AUGUSTO - Comune di BORGONE SUSA

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LA “RIVOLUZIONE ROMANA”
CESARE AUGUSTO E LA COSTRUZIONE DELL’IMPERO
NEL BIMILLENARIO DELLA MORTE
Gaio Ottavio nasce a Roma il 23 settembre del 63 a.C. Il padre, Gaio Ottavio anch’egli, è
originario di Velletri e viene da una famiglia “borghese” di solida posizione economica
grazie al patrimonio accumulato dal nonno in attività finanziarie (essenzialmente prestiti a
interessi da usura), patrimonio che ha permesso a Gaio Ottavio padre di ambire a entrare
in Senato e di sposare una donna dell’alta società romana, Azia (figlia del senatore M. Azio
Balbo e di Giulia, sorella di Giulio Cesare).
Più tardi, quando Ottavio diventerà imperatore, le sue origini verranno nobilitate con
riferimenti divini: si favoleggerà, ad esempio, che non fosse figlio di Gaio Ottavio ma che la
madre Azia l’avesse concepito per intervento del dio Apollo, penetrato nel suo grembo in
forma di serpente.
Dopo aver ricoperto alcune cariche politiche, Gaio Ottavio padre muore ancora giovane nel
59 a.C., quando il figlio ha appena 4 anni.
Azia si risposa (a Roma una donna dell’alta società, per di più nipote di Cesare, non poteva
restare vedova a lungo), ma il piccolo Gaio Ottavio va a vivere con la nonna Giulia fino alla
morte di questa nel 51. Torna allora con la madre e il patrigno, che seguono da vicino la sua
educazione culturale (lettere latine e greche, retorica, oratoria) e morale (valori austeri e
rigorosi, controllo rigido sulle attività extradomestiche, in un clima perbenista e un po’
bigotto). Azia combina per il figlio un fidanzamento con la figlia di P. Servilio Isaurico,
console nel 48 a.C., figlio di una matrona che era stata amante e rispettata consigliera di
Giulio Cesare.
Nel 47 a.C., dopo la guerra civile tra Cesare e Pompeo, lo stesso Giulio Cesare prende sotto
la sua tutela il giovane Gaio Ottavio, suo pronipote, che nonostante la giovane età si mostra
serio e assennato, e lo fa nominare a una prima carica pubblica in Roma.
Cesare non ha avuto figli dalle sue moglie romane [Cossuzia (forse solo fidanzata) 86-84;
Cornelia Cinna 83-68 (morta poi di parto), da cui la figlia Giulia nel 76 (moglie di Pompeo
e morta anche lei di parto); Pompea 68-62; Calpurnia 59-44]; ha avuto un figlio da
Cleopatra, che non può però essere riconosciuto legittimo in Roma perché frutto di una
relazione adulterina con una regina straniera); riversa perciò sul figlio della nipote
l’aspirazione ad avere una legittima discendenza.
La salute cagionevole e le attenzioni ossessive della madre impediscono al giovane Ottavio
di seguire lo zio nelle campagne militari contro i pompeiani del 47 e 46 in Africa e Spagna;
raggiunge Cesare in Spagna solo alla fine della campagna, collaborando con lui
nell’amministrazione della giustizia e nella riorganizzazione di quella provincia.
Tornato a Roma, va a vivere per proprio conto ma senza staccarsi troppo dalla madre e
senza usare la sua casa per una vita dissipata com’era tipico dei giovani dell’alta società.
Ma verso la fine del 45 a.C. Cesare lo nomina capo della cavalleria in vista di una grandiosa
spedizione contro i Parti progettata per l’anno successivo. Lascia allora Roma per
Apollonia (oggi in Albania), dove devono concentrarsi le truppe, accompagnato dal fedele
amico e coetaneo M. Vipsanio Agrippa e dal retore Apollodoro di Pergamo, pedagogo e
custode dei due giovani.
Nel marzo del 44 un liberto di Azia lo raggiunge in gran fetta con una lettera: Azia gli
comunica l’uccisione di Cesare in Senato (15 marzo) e gli chiede di tornare, consapevole dei
pericoli che minacciano la parentela del defunto dittatore. Traversato lo Ionio, sbarca in
Calabria, dove apprende la notizia, esaltante ma pericolosa, che Cesare nel suo testamento
lo ha adottato come figlio, lasciandolo erede del suo nome e del suo patrimonio.
