studi di filosofia analitica del diritto

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STUDI DI FILOSOFIA ANALITICA DEL DIRITTO
Collana diretta da
Mauro BARBERIS • Pierluigi CHIASSONI
Paolo COMANDUCCI • Riccardo GUASTINI
3
A12
243
Si ringrazia l’autore dell’immagine di copertina per la gentile concessione.
RICCARDO GUASTINI
NUOVI STUDI
SULL’INTERPRETAZIONE
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2264–1
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2008
Indice
I. Introduzione alla teoria dell’interpretazione ............................
13
1. Ambiguità di ‘interpretazione’ ...........................................
1.1. Prima ambiguità ...............................................................
1.2. Seconda ambiguità ...........................................................
1.3. Terza ambiguità ................................................................
1.4. Quarta ambiguità ..............................................................
2. La duplice indeterminatezza del diritto .............................
2.1. L’equivocità dei testi normativi .......................................
2.1.1. Disposizioni e norme .....................................................
2.1.2. Le fonti dell’equivocità ..................................................
2.2. La vaghezza di ogni norma .............................................
3. La costruzione di norme inespresse ..................................
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II. Metateoria dell’interpretazione ..............................................
31
1. Teorie .................................................................................... 31
1.1. La teoria dell’interpretazione dell’Illuminismo .............. 32
1.2. Il neo-cognitivismo contemporaneo .............................. 33
1.3. Lo scetticismo realista ....................................................... 34
2. Ideologie ............................................................................... 35
2.1. La dottrina letteralista ...................................................... 37
2.2. La dottrina intenzionalista ............................................... 38
2.3. La dottrina statica ............................................................. 40
2.4. La dottrina dinamica ........................................................ 41
2.5. Combinazioni: due varianti della dottrina letteralista ... 41
2.6. Combinazioni: due varianti della dottrina intenzionalista 42
2.7. Altri orientamenti dottrinali ............................................ 44
2.7.1. Prima coppia: equità vs legalità .................................... 45
2.7.2. Seconda coppia: “judicial restraint” vs “judicial activism”48
9
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Indice
III. Fondamenti di una teoria scettica dell’interpretazione ..........
51
1. Cognitivismo vs scetticismo ...............................................
2. Una distinzione preliminare ...............................................
3. L’oggetto del contendere ....................................................
4. Infondatezza della teoria cognitiva ....................................
5. Interpretazione e proposizioni normative ........................
6. Interpretazioni pacifiche e interpretazioni dominanti .....
7. Interpretazione e produzione del diritto ...........................
8. I limiti (concettuali) dell’interpretazione ............................
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66
IV. Ancora su interpretazione e proposizioni normative ............
1. Mazzarese vs Bulygin ..........................................................
2. L’errore di Bulygin ..............................................................
3. L’errore di Mazzarese .........................................................
4. L’errore di entrambi ............................................................
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74
V. Una teoria cognitiva dell’interpretazione ...............................
77
1. Gli enunciati interpretativi sono enunciati descrittivi? .....
2. Il diritto è un insieme di enunciati? ....................................
3. Una ideologia dell’interpretazione ....................................
78
89
93
VI. Defettibilità, lacune assiologiche, e interpretazione ...............
97
1. Introduzione ........................................................................ 97
2. Alcuni esempi ...................................................................... 100
3. Qualche conclusione ............................................................ 105
4. Una osservazione finale ...................................................... 115
Indice
11
VII. I principi costituzionali in quanto fonte di perplessità ......... 119
1. Principi e regole ...................................................................
1.1. Concetti di principio .........................................................
1.2. Una possibile sintesi .........................................................
2. Principi, interpretazione, ragionamento giuridico ...........
2.1. Applicazione di principi ....................................................
2.1.1. Concretizzazione ...........................................................
2.1.2. Sussunzione ....................................................................
2.2. Conflitti di principi e ponderazione ................................
2.2.1. Analisi logica della ponderazione .................................
2.3. Altri usi dei principi costituzionali ...................................
3. Principi costituzionali e positivismo giuridico ...................
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140
VIII. Esercizi d’interpretazione dell’art. 2 Cost. ......................... 145
1. Norma imperativa o costitutiva? .......................................
2. Riconoscimento o creazione di diritti? ...............................
3. Quali diritti? ..........................................................................
4. “Inviolabili”: in che senso? ..................................................
5. Senza conclusione ................................................................
145
149
152
157
162
IX. Epilogo. Teoria del significato e teoria dell’interpretazione ..... 165
II.
