa la parte, come lavora e ciò che fa la differenza tra buono e cattivo, o più specificatamente ciò che è buono e ciò che è cattivo. Può essere che tale studio sia di lenta tessitura e sembri noiosamente accademico, ma così pure lo sono state le lezioni di ortografia e matematica che hanno tirato fuori il ragazzino dalla classe degli zucconi. Proprio come risulta piacevole giocare bene un qualche gioco, così sarà molto più divertente allevare cani come devono essere per funzionare efficientemente piuttosto che tentare la sorte su di una incerta fortuna. L'esperienza è un buon insegnante, la conoscenza porta ad un successo più durevole ed in tempi più brevi. Molte volte ci è stato ripetuto il detto “Chi legge il cartello non mangia il vitello”. Noi, consci che l'esperienza sia d'aiuto, apprezziamo l'epiteto di topo di biblioteca. Ma se chi si cela dietro a tale sentenza vuole allargare i propri orizzonti, è convenientemente giusto che scopra i meravigliosi meccanismi della ricerca scientifica. Inoltre, questo è l'unico modo sicuro per avere qualcosa che il vicino non possiede. 3.2) L'Anatomia L'Anatomia è quella branca delle Scienze Naturali che studia l'organizzazione strutturale degli organismi viventi. L'Anatomia è una scienza antica che affonda le sue radici in epoca preistorica. Per secoli le conoscenze anatomiche sono state tratte dall’osservazione diretta di piante e animali sezionati. Una conoscenza adeguata della struttura dell'organismo vivente non può prescindere dalla conoscenza delle sue funzioni e dalle patologie che possono alterarne l’organizzazione; pertanto l'Anatomia è correlata ad altre discipline quali la Fisiologia, la Morfologia Funzionale, la Biochimica e la Biomeccanica. L’Anatomia può essere suddivisa in varie discipline che prendono in considerazione diversi campi d’interesse. È possibile distinguere un’Anatomia animale ed un’Anatomia vegetale, a seconda che si prendano in esame gli organismi animali o vegetali. Nell’Anatomia animale si possono considerare l’Anatomia umana che si occupa della struttura degli esseri umani e l’Anatomia comparata che studia somiglianze e differenze tra le strutture dei diversi organismi animali. Come ben si evincerà dalle illustrazioni, molti nomi di parti anatomiche del cane hanno preso origine dalle rispettive parti del corpo umano. 3.3) Anatomia animale L'Anatomia è quella branca delle Scienze Naturali che studia l'organizzazione strutturale degli animali. Nel proseguo verranno trattati gli organi di movimento e di senso del cane. Data la complessità degli argomenti, si cercherà di rendere l'esposizione il più possibile semplice, tenendo conto che certi concetti sono di difficile sostituzione. All'uopo, questa parte è stata sviluppata tramite tavole anatomiche (con relativi richiami esplicativi) che concederanno al neofita una più semplice comprensione ed una immediata correlazione tra termine e posizionamento anatomico. Alcuni temi di Anatomia sono già stati trattati nella Cinognostica e verranno ripresi nella Morfologia Funzionale, altri non verranno affrontati. 3.3.1) Suddivisione in piani Le regioni del corpo sono una suddivisione topografica a fini descrittivi e di studio relativi all'Anatomia. A questo scopo, nella descrizione di tali regioni, il corpo del cane viene sempre considerato in posizione eretta, piazzata, con gli arti anteriori e posteriori poggianti su un suolo pianeggiante. 3.3.1.1) Piani sagittali Il corpo del cane è conformato secondo un piano di simmetria bilaterale ovvero divisibile in due parti, destra e sinistra, esternamente simmetriche fra loro. Non esiste simmetria bilaterale nella conformazione interna, dove si riscontrano asimmetrie di posizione, di numero e di forma. Il piano di simmetria bilaterale viene chiamato piano sagittale mediano; i due piani paralleli ad esso, lungo i margini sinistro e destro del corpo, sono detti piani sagittali laterali. Riferendosi ad una parte interna, la si indicherà come: mediana od in posizione mediana (se si trova in corrispondenza del piano sagittale mediano), mediale od in posizione mediale (se si trova più vicino al piano sagittale mediano rispetto alle altre), laterale od in posizione laterale (se si trova più vicino al piano sagittale laterale). I termini mediale e laterale possono essere sostituiti con interno ed esterno. 3.3.1.2) Piani frontali I piani frontali sono quelli che si tracciano perpendicolarmente ai piani sagittali. Quello tangente alla parte inferiore del corpo è detto piano ventrale, quello tangente alla parte superiore piano dorsale. Riferendosi ad una parte interna, la si indicherà come ventrale o in posizione ventrale (se si trova più vicino al piano ventrale), dorsale o in posizione dorsale (se si trova più vicino al piano dorsale). 3.3.1.3) Piani trasversali I piani trasversali od orizzontali sono quelli che si tracciano perpendicolarmente sia a quelli sagittali che a quelli frontali. Così come per i piani, esistono tre assi: asse longitudinale, asse sagittale, asse trasversale. L'asse longitudinale passa per il centro dei piani trasversali, con esso definiamo la posizione cefalica (o craniale) o la posizione caudale di un organo rispetto ad un altro o di una parte di un organo rispetto all'altra. L'asse sagittale corre perpendicolarmente ai piani frontali; rispetto al punto di mezzo, un organo viene definito posteriore o anteriore, nel caso della testa, i termini usati sono rispettivamente rostrale o occipitale. L'asse trasversale permette di definire le posizioni destra e sinistra di una parte. 3.3.2) Regioni Servendosi dei piani, degli assi e di altre linee immaginarie o di nuovi piani, il corpo può anche essere diviso in regioni. Le principali suddivisioni in regioni del corpo sono: testa, collo, tronco, torace, addome, bacino, arti anteriori (braccio, avambraccio, piede anteriore), arti posteriori (anca, coscia, gamba, piede posteriore). Tavola I: faccia laterale destra del teschio. Tavola I: faccia laterale destra del teschio. 1) Osso frontale (processo zigomatico) L'osso frontale fa parte della scatola cranica. È un osso piatto, impari e mediano, situato nella parte più anteriore del cranio. Entra nella costituzione della volta del cranio e della base in corrispondenza della fossa cranica anteriore. Forma inoltre gran parte del tetto delle cavità orbitarie. Si articola superiormente tramite una sutura con le due ossa parietali e lateralmente con l'osso sfenoide, inferiormente termina con la spina nasale. La sua forma ed inclinazione verso lo "stop" modellano i lineamenti espressivi della razza essendo implicati nel formare distanza ed orientamento spaziale delle orbite oculari. In visione il processo zigomatico. 2) Linea temporale Intersezione delle due superfici ossee (osso temporale osso frontale). 3) Cresta orbitotemporale Capo osseo formato dall'unione della fossa orbitale e l'osso temporale. Estromettendo la funzione anatomica, la cresta orbitotemporale partecipa all'espressività della faccia del cane (visione frontale) definendo all'osservatore, in concomitanza con l'apertura zigomatica, la larghezza della faccia. 4) Fossa lacrimale Depressione intracranica che contiene la sacca lacrimale. 5) Orbita Le orbite, sedi dell’occhio e di quasi tutti i suoi annessi, sono due formazioni cavitarie costituite da un insieme di ossa della faccia e del cranio strettamente correlate fra loro. Le orbite possono essere immaginate come piramidi coricate con l’apice indietro e la base in avanti. I due vertici sono più vicini fra loro di quanto non lo siano le due basi divergenti. La parete superiore della piramide (tetto dell’orbita) confina con il seno paranasale frontale e con la fossa cranica. La parete mediale è in rapporto con le cavità nasali. La parete inferiore (il pavimento dell’orbita) confina con il seno mascellare. La parete laterale confina con la regione temporale e con la fossa cranica. Le pareti orbitarie presentano orifizi che mettono in comunicazione lo spazio orbitario con le strutture adiacenti. Essi sono il canale ottico e la fessura orbitaria. Il canale ottico è caratterizzato da un’ imboccatura anteriore e da un foro di uscita posteriore endocranico e mette in comunicazione l’orbita con la fossa cranica. Il canale ottico permette inoltre il passaggio al nervo sensoriale dell’occhio (nervo ottico) e all’arteria madre della vascolarizzazione oculare, cioè all’arteria oftalmica. La fessura orbitaria è una apertura situata vicino al canale ottico. Raccoglie la massima parte del sangue refluo oculare ed offre il transito a formazioni nervose d’importanza cruciale per l’innervazione sensitiva e motoria dell’occhio. Le pareti orbitarie presentano diversi altri siti di particolare interesse in corrispondenza dell’ingresso dell’orbita, ospitando le ghiandole lacrimali, le sacche lacrimali, il passaggio del tendine del muscolo dell’occhio, i tendini del legamento del muscolo delle palpebre ed il muscolo orbicolare. 6) Osso zigomatico L'osso zigomatico è un osso pari e simmetrico, di forma quadrangolare, che si trova lateralmente al mascellare, al di sotto dell’osso frontale ed al davanti del temporale. Riunendosi con il processo zigomatico dell’osso temporale forma l’arcata zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica e massiccio facciale. È quindi posizionato nella parte facciale del cranio tra la mascella superiore, l'osso temporale e l'osso frontale. È un osso importante per i lineamenti facciali. La sua grandezza ed il suo posizionamento definiscono l'espressività frontale. Taluni cinofili indicano lo sviluppo del muscolo e la prominenza di tale osso come corresponsabile di una esageratamente forte presa nell'abbocco della selvaggina durante la fase del riporto. Un osso zigomatico prominente non è altrettanto indice di esagerato sviluppo del muscolo zigomatico o di un suo uso esagerato durante la prensione. 7) Arcata zigomatica Nell’osso temporale si descrivono una parte esocranica ed una endocranica. Dalla superficie esocranica si distacca un processo orizzontale, il processo zigomatico, che con il suo apice si articola con il processo temporale dell’osso zigomatico per formare l’arcata zigomatica. 8) Processo coronoideo della mandibola Protuberanza anteriore dell'apice mandibolare. Il processo coronoideo, di forma triangolare, fornisce l'inserzione al muscolo temporale. È separato dal processo condiloideo tramite la incisura della mandibola. 9) Cresta della nuca o apofisi occipitale Prominenza craniale posta alla base dell'osso occipitale nella zona dell'inserzione della colonna vertebrale. 10) Forame sopramastoideo Deriva dal latino foràmen. Indica un foro allocato, in questo particolare caso, nella regione ossea mastoidea. 11) Condilo dell’osso occipitale Superficie articolare all'estremità dell'osso occipitale. È il bulbo della base dell'occipitale che si incastra con la prima vertebra (atlas). Partecipa a tutti movimenti del capo (rotazione, inclinazione, flessione, estensione) assieme all'atlante, epistrofeo, odontoide, ai legamenti ed alle membrane coinvolte. 12) Forame stilomastoideo Foro che si trova tra il processo mastoideo ed il processo stiloideo. Il forame è attraversato da nervi della mimica facciale e del senso del gusto. 13) Cresta temporale Prominenza craniale posizionata nella zona temporale subito sopra all'orifizio auricolare. 14) Poro acustico esterno È la parte più esterna del meato acustico. 15) Processo giugulare dell’occipite È una protuberanza ossea dell'occipite. Si trova nella parte inferiore dell'osso occipitale. 16) Processo retroarticolare Piccola proiezione dell’osso articolare formante una parte del sistema di giunzione delle fauci. 17) Bolla timpanica La bolla timpanica (detta anche cavità timpanica), è uno dei costituenti dell'orecchio medio assieme al timpano ed alla tuba uditiva. È composta da tre ossicini (martello, incudine, staffa). La bolla timpanica costituisce la maggior parte dell’orecchio medio. Ad esclusione dei piccoli muscoli che permettono il movimento dei tre ossicini, nell’orecchio medio non esistono altre strutture muscolari. Al contrario, le strutture nervose che ritroviamo a livello dell'orecchio medio sono estremamente importanti. In generale possiamo dividere i nervi dell’orecchio medio in due gruppi: nervi propri all’orecchio medio e nervi che transitano nell’orecchio medio ma che sono diretti verso altri distretti. In particolare, le fibre nervose simpatiche dirette all’occhio ed alle strutture orbitali decorrono al di sotto della superficie ossea. 18) Processo condiloideo della mandibola Il processo condiloideo è la protuberanza posteriore dell'estremità dei due rami mandibolari. È delimitata dalla incisura della mandibola che la separa dal processo coronoideo (protuberanza anteriore). 19) Processo angolare della mandibola Piccola proiezione dell'osso mandibolare ove è attaccato il muscolo della cavità temporale. Grazie a questo muscolo la mandibola si può chiudere esercitando pressione nel processo angolare della mandibola (processo coronario). 20) Fossa del massetere Depressione ossea della mandibola (fossa masseterina) ove termina il muscolo massetere. 21) Cresta muscolare Prominenza mandibolare che si trova anteriormente alla fossa masseterina. 22) Terzo molare inferiore 23) Primo molare superiore 24) Quarto premolare superiore 25) Quarto premolare inferiore 26) Forami mentali Fori che si trovano quasi alla metà della lunghezza della parabola mandibolare. Il nervo mentale, che innerva la zona del mento, passa attraverso il forame prima di innervare la zona dedicata. 27) Forame infraorbitale Foro che si trova al di sopra dei premolari superiori. Da questo si osserva l'emergenza del nervo infraorbitario (ed i relativi vasi sanguigni), il quale innerva il labbro superiore e l'ala del naso. 28) Fossa del muscolo canino Alloggiamento del muscolo canino (appartenente ai muscoli mimici del muso) che origina attorno al muscolo orbicolare dell'occhio per inserirsi alle fibre dell'orbicolare della bocca. 29) Primo premolare superiore 30) Canino superiore 31) Canino inferiore 32) Incisivo superiore 33) Incisivo inferiore Tavola II: faccia laterale destra del teschio. Tavola II: faccia laterale destra del teschio. 1) Osso incisivo L’osso incisivo si trova inferiormente alle ossa nasali in corrispondenza dell'estremità coronaria degli incisivi superiori. Contribuisce ad allungare notevolmente la porzione splancnocranica del teschio e fornisce un supporto alle ossa nasali (molto sviluppate in relazione all’ampliamento delle cavità nasali legato al notevole sviluppo dell’olfatto). 2) Osso nasale Fa parte delle ossa del massiccio frontale. Ha forma di lamina e si trova tra i processi frontali dei due mascellari, al di sotto dell’osso frontale. Completa il tetto della cavità nasale e si articola con il processo frontale dell’osso mascellare. 3) Osso mascellare L’osso mascellare è un osso che contribuisce alla formazione delle cavità orbitarie, nasali e buccale. È costituito da una capsula ossea che circoscrive un’ampia cavità, il seno mascellare. 4) Osso lacrimale È un osso pari, lamellare e di forma irregolare che si trova al di sotto dell’osso frontale. La faccia laterale forma la fossa del sacco lacrimale. Si articola con l’osso frontale e con il processo frontale del mascellare. 5) Mandibola È un osso impari, mediano e simmetrico che si articola con l’osso temporale ed accoglie nell’arcata alveolare i denti inferiori. Ha la forma di un ferro di cavallo con concavità posteriore ed è composto da due rami che fanno seguito all’estremità posteriore. Il margine superiore è il processo alveolare in cui sono scavati gli alveoli dentali. 6) Porzione timpanica dell'osso temporale L’osso temporale è un osso pari che prende parte alla formazione della base cranica e delle pareti laterali della volta. È situato anteriormente all’osso occipitale, posteriormente alla grande ala dello sfenoide e inferiormente al parietale. La parte timpanica si abbozza a forma di anello incompleto, posto anteriormente alla parte mastoidea. 7) Processo mastoideo dell'osso temporale Protuberanza ossea appuntita volta in basso ed in avanti. Il processo mastoideo, a differenza delle altre parti del temporale, appartiene allo splancnocranio. 8) Osso zigomatico L'osso zigomatico è un osso pari e simmetrico, di forma quadrangolare, che si trova lateralmente al mascellare, al di sotto dell’osso frontale ed al davanti del temporale. Riunendosi con il processo zigomatico dell’osso temporale forma l’arcata zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica ed il massiccio facciale. È quindi posizionato nella parte facciale del cranio tra la mascella superiore, l'osso temporale e l'osso frontale. È un osso importante per i lineamenti facciali (come l'arcata zigomatica). La sua grandezza ed il suo posizionamento definiscono l'espressività frontale. Taluni cinofili indicano lo sviluppo del muscolo e la prominenza di tale osso come corresponsabile di una esageratamente forte presa nell'abbocco della selvaggina durante la fase del riporto. Un osso zigomatico prominente non è altrettanto indice di esagerato sviluppo del muscolo zigomatico o di un suo uso esagerato durante la prensione. 9) Lamina perpendicolare dell'osso palatino L'osso palatino, un osso pari di forma irregolare, è costituito da due lamine che si incontrano ad angolo retto, di cui una verticale che si applica medialmente all’osso mascellare. La lamina verticale, denominata parte perpendicolare dell’osso, presenta una faccia mediale che completa indietro la parete laterale delle cavità nasali. Dal punto d’incontro delle due lamine dell’osso palatino ha origine il voluminoso processo piramidale. 10) Osso frontale L'osso frontale fa parte della scatola cranica. È un osso piatto, impari e mediano, situato nella parte più anteriore del cranio. Entra nella costituzione della volta del cranio e della base in corrispondenza della fossa cranica anteriore. Forma inoltre gran parte del tetto delle cavità orbitarie. Si articola superiormente tramite una sutura con le due ossa parietali e lateralmente con l'osso sfenoide, inferiormente termina con la spina nasale. La sua forma ed inclinazione verso lo "stop" modellano i lineamenti espressivi della razza essendo implicati nel formare distanza ed orientamento spaziale delle orbite oculari. 11) Osso interparietale Osso impari di forma triangolareggiante, con la base all'osso occipitale e l'apice interposto tra le due ossa parietali. 12) Osso parietale È un osso pari, quadrangolare ed incurvato a concavità verso il basso e medialmente: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana mentre si articolano in avanti con l'osso frontale, indietro con l’osso occipitale, lateralmente con la squama e la parte mastoidea dell'osso temporale e con l'ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una faccia endocranica ed una esocranica. La faccia endocranica è concava e presenta impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi. Lungo il margine superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale. Il margine superiore è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale. Il margine inferiore presenta un margine squamoso (per l’articolazione con la squama del temporale) e un margine mastoideo (per l’articolazione con la parte mastoidea del temporale). 13) Porzione squamosa dell'osso temporale La parte squamosa dell'osso temporale partecipa alla formazione della parete laterale della volta cranica. 14) Osso occipitale È un osso impari e mediano. Delimita la scatola cranica posteriormente ed inferiormente, entrando così nella costituzione della base e della volta. Mette in comunicazione il cranio con la colonna vertebrale, articolandosi con l’atlante. È attraversato dal grande foro occipitale tramite il quale la cavità craniale comunica con il canale vertebrale. Vi si possono considerare una squama, due porzioni laterali e una parte basilare che si trovano rispettivamente dietro, lateralmente e anteriormente al foro occipitale. Tavola III: sezione sagittale mediana del cranio. Tavola III: sezione sagittale mediana del cranio. 1) Osso interparietale Osso impari di forma triangolareggiante, con la base all'osso occipitale e l'apice interposto tra le due ossa parietali. 2) Canale del seno trasverso Nello spessore della dura madre sono scavati alcuni canali in cui circola sangue venoso . Il sangue venoso viene scaricato principalmente nella giugulare interna o altri vasi extracranici. Il canale del seno trasverso (seno pari) si trova nella squama dell'occipitale. Il seno trasverso è un grosso seno venoso che parte dalla confluente dei seni e si dirige verso il foro giugulare (o forame lacero posteriore) dove si apre nella vena giugulare interna. 3) Forame sopramastoideo Deriva dal latino foràmen. Indica un foro allocato, in questo particolare caso, nella regione ossea sopramastoidea. 4) Orifizio superiore del canale condiloideo Viene detto canale condiloideo quel canale che perfora l'occipitale anteriormente e posteriormente al condilo. L'orifizio (dal latino orificium composto da os-oris = «bocca» e ficium = «che fa da») è l'apertura che serve di sbocco o di comunicazione al canale. 5) poro acustico interno Il meato o condotto acustico è costituito da un canale fibrocartilagineo ed osseo ricoperto di tegumento. Prende inizio dal padiglione con il poro acustico e termina in corrispondenza della membrana del timpano. Attraversano il poro acustico interno l'arteria uditiva interna, il nervo facciale ed acustico. 6) Forame giugulare Il forame giugulare si trova in uno spazio fra la parte condilare dell’occipite e l’osso temporale. Questo forame permette il passaggio della vena giugulare e dei nervi encefalici (nervo glossofaringeo, nervo vago e nervo accessorio). Un accenno è di dovere. Il glossofaringeo, che è sia un nervo motorio che sensorio, è responsabile per la sensazione motoria viscerale e di gusto. Esso innerva la parte posteriore della lingua, le pareti della faringe e l’orecchio medio. Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore e alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno, che è il canale dell’orecchio. Al vago si unisce lo spinale accessorio (nervo motorio) per innervare i muscoli della laringe e della faringe. 7) Canale del nervo ipoglosso È dove il nervo ipoglosso fuoriesce dal cranio dopo ave fatto il proprio percorso dal midollo spinale. 8) Bolla timpanica La bolla timpanica (detta anche cavità timpanica), è uno dei costituenti dell'orecchio medio assieme al timpano ed alla tuba uditiva. È composta da tre ossicini (martello, incudine, staffa). La bolla timpanica costituisce la maggior parte dell’orecchio medio. Ad esclusione dei piccoli muscoli che permettono il movimento dei tre ossicini, nell’orecchio medio non esistono altre strutture muscolari. Al contrario, le strutture nervose che ritroviamo a livello dell'orecchio medio sono estremamente importanti. In generale possiamo dividere i nervi dell’orecchio medio in due gruppi: nervi propri all’orecchio medio e nervi che transitano nell’orecchio medio ma che sono diretti verso altri distretti. In particolare, le fibre nervose simpatiche dirette all’occhio ed alle strutture orbitali decorrono al di sotto della superficie ossea. 9) Tentorio osseo del cervelletto A livello encefalico, la dura madre forma un'estesa lamina (membrana) che separa il cervelletto dai lobi occipitali dell'encefalo. Questa conformazione è il tentorio del cervelletto. Si tratta quindi di un sepimento trasversale che separa una porzione sopratentoriale (telencefalo e diecenfalo) da una porzione sottotentoriale (mesencefalo, ponte, midollo allungato, cervelletto). Il margine libero del tentorio (concavo) circoscrive l'incisura del tentorio che delimita, insieme alla lamina dello sfenoide, il foro ovale (grosso foro in cui passa il tronco encefalico). Anteriormente il tentorio prende contatto con lo sfenoide. 10) Orifizio inferiore del canale condiloideo Orifizio, piccolo buco che perfora l'osso occipitale. 11) Processo giugulare È una protuberanza ossea dell'occipite. Si trova nella parte inferiore dell'osso occipitale. 12) Forame carotideo interno Fora la parte petrosa dell'osso temporale e dà passaggio alla carotide interna che, dopo un'ansa, si biforca in arteria cerebrale media e arteria cerebrale anteriore. Si trova in prossimità della fossa giugulare. Il foro sfocia in un canale che si apre poi all'esterno del cranio con il forame carotideo esterno. 13) Osso basisfenoide L'osso basisfenoide è uno dei due costituenti (quello inferoposteriore) dell'osso sfenoide. L'altro, il presfenoide, si trova invece nella parte anteriore. Il basisfenoide è articolato aboralmente con il basioccipitale e presenta lateralmente l’ala temporale che si articola con la squama temporale. 14) Sutura petrobasilare L'osso petroso, cioè la parte dell'osso temporale comprendente l'orecchio medio ed interno, si fonde col basilare (parte dell'occipitale) formando una articolazione del tipo sinartrosi chiamata sutura petrobaslilare. 15) Canale del nervo trigemino È il punto di uscita del nervo trigemino che esce dalla parte laterale del ponte e prosegue verso la piramide del temporale (dove scompare sotto la dura madre). Il nervo trigemino quindi si divide in tre grandi rami: nervo oftalmico, nervo mascellare, nervo mandibolare. Questi tre rami passano da tre diverse aperture della base cranica ed innervano, con le loro fibre sensitive, tre parti del muso e della testa separate rigorosamente tra di loro. Mentre il nervo oftalmico ed il nervo mascellare sono puramente sensitivi, il terzo nervo, quello mandibolare, è composto anche di fibre motorie che si portano al muscolo della masticazione. 16) Porzione petrosa dell'osso temporale La parte petrosa dell'osso temporale ha la forma piramidale quadrangolare. Vi si possono individuare una base, un apice, quattro margini e quattro facce. La base è rivolta all'esterno e coincide con il meato acustico esterno. L'apice presenta l'apertura interna del canale carotideo. La faccia anteriore presenta una sottile lamina ossea che chiude in alto la cavità del timpano. Più medialmente è visibile l'eminenza arcuata, mentre in vicinanza dell'apice l'impronta trigeminale, una piccola depressione per il ganglio del nervo trigemino. La faccia posteriore presenta il foro acustico interno che dà al meato acustico interno. Questo è suddiviso dall'incrocio di una cresta trasversale e di una verticale in quattro aree. La faccia anteroinferiore della piramide del temporale corrisponde nei suoi due terzi laterali alla fossa mandibolare. La faccia inferiore, infine, presenta il foro stilomastoideo, attraversato dal nervo facciale ed il lungo ed appuntito processo stiloideo. Quest'ultimo è il punto di partenza del muscolo stiloglosso, stilofaringeo e stiloioideo. Anteromedialmente al processo stiloideo è visibile la fossa giugulare e davanti a questa l'apertura esterna del canale carotideo. 17, 18) Osso parietale È un osso pari, quadrangolare ed incurvato a concavità verso il basso e medialmente: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana mentre si articolano in avanti con l'osso frontale, indietro con l’osso occipitale, lateralmente con la squama e la parte mastoidea dell'osso temporale e con l'ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una faccia endocranica ed una esocranica. La faccia endocranica è concava e presenta impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi. Lungo il margine superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale. Il margine superiore è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale. Il margine inferiore presenta un margine squamoso (per l’articolazione con la squama del temporale) e un margine mastoideo (per l’articolazione con la parte mastoidea del temporale). 19) Osso frontale L'osso frontale fa parte della scatola cranica. È un osso piatto, impari e mediano, situato nella parte più anteriore del cranio. Entra nella costituzione della volta del cranio e della base in corrispondenza della fossa cranica anteriore. Forma inoltre gran parte del tetto delle cavità orbitarie. Si articola superiormente tramite una sutura con le due ossa parietali e lateralmente con l'osso sfenoide. Inferiormente termina con la spina nasale. La sua forma ed inclinazione verso lo "stop" modellano i lineamenti espressivi della razza essendo implicati nel formare distanza ed orientamento spaziale delle orbite oculari. 20) Forami etmoidali I forami etmoidali (posteriore ed anteriore) sono dei piccoli buchi delimitati dall'osso etmoide e dall'osso frontale. Questi fori sono attraversati da vasi sanguigni. Importate ricordare che questa zona è attraversata dal ramo nasociliare del nervo oftalmico da cui si distaccano i nervi etmoidali. Da questi ultimi si dipartono i rami nasali interni ed esterni (che innervano la cavità nasale). 21) Canale ottico E’ l’orifizio dell’apice orbitario: dà passaggio al nervo sensoriale dell’occhio (nervo ottico) e all’arteria oftalmica (che è una collaterale della carotide interna). Il canale ottico è caratterizzato da un’imboccatura anteriore (orbitaria) e da un foro di uscita posteriore (endocranico) che mette in comunicazione l’orbita con la fossa cranica media. 22) Fessura orbitale È la fessura nella quale il nervo oculomotore penetra nell’orbita. 23) Forame rotondo e forame alare orale -- Il foro rotondo si apre nel punto d'incontro delle linee di sutura tra sfenoide, mascellare ed etmoide ed è attraversato dal nervo mascellare. -- Il forame alare è quel canale che attraversa la base del processo pterigoideo. 24) Forame ovale È un foro che dà passaggio al nervo mandibolare ed all’arteria piccola meningea. Si trova in prossimità del margine convesso delle grandi ali dello sfenoide sulla faccia endocranica. 25) Osso basisfenoide L'osso basisfenoide è uno dei due costituenti (quello inferoposteriore) dell'osso sfenoide. L'altro, il presfenoide, si trova invece nella parte anteriore. Il basisfenoide è articolato aboralmente con il basioccipitale e presenta lateralmente l’ala temporale che si articola con la squama temporale. 26) Lamina cribrosa dell’osso etmoide È una lamina ossea che, assieme alla lamina sagittale mediana, forma l'osso etmoide. Il termine cribrosa sta ad indicare la presenza di una miriade di fori ove passano i filamenti del nervo olfattivo. L'etmoide è un osso pneumatico impari e mediano che si unisce inferiormente con il vomere per completare il setto nasale. 27) Coana Detta anche narice interna od apertura nasale posteriore. È un orefizio a sezione ovalare che si trova posteriormente alla fossa nasale (fra la cavità nasale e la faringe) e che la mette in comunicazione con la parte superiore della faringe. 28) Endoturbinato IV° Si trova all'interno delle cavità nasali. Si tratta di una mucosa caratterizzata da un epitelio cilindrico stratificato con presenza di cellule ciliate e caliciformi mucipare. La sottomucosa presenta uno stato vascolo-ghiandolare con le caratteristiche del tessuto cavernoso. La mucosa olfattiva è formata da epitelio stratificato e comprende delle cellule specializzate: le cellule neuro-sensoriali o cellule di Schultz. Queste cellule presentano, in alto, delle espansioni che prendono il nome di ciglia olfattorie che si immergono nel muco che riveste la mucosa. All'estremità opposta tali cellule presentano gli assoni che insieme vanno a costituire i filamenti del nervo olfattivo e che passando attraverso la volta delle cavità nasali raggiungono i bulbi olfattivi della fossa cranica. 29) Lamina orizzontale dell’osso palatino La lamina orizzontale dell'osso palatino ha forma di “L” e concorre a formare il pavimento delle cavità nasali assieme al processo palatino dell'osso mascellare. 30) Endoturbinato II° Si trova all'interno delle cavità nasali. Si tratta di una mucosa caratterizzata da un epitelio cilindrico stratificato con presenza di cellule ciliate e caliciformi mucipare. La sottomucosa presenta uno stato vascolo-ghiandolare con le caratteristiche del tessuto cavernoso. La mucosa olfattiva è formata da epitelio stratificato e comprende delle cellule specializzate: le cellule neuro-sensoriali o cellule di Schultz. Queste cellule presentano, in alto, delle espansioni che prendono il nome di ciglia olfattorie che si immergono nel muco che riveste la mucosa. All'estremità opposta tali cellule presentano gli assoni che insieme vanno a costituire i filamenti del nervo olfattivo e che passando attraverso la volta delle cavità nasali raggiungono i bulbi olfattivi della fossa cranica. 31) Conca nasale dorsale Dette anche cornetti o turbinati, le conche nasali sono delle protuberanze che si trovano nei meati. L'osso etmoide divide queste zone dando una allocazione spaziale alle conche (in questo caso dorsale o superiore). 32) Endoturbinato III° Si trova all'interno delle cavità nasali. Si tratta di una mucosa caratterizzata da un epitelio cilindrico stratificato con presenza di cellule ciliate e caliciformi mucipare. La sottomucosa presenta uno stato vascolo-ghiandolare con le caratteristiche del tessuto cavernoso. La mucosa olfattiva è formata da epitelio stratificato e comprende delle cellule specializzate: le cellule neuro-sensoriali o cellule di Schultz. Queste cellule presentano, in alto, delle espansioni che prendono il nome di ciglia olfattorie che si immergono nel muco che riveste la mucosa. All'estremità opposta tali cellule presentano gli assoni che insieme vanno a costituire i filamenti del nervo olfattivo e che passando attraverso la volta delle cavità nasali raggiungono i bulbi olfattivi della fossa cranica. 33) Forame sfenopalatino Il forame sfenopalatino è quel foro che mette in comunicazione ciascuna cavità nasale con la fossa pterigomascellare. Attraversa questo forame l'arteria sfenopalatina (ramo dell'arteria mascellare) che si ramifica e raggiunge il setto nasale, i turbinati e le conche nasali. Questa arteria è importante poiché il sangue caldo che le attraversa scalda l'aria diretta ai polmoni (passando sotto all'encefalo). 34) Adito nasomascellare È la zona più interna (ventrale) della zona nasomascellare. 35) Recesso mascellare Chiamato impropriamente seno mascellare, il recesso comunica con la cavità nasale a livello dei premolari superiori occupando quindi la rima infraorbitale al di sopra delle radici dei denti. 36) Endoturbinato II° Si trova all'interno delle cavità nasali. Si tratta di una mucosa caratterizzata da un epitelio cilindrico stratificato con presenza di cellule ciliate e caliciformi mucipare. La sottomucosa presenta uno stato vascolo-ghiandolare con le caratteristiche del tessuto cavernoso. La mucosa olfattiva è formata da epitelio stratificato e comprende delle cellule specializzate: le cellule neuro-sensoriali o cellule di Schultz. Queste cellule presentano, in alto, delle espansioni che prendono il nome di ciglia olfattorie che si immergono nel muco che riveste la mucosa. All'estremità opposta tali cellule presentano gli assoni che insieme vanno a costituire i filamenti del nervo olfattivo e che passando attraverso la volta delle cavità nasali raggiungono i bulbi olfattivi della fossa cranica. 37) Osso nasale Fa parte delle ossa del massiccio frontale. Ha forma di lamina e si trova tra i processi frontali dei due mascellari, al di sotto dell’osso frontale. Completa il tetto della cavità nasale e si articola con il processo frontale dell’osso mascellare. 38) Osso della conca nasale ventrale Osso che separa il meato superiore dal meato inferiore. 39) Osso dell’incisivo L’osso incisivo si trova inferiormente alle ossa nasali, in corrispondenza dell'estremità coronaria degli incisivi superiori. Contribuisce ad allungare notevolmente la porzione splancnocranica del teschio e fornisce un supporto alle ossa nasali (molto sviluppate in relazione all’ampliamento delle cavità nasali legato al notevole sviluppo dell’olfatto). 40) Canino 41) Incisivi 42, 43) Premolare 44) Processo palatino del mascellare È una propagine che si stacca dalla parte interna delle ossa mascellari e che si estende indietro in senso orizzontale. Unendosi con il processo dell'altro lato costituisce la volta della bocca (palato) ed il pavimento delle fossa nasali. 45) Premolare 46) Premolare 47) Molare 48) Molare Tavola IV: teschio (faccia dorsale). Tavola IV: teschio (faccia dorsale). 1) Osso incisivo L’osso incisivo si trova inferiormente alle ossa nasali, in corrispondenza dell'estremità coronaria degli incisivi superiori. Contribuisce ad allungare notevolmente la porzione splancnocranica del teschio e fornisce un supporto alle ossa nasali (molto sviluppate in relazione all’ampliamento delle cavità nasali legato al notevole sviluppo dell’olfatto). 2) Canale interincisivo Fessura ossea che si trova tra le radici degli incisivi superiori. 3) Fessura palatina Fessura che si trova nella parte anteriore del palato duro. 4) Sutura internasale La sutura internasale salda fra loro le ossa nasali. 5) Osso nasale Fa parte delle ossa del massiccio frontale. Ha forma di lamina e si trova tra i processi frontali dei due mascellari, al di sotto dell’osso frontale. Completa il tetto della cavità nasale e si articola con il processo frontale dell’osso mascellare. 6) Osso mascellare L’osso mascellare è un osso che contribuisce alla formazione delle cavità orbitarie, nasali e buccale. È costituito da una capsula ossea che circoscrive un’ampia cavità (il seno mascellare). 7) Osso zigomatico L'osso zigomatico è un osso pari e simmetrico, di forma quadrangolare, che si trova lateralmente al mascellare, al di sotto dell’osso frontale ed al davanti del temporale. Riunendosi con il processo zigomatico dell’osso temporale forma l’arcata zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica e massiccio facciale. È quindi posizionato nella parte facciale del cranio tra la mascella superiore, l'osso temporale e l'osso frontale. È un osso importante per i lineamenti facciali (come l'arcata zigomatica). La sua grandezza ed il suo posizionamento definiscono l'espressività frontale. Taluni cinofili indicano lo sviluppo del muscolo e la prominenza di tale osso come corresponsabile di una esageratamente forte presa nell'abbocco della selvaggina durante la fase del riporto. Un osso zigomatico prominente non è altrettanto indice di esagerato sviluppo del muscolo zigomatico o di un suo uso esagerato durante la prensione. 8) Processo zigomatico dell’osso frontale L’osso frontale è posto nella parte anteriore del cranio e concorre a formare l’orbita. Dall'estremità più orale del frontale si stacca un processo che raggiunge il margine dorsale dell'orbita. Dall'apice di questo processo si diparte il processo zigomatico del frontale. Da ricordare che nei soggetti dolicocefali il seno frontale laterale può spingersi all'interno del processo zigomatico dell'osso frontale fino a livello dell’articolazione temporomandibolare, mentre nei brachicefali il seno frontale laterale è ridotto o assente. 9) Sutura interfrontale Articolazione del tipo sinartrosi in cui le ossa nasali sono in diretto rapporto o separate solo da un sottile strato di tessuto connettivo fibroso. 10) Osso frontale L'osso frontale fa parte della scatola cranica. È un osso piatto, impari e mediano, situato nella parte più anteriore del cranio. Entra nella costituzione della volta del cranio e della base in corrispondenza della fossa cranica anteriore. Forma inoltre gran parte del tetto delle cavità orbitarie. Si articola superiormente tramite una sutura con le due ossa parietali e lateralmente con l'osso sfenoide, inferiormente termina con la spina nasale. La sua forma ed inclinazione verso lo "stop" modellano i lineamenti espressivi della razza essendo implicati nel formare distanza ed orientamento spaziale delle orbite oculari. 11) Linea temporale Intersezione delle due superfici ossee (osso temporale e osso frontale). 12) Margine orbitale È una zona compresa tra i tessuti molli dell’occhio, l’apofisi orbitale esterna del frontale e l’apofisi orbitale dell’osso malare. Il margine orbitale è costituito da quattro ossa: osso frontale, osso zigomatico, osso mascellare, osso lacrimale. L'osso frontale si unisce con l'osso zigomatico tramite la sutura zigomaticofrontale e con l'osso mascellare tramite la sutura frontomascellare. L'osso mascellare si unisce con l'osso zigomatico tramite la sutura zigomaticomascellare. Il margine orbitario superiore è formato dall'osso frontale. Nel margine orbitale superiore vi è un forame entro cui passa il nervo, l'arteria e la vena sovraorbitaria. Il margine orbitale laterale è formato dall'osso frontale e dall'osso zigomatico. L'osso zigomatico costituisce il contrafforte orbitario. Il margine orbitario inferiore è formato dalle ossa mascellare, zigomatico e lacrimale. Inferiormente c'è il forame infraorbitario da dove esce il nervo infraorbitario. Il margine orbitario mediale è costituito dall'osso mascellare, dal processo frontale dell'osso mascellare, dall'osso frontale e dall'osso lacrimale. 13) Processo frontale dell’osso zigomatico È una sporgenza od escrescenza ossea dell'osso zigomatico. 14) Arcata zigomatica Nell’osso temporale si descrivono una parte esocranica ed una endocranica. Dalla superficie esocranica si distacca un processo orizzontale, il processo zigomatico, che con il suo apice si articola con il processo temporale dell’osso zigomatico per formare l’arcata zigomatica. 15) Sutura coronale Articolazione del tipo sinartrosi in cui osso frontale e parietale sono in diretto rapporto o separate solo da un sottile strato di tessuto connettivo fibroso. 16) Cresta sagittale esterna È formata dalla fusione della temporale che si congiunge con quella controlaterale. Su tale cresta prende inserzione il muscolo temporale. 17) Osso parietale È un osso pari, quadrangolare ed incurvato a concavità verso il basso e medialmente: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana mentre si articolano in avanti con l'osso frontale, indietro con l’osso occipitale, lateralmente con la squama e la parte mastoidea dell'osso temporale e con l'ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una faccia endocranica ed una esocranica. La faccia endocranica è concava e presenta impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi. Lungo il margine superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale. Il margine superiore è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale. Il margine inferiore presenta un margine squamoso (per l’articolazione con la squama del temporale) e un margine mastoideo (per l’articolazione con la parte mastoidea del temporale). 18) Porzione squamosa dell’osso temporale Parte dell'osso temporale che partecipa alla formazione della parete laterale della volta cranica. 19) Sutura lambdoidea Articolazione del tipo sinartrosi in cui osso parietale ed occipitale sono in diretto rapporto o separati solo da un sottile strato di tessuto connettivo fibroso. 20) Osso interparietale Osso impari di forma triangolareggiante, con la base all'osso occipitale e l'apice interposto tra le due ossa parietali. 21) Osso occipitale È un osso impari e mediano. Delimita la scatola cranica posteriormente ed inferiormente, entrando così nella costituzione della base e della volta. Mette in comunicazione il cranio con la colonna vertebrale, articolandosi con l’atlante. È attraversato dal grande foro occipitale tramite il quale la cavità craniale comunica con il canale vertebrale. Vi si possono considerare una squama, due porzioni laterali e una parte basilare che si trovano rispettivamente dietro, lateralmente ed anteriormente al foro occipitale. 22) Osso lacrimale È un osso pari, lamellare e di forma irregolare che si trova al di sotto dell’osso frontale. La faccia laterale forma la fossa del sacco lacrimale. Si articola con l’osso frontale e con il processo frontale del mascellare. Tavola V: faccia ventrale del cranio. Tavola V: faccia ventrale del cranio. 1) Fossa condiloidea ventrale Fossa che si trova nell'occipite, nella zona dei condili occipitali, vicino al processo giugulare. 2) Grande forame occipitale È un foro ovalare che attraversa la base cranica e dà passaggio al midollo spinale. 3) Condilo dell’occipitale È il bulbo della base dell'occipitale che si incastra con la prima vertebra (atlas). Partecipa a tutti i movimenti del capo (rotazione, inclinazione, flessione, estensione) assieme all'atlante, epistrofeo, odontoide, ai legamenti ed alle membrane coinvolte. 4) Canale del nervo ipoglosso È dove il nervo ipoglosso fuoriesce dal cranio dopo ave fatto il proprio percorso dal midollo spinale. 5) Forame giugulare Il forame giugulare si trova in uno spazio fra la parte condilare dell’occipite e l’osso temporale. Questo forame permette il passaggio della vena giugulare e dei nervi encefalici (nervo glossofaringeo, nervo vago e nervo accessorio). Un accenno è di dovere. Il glossofaringeo, che è sia un nervo motorio che sensorio, è responsabile per la sensazione motoria viscerale e di gusto. Esso innerva la parte posteriore della lingua, le pareti della faringe e l’orecchio medio. Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore ed alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno che è il canale dell’orecchio. Al vago si unisce lo spinale accessorio (nervo motorio) per innervare i muscoli della laringe e della faringe. 6) Porzione basilare dell’osso occipitale È una delle parti dell'osso occipitale (le altre sono la squama e le due porzioni laterali). Si trova anteriormente al foro occipitale. 7) Tubercolo muscolare o faringeo È un piccolo nodulo presente al centro della faccia esterna della parte basilare dell'osso occipitale. 8) Forame carotico esterno Si trova in prossimità della fossa giugulare. Il foro sfocia in un canale che si apre poi all'interno del cranio con il forame carotico interno. 9) Processo muscolare del petroso L'osso petroso contiene l'orecchio interno e da questa zona si dipartono quindi molte terminazioni nervose. Tra le più importanti troviamo le fibre sensitive uditive e quelle dell'equilibrio. In visione il processo muscolare di quest'osso. 10) Bolla timpanica La bolla timpanica (detta anche cavità timpanica), è uno dei costituenti dell'orecchio medio assieme al timpano ed alla tuba uditiva. È composta da tre ossicini (martello, incudine, staffa). La bolla timpanica costituisce la maggior parte dell’orecchio medio. Ad esclusione dei piccoli muscoli che permettono il movimento dei tre ossicini, nell’orecchio medio non esistono altre strutture muscolari. Al contrario, le strutture nervose che ritroviamo a livello dell'orecchio medio sono estremamente importanti. In generale possiamo dividere i nervi dell’orecchio medio in due gruppi: nervi propri all’orecchio medio e nervi che transitano nell’orecchio medio ma che sono diretti verso altri distretti. In particolare, le fibre nervose simpatiche dirette all’occhio ed alle strutture orbitali decorrono al di sotto della superficie ossea. 11) Meato temporale È un condotto fibro-cartilagineo-osseo che mette in comunicazione il padiglione dell’orecchio con l’orecchio medio. 12) Fessura petrotimpanica Si trova nella zona del processo zigomatico. La fessura petrotimpanica divide la fossa mandibolare in una parte anteriore ed una posteriore. 13) Processo retroarticolare Piccola proiezione dell’osso articolare formante una parte del sistema di giunzione delle fauci. 14) Fossa mandibolare Depressione o fossa dell'osso temporale nella quale si posiziona ed articola il condilo mandibolare. È una profonda cavità rivolta inferiormente che si localizza tra la radice trasversa ed orizzontale del processo zigomatico. 15) Forame ovale È un foro che dà passaggio al nervo mandibolare ed all’arteria piccola meningea. Si trova in prossimità del margine convesso delle grandi ali dello sfenoide sulla faccia endocranica. 16) Corpo dell’osso basisfenoide L'osso basisfenoide è uno dei due costituenti (quello inferoposteriore) dell'osso sfenoide. L'altro, il presfenoide, si trova invece nella parte anteriore. Il basisfenoide è articolato aboralmente con il basioccipitale e presenta lateralmente l’ala temporale che si articola con la squama temporale. 17) Forame alare aborale Il forame alare è quel canale che attraversa la base del processo pterigoideo. In visione la parte aborale. 18) Forame alare orale Il forame alare è quel canale che attraversa la base del processo pterigoideo. In visione la parte orale. 19) Fessura orbitale È la fessura nella quale il nervo oculomotore penetra nell’orbita. 20) Canale ottico E’ l’orifizio dell’apice orbitario: dà passaggio al nervo sensoriale dell’occhio (nervo ottico) e all’arteria oftalmica (che è una collaterale della carotide interna). Il canale ottico è caratterizzato da un’imboccatura anteriore (orbitaria) e da un foro di uscita posteriore (endocranico) che mette in comunicazione l’orbita con la fossa cranica media. 21) Corpo dell’osso presfenoide Il presfenoide, insieme al basisfenoide, costituisce il corpo dell'osso sfenoide. Dal presfenoide origina l'ala orbitaria orientata verso l'alto e l'esterno e si articola con l'osso frontale. 22) Osso pterigoideo Lo pterigoideo costituisce la parte inferiore (lamina mediale e lamina laterale) dell'osso sfenoide. 23) Forame etmoidale Si trova sulla lamina cribrosa e dà passaggio a vena, arteria e nervo etmoidale. 24) Lamina perpendicolare dell’osso palatino L'osso palatino, un osso pari di forma irregolare, è costituito da due lamine che si incontrano ad angolo retto, di cui una verticale che si applica medialmente all’osso mascellare. La lamina verticale, denominata parte perpendicolare dell’osso, presenta una faccia mediale che completa indietro la parete laterale delle cavità nasali. Dal punto d’incontro delle due lamine dell’osso palatino ha origine il voluminoso processo piramidale. 25) Coane Dette anche narici interne od aperture nasali posteriori, sono due orefizi a sezione ovalare che si trovano posteriormente alla fossa nasale (fra la cavità nasale e la faringe) e che le mette in comunicazione con la parte superiore della faringe. 26) Lamina orizzontale dell’osso palatino La lamina orizzontale dell'osso palatino ha forma di “L” e concorre a formare il pavimento delle cavità nasali assieme al processo palatino dell'osso mascellare. 27) Forame palatino maggiore Il forame palatino maggiore si trova anteriormente ai fori palatini minori e più precisamente dove la piramide del palatino si inserziona fra il mascellare e la lamina laterale del processo pterigoideo dello sfenoide. L'arteria palatina posteriore emerge dal foro palatino maggiore e provvede alla vascolarizzazione del palato. 28) Solco palatino È il solco del palato che si estende bilateralmente sul tetto della cavità buccale. 29) Canale interincisivo Fessura ossea che si trova tra le radici degli incisivi superiori. 30) Corpo dell’osso incisivo L’osso incisivo si trova inferiormente alle ossa nasali in corrispondenza dell'estremità coronaria degli incisivi superiori. Contribuisce ad allungare notevolmente la porzione splancnocranica del teschio e fornisce un supporto alle ossa nasali (molto sviluppate in relazione all’ampliamento delle cavità nasali legato al notevole sviluppo dell’olfatto). 31) I° incisivo 32) II° incisivo 33) III° incisivo 34) Canino 35) Fessura palatina Fessura che si trova nella parte anteriore del palato duro. 36) I° premolare 37) II° premolare 38) III° premolare 39) IV° premolare 40) I° molare 41) II° molare 42) Processo temporale dell’osso zigomatico Prominenza che forma l'arcata zigomatica articolandosi con il processo zigomatico. 43) Processo zigomatico dell’osso temporale Il processo zigomatico dell'osso temporale è una sottile e lunga prominenza ossea che assomiglia ad un prolungato emicilindro, sporgente in avanti e diretto quasi orizzontalmente. La faccia inferiore dell'arco zigomatico forma la porzione anteriore dell'area articolare della temporomandibolare. Assieme all'osso zigomatico forma l’arcata zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica e massiccio facciale. 44) Forame stilomastoideo Foro che si trova tra il processo mastoideo ed il processo stiloideo. Il forame è attraversato da nervi della mimica facciale e del senso del gusto. 45) Processo giugulare È una protuberanza ossea dell'occipite. Si trova nella parte inferiore dell'osso occipitale. 46) Protuberanza occipitale esterna È una sporgenza posta sulla squama dell'osso occipitale corrispondente alla protuberanza interna e data dall'incrocio delle creste dell'eminenza crociata. Tavola VI: muscoli pellicciai (lato destro della faccia). Tavola VI: muscoli pellicciai (lato destro della faccia). 1) Muscolo orbicolare delle labbra È un muscolo impari costituito da fibre muscolari cutanee che convergono verso le labbra. Le labbra sono due pieghe cutaneo mucose. Vi si considerano una parte esterna e una parte interna. La parte esterna comprende fasci che provengono da vari muscoli. Alcuni fasci della porzione esterna si inseriscono alla faccia profonda della cute labiale, in vicinanza della linea mediana e della cute che riveste il contorno posteriore della narice. La parte interna del muscolo orbicolare è formata da una anello posto in vicinanza del margine libero delle labbra. Tale anello è costituito da una parte superiore (labbro superiore) e da una parte inferiore (labbro inferiore), che si incrociano a livello delle commessure, inserendosi alla faccia profonda della cute e della mucosa. In vicinanza del margine libero delle labbra si trovano fasci che si dirigono sagittalmente dalla faccia profonda della cute alla faccia profonda della mucosa. 2) Muscolo malare o zigomatico È un muscolo fusiforme che prende origine sulla faccia laterale dall’osso zigomatico e serve a portare in alto, lateralmente ed indietro la commessura della bocca. Si porta in basso e medialmente per attaccarsi alla cute della commessura labiale dove manda alcuni fasci muscolari sul muscolo orbicolare della bocca. Inoltre riceve fasci di fibre dal muscolo orbicolare dell'occhio. 3) Porzione inferiore del muscolo orbicolare delle palpebre Porzione di muscolo a forma ellittica che si dispone intorno all'occhio. La chiusura delle palpebre avviene attraverso l'azione del muscolo orbicolare. Questo muscolo è innervato dal nervo facciale. 4) Muscolo detrattore dell’angolo laterale dell’occhio 5) Porzione superiore del muscolo orbicolare delle palpebre Porzione di muscolo a forma ellittica che si dispone intorno all'occhio. La chiusura delle palpebre avviene attraverso l'azione del muscolo orbicolare. Questo muscolo è innervato dal nervo facciale. 6) Muscolo zigomatico Muscolo mimico pertinente all'arco zigomatico e capace di sollevare ed incurvare le labbra. 7) Ramo zigomatico del nervo auricolopalpebrale Si tratta del ramo zigomatico del nervo motorio del battito palpebrale (branca terminale del nervo facciale). 8, 9) Muscolo frontale Il muscolo frontale è un sottile muscolo pellicciaio che ricopre la superficie anteriore esterna del cranio. Non ha origini od inserzioni ossee ed è innervato dalla branca temporale del nervo facciale. Le sue fibre si fondono con l'orbicolare dell'occhio. 10) Muscolo interscutulare È un muscolo superficiale mimico che concorre all'innalzamento del padiglione auricolare mentre corruga l'epidermide sopra il cranio (il corrugare è più visibile nei cani a pelo corto). 11) Cartilagine scutiforme Piccola lamina cartilaginea posta alla base del padiglione. 12) Muscolo zigomaticoauricolare 13) Muscolo zigomatico Muscolo pertinente all'arco zigomatico capace di sollevare ed incurvare le labbra. 14) Muscolo parotidoauricolare Piccolo muscolo diagonale che unisce la zona parotidea alla base del condotto auricolare fino al collo. La sua contrazione permette alcuni movimenti del padiglione auricolare. 15) Ghiandola parotide È la più grande tra le ghiandole salivari. È deputata alla produzione della saliva. 16) Muscolo pellicciaio del collo Fa parte dei muscoli laterali del collo. I suoi fasci originano dalla parte anteriore del torace e della superficie anteriore della spalla e si dirigono in avanti medialmente per inserirsi a livello del massetere, delle commessure labiali e della faccia esterna del corpo mandibolare. 17) II° nervo cervicale Il secondo nervo cervicale emerge dal canale spinale tra le lamine dell'atlante e dell'epistrofeo, differendo dai nervi sottostanti perché a questo livello non c’è il forame di coniugazione. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 18) Muscolo pellicciaio del collo Fa parte dei muscoli laterali del collo. I suoi fasci originano dalla parte anteriore del torace e della superficie anteriore della spalla e si dirigono in avanti medialmente per inserirsi a livello del massetere, delle commessure labiali e della faccia esterna del corpo mandibolare. 19) Parti aberranti del muscolo zigomatico Termine che indica la condizione di una formazione muscolare del zigomatico che si discosta dalla normale morfologia muscolare. 20, 21) Muscolo sfintere primitivo del collo Muscolo di forma anulare posto attorno al collo; tale muscolo, contraendosi, provvede a sostenere le strutture che avvolge (e che non potrebbero essere sostenute dal solo tessuto muscolare sottocutaneo). 22) Vena giugulare esterna La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. 23) III° nervo cervicale Emerge superiormente alla terza vertebra cervicale. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo. Il terzo nervo cervicale concorre (con alcune fibre) alla formazione dei nervi frenici prima della formazione del plesso brachiale. 24) Muscolo sfintere superficiale del collo 25) Muscolo elevatore dell'angolo mediale dell'occhio È un piccolo e breve muscolo posizionato all'estremità mediale del sopracciglio (tira il sopracciglio in basso e medialmente). Origina dall'estremità mediale dell'arcata sopraccigliare e le sue fibre passano sopra e lateralmente, fra la palpebra e la porzione orbitale dell'orbicolare dell'occhio e si vanno ad inserire sulla superficie profonda della pelle, sopra il centro dell'arcata orbitale. Appartiene ai muscoli palpebrali (assieme all'orbicolare dell'occhio). Consente i movimenti palpebrali per la pulizia e l'idratazione corneale e la chiusura volontaria delle palpebre. Tavola VII: lato destro della faccia al di sotto dello strato dei muscoli pellicciai. Tavola VII: lato destro della faccia al di sotto dello strato dei muscoli pellicciai. 1) Muscolo cleidocervicale Il muscolo cleidocervicale fa parte del muscolo cleidocefalico che a sua volta costituisce la parte craniale del muscolo brachiocefalico. 2) II° nervo cervicale Il secondo nervo cervicale emerge dal canale spinale tra le lamine dell'atlante e dell'epistrofeo, differendo dai nervi sottostanti perché a questo livello non c’è il forame di coniugazione. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 3) III° nervo cervicale Emerge superiormente alla terza vertebra cervicale. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo. Il terzo nervo cervicale concorre (con alcune fibre) alla formazione dei nervi frenici prima della formazione del plesso brachiale. 4) Vena giugulare esterna La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. 5) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 6) Muscolo sternomastoideo Lo sternomastoideo è alloggiato lungo il margine della spalla. È innervato dal nervo accessorio spinale e da rami dei nervi cervicali C2 e C3. Fa parte dei muscoli del collo ed occupa tutta la regione omonima e ne costituisce la parte fondamentale. Serve a flettere ed inclinare lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto. 7, 8) Muscolo sternoioideo Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. 9) Ghiandola mandibolare È una delle ghiandole salivari maggiori. 10) Vena linguale La vena linguale decorre nella zona sottolinguale a fianco al nervo ipoglosso che innerva i muscoli della lingua. Il sangue refluo di tali muscoli viene raccolto da questa vena tramite i rami confluenti. 11) Vena mascellare (in blu) e nervo facciale (in giallo) -- È la vena che raccoglie il sangue refluo delle venule efferenti la mascella che confluiscono nel plesso pterigoideo e da cui si diparte la vena mascellare che sfocia nella vena facciale. -- Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. 12) Muscolo parotidoauricolare Piccolo muscolo diagonale che unisce la zona parotidea alla base del condotto auricolare fino al collo. La sua contrazione permette alcuni movimenti del padiglione auricolare. 13) Ghiandola parotide È la più grande tra le ghiandole salivari. 14) Nervo auricolopalpebrale Nervo motorio del battito palpebrale (branca terminale del nervo facciale). 15) Nervo auricolopalpebrale - ramo palpebrale inferiore Nervo motorio del battito palpebrale (branca terminale del nervo facciale). In visione la branca terminale. 16) Dotto parotideo Dotto escretore della ghiandola parotide tramite il quale la saliva arriva alla bocca. 17) Nervo facciale (ramo boccale inferiore) Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale inferiore. 18) Muscolo digastrico - ventre rostrale Fa parte dei muscoli abbassatori, cioè quelli che spingono la mandibola verso il basso. Origina dall’osso ioide e si inserisce sull’apice della scapola. Il digastrico presenta due ventri, anteriore e posteriore, con un tendine intermedio. Il ventre posteriore inizia dall'incisura mastoidea del temporale e si continua, in basso ed in avanti, nel tendine intermedio che è collegato all'osso ioide per mezzo di un'ansa fibrosa. Il ventre anteriore si porta dal tendine intermedio alla fossetta digastrica della mandibola. Durante la masticazione la presenza di un'organizzazione centrale del riflesso nocicettivo, analoga a quanto presente nelle altre parti dell'organismo (riflessi flessori), non permette al massetere ed al digastrico di eccitarsi contemporaneamente (contrazione). Inoltre sussiste una risposta riflessa che comporta la rapida decontrazione del massetere e la contrazione del muscolo digastrico, impedendo l'occlusione violenta delle arcate dentarie con possibili traumi. Questo si nota nel momento in cui la struttura di un succulento osso cede sotto la forza di masticazione di un cane. In visione il ventre rostrale. 19) Muscolo massetere Il massetere è uno dei muscoli masticatori. È inserito, da un lato sull’arcata zigomatica e dall’altro sulla faccia esterna della mandibola. Consente l’innalzamento della mandibola favorendo la masticazione. Le sue azioni principali sono il sollevamento e la protrusione della mandibola. Il muscolo massetere è innervato dal ramo del nervo mandibolare tramite il ramo masseterino (nervo trigemino). 20) Nervo facciale (ramo boccale dorsale) Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale dorsale. 21) Arcata zigomatica Nell’osso temporale si descrivono una parte esocranica ed una endocranica. Dalla superficie esocranica si distacca un processo orizzontale, il processo zigomatico, che con il suo apice si articola con il processo temporale dell’osso zigomatico per formare l’arcata zigomatica. 22) Arteria e vena temporale superficiale -- L'arteria temporale superficiale è un ramo collaterale della arteria carotide esterna che si porta sopra all'arcata zigomatica ed entra nella fossa temporale. Si divide poi in un ramo frontale ed in un ramo parietale. Lungo il suo decorso emette l'arteria trasversa della faccia che si anastomizza con l'arteria facciale, le arterie temporali medie e l'arteria timpanica anteriore. Altre anastomosi si compiono con le arterie sovraorbitaria e sovratrocleare. L'arteria temporale superficiale raggiunge anche la porzione posteriore della capsula dell'articolazione temporomandibolare. -- La vena temporale superficiale raccoglie il sangue refluo dai distretti sopra menzionati. 23) Muscolo temporale Il temporale è il muscolo elevatore della mandibola (masticazione). È di forma simile ad un triangolo (con l'apice verso il basso) ed occupa la regione laterale del cranio. I fasci di fibre che lo costituiscono originano dalla fossa temporale e si fissano sul processo coronoideo. Innervano tale muscolo i rami profondi del nervo mandibolare. È irrorato dall'arterie temporali. 24) Osso frontale L'osso frontale è parte della scatola cranica. È un osso piatto, impari e mediano, situato nella parte anteriore del cranio. Entra nella costituzione della volta e della base del cranio in corrispondenza della fossa cranica anteriore e del tetto delle cavità orbitarie. Si articola superiormente tramite una sutura con le due ossa parietali e lateralmente con l'osso sfenoide. La sua forma ed inclinazione (salto craniofacciale) modellano i lineamenti espressivi della razza essendo implicati nel formare distanza ed orientamento spaziale delle orbite oculari. 25) Nervo auricolotemporale - ramo traverso della faccia Il nervo auricolotemporale è uno dei nervi sensitivi del nervo mandibolare (ramo del trigemino). Durante il suo decorso avvolge l’arteria meningea media per poi terminare nella cute in prossimità della zona temporale. In visione il ramo trasverso della faccia. 26) Nervo facciale - ramo anastomotico tra i rami boccali Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo anastomotico tra i rami boccali. 27) Mandibola È un osso impari, mediano e simmetrico che si articola con l’osso temporale ed accoglie nell’arcata alveolare i denti inferiori. Ha la forma di un ferro di cavallo con concavità posteriore ed è composto da due rami che fanno seguito all’estremità posteriore. Il margine superiore è il processo alveolare in cui sono scavati gli alveoli dentali. 28) Vena labiale inferiore (in blu) e nervo boccale (in giallo) -- La vena labiale inferiore decorre sotto la cute del labbro inferiore e si getta nella vena mascellare esterna. -- È un ramo motore del nervo mandibolare che provvede all'innervazione del muscolo pterigoideo (muscolo masticatore). 29) Muscolo buccinatore Sottile ma ampio muscolo che serve per comprimere le "guance" contro i denti e per contrarre l’angolo della bocca. 30) Vena facciale Raccoglie il sangue refluo della vena oftalmica inferiore e della parte epidermica della zona frontale. Termina nella giugulare interna. 31) Muscolo buccinatore - parte buccale Sottile ma ampio muscolo che serve per comprimere le "guance" contro i denti e per contrarre l’angolo della bocca. In visione la parte buccale. 