Ottavio può raccogliere informazioni più precise sull’assassinio di Cesare e sugli
avvenimenti immediatamente successivi:
- i congiurati sono persone che sono state vicine al dittatore, che hanno ricevuto da lui
onori e cariche; li capeggiano M. Giunio Bruto (figlio di quella Servilia che era stata amante
di Cesare) e G. Cassio Longino, che, assassinando Cesare, hanno voluto – così si dice
ufficialmente – agire in difesa della libertà repubblicana minacciata, riportando tutto il
potere nelle mani dell’oligarchia senatoria (in realtà alcuni di loro mossi da risentimento
per interessi molto più privati);
- i cesaricidi si sono asserragliati sul Campidoglio, timorosi delle reazioni della plebe
romana e dei veterani di Cesare confluiti a Roma. Per iniziativa di M. Tullio Cicerone, due
giorni dopo la morte di Cesare (il 17 marzo) si è giunti a una soluzione di compromesso: da
un lato si è accolta la proposta di M. Antonio, console quell’anno e fedele di Cesare, di
considerare validi gli ultimi atti stilati da Cesare che distribuiscono per il quinquennio
successivo le cariche cittadine e quelle nelle province; d’altro lato è stata varata
un’amnistia per i cesaricidi (in buona sostanza, dietro la facciata di una ricerca di
concordia si sono voluti garantire gli interessi costituiti: non toccare le cariche già
distribuite da Cesare).
Ma Ottavio apprende anche che:
- quel fragile equilibrio tra cesariani e cesaricidi si è rotto il giorno dei funerali di Cesare: la
plebe urbana e i veterani di Cesare, sobillati da Antonio, hanno cominciato a tumultuare e
a chiedere vendetta; Bruto e Cassio hanno dovuto allontanarsi da Roma, ormai nelle mani
di Antonio, che però ha represso con la forza i più agitati tra il popolo;
- intanto Antonio si è impadronito delle carte di Cesare e ha scoperto che nel testamento
l’erede del dittatore non è lui – come si era aspettato – ma il nipote di Cesare, addirittura
adottato come figlio.
Azia e il marito, timorosi per i pericoli che incombono su Ottavio, gli scrivono
sconsigliandolo di accettare l’adozione di Cesare. Ma in Ottavio è intervenuto un
cambiamento profondo: l’adozione da parte di Cesare e il fatto di potersi ora chiamare egli
stesso Cesare (= G. Giulio Cesare Ottaviano), lo fanno sentire come investito di una
missione. Il giovane Ottavio, educato da Azia in modo severo e tradizionale, si trasforma
inaspettatamente in un politico spregiudicato ed estremamente accorto. Ottavio decide di
partire per Roma.
Appena arrivato, si rende subito conto che
- la posizione dei cesaricidi, che se ne sono andati da Roma, è debole: non hanno seguito né
tra la plebe urbana né tra i comandanti delle legioni nelle province;
- il Senato, assottigliato nei vecchi esponenti dalla recente guerra civile tra Cesare e
Pompeo e rimpinguato da cesariani privi di esperienza e prestigio, è per lo più una
compagine moderata e senza una linea decisa;
- le forze armate stanziate nelle province non si muovono;
- il vero avversario è Antonio, che, in quanto console in carica, è una specie di capo del
governo.
Ottaviano, per affermare il suo ruolo di figlio adottivo e di erede di Cesare, si muove in più
direzioni: prende contatto con il gruppo dei cesariani più fedeli e intransigenti non del giro
di Antonio e va a incontrare i veterani di Cesare dislocati in Campania (che lo accolgono
con simpatia), ma va anche a trovare Cicerone, autorevole esponente dei senatori,
facendosi accompagnare da un gruppo di amici che lo chiamano Cesare (tra questi
l’inseparabile Agrippa e G. Cilnio Mecenate).
Antonio trama di nascosto per far ritardare la ratifica dell’adozione di Ottavio come figlio
di Cesare, Ottavio ha fretta di entrare legittimamente in possesso del nome di Cesare e
soprattutto dell’enorme eredità (che Antonio custodisce personalmente da quando si è
impadronito del testamento di Cesare). Dopo lunghe trattative, l’adozione di Ottavio viene
sancita per legge e Ottavio diventa “Cesare figlio”: non ha cariche pubbliche, quindi è privo
di un potere legale, ma sa di poter contare sull’appoggio della plebe di Roma e soprattutto
dei veterani di Cesare dislocati in Italia (per servirsene, in caso di bisogno, contro Antonio
e contro il Senato); con l’eredità può all’evenienza arruolare truppe a lui fedeli.