Metateoria dell’interpretazione
La metateoria dell’interpretazione altro non è che la descrizione e l’analisi delle teorie dell’interpretazione.
Vi sono però due tipi di “teorie” dell’interpretazione, che è
bene non confondere.
(i) Per un verso, le teorie cognitive, o teorie propriamente
dette: discorsi descrittivi intorno a ciò che l’interpretazione è. A
queste è dedicato il § 1.
(ii) Per un altro verso, le teorie normative, o ideologie, o dottrine: discorsi prescrittivi intorno a ciò che l’interpretazione deve
essere. Ad esse è dedicato il § 2.
S’intende che i discorsi descrittivi (sull’interpretazione, come
su qualunque altro oggetto) possono dirsi veri o falsi, i discorsi
prescrittivi no.
1. Teorie
Si discute (da sempre) in letteratura quale sia lo statuto logico
dell’interpretazione – o, per meglio dire, degli enunciati interpretativi – con riguardo, si noti bene, alla sola interpretazione
giudiziale, ossia all’interpretazione decisoria 1. Quella interpretazione, cioè, che consiste nello scegliere un significato determinato nell’ambito dei significati identificati (o identificabili) per
1 Sia detto per inciso: tutte le correnti teorie dell’interpretazione, circoscritte come sono alla sola interpretazione giudiziale, mostrano una grave forma di miopia.
Sfugge ad esse un aspetto essenziale – forse il più importante – dell’esperienza giuridica: l’interpretazione dottrinale.
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NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
mezzo dell’interpretazione cognitiva, scartando i rimanenti. Pare ovvio, infatti, che i giudici (e, più in generale, gli organi
dell’applicazione) non possano limitarsi a constatare l’equivocità dei testi normativi e la vaghezza delle norme, ma debbano
necessariamente risolverle.
Si tratta di sapere, in particolare, se l’interpretazione (giudiziale appunto) sia atto di conoscenza (è questa la tesi delle varie
teorie “cognitive”) o invece atto di volontà (è questa la tesi delle
teorie “scettiche”). Nell’un caso, si potrà ammettere che gli enunciati interpretativi abbiano valori di verità (cioè possano essere veri o falsi); nell’altro caso, no.
1.1. La teoria dell’interpretazione dell’Illuminismo
Secondo una prima teoria, detta “formalista”, che risale alle
dottrine giuridiche dell’Illuminismo, l’interpretazione è un atto
di conoscenza, che consiste nello scoprire il “vero” significato
oggettivo dei testi normativi 2. In questo senso – con le parole
di Montesquieu – il giudice non è che “la bocca della legge”, e la
funzione giurisdizionale non è che “potere nullo” 3.
Ne segue che gli enunciati interpretativi (“Il testo T significa
S”) appartengono al discorso descrittivo, e possono dunque essere veri o falsi: per ogni testo normativo esiste una, ed una sola, interpretazione vera, tutte le altre essendo false 4.
2 Taluni identificano il significato “oggettivo” dei testi normativi con il loro significato letterale (corrispondente alle regole sintattiche e semantiche della lingua in
cui sono formulati); talaltri lo identificano piuttosto con ciò che l’autorità normativa intendeva dire.
3 Montesquieu, De l’esprit des lois, XI, 6. Peraltro, la “teoria” cognitiva dell’interpretazione può essere intesa – anzi probabilmente, in sede storiografica, deve essere
intesa – come una dottrina prescrittiva dell’interpretazione, secondo cui gli interpreti (e segnatamente i giudici) devono attribuire ai testi normativi il loro significato
“oggettivo”, i.e., secondo i casi, quello letterale o quello corrispondente all’intenzione dell’autorità normativa.
4 Una esposizione esemplare della teoria formalista si legge in P.-A. Coté, Interprétation des lois, III ed., Montréal, 1999.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
33
Questa teoria – che presuppone l’esistenza, in ogni testo normativo, di un senso univoco e suscettibile di conoscenza, e che
disconosce dunque l’equivocità e la vaghezza degli enunciati
normativi – al giorno d’oggi, apparentemente, non è più condivisa da nessuno (o quasi) 5. Nondimeno, essa è inscritta, incorporata, in molte istituzioni dello stato moderno: in particolare,
nella separazione dei poteri, come pure in tutti i controlli di legittimità sugli atti dei pubblici poteri (ivi incluso il controllo di
legittimità costituzionale sulle leggi).