32) Nervo facciale - ramo boccale inferiore Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale inferiore. 33) Muscolo orbicolare delle labbra È un muscolo impari costituito da fibre muscolari cutanee che convergono verso le labbra. Le labbra sono due pieghe cutaneo mucose. Vi si considerano una parte esterna e una parte interna. La parte esterna comprende fasci che provengono da vari muscoli. Alcuni fasci della porzione esterna si inseriscono alla faccia profonda della cute labiale, in vicinanza della linea mediana e della cute che riveste il contorno posteriore della narice. La parte interna del muscolo orbicolare è formata da una anello posto in vicinanza del margine libero delle labbra. Tale anello è costituito da una parte superiore (labbro superiore) e da una parte inferiore (labbro inferiore), che si incrociano a livello delle commessure, inserendosi alla faccia profonda della cute e della mucosa. In vicinanza del margine libero delle labbra si trovano fasci che si dirigono sagittalmente dalla faccia profonda della cute alla faccia profonda della mucosa. 34) Muscolo elevatore nasolabiale e vena angolare dell’occhio (in blu) -- Il muscolo elevatore nasolabiale prende origine sotto il margine inferiore dell’orbita e si inserisce, infiltrandosi nelle fibre dell’orbicolare che si trovano nel labbro superiore, in vicinanza della commessura della bocca. Contraendosi determina l’innalzamento del labbro superiore. -- La vena angolare, affluente della vena oftalmica, raccoglie il sangue refluo della parte superficiale del naso. 35) Muscolo orbicolare delle labbra È un muscolo impari costituito da fibre muscolari cutanee che convergono verso le labbra. Le labbra sono due pieghe cutaneo mucose. Vi si considerano una parte esterna e una parte interna. La parte esterna comprende fasci che provengono da vari muscoli. Alcuni fasci della porzione esterna si inseriscono alla faccia profonda della cute labiale, in vicinanza della linea mediana e della cute che riveste il contorno posteriore della narice. La parte interna del muscolo orbicolare è formata da una anello posto in vicinanza del margine libero delle labbra. Tale anello è costituito da una parte superiore (labbro superiore) e da una parte inferiore (labbro inferiore), che si incrociano a livello delle commessure, inserendosi alla faccia profonda della cute e della mucosa. In vicinanza del margine libero delle labbra si trovano fasci che si dirigono sagittalmente dalla faccia profonda della cute alla faccia profonda della mucosa. 36) Nervo facciale (ramo boccale dorsale) Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale dorsale. 37) Muscolo canino Appartiene ai muscoli mimici del muso. Origina attorno al muscolo orbicolare dell'occhio per inserirsi alle fibre dell'orbicolare della bocca. 38) Vena labiale superiore Decorre sotto la cute e si getta nella vena facciale. Raccoglie il sangue refluo della porzione inferiore del labbro superiore. 39) Vena laterale del naso Raccoglie il sangue refluo del muscolo elevatore del labbro superiore e della cute annessa. 40) Vena dorsale del naso Raccoglie il sangue refluo delle cartilagini nasali. 41) Muscolo elevatore del labbro superiore Prende origine sotto il margine inferiore dell’orbita oculare e si inserisce, infiltrandosi nelle fibre dell’orbicolare che si trovano nel labbro superiore, all'altezza della commessura della bocca. Contraendosi determina l’innalzamento del labbro superiore. 42) Vena mascellare esterna È la vena che raccoglie il sangue refluo delle venule efferenti la mascella che confluiscono nel plesso pterigoideo e da cui si diparte la vena mascellare che sfocia nella vena facciale. 43) Linfonodi mandibolari I linfonodi mandibolari sono degli organi del sistema linfatico. Funzionano come dei filtri raccogliendo e distruggendo batteri e virus grazie alla folta presenza di linfociti. Si trovano caudolateralmente all’angolo della mandibola e caudoventralmente al muscolo massetere. 44) Vena submentale Raccoglie il sangue refluo della ghiandola sottolinguale, del muscolo miloioideo e del muscolo genoioideo. 45) Muscolo miloioideo Appartiene ai muscoli abbassatori, ossia quelli che spingono la mandibola verso il basso. È di forma quadrilatera e si tende tra la mandibola e l’osso ioide formando il pavimento della bocca. Le sue fibre si inseriscono da un lato sulla linea miloioidea della mandibola e dall’altro su di una cucitura fibrosa tesa tra la mandibola e l’osso ioide. Le fibre più laterali del muscolo raggiungono direttamente il corpo dell’osso ioide. Il muscolo miloioideo è innervato dal ramo miloioideo del nervo alveolare inferiore ed irrorato dall’arteria submentale e sottolinguale. 46) Arcata venosa ioidea Vena a forma di arco che si trova vicino all'osso ioide e che raccoglie il sangue refluo della zona ioidea, della vena linguale e sottolinguale. Tavola VIII: lato destro della faccia dopo rimozione della mandibola. Tavola VIII: lato destro della faccia dopo rimozione della mandibola. 1) Ghiandola tiroide La tiroide è una ghiandola situata nella regione anteriore del collo, davanti alla laringe. La tiroide è fissata alla laringe ed alla trachea. Anteriormente e lateralmente la tiroide è ricoperta dai muscoli sottoioidei. Posteriormente si trovano l’arteria carotide, la vena giugulare interna ed il nervo vago. La ghiandola tiroidea è costituita da piccole cavità (follicoli) contenenti gli ormoni tiroidei. Questi vengono sintetizzati dalle cellule che circondano i follicoli, quindi riversati nella cavità e accumulati. Successivamente gli ormoni tiroidei vengono secreti nel sangue che li trasporta in tutto l’organismo dove esplicano le loro funzioni. Gli ormoni tiroidei hanno un vasto campo d'azione ed interagiscono con quasi tutti i distretti dell'organismo; aumentano il consumo di ossigeno e la produzione di calore (termoregolazione), aumentano il metabolismo del colesterolo, aumentano l'assorbimento intestinale dei carboidrati e diminuiscono il glicogeno epatico, aumentano l'attività del sistema simpatico, stimolano il Sistema Nervoso Centrale, stimolano la normale crescita e sviluppo corporeo. La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei è controllata da ghiandole presenti nel cervello: ipotalamo ed ipofisi. La vascolarizzazione della tiroide è garantita dalle arterie tiroidee superiori ed inferiori, rami della carotide esterna. Il sistema venoso è costituito dalle vene tiroidee superiori ed inferiori ed è tributario delle vene giugulari interne. L'innervazione deriva principalmente dal sistema nervoso autonomo, avendo come funzione principale la regolazione del flusso sanguigno. 2) Vena tiroidea caudale È una delle vene che assicura il drenaggio venoso della tiroide. 3) Muscolo cricotiroideo Fa parte dei muscoli tensori delle corde vocali. Tale muscolo permette, attraverso il basculamento in avanti ed in basso della cartilagine tiroidea su quella cricoidea, l’allungamento interno delle corde vocali, gestendo così il settore tonale acuto dei suoni. Questo è in genere accompagnato anche da innalzamento della laringe e conseguente irrigidimento del corpo cordale. L’innervazione della tiroide è fornita dal simpatico cervicale e dal nervo vago principalmente attraverso i nervi laringei superiori ed inferiori responsabili della fonazione. I superiori hanno una branca esterna che innerva il muscolo cricotiroideo. 4) Muscolo sternoioideo, cartilagine tiroide (in grigio) -- Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. -- La cartilagine tiroidea è una delle tre diverse cartilagini che formano la laringe circondando e proteggendo la glottide (zona di entrata dell'aria inspirata). Ha la forma di scudo con la funzione di proteggere frontalmente la laringe e le sue corde vocali. Si articola superiormente con la cartilagine epiglottide ed inferiormente con la cartilagine cricoide. 5) Arcata venosa ioidea Vena a forma di arco che si trova vicino all'osso ioide e che raccoglie il sangue refluo della zona ioidea, della vena linguale e sottolinguale. 6) Trachea È compresa tra laringe e bronchi, situata lungo la linea mediana davanti all’esofago. È formato da una serie di anelli cartilaginei tenuti assieme da legamenti. Gli anelli non si saldano completamente nel quarto posteriore, dove la parete è sostituita dalla membrana fibrosa ricca di fibrocellule muscolari lisce, che riveste esternamente tutto il canale cartilagineo. La trachea è irrorata da una rete di arteriole alimentate dalle arterie tiroidee. Le vene che raccolgono il sangue refluo fanno capo alle vene tiroidee ed esofagee. L’innervazione è garantita da rami provenienti dal ganglio stellato e dai nervi ricorrenti del vago. 7) Muscolo sternotiroideo Muscolo anteriore del collo che origina dall’osso ioide e si inserisce sullo sterno. Appartiene ai muscoli sottoioidei che fungono da depressori dell'osso ioide durante la deglutizione e la fonazione. I muscoli sottoioidei (muscolo sternoiodeo, sternotiroideo, tiroioideo, omoioideo) normalmente vengono considerati esclusivamente muscoli della fonazione. In realtà essi, essendo inseriti tra osso ioide, cartilagine tiroidea e lo sterno, concorrono attivamente durante la masticazione: contraendosi fissano/abbassano l'osso ioide consentendo ai muscoli sovraiodei di abbassare la mandibola. Quando sono rilassati lasciano libero l'osso ioide di risalire, sempre grazie all'azione dei muscoli sovraioidei, durante la deglutizione. La vascolarizzazione del muscolo sternotiroideo avviene tramite le arterie tiroidee (rami della carotide esterna) e le vene tiroidee. 8) Muscolo tirofaringeo Il muscolo tirofaringeo si inserisce sulla faccia esterna della cartilagine tiroide a livello della linea obliqua. Fa parte del muscolo costrittore inferiore che consente l'avvicinamento posteroanteriore e alterolaterale delle pareti della faringe e la portano verso l'alto accorciandola grazie alla direzione obliqua ed ascendente di un certo numero di fibre muscolari. 9) Muscolo tiroioideo È situato profondamente ai muscoli sternoioideo e omoioideo e superficialmente alla cartilagine tiroidea ed alla membrana tiroioidea. Anch'esso partecipa alla fonazione. 10) Muscolo lungo del capo Appartiene ai muscoli prevertebrali. Il muscolo lungo della capo serve a flettere e ruotare la testa. 11) Tronco carotideo del nervo vago simpatico Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore ed alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno, che è il canale dell’orecchio. In visione il tronco carotideo. In visione il tronco carotideo. 12) Muscolo lunghissimo dell’atlante Il muscolo lunghissimo dell’atlante fa parte di un gruppo particolare di muscoli (muscoli suboccipitali) che hanno origine nella colonna vertebrale ed inserzione sul cranio. Decorre, nella parte occipitale, parallelamente al muscolo lungo del capo. 13) Nervo vago simpatico, arteria carotide comune, vena giugulare interna -- Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore e alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno, che è il canale dell’orecchio. -- Arteria pari che nella regione del collo entra a far parte del fascio vascolo-nervoso del collo insieme con la vena giugulare interna ed il nervo vago. Arriva fino al margine superiore della cartilagine tiroidea dove si divide nei suoi due rami terminali (l´arteria carotide interna ed esterna). La carotide interna irrora l' encefalo. La carotide esterna irrora le regioni superficiali e profonde del neurocranio e dello splancnocranio (arterie mascellari). Il ramo terminale è l'arteria oftalmica che passando attraverso il foro ottico irrora il globo oculare. -- La vena giugulare interna è un grosso vaso venoso che attraversa in modo obliquo (dall'alto in basso e da dietro in avanti) la regione laterale del collo, dalla base cranica fino all'apertura superiore della cassa toracica. Decorre lateralmente all'arteria carotide. 14) Arteria occipitale, nervo accessorio (in giallo) -- L'arteria occipitale è un ramo dell'arteria carotide esterna che si porta verso il processo mastoideo. I suoi rami terminali irrorano la regione posteriore della testa, il muscolo occipitale e la regione nucale. Inoltre manda rami per la mastoide e per il collo che sono sia cutanei che muscolari. -- Il nervo accessorio contiene fibre motorie che si distribuiscono con i rami faringei e laringei del nervo vago e fibre che innervano i muscoli del palato molle. Provvede anche all’innervazione motoria dei muscoli rotatori e flessori-estensori della testa. 15) I° nervo cervicale È un nervo esclusivamente motore. Il nervo C1 (chiamato anche così per il punto da cui emerge) emerge tra l’osso occipitale e la prima vertebra cervicale o atlante (vertebra C1). Le fibre che nascono da questo nervo danno origine, assieme agli altri tre nervi cervicali, al plesso cervicale che innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 16) Muscolo retto laterale del capo Fa parte dei muscoli prevertebrali. Il muscolo retto laterale permette l'inclinazione laterale della testa. 17) Muscolo cleidocervicale Il muscolo cleidocervicale fa parte del muscolo cleidocefalico che a sua volta costituisce la parte craniale del muscolo brachiocefalico. 18) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno (manubrio) e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 19) Muscolo sternomastoideo Lo sternomastoideo è alloggiato lungo il margine della spalla. È innervato dal nervo accessorio spinale e da rami dei nervi cervicali C2 e C3. Fa parte dei muscoli del collo ed occupa tutta la regione omonima e ne costituisce la parte fondamentale. Serve a flettere ed inclinare lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto. 20) Nervo facciale (in giallo), vena mascellare interna (in blu) -- Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. -- La vena mascellare interna raccoglie il sangue refluo delle venule efferenti la mascella che confluiscono nel plesso pterigoideo e da cui si diparte la vena mascellare che sfocia nella vena facciale. 21) Muscolo digastrico Fa parte dei muscoli abbassatori, cioè quelli che spingono la mandibola verso il basso. Origina dall’osso ioide e si inserisce sull’apice della scapola. Il digastrico presenta due ventri, anteriore e posteriore, con un tendine intermedio. Il ventre posteriore inizia dall'incisura mastoidea del temporale e si continua, in basso ed in avanti, nel tendine intermedio che è collegato all'osso ioide per mezzo di un'ansa fibrosa. Il ventre anteriore si porta dal tendine intermedio alla fossetta digastrica della mandibola. Durante la masticazione la presenza di un'organizzazione centrale del riflesso nocicettivo, analoga a quanto presente nelle altre parti dell'organismo (riflessi flessori), non permette al massetere ed al digastrico di eccitarsi contemporaneamente (contrazione). Inoltre sussiste una risposta riflessa che comporta la rapida decontrazione del massetere e la contrazione del muscolo digastrico, impedendo l'occlusione violenta delle arcate dentarie con possibili traumi. Questo si nota nel momento in cui la struttura di un succulento osso cede sotto la forza di masticazione di un cane. 22) Muscolo iofaringeo 23) Arteria linguale (in rosso), nervo ipoglosso (in giallo) -- Origina all'altezza dell'osso ioide in corrispondenza dell'apice della lingua. Decorre profondamente al ventre posteriore del muscolo digastrico e al muscolo stiloideo; transita inferiormente al muscolo ioglosso che lo separa dal nervo ipoglosso, dalla vena linguale e dalla ghiandola sottomandibolare; decorre, quindi, verso l'alto tra il muscolo genioglosso e il muscolo ioglosso e, dopo avere emesso l'arteria sottolinguale, termina come arteria profonda della lingua. I rami collaterali dell'arteria linguale sono: l'arteria sopraioidea, un ramo dorsale della lingua e l'arteria sottolinguale. -- Il nervo ipoglosso è composto da fibre motrici somatiche che originano dal nucleo del nervo ipoglosso. Innerva i muscoli della lingua e delle regioni sopra e sottoioidea, emerge poi dal bulbo con una serie di radicole. Queste confluiscono in due o tre tronchi per formare un unico nervo che fuoriesce dalla cavità cranica passando per il canale omonimo dirigendosi verso la lingua. Decorre tra l'arteria carotide interna, il nervo vago e la vena giugulare interna. Raggiunta la regione sopraioidea, sì applica sulla superficie esterna del muscolo ipoglosso. Decorre poi parallelo all'osso ioide ed insieme alla vena linguale giunge alla loggia sottolinguale dove si suddivide in un ciuffo di rami terminali (rami linguali) distribuendosi ai muscoli della lingua. 24) Vena linguale profonda La vena linguale decorre nella zona sottolinguale a fianco al nervo ipoglosso (che innerva i muscoli della lingua). Il sangue refluo di tali muscoli viene raccolto da questa vena tramite i rami confluenti. 25) Muscolo stiloglosso, vena sottolinguale (in blu) -- Fa parte dei muscoli sopraioidei. Il muscolo stiloglosso origina dal processo stiloideo del temporale e dal legamento stilomandibolare inserendosi nelle parti laterali della lingua. Innervato dal nervo ipoglosso, ha funzione di retrazione della lingua. -- La vena sottolinguale raccoglie il sangue refluo dei muscoli genioglosso, ioglosso e dalle ghiandole sottolinguali. 26) Ghiandola sottolinguale, dotto sottolinguale (in verde) -- La ghiandola sottolinguale è una delle ghiandole salivari maggiori. È una ghiandola pari (formata da un aggregato di piccoli lobuli) posta nella loggia sottolinguale. È innervata dal nervo sottolinguale mentre la circolazione sanguigna è garantita dall'arteria sotto mentale e dalla vena linguale. Verso l'alto confina con la mucosa della cavità orale, lateralmente con la mandibola, verso il basso con i muscoli genoioideo e miloioideo. -- È, come dice il nome stesso, il dotto che trasporta la saliva dalla ghiandola sottolinguale fino sotto la lingua. 27) Arteria mascellare (in rosso), dotto mandibolare (sottomascellare) (in verde) -- L'arteria mascellare è un importante vaso arterioso che dà origine all'arteria masseterina (per irrorare il muscolo massetere), alle arterie temporali (per il muscolo temporale), all'arteria alveolare, all'arteria infraorbitale (per le palpebre inferiori, l'orbita, le ghiandole lacrimali, la cute del labbro superiore, la regione zigomatica, i seni mascellari), all'arteria buccale per il muscolo buccinatore e la mucosa della guancia, all'arteria palatina (che dà origine a rami nasali e irrora tutto il palato) e all'arteria sfenopalatina. Genera inoltre i rami dentali (che alimentano le radici dei denti dell'arcata inferiore, le radici dei canini, degli incisivi superiori, dei premolari e molari superiori, seni mascellari e gengiva superiore). Irrora i muscoli pterigoidei, il miloioideo e la regione del mento. -- È, come dice il nome stesso, il dotto che trasporta la saliva dalla ghiandola sottolinguale fino sotto la mascella sfociando nella bocca. 28) Muscolo pterigoideo È un muscolo innalzatore della mandibola e concorre alla masticazione. È innervato dal nervo mandibolare ed alimentato dall'arteria mascellare. 29) Nervo linguale È una ramificazione del nervo mandibolare che attraversa i due muscoli pterigoidei per raggiungere la base della lingua. Innerva due terzi della lingua (permettendo il senso del gusto), la mucosa sotto la lingua e la gengiva della mandibola. 30) Vena (in blu) e nervo alveolare inferiore (in giallo) -- Vena che raccoglie il sangue refluo proveniente dalle radici dei denti e che sfocia nella vena mascellare interna. -- Il nervo alveolare inferiore è un ramo del nervo mandibolare e scorre nella fossa mandibolare nel canale della mandibola. Durante il suo percorso si ramifica per raggiungere i denti della mandibola inferiore (molari inferiori), il labbro corrispondente e la gengiva. All’altezza del mento trapassa il forame mentale ed innerva la zona del mento. 31) Fossa mandibolare (fossa glenoidea) Depressione o fossa dell'osso temporale nella quale si posiziona ed articola il condilo mandibolare. È una profonda cavità rivolta inferiormente che si localizza tra la radice trasversa ed orizzontale del processo zigomatico. 32) Nervo auricolotemporale Il nervo auricolotemporale è uno dei nervi sensitivi del nervo mandibolare (ramo del trigemino). Durante il suo decorso avvolge l’arteria meningea media per poi terminare nella cute in prossimità della zona temporale. 33) Processo zigomatico dell’osso temporale Il processo zigomatico dell'osso temporale è una sottile e lunga prominenza ossea che assomiglia ad un prolungato emicilindro, sporgente in avanti e diretto quasi orizzontalmente. La faccia inferiore dell'arco zigomatico forma la porzione anteriore dell'area articolare della temporomandibolare. Assieme all'osso zigomatico forma l’arcata zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica e massiccio facciale. 34) Arteria (in rosso) e vena (in blu) temporale superficiale -- L'arteria temporale superficiale è un ramo collaterale della arteria carotide esterna che si porta sopra all'arcata zigomatica ed entra nella fossa temporale. Si divide poi in un ramo frontale e in un ramo parietale. Lungo il suo decorso emette l'arteria trasversa della faccia che si anastomizza con l'arteria facciale, le arterie temporali medie e l'arteria timpanica anteriore. Altre anastomosi si compiono con le arterie sovraorbitaria e sovratrocleare. L'arteria temporale superficiale raggiunge anche la porzione posteriore della capsula dell'articolazione temporomandibolare. -- La vena temporale superficiale raccoglie il sangue refluo dai distretti sopra menzionati. 35) Muscolo temporale Il temporale è il muscolo elevatore della mandibola (masticazione). È di forma simile ad un triangolo (con l'apice verso il basso) e occupa la regione laterale del cranio. I fasci di fibre che lo costituiscono originano dalla fossa temporale e si fissano sul processo coronoideo. Innervano tale muscolo i rami profondi del nervo mandibolare. È irrorato dall'arterie temporali. 36) Ghiandola zigomatica È una delle ghiandole salivari. 37) Vena (in blu) e nervo (in giallo) boccale -- Raccoglie il sangue refluo proveniente dal muscolo buccinatore e dalla mucosa della guancia. -- È un ramo motore del nervo mandibolare che provvede all'innervazione del muscolo pterigoideo (muscolo masticatore). 38) Dotto della ghiandola zigomatica maggiore Dotto che porta la saliva prodotta dalla zigomatica maggiore fino alle fauci. 39) Muscolo genioioideo Fa parte dei muscoli sopraioidei. È di forma lunga e sottile, posto superiormente al muscolo miloioideo. Origina dalla spina mentale della mandibola e si inserisce sulla faccia anteriore dell'osso ioide. Le sue azioni principali sono l'abbassamento del pavimento della bocca e quindi della mandibola quando l'osso ioide fa da punto fisso (masticazione), innalzamento dell'osso ioide quando la mandibola è fissa (deglutizione). Il muscolo genioioideo è innervato dal nervo ipoglosso. 40) Muscolo miloioideo Appartiene ai "muscoli abbassatori", ossia quelli che spingono la mandibola verso il basso. È di forma quadrilatera e si tende tra la mandibola e l’osso ioide formando il pavimento della bocca. Le sue fibre si inseriscono da un lato sulla linea miloioidea della mandibola e dall’altro su di una cucitura fibrosa tesa tra la mandibola e l’osso ioide. Le fibre più laterali del muscolo raggiungono direttamente il corpo dell’osso ioide. Il muscolo miloioideo è innervato dal ramo miloioideo del nervo alveolare inferiore ed irrorato dall’arteria submentale e sottolinguale. 41) Muscolo genioglosso È un muscolo di forma triangolare che si trova sulla faccia laterale del setto linguale (appartiene ai muscoli estrinseci della lingua). Alcuni fasci raggiungono il bordo superiore dell'osso ioide. La sua funzione è quella di sollevare l’osso ioide (esercita trazione indietro e verso l'alto dell'osso ioide) e di alzare e abbassare la lingua (spinge in basso ed all'indietro la lingua). È innervato dal nervo ipoglosso (nervo motore) ma è anche sotto l’influsso dei neuroni che regolano la respirazione, i chemorecettori centrali e periferici (O2 e CO2) e gli input dai meccanocettori locali presenti nelle vie aeree superiori. 42) Mucosa buccale Tessuto che riveste l'interno della cavità orale. 43) Lingua La lingua è un organo muscolare formato da molti muscoli e situato sul pavimento della bocca. È collegata posteriormente a un piccolo osso arcuato chiamato ioide e anteroventralmente ad un sottile filamento detto frenulo. È dotata di papille gustative, ed è organo del gusto. Essa svolge la funzione di impastare il cibo con la saliva durante la masticazione. È importante nella deglutizione, nella fonazione, nella detersione del corpo e nella termoregolazione: i capillari sanguigni che attraversano la lingua concorrono alla dispersione del calore corporeo mediante iperventilazione. 44) Arteria (in rosso) e nervo infraorbitale (in giallo) -- I rami nasali dell'arteria infraorbitale irrorano la cavità nasale, il seno mascellare e la mucosa del palato. -- È un ramo del nervo mascellare che fuoriesce dal forame infraorbitale per innervare il seno mascellare, gran parte della mucosa della cavità nasale e del palato, l’osso mascellare e come nervo alveolare superiore, raggiunge la dentatura dell'arcata superiore. Tavola IX: sezione sagittale mediana della testa. Tavola IX: sezione sagittale mediana della testa. 1) Muscolo sternoioideo, cartilagine tiroide -- Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. -- La cartilagine tiroidea è una delle tre diverse cartilagini che formano la laringe circondando e proteggendo la glottide (zona di entrata dell'aria inspirata). Ha la forma di scudo con la funzione di proteggere frontalmente la laringe e le sue corde vocali. Si articola superiormente con la cartilagine epiglottide ed inferiormente con la cartilagine cricoide. 2) Ioide, arco venoso ioideo -- È un osso a forma di “U” posto sopra la cartilagine tiroide. Sostiene la laringe per mezzo della membrana tiroioidea ed i suoi corni si collegano ai corni superiori della cartilagine tiroide per mezzo del legamento tiroioideo. Ha funzione di raccordo fra la laringe e lo scheletro osseo e dà attacco a numerosi muscoli orientati in molteplici direzioni. -- Omissis. 3) Epistrofeo (seconda vertebra cervicale) L'epistrofeo è considerata una vertebre anormale rispetto al resto della colonna vertebrale e che si distingue per la presenza del processo odontoideo (dente che si forma durante l’embriogenesi a carico del corpo dell’atlante) che si proietta cranialmente dalla superficie posteriore del corpo vertebrale. Il processo odontoideo è l’asse attorno al quale ruota l’atlante (C1) per i movimenti laterali. La testa e l'atlante quindi si muovono solidamente attorno al perno costituito dal processo odontoideo: la faccia anteriore del dente si articola con la faccia posteriore dell'arco dell'atlante, quella posteriore con la faccia anteriore del robusto legamento trasverso dell'atlante. 4) Esofago L'esofago è un organo a forma cilindrica dell'apparato digerente. Collega la faringe allo stomaco e consente il passaggio del cibo. Viste le regioni attraversate si può dividere in un tratto cervicale, uno toracico, uno diaframmatico e uno addominale. L'esofago ha pareti foderate di muscoli che spingono il cibo verso lo stomaco. La mucosa che lo riveste è ricca di ghiandole produttrici di muco, che ha funzione di lubrificante per il transito del cibo. È innervato dal nervo vago, dal nervo laringeo inferiore e dall’ortosimpatico. 5) Trachea È compresa tra laringe e bronchi, situata lungo la linea mediana davanti all’esofago. È formato da una serie di anelli cartilaginei tenuti assieme da legamenti. Gli anelli non si saldano completamente nel quarto posteriore, dove la parete è sostituita dalla membrana fibrosa ricca di fibrocellule muscolari lisce, che riveste esternamente tutto il canale cartilagineo. La trachea è irrorata da una rete di arteriole alimentate dalle arterie tiroidee. Le vene che raccolgono il sangue refluo fanno capo alle vene tiroidee ed esofagee. L’innervazione è garantita da rami provenienti dal ganglio stellato e dai nervi ricorrenti del vago. 6) Cartilagine cricoidea La cartilagine cricoidea è posta all'apice del primo anello tracheale e somiglia ad un anello con castone. Il castone è situato posteriormente ed ha la forma di una lamina quadrata unita anteriormente da un arco sottile. I lati della lamina presentano due faccette articolari: una per il corno inferiore della cartilagine tiroidea e l'altra, superiormente, per la cartilagine aritenoidea. Le articolazioni cricotiroidee congiungono anteriormente l'anello alla cartilagine tiroidea permettendo alle due di muoversi indipendentemente. 7) Corda vocale Le corde vocali sono lembi muscolari che vibrano generando suoni. L'organo è costituito da uno scheletro cartilagineo e da muscoli oltre che da legamenti, fasce connettive, mucose, ecc. I muscoli si possono classificare in due gruppi: muscolatura intrinseca ed estrinseca. 8) Ventricolo laterale della laringe I ventricoli laterali della laringe sono aree sottili, ovoidali, in posizione caudale e che si protendono dorsalmente partendo dalla base dell'epiglottide. 9) Epiglottide È una formazione fibrocartilaginea impari appartenente alla laringe. È situata in posizione mediana ed ha forma ovalare. È legata tramite il legamento tireoepiglottico alla cartilagine tiroidea. Si trova in posizione rialzata ma all'atto della deglutizione si abbassa sull'apertura superiore della laringe, chiudendola ed impedendo che il cibo passi all'interno delle vie respiratorie. 10) Muscolo lungo del collo Fa parte dei muscoli prevertebrali. È uno dei muscoli che mantiene in posizione la testa mettendo in connessione il lato posteriore del cranio alla colonna vertebrale (prime vertebre toraciche, prime ed ultime cervicali). Permette di flettere ed inclinare lateralmente la colonna cervicale. 11) Dura madre spinale È la più esterna di tre membrane (chiamate meningi) che formano un sacco fibroso contenente il midollo spinale. La dura madre spinale si estende dal forame magno fino alla zona caudale. 12) Midollo spinale Il midollo spinale è una parte del Sistema Nervoso Centrale che si trova nel canale vertebrale estendendosi dall'atlante fino alla zona caudale; ha forma cilindrica e leggermente schiacciata. Superiormente si continua con il midollo allungato. È la principale via di comunicazione fra il cervello ed il sistema nervoso periferico. 13) Atlante È la prima vertebra cervicale che presenta ampie pleuroapofisi con i forami trasversari ai lati dell'arco neurale e, più medialmente e cranialmente, i due forami accessori per l'arteria vertebrale; bene evidenti le faccette articolari per l'articolazione sia con l'epistrofeo sia con i condili occipitali del cranio. Superiormente si articola con l'osso occipitale mettendo in comunicazione il cranio con il collo. Assieme all'epistrofeo forma l'articolazione che connette il cranio alla colonna vertebrale. 14) Muscolo retto ventrale della testa Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. Oltre a determinare la flessione del capo, condiziona la stabilità delle articolazioni vertebrali. 15) Bulbo Il bulbo (midollo allungato) fa parte del tronco cerebrale. Dal bulbo passano le informazioni del gusto, tatto e udito. Vi hanno sede i centri bulbari della respirazione. Il midollo allungato fa parte del sistema di controllo del pH del sangue. Questo invia stimoli di contrazione ai muscoli intercostali e al diaframma (respirazione). 16) Cervelletto È la parte dell'encefalo che si trova tra il midollo allungato ed il cervello. Si trova nella parte posteroinferiore del cranio. È composto da due emisferi collegati tra loro tramite il verme. Solchi longitudinali corrono sulla superficie esterna a disegnare solchi, lobuli e lamelle. Il cervelletto è il grande modulatore della funzione nervosa. Influisce sul tono muscolare, sul tono posturale, sui movimenti riflessi e sui movimenti volontari. 17) Ponte Parte dell'encefalo disposto trasversalmente tra il bulbo ed il peduncolo cerebrale del mesencefalo. È formato da sostanza bianca e cellule. 18) Cavo faringeo È lo spazio compreso tra naso e bocca dorsalmente e trachea ed esofago ventralmente. La parte che sta al di sopra del palato molle si dice rinofaringe, quella subito al disotto, orofaringe. Tutta la struttura possiede mobilità funzionale. 19) Velo palatino Il velo palatino e' una appendice di tessuto che si trova all'ingresso della gola e che permette al cibo ed ai liquidi, durante la deglutizione, di scendere nell'apparato digerente senza invadere le narici. È innervato dal nervo glossofaringeo. 20) Fibre longitudinali del muscolo linguale 21) Ostio faringeo della tuba uditiva L'ostio faringeo della tuba uditiva è la parte terminale della componente cartilaginea della tuba uditiva (nasofaringe). 22) Ipofisi L'ipofisi è una ghiandola importante del sistema endocrino perché "impartisce ordini" alle altre ghiandole secernendo ormoni nel circolo sanguigno. L'ipofisi si divide in tre lobi: anteriore, intermedio e posteriore. Gli ormoni che secerne sono il somatotropo (controllo della crescita), prolattina (induce la produzione del latte), antidiuretico (controlla l'equilibrio idrico dell'organismo), ormoni luteinizzante e follicolostimolante (che contribuiscono al controllo delle gonadi). Il luteinizzante stimola la formazione del corpo luteo nelle ovaie e la secrezione del testosterone (stimola la crescita delle ossa, dei muscoli e contribuisce allo sviluppo sessuale) nei testicoli. Il follicolostimolante stimola la secrezione del follicolo nelle ovaie e dello sperma nei testicoli. Proseguendo nell'elencazione troviamo l'ormone tiretropo che ha il compito di stimolare la tiroide a produrre diversi ormoni indispensabili al controllo del metabolismo e l'ormone adrenocorticotropo che ha il compito di stimolare la secrezione di cortisone da parte della corteccia delle ghiandole surrenali. 23) Chiasma ottico Il chiasma ottico è il crocevia che generano i due nervi ottici per raggiungere l'emisfero controlaterale. Ha la forma di "X" ed è proprio in questa "X" che le fibre si incrociano per raggiungere le bande ottiche del lato opposto e protendersi fino al talamo. 24) Commessura grigia intertalamica È una massa di sostanza grigia che congiunge i due talami. 25) Muscolo retto dorsale del capo Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. 26) Legamento nucale È un legamento che coadiuva i muscoli a sostenere la testa ed il collo. Gioca un'importante ruolo nella locomozione. Quando la testa si abbassa, il legamento nucale si tende e, agendo sul legamento sopra spinoso, provoca un raddrizzamento dei processi spinosi toracici con conseguente spostamento in direzione caudale dei corpi vertebrali. 27) Seno venoso sagittale Si trova all'interno della volta cranica ed è organizzato da villi aracnoidei che permettono il ritorno del liquido encefalorachidiano nel sistema venoso. 28) Emisfero cerebrale formazione pari composta da sostanza nervosa unita in zona basale alla controlaterale dal corpo calloso. I due emisferi cerebrali compongono il cervello. 29) Corpo calloso Grande fascio di fibre che mette in comunicazione i due emisferi cerebrali per integrare le elaborazioni delle aree cerebrali 30) Osso parietale È un osso pari, quadrangolare ed incurvato a concavità verso il basso e medialmente: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana mentre si articolano in avanti con l'osso frontale, indietro con l’osso occipitale, lateralmente con la squama e la parte mastoidea dell'osso temporale e con l'ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una faccia endocranica ed una esocranica. La faccia endocranica è concava e presenta impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi. Lungo il margine superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale. Il margine superiore è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale. Il margine inferiore presenta un margine squamoso (per l’articolazione con la squama del temporale) e un margine mastoideo (per l’articolazione con la parte mastoidea del temporale). 31) Muscolo frontale e interscutulare -- Omissis. -- È un muscolo superficiale mimico che concorre all'innalzamento del padiglione auricolare mentre corruga l'epidermide sopra il cranio (più visibile nei cani a pelo corto). 32) Coana Detta anche narice interna od apertura nasale posteriore. È un orefizio a sezione ovalare che si trova posteriormente alla fossa nasale (fra la cavità nasale e la faringe) e che la mette in comunicazione con la parte superiore della faringe. 33) Lingua La lingua è un organo muscolare formato da molti muscoli e situato sul pavimento della bocca. È collegata posteriormente a un piccolo osso arcuato chiamato ioide e anteroventralmente ad un sottile filamento detto frenulo. È dotata di papille gustative, ed è organo del gusto. Essa svolge la funzione di impastare il cibo con la saliva durante la masticazione. È importante nella deglutizione, nella fonazione, nella detersione del corpo e nella termoregolazione: i capillari sanguigni che attraversano la lingua concorrono alla dispersione del calore corporeo mediante iperventilazione. 34) Endoturbinato III° Si trova all'interno delle cavità nasali. Si tratta di una mucosa caratterizzata da un epitelio cilindrico stratificato con presenza di cellule ciliate e caliciformi mucipare. La sottomucosa presenta uno stato vascolo-ghiandolare con le caratteristiche del tessuto cavernoso. La mucosa olfattiva è formata da epitelio stratificato e comprende delle cellule specializzate: le cellule neuro-sensoriali o cellule di Schultz. Queste cellule presentano, in alto, delle espansioni che prendono il nome di ciglia olfattorie che si immergono nel muco che riveste la mucosa. All'estremità opposta tali cellule presentano gli assoni che insieme vanno a costituire i filamenti del nervo olfattivo e che passando attraverso la volta delle cavità nasali raggiungono i bulbi olfattivi della fossa cranica. 35) Seno frontale Nel cane esistono tre seni frontali: rostrale, rostrale mediale e laterale, quest’ultimo è il più sviluppato. Tuttavia il suo sviluppo è in stretta relazione con la razza: infatti nei dolicocefali lo sviluppo è maggiore e può spingersi all’interno del processo zigomatico dell’osso frontale fino a livello dell’articolazione temporomandibolare, mentre nei brachicefali il seno frontale laterale è ridotto o assente. Tutti e tre i seni comunicano con il meato etmoidale. 36) Osso nasale Fa parte delle ossa del massiccio frontale. Ha forma di lamina e si trova tra i processi frontali dei due mascellari, al di sotto dell’osso frontale. Completa il tetto della cavità nasale e si articola con il processo frontale dell’osso mascellare. 37) Conca nasale dorsale Dette anche cornetti o turbinati, le conche nasali sono delle protuberanze che si trovano nei meati. L'osso etmoide divide queste zone dando una allocazione spaziale alle conche (in questo caso dorsale o superiore). 38) Palato duro - volta palatina Il palato duro è costituito da scheletro osseo rivestito dalla tonaca mucosa e delimita, in alto, la bocca. Separa la cavità orale dalle fosse nasali. 39) Lingua La lingua è un organo formato da molti muscoli e situato sul pavimento della bocca. È collegata posteriormente a un piccolo osso arcuato chiamato ioide e anteroventralmente ad un sottile filamento detto frenulo. È dotata di papille gustative, ed è organo del gusto. Essa svolge la funzione di impastare il cibo con la saliva durante la masticazione. È importante nella deglutizione, nella fonazione, nella detersione del corpo e nella termoregolazione: i capillari sanguigni che attraversano la lingua concorrono alla dispersione del calore corporeo mediante iperventilazione. 40) Muscolo genioioideo Fa parte dei muscoli sopraioidei. È di forma lunga e sottile, posto superiormente al muscolo miloioideo. Origina dalla spina mentale della mandibola e si inserisce sulla faccia anteriore dell'osso ioide. Le sue azioni principali sono l'abbassamento del pavimento della bocca e quindi della mandibola quando l'osso ioide fa da punto fisso (masticazione), innalzamento dell'osso ioide quando la mandibola è fissa (deglutizione). Il muscolo genioioideo è innervato dal nervo ipoglosso. 41) Muscolo genioglosso È un muscolo di forma triangolare che si trova sulla faccia laterale del setto linguale (appartiene ai muscoli estrinseci della lingua). Alcuni fasci raggiungono il bordo superiore dell'osso ioide. La sua funzione è quella di sollevare l’osso ioide (esercita trazione indietro e verso l'alto dell'osso ioide) e di alzare ed abbassare la lingua (spinge in basso ed all'indietro la lingua). È innervato dal nervo ipoglosso (nervo motore) ma è anche sotto l’influsso dei neuroni che regolano la respirazione, i chemorecettori centrali e periferici (O2 e CO2) e gli input dai meccanocettori locali presenti nelle vie aeree superiori. 42) Muscolo miloioideo Appartiene ai "muscoli abbassatori", ossia quelli che spingono la mandibola verso il basso. È di forma quadrilatera e si tende tra la mandibola e l’osso ioide formando il pavimento della bocca. Le sue fibre si inseriscono da un lato sulla linea miloioidea della mandibola e dall’altro su di una cucitura fibrosa tesa tra la mandibola e l’osso ioide. Le fibre più laterali del muscolo raggiungono direttamente il corpo dell’osso ioide. Il muscolo miloioideo è innervato dal ramo miloioideo del nervo alveolare inferiore ed irrorato dall’arteria submentale e sottolinguale. 43) Mandibola È un osso impari, mediano e simmetrico che si articola con l’osso temporale ed accoglie nell’arcata alveolare i denti inferiori. Ha la forma di un ferro di cavallo con concavità posteriore ed è composto da due rami che fanno seguito all’estremità posteriore. Il margine superiore è il processo alveolare in cui sono scavati gli alveoli dentali. 44) Conca nasale ventrale Dette anche cornetti o turbinati, le conche nasali sono delle protuberanze che si trovano nei meati. L'osso etmoide divide queste zone dando una allocazione spaziale alle conche (in questo caso ventrale o inferiore). 45) Setto nasale cartilagineo Il setto nasale è composto da una parte cartilaginea e da una ossea e forma la parete mediale delle cavità nasali. 46) Labbro superiore Le labbra dell'orifizio buccale sono definite con i nomi labbro superiore e labbro inferiore. Sono rivestite dalla pelle e sono composte da muscoli, dalla tunica sottomucosa, dalla tunica mucosa, da ghiandole, vasi sanguigni e nervi. In visione il labbro superiore. 47) Denti incisivi 48) Labbro inferiore Il labbro inferiore, assieme a quello superiore, definiscono l'orifizio buccale. È rivestito dalla pelle ed è composto da muscoli, dalla tunica sottomucosa, dalla tunica mucosa, da ghiandole, vasi sanguigni e nervi. Tavola X: superficie dorsale del cervello. Tavola X: superficie dorsale del cervello. 1) Verme Compone l'area mediana del cervelletto. Mette in continuità i due emisferi cerebellari. Il verme è coinvolto nel controllo della elaborazione di reazioni comportamentali legate a stati emotivi. 2) Emisfero sinistro del cervelletto Una delle due parti componenti il cervelletto e che si collega alla controlaterale tramite il verme. Solchi longitudinali corrono sulla sua superficie esterna a disegnare solchi, lobuli e lamelle. 3) Area ottica Area corticocerebrale destinata a convertire gli impulsi luminosi in sensazioni visive coscienti. La sede dall’area ottica si trova nella porzione mediale del lobo occipitale. 4) Area parietale Area corticocerebrale al di sotto dell'osso parietale. È in stretta connessione con l'area motoria frontale e dalla quale riceve stimoli sensoriali per produrre stimoli motori (trasformazione sensomotoria). Essendo stata evidenziata una attività neuronale associata all'azione motoria in molte aree della corteccia parietale, questa dovrebbe essere considerata una parte del sistema motorio e di conseguenza l'intera unità che costituisce il circuito parietofrontale dovrebbe essere considerata come una unità funzionale del sistema motorio corticale. L'area parietale è stata anche associata a funzioni quali l'attenzione, l'intelligenza spaziale, e fenomeni di memorizzazione a breve e lungo termine. 5) Solco soprasilviano medio 6) Area sensoriale dell’udito L'area sensoriale dell'udito si trova nei lobi temporali. L’area dell’udito riceve gli impulsi dai recettori posti nell’orecchio interno permettendo al cane di sentire. Mancate accettazioni di luoghi e di contesti ha a volte origine nella difficoltà dell'apparato neurologico legato all'area dell'udito di discriminare normalmente i comandi vocali. Anche la presa in carico della semplice consegna legata all'apprendimento dove il dresseur parla ed impartisce comandi, si trova fortemente compromessa. Parlare e fischiare è semplice per l'addestratore, ma è difficile la comprensione da parte del cane con compromissioni dell'area sensoriale. La relazione è sempre da privilegiare ma se quando un handler parlando infastidisce, irrita od intimorisce, la tendenza è quella di rannicchiarsi od allontanarsi e di non ascoltare. Dalla comprensione uditiva generata dalla ripetitività dello stimolo emerge la comunicazione e la comprensione. Abbiamo infatti la possibilità di farci capire nelle nostre richieste e di proporre al cane valide alternative per la risposta allo stimolo attraverso la comunicazione alternativa che stimola un'area differente (es. visiva): i gesti. 7) Solco ectosilviano Nel solco ectosilviano sono rappresentate le tre più importanti modalità: visiva, uditiva e somatosensoriale. Sono posizionate in stretta vicinanza l’una con l’altra con una certa sovrapposizione. La porzione uditiva del solco ectosilviano è contigua ad un’altra area uditiva sul giro ectosilviano, definito classicamente come campo uditivo anteriore. 8) Circonvoluzione intersilviana 9) Circonvoluzione ectosilviana media Zona della corteccia specializzata nella localizzazione sonora. 10) Circonvoluzione ectomarginale 11) Circonvoluzione marginale 12) Solco soprasilviano rostrale 13) Solco marginale 14) Solco ansato 15) Area sensitiva Le aree della sensibilità generale si trovano nel lobo parietale. All’area sensitiva primaria, che occupa la circonvoluzione parietale ascendente, arrivano informazioni sulla sensibilità tattile, termica, dolorifica e propriocettiva dalla metà controlaterale del corpo. Questa area è connessa con l'area motrice primaria, alla quale invia impulsi determinando risposte motrici agli stimoli sensitivi. All’area sensitiva secondaria (sede della gnosia sensoriale). arriverebbero fibre solo dall'arto toracico e dal pelvico. 16) Solco crociato 17) Solco coronale 18) Fessura interemisferica Fessura che divide il cervello nei due emisferi cerebrali. 19) Area motrice Si trova anteriormente alla scissura centrale sul lobo frontale di ciascun emisfero cerebrale e da dove origina la via piramidale ed extrapiramidale. A questa area corticale è assegnato il compito di generare gli impulsi motori per tutti i muscoli corporei. I comandi volontari per la respirazione e la fonazione partono dai centri corticali che sono situati nell'area motoria. Esistono, inoltre, fasci nervosi che mettono in comunicazione l'area motrice con la sensitiva in modo che uno stimolo che arriva alla corteccia nell'area sensitiva attivi l'area motrice tramite i fasci di associazione. 20) Fessura pseudosilviana 21) Bulbo olfattivo Zona cerebrale retroculare ove si raccolgono i segnali elettrici (generati dalle molecole odorose a livello della mucosa olfattoria) che vengono poi smistati in direzione dell'ippocampo, ipotalamo e restanti porzioni del sistema limbico per generare le sensazioni odorose. Negli animali macrosmatici (come il cane) il senso dell'olfatto ha un'importanza fondamentale in quanto rappresenta il senso guida del sistema limbico influenzando gli istinti, l'attività sessuale, il dominio del territorio ed il catalogamento dei ricordi. Tavola XI: superficie ventrale del cervello. Tavola XI: superficie ventrale del cervello. 1) Nervo ipoglosso Il nervo ipoglosso è composto da fibre motrici somatiche che originano dal nucleo del nervo ipoglosso. Innerva i muscoli della lingua e delle regioni sopra e sottoioidea, emerge poi dal bulbo con una serie di radicole. Queste confluiscono in due o tre tronchi per formare un unico nervo che fuoriesce dalla cavità cranica passando per il canale omonimo dirigendosi verso la lingua. Decorre tra l'arteria carotide interna, il nervo vago e la vena giugulare interna. Raggiunta la regione sopraioidea, sì applica sulla superficie esterna del muscolo ipoglosso. Decorre poi parallelo all'osso ioide ed insieme alla vena linguale giunge alla loggia sottolinguale dove si suddivide in un ciuffo di rami terminali (rami linguali) distribuendosi ai muscoli della lingua. 2) Nervo accessorio Il nervo accessorio contiene fibre motorie che si distribuiscono con i rami faringei e laringei del nervo vago e fibre che innervano i muscoli del palato molle. Provvede anche all’innervazione motoria dei muscoli rotatori e flessori-estensori della testa. 3) Nervo vago Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore e alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno, che è il canale dell’orecchio. 4) Nervo glossofaringeo Il nervo glossofaringeo ha una parte di innervazione motoria, di eccitosecretoria, è sensitivo specifico e sensitivo generale. Innerva con fibre sensitive una parte della lingua (glosso), come pure sensitivo e motorio una parte della deglutizione (faringe). Il nervo glossofaringeo fuoriesce dal midollo allungato tra il VII° e il X° nervo craniale. Scorre in basso verso il forame giugulare dopo aver attraversato la cavità craniale insieme al nervo vago (X°) ed il nervo accessorio (XI°). Scorre verso la radice della lingua dove si ramifica nell’ultimo terzo di lingua. Durante il suo percorso ha diverse efferenze, in una di queste si trova il ganglio ottico che è posto appena sotto il foro ovale per l’innervazione della ghiandola parotide e dell’orecchio medio (nervo del timpano). Un altra efferenza serve l’innervazione motoria e sensitiva della muscolatura faringea, dove, insieme al nervo vago, creano il plesso faringeo. Ulteriori efferenze servono per l’approvvigionamento di effettrici viscerali. Il glossofaringeo innerva con fasce visceromotorie specifiche, insieme al nervo vago e attraverso il plesso faringeo, il muscolo costrittore della faringe, come pure il muscolo elevatore dei palatini. Ha quindi una grande importanza per l’atto della deglutizione, soprattutto nel collegamento tra naso e bocca (respirazione/deglutizione). La chiusura evita che il cibo venga spinto nella parte nasale durante la deglutizione. Con l’innervazione della faringe, il nervo glossofaringeo ha un ruolo importante nella fonazione; con le fibre parasimpatiche innerva la ghiandola parotide (produttrice di saliva); con fasce nervose sensitive viscerali specifiche innerva il terzo posteriore della lingua (permette parte della capacità gustativa); con fasce sensitive viscerali generali si percepiscono il calore ed il dolore. Altre fibre della sensibilità generale si distribuiscono alla faringe, alle tonsille e all’orecchio medio. Le fasce di sensibilità viscerale hanno una grande importanza nella regolazione della circolazione e della respirazione. 5) Nervo acustico Origina dall'orecchio e decorre, distinto in due branche (nervo vestibolare e nervo cocleare), sino all'area cerebrale dedicata, dove reca le sensazioni acustiche e quelle dell'equilibrio statico e dinamico del corpo. 6) Nervo facciale Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. 7) Corpo trapezoide Il corpo trapezoide è una struttura appiattita a forma di nastro che si trova nel midollo allungato al confine con il ponte. La stria è formata da fibre nervose che creano un'area che assomiglia appunto ad un trapezio. 8) Cervelletto È la parte dell'encefalo che si trova tra il midollo allungato ed il cervello. Si trova nella parte posteroinferiore del cranio. È composto da due emisferi collegati tra loro tramite il verme. Solchi longitudinali corrono sulla superficie esterna a disegnare solchi, lobuli e lamelle. Il cervelletto è il grande modulatore della funzione nervosa. Influisce sul tono muscolare, sul tono posturale, sui movimenti riflessi e sui movimenti volontari. 9) Solco rinale laterale È una scissura che si trova lateralmente alla corteccia del paraippocampo. 10) Fessura longitudinale dell’encefalo È la linea mediana che separa i due emisferi cerebrali. 11) Nervo abducente È il nervo che comanda il muscolo retto laterale dell'occhio (rotazione verso l'esterno) e la chiusura palpebrale. 12) Ponte Parte dell'encefalo disposto trasversalmente tra il bulbo ed il peduncolo cerebrale del mesencefalo. È formato da sostanza bianca e cellule. 13) Nervo trigemino Così chiamato perché presenta tre branchie: oftalmica, mascellare e mandibolare. È un nervo somatico con una maggiore componente sensitiva che motrice. Quest'ultima innerva i muscoli masticatori, il muscolo tensore del timpano (catena degli ossicini dell'orecchio) ed i muscoli del pavimento della cavità orale. La componente sensitiva si distribuisce in tre rami: il nervo oftalmico, il nervo mascellare e il nervo mandibolare. Oltre a prelevare la sensibilità propriocettiva di tutti i muscoli della testa, i tre rami del trigemino raccolgono la sensibilità esterocettiva (tattile, termica e dolorifica) da tre regioni della testa. Il nervo oftalmico raccoglie la sensibilità dello stop, palpebre e congiuntiva, naso e mucosa nasale. Alcuni suoi rami portano fibre simpatiche destinate all'apparato visivo. Il nervo mascellare innerva la regione temporale, zigomatica, le palpebre, il naso, la zona zigomatica e l'arcata dentaria superiore. Il nervo mandibolare, che ha componente motrice, come nervo sensitivo innerva tutta la regione mandibolare, compresa l'arcata dentaria inferiore, parte del padiglione auricolare e la zona temporale. Preleva anche la sensibilità generale della lingua. 14) Nervo trocleare Il nervo trocleare è il nervo più sottile e il più lungo dei nervi cranici. È un nervo motorio che innerva il muscolo obliquo dell'occhio. 15) Peduncolo cerebrale È la parte ventrale del mesencefalo ove poggiano gli emisferi cerebrali ed il cervelletto. 16) Nervo oculomotore È il nervo responsabile del movimento del globo oculare in alto lateralmente e medialmente, mediale e sotto mediale. Innerva inoltre i muscoli ciliari e lo sfintere della pupilla. Supporta i muscoli esterni del bulbo oculare con fibre motorie e sensoriali. 17) Corpo mammillare Il corpo mammillare è una piccola emergenza tondeggiante facente parte l'ipofisi. È coinvolto in un circuito (nucleo anteriore del talamo → ippocampo → corpo mammillare → nucleo anteriore del talamo) in grado di processare flussi d’informazione contribuendo a generare l’attività mentale. 18) Ipofisi L'ipofisi è una ghiandola importante del sistema endocrino perché "impartisce ordini" alle altre ghiandole secernendo ormoni nel circolo sanguigno. L'ipofisi si divide in tre lobi: anteriore, intermedio e posteriore. Gli ormoni che secerne sono il somatotropo (controllo della crescita), prolattina (induce la produzione del latte), antidiuretico (controlla l'equilibrio idrico dell'organismo), ormoni luteinizzante e follicolostimolante (che contribuiscono al controllo delle gonadi). Il luteinizzante stimola la formazione del corpo luteo nelle ovaie e la secrezione del testosterone (stimola la crescita delle ossa, dei muscoli e contribuisce allo sviluppo sessuale) nei testicoli. Il follicolostimolante stimola la secrezione del follicolo nelle ovaie e dello sperma nei testicoli. Proseguendo nell'elencazione troviamo l'ormone tiretropo che ha il compito di stimolare la tiroide a produrre diversi ormoni indispensabili al controllo del metabolismo e l'ormone adrenocorticotropo che ha il compito di stimolare la secrezione di cortisone da parte della corteccia delle ghiandole surrenali. 19) Lobo piriforme È una conformazione a forma di fiamma, di pera, nella zona aborale della faccia inferiore di ciascun emisfero cerebrale. Si continua aboralmente nel giro paraippocampale. Processa, in collaborazione con ippocampo ed ipotalamo, le informazioni gustative. 20) Tratto ottico Il tratto ottico è costituito da fibre maculari (metà dirette e metà crociate) che partono dal chiasma ottico. Il tratto ottico è quindi una continuazione del nervo ottico che corre dal chiasma ottico (nel quale si ha un parziale incrociamento delle fibre nervose provenienti da ciascun occhio) al corpo genicolato laterale del talamo, dove la maggior parte delle fibre termina. Dal corpo genicolato si dipartono fibre talamocorticali che formano la radiazione ottica che raggiungono la corteccia cerebrale (area ottica). Una parte delle fibre ottiche che non terminano nel corpo genicolato laterale del talamo raggiungono la lamina quadrigemina del mesencefalo e terminano nel tubercolo quadrigemino superiore e nucleo pretettale. Da qui parte la via ottica riflessa per i movimenti riflessi in risposta a stimoli luminosi. Dal tubercolo quadrigemino superiore nascono delle fibre che dopo il loro intricato decorso portano l'innervazione del muscolo sfintere pupillare e ciliare responsabili di miosi (costrizione pupillare) in condizioni di forte luminosità. Altre fibre sono destinate all'innervazione del muscolo dilatatore della pupilla per la midriasi (dilatazione pupillare) per scarsa luminosità o stati emozionali. 21) Fossa laterale 22) Chiasma ottico Il chiasma ottico è il crocevia che generano i due nervi ottici per raggiungere l'emisfero controlaterale. Ha la forma di “X” ed è proprio in questa “X” che le fibre si incrociano per raggiungere le bande ottiche del lato opposto e protendersi fino al talamo. 23) Nervo ottico Nervo sensitivo costituito dal prolungamento delle cellule nervose della retina che mette in comunicazione la retina stessa con il cervello ed a cui trasmette gli impulsi luminosi che vengono successivamente trasformati in immagini nella corteccia visiva primaria. Questo processo avviene tramite la retina dell’occhio dove si trovano i coni ed i bastoncelli, i quali provocano una reazione fotochimica che a sua volta fa scattare degli impulsi che vengono trasmessi alla corteccia visiva del cervello. I nervi ottici dei due occhi, prima di raggiungere l'area dedicata, si incrociano dando origine al chiasma ottico: il nervo dell'occhio sinistro raggiunge il corpo genicolato destro e viceversa. Dal chiasma le fibre raggiungono il corpo genicolato del talamo e da qui raggiungono le aree visive della corteccia del lobo occipitale. 24) Peduncolo olfattivo Tratto del bulbo olfattivo che trasmette i segnali olfattori ai centri di percezione cerebrali. 25) Bulbo olfattivo Zona cerebrale retrooculare ove si raccolgono i segnali elettrici (generati dalle molecole odorose a livello della mucosa olfattoria) che vengono poi smistati in direzione dell'ippocampo, ipotalamo e restanti porzioni del sistema limbico per generare le sensazioni odorose. Negli animali macrosmatici (come il cane) il senso dell'olfatto ha un'importanza fondamentale in quanto rappresenta il senso guida del sistema limbico influenzando gli istinti, l'attività sessuale, il dominio del territorio ed il catalogamento dei ricordi. 26) Piramide del midollo allungato È formata da fasci di fibre motrici che provengono dalla corteccia cerebrale. Tavola XII: arterie della testa (lato destro). Tavola XII: arterie della testa (lato destro). 1) Ramo anastomotico dell’arteria vertebrale per l’arteria occipitale 2) Arteria occipitale L'arteria occipitale è un ramo dell'arteria carotide esterna che si porta verso il processo mastoideo. I suoi rami terminali irrorano la regione posteriore della testa, il muscolo occipitale e la regione nucale. Inoltre manda rami per la mastoide e per il collo che sono sia cutanei che muscolari. 3) Seno carotideo Il seno carotideo è un rigonfiamento che delimita un'area anatomica (zona vasosensibile riflessogena) all'interno dell'arteria carotide comune dove sono alloggiate molte terminazioni nervose (recettori) per il controllo dell'omeostasi cardiovascolare e pressoria, in grado cioè di segnalare le condizioni pressorie del circolo arterioso ai centri nervosi di regolazione. La stimolazione dei barocettori (localizzati nel seno carotideo) sensibili al grado di stiramento della parete arteriosa dovuto all'aumento della pressione del sangue, provoca l’invio di segnali ai centri bulbari. Questi ultimi, attraverso un’attivazione/inibizione, determinano una riduzione della frequenza cardiaca e una vasodilatazione con conseguente abbassamento della pressione arteriosa e della portata cardiaca. Il calo pressorio fa diminuire o cessare l’attivazione barorecettoriale. Se al contrario la pressione arteriosa si riduce, il riflesso sulla funzione autonoma si realizza in senso inverso (vasocostrizione, aumento della frequenza e della gittata cardiaca) allo scopo di ripristinare il livello precedente. Oltre ai recettori di pressione sono presenti anche dei chemiocettori (recettori chimici) sensibili alle variazioni della concentrazione ematica dei gas nel sangue. In presenza di un importante calo di pressione, si assiste ad un aumento di anidride carbonica disciolta nel sangue che stimola i chemiocettori determinando l’invio di segnali ai centri bulbari. Questi ultimi, attraverso un’attivazione riflessa di stimoli simpatici provocano vasocostrizione ed aumento della pressione arteriosa. 4) Arteria carotide comune Arteria pari che nella regione del collo entra a far parte del fascio vascolonervoso del collo insieme con la vena giugulare interna ed il nervo vago. Arriva fino al margine superiore della cartilagine tiroidea dove si divide nei suoi due rami terminali (l´arteria carotide interna ed esterna). La carotide interna irrora l' encefalo. La carotide esterna irrora le regioni superficiali e profonde del neurocranio e dello splancnocranio (arterie mascellari). Il ramo terminale è l'arteria oftalmica che passando attraverso il foro ottico irrora il globo oculare. 5) Arteria carotide esterna L’arteria carotide esterna prende origine dall’arteria carotide comune a livello del margine superiore della cartilagine tiroidea. Sale verso la ghiandola parotide e fornisce l'arteria tiroidea superiore (per la tiroide) e laringea superiore (per la laringe). La carotide esterna, continuando il suo percorso ascendente, produce il ramo faringeo ascendente e l'arteria linguale. Successivamente dà origine al ramo facciale che irrora il muso (con i rami sottomentoniero, labiale superiore, labiale inferiore) e la zona oculare (con l'angolare e l'oftalmica). Nel proseguo fornisce anche un ramo verso l'occipitale (arteria occipitale). A livello del meato acustico esterno, la carotide esterna si biforca in auricolare e temporale. La temporale, dopo aver irrorato l'osso temporale, si divide in parietale e frontale. La prima nutre l'osso parietale, la seconda l'osso frontale. 6) Arteria carotide interna Arteria pari che si diparte dall’arteria carotide comune sopra il margine superiore della cartilagine tiroidea della laringe. Costeggia la parete laterale della faringe, penetra nel canale carotideo a livello dell'osso temporale ed in ultima nel seno cavernoso ove è accompagnata dal nervo oculomotore, dal nervo trocleare, dalla branca oftalmica del nervo trigemino e dal nervo abducente. Nel canale carotideo dà origine al ramo caroticotimpanico irrorante la mucosa della cassa del timpano. Appena fuori dal seno cavernoso stacca un ulteriore ramo laterale:l'arteria oftalmica destinata al globo oculare. Innanzi ai processi clinoidei si divide nei suoi quattro rami terminali (arteria cerebrale anteriore, arteria cerebrale media, arteria corioidea anteriore, arteria comunicante posteriore). 7) Arteria carotide esterna L’arteria carotide esterna prende origine dall’arteria carotide comune a livello del margine superiore della cartilagine tiroidea. Sale verso la ghiandola parotide e fornisce l'arteria tiroidea superiore (per la tiroide) e laringea superiore (per la laringe). La carotide esterna, continuando il suo percorso ascendente, produce il ramo faringeo ascendente e l'arteria linguale. Successivamente dà origine al ramo facciale che irrora il muso (con i rami sottomentoniero, labiale superiore, labiale inferiore) e la zona oculare (con l'angolare e l'oftalmica). Nel proseguo fornisce anche un ramo verso l'occipitale (arteria occipitale). A livello del meato acustico esterno, la carotide esterna si biforca in auricolare e temporale. La temporale, dopo aver irrorato l'osso temporale, si divide in parietale e frontale. La prima nutre l'osso parietale, la seconda l'osso frontale. 8) Rami ghiandolari Sono definiti "rami ghiandolari" i rami dell'arteria carotidea che raggiungono ed irrorano la tiroide. 9) Arteria linguale Origina all'altezza dell'osso ioide in corrispondenza dell'apice della lingua. Decorre profondamente al ventre posteriore del muscolo digastrico ed al muscolo stiloideo; transita inferiormente al muscolo ioglosso che lo separa dal nervo ipoglosso, dalla vena linguale e dalla ghiandola sottomandibolare; decorre, quindi, verso l'alto tra il muscolo genioglosso e il muscolo ioglosso e, dopo avere emesso l'arteria sottolinguale, termina come arteria profonda della lingua. I rami collaterali dell'arteria linguale sono: l'arteria sopraioidea, un ramo dorsale della lingua e l'arteria sottolinguale. 10) Arteria sottolinguale L'arteria sottolinguale è un ramo dell'arteria linguale ed irrora i muscoli genioglosso, ioglosso e le ghiandole sottolinguali. 11, 12) Arteria facciale Origina dalla carotide esterna. Durante il suo percorso incrocia la ghiandola sottomandibolare per poi portarsi alla commessura labiale e terminare in anastomosi con l'arteria nasale (un ramo terminale dell'oftalmica). Il suo percorso non rettilineo è d'obbligo per adattarsi alla mobilità della faringe ed ai movimenti mandibolari. Dall'arteria facciale originano l'arteria palatina ascendente (per il palato molle), i rami ghiandolari sottomandibolari, l'arteria sottomentale, l'arteria labiale superiore ed inferiore. 13) Arteria traversa facciale Ramo collaterale dell'arteria temporale superficiale. Irrora la zona del muscolo massetere. 