Antonio si prepara un futuro di potere (governare una provincia) una volta scaduto di
carica da console: gli è stata assegnata la Macedonia, ma vorrebbe la Gallia Cisalpina
(Italia del nord), zona cruciale da cui si può controllare l’Italia e Roma, che Cesare ha però
assegnato a Decimo Giunio Bruto Albino (poi tra gli uccisori di Cesare); così nel giugno di
quell’anno, con una sorta di legge ad personam (assai contestata in senato), fa togliere a
Decimo Bruto la Gallia Cisalpina e la fa assegnare a se stesso per 5 anni, mentre fa
assegnare incarichi lontani dall’Italia a Bruto e Cassio (che già hanno abbandonato Roma).
Ma Decimo Bruto si è già installato in Cisalpina, ben prima dell’inizio del nuovo anno
(quando dovrebbe iniziare il suo mandato).
Ai primi di ottobre Antonio parte per Brindisi con l’intenzione di raccogliere al suo seguito
4 legioni provenienti dalla Macedonia per utilizzarle contro Decimo Bruto (ed
eventualmente contro il Senato). Ottaviano arruola in Campania i veterani di Cesare e con
queste truppe ai primi di novembre marcia su Roma, in aperta violazione della legalità. Ma
queste forze non sono sufficienti per un controllo totale della città, e allora Ottaviano
stringe un’alleanza con il Senato (tra cui Cicerone, che capeggia l’ala che è stata
anticesariana): alleanza quasi obbligata (entrambi vedono in Antonio il nemico più
pericoloso) e spregiudicata (tra i senatori ci sono parecchi dei congiurati contro Cesare).
Con plateale mossa da giocatore politico, Ottaviano si mette agli “ordini” del Senato e,
nascondendo abilmente le sue vere intenzioni, finge un rapporto di devozione nei confronti
di Cicerone che, da vecchio e consumato statista, crede di poter manovrare il giovanotto
usandolo per distruggere Antonio e i cesariani.
Agli inizi dell’anno 43 a.C. Antonio si muove con le truppe a lui fedeli verso la Cisalpina per
togliere di mezzo Decimo Bruto, che si asserraglia in Modena deciso a non mollare la
provincia in cui si è installato da vari mesi. In un Senato incerto e privo di elementi
veramente trainanti, Cicerone si batte per fermare Antonio (lo ha attaccato duramente con
le sue “Filippiche”) e ottiene che si ordini un’operazione militare contro di lui e a favore di
Decimo Bruto, affidandone il comando ai consoli di quell’anno, Aulo Irzio e Vibio Pansa
(ex-cesariani entrati in buoni rapporti con Cicerone).
Ottaviano, che ha ottenuto grazie a Cicerone la legalizzazione del suo esercito privato
(dunque la legittimazione di un’illegalità) e la nomina a propretore, mette le sue truppe al
servizio dei consoli per poter prendere parte alle operazioni contro Antonio. Così però
l’erede di Cesare appare ridimensionato sul campo e, prevedibilmente, destinato a perdere
tutto alla fine delle operazioni perché, in caso di vittoria dei consoli, difficilmente le sue
truppe potrebbero sottrarsi agli ordini degli stessi consoli. Ottaviano si convince che in
questo momento i due consoli stanno diventando il principale ostacolo alla sua futura
carriera; il gioco di schierarsi col Senato potrebbe fallirgli tra le mani.
Mentre giunge a Roma notizia che Bruto e Cassio si sono creati una forte base di potere in
Grecia e in Siria, impadronendosi del comando di quelle province e degli eserciti là
stanziati, prima Irzio e poi Pansa avviano le rispettive truppe verso la pianura padana per
attaccare Antonio (che assedia Decimo Bruto a Modena). Con una mossa a sorpresa
Antonio attacca le truppe di Pansa tra Modena e Bologna e le mette in grave difficoltà;
Pansa viene ferito nello scontro, ma viene messo in salvo. Sopraggiunge l’esercito di Irzio,
che attacca le truppe di Antonio, infliggendogli una sconfitta con molti morti.