1.2. Il neo-cognitivismo contemporaneo
La teoria oggidì più diffusa è molto diversa dal cognitivismo
ingenuo dell’Illuminismo, ma è pur sempre una forma di cognitivismo, ancorché alquanto sofisticato. Essa non nega – al contrario, sottolinea con decisione – la vaghezza (la open texture)
del linguaggio normativo, e ne trae la conseguenza che, a fianco dei casi “chiari”, per i quali l’applicazione di una norma non
solleva alcun problema, poiché essi ricadono nel suo campo di
applicazione in modo evidente, vi sono sempre dei casi “difficili” o “dubbi”, nei quali il giudice esercita il suo potere discrezionale. Quando un giudice decide un caso facile, si limita a prendere conoscenza della norma: il suo enunciato interpretativo
può essere vero o falso. Per contro, quando risolve un caso difficile, egli compie un atto di volontà: il suo enunciato interpretativo è privo di valori di verità 6.
5 In realtà, le eccezioni non mancano. Vedi, per fare un esempio, K. Whittington,
Constitutional Interpretation. Textual Meaning, Original Intent, and Judicial Review,
Lawrence, 1999: «interpretation finds meaning already existent in the constitutional
text» (p. 7); «constitutional interpretation discovers meaning» (p. 11). Cfr. anche R.
Hernández Marín, Interpretación, subsunción, y aplicación del Derecho, MadridBarcelona, 1999.
6 H. L. A. Hart, The Concept of Law, Oxford, 1961; G. Carrió, Notas sobre Derecho y
lenguaje, IV ed., Buenos Aires, 1994.
34
NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
In altre parole, il potere discrezionale degli interpreti (in particolare, dei giudici) si esercita a livello dell’interpretazione “in
concreto”, ossia nella qualificazione dei fatti, e soltanto di fronte
a casi difficili. Ma la teoria in questione non dice assolutamente
nulla dell’interpretazione “in abstracto”: suppone tacitamente
che l’interpretazione “in abstracto” – l’identificazione della norma espressa dall’enunciato normativo – sia una semplice questione di conoscenza, che può essere facilmente risolta alla luce
delle regole del linguaggio comune.
Questa teoria disconosce pertanto l’equivocità del linguaggio
normativo, la pluralità di metodi interpretativi, l’influenza della
dogmatica sull’interpretazione, e il potere discrezionale degli interpreti che da tutto ciò deriva.
Inoltre, essa incorpora – tacitamente – una dottrina prescrittiva dell’interpretazione, secondo la quale ai testi normativi si
deve attribuire il loro significato letterale (alla luce dell’uso comune del linguaggio).
1.3. Lo scetticismo realista
Vi è infine una teoria scettica, che risale al “realismo giuridico” americano della prima metà del XX secolo 7, che è altresì implicita nella “dottrina pura” del diritto 8, e che è sostenuta oggi
da una parte minoritaria della dottrina 9. Questa teoria, consapevole della molteplicità di tecniche interpretative e del ruolo
giocato dalle costruzioni dogmatiche dei giuristi, prende sul serio l’equivocità e la vaghezza del linguaggio delle fonti del dirit-
7 J. C. Gray, The Nature and Sources of the Law, Second edition from the author’s
notes, by R. Gray, New York, 1948. Cfr. G. Tarello, Il realismo giuridico americano,
Milano, 1962.
8 H. Kelsen, Dottrina pura del diritto (1960), trad. it. Torino, 1966, cap. VIII.
9 Per es.: G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980; M. Troper, La
théorie du droit, le droit, l’État, Paris, 2001; R. Guastini, Dalle fonti alle norme, II ed.,
Torino, 1992; P. Chiassoni, Tecnica dell’interpretazione giuridica, Bologna, 2007.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
35
to, e ne trae la conseguenza che, prima dell’interpretazione,
non esiste alcun senso “oggettivo” dei testi normativi.
Di fatto, ogni testo normativo è suscettibile di interpretazioni
diverse, sincronicamente confliggenti e diacronicamente mutevoli – i giuristi discutono, le parti processuali controvertono, la
giurisprudenza non è uniforme e conosce non pochi revirements
– ma d’altra parte, sfortunatamente, non esiste alcun criterio
per distinguere l’interpretazione corretta da quelle scorrette.
Da questo punto di vista, l’interpretazione – in particolare,
l’interpretazione “in abstracto” – è un atto di volontà, che consiste non nel prendere conoscenza dell’unico significato preesistente, ma nel decidere un significato determinato nell’ambito
di vari significati egualmente possibili. Ne segue che gli enunciati interpretativi non appartengono al discorso descrittivo, sicché sono privi di valori di verità.