14) Arteria auricolare posteriore Origina dalla carotide esterna e penetra nella parotide. Suo ramo collaterale è l'arteria stilomastoidea che attraversa il foro omonimo per percorrere il canale del nervo facciale fornendo rami alle cellule mastoidee ed al timpano. 15) Arteria masseterina L'arteria masseterina è un vaso facciale che nasce dalla arteria mascellare. È deputato ad irrorare il muscolo massetere e l'articolazione temporomandibolare. 16) Arteria temporale superficiale L'arteria temporale superficiale è un ramo collaterale della arteria carotide esterna che si porta sopra all'arcata zigomatica ed entra nella fossa temporale. Si divide poi in un ramo frontale e in un ramo parietale. Lungo il suo decorso emette l'arteria trasversa della faccia che si anastomizza con l'arteria facciale, le arterie temporali medie e l'arteria timpanica anteriore. Altre anastomosi si compiono con le arterie sovraorbitaria e sovratrocleare. L'arteria temporale superficiale raggiunge anche la porzione posteriore della capsula dell'articolazione temporomandibolare. 17) Arteria temporale profonda anteriore Arteria deputata ad irrorare il muscolo temporale. 18) Arteria mascellare L'arteria mascellare è un importante vaso arterioso che dà origine all'arteria masseterina (per irrorare il muscolo massetere), alle arterie temporali (per il muscolo temporale), all'arteria alveolare, all'arteria infraorbitale (per le palpebre inferiori, l'orbita, le ghiandole lacrimali, la cute del labbro superiore, la regione zigomatica, i seni mascellari), all'arteria buccale per il muscolo buccinatore e la mucosa della guancia, all'arteria palatina (che dà origine a rami nasali e irrora tutto il palato) e all'arteria sfenopalatina. Genera inoltre i rami dentali (che alimentano le radici dei denti dell'arcata inferiore, le radici dei canini, degli incisivi superiori,dei premolari e molari superiori, seni mascellari e gengiva superiore). Irrora i muscoli pterigoidei, il miloioideo e la regione del mento. 19) Arteria oftalmica interna 20) arteria oftalmica esterna 21) Arteria malare L'arteria malare origina dalla temporale superficiale e si proietta verso la zona palpebrale esterna ove irrora le palpebre. 22) Arteria infraorbitale (ramo ventrale) I rami ventrali dell'arteria infraorbitale irrorano la cavità nasale, il seno mascellare e la mucosa del palato. In visione il ramo ventrale. 23) Arteria infraorbitale (ramo dorsale) I rami nasali dell'arteria infraorbitale irrorano la cavità nasale, il seno mascellare e la mucosa del palato. 24) Arterie mentali Tavola XIII: ossa del collo (lato destro). Tavola XIII: ossa del collo (lato destro). Le fossette costali sono depressione destinate ad accogliere le costole dei loro livelli. I processi trasversi presentano una fossetta articolare che prende rapporto con la vertebra del livello corrispondente. Quindi le costole trovano due inserzioni articolari nella vertebra del medesimo livello. Il processo spinoso è caratterizzato da una forma prismatica triangolare che procede obliquamente verso il basso. Come si nota, i processi articolari caudali sono più sporgenti dei processi articolari craniali. 1) Fossetta costale trasversa (del processo trasverso) 2) Fossetta costale craniale 3) Fossetta costale caudale 4) Processo traverso della Ia vertebra toracica 5) Processo articolare caudale 6) Processo articolare craniale o inferiore 7) Processo traverso della VIIa vertebra cervicale 8) Canale trasversario 9) Processo articolare caudale 10) VIIa vertebra cervicale 11) Lamina ventrale del processo traverso - VIa vertebra cervicale 12) Tubercolo dorsale - processo trasverso 13) Processo articolare craniale 14) Processo articolare craniale 15) VIa vertebra cervicale 16) Processo traverso - tubercolo ventrale 17) Processo traverso - tubercolo dorsale 18) Processo spinoso della Ia vertebra toracica 19) Processo articolare caudale 20) Processo spinoso 21) Va vertebra cervicale 22) Processo articolare craniale 23) Processo trasverso - tubercolo ventrale 24) Processo trasverso - tubercolo dorsale 25) Processo spinoso 26) Processo articolare caudale 27) IVa vertebra cervicale 28) Processo spinoso 29) Processo articolare caudale 30) Processo trasverso - tubercolo ventrale 31) Processo articolare craniale 32) Processo spinoso 33) IIIa vertebra cervicale 34) Processo traverso - tubercolo dorsale 35) Processo trasverso - tubercolo ventrale 36) Processo traverso dell’epistrofeo 37) Processo articolare craniale 38) Processo spinoso dell’epistrofeo 39) Epistrofeo o IIa vertebra cervicale L'epistrofeo è considerata una vertebre anormale rispetto al resto della colonna vertebrale e che si distingue per la presenza del processo odontoideo (dente che si forma durante l’embriogenesi a carico del corpo dell’atlante) che si proietta cranialmente dalla superficie posteriore del corpo vertebrale. Il processo odontoideo è l’asse attorno al quale ruota l’atlante per i movimenti laterali. La testa e l'atlante, quindi, si muovono solidamente attorno al perno costituito dal processo odontoideo: la faccia anteriore del dente si articola con la faccia posteriore dell'arco dell'atlante, quella posteriore con la faccia anteriore del robusto legamento trasverso dell'atlante. 40) Ala dell’atlante 41) Arco ventrale dell’atlante L'arco ventrale costituisce circa i due quinti dell'anello dell'atlante. La sua superficie anteriore è convessa e presenta, al centro, il tubercolo anteriore su cui si inseriscono i muscoli lunghi del collo. Posteriormente è convesso e presenta una faccetta articolare liscia per l'articolazione con il dente dell'epistrofeo. 42) Ia vertebra cervicale o atlante È la prima vertebra cervicale che presenta ampie pleuroapofisi con i forami trasversari ai lati dell'arco neurale e, più medialmente e cranialmente, i due forami accessori per l'arteria vertebrale; bene evidenti le faccette articolari per l'articolazione sia con l'epistrofeo sia con i condili occipitali del cranio. Superiormente si articola con l'osso occipitale mettendo in comunicazione il cranio con il collo. Assieme all'epistrofeo forma l'articolazione che connette il cranio alla colonna vertebrale. 43) Forame laterale dell’atlante 44) Processo giugulare occipitale È una protuberanza ossea dell'occipite. Si trova nella parte inferiore dell'osso occipitale. 45) Condilo dell’occipitale È il bulbo della base dell'occipitale che si incastra con la prima vertebra (atlas). Partecipa a tutti i movimenti del capo (rotazione, inclinazione, flessione, estensione) assieme all'atlante, epistrofeo, odontoide, ai legamenti ed alle membrane coinvolte. Tavola XIV: strato superficiale del collo (lato destro). Tavola XIV: strato superficiale del collo (lato destro). 1) Muscolo cleidobrachiale, nervo sopraclavicolare ventrale intermedio -- È parte costituente il muscolo brachiocefalico. L’intersezione clavicolare (vestigio della clavicola) situata davanti alla punta della spalla suddivide il muscolo brachiocefalico in due parti: muscolo cleidobrachiale e muscolo cleidocefalico. -- Decorre lungo il braccio accompagnando il muscolo cleidobrachiale. 2) Muscolo deltoide - porzione acromiale Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. In visione la porzione acromiale. 3) Muscolo deltoide - porzione scapolare Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. In visione la porzione scapolare. 4) IV° nervo cervicale 5) Muscolo omotrasversario Fa parte dei muscoli superficiali e laterali del collo. Si estende dalla superficie della spalla fino all’atlante. L’origine dell’omotrasversario prende attacco sulla spina scapolare, mentre il tendine dell’estremità opposta termina sull’ala dell’atlante. Non è innervato dal plesso brachiale come gli altri muscoli adiacenti. 6) Muscolo sopraspinato Muscolo molto importante per la deambulazione perché tiene in sede scapolare l'omero. Coadiuva il muscolo deltoide nel movimento dell'arto anteriore. È innervato dal nervo soprascapolare. 7) Nervo accessorio - ramo dorsale Il nervo accessorio contiene fibre motorie che provvedono all’innervazione motoria dei muscoli rotatori e flessori-estensori della testa. In visione il ramo dorsale. 8) Muscolo trapezio - parte cervicale Il muscolo trapezio è allocato nella regione cervicale e nella toracica. Viene comunemente diviso in parti. La parte cervicale origina dalla zona nucale (prime vertebre toraciche). Partecipa ai complessi movimenti della scapola (spalla). Il muscolo trapezio è l'ammortizzatore di quella parte del peso del cane che si scarica sull'arto toracico. In visione la parte cervicale. 9) III° nervo cervicale 10) Muscolo brachiocefalico E’ un muscolo composito, assai allungato, situato sul lato del collo, dorsalmente allo sternocefalico. Si estende dal braccio alla regione mastoidea e alla nuca. E’ un muscolo particolare dei quadrupedi non provvisti di clavicola (infatti il cane ne è sprovvisto). Nel cane questo muscolo è particolarmente sviluppato e porta in seno un vestigio della clavicola costituito da una intersezione fibrosa o osteofibrosa, l’intersezione clavicolare situata davanti alla punta della spalla. Questa intersezione suddivide il muscolo brachiocefalico in due parti: la parte situata caudalmente all’intersezione clavicolare è anche denominata muscolo cleidobrachiale, mentre la parte situata cranialmente forma il muscolo cleidocefalico. Quest’ultima parte si allarga molto a livello della sua inserzione sulla testa e pertanto si possono riconoscere più o meno distintamente una porzione cleidomastoidea e una porzione cleidocervicale. L’origine del muscolo è situata in vicinanza dell’estremità distale dell’omero. 11) Vena giugulare esterna (in blu), muscolo sternocefalico La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. 12) Vena glossofacciale (in blu), muscolo sternoioideo -- Vena che raccoglie il sangue refluo dalla vena facciale. -- Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. 13) Ghiandola mandibolare, nervo facciale - ramo cervicale -- La ghiandola mandibolare è una delle ghiandole salivari maggiori. È deputata alla produzione della saliva. -- Il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo cervicale. 14) Linfonodi mandibolari I linfonodi mandibolari sono organi del sistema linfatico. Funzionano come dei filtri raccogliendo e distruggendo batteri e virus grazie alla folta presenza di linfociti. Si trovano caudolateralmente all’angolo della mandibola e caudoventralmente al muscolo massetere. 15) Muscolo miloioideo Appartiene ai muscoli abbassatori, ossia quelli che spingono la mandibola verso il basso. È di forma quadrilatera e si tende tra la mandibola e l’osso ioide formando il pavimento della bocca. Le sue fibre si inseriscono da un lato sulla linea miloioidea della mandibola e dall’altro su di una cucitura fibrosa tesa tra la mandibola e l’osso ioide. Le fibre più laterali del muscolo raggiungono direttamente il corpo dell’osso ioide. Il muscolo miloioideo è innervato dal ramo miloioideo del nervo alveolare inferiore ed irrorato dall’arteria submentale e sottolinguale. 16) Vena facciale, muscolo digastrico -- Raccoglie il sangue refluo della vena oftalmica inferiore e della parte epidermica della zona frontale. Termina nella giugulare interna. -- Fa parte dei muscoli abbassatori, cioè quelli che spingono la mandibola verso il basso. Origina dall’osso ioide e si inserisce sull’apice della scapola. Il digastrico presenta due ventri, anteriore e posteriore, con un tendine intermedio. Il ventre posteriore inizia dall'incisura mastoidea del temporale e si continua, in basso ed in avanti, nel tendine intermedio che è collegato all'osso ioide per mezzo di un'ansa fibrosa. Il ventre anteriore si porta dal tendine intermedio alla fossetta digastrica della mandibola. Durante la masticazione la presenza di un'organizzazione centrale del riflesso nocicettivo, analoga a quanto presente nelle altre parti dell'organismo (riflessi flessori), non permette al massetere ed al digastrico di eccitarsi contemporaneamente (contrazione). Inoltre sussiste una risposta riflessa che comporta la rapida decontrazione del massetere e la contrazione del muscolo digastrico, impedendo l'occlusione violenta delle arcate dentarie con possibili traumi. Questo si nota nel momento in cui la struttura di un succulento osso cede sotto la forza di masticazione di un cane. 17) Vena mascellare È la vena che raccoglie il sangue refluo delle venule efferenti la mascella che confluiscono nel plesso pterigoideo e da cui si diparte la vena mascellare che sfocia nella vena facciale. 18) II° nervo cervicale Il secondo nervo cervicale emerge dal canale spinale tra le lamine dell'atlante e dell'epistrofeo, differendo dai nervi sottostanti perché a questo livello non c’è il forame di coniugazione. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 19) Muscolo sternomastoideo Lo sternomastoideo è alloggiato lungo il margine della spalla. È innervato dal nervo accessorio spinale e da rami dei nervi cervicali C2 e C3. Fa parte dei muscoli del collo ed occupa tutta la regione omonima e ne costituisce la parte fondamentale. Serve a flettere ed inclinare lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto. 20) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno (manubrio) e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 21) Muscolo parotidoauricolare Piccolo muscolo diagonale che unisce la zona parotidea alla base del condotto auricolare fino al collo. La sua contrazione permette alcuni movimenti del padiglione auricolare. 22) Ghiandola parotide È la più grande tra le ghiandole salivari. È deputata alla produzione di saliva. 23) Nervo facciale - ramo boccale inferiore il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale inferiore. 24) Muscolo massetere Il massetere è uno dei muscoli masticatori. È inserito, da un lato sull’arcata zigomatica e dall’altro sulla faccia esterna della mandibola. Consente l’innalzamento della mandibola favorendo la masticazione. Le sue azioni principali sono il sollevamento e la protrusione della mandibola. Il muscolo massetere è innervato dal ramo del nervo mandibolare tramite il ramo masseterino (nervo trigemino). 25) Nervo facciale – ramo boccale superiore il nervo facciale è un nervo principalmente motorio che regola tutta la motilità di metà faccia. Il nervo ha altre funzioni secondarie quali il controllo della lacrimazione e di parte della salivazione. Attraverso il nervo facciale raggiungono il Sistema Nervoso Centrale le sensazioni gustative. Emerge dal tronco dell'encefalo e raggiunge i muscoli della faccia. Tale decorso è suddiviso in porzioni: intracranica, intratemporale ed extracranica. Nel tratto intracranico il nervo decorre dalla superficie del tronco dell'encefalo da cui origina, fino all'osso temporale. Nella parte terminale di questo tragitto il nervo passa all'interno del condotto uditivo interno. In questo condotto il nervo facciale è in stretta associazione con il nervo cocleovestibolare attraverso cui raggiungono il cervello le sensazioni uditive e quelle provenienti dal labirinto (che partecipano a determinare la sensazione dell'equilibrio). Il nervo facciale entra nell'osso temporale a livello del condotto uditivo interno e ne fuoriesce dal forame stilomastoideo. In questo tratto il nervo è suddiviso in tre porzioni (labirintica, timpanica e mastoidea). Il tratto extracranico, infine, inizia a livello del forame stilomastoideo e, dopo alcuni centimetri, entra nella ghiandola parotide dove inizia a ramificarsi per poi distribuirsi alla muscolatura. In visione il ramo boccale superiore. Tavola XV: strato profondo del collo (lato destro). Tavola XV: strato profondo del collo (lato destro). 1) Vena cefalica, arteria cervicale superficiale -- Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. -- L'arteria cervicale superficiale si distribuisce principalmente al muscolo trapezio. 2) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno (manubrio) e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 3) Muscolo sternomastoideo Lo sternomastoideo è alloggiato lungo il margine della spalla. È innervato dal nervo accessorio spinale e da rami dei nervi cervicali C2 e C3. Fa parte dei muscoli del collo ed occupa tutta la regione omonima e ne costituisce la parte fondamentale. Serve a flettere ed inclinare lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto. 4) Vena giugulare esterna La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. 5) Arteria carotide comune, tronco vago simpatico -- Arteria pari che nella regione del collo entra a far parte del fascio vascolonervoso del collo insieme con la vena giugulare interna ed il nervo vago. Arriva fino al margine superiore della cartilagine tiroidea dove si divide nei suoi due rami terminali (l´arteria carotide interna ed esterna). La carotide interna irrora l'encefalo. La carotide esterna irrora le regioni superficiali e profonde del neurocranio e dello splancnocranio (arterie mascellari). Il ramo terminale è l'arteria oftalmica che passando attraverso il foro ottico irrora il globo oculare. L'arteria carotide comune rappresenta il primo tratto della carotide. -- Il tronco vago simpatico è costituito dal nervo vago e dal tronco simpatico cervicale che si affiancano in vicinanza del foro giugulare per poi decorrere assieme in vicinanza dell'arteria carotide comune e con cui formano il cordone vascolo nervoso. 6) Esofago, vena giugulare interna -- L'esofago è un organo a forma cilindrica dell'apparato digerente. Collega la faringe allo stomaco e consente il passaggio del cibo. Viste le regioni attraversate, si può dividere in un tratto cervicale, uno toracico, uno diaframmatico e uno addominale. L'esofago ha pareti foderate di muscoli che spingono il cibo verso lo stomaco. La mucosa che lo riveste è ricca di ghiandole produttrici di muco, che ha funzione di lubrificante per il transito del cibo. È innervato dal nervo vago, dal nervo laringeo inferiore e dall’ortosimpatico. -- La vena giugulare interna è un grosso vaso venoso che attraversa in modo obliquo (dall'alto in basso e da dietro in avanti) la regione laterale del collo, dalla base cranica fino all'apertura superiore della cassa toracica. Decorre lateralmente all'arteria carotide. 7) Muscolo sternoioideo Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. 8) Muscolo sternotiroideo Muscolo anteriore del collo che origina dall’osso ioide e si inserisce sullo sterno. Appartiene ai muscoli sottoioidei che fungono da depressori dell'osso ioide durante la deglutizione e la fonazione. I muscoli sottoioidei (muscolo sternoiodeo, sternotiroideo, tiroioideo, omoioideo) normalmente vengono considerati esclusivamente muscoli della fonazione. In realtà essi, essendo inseriti tra osso ioide, cartilagine tiroidea e lo sterno, concorrono attivamente durante la masticazione: contraendosi fissano/abbassano l'osso ioide consentendo ai muscoli sovraiodei di abbassare la mandibola. Quando sono rilassati lasciano libero l'osso ioide di risalire, sempre grazie all'azione dei muscoli sovraioidei, durante la deglutizione. La vascolarizzazione del muscolo sternotiroideo avviene tramite le arterie tiroidee (rami della carotide esterna) e le vene tiroidee. 9) Trachea È compresa tra laringe e bronchi, situata lungo la linea mediana davanti all’esofago. È formato da una serie di anelli cartilaginei tenuti assieme da legamenti. Gli anelli non si saldano completamente nel quarto posteriore, dove la parete è sostituita dalla membrana fibrosa ricca di fibrocellule muscolari lisce, che riveste esternamente tutto il canale cartilagineo. La trachea è irrorata da una rete di arteriole alimentate dalle arterie tiroidee. Le vene che raccolgono il sangue refluo fanno capo alle vene tiroidee ed esofagee. L’innervazione è garantita da rami provenienti dal ganglio stellato e dai nervi ricorrenti del vago. 10) Ghiandola tiroide La tiroide è una ghiandola situata nella regione anteriore del collo, davanti alla laringe. La tiroide è fissata alla laringe ed alla trachea. Anteriormente e lateralmente la tiroide è ricoperta dai muscoli sottoioidei. Posteriormente si trovano l’arteria carotide, la vena giugulare interna ed il nervo vago. La ghiandola tiroidea è costituita da piccole cavità (follicoli) contenenti gli ormoni tiroidei. Questi vengono sintetizzati dalle cellule che circondano i follicoli, quindi riversati nella cavità e accumulati. Successivamente gli ormoni tiroidei vengono secreti nel sangue che li trasporta in tutto l’organismo dove esplicano le loro funzioni. Gli ormoni tiroidei hanno un vasto campo d'azione ed interagiscono con quasi tutti i distretti dell'organismo; aumentano il consumo di ossigeno e la produzione di calore (termoregolazione), aumentano il metabolismo del colesterolo, aumentano l'assorbimento intestinale dei carboidrati e diminuiscono il glicogeno epatico, aumentano l'attività del sistema simpatico, stimolano il Sistema Nervoso Centrale, stimolano la normale crescita e sviluppo corporeo. La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei è controllata da ghiandole presenti nel cervello: ipotalamo ed ipofisi. La vascolarizzazione della tiroide è garantita dalle arterie tiroidee superiori ed inferiori, rami della carotide esterna. Il sistema venoso è costituito dalle vene tiroidee superiori ed inferiori ed è tributario delle vene giugulari interne. L'innervazione deriva principalmente dal sistema nervoso autonomo, avendo come funzione principale la regolazione del flusso sanguigno. 11) Muscolo cleidomastoideo 12) Muscolo digastrico, vena mascellare (mascellare interna) -- Fa parte dei muscoli abbassatori, cioè quelli che spingono la mandibola verso il basso. Origina dall’osso ioide e si inserisce sull’apice della scapola. Il digastrico presenta due ventri, anteriore e posteriore, con un tendine intermedio. Il ventre posteriore inizia dall'incisura mastoidea del temporale e si continua, in basso ed in avanti, nel tendine intermedio che è collegato all'osso ioide per mezzo di un'ansa fibrosa. Il ventre anteriore si porta dal tendine intermedio alla fossetta digastrica della mandibola. Durante la masticazione la presenza di un'organizzazione centrale del riflesso nocicettivo, analoga a quanto presente nelle altre parti dell'organismo (riflessi flessori), non permette al massetere ed al digastrico di eccitarsi contemporaneamente (contrazione). Inoltre sussiste una risposta riflessa che comporta la rapida decontrazione del massetere e la contrazione del muscolo digastrico, impedendo l'occlusione violenta delle arcate dentarie con possibili traumi. Questo si nota nel momento in cui la struttura di un succulento osso cede sotto la forza di masticazione di un cane. -- È la vena che raccoglie il sangue refluo delle venule efferenti la mascella che confluiscono nel plesso pterigoideo e da cui si diparte la vena mascellare che sfocia nella vena facciale. 13) Muscolo massetere Il massetere è uno dei muscoli masticatori. È inserito, da un lato sull’arcata zigomatica e dall’altro sulla faccia esterna della mandibola. Consente l’innalzamento della mandibola favorendo la masticazione. Le sue azioni principali sono il sollevamento e la protrusione della mandibola. Il muscolo massetere è innervato dal ramo del nervo mandibolare tramite il ramo masseterino (nervo trigemino). 14) Muscolo sternomastoideo Lo sternomastoideo è alloggiato lungo il margine della spalla. È innervato dal nervo accessorio spinale e da rami dei nervi cervicali C2 e C3. Fa parte dei muscoli del collo ed occupa tutta la regione omonima e ne costituisce la parte fondamentale. Serve a flettere ed inclinare lateralmente la testa facendola ruotare dal lato opposto. 15) I° nervo cervicale È un nervo esclusivamente motore. Il nervo C1 (chiamato anche così per il punto da cui emerge) emerge tra l’osso occipitale e la prima vertebra cervicale o atlante (C1). Le fibre che nascono da questo nervo danno origine, assieme agli altri tre nervi cervicali, al plesso cervicale che innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 16) Muscolo lunghissimo del capo 17) Muscolo temporale Il temporale è il muscolo elevatore della mandibola (masticazione). È di forma simile ad un triangolo (con l'apice verso il basso) ed occupa la regione laterale del cranio. I fasci di fibre che lo costituiscono originano dalla fossa temporale e si fissano sul processo coronoideo. Innervano tale muscolo i rami profondi del nervo mandibolare. È irrorato dall'arterie temporali. 18) II° nervo cervicale Il secondo nervo cervicale emerge dal canale spinale tra le lamine dell'atlante e dell'epistrofeo, differendo dai nervi sottostanti perché a questo livello non c’è il forame di coniugazione. Veicola prevalentemente fibre sensitive (fibre propriocettive). Termina sotto la cute della regione occipitale. Fa parte del plesso cervicale ed innerva la zona occipitale e temporale della testa, la cute ed i muscoli del collo, nonché la zona scapolare. 19) Muscolo intertrasversario ventrale del collo Si trova tra i processi trasversi di vertebre cervicali adiacenti. È deputato ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 20) Muscolo splenio del capo Muscolo che origina dal legamento nucale. Le fibre si inseriscono sul processo mastoideo dell'osso temporale e sull'osso occipitale (zona nucale). 21) Muscolo romboide del capo Si localizza nella parte posteriore della nuca. Va ad inserirsi sul margine vertebrale della scapola. È innervato dal terzo e quarto nervo cervicale. Permette alla scapola di muoversi medialmente. Fa parte dei muscoli fissatori della scapola. 22) Muscolo intertrasversario medio del collo 23) Muscolo intertrasaversario ventrale del collo Si trova tra i processi trasversi di vertebre cervicali adiacenti. È deputato ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 24) Muscolo lungo del capo Appartiene ai muscoli prevertebrali. Il muscolo lungo del capo serve a flettere e ruotare la testa. 25) IV° nervo cervicale 26) Plesso brachiale Il plesso brachiale è costituito dall'unione delle radici spinali della zona cervicale terminale e che formano i nervi spinali. I suoi rami provvedono all'innervazione motoria e sensitiva (esterocettiva e propriocettiva) dell'arto anteriore, della spalla, zona scapolare e muscoli pettorali. 27) Muscolo scaleno medio È simile allo scaleno dorsale tranne che per la terminazione che avviene sulla faccia esterna della prima costa. Permette al collo l'inclinazione in avanti e lateralmente. 28, 29) Muscolo scaleno dorsale Appartiene al gruppo dei muscoli scaleni e si estendono dai vari processi trasversi cervicali alle costole. L’origine avviene a livello dei processi trasversi delle vertebre cervicali (dalla seconda in poi). La terminazione avviene sulla terza/quarta costa (branche brevi), mentre la più lunga si estende fino all’ottava/nona costola. Questi muscoli sono importanti poiché comandano i movimenti inspiratori del torace e permette al collo l'inclinazione laterale. 30) Arteria e vena ascellare -- Arteria parzialmente alloggiata nel collo e protetta dal muscolo retto del torace. Prosegue fino al margine inferiore del muscolo pettorale e diventa arteria brachiale. -- La vena ascellare origina dalla confluenza delle vene brachiali e riceve il sangue proveniente dalla parete toracica e dai muscoli pettorali. 31) Muscolo pettorale superficiale Fa parte dei muscoli del torace e costituisce la base anatomica della regione pettorale. L'ampiezza e lo sviluppo dei muscoli pettorali è indizio di buone capacità respiratorie. La larghezza è rappresentata dalla parte anteriore dello sterno (da non confondere con l'ampiezza del torace che ha come base anatomica le prime due costole toraciche). Prende origine sul manubrio sternale in vicinanza del muscolo sternocefalico. Il tendine sottile terminale (che ha il compito di mantenere nella posizione corretta i muscoli durante i movimenti) si unisce all’estremità corrispondente del muscolo brachiocefalico e si attacca alla cresta omerale. 32) Prima costola 33) Muscolo retto del torace È un muscolo piatto che si trova sulla superficie delle prime costole in corrispondenza del terzo ventrale di queste. Nasce lateroventralmente dalla prima costola e si porta caudoventralmente per terminare in prossimità dello sterno. 34) Muscolo pettorale profondo Il muscolo pettorale profondo è il più grande dei muscoli pettorali e copre la maggior parte dello sterno raggiungendo anche la parete addominale. Prende origine dalla faccia ventrale dello sterno. La terminazione avviene principalmente sui due tubercoli omerali. 35) Muscolo dentato ventrale del torace Muscolo appartenente alla regione toracica situato tra la spalla e la parete costale. Appartiene allo stesso sistema del dentato ventrale del collo con il quale è in continuità. Ha una conformazione a ventaglio che si estende sulla superficie delle costole. Prende origine (mediante digitazioni) sulla faccia laterale delle costole. 36) Muscolo romboide cervicale Si localizza nella parte superiore del dorso. Va ad inserirsi sul margine vertebrale della scapola. È innervato dal terzo e quarto nervo cervicale. Permette alla scapola di muoversi medialmente. Fa parte dei muscoli fissatori della scapola. 37) Muscolo dentato ventrale del collo Appartiene ai muscoli della regione cervicale/dorsale. E’ un muscolo piatto che mette in comunicazione le vertebre con il torace ed è in continuità con il muscolo dentato ventrale del torace. E’ detto "dentato" per la sua conformazione che presenta numerose digitazioni o dentellature che prendono origine sui processi traversi delle vertebre. Tavola XVI: strato profondo dei muscoli del collo (lato destro). Tavola XVI: strato profondo dei muscoli del collo (lato destro). 1) Muscolo intercostale esterno È un muscolo che occupa ciascun spazio intercostale. Ha il compito di sollevare le costole. 2) Prima costola 3) Trachea È compresa tra laringe e bronchi, situata lungo la linea mediana davanti all’esofago. È formato da una serie di anelli cartilaginei tenuti assieme da legamenti. Gli anelli non si saldano completamente nel quarto posteriore, dove la parete è sostituita dalla membrana fibrosa ricca di fibrocellule muscolari lisce, che riveste esternamente tutto il canale cartilagineo. La trachea è irrorata da una rete di arteriole alimentate dalle arterie tiroidee. Le vene che raccolgono il sangue refluo fanno capo alle vene tiroidee ed esofagee. L’innervazione è garantita da rami provenienti dal ganglio stellato e dai nervi ricorrenti del vago. 4) Muscolo scaleno medio È simile allo scaleno dorsale tranne che per la terminazione che avviene sulla faccia esterna della prima costa. Permette al collo l'inclinazione in avanti e lateralmente. 5, 6) Muscolo scaleno dorsale Appartiene al gruppo dei muscoli scaleni e si estendono dai vari processi trasversi cervicali alle costole. L’origine avviene a livello dei processi trasversi delle vertebre cervicali (dalla seconda in poi). La terminazione avviene sulla terza/quarta costa (branche brevi), mentre la più lunga si estende fino all’ottava/nona costola. Questi muscoli sono importanti poiché comandano i movimenti inspiratori del torace e permette al collo l'inclinazione laterale. 7) Muscolo lunghissimo del collo Fa parte del sistema muscolare sacrospinale. Il lunghissimo del collo stabilizza le ultime vertebre cervicali ancorandosi con i processi trasversi delle prime vertebre dorsali. La sua contrazione avvicina i punti estremi ed estende il rachide cervicale nella contrazione simmetrica, lo flette lateralmente nella contrazione unilaterale. 8) Muscolo spinale e semispinale del torace -- Muscolo a forma di fasci arcuati che origina tramite tendini dai processi spinosi delle prime vertebre lombari e dalle ultime toraciche. È antagonista dei muscoli flessori ed opera l'estensione della colonna vertebrale. -- Il muscolo semispinale si alloca tra i processi trasversi delle vertebre toraciche. Nella contrazione laterale sposta la colonna vertebrale verso il proprio lato e nella contrazione simultanea estende la colonna vertebrale. 9) Muscolo multifido del collo 10) muscolo dentato ventrale del collo (inserzioni) Appartiene ai muscoli della regione cervicale/dorsale. E’ un muscolo piatto che mette in comunicazione le vertebre con il torace ed è in continuità con il muscolo dentato ventrale del torace. E’ detto "dentato" per la sua conformazione che presenta numerose digitazioni o dentellature che prendono origine sui processi traversi delle vertebre. 11) Muscolo lunghissimo del collo Fa parte del sistema muscolare sacrospinale. Il lunghissimo del collo stabilizza le ultime vertebre cervicali ancorandosi con i processi trasversi delle prime vertebre dorsali. La sua contrazione avvicina i punti estremi ed estende il rachide cervicale nella contrazione simmetrica, lo flette lateralmente nella contrazione unilaterale. 12) Origine del muscolo lunghissimo 13) Muscolo spinale del collo Muscolo che decorre lungo le vertebre cervicali. La sua funzione è quella di sorreggere la testa. 14, 16, 17) Muscoli intertrasversari dorsali del collo Si trovano tra i processi trasversi di vertebre cervicali adiacenti. Sono deputati ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 15) Muscolo multifido del collo 18) Muscoli intertrasversari ventrali del collo Si trovano tra i processi trasversi delle vertebre cervicali adiacenti. Sono deputati ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 19) muscoli intertrasversari medi del collo Si trovano tra i processi trasversi di vertebre cervicali adiacenti. Sono deputati ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 20) Muscoli intertrasversari ventrali del collo Si trovano tra i processi trasversi di vertebre cervicali adiacenti. Sono deputati ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza del collo. 21) Muscolo lungo del capo Appartiene ai muscoli prevertebrali. Il muscolo lungo del capo serve a flettere e ruotare la testa. 22) Esofago L'esofago è un organo a forma cilindrica dell'apparato digerente. Collega la faringe allo stomaco e consente il passaggio del cibo. Viste le regioni attraversate si può dividere in un tratto cervicale, uno toracico, uno diaframmatico e uno addominale. L'esofago ha pareti foderate di muscoli che spingono il cibo verso lo stomaco. La mucosa che lo riveste è ricca di ghiandole produttrici di muco, che ha funzione di lubrificante per il transito del cibo. È innervato dal nervo vago, dal nervo laringeo inferiore e dall’ortosimpatico. 23) Ghiandola tiroide La tiroide è una ghiandola situata nella regione anteriore del collo, davanti alla laringe. La tiroide è fissata alla laringe ed alla trachea. Anteriormente e lateralmente la tiroide è ricoperta dai muscoli sottoioidei. Posteriormente si trovano l’arteria carotide, la vena giugulare interna ed il nervo vago. La ghiandola tiroidea è costituita da piccole cavità (follicoli) contenenti gli ormoni tiroidei. Questi vengono sintetizzati dalle cellule che circondano i follicoli, quindi riversati nella cavità e accumulati. Successivamente gli ormoni tiroidei vengono secreti nel sangue che li trasporta in tutto l’organismo dove esplicano le loro funzioni. Gli ormoni tiroidei hanno un vasto campo d'azione ed interagiscono con quasi tutti i distretti dell'organismo; aumentano il consumo di ossigeno e la produzione di calore (termoregolazione), aumentano il metabolismo del colesterolo, aumentano l'assorbimento intestinale dei carboidrati e diminuiscono il glicogeno epatico, aumentano l'attività del sistema simpatico, stimolano il Sistema Nervoso Centrale, stimolano la normale crescita e sviluppo corporeo. La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei è controllata da ghiandole presenti nel cervello: ipotalamo ed ipofisi. La vascolarizzazione della tiroide è garantita dalle arterie tiroidee superiori ed inferiori, rami della carotide esterna. Il sistema venoso è costituito dalle vene tiroidee superiori ed inferiori ed è tributario delle vene giugulari interne. L'innervazione deriva principalmente dal sistema nervoso autonomo, avendo come funzione principale la regolazione del flusso sanguigno. 24) Ala dell'atlante 25) muscolo digastrico Fa parte dei muscoli abbassatori, cioè quelli che spingono la mandibola verso il basso. Origina dall’osso ioide e si inserisce sull’apice della scapola. Il digastrico presenta due ventri, anteriore e posteriore, con un tendine intermedio. Il ventre posteriore inizia dall'incisura mastoidea del temporale e si continua, in basso ed in avanti, nel tendine intermedio che è collegato all'osso ioide per mezzo di un'ansa fibrosa. Il ventre anteriore si porta dal tendine intermedio alla fossetta digastrica della mandibola. Durante la masticazione la presenza di un'organizzazione centrale del riflesso nocicettivo, analoga a quanto presente nelle altre parti dell'organismo (riflessi flessori), non permette al massetere ed al digastrico di eccitarsi contemporaneamente (contrazione). Inoltre sussiste una risposta riflessa che comporta la rapida decontrazione del massetere e la contrazione del muscolo digastrico, impedendo l'occlusione violenta delle arcate dentarie con possibili traumi. Questo si nota nel momento in cui la struttura di un succulento osso cede sotto la forza di masticazione di un cane. 26) Muscolo retto laterale del capo Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. Il muscolo retto laterale permette l'inclinazione laterale della testa. 27, 29) muscolo obliquo craniale del capo Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. 28) Muscolo obliquo caudale del capo Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. 30) muscolo retto dorsale maggiore del capo Appartiene ai muscoli iustavertebrali ed è breve ed impari. I muscoli iustavertebrali sono raggruppati attorno alle vertebre cervicali (applicati a queste) agendo direttamente od indirettamente sulla testa. Il muscolo retto dorsale maggiore del capo origina dal processo spinoso dell'epistrofeo e si inserisce sul terzo medio della linea nucale inferiore. Fa parte dei muscoli estensori del collo. 31) Processo spinoso dell'epistrofeo Tavola XVII: ossa dell'arto toracico sinistro (faccia interna). Tavola XVII: ossa dell'arto toracico sinistro (faccia interna). 1) Secondo dito 2) Quinto dito 3) Ossa sesamòidee delle prime falangi (grandi sesamòidee) Piccole ossa rotondeggianti presenti nelle articolazioni. Sono anche chiamate sesamòidi periarticolari per il loro posizionamento. 4) Ossa metacarpali secondo-quinto 5) Primo dito 6) Osso carpale terzo (capitato) Osso che agisce da perno centrale per la rotazione della zampa. 7) Osso carpale quarto (uncinato) Osso del carpo che si lega con l'osso piramidale, il capitato e l'osso scafosemilunare. Ha forma piramidale uncinata e proviene da due abbozzi cartilaginei. 8) Osso ulnare del carpo (piramidale) Si trova posteriormente all'osso pisiforme con il quale si articola con la faccetta dorsale. Prende rapporto anche con la parte distale dell'ulna contribuendo a formare l’articolazione tra le ossa dell’avambraccio e carpo. 9) Osso accessorio del carpo (pisiforme) Osso del gruppo prossimale del carpo sul quale si inserisce il legamento mediale preposto all’articolazione radiocarpica. 10) Osso intermedio radiale del carpo (scafosemilunare) 11) Osso carpale secondo (trapezoide) Il trapezoide è situato tra il trapezio e il capitato. La faccia prossimale si articola con lo scafoide. 12) Osso carpale primo (trapezio) Osso del piede anteriore che si articola con lo scafoide, il trapezoide e i metacarpali. 13) Osso metacarpale primo 14) Quarto dito 15) Terzo dito 16) Estremità distale (troclea) del radio La troclea è una struttura ossea che si trova tra due protuberanze. È una salienza che ha la forma di una puleggia e si presenta come un solco destinato ad accogliere l’articolazione. 17) Spazio interosseo dell'avambraccio Spazio che separa le ossa ulna e radio. 18) Corpo (diafisi) dell'ulna Osso lungo che, insieme al radio, costituisce l'avambraccio. Si articola con il radio (distalmente) e con omero e radio in maniera prossimale. Nella parte anteriore presenta una cresta longitudinale ove si ancora il muscolo flessore profondo delle dita. L'estremità superiore dell'osso termina con l'olecrano. 19) Corpo (diafisi) del radio Osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce l’avambraccio. Si articola tra omero, ulna e carpo. È posto lateralmente all'ulna e con la quale si articola medialmente e distalmente (mentre solo distalmente con il carpo). L'estremità prossimale è chiamata testa, mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) capitello. La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. L'estremità distale è la sede dell'articolazione carpale (alloggiamento dello scafosemilunare del carpo). 20) Epicondilo mediale dell'omero È una porzione non articolare dell'estremità distale dell'omero. È ben sviluppato ed accoglie, nella propria depressione, il nervo ulnare. 21) Estremità prossimale (capitello) del radio L'estremità prossimale del radio è chiamata testa mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) capitello. La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. 22) Condilo dell'omero Superficie articolare posizionata all'estremità dell'osso. L’estremità distale dell'omero presenta una zona articolare (laterale). Questa zona si articola con la testa del radio. 23) Olecrano Apofisi dorsale dell’estremità superiore dell’ulna. Occupa la zona centrale della regione posteriore dell'articolazione del gomito. 24) Tuberosità del muscolo grande rotondo È il punto d'inserzione del muscolo grande rotondo sull'omero (faccia mediale). Più precisamente il muscolo s'inserisce sulla cresta della tuberosità stessa. 25) Trichine Costituisce parte dell'epifesi prossimale dell'omero (articolazione scapolomerale). È divisa dal trochitere tramite la doccia bicipitale. 26) Trochitere Costituisce parte dell'epifesi prossimale dell'omero (articolazione scapolomerale). È divisa dal trichine tramite la doccia bicipitale. 27) Tubercolo sopraglenoideo Tuberosità che si trova al di sopra della fossa glenoidea. Qui prende origine il capo lungo del muscolo bicipite brachiale. 28) Testa dell'omero Si articola superiormente (enartrosi) con la scapola (cavità glenoidea). La testa dell’omero (parte iniziale dell’osso del braccio) è situata all’interno della cavità glenoidea (parte terminale della scapola). La cavità glenoidea possiede una superficie articolare regolare, congruente e lubrificata che va a contatto con la testa dell'omero in cui il contatto articolare viene a realizzarsi con il minimo attrito aiutato dalla capacità viscoelastica del liquido sinoviale. 29) Collo della scapola Si trova nella parte inferiore della scapola. È importante perché dal collo della scapola origina la capsula (struttura fibrosa che si inserisce al collo omerale). 30) Fossa sottoscapolare La superficie costale della scapola si presenta incavata. Trattasi della fossa sottoscapolare. Qui prende origine il muscolo sottoscapolare. Tavola XVIII: arto toracico destro (vista frontale della parte terminale). Tavola XVIII: arto toracico destro (vista frontale della parte terminale). 1) Terza falange del quarto dito 2) Seconda falange del quarto dito 3) Terza falange del secondo dito 4) Prima falange del quarto dito 5) Seconda falange del secondo dito 6) Prima falange del secondo dito 7) Osso metacarpale quarto 8) Osso metacarpale terzo 9) Osso metacarpale secondo 10) Osso metacarpale quinto 11) Terza falange del primo dito 12) Prima falange del primo dito 13) Osso metacarpale primo 14) Osso carpale quarto (uncinato) Osso del carpo dell'arto anteriore che si lega con l'osso piramidale, il capitato e l'osso scafosemilunare. Ha forma piramidale uncinata e proviene da due abbozzi cartilaginei. 15) Osso carpale terzo (capitato) Osso che agisce da perno centrale per la rotazione della zampa. 16) Osso carpale secondo (trapezoide) Il trapezoide è situato tra il trapezio e il capitato. La faccia prossimale si articola con lo scafoide. 17) Osso carpale primo (trapezio) Osso della mano che si articola con lo scafoide, il trapezoide e i metacarpali. 18) Osso ulnare del carpo (piramidale) Si trova posteriormente all'osso pisiforme con il quale si articola con la faccetta dorsale. Prende rapporto anche con la parte distale dell'ulna contribuendo a formare l’articolazione tra le ossa dell’avambraccio e carpo. 19) Osso intermediale del carpo (scafosemilunare) Si trova tra l'osso capitato, il trapezoide e la troclea del radio. È un osso importante che fa da snodo tra l'arto toracico ed il piede. È funzionale dal punto di vista della trasmissione e propulsione ma anche per l'ammortizzamento del peso del corpo durante il moto. 20) Osso accessorio del carpo (pisiforme) Osso del gruppo prossimale del carpo sul quale si inserisce il legamento mediale preposto all’articolazione radiocarpica. Ha dimensione e forma simili ad un pisello. 21) Estremità distale dell'ulna Osso lungo che, insieme al radio, costituisce l'avambraccio. Si articola con il radio (distalmente) e con omero e radio in maniera prossimale. Nella parte anteriore presenta una cresta longitudinale ove si àncora il muscolo flessore profondo delle dita. L'estremità superiore dell'osso termina con l'olecrano. In visione l'estremità distale. 22) Estremità distale (troclea) del radio La troclea è una struttura ossea che si trova tra due protuberanze. Si presenta come un solco destinato ad accogliere l’articolazione. 23) Corpo (diafisi) dell'ulna Osso lungo che, insieme al radio, costituisce l'avambraccio. Si articola con il radio (distalmente) e con omero e radio in maniera prossimale. Nella parte anteriore presenta una cresta longitudinale ove si àncora il muscolo flessore profondo delle dita. L'estremità superiore dell'osso termina con l'olecrano. 24) Corpo (diafisi) del radio Osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce l’avambraccio. Si articola tra omero, ulna e carpo. È posto parallelamente all'ulna e con la quale si articola medialmente e distalmente (mentre solo distalmente con il carpo). L'estremità prossimale è chiamata testa mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) capitello. La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. L'estremità distale è la sede dell'articolazione carpale (alloggiamento dello scafosemilunare del carpo). In visione la diafisi. Tavola XIX: muscoli dell'arto toracico sinistro (faccia mediale). Tavola XIX: muscoli dell'arto toracico sinistro (faccia mediale). 1) Cuscinetti digitali Ammasso di tessuto fortemente irrorato posto al di sotto ed a protezione dell'ultima falange. La sua funzione e quella di ammortizzamento delle forze assorbite dall'impatto col terreno. 2) Cuscinetto metacarpale Nella zona metacarpofalangea si trova il cuscinetto plantare che consente un efficace ammortizzamento delle forze assorbite dall'impatto col terreno. Una parte dell’energia viene assorbita dalla sua elasticità ed un'altra parte dalla pressione negativa che si genera all'interno del cuscinetto durante la compressione che subisce nell'appoggio. La pressione negativa aspira il sangue che viene poi proiettato negli infiniti capillari che compongono i plessi venosi, subendo così una drastica caduta della pressione in accordo con il principio di Bernoulli e la legge di Poiseuille. Questo sistema serve a dissipare il picco transitorio di energia tramite un flusso emodinamico. Inoltre, le numerose anastomosi (comunicazione fra vasi) presenti nella circolazione dell’estremità dell'arto regolano la pressione subita durante l’impatto ed il riempimento di sangue del cuscinetto completa il sistema di ammortizzamento idraulico. Anche i recettori sensoriali collocati nella zona del piede sottolineano l’importanza rivestita dalla zampa nell’intera biomeccanica del movimento. Ma affinché questi recettori svolgano al meglio la loro funzione è necessario che subito dopo il contatto con il terreno il piede venga immediatamente sollecitato, trasmettendo attraverso i suoi recettori uno stimolo sensoriale propriocettivo che fornisce al cane le informazioni per completare il gesto biomeccanico. 3) Muscolo estensore comune delle dita È un muscolo posto nella parte laterale dell'avambraccio i cui tendini di inserzione vanno alle ultime quattro dita provocandone l'estensione. È un muscolo superficiale che origina dall'epicondilo dell'omero. A metà dell'avambraccio si divide in fasci. I tendini si inseriscono sulla faccia dorsale della prima falange (o falange prossimale). La sua funzione principale è quella di estendere ed allargare le dita (escluso il primo dito). Questo si nota bene nell'atto di stiramento del cane. È il muscolo più efficiente nella flessione dorsale della zampa e partecipa, inoltre, all'abduzione ulnare. 4) Cuscinetto carpale Nella faccia posteriore del carpo si trova il tubercolo plantare ed il rispettivo cuscinetto carpale. Il cuscinetto carpale è presente esclusivamente negli arti anteriori, in posizione arretrata rispetto agli altri cuscinetti della zampa. Utilizzato come appoggio dal cane, a detta di alcuni cinofili ed autori, per il gran galoppo, sembra invece abbia la sola funzione di evitare di slittare dopo un salto o per affrontare salite e discese ripide. 5) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 6) Capo radiale del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). In visione il capo radiale. 7) Capo omerale del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). In visione il capo omerale. 8) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 9) Muscolo flessore radiale del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Origina dall’epicondilo mediale, aderisce intimamente alla capsula articolare e si inserisce sulla testa del metacarpale accessorio mediale. Termina sull’estremità prossimale del metacarpale del primo dito. La sua azione è quella di flettere la zampa sull’avambraccio. 10) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 11) Muscolo brachioradiale Muscolo che si trova nella regione laterale dell'avambraccio. Origina sull'omero, sotto il nervo radiale, per terminare sull’epifisi distale del radio. 12) Capo ulnare del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo ulnare del flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. 13) Muscolo pronatore rotondo Muscolo dell'avambraccio che origina alla base dall’epicondilo mediale e sulla parte adiacente del legamento collaterale mediale del gomito. La terminazione avviene sul terzo medio mediale del radio. Con la sua azione ruota il radio all'interno (pronazione) e flette l'avambraccio. 14) Muscolo brachiale Muscolo che origina dalla metà distale della faccia anteriore dell'omero. È un muscolo monoarticolare che con la sua azione flette l'avambraccio in collaborazione con il brachioradiale. In effetti, nell'articolazione del gomito, il brachiale agisce come elemento di movimento e il brachioradiale, inserendosi distalmente sul radio rispetto all’articolazione, svolge il ruolo importante di elemento stabilizzante. 15) Muscolo anconeo origina dalla superficie dell'epicondilo dell'omero e si inserisce sulla faccia dorsale dell'ulna. Collabora con il muscolo tricipite nell'estensione dell'avambraccio, abduce e stabilizza l'ulna. È innervato dal nervo radiale. È irrorato dalla arteria brachiale e dall'arteria interossea. 16) Muscolo tensore della fascia antibrachiale Muscolo posteriore del braccio che prende origine dal margine caudale della scapola tramite una lamina tendinea che aderisce al capo lungo del muscolo tricipite brachiale ed al muscolo grande dorsale. Termina sull’olecrano. 17) Capo lungo del muscolo tricipite brachiale Il muscolo tricipite brachiale appartiene ai muscoli del braccio. Il capo lungo origina con fasci tendinei dal margine caudale della scapola. La terminazione avviene mediante fasci tendinei sull'olecrano. In vicinanza della scapola, la superficie laterale del muscolo mostra un'impronta per i muscoli deltoide e piccolo rotondo con i quali è in stretto rapporto. La sua funzione è quella di estendere l'articolazione del gomito. 18) Capo mediale del muscolo tricipite brachiale Muscolo che nasce dall'omero vicino al tubercolo del muscolo grande rotondo e termina sulla faccia mediale dell'olecrano. Estende l'articolazione del gomito. In visione il capo mediale. 19) Muscolo bicipite brachiale Muscolo che nasce dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola. Il tendine passa sulla capsula articolare scapolomerale, si continua per tutta la lunghezza del muscolo e, a livello del gomito, si divide in due parti: una si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio, l'altra si fonde col tendine del muscolo estensore radiale del carpo. Non è un vero e proprio bicipite come nell'uomo in quanto questo muscolo non possiede due capi. 20) Muscolo coracobrachiale Fa parte dei muscoli della spalla. Inizia con un tendine (avvolto da una guaina) sulla scapola. Il muscolo ha forma di ventaglio ed è diviso in due parti dal passaggio dell'arteria circonflessa dell'omero e dal nervo brachiale e si attacca sull’omero. 21) muscolo grande dorsale Grande muscolo che copre la regione del dorso. È in rapporto con il rachide, la spalla il torace e la faccia mediale dell’omero. Prende origine dal legamento sopraspinoso e dagli spinosi toracici e lombari. Estende, adduce e ruota all'interno l'omero. 22) Muscolo grande rotondo Muscolo sottile che nasce dalla parte prossimale del margine caudale della scapola. Termina sulla cresta della tuberosità dell'omero. La sua funzione è stabilizzare l'articolazione scapolomerale. 23) Muscolo sopraspinato Muscolo molto importante per la deambulazione perché tiene in sede scapolare l'omero. Coadiuva il muscolo deltoide nel movimento dell'arto anteriore. 24, 25) Muscolo sottoscapolare Muscolo che occupa la fossa sottoscapolare e che raggiunge le aree dentate della scapola seguendo l'asse maggiore della stessa. Nella parte distale termina sul tubercolo minore dell’omero mediante un tendine che aderisce alla capsula articolare scapolomerale. La sua principale funzione è quella di ruotare medialmente l'arto anteriore. È un antagonista del muscolo infraspinato. Inoltre contribuisce a mantenere la testa dell’omero in sede scapolare. Tavola XX: muscoli dell'arto toracico destro (faccia laterale). Tavola XX: muscoli dell'arto toracico destro (faccia laterale). 1) Muscoli interossei Sono muscoli situati tra la faccia palmare dei metacarpali ed i tendini flessori delle dita. Il cane presenta quattro muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metacarpale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 2) Muscolo abduttore del quinto dito Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 3) Muscolo estensore ulnare del carpo Fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina in parte tendineo dall'epicondilo laterale dell'omero e si continua all'estremità distale dell'avambraccio con un tendine che si divide in due branche. Termina con una branca sul pisiforme e con l’altra branca sul metacarpale del quinto dito. 4) Capo omerale del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo omerale è il più piccolo tra i due capi muscolari del flessore ulnare del carpo. Origina dall'epicondilo dell'omero, dalla fascia antibrachiale e dai setti intermuscolari circostanti. Il capo ulnare origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. 5) Capo ulnare del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo ulnare del flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. 6) Muscolo brachioradiale Muscolo che si trova nella regione laterale dell'avambraccio. Origina sull'omero, sotto il nervo radiale, per terminare sull’epifisi distale del radio. 7) Muscolo bicipite brachiale Muscolo che nasce dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola. Il tendine passa sulla capsula articolare scapolomerale, si continua per tutta la lunghezza del muscolo e, a livello del gomito, si divide in due parti: una si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio, l'altra si fonde col tendine del muscolo estensore radiale del carpo. Non è un vero e proprio bicipite come nell'uomo in quanto questo muscolo non possiede due capi. 8) Muscolo estensore del primo e del secondo dito È un muscolo a contrazione veloce che produce forza nei movimenti rapidi. Inizia sull'omero all'altezza del gomito per proseguire nell'avambraccio ed inserirsi sul primo e secondo dito. 9) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 10) Muscolo estensore comune delle dita È un muscolo posto nella parte laterale dell'avambraccio i cui tendini di inserzione vanno alle ultime quattro dita provocandone l'estensione. È un muscolo superficiale che origina dall'epicondilo dell'omero. A metà dell'avambraccio si divide in fasci. I tendini si inseriscono sulla faccia dorsale della prima falange (o falange prossimale). La sua funzione principale è quella di estendere ed allargare le dita (escluso il primo dito). Questo si nota bene nell'atto di stiramento del cane. È il muscolo più efficiente nella flessione dorsale della zampa e partecipa, inoltre, all'abduzione ulnare. 11) Muscolo estensore laterale delle dita Appartiene ai muscoli dell'avambraccio. Posto lateralmente all'estensore comune delle dita, origina dal legamento collaterale laterale del gomito, dalla tuberosità laterale dell'estremità prossimale del radio e dall'ulna. Si inserisce sulle tre dita più laterali gettandosi sulla terminazione dell’estensore comune. 12) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 13) Muscolo anconeo Origina dalla superficie dell'epicondilo dell'omero e si inserisce sulla faccia dorsale dell'ulna. Collabora con il muscolo tricipite nell'estensione dell'avambraccio, abduce e stabilizza l'ulna. È innervato dal nervo radiale. È irrorato dalla arteria brachiale e dall'arteria interossea. 14) Muscolo brachiale Muscolo che origina dalla metà distale della faccia anteriore dell'omero. È un muscolo monoarticolare che con la sua azione flette l'avambraccio in collaborazione con il brachioradiale. In effetti, nell'articolazione del gomito, il brachiale agisce come elemento di movimento e il brachioradiale, inserendosi distalmente sul radio rispetto all’articolazione, svolge il ruolo importante di elemento stabilizzante. 15) Capo laterale del muscolo tricipite brachiale Tale muscolo nasce dall'omero vicino al tubercolo del muscolo grande rotondo e termina sulla faccia mediale dell'olecrano. Estende l'articolazione del gomito. In visione il capo laterale. 16) Capo lungo del muscolo tricipite brachiale Il muscolo tricipite brachiale appartiene ai muscoli del braccio. Il capo lungo origina con fasci tendinei dal margine caudale della scapola. La terminazione avviene mediante fasci tendinei sull'olecrano. In vicinanza della scapola, la superficie laterale del muscolo mostra un'impronta per i muscoli deltoide e piccolo rotondo con i quali è in stretto rapporto. La sua funzione è quella di estendere l'articolazione del gomito. 17) Porzione acromiale del muscolo deltoide Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. In visione la porzione acromiale. 18) Trochitere Costituisce parte dell'epifesi prossimale dell'omero (articolazione scapolomerale). È divisa dal trichine tramite la doccia bicipitale. 19) Porzione scapolare del muscolo deltoide Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. 20) Muscolo grande rotondo Muscolo sottile che nasce dalla parte prossimale del margine caudale della scapola. Termina sulla cresta della tuberosità dell'omero. La sua funzione è stabilizzare l'articolazione scapolomerale. 21) Spina scapolare È un rilievo voluminoso che divide la superficie esterna della scapola in fossa infraspinata e sovraspinata (perché si trovano rispettivamente sotto e sopra la spina della scapola). La spina termina superiormente con l'acromion. 22) Porzione cervicale del muscolo trapezio Il muscolo trapezio è allocato nella regione cervicale e nella toracica. Viene comunemente diviso in parti e quella cervicale origina dalla zona nucale. Il muscolo trapezio è l'ammortizzatore di quella parte del peso del cane che si scarica sull'arto toracico. Partecipa ai complessi movimenti della scapola (spalla). In visione la porzione cervicale. 23) Muscolo sopraspinato Muscolo molto importante per la deambulazione perché tiene in sede scapolare l'omero. Coadiuva il muscolo deltoide nel movimento dell'arto anteriore. 24) Muscolo infraspinato Prende origine nella fossa infraspinata dalla spina della scapola e dalla fascia infraspinata. I suoi fasci terminano in un tendine che si inserisce sulla faccia media della tuberosità omerale. La sua contrazione rinforza la capsula dell'articolazione scapolomerale, stabilizzando l'articolazione della spalla. 25) Porzione toracica del muscolo trapezio Il muscolo trapezio è allocato nella regione cervicale e nella toracica. Viene comunemente diviso in parti. Partecipa ai complessi movimenti della scapola (spalla). Il muscolo trapezio è l'ammortizzatore di quella parte del peso del cane che si scarica sull'arto toracico. In visione la porzione toracica. 26) Cartilagine della scapola Tavola XXI: dissezione della spalla e del braccio dell'arto sinistro (faccia mediale). Tavola XXI: dissezione della spalla e del braccio dell'arto sinistro (faccia mediale). 1) Capo ulnare del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo ulnare del flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. In visione il capo ulnare. 2) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 3) muscolo flessore radiale del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Origina dall’epicondilo mediale, aderisce intimamente alla capsula articolare e si inserisce sulla testa del metacarpale accessorio mediale. Termina sull’estremità prossimale del metacarpale del primo dito. La sua azione è quella di flettere la zampa sull’avambraccio. 4) Muscolo pronatore rotondo Muscolo dell'avambraccio che origina alla base dall’epicondilo mediale e sulla parte adiacente del legamento collaterale mediale del gomito. La terminazione avviene sul terzo medio mediale del radio. Con la sua azione ruota il radio all'interno (pronazione) e flette l'avambraccio. 5) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 6) Arteria e vena mediana -- Si tratta dell'arteria più importante dell'avambraccio, continuazione dell'arteria brachiale. Si accompagna, lungo il suo decorso, con il nervo mediano. Sfocia nell'arterie comuni digitali ed è quindi il rifornimento principale dei piedi anteriori. -- La vena mediana raccoglie il sangue refluo dell'avambraccio. 7) Muscolo brachiale, nervo cutaneo mediale dell'avambraccio -- Muscolo che origina dalla metà distale della faccia anteriore dell'omero. È un muscolo monoarticolare che con la sua azione flette l'avambraccio in collaborazione con il brachioradiale. In effetti, nell'articolazione del gomito, il brachiale agisce come elemento di movimento e il brachioradiale, inserendosi distalmente sul radio rispetto all’articolazione, svolge il ruolo importante di elemento stabilizzante. -- Omissis. 8) Ramo superficiale del nervo radiale Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Il ramo superficiale è la parte sensitiva del nervo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio). 9) Vena cefalica, arteria brachiale superficiale -- Vena cutanea del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa (arto anteriore) e confluisce nella vena ascellare. -- L'arteria brachiale superficiale è un ramo dell'arteria brachiale che è l'arteria principale di tutto il braccio e rappresenta la continuazione dell’arteria ascellare. 10) Arteria e vena collaterale ulnare -- Omissis. -- Omissis. 11) Nervo cutaneo caudale dell'avambraccio, muscolo anconeo -- Omissis. -- Origina dalla superficie dell'epicondilo dell'omero e si inserisce sulla faccia dorsale dell'ulna. Collabora con il muscolo tricipite nell'estensione dell'avambraccio, abduce e stabilizza l'ulna. È innervato dal nervo radiale. È irrorato dalla arteria brachiale e dall'arteria interossea. 12) Capo mediale del muscolo tricipite brachiale Muscolo che nasce dall'omero vicino al tubercolo del muscolo grande rotondo e termina sulla faccia mediale dell'olecrano. Estende l'articolazione del gomito. In visione il capo mediale. 13) Arteria brachiale, nervo mediano -- L'arteria brachiale è l'arteria principale di tutto il braccio. L’arteria brachiale rappresenta la continuazione dell’arteria ascellare ed è l'unica arteria adibita all'ossigenazione di tutto l'arto toracico. -- Il nervo mediano accoglie fibre motorie che provengono dalle vertebre della zona cervicotoracica e fibre sensitive dalla zona cervicale. Il nervo discende lungo l'arteria brachiale ed arriva nella parte inferiore dell'avambraccio (dove fornisce rami muscolari( e penetra nella zampa (dove termina con rami muscolari e cutanei). Il nervo fornisce fibre motorie per la maggior parte dei muscoli flessori e pronatori dell'avambraccio. 14) Muscolo tensore della fascia antibrachiale Muscolo posteriore del braccio che prende origine dal margine caudale della scapola tramite una lamina tendinea che aderisce al capo lungo del muscolo tricipite brachiale ed al muscolo grande dorsale. Termina sull’olecrano. 15) Vena brachiale, nervo ulnare -- Vena che raccoglie il sangue refluo dall'arto toracico. -- Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. 16) Arteria e vena profonda del braccio -- Omissis. -- Vena che raccoglie il sangue refluo del braccio. Confluisce nella vena ascellare. 17) Capo lungo del muscolo tricipite brachiale Il muscolo tricipite brachiale appartiene ai muscoli del braccio. Il capo lungo origina con fasci tendinei dal margine caudale della scapola. La terminazione avviene mediante fasci tendinei sull'olecrano. In vicinanza della scapola, la superficie laterale del muscolo mostra un'impronta per i muscoli deltoide e piccolo rotondo con i quali è in stretto rapporto. La sua funzione è quella di estendere l'articolazione del gomito. 