Antonio torna ad assediare Decimo Bruto a Modena, Irzio e Ottaviano cercano di
costringerlo allo scontro provando a spezzare l’assedio alla città. Scoppia la battaglia, nella
quale Irzio viene ucciso. Due giorni dopo anche Pansa, in precedenza ferito, muore.
E qui si apre il “giallo” della morte dei due consoli, perché:
1) circola voce che Ottaviano non abbia solo ricuperato il cadavere di Irzio ma l’abbia
ammazzato lui stesso;
2) il medico di Pansa viene incarcerato perché sospettato di aver avvelenato le ferite del
console (verrà però scarcerato e nessuno nei mesi successivi indagherà più sulla morte di
Pansa);
3) è morto in battaglia anche L. Ponzio Aquila (uno dei cesaricidi), che il Senato ha inserito
tra le truppe di Irzio e Pansa per “controllare” i due consoli.
= Troppe morti eccellenti (assai utili a Ottaviano per rimanere solo al comando degli
eserciti e puntare a diventare console) per non destare dei sospetti.
La battaglia di Modena è comunque una sconfitta di Antonio, perché è stato attaccato
anche dalle truppe di Decimo Bruto uscite da Modena. Ma Antonio sconfitto non viene
inseguito da Ottaviano, la cui unica mira è ora quella di ottenere il consolato. A Roma
l’esito della guerra di Modena suscita grande entusiasmo nel Senato, che dichiara Antonio
“nemico pubblico” e affida a Decimo Bruto il compito di continuare la guerra contro di lui.
Antonio si sposta verso la Gallia per cercare di unirsi alle forze di due suoi possibili alleati,
L. Munazio Planco (governatore della Gallia Comata) e M. Emilio Lepido (governatore
della Gallia Narbonense).
La situazione di Ottaviano appare precaria:
- dovrebbe consegnare le sue truppe (accresciute di quelle di Pansa) a Decimo Bruto,
perdendo così la sua forza militare;
- se Decimo Bruto dovesse battere Antonio e i suoi alleati, il Senato non avrebbe più
bisogno di lui;
- se Decimo Bruto e Antonio volessero mettersi d’accordo (i cambiamenti di alleanze in
tempi di guerre civili non sorprendono), Ottaviano sarebbe schiacciato tra questi excesariani e i cesaricidi Bruto e Cassio, la cui posizione in Oriente è stata legalizzata dal
Senato e che potrebbero venire in l’Italia con i loro eserciti.
Ottaviano capisce che è tempo che i cesariani rivedano le loro posizioni: è più conveniente
che si uniscano; per questo si rifiuta di consegnare le sue truppe e attende gli esiti delle
manovre di Antonio.
A maggio Antonio è in Gallia Narbonense e si unisce alle truppe di Lepido; Munazio Planco
è incerto se mantenersi leale col Senato e unirsi a Decimo Bruto o schierarsi con Antonio e
Lepido, ma alla fine sceglie Antonio e Lepido; Decimo Bruto, abbandonato dalle sue
truppe, è ucciso in territorio alpino da un capotribù gallo.
Ottaviano chiede al Senato di appoggiare la sua elezione a console, il senato rifiuta,
Ottaviano decide di marciare su Roma con le sue truppe. Due legioni richiamate dall’Africa
passano dalla sua parte. Ottaviano arriva a Roma senza ostacoli, lascia fuori città le sue
truppe perché ci siano “libere elezioni”: il popolo lo elegge console il 19 agosto.
Il primo atto ufficiale è una legge che revoca l’amnistia per i cesaricidi e istituisce un
tribunale speciale per processarli. Ma il problema principale è fare i conti con Antonio.
Solo che in Oriente sta crescendo la forza di Bruto e Cassio, e in Occidente gli esponenti di
spicco dei cesariani che dispongono di eserciti (Emilio Lepido, Munazio Planco, Asinio
Pollione) non vogliono uno scontro tra Antonio e Cesare figlio (dietro di loro c’è la spinta di
parecchie decine di migliaia di soldati e gli interessi di gruppi sociali che vogliono
rovesciare la vecchia classe dirigente); così, su mediazione di Lepido, Antonio e Ottaviano
si incontrano presso Bologna (ottobre 43 a.C.).