18) Muscolo bicipite brachiale Muscolo che nasce dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola. Il tendine passa sulla capsula articolare scapolomerale, si continua per tutta la lunghezza del muscolo e, a livello del gomito, si divide in due parti: una si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio, l'altra si fonde col tendine del muscolo estensore radiale del carpo. Non è un vero e proprio bicipite come nell'uomo in quanto questo muscolo non possiede due capi. 19) Muscolo pettorale superficiale Fa parte dei muscoli del torace e costituisce la base anatomica della regione pettorale. L'ampiezza e lo sviluppo dei muscoli pettorali è indizio di buone capacità respiratorie. La larghezza è rappresentata dalla parte anteriore dello sterno (da non confondere con l'ampiezza del torace che ha come base anatomica le prime due costole toraciche). Prende origine sul manubrio sternale in vicinanza del muscolo sternocefalico. Il tendine sottile terminale (che ha il compito di mantenere nella posizione corretta i muscoli durante i movimenti) si unisce all’estremità corrispondente del muscolo brachiocefalico e si attacca alla cresta omerale. 20) Muscolo brachiocefalico (muscolo cleidobrachiale) E’ un muscolo composito, assai allungato, situato sul lato del collo, dorsalmente allo sternocefalico. Si estende dal braccio alla regione mastoidea ed alla nuca. E’ un muscolo particolare dei quadrupedi non provvisti di clavicola (infatti il cane ne è sprovvisto). Nel cane questo muscolo è particolarmente sviluppato e porta in seno un vestigio della clavicola costituito da una intersezione fibrosa o osteofibrosa, l’intersezione clavicolare situata davanti alla punta della spalla. Questa intersezione suddivide il muscolo brachiocefalico in due parti: la parte situata caudalmente all’intersezione clavicolare è anche denominata muscolo cleidobrachiale, mentre la parte situata cranialmente forma il muscolo cleidocefalico. Quest’ultima parte si allarga molto a livello della sua inserzione sulla testa e pertanto si possono riconoscere più o meno distintamente una porzione cleidomastoidea e una porzione cleidocervicale. L’origine del muscolo è situata in vicinanza dell’estremità distale dell’omero. 21) Muscolo grande dorsale Grande muscolo che copre la regione del dorso. È in rapporto con il rachide, la spalla il torace e la faccia mediale dell’omero. Prende origine dal legamento sopraspinoso e dai spinosi toracici e lombari. Estende, adduce e ruota all'interno l'omero. 22) Linfonodo ascellare accessorio Struttura deputata alla risposta immunitaria. È situato in vicinanza del muscolo grande dorsale e del muscolo pettorale. Può essere assente. 23) Linfonodo ascellare Struttura deputata alla risposta immunitaria. È situato nella massa adiposa presente a livello della superficie mediale del muscolo grande rotondo, in prossimità della prima e della seconda costola. 24) Nervo toracodorsale, arteria e vena toracodorsale -- Nervo che nasce nell'ascella dal nervo ascellare. Discende accompagnando l'arteria e la vena e raggiunge il muscolo gran dorsale sul margine scapolare. -- Omissis. -- Omissis. 25) Muscolo coracobrachiale Fa parte dei muscoli della spalla. Inizia con un tendine (avvolto da una guaina) sulla scapola. Il muscolo ha forma di ventaglio ed è diviso in due parti dal passaggio dell'arteria circonflessa dell'omero e dal nervo brachiale e si attacca sull’omero. 26) Arteria circonflessa craniale dell'omero L’arteria offre irrorazione al muscolo deltoide, muscolo sottoscapolare, grande rotondo, ecc. Partecipa alla formazione del plesso acromiale e trasporta i nutrimenti all’articolazione della spalla, al capo lungo e laterale del tricipite omerale. Si anastomizza con la circonflessa caudale dell’omero e con l'arteria soprascapolare. 27) Muscolo sopraspinato Muscolo molto importante per la deambulazione perché tiene in sede scapolare l'omero. Coadiuva il muscolo deltoide nel movimento dell'arto anteriore. 28) Arteria e vena sottoscapolare -- È il ramo più voluminoso che si origina dall'arteria ascellare. Si divide subito nei suoi rami terminali. -- Omissis. 29) Nervo muscolocutaneo Nervo che penetra nel muscolo coracobrachiale. Passa attraverso l'ascella in questo muscolo e poi discende tra i muscoli bicipite e brachiale originando fibre motorie per i flessori dell'avambraccio. 30) Arteria ascellare Arteria parzialmente alloggiata nel collo e protetta dal muscolo retto del torace. Prosegue fino al margine inferiore del muscolo pettorale e diventa arteria brachiale. 31) vena ascellare La vena ascellare origina dalla confluenza delle vene brachiali e riceve il sangue proveniente dalla parete toracica e dai muscoli pettorali. 32) Arteria e vena sottoscapolare -- È il ramo più voluminoso che si origina dall'arteria ascellare. Si divide subito nei suoi rami terminali. -- Omissis. 33) Nervo ascellare Il nervo ascellare deriva dalla corda posteriore del plesso brachiale ed offre innervazione al muscolo deltoide ed all’articolazione della spalla. 34) Nervo radiale Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio). La sua finzione è quella di estendere l'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), estendere la zampa (estensori comuni) e le falangi (estensore comune). 35) Muscolo grande rotondo Muscolo sottile che nasce dalla parte prossimale del margine caudale della scapola. Termina sulla cresta della tuberosità dell'omero. La sua funzione è stabilizzare l'articolazione scapolomerale. 36) Muscolo sottoscapolare Muscolo che occupa la fossa sottoscapolare e che raggiunge le aree dentate della scapola seguendo l'asse maggiore della stessa. Nella parte distale termina sul tubercolo minore dell’omero mediante un tendine che aderisce alla capsula articolare scapolomerale. La sua principale funzione è quella di ruotare medialmente l'arto anteriore. È un antagonista del muscolo infraspinato. Inoltre contribuisce a mantenere la testa dell’omero in sede scapolare. 37) Nervo sottoscapolare Nervo che si localizza sotto la scapola ed innerva il muscolo sottoscapolare ed il muscolo grande rotondo. 38) Nervo soprascapolare Così chiamato perché passa nel margine della scapola ove si trova l'incisura scapolare. Nella regione cervicale, il plesso brachiale emette diversi rami per il controllo motorio dei muscoli della spalla e di parte del torace. In particolare, il nervo soprascapolare, che deriva da radici cervicali, è deputato all’innervazione del muscolo sopraspinato e dell'articolazione acromion-clavicolare. 39) Muscolo sottoscapolare Muscolo che occupa la fossa sottoscapolare e che raggiunge le aree dentate della scapola seguendo l'asse maggiore della stessa. Nella parte distale termina sul tubercolo minore dell’omero mediante un tendine che aderisce alla capsula articolare scapolomerale. La sua principale funzione è quella di ruotare medialmente l'arto anteriore. È un antagonista del muscolo infraspinato. Inoltre contribuisce a mantenere la testa dell’omero in sede scapolare. 40) Muscolo dentato ventrale del torace Muscolo appartenente alla regione toracica situato tra la spalla e la parete costale. Appartiene allo stesso sistema del dentato ventrale del collo con il quale è in continuità. Ha una conformazione a ventaglio che si estende sulla superficie delle costole. Prende origine (mediante digitazioni) sulla faccia laterale delle costole. Tavola XXII: dissezione dell'avambraccio dell'arto toracico sinistro (faccia mediale). Tavola XXII: dissezione dell'avambraccio dell'arto toracico sinistro (faccia mediale). 1) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 2) Cuscinetto carpale Nella faccia posteriore del carpo si trova il tubercolo plantare ed il rispettivo cuscinetto digitale (carpale). Il cuscinetto carpale è presente esclusivamente negli arti anteriori, in posizione arretrata rispetto agli altri cuscinetti della zampa. Utilizzato come appoggio dal cane, a detta di alcuni cinofili ed autori, per il gran galoppo, sembra invece abbia la sola funzione di evitare di slittare dopo un salto o per affrontare salite e discese ripide. 3) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 4) Muscolo flessore ulnare del carpo Muscolo robusto con due capi d'origine. Il capo omerale nasce dall’epicondilo mediale ed il capo ulnare nasce dalla faccia mediale e dal margine posteriore dell'olecrano. Il tendine terminale si fissa sull'osso pisiforme. La funzione è legata al suo nome. 5) muscolo flessore radiale del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Origina dall’epicondilo mediale, aderisce intimamente alla capsula articolare e si inserisce sulla testa del metacarpale accessorio mediale. Termina sull’estremità prossimale del metacarpale del primo dito. La sua azione è quella di flettere la zampa sull’avambraccio. 6) Nervo mediano Il nervo mediano accoglie fibre motorie che provengono dalle vertebre della zona cervicotoracica e fibre sensitive dalla zona cervicale. Il nervo discende lungo l'arteria brachiale ed arriva nella parte inferiore dell'avambraccio (dove fornisce rami muscolari( e penetra nella zampa (dove termina con rami muscolari e cutanei). Il nervo fornisce fibre motorie per la maggior parte dei muscoli flessori e pronatori dell'avambraccio. 7) Arteria e vena radiale 8) Muscolo brachioradiale Muscolo che si trova nella regione laterale dell'avambraccio. Origina sull'omero, sotto il nervo radiale, per terminare sull’epifisi distale del radio. 9) Radio Osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce l’avambraccio. Si articola tra omero, ulna e carpo. È posto parallelamente all'ulna e con la quale si articola medialmente e distalmente (mentre solo distalmente con il carpo). L'estremità prossimale è chiamata testa mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) capitello. La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. L'estremità distale è la sede dell'articolazione carpale (alloggiamento dello scafosemilunare del carpo). 10) Arteria mediana Si tratta dell'arteria più importante dell'avambraccio, continuazione della arteria brachiale. Si accompagna, lungo il suo decorso, con il nervo mediano. Sfocia nell'arterie comuni digitali ed è quindi il rifornimento principale delle zampe anteriori. 11) Capo omerale del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). In visione il capo omerale. 12) Capo radiale del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). In visione il capo radiale. 13) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 14) Ramo mediale dell'arteria brachiale superficiale, nervo cutaneo mediale dell'avambraccio -- L'arteria brachiale superficiale è un ramo dell'arteria brachiale che è l'arteria principale di tutto il braccio e rappresenta la continuazione dell’arteria ascellare. In visione il ramo mediale. -- Omissis. 15) Vena cefalica, ramo mediale della branca superficiale del nervo radiale -- Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. -- Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio) che comanda l'estensione dell'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), l'estensione della zampa (estensori comuni) e l'estensione delle falangi (estensore comune). In visione il ramo mediale della branca superficiale. 16) Capo omerale del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). In visione il capo omerale. 17) Arteria e vena mediana -- Si tratta dell'arteria più importante dell'avambraccio, continuazione della arteria brachiale. Si accompagna, lungo il suo decorso, con il nervo mediano. Sfocia nell'arterie comuni digitali ed è quindi il rifornimento principale delle zampe anteriori. -- La vena mediana raccoglie il sangue refluo dell'avambraccio. 18) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 19) Muscolo pronatore quadrato Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. E’ una specie di muscolo interosseo applicato sulla faccia palmare delle ossa dell’avambraccio e del legamento che le unisce. 20) Muscolo pronatore rotondo Muscolo dell'avambraccio che origina alla base dall’epicondilo mediale e sulla parte adiacente del legamento collaterale mediale del gomito. La terminazione avviene sul terzo medio mediale del radio. Con la sua azione ruota il radio all'interno (pronazione) e flette l'avambraccio. 21) Capo ulnare del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo ulnare del flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. 22) Muscolo flessore radiale del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Origina dall’epicondilo mediale, aderisce intimamente alla capsula articolare e si inserisce sulla testa del metacarpale accessorio mediale. Termina sull’estremità prossimale del metacarpale del primo dito. La sua azione è quella di flettere la zampa sull’avambraccio. 23) Muscolo pronatore rotondo Muscolo dell'avambraccio che origina alla base dall’epicondilo mediale e sulla parte adiacente del legamento collaterale mediale del gomito. La terminazione avviene sul terzo medio mediale del radio. Con la sua azione ruota il radio all'interno (pronazione) e flette l'avambraccio. 24) Nervo mediale 25) Nervo cutaneo caudale dell'avambraccio 26) Muscolo anconeo origina dalla superficie dell'epicondilo dell'omero e si inserisce sulla faccia dorsale dell'ulna. Collabora con il muscolo tricipite nell'estensione dell'avambraccio, abduce e stabilizza l'ulna. È innervato dal nervo radiale. È irrorato dalla arteria brachiale e dall'arteria interossea. 27) Nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. 28) Arteria e vena collaterale ulnare 29) Muscolo tensore della fascia antibrachiale Muscolo posteriore del braccio che prende origine dal margine caudale della scapola tramite una lamina tendinea che aderisce al capo lungo del muscolo tricipite brachiale ed al muscolo grande dorsale. Termina sull’olecrano. 30) Vena brachiale Vena che raccoglie il sangue refluo dall'arto toracico. 31) Muscolo bicipite brachiale Muscolo che nasce dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola. Il tendine passa sulla capsula articolare scapolomerale, si continua per tutta la lunghezza del muscolo e, a livello del gomito, si divide in due parti: una si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio, l'altra si fonde col tendine del muscolo estensore radiale del carpo. Non è un vero e proprio bicipite come nell'uomo in quanto questo muscolo non possiede due capi. 32) Arteria brachiale l'arteria brachiale è l'arteria principale di tutto il braccio. L’arteria brachiale rappresenta la continuazione dell’arteria ascellare ed è l'unica arteria adibita all'ossigenazione di tutto l'arto toracico. 33) Arteria brachiale superficiale L'arteria brachiale superficiale è un ramo dell'arteria brachiale che è l'arteria principale di tutto il braccio e rappresenta la continuazione dell’arteria ascellare. Tavola XXIII: dissezione dell'avambaccio dell'arto toracico destro (faccia laterale). Tavola XXIII: dissezione dell'avambraccio dell'arto toracico destro (faccia laterale). 1) Muscolo abduttore del quinto dito Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 2) Cuscinetto carpale Nella faccia posteriore del carpo si trova il tubercolo plantare ed il rispettivo cuscinetto (carpale). Il cuscinetto carpale è presente esclusivamente negli arti anteriori, in posizione arretrata rispetto agli altri cuscinetti della zampa. Utilizzato come appoggio dal cane, a detta di alcuni cinofili ed autori, per il gran galoppo, sembra invece abbia la sola funzione di evitare di slittare dopo un salto o per affrontare salite e discese ripide. 3) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 4) Muscolo estensore del primo e del secondo dito È un muscolo a contrazione veloce che produce forza nei movimenti rapidi. Inizia sull'omero all'altezza del gomito per proseguire nell'avambraccio ed inserirsi sul primo e secondo dito. 5) Ramo palmare del nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. In visione il ramo palmare. 6) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 7) Ramo dorsale del nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. In visione il ramo dorsale. 8) Arteria e vena collaterale ulnare 9) Capo omerale del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo omerale è il più piccolo tra i due capi muscolari del flessore ulnare del carpo. Origina dall'epicondilo dell'omero, dalla fascia antibrachiale e dai setti intermuscolari circostanti. Il capo ulnare origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Con la sua azione flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. In visione il capo omerale. 10) Nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. 11) Radio Osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce l’avambraccio. Si articola tra omero, ulna e carpo. È posto parallelamente all'ulna e con la quale si articola medialmente e distalmente (mentre solo distalmente con il carpo). L'estremità prossimale è chiamata testa, mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) capitello. La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. L'estremità distale è la sede dell'articolazione carpale (alloggiamento dello scafosemilunare del carpo). 12) Vena cefalica Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dalla zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. 13) Ramo laterale della branca superficiale del nervo radiale Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio). Estende l'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), estende la zampa (estensori comuni) ed estende le falangi (estensore comune). In visione il ramo laterale. 14) Muscolo estensore laterale delle dita Appartiene ai muscoli dell'avambraccio. Posto lateralmente all'estensore comune delle dita, origina dal legamento collaterale laterale del gomito, dalla tuberosità laterale dell'estremità prossimale del radio e dall'ulna. Si inserisce sulle tre dita più laterali gettandosi sulla terminazione dell’estensore comune. 15) Capo ulnare del muscolo flessore ulnare del carpo Il capo ulnare del flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. In visione il capo ulnare. 16) Muscolo estensore comune delle dita È un muscolo posto nella parte laterale dell'avambraccio i cui tendini di inserzione vanno alle ultime quattro dita provocandone l'estensione. È un muscolo superficiale che origina dall'epicondilo dell'omero. A metà dell'avambraccio si divide in fasci. I tendini si inseriscono sulla faccia dorsale della prima falange (o falange prossimale). La sua funzione principale è quella di estendere ed allargare le dita (escluso il primo dito). Questo si nota bene nell'atto di stiramento del cane. È il muscolo più efficiente nella flessione dorsale della zampa e partecipa, inoltre, all'abduzione ulnare. 17) Arteria craniale superficiale dell'avambraccio 18) Muscolo estensore ulnare del carpo Fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina in parte tendineo dall'epicondilo laterale dell'omero e si continua all'estremità distale dell'avambraccio con un tendine che si divide in due branche. Termina con una branca sul pisiforme e con l’altra branca sul metacarpale del V° dito. 19) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 20) Vena mediana del cubito 21) Ramo mediale della branca superficiale del nervo radiale Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio) che comanda l'estensione dell'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), l'estensione della zampa (estensori comuni) e l'estensione delle falangi (estensore comune). In visione il ramo mediale della branca superficiale. 22) Nervo cutaneo laterale dell'avambraccio 23) Muscolo anconeo Origina dalla superficie dell'epicondilo dell'omero e si inserisce sulla faccia dorsale dell'ulna. Collabora con il muscolo tricipite nell'estensione dell'avambraccio, abduce e stabilizza l'ulna. È innervato dal nervo radiale. È irrorato dalla arteria brachiale e dall'arteria interossea.. 24) Muscolo brachioradiale Muscolo che si trova nella regione laterale dell'avambraccio. Origina sull'omero, sotto il nervo radiale, per terminare sull’epifisi distale del radio. 25) Vena cefalica Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso del piede anteriore e confluisce nella vena ascellare. 26) Muscolo bicipite brachiale Muscolo che nasce dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola. Il tendine passa sulla capsula articolare scapolomerale, si continua per tutta la lunghezza del muscolo e, a livello del gomito, si divide in due parti: una si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio, l'altra si fonde col tendine del muscolo estensore radiale del carpo. Non è un vero e proprio bicipite come nell'uomo in quanto questo muscolo non possiede due capi. 27) Capo laterale del muscolo tricipite brachiale Tale muscolo nasce dall'omero vicino al tubercolo del muscolo grande rotondo e termina sulla faccia mediale dell'olecrano. Estende l'articolazione del gomito. In visione il capo laterale. 28) Capo lungo del muscolo tricipite brachiale Il muscolo tricipite brachiale appartiene ai muscoli del braccio. Il capo lungo origina con fasci tendinei dal margine caudale della scapola. La terminazione avviene mediante fasci tendinei sull'olecrano. In vicinanza della scapola, la superficie laterale del muscolo mostra un'impronta per i muscoli deltoide e piccolo rotondo con i quali è in stretto rapporto. La sua funzione è quella di estendere l'articolazione del gomito. 29) Nervo cutaneo caudale dell'avambraccio Tavola XXIV: parte distale dell'arto toracico destro (visione dorsale). Tavola XXIV: parte distale dell'arto toracico destro (visione dorsale). 1) Arteria e vena digitale dorsale propria mediale quarta, nervo digitale dorsale proprio mediale quarto 2) Arteria e vena digitale dorsale propria laterale terza, nervo digitale dorsale proprio laterlale terzo 3) Arteria digitale palmare comune terza 4) Arteria e vena digitale dorsale propria mediale quinta, nervo digitale dorsale proprio mediale quinto 5) Arteria e vena digitale dorsale propria laterale quarta, nervo digitale dorsale proprio laterale quarto 6) Arteria e vena digitale dorsale propria mediale terza, nervo digitale dorsale proprio mediale terzo 7) Arteria e vena digitale dorsale propria laterale seconda, nervo digitale dorsale proprio laterale secondo 8) Arteria digitale dorsale comune quarta 9) Vena digitale dorsale comune terza, nervo digitale dorsale comune terzo 10) Arteria digitale dorsale comune terza 11) Muscolo interosseo Muscolo situato tra la faccia palmare del metacarpale ed il tendine flessore delle dita. Il cane presenta quattro muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metacarpale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 12) Vena digitale dorsale comune quarta, nervo digitale dorsale comune quarto 13) Vena digitale dorsale comune seconda, nervo digitale dorsale comune secondo 14) Arteria e vena digitale dorsale propria mediale seconda 15) Nervo digitale dorsale proprio mediale secondo 16) Muscolo abduttore del quinto dito Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 17) Vena dorsale del primo dito 18) Arteria digitale dorsale comune seconda 19) Nervo digitale dorsale proprio laterale primo 20) Muscolo estensore laterale delle dita Appartiene ai muscoli dell'avambraccio. Posto lateralmente all'estensore comune delle dita, origina dal legamento collaterale laterale del gomito, dalla tuberosità laterale dell'estremità prossimale del radio e dall'ulna. Si inserisce sulle tre dita più laterali gettandosi sulla terminazione dell’estensore comune. 21) Muscolo estensore comune delle dita È un muscolo posto nella parte laterale dell'avambraccio i cui tendini di inserzione vanno alle ultime quattro dita provocandone l'estensione. È un muscolo superficiale che origina dall'epicondilo dell'omero. A metà dell'avambraccio si divide in fasci. I tendini si inseriscono sulla faccia dorsale della prima falange (o falange prossimale). La sua funzione principale è quella di estendere ed allargare le dita (escluso il primo dito). Questo si nota bene nell'atto di stiramento del cane. È il muscolo più efficiente nella flessione dorsale della zampa e partecipa, inoltre, all'abduzione ulnare. 22) Muscolo estensore del primo e del secondo dito È un muscolo a contrazione veloce che produce forza nei movimenti rapidi. Inizia sull'omero all'altezza del gomito per proseguire nell'avambraccio ed inserirsi sul primo e secondo dito. 23, 24) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 25) Ramo laterale della branca superficiale del nervo radiale, arteria craniale superficiale dell'avambraccio -- Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio). Estende l'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), estende la zampa (estensori comuni) ed estende le falangi (estensore comune). In visione il ramo laterale. -- Omissis. 26) Ramo dorsale del nervo ulnare, ramo dell'arteria interossea caudale -- Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. In visione il ramo dorsale. -- Omissis. 27) Vena cefalica accessoria 28) Ramo mediale della branca superficiale del nervo radiale (nervo digitale dorsale primo), ramo mediale dell'arteria craniale superficiale dell'avambraccio -- Il nervo radiale è il ramo terminale del plesso brachiale. Attraversando tutta la zona ascellare, percorre il braccio per sdoppiarsi al gomito e dividersi in un ramo superficiale sensitivo ed in un ramo profondo (rami diretti alla zampa ed all'avambraccio) che comanda l'estensione dell'avambraccio sul braccio (muscolo tricipite), l'estensione della zampa (estensori comuni) e l'estensione delle falangi (estensore comune). In visione il ramo mediale della branca superficiale. --Omissis. 29) Vena cefalica Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. 30) Muscolo estensore radiale del carpo Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 31) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 32) Muscolo estensore ulnare del carpo Fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina in parte tendineo dall'epicondilo laterale dell'omero e si continua all'estremità distale dell'avambraccio con un tendine che si divide in due branche. Termina con una branca sul pisiforme e con l’altra branca sul metacarpale del V° dito. Tavola XXV: porzione della parte distale dell'arto toracico sinistro (visione palmare). Tavola XXV: porzione della parte distale dell'arto toracico sinistro (visione palmare). 1) Nervo digitale palmare proprio mediale terzo, arteria e vena digitale palmare propria mediale terza 2) nervo digitale palmare proprio laterale quarto, arteria e vena digitale palmare propria laterale quarta 3) Nervo digitale palmare proprio mediale quinto, arteria e vena digitale palmare propria mediale quinta 4) Nervo digitale palmare proprio mediale quarto, arteria e vena digitale palmare propria mediale quarta 5) Nervo digitale palmare proprio laterale terzo, arteria e vena digitale palmare propria laterale terza 6) Nervo digitale palmare proprio laterale secondo, arteria e vena digitale palmare propria laterale seconda 7) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 8) Nervo digitale palmare comune terzo 9) Nervo metacarpeo palmare terzo 10) Nervo digitale palmare comune secondo 11) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 12) Nervo digitale palmare comune quarto 13) Nervo metacarpeo palmare quarto 14) Nervo metacarpeo palmare secondo 15) Ramo per il cuscinetto metacarpale 16) Nervo digitale palmare comune quarto, arteria digitale palmare comune quarta 17) Nervo digitale palmare proprio mediale secondo 18) Nervo digitale palmare proprio laterale quinto 19) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 20) Muscolo lombricale 21) Arcata venosa palmare distale 22) Muscolo lombricale 23, 24, 25) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 26) Muscoli interossei Sono muscoli situati tra la faccia palmare dei metacarpali ed i tendini flessori delle dita. Il cane presenta quattro muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metacarpale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 27) Nervo digitale palmare proprio laterale primo 28) Muscoli interossei Sono muscoli situati tra la faccia palmare dei metacarpali ed i tendini flessori delle dita. Il cane presenta quattro muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metacarpale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 29) Muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). 30) Nervo digitale palmare comune terzo, arteria digitale palmare comune terza 31, 32) Muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). 33) Nervo digitale palmare comune primo 34) Nervo metacarpeo palmare primo 35) Nervo digitale palmare comune secondo, arteria digitale palmare comune seconda 36) Nervo digitale palmare comune primo, arteria digitale palmare comune prima 37) Ramo superficiale della branca palmare del nervo ulnare, arteria interossea caudale -- Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere il piede anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. -- Omissis. 38) Muscolo flessore corto del quinto dito 39) Muscolo abduttore del quinto dito Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 40) Muscolo interflessore distale 41) Muscolo flessore corto del primo dito 42) Muscolo adduttore del primo dito 43) Muscolo abduttore lungo del primo dito Il muscolo abduttore lungo del primo dito fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina sull'ulna e si inserisce alla base del primo osso metacarpale. La sua funzione principale è l'abduzione del primo dito, anche se questi è poco usato in quanto poggia a terra solo in casi particolari (arrampicamento). 44) Ramo profondo della branca palmare del nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. 45) Ramo dorsale del nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. 46) Osso accessorio del carpo (pisiforme) Osso del gruppo prossimale del carpo, sul quale si inserisce il legamento mediale preposto all’articolazione radiocarpica. Ha dimensione e forma simili ad un pisello. 47) Muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli dell'avambraccio. Origina dall'epicondilo dell'omero e dal processo coronoideo dell'ulna per poi dare origine a quattro strutture distinte che terminano con quattro tendini sulle falangi del secondo/quinto dito. Il flessore superficiale delle dita è il flessore dell'articolazione carpale e flette le falangi dal secondo al quinto dito. 48) Muscolo corto abduttore del primo dito 49) Vena cefalica Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. 50) Muscolo flessore ulnare del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Il flessore ulnare del carpo origina dal margine mediale dell'olecrano dell'ulna e dal margine posteriore dell'ulna. Il flessore ulnare del carpo flette, adduce e supina la zampa. S'inserisce sull'osso pisiforme e sul quinto metacarpale. 51) Muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). 52) Muscolo interflessore distale 53) Muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) Il perforante è un muscolo con tre capi principali e che prendono nome dall'osso dal quale prendono origine. Il capo omerale si distacca dall’epicondilo mediale dell’omero, con un breve tendine di origine. Il suo ventre consta di tre fasci carnosi intimamente uniti e percorsi da lamine tendinee. Il capo ulnare nasce dal margine posteriore e dalla faccia mediale dell'olecrano. Il suo tendine raggiunge il margine laterale del capo omerale, al quale si unisce prima di raggiungere il carpo. Il capo radiale nasce dal terzo medio della faccia volare del radio e si fonde all'altezza del carpo col tendine del capo omerale. Il tendine terminale si divide in tante branche quante sono le dita. La branca destinata al primo dito è più esile delle altre; ciascuna di queste attraversa l’anello della branca corrispondente del flessore superficiale e si continua oltre fino alla falange, la quale presenta, per questo, un tubercolo d’inserzione. Il nome origina da una struttura che il tendine del muscolo flessore superficiale forma (la cosiddetta manica flessoria) e che è una sorta di occhiello che lascia passare il tendine del muscolo flessore profondo (da dove il nome di "muscolo perforante" e "muscolo perforato" rispettivamente per i due muscoli flessori profondo e superficiale delle dita). 54) Muscolo flessore radiale del carpo Appartiene ai muscoli antibrachiali volari. Origina dall’epicondilo mediale, aderisce intimamente alla capsula articolare e si inserisce sulla testa del metacarpale accessorio mediale. Termina sull’estremità prossimale del metacarpale del primo dito. La sua azione è quella di flettere la zampa sull’avambraccio. 55) Ramo palmare del nervo ulnare Il nervo ulnare nasce a livello delle vertebre cervicali. Percorre il braccio, il gomito e l’avambraccio per raggiungere la zampa anteriore. Nel suo percorso dà origine a diversi rami che comandano muscoli dell'avambraccio e della zampa. In visione il ramo palmare. 56) Arteria mediana, nervo mediano -- Si tratta dell'arteria più importante dell'avambraccio, continuazione della arteria brachiale. Si accompagna, lungo il suo decorso, con il nervo mediano. Sfocia nell'arterie comuni digitali ed è quindi il rifornimento principale delle zampe anteriori. -- Il nervo mediano accoglie fibre motorie che provengono dalle vertebre della zona cervicotoracica e fibre sensitive dalla zona cervicale. Il nervo discende lungo l'arteria brachiale ed arriva nella parte inferiore dell'avambraccio (dove fornisce rami muscolari( e penetra nella zampa (dove termina con rami muscolari e cutanei). Il nervo fornisce fibre motorie per la maggior parte dei muscoli flessori e pronatori dell'avambraccio. Tavola XXVI: ossa dell'arto pelvico destro (visione laterale). Tavola XXVI: ossa dell'arto pelvico destro (visone laterale). 1) Ossa del quinto dito 2) Ossa del quarto dito 3) Ossa del secondo dito 4) Ossa sesamoidee delle prime falangi (grandi sesamoidee) Piccole ossa rotondeggianti presenti nelle articolazioni. Sono anche chiamate sesamòidi periarticolari per il loro posizionamento. 5) Ossa del terzo dito 6) Ossa metatarsali secondo/quinto 7) osso tarsale secondo (cuneiforme intermedio) E' un piccolo osso del tarso che si articola con il cuneiforme laterale, lo scafoide, il cuneiforme mediale ed in basso con le ossa metatarsali. 8) Osso tarsale terzo (cuneiforme laterale) E' un osso del tarso che si articola con il cuneiforme intermedio, lo scafoide ed in basso con le ossa metatarsali. 9) Osso centrale del tarso (scafoide) Osso dell'arto pelvico che si articola superiormente con l'astragalo, posteriormente con il cuboide ed inferiormente con ossa tarsali primo/terzo. La sua funzione è quella di trasmettere il peso della massa del cane a terra ricevendo una forza compressiva dall'osso astragalo e trasmettendola alle ossa tarsali primo/terzo. Ricordiamo di quest'osso le poco studiate malformazioni congenite. 10) Osso tarsale primo (cuneiforme mediale) Osso che si localizza al di sotto del cuboide e con il quale si articola. Inoltre entra in contato con lo scafoide, il cuneiforme intermedio ed il metatarso secondo. 11) Osso tarsale quarto (cuboide) L’osso cuboide, come dice la parola stessa, ha forma di cubo irregolare e si articola con l'osso cuneiforme, l’osso scafoide, il quarto e quinto osso metatarsale ed il calcaneo. È quindi un osso di congiuzione delle ossa dell'arto posteriore che sorreggono il peso che si scarica nella zona lateroesterna della zampa. 12) Astragalo L'astragalo è un osso spugnoso del tarso che si articola con le ossa della gamba e con il calcaneo (tibia, perone ed osso centrale del tarso). È la struttura biomeccanicamente più importante della zampa posteriore in quanto tramite esso vengono trasmesse/scaricate le forze di carico (peso dell'animale e spinta per deambulare). Il suo nome deriva dall'uso che se ne faceva nella divinazione: per la sua forma veniva usato come dado da trarre. 13) Malleolo mediale della tibia La tibia è la più larga delle due ossa dell'arto pelvico al di sotto del ginocchio. Prismatico, più largo nella parte superiore (per l'articolazione del ginocchio), più ristretto nel terzo inferiore. Si dilata lievemente nella parte distale. Si articola superiormente con il femore e la patella (o rotula), lateralmente con il perone (tramite una membrana intraossea), mentre inferiormente, insieme alla porzione distale del perone, si articola con l'astragalo a formare l'articolazione. In visione il malleolo mediale (parte dell'articolazione). 14) Calcaneo È un osso voluminoso del tarso e di cui costituisce la parte posteriore. Offre, posteriormente, il punto di inserzione al tendine calcaneale. Corrispondente al calcagno umano ed essendo sollevato da terra, non ha la stessa importanza come nell'uomo. 15) Corpo (diafisi) della tibia La tibia è la più larga delle due ossa dell'arto pelvico al di sotto del ginocchio. Prismatico, più largo nella parte superiore (per l'articolazione del ginocchio), più ristretto nel terzo inferiore. Si dilata lievemente nella parte distale. Si articola superiormente con il femore e la patella (o rotula), lateralmente con il perone (tramite una membrana intraossea), mentre inferiormente, insieme alla porzione distale del perone, si articola con l'astragalo a formare l'articolazione. In visione il corpo. 16) Fibula (perone) La fibula è un osso dell'arto pelvico orientato verticalmente che decorre parallelamente alla tibia. Si articola alle estremità superiore e inferiore con la tibia (articolazioni tibioperonale superiore e inferiore). Nella apofisi della estremità distale di quest'osso si innestano i muscoli peronei. 17) Tuberosità della tibia La tuberosità della tibia è una protuberanza o sporgenza ossea localizzata sulla parte anteriore dell'epifisi superiore della tibia. È punto d'inserzione del muscolo quadricipite femorale e parzialmente del muscolo vasto mediale. 18) Condilo mediale della tibia La tibia è la più larga delle due ossa dell'arto pelvico al di sotto del ginocchio. Prismatico, più largo nella parte superiore (per l'articolazione del ginocchio), più ristretto nel terzo inferiore. Si dilata lievemente nella parte distale. Si articola superiormente con il femore e la patella (o rotula), lateralmente con il perone (tramite una membrana intraossea), mentre inferiormente, insieme alla porzione distale del perone, si articola con l'astragalo a formare l'articolazione. In visione il condilo mediale (punto d'inserzione di un legamento dell'articolazione del ginocchio). 19) Osso sesamoideo del muscolo popliteo Piccolo osso di forma ovalare che si trova nel tendine d’origine del muscolo popliteo e si articola con la superficie caudale del condilo laterale della tibia. 20) Condilo laterale del femore Si tratta della superficie articolare posizionata all'estremità inferolaterale del femore. Da qui si originano i muscoli gastrocnemio e popliteo. 21) Ossa sesamoidee del muscolo gastrocnemio (ossa sesamoidee sopracondiloidee) si tratta di piccole ossa alloggiate nello spessore dei tendini in prossimità dell'articolazione del ginocchio. Hanno il compito di sollevare i tendini rendendo meno acuto l'angolo d'inserzione. 22) Epicondilo mediale del femore È la protuberanza mediale in corrispondenza dell’estremità articolare del femore. È situato al di sopra del condilo e da qui originano il muscolo gastrocnemio e prende contatto il legamento collaterale mediale del ginocchio. 23) Condilo mediale del femore Sporgenza ossea convessa, semisferoidale, ricoperta da cartilagine e che si articola con il capo articolare concavo della tibia. Qui prende origine il muscolo gastrocnemio. 24) Rotula (patella) La rotula, o patella, è un grosso sesamoide di forma ovalare e schiacciato craniocaudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale (che si incontrano dorsalmente), aiutando a prevenire la dislocazione della patella. La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla fascia lata e da quella mediale del femore, supportate in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale: il laterale va dal bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio dell’epicondilo mediale del femore. La rotula si sposta sulla troclea come su di un binario ed è sottoposta a due forze: la forza esercitata dal quadricipite femorale e la forza che e' la reazione del tendine rotuleo. Poiché queste forze non sono vettorialmente parallele, esiste una forza risultante che per direzione tende a far fuoriuscire la rotula dal suo binario trocleare. Ciò però non avviene perché una robusta cresta rotulea interna trattiene la rotula, le fibre interne del quadricipite sono molto solide, e perché la faccetta esterna della troclea serve da "paraurti" alla rotula. 25) Troclea femorale Struttura ossea a forma di gola concava che si trova tra due protuberanze ossee. Si presenta quindi come un solco del femore che è destinato ad accogliere l’articolazione del ginocchio. La troclea femorale è appoggiata alla rotula che scorre in alto ed in basso durante i movimenti del ginocchio (come una corda su una carrucola). 26) Corpo (diafisi) del femore Il femore è un osso dell'arto pelvico situato nella coscia e che costituisce parte dell'articolazione dell'anca (coxofemorale) e del ginocchio (femorotibiorotulea). Il femore è sede di inserzione per molti muscoli della coscia. Anatomicamente viene diviso in un corpo, un'epifesi prossimale ed una distale. L'epifisi prossimale è voluminosa e composta da una zona articolare ed una non articolare: la prima costituita dalla testa del femore e segnata dal solco per l'inserzione legamento rotondo, la seconda costituita da due processi detti trocantere e trocantino. Il trocantere è posto lateralmente e percorso dalla doccia trocanterica che lo divide in sommità e convessità del trocantere. Il trocantino si trova sul lato mediale, sotto la testa ed il collo femorale ed è raggiunto dalla linea intertrocanterica che si diparte dal trocantere. L'epifisi distale presenta una superficie articolare costituita da una troclea (che si articola con rotula e presenta due labbri separati) in avanti e da due condili all’indietro (divisi dalla fossa intercondiloidea). La parola femore deriva dal latino femur (coscia). In visione la diafisi. 27) Trocantino Il trocantino è un'escrescenza ossea appiattita lateralmente e tronca all'estremità. Si trova sul lato mediale, sotto la epifesi prossimale ed è raggiunto dalla linea intertrocanterica che si diparte dal grande trocantere. Qui si inseriscono le terminazioni del muscolo ileopsoas. 28) Fossa trocanterica Si localizza medialmente alla base del trocantere. Qui trovano punto d'inserzione il muscolo otturatore interno, l'otturatore esterno ed il quadrato femorale. 29) Sinfisi pelvica La sinfisi pelvica è una articolazione che fa parte delle sinartrosi, articolazioni con movimenti limitati (cioè le due cinture pelviche fuse centralmente). 30) tuberosità ischiatica Tuberosità, escrescenza dell'ischio (osso del bacino) che si evidenzia nella parte posteriore dell'osso. 31) Forame otturato Foro che si trova posteriormente all'articolazione coxofemorale sul corpo dell'ischio. 32) Pube È l'osso che forma la parte centrale anteriore del bacino. si tratta di una lamina che forma il pavimento del bacino assieme all’ischio ed in parte delimita la cavità articolare del femore. 33) Eminenza ileopubica (ileopettinea) È una cresta smussa ove trovano origine il muscolo piccolo psoas ed il muscolo pettineo. 34) Spina ischiatica Prominenza, sporgenza dell'osso iliaco ove origina il muscolo coccigeo. 35) superficie auricolare Parte dell'osso iliaco. 36) Corpo dell'ileo L'ileo è un osso che costituisce lo scheletro del bacino. Da qui si origina parte del muscolo iliaco. In visione il corpo. 37) Tuberosità dell'anca Conformazione dell'ala dell'ileo a forma di tubero. 38) Ala dell'ileo Conformazione dell'osso iliaco. 39) Tuberosità sacrale Sporgenza, protuberanza dell'ileo di forma simile a quella di un tubero. Tavola XXVII: dissezione dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). Tavola XXVII: dissezione dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). 1) Muscolo interosseo Muscolo situato tra il metatarso ed il tendine flessore delle dita. Nell'arto pelvico il cane presenta cinque muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metatarsale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 2) Muscolo estensore lungo del primo dito Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendine, al primo dito dell'arto pelvico. 3) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 4) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine del muscolo. 5) Muscolo estensore corto delle dita 6) Muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. 7) Muscolo flessore lungo del primo dito Il muscolo flessore lungo del primo dito origina dalla fibula. Il suo tendine decorre verso il basso fino al piede per andare ad inserirsi sulla base della falange distale del primo dito. 8) Tendine del muscolo tricipite surale Nell'uomo il tricipite surale è formato dai muscoli gastrocnemio e soleo. Nel cane non è presente il soleo. Il tendine del tricipite surale, unitamente al tendine del muscolo flessore superficiale delle dita (perforato), costituiscono la corda del garretto. In visione il tendine. 9) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 10) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 11) Muscolo flessore lungo delle dita Origina dalla superficie della tibia ed i suoi fasci convergono in un tendine che si inserisce alle falangi. 12) Muscolo tibiale craniale Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e dall’arcata tibioperoneale. Al tarso il tendine si biforca. Il tendine termina sul metatarsale primo. 13) Muscolo popliteo E’ un muscolo breve che origina con un tendine nella fossetta poplitea del condilo laterale del femore e si espande a ventaglio sulla faccia plantare della parte prossimale della tibia dove si inserisce dal lato mediale. 14) Capo mediale del muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. In visione il capo mediale. 15) Tendine calcaneale del muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. In visione il tendine calcaneale. 16) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 17) Ventre caudale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. 18) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. 19) Ventre craniale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. In visione il ventre craniale. 20) Muscolo retto craniale del femore Fa parte del quadricipite femorale di cui ne è un capo. Origina con un tendine al di sopra dell’acetabolo (articolazione coxofemorale) che si fissa alla base della rotula. 21) Muscolo vasto mediale Il vasto mediale è uno dei quattro capi del muscolo quadricipite. Origina lungo la faccia della diafisi del femore. Si inserisce alla patella con un tendine comune agli altri capi del quadricipite femorale. Con la sua azione estende la gamba e stabilizza la rotula. È il maggior produttore di forza propulsiva. È innervato dal nervo femorale. 22) Muscolo gracile (muscolo retto mediale della coscia) Il muscolo gracile si estende per quasi tutta la faccia mediale della coscia. Nasce mediante un tendine dalla faccia ventrale della sinfisi ischiopubica. Il tendine terminale si fonde con quello del muscolo sartorio terminando sulla cresta della tibia. 23) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. 24) Muscolo abduttore della coscia Muscolo profondo della coscia che abduce, come dice il nome stesso, la coscia. 25) Muscolo pettineo Muscolo situato nella parte superiore della coscia e che nasce dalla linea pettinea e dalla zona pubica. Si inserisce al femore nelle vicinanze del foro nutritizio. Un tendine giunge anche al di sopra del condilo mediale del femore. La sua azione flette, adduce e permette la irrorazione esterna del femore. È innervato dal nervo otturatore e dal nervo femorale. 26) Ventre craniale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre craniale. 27) Ventre caudale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. 28) Muscolo ileopsoas È un grande muscolo formato dal grande psoas e dal muscolo iliaco. Il muscolo grande psoas si localizza lateralmente al piccolo psoas. Origina dalla cavità toracica (ultime vertebre toraciche e relative coste), supera l’arcata lombo costale del diaframma e si pone nella cavità addominale costituendo la volta (insieme al piccolo psoas). Si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore. Il muscolo iliaco origina dall’ala e del corpo dell’ileo. Il ventre muscolare dell’ilaco è diviso in due parti dal tendine terminale del grande psoas con il quale ne condivide la terminazione sul trocantino. 29) Sinfisi pelvica La sinfisi pelvica è una articolazione che fa parte delle sinartrosi, articolazioni con movimenti limitati (cioè le due cinture pelviche fuse centralmente). 30) Muscolo otturatore interno Muscolo del bacino formato da due parti (iliaca ed ischiatica). La parte iliaca nasce dalla faccia interna dell'ileo, dall'articolazione sacroiliaca e dal sacro e si dirige caudalmente e ventralmente terminando in un tendine alla incisura ischiatica. Qui si unisce alla parte ischiatica. La parte ischiatica si inserisc sul contorno del foro otturato e sulla faccia interna della branca ischiopubica. Termina in un tendine che si unisce a quello della parte iliaca e termina gettandosi nella fossa trocanterica. 31) Muscolo ischiopubicococcigeo 32) Muscolo ileococcigeo Si estende dalla parete pelvica fino alla spina ischiatica ed è formato dalle fibre del muscolo elevatore dell'ano. Fa parte del complesso dei muscoli striati responsabili del controllo fecale. 33) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) ventrale laterale 34) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) dorsale mediale 35) Osso sacro L'osso sacro è un osso impari e simmetrico che appartiene alla colonna vertebrale. È formato da tre vertebre saldate tra loro ed è in stretto contatto con i muscoli (glutei, psoas, ecc) che servono a trasmettere l’impulso ricevuto dal posteriore. La sua superficie dà inserzione al muscolo piriforme, al muscolo iliaco ed altri. 36) Muscolo ileopsoas È un grande muscolo formato dal grande psoas e dal muscolo iliaco. Il muscolo grande psoas si localizza lateralmente al piccolo psoas. Origina dalla cavità toracica (ultime vertebre toraciche e relative coste), supera l’arcata lombo costale del diaframma e si pone nella cavità addominale costituendo la volta (insieme al piccolo psoas). Si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore. Il muscolo iliaco origina dall’ala e del corpo dell’ileo. Il ventre muscolare dell’ilaco è diviso in due parti dal tendine terminale del grande psoas con il quale ne condivide la terminazione sul trocantino. 37) Settima vertebra lombare 38) Muscolo piccolo psoas Muscolo che presenta un corpo carnoso che si inserisce su un lungo tendine che costituisce la porzione laterale della parte carnosa. Il corpo carnoso prende origine sui corpi vertebrali delle ultime vertebre toraciche e, dopo aver attraversato l’arcata lombocostale del diaframma, anche dai corpi delle prime vertebre lombari. Il tendine termina sul tubercolo omonimo della linea arcuata o cresta ileopettinea dell’ileo. 39) Muscolo tibiale caudale Muscolo lungo situato nella zona dell'estremità prossimale della fibula. Il tendine si unisce mediante una larga espansione nella maggior parte delle ossa della fila distale del tarso e soprattutto alla massa fibrocartilaginea della zona dei cuscinetti plantari. Tavola XXVIII: muscoli del bacino e dell'arto pelvico destro (faccia laterale). Tavola XXVIII: muscoli del bacino e dell' arto pelvico destro (faccia laterale). 1) Muscolo interosseo Muscolo situato tra il metatarso ed il tendine flessore delle dita. Nell'arto pelvico il cane presenta cinque muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metatarsale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. 2) Tendini del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 3) Tendine del muscolo estensore laterale delle dita 4) Muscolo abduttore del quinto dito Muscolo dell'estremità inferiore dell'arto pelvico (piede). Dalla zona calcaneale raggiunge la prima falange del quinto dito. Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 5) Muscolo estensore corto delle dita 6) Muscolo peroneo lungo Origina dal condilo laterale delle dita, dal capitello e dalla fibula. Il muscolo decorre lateralmente alla fibula. Il tendine terminale si fissa sul primo cuneiforme e sul primo metatarso. Determina flessione e pronazione della zampa. 7) Muscolo peroneo corto Piccolo muscolo ricoperto dal muscolo peroneo lungo e dall’estensore laterale delle dita. Origina nel terzo distale della faccia laterale della fibula e termina con un tendine sull’estremità prossimale del metatarsale quinto. 8) Muscolo estensore laterale delle dita Muscolo che si trova addossato al perone. Nasce dal legamento collaterale laterale del ginocchio e dal perone. Il tendine raggiunge il tendine del muscolo estensore comune delle dita (zona metatarsale). 9) muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. 10) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 11) Muscolo flessore lungo del primo dito Il muscolo flessore lungo del primo dito origina dalla fibula. Il suo tendine decorre verso il basso fino al piede per andare ad inserirsi sulla base della falange distale del primo dito. 12) Muscolo tibiale craniale Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e dall’arcata tibioperoneale. Al tarso il tendine si biforca. Il tendine termina sul metatarsale primo. 13) Muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. 14) Muscolo abduttore caudale della gamba Muscolo che origina dal legamento sacrotuberoso, vicino alla porzione caudale del bicipite femorale. Si insinua nella faccia profonda del bicipite femorale, fra questo muscolo e il muscolo semitendineo e termina mediante una lamina verso la metà della faccia laterale della gamba. 15) Capo profondo (pelvico) del muscolo bicipite femorale Il capo profondo è una della due porzioni del muscolo bicipite femorale. Origina dalla tuberosità ischiatica e termina con tre code di cui l'anteriore si fissa sulla rotula , la coda media e la posteriore si fissano (espandendosi) sulla cresta della tibia e in parte si prolungano nella fascia della gamba. 16) capo superficiale (vertebrale) del muscolo bicipite femorale Il capo superficiale di tale muscolo è disposto lateralmente al femore. Origina dai processi spinosi del sacro, dalle prime vertebre coccigee e dal legamento sacroischiatico. 17) Ventre caudale del muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. In visione il ventre caudale. 18) Ventre caudale del muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. In visione il ventre caudale. 19) Ventre craniale del muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. In visione il ventre craniale. 20) Muscolo abduttore caudale della gamba Muscolo che origina dal legamento sacrotuberoso, vicino alla porzione caudale del bicipite femorale. Si insinua nella faccia profonda del bicipite femorale, fra questo muscolo e il muscolo semitendineo e termina mediante una lamina verso la metà della faccia laterale della gamba. 21) Muscolo abduttore della coscia Muscolo profondo della coscia che abduce, come dice il nome stesso, la coscia. 22) Muscolo vasto laterale È un capo muscolare del quadricipite femorale che nasce dalla porzione prossimale della superficie craniolaterale del femore. Si fonde con gli altri capi e in parte si attacca alla parte laterale della rotula. 23) Muscolo quadrato femorale Piccolo muscolo che origina dalla parte ventrale della sinfisi ischiopubica e termina nella fossa trocanterica. 24) Capo superficiale (vertebrale) muscolo bicipite femorale Il capo superficiale di tale muscolo è disposto lateralmente al femore. Origina dai processi spinosi del sacro, dalle prime vertebre coccigee e dal legamento sacroischiatico. 25) Muscolo gemelli del bacino Si tratta di due fasci muscolari fusi tra loro ed aderenti al tendine del muscolo otturatore interno (nella sua parte extrapelvica) e che si estendono dalla piccola incisura ischiatica alla fossa sottotrocanterica. 26) Muscolo tensore della fascia lata Muscolo che nasce dalla tuberosità laterale dell'anca. Distalmente si allarga a ventaglio inserendosi alla fascia lata che, con un suo sdoppiamento, ne riveste le due facce. Il tratto di fascia lata che gli fa seguito si inserisce sulla rotula e sulla cresta della tibia. 27) Muscolo coccigeo Il muscolo si trova nella zona perineale ed è il prolungamento del muscolo elevatore dell'ano. Ha una forma triangolare con il vertice verso la spina ischiatica mentre verso il basso prende contatto con il coccige. Contribuisce in modo determinante al movimento della coda. 28) Muscolo gluteo 29) Muscolo gluteo medio Appartiene ai muscoli glutei. Possiede un capo piramidale che origina dalla fascia lombodorsale. Arriva fino a livello della prima vertebra lombare. Il muscolo nasce inoltre dalla faccia esterna dell’ala iliaca, dai legamenti sacroiliaco e sacroischiatico, dalla parte vicina del sacro e dalla fascia glutea. L'imponente massa muscolare si ripiega alquanto sul margine laterale dell'ala iliaca per raggiungere la sommità della prominenza ossea dell'estremità superiore del femore dove si fissa con un tendine. Fasci muscolari proseguono anche posteriormente alla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore, costituendo il cosiddetto fascio post-trocanterico del gluteo medio. 30) Ventre craniale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre craniale. 31) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) ventrale laterale 32) Muscolo intertrasversario della coda Si trova tra i processi trasversi di vertebre caudali adiacenti. È deputato ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza della coda. 33) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) dorsale laterale Tavola XXIX: porzione della regione glutea e della coscia dell'arto pelvico destro (faccia laterale, strato profondo). Tavola XXIX: porzione della regione glutea e della coscia dell'arto pelvico destro (faccia laterale, strato profondo). 1) Muscolo abduttore caudale della gamba Muscolo che origina dal legamento sacrotuberoso, vicino alla porzione caudale del bicipite femorale. Si insinua nella faccia profonda del bicipite femorale, fra questo muscolo e il muscolo semitendineo e termina mediante una lamina verso la metà della faccia laterale della gamba. 2) Vena safena laterale, ramo cutaneo del nervo tibiale -- La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. -- Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione il ramo cutaneo. 3) Capo profondo (o pelvico) del muscolo bicipite femorale Il capo profondo è una della due porzioni del muscolo bicipite femorale. Origina dalla tuberosità ischiatica e termina con tre code di cui l'anteriore si fissa sulla rotula , la coda media e la posteriore si fissano (espandendosi) sulla cresta della tibia e in parte si prolungano nella fascia della gamba. 4) Muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. 5) Nervo cutaneo caudale della sura Decorre in stretto contatto con il muscolo abduttore caudale della gamba 6) Linfonodo popliteo Il linfonodo popliteo è situato nella parte distale del triangolo femorale e più precisamente è compreso fra i muscoli sartorio ed il pettineo. Può essere assente. 7) Nervo peroneo comune Il nervo peroneo comune decorre in vicinanza del muscolo gastrocnemio. Successivamente si suddivide nel nervo peroneo superficiale e profondo. Prima di tale diramazione il nervo peroneo comune emette un ramo cutaneo per l’innervazione sensitiva della parte laterale del ginocchio e della parte prossimale dell'arto pelvico. 8) Arteria e vena caudale del femore Rami terminali della arteria e vena femorale che raggiungono la parte distale del muscolo semitendinoso. 9) Capo superficiale (o vertebrale) del muscolo bicipite femorale Il capo superficiale di tale muscolo è disposto lateralmente al femore. Origina dai processi spinosi del sacro, dalle prime vertebre coccigee e dal legamento sacroischiatico. 10) Arteria e vena femorale -- Grande vaso sanguigno con decorso rettilineo situato lungo la coscia e che trasporta sangue arterioso all'arto pelvico. È il vaso più importante della coscia e decorre, circondata da muscoli, dall’inguine fino al femore. -- Raccoglie il sangue refluo dell'arto pelvico (coscia). 11) Ventre caudale del muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. In visione il ventre caudale. 12) Ventre craniale del muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. In visione il ventre craniale. 13) Nervo tibiale (posteriore) Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione la parte posteriore. 14) Nervo ischiatico Il nervo ischiatico è un nervo motore e sensitivo. Costituisce la terminazione del plesso nervoso sacrale ed innerva le articolazioni dell'anca, del ginocchio, i muscoli posteriori dell'arto pelvico (fino alla zampa e la cute che la riveste). 15) Capo profondo (o pelvico) del muscolo bicipite femorale Il capo profondo è una della due porzioni del muscolo bicipite femorale. Origina dalla tuberosità ischiatica e termina con tre code di cui l'anteriore si fissa sulla rotula , la coda media e la posteriore si fissano (espandendosi) sulla cresta della tibia e in parte si prolungano nella fascia della gamba. 16) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 17) Muscolo adduttore della coscia Muscolo che origina dal pube e si va ad inserire sul femore. La sua funzione è quella di addurre l'anca. 18) Muscolo vasto laterale È un capo muscolare del quadricipite femorale che nasce dalla porzione prossimale della superficie craniolaterale del femore. Si fonde con gli altri capi e in parte si attacca alla parte laterale della rotula. 19) Muscolo quadrato femorale Piccolo muscolo che origina dalla parte ventrale della sinfisi ischiopubica e termina nella fossa trocanterica. 20) Nervo cutaneo caudale del femore 21) Arteria e vena glutea caudale -- Origina dall'arteria iliaca e si porta verso il basso lungo il muscolo bicipite femorale raggiungendo il muscolo semitendinoso (zona prossimale). Il suo nome definisce la zona che irrora. -- La vena glutea raccoglie il sangue refluo che proviene dal muscolo semitendinoso gettandosi nella vena iliaca. 22) Capo superficiale (o vertebrale) del muscolo bicipite femorale Il capo superficiale di tale muscolo è disposto lateralmente al femore. Origina dai processi spinosi del sacro, dalle prime vertebre coccigee e dal legamento sacroischiatico. 23) Muscoli gemelli del bacino Si tratta di due fasci muscolari fusi tra loro ed aderenti al tendine del muscolo otturatore interno (nella sua parte extrapelvica) e che si estendono dalla piccola incisura ischiatica alla fossa sottotrocanterica. 24) Muscolo gluteo superficiale Muscolo che ha forma di ventaglio e presenta il margine superiore incavato. Gli estremi di questo margine sono rappresentati dal capo iliaco (che origina dalla tuberosità laterale dell’anca insieme al muscolo tensore della fascia lata) e dal capo sacrale (che nasce dalla linea spinosa del sacro). Per il rimanente origina dalla fascia glutea (continuazione caudale dell’aponeurosi del muscolo gran dorsale). Le fibre convergono in un tendine appiattito che si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore ed in parte sulla fascia lata. Termina sulla tuberosità glutea. 25) Ramo dell'arteria e della vena circonflessa profonda dell'ileo, ramo del nervo gluteo craniale -- L'arteria circonflessa profonda è destinata, tramite i suoi rami, la vascolarizzazione della zona del collo femorale formando una specie di anello vascolare. Da qui si dipartono degli ulteriori vasi che raggiungono la prominenza ossea dell'estremità superiore del femore e la testa del femore. -- La vena circonflessa profonda raccoglie il sangue refluo della parte superiore del femore. -- Il nervo gluteo craniale compare nella regione glutea insieme con l'arteria circonflessa. Si distribuisce al muscolo gluteo medio. 26) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) ventrale laterale 27) Muscolo piriforme Il muscolo piriforme è costituito da più ventri che originano dalla faccia del sacro e s'inseriscono, mediante un unico tendine, sulla testa femorale. È quindi situato in parte all'interno ed in parte all'esterno della pelvi. Si ritiene che questo muscolo determini l'extrarotazione del femore quando l'anca non è soggetta a carico, quando invece l'arto pelvico è sottoposto a carico, il piriforme interviene (si contrae) per frenare la brusca rotazione del femore nella fase d'appoggio ddurante la corsa. Prende contatto con il nervo sciatico che innerva i principali muscoli della coscia, dell'anca e del ginocchio. 28) Muscolo tensore della fascia lata Muscolo che nasce dalla tuberosità laterale dell'anca. Distalmente si allarga a ventaglio inserendosi alla fascia lata che, con un suo sdoppiamento, ne riveste le due facce. Il tratto di fascia lata che gli fa seguito si inserisce sulla rotula e sulla cresta della tibia. 29) Nervo cutaneo laterale del femore 30) Ventre craniale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre craniale. 31) Muscolo gluteo medio Appartiene ai muscoli glutei. Possiede un capo piramidale che origina dalla fascia lombodorsale. Arriva fino a livello della prima vertebra lombare. Il muscolo nasce inoltre dalla faccia esterna dell’ala iliaca, dai legamenti sacroiliaco e sacroischiatico, dalla parte vicina del sacro e dalla fascia glutea. L'imponente massa muscolare si ripiega alquanto sul margine laterale dell'ala iliaca per raggiungere la prominenza ossea dell'estremità superiore del femore dove si fissa con un tendine. Fasci muscolari proseguono anche posteriormente alla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore, costituendo un fascio del gluteo medio. 32) Arteria e vena glutea caudale -- Origina dall'arteria iliaca e si porta verso il basso lungo il muscolo bicipite femorale raggiungendo il muscolo semitendinoso (zona prossimale). Il suo nome definisce la zona che irrora. -- La vena glutea raccoglie il sangue refluo che proviene dal muscolo semitendinoso gettandosi nella vena iliaca. 33) Muscolo coccigeo (laterale) Il muscolo si trova nella zona perineale ed è il prolungamento del muscolo elevatore dell'ano. Ha una forma triangolare con il vertice verso la spina ischiatica mentre verso il basso prende contatto con il coccige. Contribuisce in modo determinante al movimento della coda. In visione la parte laterale. 34) Arteria e vena coccigea laterale -- L'arteria coccigea è un vaso che irrora i tessuti della coda. -- La vena coccigea raccoglie il sangue refluo dalla coda. 35) Muscolo intertrasversario della coda Si trova tra i processi trasversi di vertebre caudali adiacenti. È deputato ai movimenti della colonna vertebrale all'altezza della coda. 36) Muscolo gluteo superficiale Muscolo che ha forma di ventaglio e presenta il margine superiore incavato. Gli estremi di questo margine sono rappresentati dal capo iliaco (che origina dalla tuberosità laterale dell’anca insieme al muscolo tensore della fascia lata) e dal capo sacrale (che nasce dalla linea spinosa del sacro). Per il rimanente origina dalla fascia glutea (continuazione caudale dell’aponeurosi del muscolo gran dorsale). Le fibre convergono in un tendine appiattito che si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore ed in parte sulla fascia lata. Termina sulla tuberosità glutea. 37) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) dorsale laterale 38) Branche dorsali dei nervi sacrali Tavola XXX: dissezione del bacino e della coscia dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). Tavola XXX: dissezione del bacino e della coscia dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). 1) Muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. 2) Ventre caudale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. 3) Arteria safena, vena safena mediale -- La arteria safena decorre lungo la parte interna della gamba prendendo origine dalla arteria femorale. Si divide, all'altezza del ginocchio, nei suoi due rami. È un importante vaso per l'irrorazione sanguigna dell'arto. -- La vena safena mediale decorre lungo la tibia. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena laterale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. 4) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. 5) Arteria e vena discendente del ginocchio 6) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 7) Arteria e vena femorale, nervo safeno -- Grande vaso sanguigno con decorso rettilineo situato lungo la coscia e che trasporta sangue arterioso all'arto pelvico. È il vaso più importante della coscia e decorre, circondata da muscoli, dall’inguine fino al femore. -- Raccoglie il sangue refluo dell'arto posteriore (coscia). -- Il nervo safeno è un grande ramo del nervo femorale. Discende la coscia accompagnando i vasi femorali. Abbandona i vasi femorali ed emette un ramo per innervare la cute della zona del ginocchio. Prosegue la sua discesa in prossimità della vena safena ed emette rami cutanei. Il nervo safeno è un nervo sensitivo e fornisce rami per la cute della coscia e dell'arto (fino all'astragalo). 8) Muscolo adduttore della coscia Muscolo che origina dal pube e si va ad inserire sul femore. La sua funzione è quella di addurre il femore. 9) Muscolo vasto mediale Il vasto mediale è uno dei quattro capi del muscolo quadricipite. Origina lungo la faccia della diafisi del femore. Si inserisce alla patella con un tendine comune agli altri capi del quadricipite femorale. Con la sua azione estende la gamba e stabilizza la rotula. È il maggior produttore di forza propulsiva È innervato dal nervo femorale. 10) Muscolo gracile (muscolo retto mediale della coscia) Il muscolo gracile si estende per quasi tutta la faccia mediale della coscia. Nasce mediante un tendine dalla faccia ventrale della sinfisi ischiopubica. Il tendine terminale si fonde con quello del muscolo sartorio terminando sulla cresta della tibia. 11) Arteria e vena (rami muscolari) Rami terminali dell'arteria e vena femorale per i muscoli adduttore della coscia, gracile, semitendinoso e semimembranoso. 12) Muscolo retto craniale del femore Fa parte del quadricipite femorale di cui ne è un capo. Origina con un tendine al di sopra dell’acetabolo (articolazione coxofemorale) che si fissa alla base della rotula. 13) Ventre caudale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. 14) Muscolo pettineo Muscolo situato nella parte superiore della coscia e che nasce dalla linea pettinea e dalla zona pubica. Si inserisce al femore nelle vicinanze del foro nutritizio. Un tendine giunge anche al di sopra del condilo mediale del femore. La sua azione flette, adduce e permette la irrorazione esterna del femore. È innervato dal nervo otturatore e dal nervo femorale. 15) Ramo del nervo otturatore Origina dal plesso lombare, attraversa le pelvi e raggiunge le coscia per dividersi nei suoi rami. Il ramo in visione si porta verso il basso e si divide ulteriormente in rami che si distribuiscono alla parte superiore del muscolo adduttore della coscia. Il nervo otturatore innerva il muscolo adduttore della coscia, l'articolazioni dell'anca e del ginocchio e fornisce fibre sensitive per la coscia. 16) Tronchi pudendo epigastrici (arteria e vena) 17) Arteria e vena profonda del femore 18) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. 19) Nervo femorale Il nervo femorale prende origine dal plesso lombare ed innerva i muscoli della parte anteriore della coscia, parte della natica, articolazione dell'anca e del ginocchio e produce rami cutanei per parte dell'arto inferiore. Il nervo femorale rende possibile i movimenti della gamba e raccoglie la sensibilità anteriore della coscia. 20) Ventre craniale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre craniale. 21) Muscolo ileopsoas È un grande muscolo formato dal grande psoas e dal muscolo iliaco. Il muscolo grande psoas si localizza lateralmente al piccolo psoas. Origina dalla cavità toracica (ultime vertebre toraciche e relative coste), supera l’arcata lombo costale del diaframma e si pone nella cavità addominale costituendo la volta (insieme al piccolo psoas). Si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore. Il muscolo iliaco origina dall’ala e del corpo dell’ileo. Il ventre muscolare dell’ilaco è diviso in due parti dal tendine terminale del grande psoas con il quale ne condivide la terminazione sul trocantino. 22) Arteria iliaca esterna È una delle branchie dell'arteria iliaca che nasce nella zona dell'articolazione sacroiliaca. È situata nel bacino e dà origine a vasi arteriosi che portano il sangue all'arto pelvico. L'arteria iliaca esterna termina nell'arteria femorale comune. 23) Vena iliaca esterna È una vena profonda dell'addome che riceve il sangue refluo della vena femorale e lo fa affluire alla vena iliaca. 24) Nervo otturatore Origina dal plesso lombare, attraversa le pelvi e raggiunge le coscia per dividersi nei suoi rami. 25) Muscolo elevatore dell'ano (muscolo coccigeo mediale) Il muscolo elevatore dell'ano e' un muscolo attaccato al pube e all'osso pelvico e possiede una apertura costituita da tessuto adiposo e vasi. Nel maschio alcune delle sue fibre sono a contatto con la prostata mentre nella femmina sono connesse alla parete laterale della vagina (muscolo pubovaginale). Le fibre del muscolo elevatore dell'ano si fondono con il muscolo sfintere. Le fibre dell'elevatore dell'ano che originano dalla parete pelvica sino alla spina ischiatica prende il nome di muscolo ileococcigeo. Nell'insieme il muscolo elevatore dell'ano gioca un ruolo importante nel mantenere la statica pelvica. Nella femmina determina lo spostamento verso il pube della parete anteriore vaginale contribuendo al meccanismo della continenza. 26) Sinfisi pelvica La sinfisi pelvica è una articolazione che fa parte delle sinartrosi, articolazioni con movimenti limitati (cioè le due cinture pelviche fuse centralmente). 27) Muscolo otturatore interno Muscolo del bacino formato da due parti (iliaca ed ischiatica). La parte iliaca nasce dalla faccia interna dell'ileo, dall'articolazione sacroiliaca e dal sacro e si dirige caudalmente e ventralmente terminando in un tendine alla incisura ischiatica. Qui si unisce alla parte ischiatica. La parte ischiatica si inserisce sul contorno del foro otturato e sulla faccia interna della branca ischiopubica. Termina in un tendine che si unisce a quello della parte iliaca e gettandosi nella fossa trocanterica. 28) Nervo cutaneo caudale del femore 29) Nervo ischiatico, arteria pudenda interna, vena iliaca interna ...ipogastrica -- Il nervo ischiatico è un nervo motore e sensitivo. Costituisce la terminazione del plesso nervoso sacrale ed innerva le articolazioni dell'anca, del ginocchio, i muscoli posteriori dell'arto pelvico (fino alla zampa e la cute che la riveste). -- Omissis. -- Omissis. 30) Vena iliaca comune È una delle più importanti vene della regione addominale. Raccoglie il sangue venoso proveniente dalla vena iliaca interna ed esterna. 31) Arteria iliaca interna 32) Arteria glutea caudale 33) Arteria e vena sacrale mediana 34) Muscolo sacrococcigeo (sacrocaudale) ventrale mediale 35) Muscolo coccigeo (laterale) Il muscolo si trova nella zona perineale ed è il prolungamento del muscolo elevatore dell'ano. Ha una forma triangolare con il vertice verso la spina ischiatica mentre verso il basso prende contatto con il coccige. Contribuisce in modo determinante al movimento della coda. In visione la parte laterale. 36) Vena iliaca comune, arteria iliaca esterna, nervo genitofemorale -- È una delle più importanti vene della regione addominale. Raccoglie il sangue venoso proveniente dalla vena iliaca interna ed esterna. -- È una delle branchie dell'arteria iliaca che nasce nella zona dell'articolazione sacroiliaca. È situata nel bacino e dà origine a vasi arteriosi che portano il sangue all'arto pelvico. L'arteria iliaca esterna termina nell'arteria femorale comune. -- Omissis. 37) Muscolo piccolo psoas Muscolo che presenta un corpo carnoso che si inserisce su un lungo tendine che costituisce la porzione laterale della parte carnosa. Il corpo carnoso prende origine sui corpi vertebrali delle ultime vertebre toraciche e, dopo aver attraversato l’arcata lombocostale del diaframma, anche dai corpi delle prime vertebre lombari. Il tendine termina sul tubercolo omonimo della linea arcuata o cresta ileopettinea dell’ileo. 38) Aorta L'aorta è il principale vaso del sistema arterioso dal quale originano le arterie della grande circolazione che trasportano il sangue ossigenato dai polmoni all’organismo. Origina dal ventricolo sinistro del cuore attraverso l’orifizio aortico ed è divisa in aorta ascendente, arco aortico ed aorta discendente, della quale si distinguono una parte toracica ed una addominale. Termina a livello delle vertebre lombari dove si biforca nelle arterie iliache. 39) Nervo cutaneo laterale del femore 40) Vena cava caudale 41) Settima vertebra lombare 42) Osso sacro L'osso sacro è un osso impari e simmetrico che appartiene alla colonna vertebrale. È formato da tre vertebre saldate tra loro ed è in stretto contatto con i muscoli (glutei, psoas, ecc) che servono a trasmettere l’impulso ricevuto dal posteriore. La sua superficie dà inserzione al muscolo piriforme, al muscolo iliaco ed altri. Tavola XXXI: dissezione della gamba dell'arto pelvico destro (faccia laterale). Tavola XXXI: dissezione della gamba dell'arto pelvico destro (faccia laterale). 1) Tendine del muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. In visione il tendine 2) Muscolo estensore corto delle dita 3) Vena metatarsea plantare quarta 4) Muscolo abduttore del quinto dito Muscolo dell'estremità inferiore dell'arto pelvico (piede). Dalla zona calcaneale raggiunge la prima falange del quinto dito. Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 5) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita (muscolo perforato) Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 6) Nervo peroneo superficiale Continuazione del nervo peroneo comune, il nervo peroneo superficiale si porta in direzione distale, decorrendo tra il muscolo estensore comune delle dita ed il muscolo estensore laterale delle dita. Emette rami per quest’ultimo muscolo e per i muscoli peroneo lungo e peroneo breve. A livello del tarso, si suddivide nei nervi digitali dorsali che danno la sensibilità alla cute della parte dorsale dell’arto provvedendo all’innervazione delle porzioni dorsali delle dita insieme al nervo peroneo profondo. 7) Nervo peroneo profondo Il nervo peroneo profondo decorre in profondità nell'arto posteriore. Il nervo emette rami per i muscoli dell'arto pelvico (estensore comune e laterale delle dita, tibiale craniale, ecc). A livello del tarso dà origine a rami sensitivi destinati alle dita. 8) Muscolo estensore laterale delle dita Muscolo che si trova addossato al perone. Nasce dal legamento collaterale laterale del ginocchio e dal perone. Il tendine raggiunge il tendine del muscolo estensore comune delle dita (zona metatarsale). 9) Muscolo flessore lungo del primo dito, ramo caudale della vena safena laterale -- Il muscolo flessore lungo del primo dito origina dalla fibula. Il suo tendine decorre verso il basso fino al piede per andare ad inserirsi sulla base della falange distale del primo dito. -- La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo caudale. 10) Muscolo peroneo corto, ramo craniale della vena safena laterale -- Piccolo muscolo ricoperto dal muscolo peroneo lungo e dall’estensore laterale delle dita. Origina nel terzo distale della faccia laterale della fibula e termina con un tendine sull’estremità prossimale del metatarsale quinto. -- La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo craniale. 11) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 12) Tendine del muscolo tricipite surale Nell'uomo il tricipite surale è formato dai muscoli gastrocnemio e soleo. Nel cane non è presente il soleo. Il tendine del tricipite surale, unitamente al tendine del muscolo flessore superficiale delle dita (perforato), costituiscono la corda del garretto. In visione il tendine. 13) Tervo tibiale (posteriore) Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione la parte posteriore. 14) Muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. 15) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 16) Vena safena laterale La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. 17) Nervo peroneo superficiale Continuazione del nervo peroneo comune, il nervo peroneo superficiale si porta in direzione distale, decorrendo tra il muscolo estensore comune delle dita ed il muscolo estensore laterale delle dita. Emette rami per quest’ultimo muscolo e per i muscoli peroneo lungo e peroneo breve. A livello del tarso, si suddivide nei nervi digitali dorsali che danno la sensibilità alla cute della parte dorsale dell’arto provvedendo all’innervazione delle porzioni dorsali delle dita insieme al nervo peroneo profondo. 18) Muscolo tibiale craniale Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e con un fascio dall’arcata tibioperoneale. Il tendine è unico e termina sul metatarsale primo. 19) Muscolo lungo peroneo Il lungo peroneo è situato nella parte anteriore dell'arto. Si inserisce sul perone e sulle ossa metatarsali. La contrazione provoca flessione ed abduzione proteggendo la zampa da esagerati movimenti. 20) Muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. 21) Nervo cutaneo laterale della sura Dà origine, assieme al nervo cutaneo mediale della sura, al nervo surale. 22) Ramo cutaneo del nervo tibiale Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione il ramo cutaneo. 23) Nervo peroneo profondo Il nervo peroneo profondo decorre in profondità nell'arto posteriore. Il nervo emette rami per i muscoli dell'arto pelvico (estensore comune e laterale delle dita, tibiale craniale, ecc). A livello del tarso dà origine a rami sensitivi destinati alle dita. 24) Nervo cutaneo caudale della sura 25) Tendine del muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. 26) Legamento collaterale laterale 27) Legamento tibiorotuleo (equidi) o legamento patellare (riferito al cane). cambio dicitura? 28) Condilo laterale del femore Il condilo laterale del femore è quella superficie articolare posizionata all'estremità inferolaterale del femore. Da qui si originano i muscoli gastrocnemio e popliteo. 29) Rotula (patella) La rotula, o patella, è un grosso sesamoide di forma ovalare e schiacciato craniocaudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale (che si incontrano dorsalmente), aiutando a prevenire la dislocazione della patella. La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla fascia lata e da quella mediale del femore, supportate in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale: il laterale va dal bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio dell’epicondilo mediale del femore. La rotula si sposta sulla troclea come su di un binario ed è sottoposta a due forze: la forza esercitata dal quadricipite femorale e la forza che e' la reazione del tendine rotuleo. Poiché queste forze non sono vettorialmente parallele, esiste una forza risultante che per direzione tende a far fuoriuscire la rotula dal suo binario trocleare. Ciò però non avviene perché una robusta cresta rotulea interna trattiene la rotula, le fibre interne del quadricipite sono molto solide, e perché la faccetta esterna della troclea serve da "paraurti" alla rotula. 30) Arteria e vena poplitea 31) Arteria e vena femorale caudale 32) Nervo peroneo comune Il nervo peroneo comune decorre in vicinanza del muscolo gastrocnemio. Successivamente si suddivide nel nervo peroneo superficiale e profondo. Prima di tale diramazione il nervo peroneo comune emette un ramo cutaneo per l’innervazione sensitiva della parte laterale del ginocchio e della parte prossimale dell'arto pelvico. 33) Linfonodo popliteo Il linfonodo popliteo è situato nella parte distale del triangolo femorale e più precisamente è compreso fra i muscoli sartorio ed il pettineo. Può essere assente. 34) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 35) Nervo tibiale (posteriore) Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione la parte posteriore. 36) Muscolo vasto laterale È un capo muscolare del quadricipite femorale che nasce dalla porzione prossimale della superficie craniolaterale del femore. Si fonde con gli altri capi e in parte si attacca alla parte laterale della rotula. 37) Arteria e vena femorale -- Grande vaso sanguigno con decorso rettilineo situato lungo la coscia e che trasporta sangue arterioso all'arto pelvico. È il vaso più importante della coscia e decorre, circondata da muscoli, dall’inguine fino al femore. -- Raccoglie il sangue refluo dell'arto posteriore (coscia). 38) Muscolo adduttore della coscia Muscolo che origina dal pube e si va ad inserire sul femore. La sua funzione è quella di addurre l'anca. 39) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. Tavola XXXII: dissezione della gamba dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). Tavola XXXII: dissezione della gamba dell'arto pelvico sinistro (faccia mediale). 1) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 2) Nervo plantare mediale, arteria plantare mediale 3) Muscolo lungo estensore del primo dito 4) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 5) Muscolo estensore corto delle dita (pedidio) 6) Nervo plantare laterale Ramo terminale del nervo tibiale destinato alla muscolatura flessoria del quarto e quinto dito dell'arto pelvico. 7) Tendine del muscolo tricipite surale Nell'uomo il tricipite surale è formato dai muscoli gastrocnemio e soleo. Nel cane non è presente il soleo. Il tendine del tricipite surale, unitamente al tendine del muscolo flessore superficiale delle dita (perforato), costituiscono la corda del garretto. In visione il tendine. 8) Muscolo tibiale caudale Muscolo lungo situato nella zona dell'estremità prossimale della fibula. Il tendine si unisce mediante una larga espansione nella maggior parte delle ossa della fila distale del tarso e soprattutto alla massa fibrocartilaginea della zona dei cuscinetti plantari. 9) Arteria e vena peronea -- Arteria che prende origine da un ramo dell'arteria safena. Decorre verso il basso lungo il perone per raggiungere la zampa. -- La vena peronea raccoglie parte del sangue refluo proveniente dalla zampa dell'arto pelvico per gettarsi nella vena safena mediale. 10) Muscolo flessore lungo del primo dito Il muscolo flessore lungo del primo dito origina dalla fibula. Il suo tendine decorre verso il basso fino al piede per andare ad inserirsi sulla base della falange distale del primo dito. 11) Nervo tibiale (posteriore) Il nervo tibiale emette numerosi rami muscolari prossimali per i muscoli della natica (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso). Provvede all’ innervazione dei muscoli posteriori dell'arto pelvico (muscolo gastrocnemio, popliteo, flessore profondo e superficiale delle dita). In visione la parte posteriore. 12) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. In visione il tendine. 13) Ramo craniale dell'arteria safena e della vena safena mediale -- L'arteria safena decorre lungo la parte interna della gamba prendendo origine dalla arteria femorale. Si divide, all'altezza del ginocchio, nei suoi due rami. È un importante vaso per l'irrorazione sanguigna dell'arto. In visione il ramo craniale. -- La vena safena mediale decorre lungo la tibia. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena laterale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo craniale. 14) Muscolo tibiale craniale Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e dall’arcata tibioperoneale. Al tarso il tendine si biforca. Il tendine termina sul metatarsale primo. 15) Muscolo flessore lungo delle dita Origina dalla superficie della tibia ed i suoi fasci convergono in un tendine che si inseriscono sulle basi delle falangi distali. 16) Tendine del muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 17) Muscolo popliteo E’ un muscolo breve che origina con un tendine nella fossetta poplitea del condilo laterale del femore e si espande a ventaglio sulla faccia plantare della parte prossimale della tibia dove si inserisce dal lato mediale. 18) Capo mediale del muscolo gastrocnemio È un muscolo situato nella parte posteriore della gamba ed è responsabile della flessione. In visione il capo mediale. 19) Tendine calcaneale accessorio 20) Ramo caudale dell'arteria safena e della vena safena mediale -- La arteria safena decorre lungo la parte interna della gamba prendendo origine dalla arteria femorale. Si divide, all'altezza del ginocchio, nei suoi due rami. È un importante vaso per l'irrorazione sanguigna dell'arto. In visione il ramo caudale. -- La vena safena mediale decorre lungo la tibia. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena laterale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. 21) Vena safena laterale La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. 22) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 23) Muscolo gracile (muscolo retto mediale della coscia) Il muscolo gracile si estende per quasi tutta la faccia mediale della coscia. Nasce mediante un tendine dalla faccia ventrale della sinfisi ischiopubica. Il tendine terminale si fonde con quello del muscolo sartorio terminando sulla cresta della tibia. 24) Ventre caudale del muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione il ventre caudale. 25) Nervo safeno Il nervo safeno è un grande ramo del nervo femorale. Discende la coscia accompagnando i vasi femorali. Abbandona i vasi femorali ed emette un ramo per innervare la cute della zona del ginocchio. Prosegue la sua discesa in prossimità della vena safena ed emette rami cutanei. Il nervo safeno è un nervo sensitivo e fornisce rami per la cute della coscia e dell'arto (fino all'astragalo). 26) Arteria safena, vena safena mediale -- La arteria safena decorre lungo la parte interna della gamba prendendo origine dalla arteria femorale. Si divide, all'altezza del ginocchio, nei suoi due rami. È un importante vaso per l'irrorazione sanguigna dell'arto. -- La vena safena mediale decorre lungo la tibia. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena laterale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. 27) Arteria e vena mediale del ginocchio -- Le arterie mediali del ginocchio compongono la maggior parte della vascolarizzazione che raggiunge la membrana sinoviale (per irrorare i legamenti crociati). -- Le vene mediali del ginocchio raccolgono il sangue refluo dalla membrana sinoviale. 28) Muscolo semimembranoso Il muscolo semimembranoso nasce dall'arcata ischiatica. Si porta in basso e termina con un tendine sul condilo del femore e sulla capsula articolare del ginocchio. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La sua funzione è quella di flettere sulla coscia la parte sottostante il ginocchio. Tavola XXXIII: dissezione della parte distale dell'arto pelvico destro (visione dorsale). Tavola XXXIII: dissezione della parte distale dell'arto pelvico destro (visione dorsale). 1) Nervo digitale dorsale proprio mediale quarto Ramo terminale del nervo peroneo profondo che dà origine ad un nervo digitale dorsale che innerva il quarto dito dell'arto pelvico. 2) Nervo digitale dorsale proprio laterale terzo Ramo terminale del nervo peroneo profondo che innerva il muscolo estensore breve del terzo dito dell'arto pelvico. 3) Nervo digitale dorsale proprio mediale terzo Ramo terminale del nervo peroneo profondo che dà origine ad un nervo digitale dorsale che innerva il terzo dito dell'arto pelvico. 4) Nervo digitale dorsale proprio laterale secondo Ramo terminale del nervo peroneo profondo che innerva il muscolo estensore breve del secondo dito dell'arto pelvico. 5) Nervo digitale dorsale proprio laterale quarto Ramo terminale del nervo peroneo profondo che innerva il muscolo estensore breve del quarto dito dell'arto pelvico. 6) Vena digitale dorsale comune terza Raccoglie il sangue refluo della parte dorsale del terzo dito e lo convoglia nella vena safena. 7) Nervo digitale dorsale proprio mediale quinto Ramo terminale del nervo peroneo profondo che dà origine ad un nervo digitale dorsale che innerva il quinto dito dell'arto pelvico. 8) Nervo digitale dorsale comune secondo 9) Nervo digitale dorsale comune quarto 10) Nervo digitale dorsale comune terzo, arteria digitale dorsale comune terza 11) Nervo metatarseo dorsale secondo 12) Nervo digitale dorsale comune quarto, arteria digitale dorsale comune quarta 13) nervo metatarseo dorsale quarto 14) Nervo digitale dorsale laterale quinto 15) Vena digitale dorsale comune quarta Raccoglie il sangue refluo della parte dorsale del quarto dito e lo convoglia nella vena safena. 16) Vena digitale dorsale comune seconda Raccoglie il sangue refluo della parte dorsale del secondo dito e lo convoglia nella vena safena. 17) Nervo digitale dorsale mediale secondo 18) Vena digitale dorsale comune terza Raccoglie il sangue refluo della parte dorsale del terzo dito e lo convoglia nella vena safena. 19) Nervo digitale dorsale comune terzo, arteria digitale dorsale comune terza 20) Nervo digitale dorsale comune secondo, arteria digitale dorsale comune seconda 21) Muscolo lungo estensore del primo dito 22) Muscolo estensore laterale delle dita Muscolo che si trova addossato al perone. Nasce dal legamento collaterale laterale del ginocchio e dal perone. Il tendine raggiunge il tendine del muscolo estensore comune delle dita (zona metatarsale). 23) Vena digitale dorsale comune terza Raccoglie il sangue refluo della parte dorsale del terzo dito e lo convoglia nella vena safena. 24) Muscolo corto estensore mediale delle dita 25) Vena tarsea mediale 26) Muscolo corto estensore laterale delle dita 27) Vena tarsea laterale 28) Ramo craniale del nervo safeno Il nervo safeno è un grande ramo del nervo femorale. Discende la coscia accompagnando i vasi femorali. Abbandona i vasi femorali ed emette un ramo per innervare la cute della zona del ginocchio. Prosegue la sua discesa in prossimità della vena safena ed emette rami cutanei. Il nervo safeno è un nervo sensitivo e fornisce rami per la cute della coscia e dell'arto (fino all'astragalo). In visione il ramo craniale. 29) Retinacolo prossimale degli estensori È un ispessimento della fascia profonda, una serie di briglie fibrose che hanno il compito di mantenere in sito i tendini degli estensori durante il movimento di flessione del tarso. 30) Nervo peroneo superficiale Continuazione del nervo peroneo comune, il nervo peroneo superficiale si porta in direzione distale, decorrendo tra il muscolo estensore comune delle dita ed il muscolo estensore laterale delle dita. Emette rami per quest’ultimo muscolo e per i muscoli peroneo lungo e peroneo breve. A livello del tarso, si suddivide nei nervi digitali dorsali che danno la sensibilità alla cute della parte dorsale dell’arto provvedendo all’innervazione delle porzioni dorsali delle dita insieme al nervo peroneo profondo. 31) Ramo craniale della vena safena laterale La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo craniale. 32) Arteria tibiale craniale, nervo peroneo profondo -- Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e dall’arcata tibioperoneale. Al tarso il tendine si biforca in una branca metatarsica ed in una branca cuneiforme. Il tendine termina sul metatarsale primo. -- Il nervo peroneo profondo decorre in profondità nell'arto posteriore. Il nervo emette rami per i muscoli dell'arto pelvico (estensore comune e laterale delle dita, tibiale craniale, ecc). A livello del tarso dà origine a rami sensitivi destinati alle dita. 33) Ramo craniale dell'arteria e della vena safena mediale -- Omissis. -- La vena safena mediale decorre lungo la tibia. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena laterale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo craniale. 34) Muscolo tibiale craniale Origina dalla faccia anterolaterale dalla tibia e dall’arcata tibioperoneale. Al tarso il tendine si biforca. Il tendine termina sul metatarsale primo. 35) Muscolo estensore lungo delle dita Muscolo che origina principalmente dal condilo tibiale e si inserisce, tramite tendini, dal secondo al quinto dito dell'arto pelvico. La sua azione è quella di assistere la flessione dorsale della zampa dell'arto pelvico. 36) Muscolo peroneo lungo Origina dal condilo laterale delle dita, dal capitello e dalla fibula. Il muscolo decorre lateralmente alla fibula. Il tendine terminale si fissa sul primo cuneiforme e sul primo metatarso. Determina flessione e pronazione della zampa. Tavola XXXIV: dissezione della parte distale dell'arto pelvico sinistro (visione plantare). Tavola XXXIV: dissezione della parte distale dell'arto pelvico sinistro (visione plantare). 1) Nervo digitale plantare proprio laterale terzo 2) Nervo digitale plantare proprio mediale quarto 3) Nervo digitale plantare proprio laterale quarto 4) Nervo digitale plantare proprio mediale terzo 5) Nervo digitale plantare proprio laterale secondo 6) nervo digitale plantare proprio mediale quinto 7) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 8) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 9) Vena digitale plantare comune terza, nervo digitale plantare comune terzo 10) Vena digitale plantare comune seconda, nervo digitale plantare comune secondo 11) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 12) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 13) Vena digitale plantare propria laterale quarta 14) Nervo metatarseo plantare terzo 15) Arcata venosa plantare distale, nervo digitale plantare mediale secondo 16) Nervo digitale plantare comune terzo, arteria digitale plantare comune terza 17) Vena digitale plantare comune quinta 18) Nervo digitale plantare comune quarto, arteria digitale plantare comune quarta 19) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 20) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 22) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 23) Nervo digitale plantare comune secondo, arteria digitale plantare comune seconda 24) Muscoli interflessori 25) Muscolo adduttore del quinto dito 26) Nervo digitale plantare laterale quinto 27) Muscolo interosseo quinto Muscolo situato tra il metatarso ed il tendine flessore delle dita. Nell'arto pelvico il cane presenta cinque muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metatarsale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. In visione il muscolo interosseo quinto. 28) Muscolo adduttore del secondo dito 29) Muscolo interosseo secondo Muscolo situato tra il metatarso ed il tendine flessore delle dita. Nell'arto pelvico il cane presenta cinque muscoli interossei che originano nella faccia palmare dell’estremità prossimale del metatarsale corrispondente. La parte distale si biforca ed ogni branca della divisione termina mediante tendine. In visione il muscolo interosseo secondo. 30) Tendine del muscolo flessore profondo delle dita (muscolo perforante) 31) Nervo plantare laterale Ramo terminale del nervo tibiale destinato alla muscolatura flessoria del quarto e quinto dito dell'arto pelvico. 32) Muscolo abduttore del quinto dito Muscolo dell'estremità inferiore dell'arto pelvico (piede). Dalla zona calcaneale raggiunge e si inserisce alla porzione laterale della falange prossimale del quinto dito. Questo muscolo permette il movimento di allontanamento laterale del quinto dito rispetto all’asse mediano del corpo stesso. 33) Muscolo quadrato plantare Origina nella zona calcaneale e va ad inserirsi sul tendine del muscolo flessore lungo delle dita. La sua azione coopera con quella del muscolo flessore lungo delle dita. Flette le dita secondo/quinto. 34) Tendine del muscolo flessore lungo del primo dito Il muscolo flessore lungo del primo dito origina dalla fibula. Il suo tendine decorre verso il basso fino al piede per andare ad inserirsi sulla base della falange distale del primo dito. In visione il tendine. 35) Arteria plantare mediale, nervo plantare mediale 36) Muscolo peroneo lungo Origina dal condilo laterale delle dita, dal capitello e dalla fibula. Il muscolo decorre lateralmente alla fibula. Il tendine terminale si fissa sul primo cuneiforme e sul primo metatarso. Determina flessione e pronazione della zampa. 37) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 38) Tendine del muscolo flessore lungo delle dita Origina dalla superficie della tibia ed i suoi fasci convergono in un tendine che si inserisce alle falangi. 39) Muscolo peroneo corto, ramo caudale della vena safena laterale -- Piccolo muscolo ricoperto dal muscolo peroneo lungo e dall’estensore laterale delle dita. Origina nel terzo distale della faccia laterale della fibula e termina con un tendine sull’estremità prossimale del metatarsale quinto. -- La vena safena laterale decorre sotto la cute nella parte distale e laterale della coscia. Si getta nella vena femorale. Dopo essersi anastomizzata con la vena safena mediale (all'altezza del retinacolo prossimale degli estensori) raccoglie il sangue refluo proveniente dalla parte distale dall'arto. In visione il ramo caudale. 40) Tendine del muscolo tibiale caudale Muscolo lungo situato nella zona dell'estremità prossimale della fibula. Il tendine si unisce mediante una larga espansione nella maggior parte delle ossa della fila distale del tarso e soprattutto alla massa fibro-cartilaginea della zona dei cuscinetti plantari. In visione il tendine dell'omonimo muscolo. 41) Muscolo flessore superficiale delle dita Il muscolo flessore superficiale delle dita fa parte dei muscoli della gamba. Origina, col suo omonimo tendine, tra il muscolo popliteo e gastrocnemio dietro al ginocchio. Decorre lungo la parte posteriore della tibia per poi dividersi nei rami terminali che raggiungono il secondo/quinto dito. 42) Nervo plantare laterale Ramo terminale del nervo tibiale destinato alla muscolatura flessoria del quarto e quinto dito dell'arto pelvico. Tavola XXXV: scheletro. Tavola XXXV: scheletro. 1) Ossa delle dita dell'arto pelvico 2) Ossa metatarsali 3) Ossa del tarso 4) Fibula La fibula è un osso dell'arto pelvico orientato verticalmente che decorre parallelamente alla tibia. Si articola alle estremità superiore e inferiore con la tibia (articolazioni tibioperonale superiore e inferiore). Nella apofisi della estremità distale di quest'osso si innestano i muscoli peronei. 5) Tibia La tibia è la più larga delle due ossa degli arti inferiori al di sotto del ginocchio. Prismatico, più largo nella parte superiore (articolazione del ginocchio), più ristretto nel terzo inferiore. Si dilata lievemente nella parte distale. Si articola superiormente con il femore e la patella (o rotula), lateralmente con il perone, mentre inferiormente, insieme alla porzione distale del perone, si articola con l'astragalo e forma l'articolazione. 6) Ossa sesamoidi dei muscoli gastrocnemi si tratta di piccole ossa alloggiate nello spessore dei tendini in prossimità dell'articolazione del ginocchio. Hanno il compito di sollevare i tendini rendendo meno acuto l'angolo d'inserzione. 7) Femore Il femore è un osso dell'arto pelvico situato nella coscia e che costituisce parte dell'articolazione dell'anca (coxofemorale) e del ginocchio (femorotibiorotulea). Il femore è sede di inserzione per molti muscoli della coscia. Anatomicamente viene diviso in un corpo, un'epifesi prossimale ed una distale. L'epifisi prossimale è voluminosa e composta da una zona articolare ed una non articolare: la prima costituita dalla testa del femore e segnata dal solco per l'inserzione legamento rotondo, la seconda costituita da due processi detti trocantere e trocantino. Il trocantere è posto lateralmente e percorso dalla doccia trocanterica che lo divide in sommità e convessità del trocantere. Il trocantino si trova sul lato mediale, sotto la testa ed il collo femorale ed è raggiunto dalla linea intertrocanterica che si diparte dal trocantere. L'epifisi distale presenta una superficie articolare costituita da una troclea (che si articola con rotula e presenta due labbri separati) in avanti e da due condili all’indietro (divisi dalla fossa intercondiloidea). La parola femore deriva dal latino femur (coscia). 8) Rotula (patella) La rotula, o patella, è un grosso sesamoide di forma ovalare e schiacciato craniocaudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale (che si incontrano dorsalmente), aiutando a prevenire la dislocazione della patella. La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla fascia lata e da quella mediale del femore, supportate in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale: il laterale va dal bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio dell’epicondilo mediale del femore. La rotula si sposta sulla troclea come su di un binario ed è sottoposta a due forze: la forza esercitata dal quadricipite femorale e la forza che e' la reazione del tendine rotuleo. Poiché queste forze non sono vettorialmente parallele, esiste una forza risultante che per direzione tende a far fuoriuscire la rotula dal suo binario trocleare. Ciò però non avviene perché una robusta cresta rotulea interna trattiene la rotula, le fibre interne del quadricipite sono molto solide, e perché la faccetta esterna della troclea serve da "paraurti" alla rotula. 9) Osso coxale L'osso coxale è costituito da tre ossa: ileo, ischio e pube. l’ileo è posto anteriormente all’ischio che è ad esso intimamente saldato. Queste due ultime sono saldate con le due controlaterali. Il coxale svolge ruolo sia di sostegno che di propulsione in quanto l’energia sviluppata dai muscoli si trasforma in forza propulsiva che viene trasmessa dal coxale fino alla colonna vertebrale. In tal modo il corpo riceve una spinta in avanti. 10) Osso sacro L'osso sacro è un osso impari e simmetrico che appartiene alla colonna vertebrale. È formato da tre vertebre saldate tra loro ed è in stretto contatto con i muscoli (glutei, psoas, ecc) che servono a trasmettere l’impulso ricevuto dal posteriore. La sua superficie dà inserzione al muscolo piriforme, al muscolo iliaco ed altri. 11) Vertebre coccigee 12) IIIa vertebra lombare 13) Xa vertebra toracica 14) VIIIa costola 15) Cartilagini costali 16) Sterno Lo sterno è un osso convesso situato nella parte inferiore del torace. Il suo grado di convessità e forma sono legati alla razza. In via generale è costituito da tessuto osseo vascolarizzato ed è formato di tre parti: il manubrio, il corpo e il processo dello sterno. Lo sterno è collegato alle costole tramite struttura cartilaginea. La sua funzione è la protezione meccanica dei polmoni e cuore. 17) IIa costola 18) Omero osso lungo costituente lo scheletro del braccio. È costituito da un corpo (o diafisi) e da due estremità dette epifisi distale e prossimale. L'epifisi prossimale si articola con la cavità glenoidea della scapola a costituire l'articolazione scapolomerale e l’una e radio dell’avambraccio. 19) Scapola La scapola è un osso della spalla piatto e di forma triangolareggiante, posto in vicinanza dell'estremità anteriore dello sterno e che rimane sospesa tra vari muscoli (perché non in continuità con altre ossa). Il suo punto di ancoraggio allo scheletro è dato dai muscoli che si portano sulle prime vertebre toraciche (IIa IIIa IVa vertebra toracica). Il trapezio è quindi l'ammortizzatore di quella parte della massa del cane che si scarica sull'arto toracico (vedi Morfologia Funzionale). L'osso presenta un conformazione chiamata "spina" che divide la faccia scapolare esterna in due porzioni chiamate fossa infraspinata e sovraspinata. La parola "fossa" indica che si tratta di una depressione (dalla quale originano i muscoli omonimi infraspinato e sovraspinato. 20) VIa vertebra cervicale 21) Ossa delle dita dell'arto toracico 22) IVa vertebra cervicale 23) Epistrofeo L'epistrofeo è considerata una vertebre anormale rispetto al resto della colonna vertebrale e che si distingue per la presenza del processo odontoideo (dente che si forma durante l’embriogenesi a carico del corpo dell’atlante) che si proietta cranialmente dalla superficie posteriore del corpo vertebrale. Il processo odontoideo è l’asse attorno al quale ruota l’atlante (C1) per i movimenti laterali. La testa e l'atlante quindi si muovono solidamente attorno al perno costituito dal processo odontoideo: la faccia anteriore del dente si articola con la faccia posteriore dell'arco dell'atlante, quella posteriore con la faccia anteriore del robusto legamento trasverso dell'atlante. 24) Atlante È la prima vertebra cervicale che presenta ampie pleuroapofisi con i forami trasversari ai lati dell'arco neurale e, più medialmente e cranialmente, i due forami accessori per l'arteria vertebrale; bene evidenti le faccette articolari per l'articolazione sia con l'epistrofeo sia con i condili occipitali del cranio. Superiormente si articola con l'osso occipitale mettendo in comunicazione il cranio con il collo. Assieme all'epistrofeo forma l'articolazione che connette il cranio alla colonna vertebrale. 25) Osso parietale È un osso pari, quadrangolare ed incurvato a concavità verso il basso e medialmente: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana mentre si articolano in avanti con l'osso frontale, indietro con l’osso occipitale, lateralmente con la squama e la parte mastoidea dell'osso temporale e con l'ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una faccia endocranica ed una esocranica. La faccia endocranica è concava e presenta impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi. Lungo il margine superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale. Il margine superiore è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale. Il margine inferiore presenta un margine squamoso (per l’articolazione con la squama del temporale) e un margine mastoideo (per l’articolazione con la parte mastoidea del temporale). 26) Mandibola È un osso impari, mediano e simmetrico che si articola con l’osso temporale ed accoglie nell’arcata alveolare i denti inferiori. Ha la forma di un ferro di cavallo con concavità posteriore ed è composto da due rami che fanno seguito all’estremità posteriore. Il margine superiore è il processo alveolare in cui sono scavati gli alveoli dentali. 27) Osso mascellare L’osso mascellare è un osso che contribuisce alla formazione delle cavità orbitarie, nasali e buccale. È costituito da una capsula ossea che circoscrive un’ampia cavità, il seno mascellare. 28) Ulna Osso lungo che, insieme al radio, costituisce l'avambraccio. Si articola con il radio (distalmente) e con omero e radio in maniera prossimale. Nella parte anteriore presenta una cresta longitudinale ove si ancora il muscolo flessore profondo delle dita. L'estremità superiore dell'osso termina con l'olecrano. 29) Radio Osso lungo che, insieme all’ulna, costituisce l’avambraccio. Si articola tra omero, ulna e carpo. È posto parallelamente all'ulna e con la quale si articola medialmente e distalmente (mentre solo distalmente con il carpo). L'estremità prossimale è chiamata "testa" mentre il suo contorno (zona d'inserzione tra ulna e radio) "capitello". La faccia superiore del capitello presenta una concavità che alloggia il condilo mediale dell'omero. Al di sotto si trova un tuberosità ove s'inserisce il muscolo bicipite brachiale. L'estremità distale è la sede dell'articolazione carpale (alloggiamento dello scafosemilunare del carpo). 30) Ossa del carpo 31) Ossa metacarpali Tavola XXXVI: muscolatura superficiale. Tavola XXXVI: muscolatura superficiale. 1) Muscolo semitendinoso Il muscolo semitendinoso nasce dalla tuberosità dell’ischio per poi scendere verso il lato mediale della coscia e, sotto l'articolazione del ginocchio, passa in una lamina tendinea di cui un fascio va ad inserirsi sulla cresta della tibia mentre il rimanente passa nella fascia della gamba. Appartiene al gruppo dei muscoli posteriori della coscia e manca del capo vertebrale. Questo comporta la formazione di una depressione (fossa ischiorettale) posta lateroventralmente alla base della coda nella parte più caudale della regione glutea. La vascolarizzazione prossimale deriva dall’arteria glutea caudale mentre quella distale deriva da una branca distale dell’arteria femorale caudale. 2) Muscolo bicipite femorale Il bicipite femorale è il muscolo adduttore che collega la tibia al femore, consentendo di alzare la parte inferiore dell'arto. Questo movimento non comporta altro carico che il sollevamento dell'arto. Occupa la regione posteriore della coscia ed è composto da due capi, uno profondo ed uno superficiale. I due capi convergono in un unico ventre che si inserisce sulla testa della fibula, sul condilo laterale della tibia e sulle parti contigue della faccia della gamba. 3) Muscolo tensore della fascia lata Muscolo che nasce dalla tuberosità laterale dell'anca. Distalmente si allarga a ventaglio inserendosi alla fascia lata che, con un suo sdoppiamento, ne riveste le due facce. Il tratto di fascia lata che gli fa seguito si inserisce sulla rotula e sulla cresta della tibia. 4) Muscolo gluteo superficiale Muscolo che ha forma di ventaglio e presenta il margine superiore incavato. Gli estremi di questo margine sono rappresentati dal capo iliaco (che origina dalla tuberosità laterale dell’anca insieme al muscolo tensore della fascia lata) e dal capo sacrale (che nasce dalla linea spinosa del sacro). Per il rimanente origina dalla fascia glutea (continuazione caudale dell’aponeurosi del muscolo gran dorsale). Le fibre convergono in un tendine appiattito che si inserisce sulla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore ed in parte sulla fascia lata. Termina sulla tuberosità glutea. 5) Muscolo gluteo medio Appartiene ai muscoli glutei. Possiede un capo piramidale che origina dalla fascia lombodorsale. Arriva fino a livello della prima vertebra lombare. Il muscolo nasce inoltre dalla faccia esterna dell’ala iliaca, dai legamenti sacroiliaco e sacroischiatico, dalla parte vicina del sacro e dalla fascia glutea. L'imponente massa muscolare si ripiega alquanto sul margine laterale dell'ala iliaca per raggiungere la prominenza ossea dell'estremità superiore del femore dove si fissa con un tendine. Fasci muscolari proseguono anche posteriormente alla prominenza ossea dell'estremità superiore del femore, costituendo un fascio del gluteo medio. 6) Muscolo sartorio È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). 7) Muscolo obliquo interno dell'addome E’ un muscolo largo che copre il muscolo obliquo esterno. Si estende dall’ileo alle ultime costole fino alla piega dell’inguine. Si compone di una porzione carnosa e una aponeurotica. La porzione carnosa prende origine dall’arcata inguinale, sulla spina iliaca ventrocraniale e sulla cresta iliaca. La porzione aponeurotica termina sulle ultime cartilagini costali, su tutta l’estensione della linea bianca e infine sul tendine prepubico. 8) Muscolo obliquo esterno dell'addome Il Muscolo obliquo esterno dell'addome è un muscolo che si muove lungo la parete anterolaterale della cassa toracica e dell'addome. In alto si inserisce sulle ultime costole per mezzo di otto digitazioni carnose. A partire da qui si allarga. Si porta sul processo dello sterno, sulla cresta iliaca, sull'osso iliaco e sul tubercolo pubico. È innervato dai nervi intercostali e da parte di nervi del plesso lombare. La sua contrazione ha effetto sulla parete addominale e sulla gabbia toracica, contribuendo alla dinamica respiratoria (espirazione). In caso di contrazione unilaterale determina una flessione dello scheletro assiale e della cassa toracica dallo stesso lato, in caso di contrazione contemporanea del muscolo obliquo esterno destro e sinistro (con bacino fisso) determina una flessione del tronco verso il basso coadiuvando il muscolo retto dell'addome. In visione l'aponeurosi che è la sottile fascia fibrosa che ricopre ed avvolge il muscolo e che va a continuarsi nel tendine per assicurare al muscolo l'inserzione ossea. 9) Muscolo gran dorsale Appartiene ai muscoli della regione dorsolombare. E’ di forma triangolareggiante, assai largo e copre la regione del dorso, quella lombare ed in parte costale. La sua base è in rapporto con il rachide, mentre l'apice si impegna tra la spalla e la parete toracica per raggiungere la faccia mediale dell’omero. Presenta una porzione aponeurotica molto estesa che appartiene alle regioni dorsale e lombare ed una porzione carnosa che ricopre in parte la regione costale. Il muscolo gran dorsale prende origine mediante la sua aponeurosi, sul legamento sovraspinoso e sulla sommità dei processi spinosi toracici e lombari, arrivando caudalmente fino all’angolo dell’anca dove si continua con la fascia glutea. Quest’ultima rappresenta la fascia di origine del muscolo gluteo superficiale. Da questa aponeurosi prendono inserzione i fasci carnosi che convergono verso la regione costale per terminare con un tendine sul tubercolo dell’omero. 10) Muscolo retto dell'addome È uno dei muscoli che formano la parete addominale anteriore. Le fibre muscolari si inseriscono con un tendine al margine superiore del pube. Indietreggia le costole (muscoli espiratori), flette il torace sulla pelvi o viceversa. 11) Muscolo pettorale profondo Il muscolo pettorale profondo è il più grande dei muscoli pettorali e copre la maggior parte dello sterno raggiungendo anche la parete addominale. Prende origine dalla faccia ventrale dello sterno. La terminazione avviene principalmente sui due tubercoli omerali. 12) Parte toracica del muscolo trapezio Il muscolo trapezio è allocato nella regione nucale e nella parte dorsale del torace. Viene comunemente diviso in parti. Partecipa ai complessi movimenti della scapola (spalla). Il muscolo trapezio è l'ammortizzatore di quella parte del peso del cane che si scarica sull'arto toracico. In visione la porzione toracica. 13) Porzione cervicale del muscolo trapezio Il muscolo trapezio è allocato nella regione cervicale e nella toracica. Viene comunemente diviso in parti. La parte cervicale origina dalla zona nucale (prime vertebre toraciche). Partecipa ai complessi movimenti della scapola (spalla). Il muscolo trapezio è l'ammortizzatore di quella parte del peso del cane che si scarica sull'arto toracico. In visione la parte cervicale. 14) Muscolo infraspinato Prende origine nella fossa infraspinata dalla spina della scapola e dalla fascia infraspinata. I suoi fasci terminano in un tendine che si inserisce sulla faccia media della tuberosità omerale. La sua contrazione rinforza la capsula dell'articolazione scapolo omerale, stabilizzando l'articolazione della spalla. 15) Muscolo cleidocervicale Il muscolo cleidocervicale fa parte del muscolo cleidocefalico che a sua volta costituisce la parte craniale del muscolo brachiocefalico. 16) Muscolo dentato ventrale del collo Appartiene ai muscoli della regione cervicale/dorsale. E’ un muscolo piatto che mette in comunicazione le vertebre con il torace ed è in continuità con il muscolo dentato ventrale del torace. E’ detto "dentato" per la sua conformazione che presenta numerose digitazioni o dentellature che prendono origine sui processi traversi delle vertebre. 17) Muscolo sopraspinato Muscolo molto importante per la deambulazione perché tiene in sede scapolare l'omero. Coadiuva il muscolo deltoide nel movimento dell'arto anteriore. 18) Muscolo massetere Il massetere è uno dei muscoli masticatori. È inserito, da un lato sull’arcata zigomatica e dall’altro sulla faccia esterna della mandibola. Consente l’innalzamento della mandibola favorendo la masticazione. Le sue azioni principali sono il sollevamento e la protrusione della mandibola. Il muscolo massetere è innervato dal ramo del nervo mandibolare tramite il ramo masseterino (nervo trigemino). 19) Muscolo omotrasversario Fa parte dei muscoli superficiali laterali del collo. Si estende dalla superficie della spalla fino all’atlante. L’origine dell’omotrasversario prende attacco sulla spina scapolare, mentre il tendine dell’estremità opposta termina sull’ala dell’atlante. Non è innervato dal plesso brachiale come gli altri muscoli adiacenti. 20) Parte scapolare del muscolo deltoide Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. In visione la parte scapolare. 21) Capo lungo del muscolo tricipite brachiale Il muscolo tricipite brachiale appartiene ai muscoli del braccio. Il capo lungo origina con fasci tendinei dal margine caudale della scapola. La terminazione avviene mediante fasci tendinei sull'olecrano. In vicinanza della scapola, la superficie laterale del muscolo mostra un'impronta per i muscoli deltoide e piccolo rotondo con i quali è in stretto rapporto. La sua funzione è quella di estendere l'articolazione del gomito. 22) Capo laterale del muscolo tricipite brachiale Tale muscolo nasce dall'omero vicino al tubercolo del muscolo grande rotondo e termina sulla faccia mediale dell'olecrano. Estende l'articolazione del gomito. In visione il capo laterale. 23) Muscolo estensore radiale del carpo (estensore anteriore del metacarpo) Lungo muscolo che si trova sulla faccia anteriore dell’avambraccio a fianco del muscolo estensore delle falangi. Origina dal condilo omerale, decorre lungo l'avambraccio e si inserisce sui metacarpali II° e III°. La sua azione provoca l'estensione e l’abduzione della zampa. 24) Muscolo brachiale Muscolo che origina dalla metà distale della faccia anteriore dell'omero. È un muscolo monoarticolare che con la sua azione flette l'avambraccio in collaborazione con il brachioradiale. In effetti, nell'articolazione del gomito, il brachiale agisce come elemento di movimento e il brachioradiale, inserendosi distalmente sul radio rispetto all’articolazione, svolge il ruolo importante di elemento stabilizzante. 25) Parte acromiale del muscolo deltoide Il muscolo deltoide ricopre esternamente la parte laterale dell'articolazione della spalla. Il muscolo deltoide è il più potente abduttore dell'omero. È innervato dal nervo ascellare. 26) Muscolo cleidobrachiale È parte costituente il muscolo brachiocefalico. L’intersezione clavicolare (vestigio della clavicola) situata davanti alla punta della spalla suddivide il muscolo brachiocefalico in due parti: muscolo cleidobrachiale e muscolo cleidocefalico. 27) Manubrio dello sterno Parte anterocaudale dello sterno ove prendono inserzione alcuni muscoli. 28) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno (manubrio) e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 29) Muscolo sternoioideo Appartiene ai muscoli della regione cervicale ventrale (muscoli sottoioidei). È un piccolo muscolo nastriforme che prende origine sullo sterno e termina sul margine inferiore dell’osso ioide. La sua funzione contrattile permette l'abbassamento dell'osso ioide. 30) Vena giugulare esterna La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. 31) Muscolo sternooccipitale Il muscolo sternooccipitale è un muscolo della regione posterolaterale del collo che origina, come dice il nome stesso, dallo sterno (manubrio) e si inserisce con un tendine a livello della linea nucale. Estende, flette, inclina lateralmente e ruota dal lato opposto la colonna cervicale e la testa. È innervato dal nervo accessorio e dai nervi cervicali C2 e C3. 32) Muscolo estensore comune delle dita È un muscolo posto nella parte laterale dell'avambraccio i cui tendini di inserzione vanno alle ultime quattro dita provocandone l'estensione. È un muscolo superficiale che origina dall'epicondilo dell'omero. A metà dell'avambraccio si divide in fasci. I tendini si inseriscono sulla faccia dorsale della prima falange (o falange prossimale). La sua funzione principale è quella di estendere ed allargare le dita (escluso il primo dito). Questo si nota bene nell'atto di stiramento del cane. È il muscolo più efficiente nella flessione dorsale della zampa e partecipa, inoltre, all'abduzione ulnare. In visione la parte brachiale. Tavola XXXVII: segmento toracico della colonna vertebrale (lato destro). Tavola XXXVII: segmento toracico della colonna vertebrale (lato destro). 1) Processo accessorio 2) Processo articolare craniale con processo mammillare 3) Processo spinoso 4) Processo accessorio 5) Processo articolare craniale con processo mammillare 6) Fossa costale craniale 7) Fossa costale caudale 8) Corpo vertebrale 9) Forame intervertebrale 10) Processo spinoso 11) Fossa costale trasversaria 12) Processo trasverso 13) Fossa costale caudale 14) Fossa costale craniale 15) Corpo vertebrale 16) Processo trasverso 17) Processo spinoso 18) Processo articolare craniale della Ia vertebra toracica 19) Processo articolare caudale della XIIa vertebra Tavola XXXVIII: segmento lombare della colonna vertebrale (lato destro). TavolaXXXVIII: segmento lombare della colonna vertebrale (lato destro). 1) Processo articolare caudale della VIIa vertebra lombare 2) Corpo vertebrale 3) Processo articolare con processo mammillare 4) Forame intervertebrale 5) Processo costiforme (trasverso) 6) Processo spinoso 7) Corpo vertebrale 8) Processo accessorio 9) Processo articolare con processo mammillare 10) Processo costiforme (trasverso) 11) Forame intervertebrale 12) Processo spinoso 13) Processo accessorio 14) Corpo vertebrale 15) Processo articolare con processo mammillare Tavola XXXIX: muscoli superficiali del tronco (lato destro). Tavola XXXIX: muscoli superficiali dle tronco (lato destro). 1) Muscolo sartorio (parte craniale) È un muscolo che attraversa obliquamente la coscia dall’alto in basso. Il muscolo sartorio origina dalla spina iliaca ventrocraniale (o tuberosità dell’anca) ed è completamente diviso in due lamine che si portano una nella rotula (sartorio rotuleo) e una nella faccia mediale della tibia (sartorio gambale). In visione la parte craniale. 2) Arteria e vena circonflessa profonda dell'ileo -- L'arteria circonflessa profonda è destinata, tramite i suoi rami, la vascolarizzazione della zona del collo femorale formando una specie di anello vascolare. Da qui si dipartono degli ulteriori vasi che raggiungono la prominenza ossea dell'estremità superiore del femore e la testa del femore. -- La vena circonflessa profonda raccoglie il sangue refluo della parte superiore del femore. 3) Ramo cutaneo laterale del nervo ileoipogastrico caudale (del II° nervo lombare) 4) Ramo cutaneo laterale del nervo ileoipogastrico craniale (del I° nervo lombare) 5) muscolo obliquo interno dell'addome E’ un muscolo largo che copre il muscolo obliquo esterno. Si estende dall’ileo alle ultime costole fino alla piega dell’inguine. Si compone di una porzione carnosa e una aponeurotica. La porzione carnosa prende origine dall’arcata inguinale, sulla spina iliaca ventrocraniale e sulla cresta iliaca. La porzione aponeurotica termina sulle ultime cartilagini costali, su tutta l’estensione della linea bianca e infine sul tendine prepubico. 6) Aponeurosi del muscolo obliquo interno dell'addome L'aponeurosi del muscolo obliquo interno dell'addome è è la sottile fascia fibrosa che ricopre ed avvolge il muscolo e che va a continuarsi nel tendine per assicurare al muscolo l'inserzione ossea. L'aponeurosi è composta da più strati ciascuno con fibre di collagene parallele ma orientate secondo direzioni differenti rispetto ai piani adiacenti (per garantire resistenza alla trazione). 7) Ramo cutaneo laterale del nervo costoaddominale (del XII° nervo toracico) 8) Muscolo lunghissimo dei lombi Muscolo che occupa la zona lombare e che arriva fino ai processi spinosi e trasversi lombari e toracici debordando anche lateralmente fino all’estremità prossimale delle coste. Le inserzioni terminali di questo muscolo avvengono mediante due ordini di fasci: mediali e laterali. I fasci mediali o vertebrali prendono attacco sulla serie dei tubercoli mammillari lombari e toracici e sui processi trasversi toracici; i fasci laterali o costali terminano sull’estremità prossimale delle costole (sul tubercolo omonimo). 9) Muscolo ileocostale dei lombi 10) Rami dorsali (cutanei mediali) dei nervi toracici I nervi toracici emergono dalla colonna vertebrale all'altezza del torace e si dividono in nervi sensoriali e motori. In visione i rami dorsali. 11) Muscolo dentato dorsale caudale Il muscolo dentato posteriore inferiore origina nella zona lombare. ricopre l'ileocostale, le coste e i muscoli intercostali. Si inserisce con quattro digitazioni al margine inferiore e alla faccia esterna delle ultime quattro costole toraciche. Con la sua azione abbassa le costole, intervenendo nell' espirazione forzata (azione contraria rispetto al muscolo dentato dorsale craniale). È innervato da un ramo del nervo toracico. 12) Muscoli intercostali esterni Inseriti tra le costole e disposti obliquamente, determinano l'innalzamento delle costole facilitando l'inspirazione (muscoli inspiratori). Hanno una direzione delle fibre opposta rispetto ai muscoli intercostali interni. 13) Rami ventrali (cutanei laterali) dei nervi toracici (rami cutanei dei nervi intercostali) I nervi toracici emergono dalla colonna vertebrale all'altezza del torace e si dividono in nervi sensoriali e motori. In visione i rami ventrali. 14) Muscolo obliquo esterno dell'addome Il Muscolo obliquo esterno dell'addome è un muscolo che si muove lungo la parete anterolaterale della cassa toracica e dell'addome. In alto si inserisce sulle ultime costole per mezzo di otto digitazioni carnose. A partire da qui si allarga. Si porta sul processo dello sterno, sulla cresta iliaca, sull'osso iliaco e sul tubercolo pubico. È innervato dai nervi intercostali e da parte di nervi del plesso lombare. La sua contrazione ha effetto sulla parete addominale e sulla gabbia toracica, contribuendo alla dinamica respiratoria (espirazione). In caso di contrazione unilaterale determina una flessione dello scheletro assiale e della cassa toracica dallo stesso lato, in caso di contrazione contemporanea del muscolo obliquo esterno destro e sinistro (con bacino fisso) determina una flessione del tronco verso il basso coadiuvando il muscolo retto dell'addome. In visione l'aponeurosi che è la sottile fascia fibrosa che ricopre ed avvolge il muscolo e che va a continuarsi nel tendine per assicurare al muscolo l'inserzione ossea. 15) IXa costola La costola è un osso del torace pari e simmetrico. L'insieme delle costole costituisce la gabbia toracica. In visione la IXa costola. 16) Muscolo ileocostale del torace Muscolo che entra in rapporto con l'osso ileo e le coste. I muscoli ileocostali sono costituiti da fasci muscolari che dalla regione della cresta e della tuberosità dell'ileo e dai processi spinali delle vertebre lombari, raggiungono le coste inferiori (muscolo ileocostale dei lombi) e superiori (muscolo ileocostale del dorso) o i processi trasversi delle vertebre cervicali (muscolo ileocostale del collo). Costituiscono la massa muscolare comune dei muscoli spinali (muscolo sacrospinale). 17) Muscolo lunghissimo del torace Appartiene ai muscoli della zona lombare. Importante nella locomozione per definire direzionalità, rigidità e posizionamento del tronco durante la trasmissione propulsiva degli arti posteriori. 18) Aponeurosi del muscolo obliquo esterno dell'addome L'aponeurosi del muscolo obliquo dell'addome è la sottile fascia fibrosa che ricopre ed avvolge il muscolo e che va a continuarsi nel tendine per assicurare al muscolo l'inserzione ossea. L'aponeurosi è composta da più strati ciascuno con fibre di collagene parallele ma orientate secondo direzioni differenti rispetto ai piani adiacenti (per garantire resistenza alla trazione). 19) Muscolo spinale e semispinale del torace -- Muscolo a forma di fasci arcuati che origina tramite tendini dai processi spinosi delle prime vertebre lombari e dalle ultime toraciche. È antagonista dei muscoli flessori ed opera l'estensione della colonna vertebrale. -- Il muscolo semispinale si alloca tra i processi trasversi delle vertebre toraciche. Nella contrazione laterale sposta la colonna vertebrale verso il proprio lato e nella contrazione simultanea estende la colonna vertebrale. 20) Rami dorsali (cutanei mediali) dei nervi toracici I nervi toracici emergono dalla colonna vertebrale all'altezza del torace e si dividono in nervi sensoriali e motori. In visione i rami dorsali. In visione i rami dorsali. 21) Muscolo dentato dorsale craniale Il muscolo dentato dorsale anteriore è situato nella parte superolaterale del torace. Origina con digitazioni dalla faccia esterna delle prime costole toraciche. È un muscolo elevatore delle costole. 22) Muscolo dentato ventrale del torace Muscolo appartenente alla regione toracica situato tra la spalla e la parete costale. Appartiene allo stesso sistema del dentato ventrale del collo con il quale è in continuità. Ha una conformazione a ventaglio che si estende sulla superficie delle costole. Prende origine (mediante digitazioni) sulla faccia laterale delle costole. 