Due giorni di trattative decidono le sorti del mondo romano: per un periodo di 5 anni tre
uomini (Antonio, Ottaviano e Lepido) deterranno un potere enorme e arbitrario con lo
scopo di “riorganizzare la repubblica” (tresviri rei publicae constituendae). E’ il “secondo
triumvirato”: non una semplice alleanza privata per condizionare le sorti dello stato, come
il primo triumvirato (costituito nel 60 a.C. da Cesare, Pompeo e Crasso), ma una vera e
propria magistratura sancita da una legge (Lex Titia, novembre 43 a.C.). Una dittatura a
tre mascherata di legalità: il triumvirato, magistratura inedita e non prevista nei normali
istituti repubblicani, è l’iniziativa con cui tre potenti con i loro sostenitori affermano i
propri interessi e quelli dei loro gruppi in uno stato in cui la violenza come lotta politica è
da tempo endemica.
Per condurre la guerra contro i cesaricidi (divenuti fuorilegge da perseguire) – guerra che
si preannuncia costosa per la forza militare di cui dispongono in Oriente Bruto e Cassio – e
per eliminare i loro oppositori non solo politicamente ma anche fisicamente, i triumviri
ordinano le “proscrizioni”: nemici o presunti tali vengono inseriti in liste di persone da
eliminare, i proscritti sono privati di ogni diritto, chiunque li può uccidere e se porta la loro
testa riceve un premio in denaro, i loro beni vengono confiscati e passano direttamente
nelle casse dei triumviri. Dopo aver violato il diritto pubblico, ora i triumviri aboliscono i
diritti privati dei cittadini. Si instaura un clima di terrore e di illegalità: delatori e sicari
cominciano la caccia, per molti è l’occasione per abbandonarsi a vendette private e
arricchirsi con la violenza.
Molti senatori vengono uccisi (tra questi Cicerone), altri fuggono dall’Italia. I più colpiti
dalle proscrizioni sono cittadini ricchi, le cui proprietà fanno gola a profittatori senza
scrupoli. I beni dei proscritti sono confiscati e messi in vendita, molti affaristi ne
approfittano per comprare a prezzi vantaggiosi case e terreni. In più i triumviri impongono
prelievi forzosi sui cittadini benestanti: serve molto denaro per pagare gli eserciti dei
cesariani (attualmente 43 legioni!).
Le proscrizioni determinano una vera e propria rivoluzione sociale: un’ampia fetta di
ricchezza viene trasferita dalla vecchia classe dirigente verso due gruppi sociali: i nuovi ceti
medi (soprattutto la borghesia degli affari) e il proletariato militare; si compie un forte
ricambio della classe dirigente: il Senato si gonfia (fino a 1000 membri) di gente al seguito
dei triumviri, individui spesso di dubbia reputazione e arricchiti con metodi assai
spregiudicati; nelle magistrature e nei vari incarichi dirigenti si infilano individui non eletti
ma nominati direttamente dai triumviri.
La distruzione della vecchia classe dirigente si completa l’anno dopo sul campo di
battaglia: nell’ottobre del 42 L’esercito di Ottaviano e Antonio si scontra a Filippi in
Macedonia con le forze di Bruto e Cassio, presso cui sono confluiti molti esponenti del
vecchio gruppo dirigente e che hanno radunato tutte le truppe dislocate nelle province
orientali. In due sanguinose battaglie a distanza di venti giorni, in cui emerge soprattutto la
capacità militare di Antonio, Bruto e Cassio vengono sconfitti e si uccidono; molti
esponenti della vecchia aristocrazia muoiono in battaglia.
Il vero vincitore di Filippi è Antonio, sia per la sua abilità di comando che per l’efficienza
dei suoi veterani; è lui perciò a dettare le condizioni della vittoria. Egli si prende il
controllo di tutte le province d’Oriente e di Gallia e Spagna in Occidente, a Lepido viene
concesso il governo del nord Africa, Ottaviano ottiene il governo dell’Italia con il compito
di ricondurvi l’esercito, fornire il mantenimento alle truppe da tenere in servizio e
distribuire le terre promesse ai veterani da congedare. Compito ingrato, quest’ultimo,
perché comporta l’esproprio di terre e la cacciata dei vecchi proprietari (e Antonio è
convinto che Ottaviano ne uscirà travolto), ma importante perché realizzandolo Ottaviano
si garantisce la fedeltà dell’esercito.
Le operazioni di esproprio suscitano il malcontento di varie città dell’Italia centrale, a cui si
unisce l’azione di Lucio Antonio e Fulvia, rispettivamente fratello e terza moglie di Marco.
Ma Marco Antonio dall’Oriente non si muove. Ottaviano e Lucio Antonio si scontrano
(guerra di Perugia, 41-40 a.C.) e L. Antonio esce sconfitto.
Fulvia è la madre di una Clodia che nel 43, a suggello dell’alleanza politica stretta col
triumvirato, è stata data in moglie, ancora ragazzina, ad Ottaviano (che per questo ha rotto
il fidanzamento con Servilia, combinato anni prima da Azia). Ma nel 41, dopo la guerra di
Perugia, a significare la rottura di ogni rapporto con Fulvia, Ottaviano ripudia Clodia e,
mettendo in atto una sapiente strategia matrimoniale, sposa Scribonia, parente di Sesto
Pompeo, di alcuni anni più vecchia e con già due matrimoni alle spalle. Sesto Pompeo è
figlio di Pompeo magno, l’avversario di Cesare morto nel 48; nominato dal senato capo
della flotta di Roma dopo la morte di Cesare, poi proscritto dai triumviri, si è dato alla
guerra marittima contro di loro, occupando Sicilia e Sardegna, saccheggiando il litorale
italiano e ostacolando i rifornimenti granari dall'Africa. Il matrimonio con Scribonia è
quindi per Ottaviano un mezzo per non avere Sesto Pompeo come nemico, mentre Antonio
si sta rafforzando in Oriente in seguito al legame con Cleopatra e alla costruzione, al posto
delle province romane, di un sistema di regni vassalli (affidati ai figli di Cleopatra, a
generali greci o a principi locali) con perno in Egitto.
A seguito della guerra di Perugia, Antonio, incontratosi in Grecia con Fulvia, si muove
minacciosamente in forze verso l’Italia; ma, grazie ad abili mediatori (in particolare
Mecenate), lo scontro con Ottaviano viene evitato. I triumviri confermano la loro alleanza
(patto di Brindisi, autunno del 40 a.C.) e ridefiniscono la spartizione del mondo romano:
ad Antonio i territori dell’Oriente, ad Ottaviano l’Italia e le province d’Occidente, a Lepido
il Nord-Africa. Essendo nel frattempo morta Fulvia, Antonio per suggellare gli accordi deve
sposare Ottavia, sorella di Ottaviano da poco vedova.
Nel 39 a.C. con l’accordo di Miseno a Sesto Pompeo viene riconosciuto il dominio su
Sicilia, Sardegna e Corsica. Ma Ottaviano non intende convivere facilmente con lui, e
ancora una volta una scelta privata anticipa quella politica: all’inizio del 38 Ottaviano
ripudia Scribonia per sposare Livia Drusilla, che il marito Tiberio Claudio Nerone si è
affrettato a ripudiare per consentire quel matrimonio; questo provoca scandalo perché al
momento delle nuove nozze Livia è ancora incinta del primo marito, ma costui, che in
passato ha dovuto abbandonare Roma in seguito alle proscrizioni, ha ritenuto – secondo
una logica largamente condivisa nel suo ceto – opportuno questo matrimonio che mette se
stesso e i figli (quello già nato, il futuro imperatore Tiberio, e quello che Livia porta in
grembo, Druso) sotto la protezione del potente triumviro. Politicamente, con questo
matrimonio Ottaviano si avvicina al potentissimo clan dei Claudii e mostra di voler cessare
ogni desiderio di ulteriori vendette con la vecchia aristocrazia romana.
Nel 37, alla sua scadenza, il triumvirato viene rinnovato con un’apposita legge per altri 5
anni. Ottaviano, sicuro dell’alleanza con Antonio e dei nuovi appoggi acquisiti in Roma,
può muovere guerra a Sesto Pompeo. L’anno dopo nella grande battaglia navale di Nauloco
presso Milazzo (settembre 36) la flotta di Ottaviano, comandata da M. Vipsanio Agrippa,
sconfigge quella di Sesto Pompeo, che fugge in Oriente (e l’anno dopo verrà catturato e
ucciso da un ufficiale di Antonio). Intanto Lepido, ormai indebolito militarmente e
politicamente (dopo la sconfitta di Sesto Pompeo ha cercato di occupare la Sicilia per sé,
ma è stato abbandonato dalle sue truppe), viene messo da parte; la carica di pontefice
massimo gli salva la vita (morirà nel 13 a.C.).