23) nervo toracodorsale (nervo del plesso brachiale) Nervo che nasce nell'ascella dal nervo ascellare. Discende accompagnando l'arteria e la vena e raggiunge il muscolo gran dorsale sul margine scapolare. 24) Muscoli intercostali interni (muscoli intercartilaginei) Muscoli che si estendono dalla costola allo sterno. Fanno parte dei muscoli respiratori e la loro funzione è quella di "spingere" le costole in direzione craniale e caudale (espirazione forzata). 25) Muscolo retto dell'addome È uno dei muscoli che formano la parete addominale anteriore. Le fibre muscolari si inseriscono con un tendine al margine superiore del pube. Indietreggia le costole (muscoli espiratori), flette il torace sulla pelvi o viceversa. 26) Muscolo pettorale profondo Il muscolo pettorale profondo è il più grande dei muscoli pettorali e copre la maggior parte dello sterno raggiungendo anche la parete addominale. Prende origine dalla faccia ventrale dello sterno. La terminazione avviene principalmente sui due tubercoli omerali. 27) Muscoli intercostali esterni Inseriti tra le costole e disposti obliquamente, determinano l'innalzamento delle costole facilitando l'inspirazione (muscoli inspiratori). Hanno una direzione delle fibre opposta rispetto ai muscoli intercostali interni. 28) Muscolo retto del torace È un muscolo piatto che si trova sulla superficie delle prime costole in corrispondenza del terzo ventrale di queste. Nasce lateroventralmente dalla prima costola e si porta caudoventralmente per terminare in prossimità dello sterno. 29) Muscolo scaleno dorsale Appartiene al gruppo dei muscoli scaleni e si estendono dai vari processi trasversi cervicali alle costole. L’origine avviene a livello dei processi trasversi delle vertebre cervicali (dalla seconda in poi). La terminazione avviene sulla terza/quarta costa (branche brevi), mentre la più lunga si estende fino all’ottava/nona costola. Questi muscoli sono importanti poiché comandano i movimenti inspiratori del torace e permette al collo l'inclinazione laterale. 30) Nervo toracico lungo (nervo del plesso brachiale) Il nervo toracico lungo origina dietro il plesso brachiale ed emerge al terzo medio della vena ascellare. Il nervo toracico lungo forma parte del gruppo dei nervi dorsali e della parete toracica. Innerva il muscolo gran dentato. 31) Muscolo lunghissimo del torace e muscolo lunghissimo dei lombi -- Appartiene ai muscoli della zona lombare. Importante nella locomozione per definire direzionalità, rigidità e posizionamento del tronco durante la trasmissione propulsiva degli arti posteriori. -- Muscolo che occupa la zona lombare e che arriva fino ai processi spinosi e trasversi lombari e toracici debordando anche lateralmente fino all’estremità prossimale delle coste. Le inserzioni terminali di questo muscolo avvengono mediante due ordini di fasci: mediali e laterali. I fasci mediali o vertebrali prendono attacco sulla serie dei tubercoli mammillari lombari e toracici e sui processi trasversi toracici; i fasci laterali o costali terminano sull’estremità prossimale delle costole (sul tubercolo omonimo). 32) Muscolo digastrico del collo Il muscolo digastrico del collo è un muscolo anatomicamente complesso che è diviso dalle iscrizioni tendinose in più unità. Le iscrizioni tendinose ed il tendine dell'inserzione sono orientati obliquamente e l'attaccatura delle fibre sono progressivamente sfalsate medialmente verso il bordo laterale del muscolo stesso. I diversi scompartimenti del digastrico del collo differiscono l'uno dall'altro nella loro architettura. Alcuni scompartimenti rostrali contengono fibre di lunghezza simile che funzionano fra due piastre del tessuto tendinoso. Altri scompartimenti sono divisi in subunità parallele di cui i fasci di fibre differiscono nelle loro lunghezze e punti d'inserzione sul tendine. Un ulteriore scompartimento si mescola in alcuni soggetti con la parte dorsomediale dello scompartimento adiacente per formare un singolo subunità motoria. Le fibre nelle regioni rostromediali si allungano quando la testa è flessa a livello suboccipitale e sono poco sensibili ai movimenti a livello delle giunzioni cervicali più basse. A livello di quest'ultime sono le fibre della parte caudolaterale a presentare apprezzabili allungamenti. Le fibre a contrazione lenta rappresentano la maggior parte delle presenti in prossimità mediana della nuca, mentre nelle regioni laterali sono presenti più fibre muscolari a contrazione veloce. 33) Muscolo lunghissimo del collo Fa parte del sistema muscolare sacrospinale. Il lunghissimo del collo stabilizza le ultime vertebre cervicali ancorandosi con i processi trasversi delle prime vertebre dorsali. La sua contrazione avvicina i punti estremi ed estende il rachide cervicale nella contrazione simmetrica, lo flette lateralmente nella contrazione unilaterale. 34) Muscolo dentato ventrale del collo Appartiene ai muscoli della regione cervicale/dorsale. E’ un muscolo piatto che mette in comunicazione le vertebre con il torace ed è in continuità con il muscolo dentato ventrale del torace. E’ detto "dentato" per la sua conformazione che presenta numerose digitazioni o dentellature che prendono origine sui processi traversi delle vertebre. 35) Muscolo scaleno dorsale Appartiene al gruppo dei muscoli scaleni e si estendono dai vari processi trasversi cervicali alle costole. L’origine avviene a livello dei processi trasversi delle vertebre cervicali (dalla seconda in poi). La terminazione avviene sulla terza/quarta costa (branche brevi), mentre la più lunga si estende fino all’ottava/nona costola. Questi muscoli sono importanti poiché comandano i movimenti inspiratori del torace e permette al collo l'inclinazione laterale. 36) muscolo scaleno medio È simile allo scaleno dorsale tranne che per la terminazione che avviene sulla faccia esterna della prima costa. Permette al collo l'inclinazione in avanti e lateralmente. 37) Plesso brachiale Il plesso brachiale è costituito dall'unione delle radici spinali della zona cervicale terminale e che formano i nervi spinali. I suoi rami provvedono all'innervazione motoria e sensitiva (esterocettiva e propriocettiva) dell'arto anteriore, della spalla, zona scapolare e muscoli pettorali. 38) Ia costola, arteria e vena ascellare -- La costola è un osso del torace pari e simmetrico. L'insieme delle costole costituisce la gabbia toracica. In visione la prima costola, cioè la più craniale. -- Arteria parzialmente alloggiata nel collo e protetta dal muscolo retto del torace. Prosegue fino al margine inferiore del muscolo pettorale e diventa arteria brachiale. -- La vena ascellare origina dalla confluenza delle vene brachiali e riceve il sangue proveniente dalla parete toracica e dai muscoli pettorali. 39) Vena giugulare esterna, trachea -- La vena giugulare esterna decorre superficialmente nel collo in adiacenza della trachea. Nel suo tratto distale riceve alcuni affluenti quali la soprascapolare, la giugulare anteriore e la trasversa del collo. Nella maggior parte dei casi è presente anche un ramo anastomotico con la vena giugulare interna. -- La trachea è compresa tra laringe e bronchi, situata lungo la linea mediana davanti all’esofago. È formato da una serie di anelli cartilaginei tenuti assieme da legamenti. Gli anelli non si saldano completamente nel quarto posteriore, dove la parete è sostituita dalla membrana fibrosa ricca di fibrocellule muscolari lisce, che riveste esternamente tutto il canale cartilagineo. La trachea è irrorata da una rete di arteriole alimentate dalle arterie tiroidee. Le vene che raccolgono il sangue refluo fanno capo alle vene tiroidee ed esofagee. L’innervazione è garantita da rami provenienti dal ganglio stellato e dai nervi ricorrenti del vago. 40) Muscolo pettorale superficiale Fa parte dei muscoli del torace e costituisce la base anatomica della regione pettorale. L'ampiezza e lo sviluppo dei muscoli pettorali è indizio di buone capacità respiratorie. La larghezza è rappresentata dalla parte anteriore dello sterno (da non confondere con l'ampiezza del torace che ha come base anatomica le prime due costole toraciche). Prende origine sul manubrio sternale in vicinanza del muscolo sternocefalico. Il tendine sottile terminale (che ha il compito di mantenere nella posizione corretta i muscoli durante i movimenti) si unisce all’estremità corrispondente del muscolo brachiocefalico e si attacca alla cresta omerale. 41) Arteria carotide comune, tronco del simpatico e nervo vago -- Arteria pari che nella regione del collo entra a far parte del fascio vascolonervoso del collo insieme con la vena giugulare interna ed il nervo vago. Arriva fino al margine superiore della cartilagine tiroidea dove si divide nei suoi due rami terminali (l´arteria carotide interna ed esterna). La carotide interna irrora l' encefalo. La carotide esterna irrora le regioni superficiali e profonde del neurocranio e dello splancnocranio (arterie mascellari). Il ramo terminale è l'arteria oftalmica che passando attraverso il foro ottico irrora il globo oculare. -- Si tratta di una catena di gangli interconnessi tra loro da fibre nervose e che decorrono lungo la colonna vertebrale (da ambedue i lati) a formare il sistema nervoso simpatico (sistema vegetativo). -- Il nervo vago è il più vasto nervo craniale ed ha le maggiori responsabilità da un capo all’altro del corpo. Questo nervo manda controlli motori e riceve segnali dalla bile e dai dotti della cistifellea attaccati al fegato, pancreas, milza, stomaco, intestini, polmoni, cuore e alle strutture bronchiali. Il vago fornisce sensazioni al meato acustico esterno (che è il canale dell’orecchio). 42) Esofago, vena giugulare interna -- L'esofago è un organo a forma cilindrica dell'apparato digerente. Collega la faringe allo stomaco e consente il passaggio del cibo. Viste le regioni attraversate si può dividere in un tratto cervicale, uno toracico, uno diaframmatico e uno addominale. L'esofago ha pareti foderate di muscoli che spingono il cibo verso lo stomaco. La mucosa che lo riveste è ricca di ghiandole produttrici di muco, che ha funzione di lubrificante per il transito del cibo. È innervato dal nervo vago, dal nervo laringeo inferiore e dall’ortosimpatico. -- La vena giugulare interna è un grosso vaso venoso che attraversa in modo obliquo (dall'alto in basso e da dietro in avanti) la regione laterale del collo, dalla base cranica fino all'apertura superiore della cassa toracica. Decorre lateralmente all'arteria carotide. 43) Arteria cervicale superficiale, vena cefalica -- L'arteria cervicale superficiale si distribuisce principalmente al muscolo trapezio. -- Vena cutanea del margine esterno del braccio che drena il sangue proveniente dal dorso della zampa anteriore e confluisce nella vena ascellare. 3.3.3) L'apparato È definito apparato l'insieme di organi o strutture che concorrono a svolgere una o più funzioni coordinate. Nel corpo del cane, come in quello umano, si riconoscono un apparato scheletrico, muscolare, visivo, uditivo, tattile, buccale, digestivo, linfatico, endocrino, nervoso, cardiovascolare, urinario, riproduttivo (maschile e femminile), ecc. 3.3.3.1) L'apparato scheletrico Le ossa fanno parte della struttura rigida destinata a fornire il necessario sostegno al corpo. Hanno funzione di leva per i muscoli e protettiva nei confronti di organi interni. In questa struttura rigida alcuni segmenti sono destinati al sostegno e altri all'esecuzione dei movimenti. Queste due funzioni sono però quasi sempre presenti contemporaneamente e svolte in maggiore o minor misura. Le ossa agiscono anche come deposito di sali minerali (calcio e fosforo) e nel loro interno si trova il midollo destinato alla produzione delle cellule del sangue. Sono organi di consistenza dura, ma dotate di una certa elasticità, soprattutto nei giovani soggetti. Hanno colore biancastro, con una superficie ricca di sporgenze e di incavature derivate dal passaggio di vasi, di nervi e dell'inserzione dei muscoli. Le sporgenze assumono nomi diversi quali spine, processi, tubercoli, docce, ecc. Ogni osso è ricoperto, salvo che nelle articolazioni, da una membrana chiamata periostio. Il periostio serve per le inserzioni sull'osso di legamenti, tendini e muscoli ed è importante nei processi di riparazione post traumatiche dell'osso stesso. L'osso è costituito, per la maggior parte, da una sostanza dura chiamata matrice. La matrice è costituita da una parte inorganica (formata per lo più da fostato di calcio) e da una parte organica. La parte organica lega il calcio e dà elasticità all'osso, i sali di calcio danno rigidità. Senza il calcio l'osso sarebbe molle, senza la matrice organica l'osso sarebbe duro ma troppo fragile per la sua funzione. Possiamo paragonare la matrice ossea al cemento armato, in cui cemento e ferro si combinano dando rubustezza e durezza, unite ad una certa elasticità. La parte minerale regge la compressione, quella organica regge torsione e trazione. Disegno26: osso femorale (intero ed in sezione). Altri componenti quali liquidi organici e grasso, hanno funzioni di ammortizzatori, dispersori di calore, nutrienti, ecc. La matrice è organizzata in strutture lamellari. Nell'osso compatto queste lamelle si dispongono in maniera concentrica formando dei canali entro cui corrono i vasi sanguigni. Nell'osso spugnoso, invece, le lamelle hanno un aspetto meno ordinato e sono organizzate in una trabecolatura più ampia. Questo tipo di organizzazione risponde a precise esigenze di ordine strutturale: tubi concentrici e vicini permettono una maggiore resistenza a sollecitazioni quali compressione, torsione e flessione. La direzione dei tubi segue quella dell'asse longitudinale dell'osso con un andamento a spirale (struttura spiraliforme) che si adatta a sua volta alle forze di torsione applicate all'osso. La struttura compatta si localizza nella parte centrale delle ossa lunghe (diafisi). L'osso spugnoso si trova alle estremità delle ossa lunghe (epifisi) concorrendo a formare le articolazioni e riesce, grazie alla sua struttura, ad assorbire i traumi e ad ammortizzarli. La sua trabecolatura permette una migliore dispersione del calore prodotto dall'assorbimento dell'impatto e dagli attriti delle articolazioni. Quindi, le estremità delle ossa lunghe sono come delle spugne in grado di assorbire energia sia cinetica che termica e di disperderla. Quanto più grande è la sollecitazione che la struttura deve assorbire, tanto più ampia è la epifisi. Nei giovani soggetti, nel punto di congiunzione tra diafisi ed epifisi, si trova la cartilagine di accrescimento. Mano a mano che l'osso si allunga, la cartilagine viene sostituita da osso e si produce nuova cartilagine. Quando questa è completamente trasformata in osso, cessa l'accrescimento in lunghezza. L'aumento del diametro avviene per il sovrapporsi di strati concentrici di osso: diametro esterno ed interno crescono contemporaneamente. Le ossa di grande diametro hanno quindi grandi cavità midollari e viceversa. Le estremità dell'osso che formano le superfici di contatto con altre ossa sono ricoperte da cartilagine che, essendo molto liscia e notevolmente imbibita d'acqua, permette un facile scorrimento reciproco delle superfici articolari. 3.3.3.1.1)L'ossificazione L'ossificazione differisce di poco nelle ossa di origine cartilaginea da quella delle ossa di origine membranosa. Nelle ossa lunghe l'osso viene formato dalla membrana pericondrale che avvolge l'osso ancora cartilagineo, formando, intorno a questo, un manicotto. Il pericondrio diventa periostio ed inizia a produrre osso. La matrice cartilaginea sottostante degenera lentamente e l'osso neoformato si arricchisce di un letto vascolare rifornito dall'arteria nutritizia. Le estremità della diafisi sono costituite da osso spugnoso riccamente vascolarizzato e separato dalle due estremità epifisarie ancora cartilaginee. Le epifisi cartilaginee si ossificano durante lo sviluppo corporeo seguendo un processo diverso da quello dell'ossificazione diafisaria. Al centro della epifisi si forma un primitivo nucleo di ossificazione che viene vascolarizzato e che si accresce dal centro alla periferia fino ad ossificare tutta l'epifisi, rispettando soltanto il sottile strato di cartilagine articolare e la cartilagine di coniugazione, che si ossificherà soltanto al termine dell'accrescimento scheletrico. La stessa via di ossificazione viene seguita dalle ossa brevi. Disegno 27: ciclo vitale dell'osso. L'accrescimento in larghezza avviene per mezzo di un'ossificazione periostale, che si sovrappone all'osso sottostante, l'accrescimento in lunghezza avviene attraverso la moltiplicazione delle cellule della cartilagine di coniugazione (cartilagine di accrescimento), che separa l'epifisi dalla diafisi e rimane fertile per tutto il tempo della maturazione scheletrica. Allo stesso modo le epifisi aumentano di volume per la moltiplicazione delle cellule cartilaginee attorno al nucleo di ossificazione. Tutta la massa cartilaginea si espande e si accresce e viene successivamente sostituita dell'osso neoformato che dal nucleo di ossificazione centrale si espande perifericamente con un meccanismo analogo a quello che si verifica in corrispondenza delle zone metafisarie. Le ossa brevi si sviluppano in parte con un meccanismo analogo a quello delle epifisi ed in parte simile a quello delle ossa piatte di origini membranosa, cioè per apposizione di osso subperiostale. Fino all'età della maturità scheletrica, le ossa lunghe sono formate da una diafisi centrale e da due epifisi alle estremità, separate da due zone metafisarie, nelle quali avvengono i più importanti processi che portano all'accrescimento in lunghezza. La metafisi è costituita dalla zona dell'osso in accrescimento e possiamo suddividerla nei seguenti strati, andando dalla epifisi verso la diafisi: -- strato di cellule cartilaginee a riposo; -- strato di proliferazione cellulare, caratterizzato dalla moltiplicazione delle cellule cartilaginee, in strati sovrapposti; -- strato delle cellule in colonna o zona della maturazione e della degenerazione cellulare caratterizzato dall'aumento volumetrico delle cellule cartilaginee, fino alla loro degenerazione; -- strato di ossificazione nel quale si assiste alla calcificazione del tessuto cartilagineo in via di degenerazione, alla vascolarizzazione del tessuto necrotico con successiva fagocitosi e formazione di tessuto osteoide che successivamente viene calcificato. Durante la crescita delle ossa lunghe, le epifisi si allontanano progressivamente dalla diafisi, ad opera dello strato di cellule cartilaginee in attività proliferativa. Affinchè l'osso mantenga la sua forma, nonostante l'accrescimento in lunghezza, è necessario che si rimodelli continuamente. Questo rimodellamento avviene per mezzo di un processo di riassorbimento osseo e di contemporanea sostituzione con osso neoformato. Attività osteoblastica e attività osteoclastica devono mantenere un rapporto proporzionale con una lieve prevalenza dei processi di apposizione su quelli di riassorbimento durante tutto il periodo dello sviluppo del cucciolone. Questa attività continua anche nell'adulto, per cui l'osso, seppure più lentamente, si trasforma in virtù del nuovo equilibrio tra i processi di apposizione e quelli di demolizione. Lo scheletro del cane è composto di ossa lunghe, corte, piatte, in numero che va da duecentoventotto a duecentotrentadue: -- ventisette nella testa (dieci del cranio e diciasette della faccia); -- quarantadue denti; -- da quarantasei a cinquanta nella colonna vertebrale (sette lombari, un sacro e da diciotto a ventidue coccigee); -- trentaquattro nel costato (escluse le vertebre dorsali) di cui otto sternebre, diciotto coste vere, otto false coste; -- compongono i due arti toracici sessantadue ossa (scapola, tre precarpiani, otto carpiani, diciannove postcarpiani per ciascun arto); -compongono i due arti pelvici: cinquantasei ossa (quattro pretarsiani, sette tarsiani, diciassette posttarsiani per ciascun arto). Agli arti pelvici vanno aggiunte tre ossa per ciascun arto (cintura pelvica); -- ossa accessorie: ioide, osso peniano, ossa sesamoidee, le ossicine ai condili interno ed esterno del femore, le ossicine del condotto uditivo, le due ossicine della cintura scapolare. 3.3.3.2) L'apparato muscolare I muscoli sono organi capaci di contrarsi, in seguito ad uno stimolo, determinando il movimento del corpo o di sue parti agendo direttamente sui tendini attaccati alle ossa. Sono costituiti da tessuto muscolare ed avvolti da una membrana elastica che li mantiene in sede durante la contrazione. Per ciò che riguarda il cane da lavoro, i muscoli più importanti sono quelli destinati alla deambulazione (cinesiologia). Sono proprio questi che, assieme alle ossa, danno origine al movimento studiato dalla Morfologia Funzionale. I muscoli si suddividono in tre tipi: -- i muscoli dello scheletro (muscoli volontari) che consentono di muovere la testa, gli arti, la colonna vertebrale, ecc e sono muscoli del tipo striato; -- i muscoli dei visceri (muscoli involontari) controllano i movimenti delle pareti degli organi interni, vasi sanguigni, ecc e sono muscoli del tipo liscio (non verranno trattati); -- il muscolo cardiaco (muscolo involontario) è del tipo striato ma di struttura particolare ed unica (non verrà trattato). I muscoli hanno diverse forme e dimensioni: alcuni sono corti e piccoli, altri larghi e piatti, altri ancora lunghi e fusiformi. Ciascuno ha struttura, forma e dimensioni per svolgere il proprio compito. Ogni muscolo svolge una funzione unica. Quando un muscolo si contrae in contemporanea ad altri muscoli per realizzare un certo movimento, può di volta in volta essere il protagonista principale di quel movimento (funzione agonista) o può tendere a contrastarlo (funzione antagonista), oppure partecipare attivamente, al pari di altri muscoli, a realizzare un movimento complesso (funzione sinergica). Disegno 28: fascio muscolare. Sono considerati annessi dei muscoli le formazioni anatomiche come tendini, aponeurosi, legamenti, guaine, ecc. Queste non verranno trattate e si invia il lettore a testi di Anatomia animale. Nel muscolo sono mescolati tre tipi fondamentali di fibre. L'allenamento può variarne la percentuale di presenza. Per sviluppare i muscoli coinvolti negli sforzi brevi, ad esempio, si deve sottoporre il cane ad allenamenti brevi ed intensi. Nel cane da caccia si ricerca però la resistenza del maratoneta e non quella del turno di lavoro. In questo caso gli allenamenti dovranno essere più lunghi e di intensità minore. Disegno 29: fibrocellula muscolare. I muscoli sono formati da tre tipi di fibre muscolari differenti. -- Fibre tipo I: le fibre a contrazione lenta sono resistenti all'affaticamento e ricche di enzimi ossidativi che permettono attività lente, continue e prolungate; hanno un'alta capacità aerobica e quindi di resistenza alla fatica. Sono fibre che crescono con difficoltà ed aumentano di poco la forza; -- fibre tipo II: Le fibre a contrazione rapida si stancano facilmente ma sono ancora più ricche di enzimi ossidativi; sono fibre che sviluppano velocemente massa e forza. Vengono suddivise in due sottogruppi: tipo IIa e tipo IIb. Le fibre del tipo IIa sono dette a contrazione rapida ossidante, perché hanno un maggior quantitativo di mitocondri; le fibre del tipo IIb sono dette a contrazione rapida glicolitica. Tuttavia le fibre del tipo IIa non hanno la stessa capacità aerobica delle fibre a contrazione lenta. Per quanto riguarda la distribuzione dei due tipi di fibre, valgono le due considerazioni seguenti. La prima è che in ogni soggetto la distribuzione delle fibre a contrazione lenta e di quelle a contrazione rapida è diversa nei diversi muscoli. La seconda è che nello stesso muscolo di diversi soggetti è molto probabile un diverso contenuto percentuale dei due tipi di fibre. A titolo indicativo, cani che esercitano la loro attività fisica partecipando alle prove di lavoro, hanno il settanta/novanta per cento di fibre a contrazione rapida. Invece, cani di resistenza come i soggetti da caccia, hanno probabilmente il sessanta/novanta per cento di fibre muscolari a contrazione lenta. Le cellule muscolari, siano esse del tipo a contrazione lenta che quelle del tipo a contrazione rapida, si contraggono sempre con lo stesso meccanismo anche se le fibre di tipo II si contraggono più rapidamente di quelle di tipo I. C'è inoltre da ricordare che la capacità contattile di un muscolo è proporzionale alla lunghezza delle fibre che la compongono e non alla massa del muscolo stesso: muscoli con fibre lunghe sviluppano velocità e sono più resistenti all'affaticamento durante la corsa, fibre brevi sviluppano solo potenza. Disegno 30: miofibrilla. Guardando una fibra muscolare al microscopio si osserva che essa è costituita da moltissimi elementi ripetitivi chiamati sarcomeri. Inoltre, lungo tutta la fibra muscolare, ci sono catene di proteine chiamate miofibrille. Disegno 31: sarcomero. In una miofibrilla ci sono numerose proteine, ma le uniche importanti nel processo di contrazione di un muscolo sono l'actina e la miosina (conosciute anche come proteine contrattili). Perché avvenga la contrazione di un muscolo è necessario che ci sia un quantitativo sufficiente di ATP (adenosintrifosfato, molecola che fornisce energia) in prossimità delle proteine actina e miosina e che venga inoltrato un comando dal Sistema Nervoso Centrale. Quando questi due fattori sono presenti, le sottili estremità (teste) della miosina si attaccano all'actina, formando un ponte incrociato actina-miosina. Il processo è definito teoria dei filamenti scorrevoli. L'energia dell'ATP fa sì che le estremità della miosina ruotino verso il centro del sarcomero, trascinando il filamento dell'actina ad esse attaccato. In questo processo ciascun sarcomero si accorcia lungo tutto il muscolo. Disegno 33: filamento sottile. Disegno 32: filamento spesso. Poiché tutti i sarcomeri si accorciano nello stesso istante, si verificherà una riduzione della lunghezza dell'intera fibra muscolare. Quando molte fibre si accorciano simultaneamente si ha una contrazione muscolare che non sempre comporta l'accorciamento dell'intero muscolo. 3.3.3.2.1) Le contrazioni Una contrazione concentrica è quella che comporta l'accorciamento del muscolo; una contrazione eccentrica è quella che avviene quando la resistenza è maggiore della forza sviluppata e quindi il muscolo in effetti si allunga; una contrazione isometrica è la contrazione delle singole fibre senza modificazione della lunghezza dell'intero muscolo. Quando una fibra muscolare si accorcia, esercita una forza. Poiché i muscoli scheletrici funzionano secondo il criterio del “tutto o niente” generano la massima forza di cui sono capaci. L'entità della forza prodotta durante la contrazione, dipende da due fattori: -- la dimensione delle singole fibre (una fibra è tanto più forte quanto più grande è); -- il numero di fibre muscolari che si contraggono simultaneamente. La forza generata da una fibra è proporzionale alla sua sezione. Inoltre, la forza esercitata da un muscolo di una determinata sezione è la stessa sia che il muscolo appartenga ad un maschio, sia che appartenga ad una femmina. Quindi, sia i maschi che le femmine, a parità di massa muscolare, lunghezza delle leve ed allenamento, producono una resa venatoria identica (sfatiamo quindi un'altro preconcetto cinofilo sulla maggior resistenza alla fatica da parte dei maschi rispetto alle femmine). In ogni muscolo le fibre sono stimolate singolarmente o a gruppi. L'insieme del nervo (collegato al midollo spinale) e delle fibre muscolari da esso stimolate è chiamato unità motoria (o motrice). Le unità motorie hanno diverse dimensioni. Ci sono unità motorie nelle quali il nervo stimola poche fibre: a queste sono associati movimenti micrometrici (come muovere gli occhi). Esistono anche unità motorie che consistono di un nervo e di cinquecento/mille fibre: queste sono chiamate in causa quando si svolgono i movimenti degli arti. Indipendentemente dalla loro dimensione, le unità motrici sono costituite da fibre di tipo I e da fibre di tipo II. Il complesso motoneurone-fibre muscolari innervate è definito come unità motoria. Ogni motoneurone innerva un ben determinato numero di fibre muscolari e tale numero è inversamente proporzionale alla qualificazione funzionale del muscolo effettore: più fini e precisi saranno i movimenti che debbono essere compiuti, tanto minore sarà in numero delle fibre che compongono l'unità motoria. Il singolo impulso, una volta raggiunta la giunzione neuromuscolare, libera una sostanza (acetilcolina) che a sua volta rende permeabile la membrana della miofibra agli ioni sodio; il rapido arrivo di questi si traduce in una corrente elettrica che, se di sufficiente intensità, genera un potenziale di azione. Questo si trasmette rapidamente lungo la membrana della fibra muscolare, eccitandola completamente e permettendo la liberazione di ioni calcio. La contrazione vera e propria si verifica nel breve periodo in cui lo ione calcio è presente nella miofibra in sufficiente concentrazione e, per un singolo impuso, è estremamente breve (da qualche centesimo a qualche millesimo di millisecondo); un meccanismo di trasporto attivo da parte della parete dei tubuli longitudinali consente infatti un veloce ritorno del calcio nel fluido endoplasmatico. In sintesi, il potenziale di azione si traduce in una depolarizzazione della fibra muscolare (contrazione), cui segue una fase di ripolarizzazione (periodo refrattario). Il meccanismo della contrazione avviene grazie ad un raccorciamento della struttura macroscopica dell'effettore muscolare; intensità, durata, modulazione e velocità di tale raccorciamento dipendono da molteplici fattori. I più significativi sono: -- la distensione a cui il muscolo viene sottoposto prima della contrazione; -- il numero delle fibre reclutate all'atto della contrazione; -- le caratteristiche metaboliche delle miofibre; -- la disponibilità di energia necessaria per la contrazione. Ad eccezione del primo, tutti i restanti fattori risultano influenzati in forma determinante dalla tipologia dei motoneuroni destinati al singolo muscolo. Gli impulsi nervosi percorrono il tronco nervoso principale e da questo si distribuiscono al muscolo attraverso le fibre intramuscolari. Ogni impulso viaggia lungo il nervo con velocità variabile in rapporto alla struttura della fibra nervosa ed al suo diametro. Considerando che nel cuore del muscolo il calibro delle fibre nervose si riduce in misura proporzionale alla distanza dal punto di ingresso del tronco principale, la periferia di ogni muscolo sarà quindi attraversata da stimoli a velocità minore rispetto alla porzione più prossima al peduncolo nervoso. Come già detto, ciascuna fibra motoria si contrae seguendo la legge del “tutto o niente”: infatti, al di sopra di un valore specifico (soglia di stimolazione) la fibra si contrae in toto, rimanendo invece completamente inerte a valori inferiori. In conseguenza di ciò, la forza e la velocità di contrazione del muscolo scheletrico saranno in diretto rapporto al numero di fibre che vengono reclutate dallo stimolo. Per quel che riguarda la modulazione della forza di contrazione, questa viene in generale controllata variando il numero dell'unità motorie attivate, a partire da quelle più piccole (con minor fibre), fino a quelle maggiori. Per quanto concerne la muscolatura liscia, questa si differenzia da quella scheletrica (striata) per molti aspetti contrattili generali: -- una velocità di contrazione nettamente più lenta; -- un fabbisogno energetico inferiore; -- una risposta allo stiramento di tipo plastico, che si traduce in una capacità di distensione massimale; -- una resistenza maggiore alla fatica indotta dalla contrazione muscolare protratta; -- la capacità di mantenere un'attività tonica costante, ottenuta attraverso il reclutamento alternato e sequenziale di più unità motorie a contrazione lenta. 3.3.3.2.2) Il cane non allenato Il muscolo striato è classicamente uso-dipendente, essendo influenzato dall'attivazione funzionale in misura superiore ad ogni altra struttura del corpo. La drastica riduzione o l'abolizione dell'attività fisica (periodo extra-venatorio) determina alterazioni di tipo regressivo che coinvolgono morfologia, metabolismo e caratteristiche contrattili. Le prime modificazioni in ordine temporale riguardano la capacità ed il flusso del letto vascolare. A ciò consegue una drastica riduzione ponderale e numerica delle fibre muscolari con effetti diretti sulle caratteristiche contrattili: riduzione dei tempi di contrazione, di rilassamento e della forza di contrazione. Da un'atrofia semplice, caratterizzata dalla scomparsa delle caratteristiche strie trasversali (espressione di un danno dei legami tra actina e miosina) si giunge infatti all'assottigliamento estremo delle fibre muscolari, fino alla loro scomparsa e sostituzione; la riduzione del patrimonio proteico si accompagna ad un incremento del connettivo interstiziale lasso e del tessuto adiposo (grasso). La regressione da non uso muscolare è tanto più marcata e precoce quanto più ricco è il patrimonio di fibre di tipo I, traducendosi in una recessione di queste fibre verso un' atteggiamento cellulare, metabolico e contrattile di tipo II. Ne conseguono una maggiore affaticabilità, una riduzione dell'attività enzimatica ossidativa e della forza contrattile all'inizio della stagione venatoria successiva. 3.3.3.2.3) L'allenamento Quando i muscoli sono sollecitati dall'esercizio fisico, la loro risposta tende ad aumentare la capacità di compiere lavoro riducendo l'affaticamento. Questa viene definita risposta all'allenamento. Alcune componenti anatomiche danno migliori performance in tempi più brevi di altre: le risposte più lente sono quelle degli apparati cardiovascolare e scheletrico. Nei muscoli sottoposti ad un lavoro frequente e prolungato, oltre all'aumento della massa muscolare, si verifica un aumento costante del numero dei capillari per unità di superficie. Dopo diversi mesi, per esempio, il numero di capillari aumenta di oltre il cento per cento. Come aumenta la vascolarizzazione capillare, altretanto aumenta, con il tempo, la massa del cuore, così come il diametro dell'aorta e dei vasi maggiori, con un rimodellamento strutturale globale. Anche le ossa con le sue trabecolature si devono ristrutturare per far fronte alle nuove sollecitazioni, i legamenti ed i tendini diventano più spessi, più tesi e più resistenti. Nelle componenti a più lenta risposta, il miglioramento si verifica nell'arco di due/sei mesi, proseguendo, in maniera più ridotta, per periodi anche più lunghi. Anche il muscolo potrebbe essere considerato come un componente a lenta risposta, ma l'allenamento a cui si sottopongo i cani da caccia mette in evidenza che esso ha una risposta iniziale molto più rapida di quella degli apparati scheletrico e cardiovascolare. Quando un cane viene sottoposto ad allenamento pre-attività venatoria, sono necessari turni di lavoro graduale affinchè si sviluppino le componenti strutturali a risposta lenta. Nel caso contrario, la forza dei muscoli ed i sistemi enzimatici superano la curva di sviluppo causando danni alle ossa ed ai legamenti che non hanno avuto il tempo di rinforzarsi. Trascorso un periodo di crescente allenamento, il cane avrà la capacità e la forza strutturale ma i suoi muscoli avranno perso molto della resistenza alla fatica. La rapidità della risposta del muscolo, tuttavia, permetterà al cane di ritornare in un breve tempo al livello di allenamento che aveva alla fine della stagione venatoria precedente. Durante il tempo che intercorre tra due stagioni venatorie, trattandosi di sette mesi circa, ci sarà una caduta significativa ma non totale della capacità muscolare e dell'apparato scheletrico ed il ritorno all'apice della forma richiederà due/tre mesi (dopo aver sostenuto periodi di lavoro graduale per evitare lesioni). L'allenamento dovrebbe iniziare fin da cucciolo, appena il cane è in grado di camminare. Quanto più esercizio fisico farà da giovane, tanto più si svilupperà il suo sistema muscolare e di trasporto dell'ossigeno. Gli animali giovani danno una risposta più rapida rispetto a quelli adulti ed il proprietario coscienzioso si deve dar da fare per spingerli a correre e fargli fare camminate. L'età consueta per iniziare il periodo di allenamento fisico è di sei mesi (camminare a guinzaglio per qualche chilometro). L'andatura al passo è il punto di partenza universale per la preparazione del cane; quando i muscoli, le ossa e i legamenti sono pronti, vanno applicati ritmi più veloci di lavoro. La velocità dell'andatura, come la percorrenza, si aumenterà gradualmente. Gli incrementi nel carico di lavoro possono essere limitati se giornalieri, più consistenti se settimanali o quindicinali. L'allenamento dovrebbe durare quanto più a lungo possibile alle basse velocità (per migliorare il sistema di trasporto dell'ossigeno), il meno possibile alle alte velocità che sono molto stressanti al fine di raggiungere l'effetto dell'allenamento vero e proprio. L'allenamento può essere suddiviso in intervalli di lavoro e di recupero (pausa) nel corso di un turno. Lo scopo è quello di potenziare la velocità e la resistenza senza raggiungere livelli sfavorevoli di acidificazione lattica. Per frequenza degli allenamenti si intende il numero di turni di allenamento per settimana perché, per ottenere dall'allenamento i risultati desiderati, la frequenza minima deve essere superiore ad una uscita settimanale; altrimenti gli effetti sono inutili, se non negativi o comunque si esauriscono prima del turno successivo. Maggiore è la frequenza, migliori sono i risultati purché non si verifichi un affaticamento fisico o mentale. La frequenza minima per ottenere effetti positivi nel lavoro aerobico è di tre turni a settimana. La frequenza del lavoro anaerobico viene stabilita in base al tempo di recupero dell'animale. L'intensità degli allenamenti andrebbe poi ridotta in modo da portare il cane ad un recupero totale (vivacità e vigore) ad ogni momento in cui il cacciatore programmi una uscita venatoria. Come già detto precedentemente nell'attivazione mentale, apporre variazioni all'allenamento di routine (con continue novità) conserva l'entusiasmo nella cerca sostenuta anche in soggetti oramai provetti cacciatori in quanto i galoppatori inglesi adulti vanno allenati alla massima velocità: muoverli al trotto usando la bicicletta, comporta un adattamento morfo-funzionale muscolare a tale andatura. Un bel trotto composto si nota nei Setter Inglese da esposizione. Tali soggetti, con l'allenamento, modificano i tempi e la lunghezza del passo riducendo il dispendio energetico generato dal saliscendi al garrese (e dal tronco) e dal rollio del tronco. Un vero galoppatore mosso al trotto deve “rollare” e far sobbalzare morbidamente il tronco ad ogni appoggio, cioè deve far notare all'osservatore che non è costruito per tale andatura. Il trotto non è l'adatura più idonea per valutare in “expo” il Setter Inglese da lavoro, ma serve solo ad evidenziare anomalie nella simmetria del movimento. Porre sempre molta attenzione all'eccessiva attività: un super allenamento determina spesso anoressia, depressione, diarrea ed un certo grado di disidratazione. 3.3.3.3) L'apparato visivo Disegno 34: sezione di occhio. L’occhio è uno strumento ottico che, tramite la rifrazione (proprietà fisica per la quale un raggio luminoso viene deviato quando passa da un mezzo ad un altro di differente densità), è in grado di mettere a fuoco i raggi luminosi sulla retina. L’occhio di un cane normodotato è definito emmetrope. Nei casi in cui i raggi luminosi, per diversi motivi, non vengono focalizzati sulla retina, vi è un vizio od errore di rifrazione. L’errore di rifrazione più comunemente riscontrabile nel cane è la miopia. La miopia, inoltre, si riscontra nel cane anziano in quanto è associata alla nucleosclerosi della lente, ovvero alla perdita di elasticità del cristallino. L’occhio può essere paragonato ad una macchina fotografica dove le lenti sono rappresentate dai mezzi diottrici cornea e lente, il diaframma è l’iride e la pellicola è la retina. Disegno 35: strati componenti la retina. Il cristallino, secondo mezzo diottrico per importanza dopo la cornea, è una lente avvolta da una capsula (posta fra iride e corpo vitreo) in cui è possibile distinguere una faccia anteriore e una posteriore, due poli ed un equatore. I poli rappresentano il centro delle facce e la linea circonferenziale (posta tra la faccia anteriore e posteriore) sulla quale si fissano le fibre della zonula è detta equatore della lente. Il cristallino è sospeso dalla zonula di Zinn che risulta costituita da sottili fibre che si estendono dai corpi ciliari all’equatore della lente per trecentosessanta gradi sesaggesimali. Il cristallino svolge due importantissime funzioni: la prima è quella di focalizzare i raggi luminosi sulla retina attraverso il meccanismo dell’accomodazione, la seconda è quella di proteggere la retina dai dannosi raggi ultravioletti. L’accomodazione è determinata dalle contrazioni del muscolo ciliare. La contrazione di tale muscolo determina il rilasciamento della zonula del cristallino, che a sua volta consente alla capsula lenticolare di contrarsi e rendere il cristallino più sferico. L’aumento della curvatura causa un maggior potere rifrattivo, pertanto i raggi divergenti originati da oggetti vicini vengono focalizzati sulla retina. Il cane, rispetto all’uomo, presenta una scarsa accomodazione in quanto il muscolo ciliare risulta meno sviluppato e pertanto ha una maggiore difficolta di messa a fuoco da vicino. La dimensione e la curvatura della cornea compensa in parte questo problema. La retina è una complessa struttura fotosensoriale multistratificata che delimita il segmento posteriore dell’occhio ed è collegata al cervello attraverso il nervo ottico. Raggiunge la sua maturità morfologia all’età di sei/sette settimane. La retina è costituita da una parte neurale, formata da dieci strati e dall’epitelio pigmentato. I fotorecettori, bastoncelli e coni, costituiscono lo strato più esterno della retina neurale. Nei fotorecettori si realizza il primo evento del processo visivo: la conversione del segnale luminoso in segnale elettrico neurale. Il segnale, attraverso lo strato delle cellule bipolari, arriva alle cellule ganglionari (rappresentanti gli elementi di uscita della retina) prendendo poi la via delle fibre del nervo ottico che, arrivato all'area cerebrale destinata, forma i segnali visivi. I bastoncelli sono molto sensibili alla luce e pertanto risultano importantissimi per la visione crepuscolare (visione scotopica). I coni, a differenza dei bastoncelli, sono poco sensibili alla luce e determinano la visione fotopica (la loro funzione principale è quella della differenziazione dei dettagli e dei colori). I bastoncelli sono più numerosi dei coni che rappresentono solo il cinque per cento del totale dei recettori. Nella retina del cane non vi è nessuna parte libera da bastoncelli. I fotorecettori si appoggiano sull’epitelio pigmentato della retina che è a stretto contatto con la coroide (seconda tunica dell’occhio). Le cellule che costituiscono l’epitelio pigmentato svolgono alcune funzioni metaboliche importantissime per la funzione dei fotorecettori. Infatti, risintetizzano i pigmenti visivi e fagocitano l’estremità del segmento esterno dei fotorecettori, facilitandone il ricambio. L’epitelio pigmentato (ricco di melanina) serve anche a schermare la parte interna dell’occhio limitando cosi la diffrazione della luce. Disegno 36: i dieci strati della retina. Una struttura cellulare extraretinica importante per la visione notturna del cane è il tappeto lucido. E’ di forma triangolare a base orizzontale, è assente nei soggetti albini e nei neonati si sviluppa con l'accrescimento. Nel cane consta di nove/venti strati di cellule altamente organizzate al cui interno vi sono cristalli ad alto contenuto di Zinco, Cisteina e Riboflavina. La funzione del tappeto lucido è quella di amplificare la luce, pertanto risulta indispensabile nelle condizioni di scarsa luminosità. Proprio per questa caratteristica il cane è in grado di vedere meglio dell'uomo nella notte. La luce che arriva sulla retina è assorbita dai pigmenti visivi e trasformata così in una risposta elettrofisiologica (fototrasduzione). Tale risposta viene inviata attraverso le vie ottiche alla corteccia visiva del Sistema Nervoso Centrale. La retina del cane raggiunge la sua maturità morfologia all’età di sei/sette settimane. Disegno 37: schema di occhio in sezione, visto da sopra. La sezione passa per l’asse anteroposteriore dell’organo e per il punto cieco. Il cristallino è stato disegnato a strati concentrici, come una cipolla, poiché questa è la sua struttura, ma in realtà il tutto è assai trasparente. Il cane vede benissimo tutto ciò che si muove anche a distanze per noi enormi ed inoltre vede in modo quasi doppio rispetto all’uomo in condizioni di scarsa luminosità. Il suo campo visivo è abbastanza ampio, ma mette a fuoco con più difficoltà a distanza ravvicinata. Distingue poco i colori, fatto salvo le gradazioni di blu sino al viola e discerne abbastanza anche le gradazioni di verde. Per il cane, probabilmente il rosso è un giallo molto scuro. L’occhio del cane si è quindi evoluto verso una visione crepuscolare e notturna. I cani sono infatti dotati di una ampia cornea, di una pupilla grande e, come detto, possiedono il tappeto lucido. Queste caratteristiche limitano però il potere di discriminare i particolari. L'occhio del cane presenta una migliore percezione degli oggetti in movimento rispetto a quelli fermi e la percezione binoculare della profondità o visione stereoscopia (fusione in una unica immagine della visione di ciascun occhio) varia da razza a razza e risulta essere maggiore negli animali che hanno occhi in posizione frontale e con stop poco marcato. Il campo di visione è l’insieme dei punti dello spazio che un occhio immobile può abbracciare ed è caratteristico di ogni razza. Nel cane è molto più ampio che nell’uomo. In un Setter Inglese l’ampiezza è veramente notevole e può andare ben oltre ai duecento gradi sessagesimali. In questo caso il Setter Inglese può vedere, in parte, anche che cosa avviene alle sue spalle. Lo svantaggio di tale situazione sta nella ridotta visione stereoscopica, cioè nella capacità di percepire il senso di profondità. Riguardo a quest’ultima, occorre ricordare che nella visione binoculare non sono visti singoli solo gli oggetti situati sull’oroptero (22), ma anche altri che sono visti in vicinanza dello stesso. In questo senso si può dire che, ad un punto X su una retina, non corrisponde un altro solo punto X sulla retina controlaterale, ma una piccola area, la cui proiezione nello spazio viene chiamata area di Panum. Essa appare sempre più piccola nella zona del punto di fissazione e più ampia mano a mano che andiamo verso la periferia. Da ciò deriva che di un oggetto posto nello spazio, l’occhio destro vede più dettagliatamente la parte destra e viceversa l’occhio sinistro. Le immagini retiniche, quindi, sono lievemente dissimili e cadono su aree retiniche non perfettamente corrispondenti. La fusione (2), per quanto detto sull’area di Panum, agisce allo stesso modo, conferendo però all’oggetto un’impressione di solidità e profondità. La visione stereoscopica risulta determinata dalla disparità con cui vengono visti gli oggetti compresi dentro l’area di Panum. Nei cani a muso lungo, dato che trattiamo di cani da ferma inglesi, il campo di visione dell’occhio destro e di quello sinistro si sovrappongono solo per uno spazio ristretto e quindi l’area della visione stereoscopica è molto ristretta. La situazione migliora nei cani con gli occhi posti in posizione ancora più frontale di tali razze. In questo caso l’area della visione stereoscopica aumenta e diminuisce l’ampiezza del campo di visione. A seconda della lunghezza del muso, esiste una zona (davanti al naso) in cui l’animale non vede affatto perché situata nei cosiddetti angoli morti coperti dal muso. +O Disegno 38: dimostrazione del punto cieco. Si fissi bene, senza muovere l’occhio e con il capo ben fermo, la crocetta della figura con l’occhio destro; l’occhio deve stare ad almeno 30 cm dal foglio; l’occhio sinistro deve essere chiuso. Se ora si avvicina lentamente il capo al foglio, verrà un momento in cui il cerchietto nero a destra scomparirà: la sua immagine è caduta sul punto cieco. Avvicinandosi ancora, il cerchietto tornerà visibile. Fissare sempre la crocetta. Nel cane, in definitiva, è la lunghezza del muso che determina l'ampiezza del campo di visione, la visione stereoscopica e la zona morta ove la visione è praticamente assente. Disegno 39: paragone cromatico tra la visione dei colori nel cane e nell'uomo. Diversi Autori hanno studiato la visione dei colori nel cane ma i risultati sono spesso stati in conflitto fra di loro. Si può affermare, comunque, che il cane vede i colori ma non allo stesso modo dell’uomo. Presumibilmente lo spettro visibile dal cane varia dal viola al blu-viola ed al giallo. I cani non possiedono i coni di tipo verde (come l'uomo) e pertanto sono incapaci di distinguere alcune tonalità dal verde al rosso. Per stabilire quali colori vede il cane si sono utilizzate due tecniche, una basata sullo studio del comportamento ed una elettrofisiologica. Il primo metodo consiste nel condizionamento dell’animale ad associare la ricerca o l’attesa di cibo con la stimolazione di luci monocromatiche (modificandone durata ed intensità). Il secondo metodo è rappresentato dall’elettroretinografia. Con quest’ultima metodica si sottopone la retina a luce artificiale di varia intensità che determinerà rapide variazioni del potenziale delle cellule che costituiscono la retina: questi cambiamenti, opportunamente acquisiti, costituiscono l’elettroretinogramma. In altre parole, la luce (fotoni) che colpisce la retina è assorbita dai fotorecettori che sviluppano una risposta elettrofisiologica definita fototrasduzione. Questo determina eccitazione ed inibizione delle cellule neurali che costituiscono la retina. Le registrazioni di queste variazioni di potenziali di membrana nel tempo costituiscono l'elettroretinogramma. Riassumendo, il cane, generalmente, avendo gli occhi posti in una posizione più laterale dell'uomo, ha un campo visivo più ampio di circa settanta gradi rispetto al nostro, ed una visione binoculare di venti gradi più limitata. Questo fornisce loro un campo visivo più ampio, ma una minore possibilità di focalizzare gli oggetti posti lateralmente. Il cane, quindi, ha la possibilità di percepire oggetti o persone poste anche lateralmente, ma è obbligato a voltare molto sovente la testa per poter ben focalizzare. Inoltre, rispetto all’occhio umano, i cani hanno una quantità maggiore di bastoncelli (mediatori delle sensazioni luminose), mentre mostrano una minore quantità di coni (mediatori delle sensazioni del colore). Di qui potremo ben capire la difficoltà del cane nel riconoscere da lontano persone o cose, non distinguendo bene i contorni e come invece percepisca in modo pronto il ben che minimo movimento. I cacciatori sanno che se ci si nasconde dietro un albero con parte del corpo visibile, molto probabilmente si vedrà il cucciolone passare innanzi senza neanche notarci. Ma non appena si accennerà ad un piccolo movimento, ci scoverà prontamente, anche se sembrerà guardare in altro luogo. Per quello che riguarda il collegamento, inteso come visione del conduttore da parte del cane in caccia, consigliamo agli handlers di sostituire i vistosi gilets con movimenti o gesti nell'istante in cui il proprio cane volge lo sguardo a cercare accondiscendenza dell'operato. I gilets dai colori accesi e che si vedono indosare da taluni, non sono un vantaggio per la visione del cane, ma si limitano a tocco folkloristico delle prove di lavoro. Il movimento rimane sempre il miglior metodo per farsi notare dal proprio ausiliare. 3.3.3.4) L'apparato olfattivo Dire che il cane vive con il naso e per il naso, non è certo una affermazione molto distante dalla realtà. Infatti, tutto il cane è praticamente costruito in modo da sfruttare al massimo questo senso. Perfino il suo cervello si è evoluto in modo da elaborare e decodificare perfettamente gli stimoli recepiti. Basti pensare alla mucosa pituitaria che presenta una superficie di circa centosesanta centimetri quadrati con uno spessore di zero virgola uno millimetri, contro appena i cinque cemtimetri quadrati dell’uomo con uno spessore di sessanta micron. L’olfatto, nei canidi, è il primo senso a svilupparsi. Uno studio su cucciolata di lupi Appenninici ha confermato che i piccoli presentavano spiccate doti olfattive fin dal secondo giorno di vita. «Grazie ad un intervento di parto cesareo, la lupa madre aveva dato alla luce tre lupacchiotti. I piccoli non sembravano sapersi orientare verso le mammelle penetrate ancora dal forte odore della tintura di Iodio. Pulito l’addome della madre e cosparso di abbondante crema di latte, i cuccioli cambiarono nettamente atteggiamento dirigendosi senza esitazione verso il seno materno». Il veterinario che ha operato la lupa ha intuito che è l'olfatto a guidare i cuccioli fin dall'età più tenera. Disegno 40: comparazione delle dimensioni dei bulbi e dei tratti olfattivi nel cane e nell'uomo. È veramente esaltante osservare gli atteggiamenti di un cane mentre cerca la selvaggina. Ma di fatto cosa sente? Ogni ambiente, boschi, prati erbosi, terreni arati ecc, hanno un proprio odore di fondo uniforme, più o meno stabile ed omogeneo. Il passaggio di un uomo o di un animale rompe tale equilibrio provocando una alterazione in tale uniformità. Per di più, in tale traccia olfattiva possono essere rilasciate delle particelle di odore (le penne della preda che struscia contro l’erba, la gomma delle suole degli stivali dell'handler, piccole particelle di cute perse che si depositano sul terreno). Quindi, tali variazioni o tracce odorose possono essere memorizzate dal cane e seguite di conseguenza. È evidente come condizioni climatiche, fisiche, geologiche, chimiche, ecc, possano esaltare, affievolire o coprire tali tracce. Esperti di questo sono i cinofili che notoriamente sanno come una brusca variazione di umidità o di calore del suolo possa rendere particolarmente difficoltosa la ricerca della selvaggina da parte dei loro cani e che per addestrare un giovane soggetto alla cerca ed alla ferma, non bisogna attraversare il campo addestramento per porvi una quaglia, ma basta liberarla dalla mano nella direzione giusta perché questa si posi cento metri più in là. Al contrario il cucciolone imparerà a seguire l'odore degli stivali per reperire la “allevaggina” seminata. 3.3.3.4.1) L'olfatto ed il fiuto L’olfatto è la capacità di saper intercettare e discernere l'emanazioni odorose disperse nell’aria. Per fiuto si intende la capacità di saper intercettare e discernere le emanazioni odorose provenienti da terra, con un modello di respirazione regolare e strutturato in una serie di una/tre annusate accompagnata da una serie di tre/sette sniffate. Il comportamento di fiuto è controllato dagli organi settali nasali. Il cane esercita l’olfatto inalando grandi masse d’aria e per questo sono adatti cani a teleolfatto (ricerca nel cono d'odore). Emblematico per questa attitudine sono il Setter Inglese ed il Pointer Inglese che, dovendo intercettare un volatile, annusano le impronte olfattive nell’aria inspirando a fondo a favore di vento, favoriti in questo dagli assi craniofacciali paralleli o convergenti, dal buon sviluppo dei seni frontali e dall'ampio torace. Intercettando le tracce, si addentrano nel cono d’odore (sempre più intenso) per giungere alla sua origine e fermare. Foto 17: Segugio Italiano. Si notino gli assi cranio-facciali divergenti. Foto 18: Setter Inglese. Si notino gli assi cranio-facciali paralleli. Il fiuto viene effettuato inalando piccole masse d’aria provenienti da terra e per questo sono adatti cani a megaolfatto. Tipici per questa attitudine sono i segugi, che dovendo intercettare un selvatico che vive a terra, camminano con circospezione esaminando le tracce odorose al suolo. Le inalazioni sono più frequenti e meno ampie e pertanto i seni facciali non sono molto sviluppati. In queste razze, gli assi craniofrontali sono divergenti e danno un’inclinazione al naso verso terra (anche se per essere dotati di megaolfatto non è assolutamente obbligatoria tale conformazione). I cani a teleolfatto intercettano nell’aria le particelle odorose come se usassero un telescopio; i cani a megaolfatto scrutano a terra le particelle odorose come se usassero un microscopio. 3.3.3.4.1.1) L'olfatto L'olfatto è un senso chimico percepito dalla mucosa olfattoria, cioè quella parte interna del naso che presenta alcune cellule specializzate e sensibili alle sostanze chimiche. Sono proprio le cellule a trasformare queste sostanze chimiche in sensazione odorosa. Come in tutte le sensazioni, quello che viene percepito dal cane è una forma di energia, in questo caso chimica (nel caso della vista si tratta invece di energia luminosa). Di volta in volta le diverse forme di energia sono trasformate in segnali elettrici che arrivano al cervello (nella zona della corteccia cerebrale) che elabora il segnale e permette di riconoscere gli odori. L'aria che veicola le molecole odorose entra attraverso le narici in una cavità che nel cane è di notevoli dimensioni, passa attraverso i turbinati e tutta la zona coperta dalla mucosa sensibile che porta le cellule ai sensori. Nella mucosa olfattiva ci sono cellule di sostegno e neuroni (celule nervose) che vanno a pescare in uno strato cigliato ricoperto di muco. Dalla parte opposta dei neuroni partono gli assoni che costituiscono il nervo che conduce l'impulso al cervello. Rispetto ad altri organi, i sensori olfattivi immettono direttamente nei punti olfattivi (che non sono altro che l'estroflessione del cervello). Nell'encefalo del cane, i bulbi olfattivi sono situati nella parte ventrale. Gli stimoli odorosi, quindi, vengono elaborati immediatamente dal cervello prima ancora di venire codificati razionalmente. La mucosa olfattiva è collegata a quelle aree cerebrali che archiviano le emozioni, perciò gli odori richiamano spesso reazioni di piacere o disgusto legate all'inconscio. In pratica, prima che la parte razionale possa ricordare quell'odore, l'inconscio risponde rievocando la sensazione registrata nella memoria. Ricordando un concetto precedentemente affrontato e riguardante l'addestramento, ecco spiegato il perchè il cane da caccia, quando punito al momento della ferma, eviti, ignori o si sottragga dalle emanazioni della selvaggina nel proseguo dell'addestramento. Questa comunicazione subliminale è molto rapida ed efficace nei soggetti dalla ferma precoce, ma poco conciliabile con le metodiche di addestramento sbrigative. I cani, come molti animali, hanno la capacità di fiutare i feromoni, veri e propri segnali. Si tratta di sostanze organiche, volatili e secrete da ghiandole capaci di modificare la fisiologia e i comportamenti degli individui della stessa specie. Il cane produce feromoni alla base dei padiglioni auricolari, sul muso (a metà strada tra l’angolo della bocca e l’angolo nasale dell’occhio), nelle ghiandole perianali ed in corrispondenza dei cuscinetti plantari. Urina e feci, insieme ad altre secrezioni, sono i veicoli dei feromoni, con cui le informazioni in ambito sessuale, territoriale, gerarchico ed emozionale pervengono agli altri cani. Ogni volta che un cane maschio caccia in un luogo nuovo, lo esplora olfattivamente fino a tre volte di più rispetto a luoghi che ha già esplorato recentemente ed orina per marcarlo fino a cinque volte di più rispetto al giorno successivo. Questo fatto è conciliabile e rafforza una teoria già espressa per quanto concerne la concessione di allenare i cani il giorno precedente le prove, sugli stessi campi ove si svolgeranno. Tanto più il terreno sarà “marcato”, tanto più i quadrupedi concorrenti (che ivi non si sono allenati) saranno distolti dalla ricerca della selvaggina o, se soggetti non dominanti, intimoriti di essersi introdotti in un territorio di caccia a loro non appartenente. I cani sono dotati di una struttura specializzata nella ricezione di questi segnali chimici (l'organo vomeronasale) situato ai lati del setto nasale, sotto la mucosa olfattiva (detto organo di Jacobson). L’organo di Jacobson è l’organo responsabile del paraolfatto. Il paraolfatto è un tipo di senso diverso dall’olfatto perché non genera sensazioni consapevoli, ma è piuttosto una sorta di sesto senso primordiale che permette di rilevare i feromoni. I cani non possono consapevolmente riconoscere queste sostanze, lo fanno solo inconsciamente. Le capacità olfattive risiedono invece nella conformazione anatomica della mucosa nasale, l'organo preposto ad accogliere le sensazioni odorose. Alcuni cani hanno una notevole capacità olfattiva, altri più ridotta, ma senza dubbio l'apparato olfattivo di tutti questi è molto più sviluppato e ricco di circonvoluzioni rispetto a quello del proprio conduttore. Per dare un'idea quantitativa, la mucosa olfattiva dell'uomo ha una superficie totale di circa due/quattro centimetri quadrati, quella di un cane varia da venti a centocinquanta centimetri quadrati. Ma non è solo una questione di grandezza. Fino a poco tempo fa si pensava che questa fosse l'unica vera ragione della potenza dell'olfatto canino, in realtà dipende anche dal numero di cellule recettive che insistono sull'unità di superficie. E nei cani siamo intorno ad ordini di grandezza eccezionalmente diversi a parità di razza e lunghezza della canna nasale. Anche il Solaro, grande maestro della cinofilia italiana, trattò dell'olfatto dei cani da ferma. «L'olfatto sopraffino si riscopre in quei soggetti che hanno seni frontali grandi accompagnati da ampie e lunghe orecchie che convogliano, come due ventagli, le particelle odorose verso il tartufo». Viene quindi sfatata un'altra diceria popolare che circola tra gli handlers e che insiste nel concedere capacità olfattive superiori solo a quei cani dotati di canna nasale più lunga della media e di orecchie dal padiglione molto sviluppato. Dato che siamo in argomento, un'altra diceria circolante sugli odori nel mondo della cinofilia e della caccia è quella che il cane metterebbe in atto strusciandosi sulla selvaggina morta, sulle carogne o su rimasugli fecali, per poter prendere alla sprovvista le possibili prede senza annunciare, con il proprio odore, la sua presenza. Rispediamo questa teoria immediatamente al mittente ricordando ai lettori che è un'altra la motivazione che spingerebbe il cane da caccia nella sua naturale tendenza. Questa azione viene spesso messa in atto da parte di lupi inseriti in basso nella scala gerarchica, nel tentativo di portare tali odori con sé e risultare, quindi, particolarmente interessanti al momento del rientro nel branco. C’è forse anche la possibilità che le informazioni olfattive che ogni singolo riporta al gruppo esplorando il territorio circostante servano, di fatto, per elaborare strategie finalizzate al successo predatorio e difensivo della collettività. Probabilmente, ad oggi, nel cane da caccia queste motivazioni sono ormai lontane, si sono attutite e prescindendo dalla posizione gerarchica si attuano solo come retaggio comportamentale atavico. Circa poi il fatto che i cani percepiscano l’odore della “tensione” del conduttore, è in effetti uno dei pochi luoghi comuni per una volta corretto. La secrezione di adrenalina da parte dell’uomo che si trova in condizioni di stress, è per il cane facilmente percepibile così come probabilmente gli è facile rilevare altre percezioni odorose legate all’incremento di questo ormone (aumento della sudorazione, ecc). Il cane normalmente legge la mimica corporea del suo handler e quindi l’odore emesso in un particolare stato emozionale riveste, alla fine, il ruolo di semplice associazione che rinforza tale percezione. 3.3.3.4.1.1.1) La soglia dell'olfatto Un problema di non agevole soluzione è la misura della soglia dell’olfatto intesa come “concentrazione minima della sostanza nel vettore aereo capace di procurare una percezione olfattiva”. Quando la mucosa olfattiva viene stimolata da un flusso di aria che trasporta molecole osmicamente attive, si registra un potenziale d’azione (stimolo odoroso). Si tratta di un potenziale la cui intensità è, in prima approssimazione, proporzionale alla concentrazione delle molecole odorose. Secondo Ottoson, «le molecole osmicamente attive, interagendo con le ciglia, ne varierebbero le permeabilità di membrana, generando una corrente diretta, a livello delle ciglia, dall’esterno verso l’interno e che uscirebbe, a livello del segmento iniziale dell’assone, con direzione interno-esterno». Questa zona sarebbe quindi responsabile della generazione del potenziale d’azione. Ciascuna molecola odorosa si discioglie nel secreto che bagna la mucosa olfattoria permettendo in questo modo la stimolazione delle cellule neuroepiteliali. Pertanto si instaura un legame fra la molecola osmicamente attiva ed il sito recettore della cellula, provocando una modificazione conformazionale della molecola proteica che funge da recettore. Questo evento conduce all’attivazione dell’adenilatociclasi che induce la trasformazione dell’adenosintrifosfato in adenosinmonofosfato ciclico. Quest’ultimo si lega ad un canale cationico (il Na+ penetra e il K+ fuoriesce) in grado di generare il segnale che viene trasmesso per via nervosa. Disegno 41: trasduzione del segnale nelle cellule olfattive. Tuttavia, si ritiene che occorra l’eccitamento di un determinato numero minimo di cellule sensoriali per raggiungere la stimolazione soglia del rinencefalo. I valori di soglia olfattoria accertati da Neuhaus (quantità minima di sostanza odorosa per centimetro cubo di aria ancora percepita dal cane) sono, ad esempio, per l’acido butirrico 1,3x10-18 grammi, per l’acido acetico 5x10-17 grammi; cioè a dire che il cane percepisce l’acido butirrico ad una concentrazione inferiore di un milione di volte rispetto a quella che percepisce l’uomo e l’acido acetico ad una concentrazione inferiore di un centomilionesimo di volte. Sembra che non esistano recettori altamente specifici per un odore singolo: ciascun recettore olfattivo risponde ad un’ampia gamma di stimoli. L’identificazione dell’odore potrebbe provenire dal fatto che una certa popolazione di neuroni risponda simultaneamente a quel particolare odore. Poiché tali neuroni sembrano localizzarsi in precise aree della mucosa, è possibile che il riconoscimento degli odori abbia per base una informazione di tipo topologico. Si noti tuttavia che l’indipendenza dei sistemi glomerulari (i neuriti di venticinquemila cellule sensoriali primarie olfattorie provenienti da un’area limitata della mucosa convergono tutti in un glomerulo del bulbo olfattivo formando sinapsi con ventiquatro cellule mitrali) è lungi dall’essere assoluta. Infatti esistono connessioni responsabili dell’adattamento puro e semplice (attenuazione progressiva della percezione di un odore quando questo ha azione protratta), dell’adattamento incrociato (attenuazione o annullamento della percezione olfattiva di una sostanza odorosa a seguito dell’azione protratta sulla mucosa olfattiva di un odore diverso) e dell’annullamento dell’odore, per cui la percezione di un particolare odore può condurre all’annullamento completo della sensibilità nei riguardi di un secondo odore coesistente con il primo. Sovente il cane da caccia è in grado di rispondere a quantità minime di molecole osmicamente attive. Questo effetto di amplificazione del segnale può essere interpretato, secondo Snyder, nel senso che le molecole che pervengono alla mucosa olfattoria, tramite le cavità nasali, verrebbero legate ad una molecola proteica detta “proteina che lega le sostanze odorose” e quindi trasportate a livello dei recettori con un effetto finale di concentrazione. 