In Oriente Antonio progetta una grande spedizione contro i Parti. Questi hanno già
attaccato nel 40 i territori romani tra Siria e Palestina; dopo alcuni rovesci iniziali, le
truppe mandate da Antonio li hanno respinti. L’obiettivo del triumviro è di realizzare
quella spedizione che Cesare ha preparato ma non ha potuto condurre, ottenere una
vittoria prestigiosa contro un nemico particolarmente temuto e rafforzare la difesa dei
territori orientali sotto controllo romano. Una prima campagna militare nel 36 non porta a
successi, due anni dopo viene conquistata l’Armenia.
Ottaviano appare sempre più preoccupato che Antonio, ormai signore di tutto l’Oriente,
una volta scaduto il rinnovo del triumvirato possa muovere in forze su Roma e l’Italia. Così
all’inizio del 33 a.C., appena eletto console, denuncia la politica orientale del collega,
accusandolo di aver donato territori romani a Cleopatra e ai suoi figli. Antonio risponde
denunciando i torti subiti ad opera del cognato e la deposizione di Lepido.
In una Roma sempre più controllata da Ottaviano, 300 senatori se ne vanno a raggiungere
Antonio. Questi dispone ormai di un esercito di 30 legioni e di una flotta poderosa.
Nell’estate del 33 Antonio ripudia Ottavia, e Ottaviano trasforma l’offesa recata alla sorella
e a lui in un’offesa a Roma e all’Italia: viene dichiarata guerra a Cleopatra e all’Egitto,
mentre forti dissensi sorgono tra alcuni dei più eminenti sostenitori di Antonio e in Italia si
mette in moto una propaganda contro Antonio. Ma Ottaviano ha bisogno di assicurarsi la
fedeltà delle sue legioni, e allora impone tasse senza precedenti (il prelievo di ¼ del
reddito annuo di ogni cittadino maschio e la richiesta a ogni città di versare contributi per
l’esercito), che fanno scoppiare disordini.
Ottaviano capisce che deve procurarsi una sanzione pubblica per i suoi poteri arbitrari e un
pubblico mandato per giustificare una guerra contro Antonio: nel 32 viene organizzata una
sorta di plebiscito, la messinscena, attuata attraverso agitazioni in varie città, di una specie
di votazione con la quale le varie comunità dell’Italia giurano fedeltà ad Ottaviano e lo
nominano capo della guerra contro Cleopatra (cioè contro Antonio). Così, un po’ con la
propaganda e un po’ con l’intimidazione, l’Italia viene costretta a sostenere un conflitto che
è fatto passare per una guerra nazionale mentre è una contesa legata alle ambizioni di due
capi che aspirano a tutto il potere.
Anche nelle province d’Occidente (Gallia e Spagna) si costruisce un consenso a favore di
Ottaviano e le truppe qui dislocate vengono affidate al comando di suoi fedelissimi, mentre
l’intero Senato e molti altri importanti cittadini di Roma devono prepararsi a seguire
l’esercito di Ottaviano che muove verso Oriente. Antonio, che è in Grecia con l’esercito e la
flotta (vettovagliati dall’Egitto con navi granarie), non prende l’iniziativa di attaccare, per
più ragioni: invadere l’Italia a fianco di Cleopatra sarebbe un danno di immagine,
allontanarsi troppo dai rifornimenti e dai rinforzi sarebbe pericoloso, meglio sperare di
attirare l’avversario lontano dall’Italia.
Dopo alcuni successi della flotta di Ottaviano comandata da Agrippa, alcuni vassalli e
ufficiali di Antonio cominciano a disertare. Il 2 settembre del 31 a.C. nelle acque presso
Azio le due flotte si scontrano: quando le sorti della battaglia si profilano negative per
Antonio e tra le sue fila aumentano le diserzioni, Cleopatra fugge con la sua flotta e
Antonio la segue: è la vittoria di Agrippa e Ottaviano.
Dopo aver placato tumulti di veterani in Italia, nell’estate del 30 Ottaviano muove contro
l’Egitto passando dalla Siria e Palestina: dopo breve resistenza Antonio è sconfitto e si
uccide, seguito qualche giorno dopo da Cleopatra. Verso una parte dei seguaci di Antonio
Ottaviano si mostra clemente, mentre il figlio di Cleopatra e Cesare viene ucciso e dei figli
di Cleopatra e Antonio, dapprima portati a Roma, si perdono le notizie. Ottaviano
s’impossessa dell’Egitto come sua proprietà personale.
Dopo aver risistemato l’Oriente con una serie di stati vassalli e alcune province (dunque
senza stravolgere di molto quanto fatto da Antonio), nell’estate del 29 Ottaviano rientra in
Roma. Tra i primi provvedimenti è il congedo di almeno la metà dei soldati che sono stati
arruolati negli anni precedenti per conto dei vari capi in lotta: vengono sistemati in colonie
in Italia e nelle province su terreni confiscati a città e singoli che hanno parteggiato per
Antonio o acquistati con parte del bottino di guerra o col tesoro d’Egitto. E’ l’assestamento
della proprietà quale uscita dalla “rivoluzione” delle guerre civili.
Il problema per Ottaviano è ora di tradurre l’enorme potere concentrato nelle sue mani
(ottenuto essenzialmente con la forza degli eserciti) in un nuovo assetto costituzionale. Nel
27 a.C. compie un primo passo decisivo e fondamentale: in una seduta del Senato
abilmente orchestrata per apparire come il momento in cui si restaura la legalità della
Repubblica romana, Ottaviano depone i poteri straordinari conferitigli in precedenza,
conservando solo la carica di console (a cui è stato sempre rieletto da alcuni anni) e
reintegra Senato e assemblee popolari nelle loro competenze costituzionali; il Senato gli
conferisce il governo come proconsole di 12 delle 19 province che costituiscono il dominio
romano fuori dell’Italia (province in cui sono dislocati eserciti), mentre l’Italia e le altre 7
province costituiscono il territorio della Repubblica romana. Così il potere “imperiale” di
Ottaviano non si sovrappone più (teoricamente) sulle istituzioni repubblicane ma si
organizza al di fuori del territorio della Repubblica (governato dal Senato e dalle istituzioni
repubblicane tradizionali). Solo che Ottaviano, oltre ad essere titolare di un potere
imperiale esterno al territorio della Repubblica, è anche cittadino di questa Repubblica, e
non è un cittadino qualunque, ma un uomo molto autorevole (da qui il titolo Augusto,
conferitogli proprio nel 27 a.C.) che può condizionare il funzionamento delle istituzioni
repubblicane: insomma, una Repubblica “tutelata” da un princeps (= un “principato”).
Ma negli anni seguenti si fa palpabile il malcontento della nobilitas tradizionale (per
quanto assai ridotta rispetto al passato) per il nuovo regime. Così Augusto, nel 23 a.C., per
riassorbire questo malcontento e nello stesso tempo rafforzare il proprio potere, fa alcune
concessioni: scorpora dal proprio territorio imperiale 4 province assegnandole alla
Repubblica e depone il consolato (apre così dei posti per nobili ambiziosi); in cambio
pretende la tribunicia potestas a vita e un imperium maius (comando supremo) su tutte le
forze armate (anche quelle stanziate nelle province appartenenti alla Repubblica).
Così il potere imperiale di Augusto si realizza come un sistema internazionale in cui
coesistono vari stati (la Repubblica con le sue province, il territorio imperiale con le sue
province e alcuni stati vassalli), ciascuno dei quali governa la propria politica interna
mentre la politica estera e le forze armate sono in mano all’apparato di potere imperiale.
Un assetto politico che è espressione dei nuovi equilibri socio-economici: ridimensionata la
grande proprietà terriera della vecchia nobilitas, aperte ai “cavalieri” (borghesia) nuove
possibilità di arricchimento con lo sviluppo dei traffici mediterranei (in un mondo romano
ormai “pacificato”) e con la formazione di una burocrazia imperiale, sistemato nell’esercito
o congedato con terre il proletariato militare, non ci sono più ostacoli al consenso delle
classi alte verso un sistema di potere che garantisce la loro posizione dominante.
Bibliografia consigliata
A. FRASCHETTI, Augusto, Bari (Laterza, Economica) 2013
W. ECK, Augusto e il suo tempo, Bologna (Il Mulino) 2010
L. CANFORA, La prima marcia su Roma, Bari (Laterza, Economica) 20142
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