3.3.3.4.2) La Rino-anatomia Le cavità nasali raggiungono la loro massima complessità nei mammiferi; ciò conduce al risultato di introdurre nell'apparato polmonare aria efficacemente filtrata, a temperatura sufficientemente elevata e pressoché satura di vapore acqueo. La parte rostrale della cavità nasale (o vestibolo del naso) è rivestita da cute modificata. Nella parte principale o cavità nasale sporgono i cornetti (o conche nasali), mentre la parte caudodorsale della cavità nasale (o fondo delle cavità nasali) è occupata dalle volute (o conche etmoidali), che sporgono molto nella cavità nasale e si addentrano anche nel seno frontale. I turbinati dell’etmoide formano una massa quasi spugnosa dotata di un’enorme superficie e di una ridotta canalizzazione per l’aria che li attraversa. Caudoventralmente due ampie aperture, le coane, mettono in comunicazione la cavità nasale con la parte nasale della faringe. La sporgenza delle conche determina, in cavità, la presenza di tre meati: -- Il meato nasale dorsale (od olfattivo): stretto passaggio tra la volta della cavità nasale e la conca dorsale, il quale conduce nella regione olfattoria. -- Il meato nasale medio (o sinusale): compreso tra la conca dorsale e la conca ventrale, termina anch’esso nel fondo della cavità nasale (è molto ramificato) ed è costituito da numerose lamelle secondarie che formano spirali. -- Il meato nasale ventrale (o respiratorio): è il più spazioso. È situato tra il cornetto ventrale e il pavimento della cavità nasale e caudalmente si continua, attraverso le coane, nel rinofaringe. Per questo meato passa la maggior parte dell’aria inspirata. Per meato nasale comune si intende lo stretto spazio compreso tra il setto nasale e le conche nasali, localizzato in sede paramediana. Disegno 42: mucosa olfattoria. Nel cane si rinviene inoltre un altro apparato accessorio che è il sistema vomeronasale di Jacobson. Questo organo si trova da ciascun lato sotto la mucosa del pavimento della cavità nasale, proprio vicino al setto, ed è rivestito da mucosa olfattoria. Nel suo lume si trova un liquido sieroso che viene prodotto soprattutto dalle ghiandole olfattorie della sua mucosa. Disegno 44: recettori olfattivi. Cellule nervose bipolari. I dendriti reggono le ciglia olfattive (dieci/venti) e contengono gli elementi recettoriali veri e propri, gli assoni costituiscono le fibre nervose olfattorie che raggiungono il bulbo olfattivo dove sinaptano con le cellule mitrali (una cellula mitrale x mille assoni). Disegno 43: il passaggio di aria attraverso le cavità nasali. a) Durante la respirazione lenta l’aria passa attraverso e sotto lo scambiatore di calore ed è solo leggermente in contatto con la mucosa olfattoria. b) Durante l’annusamento l’aria scorre sopra lo scambiatore di calore raggiungendo la mucosa olfattoria prima diuscire dal nasofaringe. Inoltre quando annusa il cane porta anche ad un moto turbolento della aria che aumenta il contatto tra l’aria el’epitelio olfattorio. Il sistema vomeronasale di Jacobson è innervato da fibre sensitive del nervo vomeronasale che decorre lungo la base del setto nasale, passa la lamina cribrosa dell’etmoide e si unisce al tratto olfattorio. Nel cane ha il ruolo di organo che serve ad odorare l’alimento quando si trova nella cavità orale e svolge l’azione di organo di fiuto. È inoltre in grado di identificare le grosse molecole non volatili dei feromoni (che normalmente non riescono a raggiungere i recettori del sistema olfattivo principale) per mezzo di una caratteristica smorfia facciale che si osserva nel maschio prima dell’accoppiamento (detta Flehmen). Le specie macrosmatiche come il cane, grazie alla presenza di cornetti molto ramificati e di una mucosa olfattiva presente nei tre meati (e anche nei seni paranasali), posseggono una elevatissima sensibilità di tipo olfattivo. Mentre la parte principale della cavità nasale ed il setto sono rivestiti da mucosa respiratoria (con epitelio cilindrico ciliato con cellule caliciformi e provvista di ghiandole in prevalenza sierose), nel fondo delle cavità nasali si trova la mucosa olfattoria, per cui questa parte viene anche chiamata regione olfattoria. I recettori olfattivi sono situati nella mucosa olfattiva (detta anche di Schultze) che tappezza la regione postero superiore delle cavità nasali. La mucosa olfattiva è facilmente distinguibile da quella respiratoria (detta anche mucosa di Schneider) per il suo colore, per l’assenza di cilia in movimento ritmico e, infine, per la presenza delle ghiandole di Bowman. La mucosa olfattiva è costituita da cellule sensoriali olfattive, da cellule basali e di sostegno. È ricoperta da un sottile strato di muco. La cellula recettrice vera e propria è un tipico neurone bipolare primario (chiamata anche cellula olfattoria). La regione distale (o apicale) si allarga in una vescicola da cui si sfioccano, inglobate nello strato di muco, alcune centinaia di ciglia, dotate di una struttura tipica (nove più due filamenti). Nel cane il numero di cellule sensoriali tocca la cifra di duecentoventicinque milioni. Dall’estremo prossimale (basale) della cellula recettrice emerge una fibra nervosa amielinica assai sottile; centinaia di assoni di questo tipo, avvolti da una guaina di Schwann, si raccolgono in fascetti prendendo il nome di fila olfattoria. L’insieme delle fila olfattorie costituisce il nervo olfattivo (primo nervo encefalico). Queste attraversano la lamina cribrosa dell’etmoide e terminano nel bulbo olfattivo, ove contraggono un rapporto sinaptico con i dendriti delle cellule mitrali (neuroni secondari): i cosiddetti glomeruli olfattivi. I neuriti delle cellule mitrali, mille volte meno numerosi delle fibre olfattive primarie, decorrono nel tratto olfattorio e si dirigono verso il tubercolo olfattorio, la corteccia prepiriforme e l’area periamigdaloidea. Queste due ultime aree rappresentano I neuroni terziari. Accanto a questi ci sono le cellule polimorfe, che entrano in attività quando le cellule piramidali vengono eccitate e inibiscono la trasmissione nervosa dalle cellule mitrali al bulbo. La corteccia olfattiva è connessa al talamo, centro regolatore delle varie funzioni vegetative, tramite la sostanza reticolare grigia, formata da gruppi di cellule disposti lungo l’asse mediano del cervello e che mantiene tutta la corteccia cerebrale cosciente ed infine con l’ipotalamo, che presiede alla produzione degli ormoni ipofisari (regolatori la secrezione di ormoni da parte delle ghiandole endocrine surrenali, paratiroidi, tiroide, organi sessuali). Altre proiezioni nervose vanno dalla corteccia olfattiva a quella frontoparietale, che riceve stimoli anche dal gusto (chiamata corteccia della sensibilità chimica) e alla regione corticale frontorbitale dove gli stimoli ricevuti da tutti i sensi sono integrati fra di loro fornendo una percezione globale dell’ambiente esterno. 3.3.3.5) L'apparato uditivo L’udito è uno dei cinque sensi e permette al cane di muoversi, interagire, comunicare e collocarsi con maggiore facilità e risultati all’interno dell’ambiente in cui vive. Rispetto all’uomo, il cane riesce a percepire suoni che provengono da maggiori distanze ed a localizzarli con maggior precisione. L’uomo percepisce frequenze fino a ventimila Hertz, il cane fino a quarantamila. I padiglioni auricolari devono essere mobili per permettere l’individuazione veloce ed accurata della provenienza del suono, discriminandone l’origine grazie alla massa della testa tra le due orecchie e quindi alla differente percezione tra un orecchio e l’altro. Disegno 45: distribuzione delle pressioni durante la propagazione dell'onda. Il rumore giunge all'orecchio come un’onda sferica e concentrica ed è indirizzata dal padiglione auricolare al condotto uditivo. Sullla facia interna del padiglione auricolare sono presenti diverse serie di pieghe, per convogliare meglio il suono all’interno. L’onda di pressione acustica prodotta dal rumore urta e fa vibrare la membrana del timpano, una membrana elastica posta in fondo al condotto uditivo. La membrana timpanica trasmette l’onda ricevuta ad una serie di ossicini (martello, incudine e staffa), collegati tra di loro, che amplificano è rendono ancora maggiore la sua forza. Gli ossicini trasmettono l’energia d’urto ricevuta alla chiocciola (coclea), un organo che esteriormente possiede la forma del guscio di una chiocciola e internamente è costituita da tante piccolissime cellule specializzate a riconoscere ognuna una frequenza diversa. Se la frequenza in quel rumore esiste, si eccitano e mandano un segnale al cervello attraverso il nervo acustico. Il nervo acustico manda al cervello il segnale ricevuto ed elabora, insieme agli altri segnali, quale sia la natura del rumore. Se il rumore viene elaborato come piacevole o conosciuto, viene interpretato come suono. Se non è conosciuto e magari brusco od improvviso, pone in allerta il cane, con i muscoli pronti ad entrare in azione per reagire. Anche se possono esistere delle eccezioni (allucinazioni, stimolazioni elettriche imposte, ecc), nella maggior parte dei casi avviene un processo di trasduzione. La trasduzione è il processo tramite il quale lo stimolo fisico genera un potenziale elettrico nel recettore. Il potenziale elettrico deve essere capace di portare informazioni di due tipi: -- quantitativo: intensità della stimolazione (poco/molto suono); -- qualitativo: caratteristica della stimolazione (suono acuto oppure grave). Tali processi assumono il nome di codificazione. 3.3.3.5.1) L’orecchio Il sistema uditivo periferico si suddivide in tre parti principali: -- l’orecchio esterno (timpano e meato acustico) E’ formato dal padiglione auricolare, una struttura cartilaginea a forma di conchiglia, atta a raccogliere nel modo migliore le onde sonore e a convogliarle nel condotto uditivo alla fine del quale vi è la membrana timpanica che lo separa dall’orecchio medio. Disegno 46: struttura dell'orecchio. -- L’orecchio medio (sistema degli ossicini) Esso contiene tre ossicini: martello, incudine e staffa, tramite i quali avviene la propagazione dell’onda. Essi si congiungono fra loro formando una catena che collega il timpano con la finestra ovale (membrana che separa l’orecchio medio da quello interno). Questi tre ossicini provvedono anche a difendere l’orecchio da rumori intensi. Questo è permesso dalla contrazione di due muscoli che possono modificare il grado di tensione del timpano e quindi la quantità di energia sonora trasmessa all’orecchio interno. L’orecchio medio comunica con quello esterno, ed oltre a questo anche con la faringe attraverso la tromba di Eustachio. La sua funzione è di equilibrare la pressione esercitata sulla superficie esterna. Disegno 48: sistema vestibolococleare. In visione la coclea (parte acustica) ed il sistema vestibolare (vestibolo e canali semicircolari). Disegno 47: il sistema dell'equilibrio. I canali semicircolari sono posti su 3 piani perpendicolari tra di loro. Ciascun canale è più sensibile alle rotazioni del suo asse. -- L’orecchio interno (coclea e nervo uditivo)E’ costituito da due parti: l’utricolo ed il sacculo, che formano il labirinto (l’organo dell’equilibrio) e la chiocciola che rappresenta l’organo acustico vero e proprio. La chiocciola è costituita da un canale membranoso avvolto a spirale su sé stesso: il canale cocleare. Esso è diviso longitudinalmente da due membrane interne (la membrana basilare e la membrana vestibolare) in tre cavità contenenti liquido (dette scala vestibolare, scala media e scala timpanica). L’organo sensoriale vero e proprio (organo del Corti) è costituito da una serie di cellule cigliate disposte sulla membrana basilare. Fra di esse si trovano cellule con funzioni di sostegno, dette pilastri del Corti. Le cellule cigliate rappresentano i recettori acustici che trasformano l’energia sonora in impulso nervoso. Il corpo delle cellule cigliate è collegato ad un nervo, il nervo cocleare. Le ciglia di queste cellule sono a contatto con una membrana ad esse sovrastante, chiamata membrana tectoria. Quando l’onda sonora viene trasmessa alla finestra ovale, questa vibra e trasmette le vibrazioni al liquido contenuto nelle scale. Le vibrazioni del liquido si trasmettono quindi alla membrana basilare. Quando la membrana basilare vibra, anche le ciglia si muovono, toccano la membrana tectoria, si piegano e subiscono una deformazione che genera uno stimolo meccanico; tale stimolo, a livello della membrana plasmatica delle cellule e della sinapsi con il primo neurone del nervo cocleare, si traduce in un impulso nervoso che si trasmette fino all’area acustica della corteccia cerebrale. Il labirinto è un organo formato da tre canali (detti semicircolari) che si aprono sull’uticolo dell’orecchio interno. Dentro questi canali vi sono cellule cigliate collegate a fibre nervose; sulle ciglia vi sono piccoli cristalli calcarei, gli otoliti. I movimenti del capo fanno si che gli otoliti urtino le ciglia e quindi generino uno stimolo meccanico che si traduce in impulso nervoso. Questi stimoli forniscono informazioni sulla posizione della testa, quindi del corpo nello spazio. Nell’elaborazione degli impulsi provenienti dal labirinto sono coinvolti la corteccia ed il cervelletto. 3.3.3.5.2) Le vie di trasmissione La coclea è innervata dal nervo acustico che contiene migliaia di neuroni. Il nervo percorre il centro della coclea seguendone le spire. Lungo il cammino, dal fascio principale si dipartono continuamente neuroni che penetrano nel condotto cocleare ed arrivano all'organo del Corti dove vengono a trovarsi connessi, tramite sinapsi, alle cellule cigliate. Il nervo acustico entra poi nel Sistema Nervoso Centrale: qui i suoi neuroni terminano in una massa concentrata di corpi cellulari di cellule nervose chiamata nucleo cocleare. In esso hanno luogo interconnessioni sinaptiche ben precise. Alcuni dei neuroni che escono da questa massa si estendono verso l'alto ed arrivano ad altre stazioni di transito. Altri neuroni passano attraverso la parte inferiore del bulbo ed alcuni di essi si collegano con altri neuroni simili provenienti dall'altro orecchio. Così le due orecchie sono già collegate ad un livello basso sulla via acustica. I neuroni arrivano poi alle regioni uditive della corteccia celebrale. Queste regioni sono situate simmetricamente ai due lati del cervello, nelle aree temporali. Riassumendo, la gamma di frequenze udibili dal cane è molto più ampia di quella dell’uomo. Il cane sembra avere la capacità di udire a circa ventidue metri di distanza suoni che l’uomo percepisce con difficoltà a non più di cinque metri. In effetti siamo di fronte ad un udito decisamente ben sviluppato, eppure alcuni handler, durante le prove di lavoro, si comportano come se stessero lavorando con dei soggetti particolarmente sordi, urlando e fischiando i comandi a pieni polmoni là dove basterebbe appena un sussurro. Dell’udito del cane bisogna inoltre ricordare che: -- l’apprendimento di uno stimolo uditivo viene limitato o parzialmente limitato dal contatto fisico. Di conseguenza possiamo capire perché si debba limitare al minimo la manipolazione del cane durante l’emissione dei comandi; -- per poter apprendere il significato di uno stimolo uditivo, i cani hanno bisogno di localizzare il luogo di provenienza dello stesso. In addestramento, infatti, si dovrebbe cercare sempre di richiedere anche l’attenzione visiva del cane. Nella comunicazione vocale rivolta ai cani, il dresseur deve tenere toni più bassi possibili quando cercherà di essere minaccioso, dato che i toni acuti e ripetuti sono tipici delle prede e degli individui più bassi in rango (cuccioli e giovani femmine). Se durante l'addestramento scegliamo di usare, oltre ad i segnali visivi, segnali di tipo acustico (come la voce od i fischi), è importante cercare di impiegare sempre gli stessi termini e sempre le stesse intonazioni, adattate ai vari significati che si vogliono far capire in modo chiaro al cane. Se si è consapevoli di avere una voce stridula od in falsetto, è molto meglio non usarla per impartire comandi. Si ricorda al lettore che in natura il dominante mima il predatore ed il sottomesso la preda: il predatore non fa rumore, non spreca inutilmente energie agitandosi e saltellando qua e là, non si fa vedere ansioso, mentre il dominato emetterà suoni acuti, saltellerà addosso al dominante, non starà fermo un attimo. 3.3.3.6) L'apparato tattile Molti non sanno che il tartufo e le vibrisse sono gli organi principali per la rilevazione tattile. Le vibrisse del cane si possono, per motivi classificativi, distinguersi in ciuffi superciliari, baffi, ciuffi inter-ramali e ciuffi guanciali. Esse svolgono per il cane l’equivalente esplorativo dello spazio immediatamente vicino al corpo. Attraverso di le vibrisse i cani intuiscono la forma e la consistenza degli oggetti esplorati e riescono anche a percepire l’intensità del vento, l’origine e l’intensità delle masse d’aria spostate in una stanza. Questa funzione è affidata comunque anche ad altri tipi di peli dislocati su tutto il corpo. Se battiamo le mani alle spalle di un cane nel tentativo di capire se è sordo, non otteniamo risultati attendibili perché il sordo ha imparato meglio di un proprio simile con un udito perfetto a prevenire i pericoli o comunque i cambiamenti ambientali improvvisi e quindi potenzialmente pericolosi decodificando segnali come gli spostamenti repentini d’aria. Grazie a questi recettori l’accarezzamento, oltre ad essere utilizzato dai dresseurs come rinforzo positivo, provoca una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. Ha quindi un effetto calmante che viene spesso messo in pratica inconsciamente dagli addestratori quando un giovane soggetto è in ferma su uno dei suoi primi selvatici. Spesse volte il senso del tatto può dare dei problemi durante l'addestramento. Generalmente il contatto fisico con il corpo del cane innesca delle risposte di tipo difensivo, passive od attive. Ad esempio, il cane che si pone a pancia all’aria od il cane che mordicchia la mano che lo tocca. I cacciatori e gli handlers commettono tantissimi errori comunicativi nei confronti dei cani prima di entrare in contatto con loro. Un esempio palese è il tendere immediatamente e senza alcun preavviso la mano per cercare di accarezzare un soggetto. Questo comportamento è per la Psicologia una violazione dello spazio personale. Nei testi di Cinofilia Venatoria si riscontra spesso, nella maggior parte delle volte parlando di Pointer Inglese, il consiglio di sostituire l'accarezzare il capo e la nuca con pacchette sul petto o sul costato, sicuramente più gradite del tendere rapidamente la mano in maniera frontale verso la testa e che viene tradotto dal cane come un atto intimidatorio o di aggressione. L'allevatore coscienzioso abitua quindi i cuccioli ad essere toccati fin da piccoli. Si dovrà inoltre tenere presente che: -- la bocca del cane è un organo dotato di tatto, quindi, specialmente i cuccioli, per ben ispezionare un oggetto, oltre che con tutti gli altri sensi sarà utilizzata anche la bocca; -- contatti fisici di una certa intensità, come pressioni sul corpo del cane, provocheranno una risposta contraria di uguale forza. Ad esempio, con un cane non abituato alla manipolazione, ad una pressione dall’alto in basso reagirà irrigidendosi cercando di ripristinare la situazione primaria. È quindi inutile ribadire che le prove di forza saranno da evitare durante l’addestramento; -- sembra che esperienze dolorose subite in giovane età per mano del dresseur o del cacciatore, fissino la soglia del dolore in relazione agli stessi. Su alcuni soggetti di particolare sensibilità tale metro di giudizio può essere esteso in seguito anche agli estranei, inducendo il soggetto a comportamenti difensivi non desiderati per cani che abbisognano di svolgere un lavoro in compagnia dei propri simili ed in presenza dell'uomo. Riassumendo, il tatto è il primo senso a svilupparsi nel cane. Il riflesso termotattile, per esempio, li accompagna tutta la vita a partire dalla nascita, per la ricerca attiva della mammella della madre e del caldo e rassicurante contatto con i fratelli. Sia nei rapporti con i propri simili che con gli umani, la volontà di entrare in contatto fisico è sempre conseguente al contatto visivo ed è quasi sempre presente. Due soggetti sconosciuti prima si studiano da lontano, poi si inviano segnali tramite le posture del corpo e le espressioni della testa e solo in ultimo eventualmente si contattano fisicamente. Sono conosciute tre forme di contatto tra i cani: di dominio, di rassicurazione e di tipo sessuale. I primi sono tutti quelli in cui, con il muso, con le zampe, con tutto il corpo, il cane cerca di imporre la propria supremazia gerarchica ad altri soggetti. I secondi comprendono lo strusciarsi contro le nostre gambe scodinzolando o addirittura spingendo con il posteriore, come a richiedere di essere montati da noi. In caso di legami molto stretti tra conduttori e cani, si osserva anche la richiesta di contatto rassicurativo durante le fasi antecedenti una prova di lavoro: il soggetto sosta a bordo campo ed appoggia la spalla od il tronco al conduttore. I terzi spesso sono associati a quelli di dominio, come nel caso abbastanza frequente del cane, maschio o femmina che sia, che si frappone fisicamente tra due individui umani di sesso opposto che si abbracciano e cerca, con spinte e vocalizzazioni, di separarli. Altre volte l’aspetto di dominio non è presente, come per esempio spesso avviene nei contatti tra cagna e uomo. 3.3.3.7) Il gusto Il gusto è il senso attraverso il quale il cane percepisce i sapori. La sede principale dell’organo del gusto è la lingua, dove si trovano le strutture apposite. La sensazione gustativa è legata alla stimolazione di queste strutture da parte delle varie sostanze che vengono introdotte in bocca e che dopo essere state disciolte nella saliva sono in grado di generare impulsi che, attraverso le vie nervose gustative, raggiungono il cervello. Il gusto del cane è molto semplice, la struttura stessa della lingua, dove sono presenti poche papille gustative, gli permettono di distinguere i sapori in meno sfumature rispetto all'uomo. Un cibo è quindi buono, cattivo o neutro. Le sensazioni che prova il cane quando mangia, ciò che chiamiamo gusto, sono però il risultato di una relazione molto complessa di stimoli diversi. Il cervello miscela gli stimoli olfattivi (l’aroma) con i segnali provenienti dalla bocca. L'animale riesce a compensare questa mancanza di differenziazione gustativa con un olfatto sviluppatissimo e con il quale riconosce i cibi che gli si propongono. È per questo motivo che quando il cane è raffreddato, con il naso congestionato, i magimi commerciali propinatigli sembrano meno appetibili. A lungo si è creduto che i sapori fondamentali fossero un numero standard, ma ormai gli scienziati sono concordi nel ritenere che ne esistano anche altri. Un esempio è quello che viene stimolato dal glutammato di sodio, di cui sono ricchi ad esempio il Parmigiano e di cui sono molto ghiotti i cani. A completare il quadro delle sensazioni che il cane associa al cibo contribuiscono anche altri recettori, ad esempio quelli della temperatura, la consistenza del cibo e la resistenza che prova quando lo mastica. Le Scienze dell'alimentazione, in campo animale, è bene a conoscenza che i sapori interagiscono tra loro in maniera complessa. Alcuni sapori si rafforzano tra loro, ad esempio il salato e l’acido, il sale a basse concentrazioni intensifica il dolce, il dolce e l’amaro ad alte concentrazioni si annullano l’un l’altro ed il sale maschera il sapore amaro e permette al dolce di essere percepito. Riassumendo, il cane possiede anatomicamente i mezzi per avere una discreta sensibilità gustativa: percepisce e gradisce gli zuccheri, ma anche le proteine, sono poco selettivi nella scelta degli alimenti e sempre in movimento in cerca di qualcosa da ingerire. È questa fame atavica di chi mangia oggi perché non sa quando potrà mangiare di nuovo che è forse all’origine dell’abitudine di alcuni cani ad ingerire la selvaggina fresca di fucilata, le feci di altri animali o gli organismi in putrefazione. Questo comportamento potrebbe essere quindi legato ad un forma di risposta adattativa del lupo. Non è quindi il massimo in termini di selettività degli alimenti e riesce a trovare mangiabile praticamente qualsiasi cosa sia di fatto ingeribile, con buona pace di tutti gli studi promossi dalle varie industrie e mangimifici indirizzati a stabilire le preferenze alimentari dei cani (palatabilità e appetibilità). 4) LA MORFOLOGIA FUNZIONALE ED ADATTATIVA La Morfologia Funzionale ed adattativa, come già anticipato, è quella branca delle scienze che studia il perché delle strutture biologiche e la loro presunta funzione su basi matematiche. Entra ovviamente a far parte di questa discussione la Meccanica animale, cioè, nel nostro caso, l'analisi matematico-fisica del cane. Abbiamo già accennato più volte come l’efficienza della locomozione sia vitale per la sopravvivenza di quasi tutti gli animali e, dal punto di vista dell'allevamento, risulta fondamentale essere in grado di selezionare tenendo conto delle qualità che sarebbero indispensabili allo stato selvatico. Al pari dell'aspetto estetico, esiste quindi la necessità di valutare i cani in movimento al fine di scartare soggetti che presentino una struttura non in grado di esprimere un movimento di razza corretto. Sottolineamo “al pari”, in quanto una meccanica perfetta rappresentata da un soggetto che non assomiglia più al capostipite di razza, non serve a nulla e non fa certo il bene della razza. Prima di passare ad analizzare le andature, è bene capire alcune definizioni e concetti derivati dalla Fisica (Statica e Cinetica) che riassumiamo di seguito. -- La legge di gravità Alla legge di gravità devono sottostare tutti quei corpi che restano in equilibrio (siano essi in moto che in quiete). Ogni corpo possiede un peso dovuto all’attrazione di gravità e che gli impone una forza di caduta al suolo in senso verticale. -- Il rettangolo di sostegno e la formula di sostegno Il rettangolo di sostegno è quel poligono che si ottiene unendo con una linea le quattro zampe del cane in stazione. Disegno 49: rettangolo di sostegno. -- Il baricentro Si dice baricentro il punto immaginario nel quale converge la risultante di tutte le forze gravitazionali del corpo del cane. Se a questo punto immaginario si potesse applicare una forza uguale e contraria al peso del cane, esso si solleverebbe rimanendo in equilibrio. Un cane fermo in stazione è in equilibrio quando la proiezione del baricentro sul terreno cade all'interno del rettangolo di sostegno. -- La leva Una leva è un corpo rigido che si muove attorno ad un punto fisso chiamato fulcro (F). Sui bracci della leva vengono applicate delle forze (o risultanti di più forze). Queste forze si chiamano “potenza” (P) e “resistenza” (R). Ammettiamo ora che la leva sia formata da un osso di un arto e che la potenza “P” sia la forza sviluppata da un muscolo per far avanzare il cane. La resistenza sarà quindi quella forza che si oppone alla prima (es. il suo peso). Come si può capire, l’apparato scheletrico e l’apparato muscolare sono i principali attori che organizzano il movimento del cane (il muscolo ne è parte attiva, l'osso la passiva). L’insieme dei muscoli agiscono sui tendini, quindi sulle leve ossee ed imprimendo delle forze generano flessioni ed estensioni articolari. I muscoli agiscono in genere su un fulcro muovendo le ossa con movimenti riconducibili a quelli delle leve. A seconda della posizione reciproca dei tre punti “P”, “F” e “R”, si differenziano tre tipi di leve: di primo, secondo e terzo genere. Nelle leve di primo genere, il fulcro (F) si trova tra la potenza (P) e la resistenza (R). Tali leve possono essere vantaggiose o svantaggiose a seconda che il braccio della potenza sia maggiore o minore del braccio della resistenza. In effetti P · Lp può essere maggiore, minore od uguale a R · Lr (dove “Lp” è la lunghezza del braccio della potenza “P” e “Lr” è la lunghezza del braccio della resistenza “R”). In effetti: quando P · Lp = R · Lr è indifferente; quando P · Lp > R · Lr è vantaggiosa; quando P · Lp < R · Lr è svantaggiosa. Nelle leve di secondo genere, il punto di applicazione della resistenza (R) si trova tra il fulcro (F) ed il punto di applicazione della potenza (P). Tali leve sono sempre vantaggiose in quanto per equivalere “R” occorre una “P” sempre inferiore ad “R”. In effetti: quando Lr < Lp la leva è sempre vantaggiosa. Nelle leva di terzo genere, il punto di applicazione della potenza (P) si trova tra il fulcro (F) ed il punto di applicazione della resistenza (R). Tali leve sono sempre svantaggiose perché per equivalere R · Lr occorre una “P” maggiore di “R”. In effetti: quando Lr > Lp la leva è sempre svantaggiosa. 4.1) L'impulso Lo studio dell'impulso, applicato alla meccanica animale, deriva dal teorema omonimo. “L'impulso di una forza è uguale alla variazione della quantità di moto del sistema su cui essa agisce”. L'impulso è (in Meccanica classica) l'integrale di una forza nel tempo e può essere definito sia nella forma differenziale che integrale: dI = Fdt I = ∫ti tf Fdt Nel caso particolare dell'applicazione di una forza costante nel tempo (moto costante od andatura a velocità costante), si ha: I = Fdt dove “I” è l'impulso, “F” è la forza applicata e “dt” è il tempo infinitesimo di apllicazione della forza. 4.2) Dalla statica alla cinetica: l'inizio del moto Cercando di semplificare il più possibile, l’impulso nasce, per la maggior parte, dagli arti pelvici. Tramite il sistema di leve ossee viene trasmesso alla groppa ed alla colonna vertebrale sino a raggiungere il treno anteriore (modificandone la posizione e facendo perdere l'equilibrio verso l'avanti). Per riacquistare l'equilibrio, il cane sposta in avanti il piede dell'arto toracico in una posizione che gli permetta di ripristinare l'equilibrio turbato in precedenza. L'impulso degli arti pelvici segue ed amplifica un moto di caduta che il cane genera proiettando la testa in avanti. Questo movimento permette al centro di gravità del cane di cadere fuori dal rettangolo di sostegno generando un momento di ribaltamento verso l'anteriore. Disegno 50: quando la testa si trova nella posizione “A” il centro di gravità “a” del cane cade all'interno del rettangolo di sostegno. Nella posizione “B” cade all'esterno (cioè in “b”). Per “momento di ribaltamento”, in questo particolare, caso intendiamo una rotazione del corpo del cane intorno al fulcro “piede anteriore”. Sarà capitato a tutti di cadere all'indietro quando da posizione seduta si sia fatto forza sullo schienale di una sedia mantendendo appoggiate (e facenti da fulcro) solo le due gambe posteriori. Il concetto è identico: si cade quando la risultante delle forze gravitazionali in gioco (peso del corpo e sedia) cade dietro ad una linea immaginaria che unisce le gambe in appoggio della sedia. Disegno 51: a sinistra una sedia con tutte e quattro le gambe appoggiate al suolo (il baricentro cade all'interno delle quattro gambe e la sedia è in equilibrio). A destra una sedia poggiante a terra con due sole gambe (quando il peso P della sedia cade al di fuori della linea A-B la sedia si ribalta). Disegno 52: giochi delle forze all'inizio del moto. Ma vediamo cosa succede al cane. Ammettendo che la spalla sia rigidamente mantenuta in posizione, si può dire che stiamo osservando una leva di primo genere ove “P” è il peso della testa e del collo applicate al loro baricentro, “R” è il peso del tronco e del posteriore del cane (applicato al suo baricentro) ed “F” (fulcro) è la proiezione della posizione della zampa (punto di appoggio) sulla scapola. La forza “P”, la forza “R”, la posizione di “F” e la lunghezza “a” rimangono invariate. Con “a” s'intenda il braccio di leva di “R” e con “b'” la proiezione di “b” sull'orizzontale. Se volete comprendere meglio, sovrapponete agli arti toracici del cane le gambe posteriori della sedia presa ad aesempio poco prima. “R” sarà il vostro peso (più il peso della sedia) applicato sulla seduta e “P” la forza che sviluppano le gambe e trasmessa alla sedia per ribaltarla. La caduta avverrà quando la sommatoria di “P” ed “R” cadono a destra della linea A-B (disegno 51) e che corrisponde, nel caso del cane, ad una immaginaria linea che congiunge le zampe anteriori. Disegno 53: il ribaltamento. Ma cosa genera lo squilibrio nel cane dato che le sue zampe, al contrario dell'uomo seduto, sono ferme e non generano forze? Il movimento della testa verso la direzione di moto (disegno 52) allunga la proiezione a terra del braccio di “P” (b') di una componente “x” (da b' a b' + x) e la forza risultante, cioè il prodotto di P · (b' + x), surclassa il prodotto di R · a. A questo punto avviene uno squilibrio che tende a ribaltare il cane in avanti attorno alla proiezione del fulcro “F” sulla base d'appoggio (piede). Questo concetto vale lungo gli assi X,Y e Z. Se così non fosse non esisterebbero i momenti di ribaltamento laterale e che sono, spazialmente parlando, applicabili ad un piano verticale passante per il cane con 90° sessagesimali di rotazione ripetto a quello preso in considerazione nella illustrazione sopra. Per capirci, una spinta generata dal ginocchio del handler ed applicata sulla spalla del cane, gli farà compiere un passo laterale per ripristinare l'quilibrio (cioè portare la risultate delle forze che compongono il peso dell'animale all'interno del rettangolo di sostegno). Più alto sugli arti è il cane e minore sarà la forza applicata dal dresseur per spostarlo. Disegno 54: forze in gioco nel ribaltamento laterale. Per avvalorare ciò espresso sopra, si osservi il cane frontalmente (disegno 54). Il segmento A-B (a) ed il segmento A'-B' (b) si considerino la schematica raffigurazione degli arti anteriori di due cani di altezza differente e visti di fronte. La forza “F” ed “F'” sono le spinte generate con il ginocchio dall'addestratore (nella direzione della freccia) ed applicati alla spalla. Si consideri la forza “R” ed “R'” come i rispettivi pesi complessivi dei cani applicati al loro baricentro (con proiezione sul terreno). I punti “A” ed “A'” si riferiscono alla spalla, cioè all'inserzione dell'arto toracico (di lunghezza “a” e “b”) sul tronco (scapola). In questo particolare caso, la spalla è perfettamente bloccata dai muscoli come fosse un incastro perfetto. Per far eseguire un passo laterale al cane occorre una forza F > R · c · ½ (per il cane più basso) e F' > R' · c' · ½ (per il cane più alto). In effetti, quando F · a ≤ R · c · ½ o F' · b ≤ R' · c' · ½ non succede assolutamente niente ed i cani non si spostano. Paragoniamo ora i due soggetti. Dall'illustrazione (disegno 54) si nota che i due cani raffigurati possiedono la stessa larghezza del rettangolo di sostegno ( c = c') ma altezza differente (a ≠ b). Vediamo le relazioni per generare uno spostamento laterale del cane. Come appena accennato: -- per il cane con altezza “a”: con F · a > R · c · ½ muoviamo il cane attorno al punto B -- Per il cane con altezza “b”: con F' · b > R' · c' · ½ muoviamo il cane attorno al punto B' Dato che b > a, se R = R' e c = c' allora F' < F Disegno 55 Che tradotto in parole povere vuol dire che per generare lo spostamento del cane più alto, la forza F' occorrente sarà sempre minore di F. Cioè, a parità di peso e di larghezza del rettangolo di sostegno, un cane più basso sugli arti possiede più equilibrio in quanto necessita di una spinta maggiore (da parte del dresseur) perché il suo baricentro cada al di fuori del rettangolo di sostegno. Dall'altra (sempre a parità di condizioni elencate), un cane più alto sugli arti sarà più facilemente spostabile di uno più basso. Anche se la condizione di una scapola ad incastro perfetto non è naturalmente attribuibile al cane, il concetto rimane valido. In effetti, quando si applica ad un quadrupede una forza nella direzione indicata sopra, i piedi non si alzano dal terreno fino a che il baricentro non cade fuori dal rettangolo di sostegno (disegno 55). La scapola scivola lungo il costato e segue l'orientamento dell'appoggio a terra. La stessa cosa avviene sull'altro asse. Quante volte ci è capitato di vedere un handler spingere col ginocchio il posteriore di un cane che non guida naturalmente? Anch'esso dovrà applicare una forza e tale forza (a parità di peso e di distanza tra gli appoggi anteriori e posteriori dei due soggetti) sarà minore per spostare il cane alto sugli arti e maggiore per il compagno basso. Molte volte il ginocchio del conduttore è però più alto del bacino del cane ed egli, purtroppo, imprime più una forza verso il basso che verso l'avanti (per farlo avanzare). Il cane poi cerca di resistere flettendo sul posteriore durante la spinta e raddrizzando gli arti quando non sollecitato. Se la spinta è abbastanza forte, il cane rimane con gli arti posteriori flessi o, peggio ancora, si siede. Sia nella posizione flessa che in quella seduta non può avanzare. Questo capita perché la forza applicata sul posteriore del cane non è parallela all'asse di direzione del quadrupede. La spinta lo sbilancia all'indietro perché fa arretrare il baricentro ed il cane si siede. L'opposto di ciò che voleva il conduttore. Una soluzione sarebbe appoggiare il piede ben in mezzo agli appoggi posteriori e sotto al bacino prima di sollecitare col ginocchio il cane ad avanzare. Ricordiamo, in questo frangente, che lo stesso risultato si ottiene “spazzando” col piede un arto anteriore. Prima di tutto il cane abbassa immediatamente la testa per “alleggerire” il suo peso corporeo di quello dei collo e testa e cerca di portare il baricentro più indietro (all'interno del rettangolo di sostegno). Non bastando, contemporaneamente proietta l'arto spazzato in avanti per appoggiarvisi e ripristinare l'equilibrio (compiendo il fatidico passo voluto). Attenzione però, perché i cani possono rimanere in equilibrio anche su tre arti e quello che si intende spazzare può essere solo appoggiato e senza funzione di sostegno. In questo caso non si otterrà il risultato voluto. Le forze che abbiamo fatto imprimere al cane dal conduttore servivano per far muovere il soggetto nella direzione richiesta. Ma anche il cane, durante il moto, è capace di generare delle forze simili agendo sugli arti e sulla loro inclinazione rispetto al terreno. Per esempio, durante il moto sostenuto può sbilanciarsi fortemente da un lato nel compiere una curva e quindi contrastare la forza centrifuga che lo spingerebbe nell'altra direzione. Per fare questo sfrutta il proprio peso accorciando gli arti all'interno curva e, se necessario, porta il baricentro a cadere fuori dal rettangolo di sostegno (verso la direzione presa, cioè l'interno curva). Disegno 56: rappresetnazione grafica di cani che affrontano una curva. Osserviamo due cani di altezza differente ma di uguale peso e distanza tra gli arti anteriori (o posteriori) compiere una curva attorno alla bandierina blu. Il soggetto di sinistra è più alto sugli arti di quello di destra. Come appena detto, per affrontare una curva e contrastare la forza centrifuga “C” e “C'”, accorcia gli arti e, se necessario, porta il baricentro del peso del corpo a cadere fuori dagli appoggi verso l'interno curva (vedi retta rossa), generando una forza almeno uguale e contraria (centripeta) a quella da contrastare (centrifuga). Minore sarà lo sforzo per fare ciò e con più agilità il cane compirà la curva. Le componenti che entrano in gioco negli equilibri sono: peso del cane, altezza sugli arti, larghezza degli appoggi e forza centrifuga (generata dalla velocità alla quale si affronta la curva e dal raggio. Quindi: -- a parità di peso e di larghezza degli appoggi, il più alto sugli arti si inclinerà di meno sull'interno curva e farà meno fatica a portare il suo baricentro fuori dagli appoggi, opponendosi alla forza centrifuga; -- a parità di peso e di altezza sugli arti, il soggetto con larghezza minore degli appoggi farà meno fatica a portare il baricentro fuori dal rettangolo di sostegno. Questo ci consente di affermare che un cane alto sugli arti (ed appoggi ravvicinati) è sempre più agile e veloce nei cambiamenti di direzione durante qualsiasi andatura, in quanto sarà necessario generare una forza più contenuta perché il cane si autosbilanci lateralmente. L'agilità è definita anche da una schiena arcuata, elastica e da pelvi ripide che comportano piedi dell'arto posteriore ben sotto al cane. L'ultimo pensiero espresso ci permette di anticipare anche un nuovo concetto che verrà sviluppato nel proseguo: il “single tracking” (pista singola). Disegno 57: sezione di cane (rappresentazione schematica). Non sarebbe del tutto lecito, per la Meccanica animale, raffigurare gli appoggi perpendicolari all'asse latitudinale del tronco e così distanti tra loro (durante andature sostenute). In verità, all'aumentare della velocità i cani tendono ad avvicinare latitudinalmente gli appoggi (cioè a portare i piedi a toccare il terreno vicino ad una linea immaginaria tracciata sulla direttice di percorrenza). Si dice “vicino” in quanto il vero single tracking richiederebbe agli arti di pestare su una linea (come il funambolo sulla corda sospesa). Talune volte, in curve impostate ad alta velocità e con angoli più acuti di centoquaranta gradi sessagesimali, sono capaci perfino d'incrociare gli anteriori per contrastare le forze di ribaltamento in gioco. Quello che invece ci premeva rilevare dal punto di vista morfo-funzionale, è che un cane alto sugli arti e con un torace di forma ovalare (Pointer Inglese), può muovere “quasi” single tracking. Al contrario, un soggetto con arti corti e/o con torace di forma tondeggiante, se non “fuori ai gomiti”, non potrà mai avvicinarsi al single tracking perché vincolato dall'anatomia (Bull Dog Inglese). Il single tracking viene espresso dalla tonicità ed elasticità dei muscoli scapolari d'ancoraggio al costato e che sono capaci di far scivolare verso il basso quest'osso sul costato (durante il movimento). L'escussione scapolare è minima (qualche centimetro) per tutti i cani e quelli con arti brevi non ne possono trovare giovamento. Cani allenati che muovono simil-single tracking perché possiedono una tonica e voluminosa muscolatura scapolare, presentano al garrese scapole più divergenti di soggetti poco muscolati. 4.3) Il single tracking Il single tracking (o traccia singola) può essere considerato una componente variabile delle andature. In effetti, all'osservazione, il single tracking è una forma di stabilizzazione variabile che adotta il cane durante il moto per contrastare lo spiazzamento laterale. Il Bull Dog Inglese, preso ad esempio poco sopra, non lo può utilizzare (per costruzione toracica) e durante le andature più veloci permessegli dal suo essere, a velocità costante ondeggia a destra e sinistra ritmicamente. L'ondeggiamento (o spiazzamento laterale) è dovuto al ritmico spostamento del baricentro del corpo che il cane subisce durante la successione degli appoggi e che è vincolata alla trazione esercitata dall'arto toracico in appoggio (o se volete, la spinta generata dall'arto posteriore trova nell'appoggio dell'arto anteriore un perno che devia la direzione della spinta). Come esempio si può pensare ad una barca a remi ormeggiata ove il marinaio tenti di allontanarsi dalla boa utilizzando un unico remo alla volta. La barca, oltre ad allontanarsi fino alla tensione della cima, gira di qua e di là ed il marinaio spreca energia in quanto il suo moto è serpeggiante. Per fare un ulteriore esempio (anche se non perfettamente confacente), s'immagini di dovere spostare da soli un armadio: lo si solleverà prima da un lato e poi dall'altro, facendo perno sugli angoli opposti. Il moto di avanzamento dell'armadio sarà serpeggiante. Dal punto di vista energetico si può dire che nel cane una parte della spinta esercitata dagli arti viene spesa per un avanzamento laterale del tronco (anche se questa viene limitata da taluni muscoli che decorrendo a fianco della spina dorsale e che tendono a mantenerla rigida). In pratica, tali muscoli hanno la stessa funzione che hanno le “pinne” (deriva e skeg) delle imbarcazioni a vela. Vediamo nel dettaglio tramite una illustrazione (disegno 58). Osserviamo le impronte degli appoggi anteriori. Consideriamo poi la linea blu come l'ipotetica traccia lasciata della spina dorsale del cane durante il moto di avanzamento. Le linee rosse mettono in evidenza l'alternarsi dello spiazzamento laterale durante l'avanzamento del cane. Questo si verifica perché i piedi anteriori non sono mai in appoggio contemporaneamente (al contrario che nello stacco per il salto). Gli arti toracici, essendo collegati al tronco tramite la scapola (posta sul lato del torace), generano, oltre ad un avanzamento, un momento di rotazione del tronco in direzione dell'arto toracico opposto (con spin antiorario per l'arto destro ed orario per l'arto sinistro). Questo momento di rotazione aumenterà all'aumentare della distanza tra l'appoggio e la linea blu (segmento “a”) ed al diminuire della resistenza opposta dai muscoli dorsali all'incurvamento laterale della colonna vertebrale. Quindi, lo spiazzamento laterale è anche allenamento muscolare dipendente. Disegno 58: spiazzamento laterale. Per ridurre lo spiazzamento laterale, il cane tende a diminuire il segmento “a” portando i piedi ad appoggiarsi il più possibile vicini alla linea blu, per tracciare così una fila di impronte che viene definita appunto single tracking (pista singola). Vien da sé che la possibilità di portare gli appoggi il più possibile sotto il tronco vicino alla linea immagianaria (linea blu) è in relazione con la forma del torace, la lunghezza degli arti ed è direttamente proporzionale alla velocità mantenuta durante il moto. Quindi, per i cani che ne hanno possibilità, all'aumentare della velocità, le impronte si avvicineranno sempre più alla linea del single tracking. È, in fin dei conti, un modo per risparmiare energia e non dissiparne in movimenti non utili all'avanzamento del corpo. Riducendo il braccio di leva (a), si riduce anche lo sbilanciamento laterale. Tutti noi abbiamo imparato ad andare in bicicletta e sappiamo che per percorrere una linea retta abbisognamo di una certa velocità. Prima di raggiungere questa velocità, ad ogni pedalata avviene un certo sbilanciamento laterale che ci obbliga a girare il manubrio un po' a destra ed un po' a sinistra per contrastare una eventuale caduta. Il manubrio viene girato nella direzione dello sbilanciamento laterale sfruttando, per raddrizzarci, la forza centrifuga generata. Raggiunta una minima velocità di crociera, la traietoria di marcia risulterà diritta e si potrà condurre il mezzo anche senza mani. 4.4) Le appendici del tronco: testa, collo e coda Durante le andature, anche testa, collo e coda partecipano al movimento. Dal punto di vista morfofunzionale, si è più portati a parlare di coda e collo in quanto la testa è solo un pesante prolungamento di quest'ultimo. Queste due appendici fanno funzione di equilibratori durante il moto. Chiunque osservi un cane che si muove, noterà un movimento ritmico della testa in avanti, indietro e contemporaneamente a destra e sinistra (con l'aumentare della proiezione in avanti e la riduzione dell'ondeggiamento all'aumento della velocità). La proiezione in avanti permette al cane di spostare il suo baricentro verso la direzione di marcia ed aumentare le battute nell'unità di tempo (cioè portarsi ad una velocità più elevata). Per spiegarlo in altro modo, più il baricentro cade in avanti e distante dal triangolo di sostegno (durante qualsiasi andatura, almeno un arto è sollevato e quindi non si parla più di rettangolo ma di triangolo di sostegno) e più il cane deve aumentare le battute per riportarlo al suo interno e ristabilire l'equilibrio. Quando l'uomo inciampa, i piedi rimangono per un attimo fermi ed il suo busto si proietta in avanti. Solo un'accelerazione del passo gli permette di ristabilire l'equilibrio; in caso contrario, cade faccia a terra. Per una andatura costate il cane manterrà il baricentro fuori ed avanti dal triangolo di sostegno di una distanza costante. Alzando la testa e portando così il baricentro verso gli appoggi, ridurrà le battute e rallenterà. La distanza tra il triangolo di sostegno ed il punto in cui cade il baricentro del cane può essere considerato alla stregua della farfalla del carburatore di un motociclo, la possibilità di proiettare la testa in avanti, come la manetta del gas. Dal punto di vista anatomico dobbiamo però precisare che la posizione della testa vincola il movimento dell'arto toracico. Nelle tavole anatomiche si notano muscoli che dal capo raggiungono il braccio (muscolo brachiocefalico) e la scapola. Durante il moto, il muscolo brachiocefalico si contrae per portare in alto ed in avanti l'arto toracico. La sua capacità viene vincolata dalla posizione della testa: più la testa è proeittata in avanti e meno l'arto si alzerà da terra. Si tenga ben a mente questo vincolo anatomico in quanto verrà ripreso quando si tratterà della radenza come movimento del Setter Inglese. Quando si parla di proiezioni laterali del capo, stiamo osservando un cane che genera una forza per contrastare lo spiazzamento laterale. Il movimento di ciondolamento della testa genera uno sbilanciamento contrario allo spiazzamento e che aiuta il tronco a rimanere in equilibio durante il movimento. La coda è l'appendice meno usata dai galoppatori da ferma durante il moto. Molte sono le parole spese negli standard di lavoro e di come essa debba essere portata o mossa durante le andature. Cani anuri, come l'Epagneul Breton, muovono altrettanto bene di altri galoppatori provvisti di coda. L'uso della coda, durante il movimento, si può notare in modo ottimale nei bruschi cambi di direzione e genera piccole correzioni a favore dell'equilibrio dinamico del cane. Ne sono esempio quei soggetti che la ruotano (tipo elica) durante le curve dei lacets molto stretti. Tale movimento non è indice, come molti credono, di un errore di costruzione, è solo un modo di affrontare le curve secche. In effetti, la rotazione s'inverte quando le curve vengono affrontate nella direzione opposta. La rotazione della coda genera nel posteriore del cane una forza che si contrappone alla forza centrifuga e che si combina favorevolmente con lo sbilanciamento laterale compiuto dal cane verso l'interno della curva. Cioè è una forza generata consciamente e che va a favore dell'equilibrio. Come si può allora giudicarla, in questo particolare caso, in modo malevolo? Solo l'estetismo può cercare di controbattere alle Scienze. 4.5) Dal garrese alla groppa: l'inarcamento e la flessione laterale della colonna vertebrale Durante il movimento, la “schiena” svolge un suo ruolo. Ma non tutte le parti della colonna vertebrale posseggono delle libertà. L'Anatomia divide la colonna in zone: cervicale, dorsale, lombare, sacrale e caudale. Si tratterà esclusivamente di quelle parti mobili che concorrono al movimento ed all'equilibrio. Si parla di inarcamento quando il movimento della colonna coadiuva la spinta propulsiva del cane (soggetti dorsomobili) e flessione laterale quando si parla di direzionalità. Durante il galoppo sostenuto, i soggetti capaci di ben inarcare la zona lombare della colonna ( la restante parte è anatomicamente impossibilitata, escludendo cervicale e caudale) producono più propulsione di quelli incapaci. Una “bella” schiena di Setter Inglese, che scende costantemente dal garrese alla groppa, è più funzionale di una che presenta una leggera curvatura all'altezza dei fianchi per un buon tono muscolare? Dal punto di vista del movimento, l'inarcamento della colonna vertebrale (muscolo retto addominale) permette un raccorciamento ed un all'ungamento del tronco. L'inarcamento avviene nella fase di sospensione degli arti pelvici e permette un migliore allungo in avanti del piede posteriore (cioè il piede può appoggiare più avanti ed aumenta la lunghezza della falcata). La distensione (muscolo lunghissimo dorsale) avviene in concomitanza della propulsione generata dall'arto pelvico che crea quindi una onda di spinta per reclutamento muscolare. Tale distensione è assimilabile al movimento che genera l'uomo per saltare verso l'alto da fermo L'uomo si accuccia piegando gambe e tronco, per poi distenderle in una proggressione che parte dai piedi e raggiunge la schena. In questi soggetti la velocità dell'andatura è data dalla velocità degli arti sommata a quella dello stiramento della colonna vertebrale. L'azione propulsiva è complessa e consuma più energia di un galoppo a colonna vertebrale “ferma”. Lanciare un sasso a braccio teso o sviluppare una forza propulsiva tramite un'onda che si genera dalla proggressiva distensione di tutte le componenti mobili dell'arto (braccio, avambraccio e mano), non è la stessa cosa. Di questo ne sono maestri i giocatori di baseball (pitcher) che distendono proggressivamente il loro arto per dare massima forza al lancio (sfruttando appunto il reclutamento muscolare e le leve ossee). Ma in Natura esiste un esempio che colpisce per la sua evidenza: il bruco. Quest'insetto possiede arti solo all'inizio ed alla fine della sua lunghezza. Per muoversi sfrutta l'inarcamento del corpo che può generare coll'alternanza degli appoggi anteriori e posteriori. Un buon compromesso tra velocità è resistenza dovrebbere essere il criterio base della selezione dei galoppatori da ferma inglesi. Per ciò che riguarda il Pointer Inglese, il suo essere iscritto nel quadrato e possedendo arti lungi e leggeri gli permette ampie e veloci falcate. La schiena “corta” permette poi resistenza alla fatica. Il Setter Inglese, essendo costruito nel rettangolo, ha, in proporzione, una schiena più lunga e degli arti da muovere più pesanti. Oltre alla propulsione pura, una delle funzioni degli arti posteriori (durante il galoppo) è quella di proiettare il busto in alto quel tanto che basta perché il piede dell'arto toracico percorra lo spazio tra levata e l'appoggio successivo. A parità di peso di due soggetti, più è lungo il tronco e maggiore energia si spreca per fare ciò. Tale rapporto vale anche confrontando arti pesanti e leggeri. Per spostare un arto pesante occcorre più energia. Ne risulta quindi una velocità minore ed un affaticamento precoce rispetto ad un cane con arti più leggeri. Solo Setter Inglesi al limite dell'iscrizione nel quadrato (pagando lo scotto in velocità) possono competere per affaticamento col Pointer Inglese. La spinta verso l'alto viene generata indistintamente da tutti i cani galoppatori e serve a guadagnare tempo per l'appoggio anteriore successivo. L'argomento verrà apporfondito quando si tratterà il moto dell'arto toracico. La flessione laterale, durante il moto, non è semplice a vedersi. Nei galoppatori inglesi (meglio nel Setter Inglese in quanto possiede un tronco più lungo) è facile osservarla durante manovre in spazi stretti. Un esempio è il cane che gira su sé stesso facendo perno su ambedue gli appoggi posteriori. La trazione in avanti e lateralmente degli arti toracici avviene appena dopo l'imposizione della direzione da prendere da parte della testa e del collo. Si forma un leggero arco ed il tronco si muove come una lancetta dell'orologio (vincolata ala suo perno) fino a che gli arti pelvici non si toccano circa all'altezza del garretto. A questo punto il cane va in levata con il piede posteriore che si trova opposto alla direzione presa e fa perno sull'altro (l'arto sollevato viene poggiato immediatamente innanzi a quello che fa da perno). Gli arti toracici si muovono alternativamente con brevi avanzamenti. Ricordiamo che a lente andature, per non perdere l'equilibrio, corrispondono sempre almeno tre appoggi in contemporanea. 4.6) Il moto dell'arto toracico L'arto toracico è ancorato all'altezza della spalla tramite la testa dell'omero (che s'inserisce all'acetabolo della scapola). Osservando il cane longitudinalmente, il moto dell'arto si può paragonare a quello di un pendolo (fig. 59) che oscilla in avanti ed indietro (sull'asse x) fissato ad un punto che corrisponde alla scapola. In realtà questa è una semplificazione in quanto il fulcro (scapola) possiede anch'esso libertà di oscillare sugli assi x, y e z. In effetti, durante il movimento dell'arto la scapola sale e scende (sull'asse y) seguendo la curvatura del costato (e quindi muovendosi in contemporanea sull'asse z) ed avanza od indietreggia sull'asse delle x. Disegno 59: libertà della scapola. La divaricazione tra le scapole (che si nota alla linea del garrese), è concessa, a seconda della postura, dalle libertà muscolari di ogni singolo soggetto. Nel disegno 59 si sono esagerati i movimenti per renderli raffigurabili. Come il braccio dello stantuffo che con una sbarra è vincolato e fa girare le ruote del treno a vapore, così anche possiamo immaginare il punto in cui l'arto è legato al torace. Due sono i tipo di muscoli che agiscono sulla scapola: quelli che tendono ad immobilizzarla e quelli che la muovono. I muscoli che ancorano la scapola al costato (muscolo trapezio e muscolo romboideo) permettono, a seconda della loro contrazione, l'assorbimento di quelle forze che si scaricano dal terreno lungo l'arto fino al torace (fase di sospensione → fase di appoggio). Il muscolo trapezio fissa la scapola alla colonna vertebrale (dalla terza vertebra cervicale alla nona toracica) e contrasta quelle forze che tenderebbero a farla slittare sul costato verso l'alto. Oltre a questo, è capace di muove l'arto in avanti durante il periodo di sospensione (è un muscolo ad azione mista). Il muscolo romboideo è posizionato sotto il muscolo trapezio e la sua azione è similare a quella del trapezio. I muscoli di movimento sono rappresentati dal gran dorsale, pettorali, il brachiocefalico ed il serrato ventrale. I primi tre trovano inserzione solo all'omero, il quarto anche sulla scapola. L'omotrasverso è invece un muscolo “misto”: àncora la scapola al torace ed capace di muoverla in avanti ed indietro. Il movimento scapolare è quindi generato dalla contrazione del muscolo trapezio, del brachiocefalico (che esercita un movimento della scapola in avanti) e dell'omotrasverso (che è capace di spostarla anche all'indietro). L'oscillazione generata dai relativi muscoli (nelle due dirzioni opposte), non ha la stessa intensità d'esecuzione: mentre la velocità prodotta dal brachiocefalico e dall'omotrasverso è costante al variare delle andature (circa diciotto chilometri l'ora) la velocità nella direzione inversa è molto variabile. Il concetto verrà ripreso nel proseguo. Dopo questa dovuta parentesi, ritorniamo alla visione d'insieme. L'azione simile ad un ammortizzatore muscolare si nota di più durante le andature sostenute al momento dell'impatto del piede col terreno, oppure in discese ripide, od ancora durante l'atterraggio dopo un salto. Al garrese si vede “spuntare” più o meno bruscamente la scapola e, a seconda della costruzione dell'arto toracico, della funzionalità delle articolazioni e dei muscoli chiamati a rispodere alla sollecitazione del terreno, l'escussione scapolare sarà diversa. Il movimento dell'arto inizia con una proiezione ed una estensione in avanti ed in alto di tutte le componenti dell'avambraccio. Tale estensione aumenta all'aumentare della velocità fino ad una elevazione ed estensione massima che si raggiunge ad un'andatura media. L'aumento della falcata aumenta poi la velocità. Contemporaneamente, la parte esterna del piede viene portata in posizione supina di circa una ventina di gradi sesaggesimali (tale posizione viene corretta prima dell'appoggio). L'omero è l'unica parte dell'arto toracico che è quasi sempre verticale a tutte le andature (l'illusione ottica del movimento fa pensare ad una sua elevata oscillazione) in quanto la sua proiezione in avanti è limitata dal muscolo pettorale profondo e dal gran dorsale. La proiezione in avanti dell'arto, come già detto, è vincolata dalla posizione della testa e del collo (estensione del muscolo brachiocefalico). Al momento dell'impatto col terreno, l'arto è innanzi alla verticale della scapola proiettata a terra e scarica sulla spalla porzione dell'energia cinetica del corpo (frenando parzialmente il moto). Questa parte di energia viene assorbita dai muscoli e trasformata in altra energia (calore). In tale momento si nota un parziale e contenuto arretramento della scapola. Immediatamente dopo, il gomito si piega ed i muscoli che vi agiscono coadiuvano a sostenere il peso del tronco e ad “addolcire” l'azione d'arretramento dell'arto dovuta all'impatto col terreno. Successivamente tali muscoli accompagnano (inerzia del corpo del cane) il piede sul terreno fino a che non giunge perpendicolarmente (cioè sotto) alla scapola. Da qui inizia il vero e proprio moto propulsivo dell'arto (muscolo gran dorsale, pettorale profondo) e che termina ad estensione completa colla levata (stacco). In effetti, quando il piede si trova perpendicolarmente al fulcro dell'arto (scapola), i muscoli motori iniziano la loro contrazione generando spinta propulsiva: l'arto si raddrizza fino al punto di levata per poi essere richiamato in avanti (tramite i muscoli omotrasverso e brachiocefalico) per compiere il passo successivo. Nel galoppo, il piede anteriore esercita spinta propulsiva solo per un decimo del tempo del ciclo completo. Per il restante periodo il piede si trova poggiato avanti alla proiezione della scapola a terra od in sospensione (in oscillazione). Durante il movimento, la coordinazione muscolare e la posizione delle ossa devono far sì di assorbire il meno possibile dell'energia cinetica sviluppata dalla propulsione, risultando così, all'occhio dell'osservatore, un moto costante (od una fluida accelerazione o decelerazione). Nel caso contrario, sembra d'osservare una bicicletta che presenta un'anomalia al cerchio anteriore: sobbalza ritmicamente. Il sobbalzo aumenta la sua ritmicità all'aumentare della velocità e tale difetto si verifica in cani con la spalla dritta (si dice che sbattono i piedi anteriori a terra). Il cane che presenta spalla dritta, all'aumentare della velocità tende ad aumentare la sospensione dell'arto toracico utilizzando la spinta del posteriore per mantenere in sospensione il tronco. Questa sospensione compensa l'incapacità di passare dalla sospensione all'appoggio (poggiare il piede a terra) con piede a velocità pari a zero e fa sobbalzare leggermente il posteriore del soggetto, quasi in un moto ondulatorio simile ad una imbarcazionione che supera un'onda. Il piede che poggia sul terreno a velocità zero non esercita attrito e/o sobbalzo e si dice che appoggia correttamente. L'appoggio corretto è indice, quasi sempre, di corretta morfologia dell'arto anteriore. Disegno 60: angolazione scapolare sulla verticale. Capita, a volte, di trovarsi innanzi a soggetti con costruzione raddrizzata sia all'anteriore che al posteriore (quindi cani che possiedono articolazioni con angoli troppo aperti). La spalla dritta ed un bacino poco inclinato si compensano nel movimento rendendo difficilmente notabile all'osservatore l'errore di costruzione (il cane non sbatte l'anteriore). Tali soggetti mettono però in evidenza un'oscillazione degli arti limitata nell'ampiezza (passi corti e veloci) ed un portamento della testa sempre sopra la linea dorsale. Degna di nota è una particolarità del movimento scapolare già precedentemente accennata: durante le andature, la quantità di moto della scapola verso la direzione di marcia risulta difforme da quella opposta. Come si è potuto evidenziare colla misurazione, la velocità di avanzamento della scapola (cioè quando il cane recupera l'arto sotto di sé per riportarlo in appoggio) è quasi costante e si tratta di circa quindici/venti chilometri all'ora (dallo stacco all'appoggio successivo trascorrono tre decimi di secondo). Nell'altra direzione (cioè durante l'appoggio e la spinta), nei galoppatori inglesi la scapola può raggiungere i quaranta/quarantacinque chilometri all'ora. Al variare della velocità dell'animale, questo “scompenso” tra andata e ritorno viene gestito tramite le differenti andature e, alle massime velocità, dal tempo in cui tutti e quattro gli appoggi si trovano in stacco contemporaneamente (cane in sospensione). In effetti il cane aumenta la sospensione all'aumentare della velocità (vedi andature). Il cane affaticato non è capace di una sospensione di tre decimi di secondo e sbatte l'anteriore a terra sobbalzando al garrese. In questo frangente non si dovrebbe eseguire la valutazione morfofunzionale in quanto si rivelerebbe falsata, completamente inesatta, oltre che a denotare incompentenza. 4.7) Il moto dell'arto dell'arto pelvico Come l'arto toracico, anche il pelvico è destinato a propulsione e supporto (circa un terzo del peso del cane grava sugli arti posteriori). Le andature veloci mettono in evidenza come il galoppatore inglese sia dominante nel posteriore (cioè sono gli arti pelvici a sviluppare la maggior parte della propulsione) e sia dorsomobile (cioè usa anche il potere propulsivo della colonna vertebrale flettendola all'altezza dei lombi). In effetti, durante il galoppo, il piede posteriore esercita spinta propulsiva per nove decimi del tempo impiegato nel suo ciclo completo. Per il restante periodo il piede si trova in appoggio avanti alla proiezione dell'acetabolo femorale a terra od in sospensione (cioè in oscillazione). Il movimento dell'arto pelvico è vincolato al bacino che è una struttura rigidamente saldata alla colonna vertebrale. Da questi presupposti ci si aspetterebbe che durante il moto sussista una continuità perfetta tra arto, bacino e colonna, ma la realtà è un'altra: durante il moto, il bacino compie impercettibili movimenti sugli assi x, y, e z contrastati dai muscoli della groppa, dei lombi e dai muscoli vertebrali (disegno 61). Questi movimenti sono dovuti alla forza di propulsione dell'arto in appoggio che, spingendo all'indietro, fa alzare ed avanzare il lato del bacino corrispondente ed arretrare (ed abbassare) l'opposto come fosse un bilancia a due bracci. Disegno 61 Come nell'arto toracico, i muscoli che agiscono sulla scapola, quelli della zona lombare ed i vertebrali cercano di irrigidire la struttura ed a farla muovere il meno possibile. Il bloccaggio ha come scopo scaricare il più possibile dell'energia di spinta prodotta dall'arto pelvico( in maniera vettoriale) lungo la colonna vertebrale per generare propulsione in avanti. Anche porzione dell'energia propulsiva non in asse alla colonna vertebrale viene modificata e riportata in asse dai muscoli, mentre altra viene “frenata” dalla contrazione muscolare e quindi persa sotto forma di energia termica. La sequenza dei movimenti è simile a quella dell'arto toracico. Il cane estende verso la direzione di marcia l'arto fino a toccare il terreno. L'impatto dovrebbe essere leggerissimo in quanto i muscoli estensori si rilassano parzialmente per poi accompagnare l'arto, contraendosi parzialmente, fino a che il piede non si trova quasi sotto la verticale dell'acetabolo femorale (la loro modica contrazione serve a sostenere parte del peso del cane). A questo punto interviene la propulsione tramite l'allungamento dell'arto fino ad estesione completa ed alla levata. Successivamente il piede viene richiamato verso il tronco per essere proiettato in avanti ed appoggiato nuovamente. L'inclinazione della groppa è importantissima per definire la qualità della spinta. Dal punto di vista funzionale, una groppa troppo inclinata (come spesso si vede in talune genealogie di Setter Inglese) diminuisce le potenzialità di propulsione dell'arto pelvico in quanto si riduce l'allungo all'indietro durante la propulsione (cioè l'arto si stacca da terra prima dell'estensione completa). Si tratta di soggetti capaci di raccogliere molto bene gli arti pelvici sotto di sé e di proiettarli in avanti con esagerazione. Tale presupposto pretende la levata prima del completo allungamento all'indietro dell'arto, riducendo, appunto, il potere propulsivo. Una groppo poco inclinata, al contrario, permette un ottima distensione posteriore, ma il piede va in appoggio dietro (o poco più avanti) alla verticale proiettata a terra dell'acetabolo femorale. L'arto non sfrutta tutto lo spazio a disposizione per la spinta. In questi casi il piede rimane appoggiato in spinta per un tempo inferiore a quello di un soggetto costruito in modo ottimale. 4.8) L'assieme degli anteriori e posteriori durante il movimento La corrtetta andatura di un cane è definita dall'armonia tra il movimento degli arti anteriori e posteriori, mentre la velocità riguarda la frequenza e la lunghezza della falcata. Dopo avere analizzato l'arto pelvico ed il toracico in modo separato, passiamo ad una visione d'insieme. Al termine del paragrafo precedente si è data l'opportunità di valutare l'inclinazione del bacino e la sua funzionalità in rapporto alla propulsione. Altrettanto si è fatto più indietro trattando dell'arto toracico e l'inclinazione scapolare. Ad una profondita analisi, le articolazioni sono gli unici veri vincoli anatomici che impongono i movimenti agli arti: l'acetabolo dell'anca e quello della scapola concedono libertà di movimento ai rispettivi femore ed omero. Le libertà sono identiche per qualsiasi inclinazione di scapola e bacino. Sono quindi l'errato orientamento spaziale di queste a costituire i difetti di movimento dell'insieme. In effetti, un piede che poggi troppo in avanti rispetto alla verticale della scapola o dell'articolazione dell'anca, frena esageratamente l'andatura durante l'appoggio ed ha una azione porpellente modesta (in quanto la levata avviene in anticipo). Un piede che poggi dietro ai punti indicati, ha un potere frenante inferiore a confronto di un buon assieme, ma non realizza completamente la sua potenzialità propulsiva (come sempre la virtù sta nel mezzo). Ad andatura costante (velocità costante) si deve realizzare un movimento compatibilmente fluido con la struttura di razza. Durante accelerazione e decelerazione la fluidità viene turbata, ma si deve notare la spinta o la frenata. 4.9) L'analisi del movimento: l'occhio umano e le sue imprecisioni Il movimento deriva dell’attivazione muscolare generata dal Sistema Nervoso Centrale. Nella valutazione morfologica ha quindi grande importanza perché è l'analisi definitiva delle ossa, delle angolazioni articolari e della capacità dei muscoli di muovere la macchina cane. Tale importanza diviene ancora maggiore se si tratta di animali da lavoro che dimostrano le loro capacità tramite il movimento che dev'essere, per forza, efficiente. L'efficienza è appunto un parametro di giudizio del cane da lavoro. L'osservazione diretta dei soggetti non permette un'analisi precisa del loro moto. L'occhio umano difficilmente coglie tutti i complessi movimenti articolari in quanto la velocità di esercizio supera di molto le capacità dell'occhio umano. La minima precisione oculare si attesta all'incirca a venticinque fotogrammi/secondo (25 frames/sec). Ne è chiaro esempio la televisione che trasmette, appunto, minimo venticinque fotogrammi al secondo perché i movimenti del soggetto inquadrato risultino fluidi all'osservatore. Un numero di frames inferiore (per unità di tempo) permette all'occhio di distinguere i vari fotogrammi risultando una sequenza a scatti più o meno veloce: più diminuiscono i fotogrammi per secondo e più l'occhio rivela un moto a scatti. L'analisi di riprese di cani in movimento, effettuate con normali temecamere, non può essere quindi d'aiuto; tale strumento osserva il cane scattando solo venticinque fotogrammi al secondo. Anche l'osservazione di tali riprese al rallentarore non è da tenere in considerazione in quanto il numero di frames per secondo non permette la giusta analisi di ciò che avviene tra un fotogrammo e l'altro. Per questo motivo si utilizzano delle telecamere speciali che riprendono fino a mille frames/sec. Una osservazione di tali riprese può essere osservata al rallentatore risultando fluida e giudicabile. 4.10) Le riprese ad alto numero di frames Le riprese ad alto numero di frames si sono effettuate in laboratorio usando un tappeto mobile (tapis roulant) ove veniva fatto muovere un cane alle diverse andature. Per tali riprese si possono utilizzare una o più telecamere che riprendono il soggetto da varie angolazioni. La dotazione minima è una telecamera posta in cavalletto che effettua le riprese perpendicolarmente alla direzione di moto del cane. Al soggetto sono stati posizionati, in determinate parti del corpo, dei marcatori. I marcatori sono degli autodesivi retroriflettenti che permettono di rilevare il loro posizionamento e quindi concedono una corretta analisi dei movimenti del cane. I marcatori vengono fatti aderire sul soggetto in stazione naturale, parallelo al piano sagittale, con gli appiombi corretti e la testa nella posizione dell'andatura che si vuol far eseguire: la pelle, durante il moto, scorre e si muove sia sulle articolazioni che sul corpo. Quindi, un non corretto posizionamento dei marcatori genererebbe degli errori di rilevamento rendendo inutilizzabili le rilevazioni video. I marcatori sono stati fatti aderire alle seguenti strutture anatomiche: spina della scapola in posizione dorsale, acromion-trochitere, epicondilo laterale dell'omero, processo stiloideo ulnareosso ulnare del carpo, articolazione metacarpofalangea del quinto dito, cresta iliaca, grande trocantere del femore, epicondilo laterale del femore-testa della fibula, malleolo laterale della tibia, articolazione metatarsofalangea del quinto dito. L'illustrazione successiva riporta i punti di repere durante l'andatura di trotto ripreso con telecamera. Sono stati estratti dal filmato alcuni frames a campione per evidenziare il lavoro svolto. Le riprese sono state elaborate al computer e messi in risalto i marcatori (uniti poi con delle linee rette). Disegno 62: elaborazione al computer di fotogrammi scattati a cane in movimento su tapis roulant. 4.11) Le lastre piezoelettriche Si tratta di strutture strumentate aventi sensori piezoelettrici. Sono dette intelligenti in quanto hanno la capacità di registrare le modificazioni ambientali tramite campi magnetici. Le strutture intelligenti, capaci di avvertire modificazioni del proprio stato o dell’ambiente in cui si trovano, sono largamente studiate e trovano un sempre più vasto impiego in numerosi campi, aprendo nuove frontiere. Componenti essenziali di una struttura intelligente sono i sensori e gli attuatori. Essi sono comunemente realizzati utilizzando materiali “adattativi” caratterizzati dalla capacità di trasformare energia da una forma in un’altra (energia meccanica in elettrostatica). Non entrando nel merito matematico-fisico di funzionamento, l'applicazione alla cinematica diviene rilevante quando ci si interroga sulla valenza delle teorie di quegli autori che hanno trattato il movimento del cane nel diciannovesimo e parte del ventesimo secolo. Facendo muovere il cane su lastre piezoelettriche, queste permettono di misurare le forze perpendicolari (peso del cane) e tangenziali (forza di trazione del piede per generare movimento) che si sviluppano, in quanto lo spostamento delle cariche elettriche conseguente ad una deformazione meccanica induce una polarizzazione elettrica all’interno del materiale costituente le lastre. A tale polarizzazione corrisponde una differenza di potenziale tra gli elettrodifissati al materiale che può essere misurata. I risultati ottenuti possono essere elaborati assieme alle riprese ad alto numero di frames e, di conseguenza, valutare i ritmi degli appoggi alle varie andature, capire quale parte del piede poggia per prima e quale lascia il terreno per ultima, come si sviluppano le pressioni sotto le zampe, quali sono i momenti in cui gli arti sono solo in appoggio, come viene distribuito il peso, quali zampe esercitano locomozione in un determinato istante, ecc. 4.12) La cineradiografia Le tecniche a raggi X si svilupparono a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo come sistema d'indagine medico non invasivo. La cineradiografia non è altro che l'evoluzione della radiografia in quanto si tratta di immagini radiografiche ad alta velocità. Il cane viene quindi osservato ai raggi X (in laboratorio) mentre si muove su un tapis roulant. Le immagini riprese vengono poi registrate su un supporto (cd, dvd, videocassetta, ecc) per poter essere visionate. La cineradiografia pemmette di analizzare il comportamento e l'orientamento spaziale delle strutture ossee durante il movimento. Molte delle ipotesi sull'orientamento spaziale delle ossa durante il movimento del cane sono divenute obsolete proprio grazie a questo sistema d'indagine. 4.13) Le andature L'andatura è una determinata sequenza di movimenti che indica lo schema degli appoggi alle varie velocità. Le andature vengono divise in simmetriche (passo, ambio, trotto, ecc) ed asimmetriche (canter, galoppo, ecc). Il passo, il passo ambiosimile, il passo trottosimile, il passo volante, l'ambio, l'ambio rotto, il canter, il trotto, il galoppo rotatorio, ecc, sono tutte andature che vengono riconosciute tramite la sequenza degli appoggi, il ritmo ed il numero di arti poggianti al suolo durante un ciclo. Per ciclo intendiamo “una serie di appoggi ripetitivi e diseguali tra loro”. Un ciclo si compie quando il cane, durante un'andatura, ripete un appoggio, oppure quando tutti i piedi hanno toccato il terreno almeno una volta (lunghezza della falcata). Un ciclo può indistintamente iniziare da qualsiasi piede come succede in Natura. Per “frequenza della falcata” s'intende il numero di falcate compiute nell'unità di tempo (minuto). Con il termine “passo” definiamo, infine, lo spazio percorso da un piede dalla levata all'appoggio successivo (l'unità metrica è il centimetro). Nell'azione del piede, durante un ciclo, si evidenziano: swing (dall'inglese “oscillazione” e si riferisce alla sospensione, cioè ad un piede non in appoggio), lift (dall'inglese “elevatore” e si riferisce ad un piede in elevazione, stacco), thrust (dall'inglese “spinta” e si riferisce ad un piede che genera una spinta), support (dall'inglese “supporto” cioè in appoggio vero e proprio supportando una parte o tutto il peso del cane). L'azione del piede verrà trattata nei disegni delle sequenze degli appoggi alle varie andature. Le andature si suddividono in simmetriche ed asimmetriche. 4.13.1) Le andature simmetriche Viene definita andatura simmetrica quel modo di muovere gli arti che trova corrispondenza da ambo i lati (anche se sfalsato temporalmente). Se il movimento dei piedi sinistri corrisponde a quello dei piedi destri, si ha un'andatura simmetrica o speculare. Passo, ambio e trotto sono andature simmetriche che si distinguono per il ritmo degli appoggi di AS e PS, oppure AD e PD (dove AS è l'anteriore destro, PS è il posteriore sinistro, AD l'anteriore destro e PD il posteriore destro). Quindi, ricordando che un ciclo si compie quando il cane, durante un'andatura, ripete un appoggio, possiamo dire che l'intervallo che intercorre tra i due appoggi sinistri o destri definisce il ritmo degli appoggi. 4.13.1.1) Il passo o camminata Disegno 63: ciclo completo dell'andatura “passo normale”. È l'andatura simmetrica più lenta e meno faticosa delle conosciute. Si svolge quasi sempre con almeno tre piedi in appoggio (formula di appoggio). La sequenza di un ciclo completo è la seguente: PD → AD → PS → AS oppure PS → AS → PD → AD Si tratta di un'andatura a quattro tempi e si suddivide in: -- passo raccorciato; -- passo normale; -- passo allungato. Nel passo raccorciato il piede posteriore non va in appoggio sull'orma del rispettivo piede anteriore, ma più indietro. Nel passo normale il piede posteriore va in appoggio sull'orma del rispettivo piede anteriore. Nel passo allungato il piede posteriore non va in appoggio sull'orma del rispettivo piede anteriore, ma più avanti. Durante il moto gli appoggi non sono quattro, ma tre. Si parlerà, come detto più sopra, di “triangolo di sostegno”, cioè il cane rimarrà in equilibrio se il suo baricentro cadrà all'interno del triangolo Disegno 64: ciclo completo dell'andatura “passo volante”. formato dalle linee che raccordano i tre piedi in appoggio. Come esempio si prenda la solita sedia. Se a questa viene asportata una gamba, si ribalterà nella direzione della gamba mancante in quanto le sedie sono costruite per ripartire il loro peso su quattro appoggi in egual misura. Il concetto appena espresso vale per il passo raccorciato in quanto il baricentro cade sempre all'interno del triangolo di sostegno e l'arto sollevato è libero di compiere il passo in un tempo variabile. Ma cosa avviene nel passo normale e nell'allungato? Durante queste andature il cane si trova sempre in equilibrio su tre arti ma con il baricentro del corpo che cade più in avanti ed al di fuori del triangolo di sostegno: è quindi sempre sbilanciato, alternativemente, in direzione dell'arto toracico sollevato (in avanti e lateralmente). Questo sbilanciamento è noto con il nome di spiazzamento laterale e può essere paragonato al termine “deriva” usato nella nautica. Chi ha seguito le gesta di Luna Rossa in un match di Coppa America (rinomata manifestazione velica), ha presto capito che puntare la prua in una direzione non vuol dire percorrere un tragitto in modo rettilineo (come avverrebbe con una bicicletta) perché l'imbarcazione è sottoposta alle correnti marine e ad altre forze. Nel caso particolare delle imbarcazioni, la “deriva” è un particolare spiazzamento laterale abbastanza costante e che incide sulla navigazione di un determinato angolo (angolo di deriva). Il cane subisce invece uno spiazzamento laterale variabile, che ondeggia con moto costante (se il cane mantiene una velocità costante) e movimento pendolare. Per un cane che si muove in direzione nord, lo spiazzamento laterale oscilla da nord-est a nord-ovest, a seconda se l'arto sollevato è il toracico destro od il toracico sinistro. Dalla risultante delle forze in gioco risulta che il passo normale ed allungato (intesi come andature) sono moti invisibilmente serpeggianti per i cani galoppatori, ma degni di nota in quelle razze che possiedono un rettangolo di sostegno ove le basi (distanza tra gli appoggi posteriori o anteriori) e l'altezze (distanza tra piede anteriore e posteriore) tendono più a formare un quadrilatero di forma che si avvicina al quadrato piuttosto che ad un lungo e snello rettangolo. Per quello che riguarda il ritmo degli appoggi, nel passo normale è pari a circa ¼ del ciclo. Esistono delle andature di transizione tra il passo e l'ambio (molto usate dai cani) e che vengono definite “ambio-simili” (es. ambio rotto) in quanto non accomunabili a nessuna delle due. In effetti, il ritmo degli appoggi è circa 1/8 del ciclo (ma possono svilupparsi andature comprese tra zero e 1/8 di ciclo, dipendendo dalla lunghezza del cane, dalla lunghezza degli arti, dalle angolature, ecc). Questo concetto vale anche per altre andature intermedie. Come esistono andature di transizione tra passo ed ambio, altrettanto si può dire tra passo e trotto. Tali andature vengono definite passo trotto-simili ed il ritmo degli appoggi si aggira attorno a 3/8 di ciclo. Disegno 65: ciclo degli appoggi durante l'andatura "passo". Disegno 66: ciclo degli appoggi durante l'andatura "passo volante". 4.13.1.2) Trotto È un'andatura simmetrica a due tempi ove si alternano in appoggio AD + PS (detto diagonale destro) e AS + PD (detto diagonale sinistro). AD e PD come AS e PS poggiano più o meno nello stesso punto. Il centro di gravità del cane cade più o meno nel mezzo della diagonale bipedale (per meglio dire “attorno”), cioè in vicinanza della linea che congiuge AD-PS o AS-PD a seconda appunto della diagonale in appoggio. Un cane costruito bene non genera la cosiddetta “interferenza” tra AD e PD o AS e PS, in quanto AD (o AS) si solleva dal terreno un attimo prima che sul terreno si appoggi PD (o PS). L'interferenza, azione che esegue il piede posteriore colpendo l'anteriore dello stesso lato, non deve essere confusa con il normale movimento che avviene in andature più sostenute (come il trotto volante, canter e galoppo) e dove il movimento di avanzamento non in asse (cioè la spina dorsale non è perfettamente in asse con la direzione di marcia) è destinato ad ovviare che anteriori e posteriori si tocchino. La maggior parte dei Setter Inglesi non muovono al trotto (specialmente quelli da lavoro), passando dal passo allungato (o volante) direttamente al trotto volante, palesando un movimento non in asse. L'Esperto, prima di giudicare ed additare un cane come generatore d'interferenza anteriore-posteriore, dovrebbe saper analizzare molto bene l'andatura alla quale il cane si muove. Disegno 67: ciclo completo dell'andatura "trotto classico". Trattando dei galoppatori da ferma inglesi, bisogna ricordare che tali razze non sono costruite per lavorare al trotto e denunciano, a tale andatura, un sali scendi al garrese (ed un rollio) ben più evidente dei continentali da ferma (i quali evidenziano il single tracking già al trotto). Inoltre, non alzano il pastorale fino a portarlo parallelo al terreno (come i continentali) ma tendono a non superare i quarantacinque gradi sessagesimali. I galoppatori inglesi (più i Setter Inglesi degli altri avendo un rapporto altezza/lunghezza più piccolo delle altre razze inglesi da ferma) evidenziano un saliscendi al garrese (ed un rollio) inferiore durante il galoppo che al trotto, essendo appunto costruiti per esercitare il loro lavoro ad andatura sostenuta. Rollio e saliscendi consumano energia sia per generarle che per frenarle. Dal punto di vista energetico sono dispendiose. I tipi di trotto sono: -- trotto corto l'impronta del piede posteriore non raggiunge quella dell'anteriore dello stesso lato; -- trotto classico l'impronta del piede posteriore si sovrappone a quella dell'anteriore dello stesso lato. Nel trotto classico il ritmo degli appoggi è pari a circa ½ ciclo ma, esitendo differenti tipi di trotto (e loro “sfumature”), possiamo approssimare tale dato a ±10%; -- trotto volante È un'andatura più veloce del trotto ordinario e che permette al cane un periodo di sospensione. La velocità di esecuzione fa sì che l'appoggio del piede posteriore superi il corrispettivo piede anteriore; -- trotto steppato È un'andatura a due tempi uguale al trotto ma gli arti in sospensione vengono portati esageratamente in alto. Disegno 68: ciclo degli appoggi durante l'andatura "trotto classico". 4.13.1.3) Ambio È un'andatura simmetrica a due tempi (più veloce del passo) nella quale il cane appoggia contemporaneamente i piedi AD + PD (detto laterale destro) o AS + PS (detto laterale sinistro). Durante il movimento, lo spostamento del peso da destra a sinistra (e viceversa) genera un momento di ribaltamento alternato chiamato rollio. Tale andatura è defaticante e decontratturante e viene evidenziata dai cani galoppatori per “riposare” i muscoli senza interrompere l'azione di caccia. Disegno 69: ciclo completo dell'andatura "ambio". Durante questa andatura il ritmo degli appoggi è uguale a zero in quanto i piedi destri (o sinistri) appoggiano in contemporanea. Un cane costruito bene non genera la cosiddetta interferenza diagonale tra AD e PS o tra AS e PD, in quanto, oltre a non avere difetti morfologici, non ambia in single tracking. Le modifiche all'ambio sono: -- ambio volante differisce dall'ambio perché sussiste un periodo in cui il cane si trova sospeso per aria senza alcun appoggio (sospensione); -- ambio rotto è un'andatura simmetrica simile all'ambio, ma la coordinazione tra AD e PD o AS e PS non è perfettamente in fase (il piede posteriore stacca da terra una frazione di secondo prima dell'anteriore). Si può classificare come andatura di transizione tra il passo ed il trotto. In effetti il ritmo degli appoggi varia da zero a 1/16 di ciclo. Disegno 70: ciclo degli appoggi durante l'andatura "ambio". 4.13.2) le andature asimmetriche Viene definita andatura asimmetrica quel modo di muovere gli arti che non trova corrispondenza da ambo i lati. Se il movimento dei piedi sinistri non corrisponde a quello dei piedi destri, si ha un'andatura asimmetrica (o non speculare). Galoppo e canter sono andature asimmetriche. 4.13.2.1) Galoppo È una andatura a quattro tempi che può essere seguita da una o due sospensioni. Fino ad ora abbiamo trattato le andature come movimenti che generano spostamento di pesi ed affermando che a quelle più veloci gli arti pelvici sono gli unici a generare la spinta verso l'alto (per generare la sospensione del tronco). Ciò era una semplificazione perché nella realtà a tale spinta verso l'alto contribuiscono anche gli arti toracici (vedi anche “Dal garrese alla groppa: l'inarcamento e la flessione laterale della colonna vertebrale”). Disegno 71: ciclo completo dell'andatura "galoppo rotatorio". La sequenza degli appoggi nel galoppo è chiamata “sequenza rotatoria”: PD → PS → AS → AD oppure AD → PD → PS → AS. Questi due schemi differiscono per il piede guida (cioè il secondo anteriore che va in appoggio durante il ciclo). Il laterale destro ed il laterale sinistro non effettuano la stessa spinta motoria: durante la sequenza rotatoria, la spinta maggiore è generata dal laterale opposto al piede guida, cioè la coppia di piedi che genera più lavoro è la controlaterale al piede guida. Quando AD guida (prima sequenza in alto), la spinta maggiore viene generata dal laterale sinistro (PS e AS). Quando AS guida (seconda sequenza), la maggiore propulsione viene data dal laterale destro (PD e AD). Le andature asimmetriche (come il galoppo) affaticano quindi di più un laterale dell'altro. I cani galoppatori da ferma utilizzano indistintamente l'uno o l'altro laterale, essendo anche capaci di scambiarli durante il movimento. Alle andature veloci è facile notare il ritmico saliscendi della testa. Taluni autori lo correlano ad un stato che genera equilibrio con le restanti parti del corpo. Questo argomento è stato precedentemente analizzato spiegando che esiste una relazione anatomica tra l'estensione in avanti della testa ed in alto dell'arto toracico (ad aumentare la falcata), i muscoli della schiena e le vertebre del collo. Un galoppatore che oscilla troppo poco in su è giù la testa e lo fa lentamente, non sfrutta appieno i muscoli coinvolti nella locomozione e quindi la spinta dei suoi arti risulta inferiore alle potenzialità. Negli standars di lavoro può essere estetico ma non certo scientifico trattare del movimento delle orecchie durante il galoppo. Gli errori nell'oscillazione e nella ritmicità sono gli unici parametri che possono istillare un sospetto di plausibile patologia osteoarticolare od errata costruzione morfologica. Disegno 72: ciclo degli appoggi durante l'andatura "galoppo rotatorio". I tipi di galoppo possono essere classificati a seconda del numero di sospensioni: Disegno 73: ciclo completo dell'andatura "galoppo trasversale". -- il galoppo ad una sospensione (o diagonale) Il galoppo ad una sospensione (andatura a quattro tempi) prevede una fase in cui il cane è sospeso. La sequenza degli appoggi è la seguente: AD → AS sospensione PD → PS È una forma di galoppo utilizzata da cani di una certa mole e con schiena poco flessibile; -- il galoppo a due sospensioni Nel galoppo a due sospensioni (andatura a quattro tempi) si prevedono due fasi in cui il cane non tocca terra. La sequenza degli appoggi è la seguente: AD sospensione AS → PD → PS sospensione A questa andatura il cane produce un'estensione ed un accorciamento del tronco molto evidente: i piedi dell'arto pelvico possono arrivare a sopravanzare quelli toracici durante l'inarcamento lombare nella sospensione. La loro posizione incrociata prevede che i piedi degli arti posteriori si trovino allungati e raccolti sotto l'addome (fino a raggiungere il fianco), mentre gli anteriori sono più larghi. È una forma di galoppo utilizzata da cani da con schiena flessibile; -- il galoppo a tre sospensioni È stato saltuariamente osservato in taluni cani molto veloci come i levrieri. -- il galoppo a quattro sospensioni Verificato solo matematicamente ma non esistono esempi in Natura.. Disegno 74: ciclo degli appoggi durante l'andatura "galoppo trasversale". 4.13.2.2) Canter Disegno 75: ciclo completo dell'andatura "canter". La parola “canter” è la contrazione di “galoppo di Canterbury”. È un'andatura di resistenza dove l'anteriore del cane sembra sobbalzare alternativamente al posteriore. È più veloce del trotto volante dove due piedi si muovono in contemporanea con i seguenti schemi: AS → AD + PS → PD oppure AD → AS + PD → PS. Quando il cane guida con AS, AD e PS si muovono assieme (ritmo degli appoggi uguale a zero). Quando il cane guida con AD, AS e PD si muovono assieme (ritmo degli appoggi uguale a zero). Esistono, come nelle altre andature, modi di canter “diversi” e possiamo distinguerli in: -- canter di funzionamento: è il canter naturale messo in pratica da un soggetto, che procede con una lunghezza di passo "normale"; -- canter medio: si tratta di un canter che possiamo collocare fra il canter di funzionamento ed il canter esteso. Ha passi più estesi ed alla vista risulta un movimento più “rotondo” con proiezione in avanti degli arti che rispettano un'estensione moderata. -- canter raccolto: è un'andatura dove il peso del cane è spostato verso i quarti posteriori, i passi sono più corti, ravvicinati e raccolti. -- canter esteso: è un'estensione del canter dove il cane allunga ed accelera il passo. La testa mette in risalto rapidi proiezioni ritmiche in avanti È la fase antecedente al galoppo. Disegno 76: ciclo degli appoggi durante l'andatura "canter". 4.13.3) Il salto Il salto è un movimento con cui il cane si stacca dal terreno (con tutti e quattro gli appoggi) per ricadere nello stesso punto od altrove, anche su un piano di quota differente. L'andatura principe usata dai galoppatori inglesi, prima dello stacco da terra, è il canter (e le sue “sfumature”), dove i piedi anteriori si trovano uno innanzi all'altro. Durante le prove di lavoro e per coloro che hanno l'occhio allenato, è comune osservare cani al galoppo cambiare velocemente andatura in preparazione al salto di un fosso, per poi riprendere a galoppare naturalmente. Al profano può sembrare che il soggetto osservato cambi solo il passo (od il piede guida), ma non è così. Taluni soggetti rallentano passando dal galoppo ad alcune fasi di canter preparatorie, altri cambiano andatura solo all'ultimo momento senza evidenziare variazioni di velocità. In pratica, si allunga od accorcia una o più falcate. Il piede guida (cioè degli anteriori quello che poggia più avanti) può essere sostituito prima del salto, a seconda della scelta del cane e del tipo di ostacolo da affrontare: più alto è l'ostacolo e maggiore sarà il tempo dedicato alla fase preparatoria. Il salto si evolve dall'anteriore al posteriore e le forze in gioco proiettano il cane verso l'alto. Nella fase preparatoria, il cane punta l'anteriore, carica il collo portando la testa verso il basso, per poi protenderla rapidamente in alto. Nel mentre, viene incurvata la schiena (zona lombare) e gli arti pelvici vengono raccolti sotto il cane. Il movimento di estensione del collo è subito seguito dalla spinta degli arti toracici che proiettano verso l'alto l'avantreno. Segue poi l'estensione della colonna vertebrale (all'altezza dei lombi) e degli arti pelvici (che danno propulsione verso l'alto a tutto il corpo). Disegno 77: forze in gioco all'inizio del salto. L'analisi del salto, tramite telecamere ad alto numero di frames, permette di capire che il movimento della testa e la spinta degli arti toracici genera una elevazione della parte anteriore del cane. Si tratta di una leva di secondo genere ove il fucro “F” è l'appoggio dei posteriori, la resistenza “R” è il peso del cane applicato al suo baricentro e la forza “P” è generata dall'arto toracico che spinge verso l'alto l'avantreno del cane, coadiuvando la spinta del posteriore per lo stacco completo. Taluni autori prendono in cosiderazione il movimento della testa esclusivamente come uno spostamento del baricentro del cane all'indietro (per scaricare l'anteriore e facilitare la propulsione verso l'alto generata dagli arti toracici). Ciò affermato è sicuramente vero, in quanto spostare il peso della testa all'indietro sposta il baricentro totale del cane un po' verso la zona caudale. Ma non è tutto. Il movimento della testa (che si porta dal basso in avanti, all'alto ed indietro) è sincrono con le restanti parti dell'avantreno e genera un momento rotatorio (antiorario se il cane si muove dalla sinistra alla destra dell'osservatore) che si scarica sulla colonna vertebrale e che coadiuva la spinta dell'anteriore per il sollevamento (disegno 77). In effetti, i movimenti della testa e degli arti toracici sono sincronizzati e combinati a creare una sommatoria di forze simili ad un'onda propulsiva. L'azione combinata degli anteriori e del collo, oltre ad innalzare l'avantreno, serve a posizionare il tronco verso la direzione dello stacco, cioè indica la pendenza dell'arco ascendente della parabola che compirà il cane durante il salto. La forza degli arti anteriori ha la capacità di alzare l'avanterno entro una certa angolazione. Per andare oltre e, per esempio, saltare una staccionata, deve intervenire a supporto il treno posteriore. Il posteriore, raccogliendo gli arti pelvici sotto l'addome, aumenta l'inclinazione della spina dorsale generata dalla spinta di stacco degli arti toracici. Più il cane raccoglie gli arti pelvici sotto di sé, più inclina la spina dorsale e quindi più acuta sarà la parabola che il cane compirà in volo. Inoltre, più gli arti pelvici sono raccolti stto il cane e più spintà potrà essere generata dai relativi muscoli (in accordo con la Fisiologia). A questo punto, per la propulsione finale, intervengono gli arti posteriori in combinazione con il raddrizzamento della colonna vertebrale (zona lombare). Le forze in gioco sono quindi due: la prima, direzionale, generata dalla combinazione di collo ed arti toracici (talvolta coadiuvata passivamente dagli arti pelvici nel loro raccogliersi sotto il cane), la seconda propulsiva, generata dai muscoli dei lombi e dagli arti pelvici. Più l'arco della parabola percorsa durante il salto è “dolce” e meno l'occhio noterà l'azione del collo, la flessione degli anteriori ed il raccogliersi di quelli posteriori. Il cane si trova ora per aria, in moto ascendente, con tutti e quattro i piedi in sospensione e gli arti toracici raccolti al petto più o meno allungati in avanti. Ed i posteriori? Non esiste un solo modo di posizionare gli arti pelvici durante un salto, come non esiste un unico modo di affrontare un salto da parte di uno specifico soggetto. Le varie posizioni sono correlate alla struttura del cane, alle sue capacità (agilità), alla sicurezza nell'affrontare l'ostacolo, al tipo di ostacolo ed a cosa si prepara a fare dopo l'atterraggio. Alcuni esempi sono: -- distesi all'indietro; -- raccolti sotto il cane (come in posizione a sfinge) con i pastorali paralleli al terreno; -- raccolti sotto il cane (come in posizione seduta) con i pastorali perpendicolari al terreno; -- raccolti sotto il cane (come in posizione seduta) con i pastorali rillassati (a penzoloni). Durante il volo il cane può effettuare delle piccole modifiche od aggiustamenti alla traiettoria, oltre a decidere l'orientamento spaziale che deve avere il corpo nel momento in cui toccherà terra. Con lo stesso sistema appena accennato (posizione della testa rispetto al tronco), usa tronco, arti, coda e collo per bilanciarsi. Ricordiamo l'importanza della lunghezza dei bracci di leva: al loro aumentare aumenta anche la forza generata dal peso applicato. Se il peso rimane costante (e non può essere altrimenti nel nostro caso), la forza cresce all'aumentare della lunghezza del braccio. Complicando un po' le cose (ma non troppo), possiamo affermare che il baricentro del corpo del cane è la risultante della combinazione del baricentro del tronco, degli arti, della coda, del collo e testa. Aggiungiamo, inoltre, la possibilità di inarcare e flettere lateralmente la spina dorsale, modificando anche la lunghezza e la direzione di questo braccio di leva. Se la testa, o gli arti toracici, o gli arti pelvici, o la coda (o tutti insieme) vengono protesi in avanti, il baricentro del cane si sposterà un po' in avanti. Se gli arti toracici, i pelvici, la testa e la coda vengono portati indietro, il baricentro si sposterà indietro. L'inarcamento della colonna vertebrale comporta l'avanzamento del baricentro, la flessione laterale lo spostamento a destra o sinistra. Esistono quindi molteplici combinazioni (e quindi soluzioni) che il cane può mettere in pratica quando si trova in aria. Solitamente, il cane che si appresta a saltare calcola prima dello stacco da terra le forze da mettere in gioco: i parametri valutati sono la velocità di approccio all'ostacolo, l'altezza che deve raggiungere e l'acuità della parabola che il corpo deve percorrere, cioè quanta forza è necessaria per raggiungere la quota prevista ed in che posizione il corpo ci deve arrivare. Durante il moto ascendente (parte ascendente della parabola), difficilmente mette in pratica movimenti atti a modificare la traiettoria o la posizione del corpo nello spazio, a meno che non si accorga di qualche errore grossolano (od imprevisto) di valutazione antecedente lo stacco. Prima di raggiungere l'apice della parabola, inizia le manovre preparatorie per la discesa. Come antecedentemente detto, spostare la testa verso il basso e protendere in avanti gli arti ateriori (come raccogliere coda ed arti pelvici sotto l'addome), porta il baricentro in avanti. La velocità di esecuzione dei movimenti e l'allungamento di queste appendici governa la rotazione dall'indietro all'avanti del tronco: sarà alquanto brusco se le appendici vengono mosse contemporaneamente ed in modo rapido. Il tuffatore da trampolino conosce bene il movimento carpiato. Esso spezza il corpo all'altezza del bacino generando un movimento rotatorio in avanti che s'interrompe nel momento in cui recupera gli arti inferiori riallineandoli con il busto. Il cane si prepara così alla fase discendente prima dell'atterraggio. Nel mentre tocca terra con gli anteriori, solleva la testa (puntandola nella direzione della prosecuzione della marcia) ed allunga gli arti pelvici verso i toracici (ricordiamo al lettore che l'innalzamento della testa premette un migliore protensione in avanti degli arti toracici). I piedi anteriori vanno quindi in appoggio e la loro forza, oltre a supportare l'impatto, è dedicata ad accompagnare il busto nella nuova direzione. L'atterraggio viene effettuato con un piede anteriore innanzi all'altro (piede guida) od alla pari, a seconda dell'altezza dell'ostacolo, di come è stato affrontato e della posizione del tronco al momento dell'impatto col terreno. Questo fatto si verifica in quanto la forza di caduta da contrastare nel momento dell'impatto (da parte degli arti toracici) cambia a seconda dell'inclinazione del busto ed alla velocità relativa del cane. Saltare una palizzata da fermo non è la stessa cosa che saltarla in corsa: da fermo lo spazio percorso (inteso come tragitto e non come parabola) si limita a poche decine di centimetri ed il cane cade quasi in verticale scaricando tutto il suo peso sulla struttura osteoarticolare anteriore. In salti ove il dislivello è minore, il cane atterra con una velocità d'avanzamento simile a quella della levata da terra ed il suo peso non si scarica completamente sugli arti anteriori come quando il tronco (o la colonna vertebrale) si trova quasi perpendicolare al terreno. Nel momento in cui i piedi degli arti toracici si trovano dietro alla oramai conosciuta proiezione della scapola a terra, la spina dorsale si è arcuata a livello lombare (assorbendo parte dell'impatto) e gli arti pelvici vanno in appoggio ben sotto il cane (fino ad equivalere o superare, talune volte, gli appoggi anteriori) imitando, nella propulsione in avanti, i toracici. Si ritorna così alle andature precedentemente illustrate. 4.13.4) Il nuoto Anche se non si può considerare il nuoto come una vera e propria andatura, un accenno è di rigore. Il movimento che genera propulsione può essere assimilato ad una andatura che va dal passo ad un trotto dalle ampie falcate. Come il remo della gondola, anche gli arti del cane sono sempre immersi nell'acqua. Cos'è allora che fa muovere in avanti gondola e cane? Per muovere la barca, il gondoliere modifica la superficie d'impatto del remo coll'acqua: per la propulsione in avanti, impatta e spinge l'acqua all'indietro con la parte del remo immerso che posside più superficie; per recuperare il remo e muoverlo in avanti mantenendolo immerso, piega i polsi e lo mette di taglio (muovendo così meno acqua durate il recupero). Altrettanto fa il cane in quanto modifica la superficie dell'arto nell'andirivieni della falcata: quando è esteso lo muove verso la zona caudale spostando una massa d'acqua maggiore di quando viene portato in avanti per riiniziare il ciclo. Il risultato è che la massa d'acqua spostata verso l'indietro è maggiore di quella spostata in avanti ed il cane si muove, appunto, in avanti. 4.13.5) Il movimento radente Il movimento radente del Setter Inglese è un'andatura di galoppo morbido e serpeggiante, ove gli arti vengono mossi vicino al terreno. Anche se taluni autori riportano il movimento radente come “il vero movimento di caccia del Setter Inglese”, non ve n'è traccia nello standard F.C.I. numero 2 del 07.09.1998. Valutando tale movimento dal punto di vista funzionale, l'andatura risulta svantaggiosa da molti punti di vista. Vediamo perché. -- Due soggetti della stessa lunghezza ed altezza al garrese, compiono lo stesso percorso. Il soggetto “radente” muove gli arti in modo raccolto, senza distenderli in modo completo ed effettuando così un numero di passi maggiore per coprire lo stesso percorso. Essendo il movimento a consumare energia (e non la lunghezza del passo), il movimento radente è sovraffaticante. -- L'andatura radente obbliga il cane ad uno stress articolare e muscolare maggiore: un'articolazione diritta o moderatamente flessa compie più facilmente il lavoro di supportare il peso del cane (impatto col terreno) e le forze che si sviluppano scorrono lungo la sua lunghezza per trasmettersi alle strutture superiori. Un'articolazione flessa subisce la maggior parte delle forze senza poterle scaricare completamente. -- Un'articolazione flessa obbliga i muscoli ad un lavoro eccessivo rispetto ad una articolazione moderatamente piegata. Camminate accucciati e vi renderete conto del perché. Il movimento radente è senza dubbio piacevole alla vista, ma dal punto di vista del bilancio energetico, stress articolare ed affaticamento muscolare, è molto svantaggioso. Aggiungiamo, inoltre, che i soggetti che muovono radente al terreno possono ferirsi la parte anteriore delle zampe con casualità maggiore di chi non muove in tale modo. E per il conduttore di un cane da lavoro non è certo la massima aspirazione. 4.14) L'apnea Il cane da lavoro, come similmente il centometrista uomo, va in “apnea” durante lo sforzo muscolare. Al contrario del quadrupede, l'uomo lo genera quasi sponaneamente conscio di raggiungere una prestazione migliore. L'apnea è fisiologica in quei soggetti che hanno un elevato numero di battute (galoppo) in quanto l'atto respiratorio (che coinvolge oltre ai muscoli toracici non interessati in questo particolare caso, i muscoli addominali ed il muscolo diafframmatico) comprometterebbe la spasmodica e ritmica contrazione dell'addome durante il movimento degli arti pelvici. In effetti, quando i piedi posteriori vengono portati sotto il cane (nell'allungamento verso l'avanti), i muscoli addominali sono contratti ed impediscono la normale respirazione. L'atto respiratorio ha i suoi tempi e che non coincidono con l'uso della muscolatura che genera il movimento. Quindi il cane “inspira quando può”, cioè quando gli addominali sono nella fase rilassata. Per semplificare e capire ciò che vorremmo sintetizzare, provate a contrarre gli addominali e contemporaneamente inspirare senza l'utilizzo dei muscoli toracici (cioè solo con il diaframma). Difficile eh? Quando l'introduzione dell'aria nei polmoni avviene con l'aiuto del diaframma e dei muscoli toracici, entra un gran volume d'aria che permette lo scambio alveolare dell'ossigeno, dell'anidride carbonica e di altre scorie metaboliche volatili. Quando gli addominali sono contratti, ne entra invece molta meno. Esiste un calcolo matematico (che omettiamo) riguardante la Fisiologia della respirazione che determina quanto la velocità di battuta nella ritmicità della corsa diminuisca gli atti respiratori profondi e quindi, nel contempo, diminuisca l'ossigeno che realmente entra in circolo nel sangue. Una diminuzione di ossigeno nell'organismo porta a calo fisico repentino, diminuzione di concentrazione psicologica, accumulo di sostanze del metabolismo muscolare, aumento del tempo di decongestionamento e di latenza muscolare, ecc. Questo si traduce, nel cane da lavoro, in “trascuro”, “sfrullo”, ignorare i richiami del conduttore, ecc. GLOSSARIO 1- Comportamentismo È l’indirizzo della ricerca secondo cui la Psicologia si basa sul comportamento osservabile. Si deve quindi prescindere da tutto ciò che a quello non è riconducibile. Gli sviluppi più recenti del Comportamentismo (neoComportamentismo) tendono a moderare l’originario radicalismo assegnando un ruolo attivo ai fattori che operano all’interno della mente. 2- Fusione Capacità di percepire come immagine unica le due immagini simili che cadono sulle retine. 3- Neotenia Si intende il mantenimento in età adulta di alcune caratteristiche giovanili. La teoria della neotenia è stata elaborata per la prima volta da Konrad Lorenz e poi applicata all'evoluzione delle razze canine da Lorna e Raymond Coppinger. In parte la neotenia è stata un fatto evolutivo, spontaneo, ma in parte è stato il tentativo volontario dell'uomo di mantenere il cane più possibile “bambino” dal punto di vista psichico. Il cucciolo infatti è più malleabile, più facile da educare e in assoluto molto più dipendente dall'uomo; quindi, i primi “selezionatori” umani accoppiarono tra loro i soggetti che restavano immaturi più a lungo dal punto di vista psichico. In questo modo l'uomo scoprì che stava modificando gradualmente anche l'aspetto fisico: infatti, il cane neotenico tendeva a mantenere anche la “faccia” (e non soltanto il cervello) di un eterno cucciolone. Sicuramente ignaro di leggi genetiche, l'uomo era comunque abbastanza intelligente da seguire un sistema di selezione empirico: prova e riprova, accoppia questo con quello e quello con quell'altro, alla fine scoprì di poter “plasmare” il cane in modi diversi e di poterlo adattare alle sue diverse esigenze. Le conseguenze dirette della domesticazione e della neotenia si ritrovano in modo più evidente proprio nei ceppi canini più antichi. Vedi anche “scala neotenica”. 4- Imprinting È il fenomeno del “ricevere un’impronta indelebile”. La scoperta dell’imprinting è di Lorenz, ma bisogna specificare che tale termine è in realtà applicabile (nel suo vero significato etologico) a sfondo prevalentemente sessuale solo ed esclusivamente ad alcune specie aviarie e mai al cane. Nel cane esistono, solo in alcuni periodi sensibili dello sviluppo del cucciolo, dei fenomeni definibili di simil-imprinting che però non sono minimamente paragonabili al vero fenomeno. In modo molto riduttivo esso consiste nel fenomeno per cui prevalentemente i maschi che nelle primissime ore di vita si sono improntati su una specifica figura umana, arrivano al momento della maturità sessuale a sostituire tale figura al conspecifico femminile e a preferirlo ad esso. 5- Neofobia È la paura istintiva di tutto ciò che non è conosciuto e processato nella fase “sensibile” della socializzazione del cane. 6- Bisogno È un’esigenza che deriva dalla biologia dell’animale di ottenere una risorsa particolare o di rispondere a un particolare stimolo ambientale od organico. Il termine “bisogno” è usato per descrivere sia le esigenze essenziali alla vita, sia quelle che, senza essere essenziali, sono di significativa importanza per l’animale. Non include invece le preferenze che sono di scarsa importanza per l’animale. 7- Variabili intervenienti Durante la trasduzione del segnale, le variabili intervenienti possono inficiare il reale valore dello stimolo od essere talmente intense da cancellarlo per sovrapposizione. Un esempio. Durante l'addestramento di un giovane soggetto da ferma, questi viene interessato da una rondine e, nel proseguo, gratificato dal piacere che prova nell'inseguirla a fondo anche dopo ripetuti richiami dell'addestratore. Il comando di rientro al piede viene quindi inficiato dalla variabile interveniente “rondine”. 8- Comportamento Si intende la risposta che l’animale mette in atto, facendo o non facendo qualche cosa, nel tentativo di organizzare la propria relazione con il mondo esterno. 9- Etogramma Si intende l’intero repertorio comportamentale che caratterizza la specie stessa. Ogni specie ha le proprie caratteristiche comportamentali, che sono il risultato di un adattamento al proprio ambiente. All’interno di questo etogramma “di specie”, nel cane, come in tutte le specie complesse dal punto di vista relazionale, vi sono grosse variabilità individuali. 10- Domesticazione È la pratica per cui l’uomo alleva gli animali di suo interesse, controllandone gli accoppiamenti e operando quindi una selezione artificiale. Questo implica che l’uomo è naturalmente portato a selezionare chi ha maggior successo riproduttivo nelle condizioni che l’uomo stesso pone e che per lo più sono le maggiormente convenienti per l’uomo e meno per l’animale. Un esempio. Si spingerà più facilmente la selezione di cani maschi riproduttori che siano di “bocca buona” nella scelta del partner femminile più che altri che tendono a scegliersi un partner solo per tutta la vita e che anche per scegliere quello hanno gusti difficili. Lo stesso si può dire per le cagne da adibire a fattrici. Così facendo si sarà eseguita una scelta di riproduttori che tenderanno alla generalizzazione sessuale e che, con buona probabilità, qualche volta potranno confondere facilmente anche i ruoli della figura umana. Ciò porta con sé una serie di implicazioni dal punto di vista comportamentale veramente ampia. 11- Accomodamento Sta a indicare il processo mediante cui le strutture proprie della mente, in particolare gli schemi, vengono adattate agli oggetti esterni. Accomodamento ed assimilazione costituiscono le due funzioni costanti grazie a cui la mente in ogni fase del suo sviluppo realizza un adattamento sempre più perfezionato rispetto agli oggetti esterni. Assimilazione: il termine indica il processo per cui una struttura mentale (vedi punto18) già esistente viene estesa a uno stimolo nuovo. Costituisce un esempio di assimilazione il fatto che il cucciolo estenda il riflesso della suzione a tutti i corpi dotati di una certa termicità e morbidezza. 13- Condizionamento È il processo mediante cui un organismo cambia il proprio modo di rispondere agli stimoli esterni. Si distinguono un condizionamento rispondente (Pavlov) e un condizionamento operante (Thorndike e Skinner). -Condizionamento rispondente Inizialmente lo stimolo suscita in modo naturale (come riflesso) la risposta R. Allo stimolo si associa ripetutamente un altro stimolo, che da solo non susciterebbe la risposta R. -Condizionamento operante Uno stimolo interno suscita una risposta R consistente in un certo comportamento. In maniera casuale questo comportamento ottiene un risultato positivo (per esempio il ritrovamento del cibo) indicato con S2; grazie a questo “premio”, detto rinforzo, in seguito tenderà a ripetersi il comportamento che è stato premiato con lo stimolo rinforzante S2. Si tratta, in altre parole, di un apprendimento “per tentativi ed errori” che si basa su una risposta fornita dal soggetto nel corso del suo operare. La Psicologia di orientamento comportamentistico tende a ricondurre ogni forma di apprendimento ai processi di condizionamento. 14- Riflesso È la risposta spontanea che un organismo vivente fornisce in occasione di uno stimolo proveniente dall’esterno. 15- Egocentrismo È la mancanza di distinzione tra l’io ed il mondo esterno. Il neonato, nel suo “egocentrismo assoluto”, non distingue gli oggetti fisici dalle sensazioni che egli stesso prova. Lo sviluppo, in generale, è interpretato come un superamento dell’egocentrismo, un superamento che si compie in maniera definitiva solo con la maturità. 16- Schema È una particolare connessione stimolo-risposta, ossia una modalità di risposta mediante cui la mente reagisce agli stimoli provenienti dall’ambiente fisico. 17- Stimolo È, in generale, l’evento della realtà fisica che suscita una risposta da parte dell’organismo vivente o, più in particolare, delle sue funzioni psichiche. 18- Struttura mentale Indica un complesso di regole operative mediante cui la mente collega in un tutto organico le sue molteplici funzioni. In senso meno tecnico, il termine “struttura” è usato per indicare le funzioni organizzatrici, ovvero le categorie, mediante cui la mente opera sui materiali della conoscenza, unificandoli in sistemi ed elaborando l’informazione ad essi relativa. 19- Osservazione È un procedimento selettivo e si differenzia dal semplice guardare perchè lo sguardo dell'osservatore è guidato dalle ipotesi che egli ha formulato e mira ad ottenere le informazioni rilevanti nel modo più accurato ed efficace. Di conseguenza, l'osservazione non è di per sé obiettiva nel senso di permettere una registrazione diretta e fedele della realtà, anzi, è costantemente esposta al rischio della soggettività, della parzialità, e agli errori o distorsioni che ne derivano. L'osservazione diventa obiettiva soltanto nella misura in cui viene condotta secondo procedure controllate, cioè sistematiche, ripetibili e comunicabili. D'altra parte, almeno per quanto riguarda lo studio sul comportamento canino, l'assunto dell'obiettività dell'osservazione deve fare i conti con la difficoltà di stabilire i confini netti e precisi tra chi osserva e chi è osservato. Anche se nell'osservazione controllata osservatore e osservato non coincidono mai, rimane tuttavia il problema che il cane osservato non può essere considerato indipendente da chi lo osserva, nel senso che l'atto di osservare può modificare o alterare in modo incontrollabile il comportamento del cane per il semplice fatto che egli sa di essere osservato. A seconda del contesto teorico in cui viene svolta l'osservazione, questo problema può dimostrarsi più o meno importante. In uno studio etologico, ad esempio, l'obiettività, la non intrusività, il distacco tra osservatore e osservato dev'essere garantita. Un altro problema riguarda il cosa osservare. Anche in questo caso l'obiettivo dell'osservazione viene determinato dal paradigma teorico di riferimento adottato oltre che dalla formulazione di ipotesi specifiche che operazionalizzano un determinato fenomeno o problema di ricerca. In funzione del paradigma teorico cui si fa riferimento, è possibile distinguere metodiche di osservazione diverse. Ciò significa che non esiste un metodo d'osservazione valido in assoluto, ma esistono obiettivi di ricerca diversi cui corrispondono di volta in volta metodi più o meno appropriati. Lo stesso discorso si applica alla scelta tra metodi di osservazione e metodi sperimentali: non si può evidentemente parlare di superiorità dei primi sui secondi o viceversa. Un terzo problema legato all'osservazione riguarda il “come osservare”. L' osservazione, infatti, deve essere svolta eliminando contemporaneamente le possibilità di errore che potrebbero inficiare la validità e l'attendibilità delle osservazioni condotte e legate al soggetto della ricerca e all'osservatore. Inoltre, a seconda del grado di controllo che il ricercatore sceglie di esercitare sulle condizioni in cui si svolge l'osservazione (la situazione, il soggetto e il suo comportamento), le diverse metodiche si possono collocare lungo un continuum che va dal grado minimo (osservazione in libertà) al grado massimo di controllo (osservazione in laboratorio). L'ultimo problema che si pone in questo campo riguarda il “quando osservare”, cioè la durata delle osservazioni e la loro frequenza. Ancora una volta la risposta non è unica, ma dipende dalla natura e dagli obiettivi della ricerca, purché si rispetti la regola che i dati ottenuti siano rappresentativi del fenomeno studiato. 20- Periostio È una membrana di tessuto connettivo che riveste le ossa ad eccezione delle zone ove trovano inserzione legamenti, tendini o cartilagini. E inoltre importate nelle fasi di ririparazione posttraumatica. 21- Feromone Sono dei composti organici semplici, dal peso molecolare piuttosto moderato, condizione necessaria per ottenere una corretta volatilità.La maggior parte di questi composti appartiene agli acidi carbossilici, alcoli, chetoni, aldeidi, ammine, steroli, terpeni e alcuni alcani. Buona parte di queste secrezioni è poco marcata, quindi poco identificabile per via olfattoria dell’uomo. Al contrario, certe secrezioni ricche in ammine sono piuttosto sgradevoli. È il caso delle secrezioni anali ricche di tali costituenti, quali putrescina, cadaverina e trimetilamina, che sono associate all’indòlo. Nelle secrezioni vaginali, come anche nelle urine, esistono derivati fenolici che sembrano coinvolti nella comunicazione sessuale. Anche se la maggior parte di tali composti ha un peso molecolare relativamente modesto, alcune molecole sono sufficientemente pesanti da limitare la loro volatilità. Questo tipo di molecole sembra associato a secrezioni che stimolano poco il flehmen quando si trovano a una certa distanza dalla sorgente di emissione o di deposito del feromone. Su questa base si è proposto di distinguere due tipi di feromoni: i feromoni di prossimità ed i feromoni di distanza. I feromoni di prossimità sono individuabili solo a breve distanza e sono associati a modalità di emissione o di deposito che sottolineano la loro presenza, aumentando così la probabilità di essere percepiti. Determinate posizioni accentuano le azioni di deposito della secrezione, come alcune vocalizzazioni, differenti movimenti (salti, movimenti pendolari) ed anche le tracce visibili come le macchie di urina. I feromoni di distanza agiscono a grande distanza, permettendo a individui lontani tra loro di scambiare informazioni. Nei carnivori, il fenomeno di trasporto dei feromoni non è attualmente confermato, ma la proteina Canf 1 del cane potrebbero giocare questo ruolo. La complessità dei rapporti sociali del cane ha spinto i ricercatori ad interessarsi in modo particolare ai feromoni coinvolti nelle relazioni gerarchiche e nella vita sessuale. Una delle prime sorgenti di feromoni studiate nel cane è stata il contenuto delle ghiandole perianali. Tale contenuto viene generalmente evacuato in modo spontaneo con le feci, sebbene in momenti differenti della defecazione. Recentemente alcuni autori hanno riportato di aver constatato una differenza nell’odore di queste secrezioni in funzione del ciclo ovarico nelle cagne, ed hanno postulato che le secrezioni anali delle cagne (in proestro od in estro) attirano i maschi. Le esperienze di Donovan, che consistevano nel raccogliere le secrezioni di cagne in differenti momenti del ciclo e di porle su cagne in riposo sessuale, hanno evidenziato un comportamento sessuale con relativa monta da parte di maschi ‘test’, quando le secrezioni erano state raccolte da femmine in estro. 22- Oroptero Insieme dei punti nello spazio, in genere avente la forma di una linea curva con la concavità rivolta verso l’alto, la cui immagine viene a formarsi su punti retinici corrispondenti che sono quelli che inducono una modificazione del comportamento in risposta a informazioni acquisite da esperienze specifiche. 23- Esopo Esopo è stato un favolista greco del VII o VI sec, a. C., della cui vita pochissimo ci è noto. Dallo spirito argutissimo e geniale, compose numerose favole, spesso riferite agli animali, ma con trasparenti allusioni al mondo degli uomini. I personaggi sono per lo più animali, ma anche uomini e dèi o piante. 24- Aristotele Aristotele nacque nel 384-383 a.C. a Stagira, città macedone (oggi greca) della Calcidica. Quando diciassettenne entra in Accademia. Platone è a Siracusa da un anno, su invito di Dione, parente di Dionigi I e tornerà ad Atene solo nel 364 a.C.. In questi anni, secondo l'impostazione didattica dell'Accademia, Aristotele iniziò con lo studio della matematica per passare, tre anni dopo, alla dialettica. 25- Senofonte Nacque ad Atene da una famiglia ricca, negli anni fra il 430 ed il 426 a.C.. Militò nei cavalieri che influirono sulle sue scelte politiche conservatrici tanto che negli ultimi anni della guerra del Peloponneso egli non nascose le sue tendenze filospartane. Ebbe occasione di frequentare anche il grande filosofo Socrate: mostrò per quest’ultimo sempre un'enorme ammirazione, tanto da difenderlo sempre dalle accuse che gli vennero mosse. Si ritirò, dopo molte vicende politiche, in una piccola città dell’Elide, nel Peloponneso nord-occidentale, dove ebbe a vivere per un lungo periodo dedicandosi all’agricoltura, alla caccia e probabilmente anche all’attività di scrittore. È deceduto fra il 354 e il 350 a.C. 26- Virgilio Nacque ad Andes. Studiò prima a Cremona e Milano, poi a Roma. Nella capitale portò a termine la propria formazione retorica (studiando fra l'altro medicina e matematica) e conobbe importanti esponenti della politica e della letteratura come Cornelio Gallo, Alfeno Varo e Asinio Pollione. Messa da parte la carriera forense, si recò a Napoli dove divenne, insieme a Filodemo di Gadara, discepolo del filosofo epicureo Sirone. Conobbe Mecenate ed entrò a far parte del suo circolo che raccoglieva molti letterati famosi dell'epoca. Ebbe parecchi contatti con Augusto e collaborò alla diffusione della sua ideologia politica. Fu considerato il maggiore poeta di Roma e dell'impero. Morì a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. 27- Alberto il Grande Fu uno dei primi scolastici che contribuì a costruire quell'approccio sistematico alla teologia che rivoluzionò la teologia del Medio Evo. Tommaso d' Aquino fu uno dei suoi discepoli. Alberto è stato dichiarato Dottore della Chiesa. 28- John Keis (Dott. Caius, Johannes Caius) John Caius, archiatra di Elisabetta Tudor, naturalista e professore a Cambridge. Scrisse in latino De Canibus Britannicis che fu pubblicato nel 1570. 29- Buffon Georges - Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), naturalista francese, fu il primo ad utilizzare strumenti diversi dalla Bibbia come fondamento per la costruzione di una storia della terra, negli ultimi decenni del Settecento. Cavaliere e poi Conte di Buffon, nacque nel 1707 in Borgogna da una famiglia della buona borghesia di campagna. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza, seguì ad Angers un corso di Medicina e Botanica. Si stabilì a Parigi dove entrò in contatto con i grandi scienziati dell’epoca. Grazie agli studi sulla resistenza del legno divenne socio dell’Académie des Sciences di Parigi. Tradusse il “Vegetable Staticks” di Stephen Hales, testo noto per aver introdotto nuove tecniche nello studio della Fisiologia vegetale e per aver scoperto la funzione dell’aria e quella della luce solare nel processo di assimilazione delle piante ed estese al mondo organico i concetti e le metodologie ideate da Newton per spiegare le leggi dell’universo. Trai suoi scritti “Le dogue” e “Histoire Naturelle générale et particulière”. 30- George Cuvier George Léopole Chrétien Dagobert, Barone di Cuvier, (Montbéliard 1769 - Parigi 1832) studiò nell'Accademia di Stoccarda, dal 1784 al 1788. Ottenne una posizione all'interno del governo locale e cominciò a crearsi una reputazione da naturalista. Nel 1795 Geoffroy Saint-Hilaire lo invitò a Parigi dove cominciò a lavorare al Museé National d'Histoire Naturelle e diventò prima professore di Zoologia e poi di Anatomia animale. Dopo che Napoleone prese il potere, lo nominò ispettore generale della pubblica educazione e consigliere di stato. Tra gli scritti ricordiamo “Tableau élémentaire de l'histoire naturelle”, “Le regne animal distribué d'après son organisation” e “Leçons d'anatomie comparée”. 31- Jean Pierre Mégnin Veterinario e cinologo francese (1828 – 1905) divenne presidente della Società entomologica di Fancia, membro dell'Accademia della medicina e presidente della società zoologica di Londra. Pubblicò quattordici lavori a partire dal 1883 e viene ancor oggi considerato come il padre dell'Entomologia forense. È stato il primo a dare una distinzione di appartenenza delle specie canine nelle quali rientrerebbero anche i cosiddetti “meticci”. I termini da lui coniati sono ancora oggi in uso. Tra i suoi scritti ricordiamo “Maladies parasitaires chez l’homme et les animaux domestiques. La faune des cadavres” e “Application de l'Entomologie a la Medicine Legale”. 32- Modulo comportamentale È un modulo di controllo in grado di realizzare un comportamento. Un modulo comportamentale è formato da tanti istinti, non indipendenti l’uno dall’altro e che sono il prodotto di cause fisiologiche ed evolutive (mutazione e selezione). 33- Istinto Gli istinti sono formati da impulsi parziali di risposta. Esistono istiniti primari (fame/nutrizione, sessualità/riproduzione) ed istiniti strumentali, i quali supportano i primi anche se possono essere indipendenti (ad esempio un cane annusa e segna la traccia anche se non ha fame, ma se ha fame gli istinti saranno maggiori) rimanendo inalterata la ritualità. 34- Socializzazione La socializzazione è quel processo di trasmissione di informazioni capaci di indicare alle nuove generazioni come avviene la comunicazione e la sua interpretazione. 35- Patrick Pageat Nato nel 1960, Patrick si è laureato in medicina veterinaria nel 1984 (Lione – Francia), e poi ha conseguito un PhD in Comportamento Animale nel 1991 (Facoltà di Parigi). È stato per qualche anno Professore Associato presso le Scuole di Veterinaria francesi. È autore di “Patologia comportamentale del Cane ”, “Cane si nasce, Padroni si diventa” ed ha preso parte a molti Convegni e Congressi nazionali ed internazionali. È coautore di un trattato enciclopedico sul cane. Ha tenuto molte lezioni sul comportamento animale e su argomenti di psichiatria e psicofarmacologia. Attualmente è Research Manager di Phersynthese, un laboratorio privato che lavora sulla comunicazione chimica e sulle sue varie applicazioni. 36- Boris Cyrulnik Boris Cyrulnik è nato a Bordeaux nel 1937