I giudici di ultima istanza, in particolare, sono liberi di attribuire ai testi normativi qualunque significato: «Whoever hath
an absolute authority to interpret any written or spoken laws, it is
he who is truly the Law-giver to all intents and purposes, and
not the person who first wrote or spoke them» 10.
2. Ideologie
Lo scopo di ogni dottrina o ideologia dell’interpretazione è
orientare, dirigere, l’attività degli interpreti alla luce di certi valori da realizzare.
Nella storia del pensiero giuridico moderno si incontrano, da
sempre si può dire, due opposizioni dottrinali principali in materia di interpretazione:
10 Benjamin Hoadley, Bishop of Bangor, citato da J. C. Gray, The Nature and Sources of the Law, cit., 102.
36
NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
(i) da un lato, l’opposizione tra una dottrina “letteralista” e
una dottrina “intenzionalista” 11;
(ii) dall’altro, l’opposizione tra una dottrina “statica” e una
dottrina “dinamica” 12.
Due precisazioni sono opportune.
Le due dottrine della prima coppia opposizionale individuano (sia pure rozzamente) due tecniche interpretative, ossia due
modi di argomentare l’interpretazione prescelta, relativamente
precise: che consistono nel fare appello, rispettivamente, alla
“lettera” del testo interpretato e alla (presunta) “intenzione”
dell’autorità che l’ha emanato. Anche la dottrina dinamica corrisponde ad una tecnica interpretativa relativamente determinata: solitamente si argomenta una interpretazione “dinamica”
(cioè, banalmente, diversa da quelle precedenti) adducendo una
qualche variante della cosiddetta “natura delle cose”, quale ad
esempio il mutamento delle circostanze (economiche, sociali
etc.), della “coscienza sociale”, e simili. Per contro, la dottrina
statica non corrisponde ad alcun argomento interpretativo determinato, se non forse ad un generico argomento conservatore: si deve interpretare così, e non altrimenti, perché così si è interpretato in precedenza.
Inutile dire che ciascuna delle dottrine menzionate conosce
non poche varianti, che qui non è il caso di approfondire. Piuttosto, occorre avvertire che ciascuno dei membri della prima
coppia opposizionale può combinarsi con uno dei membri della
seconda, dando così luogo a varianti ulteriori (di cui diremo).
Va detto che più o meno le medesime opposizioni si incontrano anche nella letteratura dedicata all’interpretazione costituzionale. Ciò è quanto dire che – malgrado le inesauribili chiac-
11
Cfr. per es. B. Bix, Jurisprudence: Theory and Context, II ed., London, 1999, cap.
XIV.
12 J. Wróblewski, “L’interprétation en droit: théorie et idéologie”, in Archives de
philosophie du droit, 17, 1972 (fascicolo monografico: L’interprétation dans le droit); J.
Wróblewski, An Outline of a General Theory of Legal Interpretation and Constitutional
Interpretation, Acta Universitatis Lodziensis, Folia Juridica, 32, 1987.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
37
chiere sulla specificità dell’interpretazione costituzionale 13 – le
dottrine dell’interpretazione costituzionale non differiscono in
modo significativo dalle dottrine dell’interpretazione in genere 14. D’altra parte, la letteratura in materia di interpretazione
costituzionale raramente si interessa dei dettagli tecnici (metodi,
argomenti) dell’interpretazione. Per lo più si limita a direttive
metodologiche verbosamente elaborate, ma assai povere di
contenuto tecnico. La sua preoccupazione maggiore sembra
piuttosto quella di prestare ossequio a taluni valori politici: secondo i casi, la supremazia della costituzione, l’inviolabilità di
taluni diritti, il carattere democratico della legislazione, la certezza del diritto, e così via enumerando. Il che è questione, evidentemente, non proprio di dottrina dell’interpretazione, ma
piuttosto di filosofia politica (o, in senso lato, “morale”).
2.1. La dottrina letteralista
Secondo la dottrina letteralista (in verità ormai alquanto obsoleta presso i giuristi contemporanei) 15 i testi normativi – ivi
inclusi i testi costituzionali – devono essere intesi molto semplicemente alla lettera, ossia secondo le regole sintattiche e semantiche della lingua in cui sono formulati 16.
13 Vedi ad es. J. H. Garvey, T. Alexander Aleinikoff (eds.), Modern Constitutional
Theory. A Reader, III ed., St. Paul (Minn.), 1994, cap. II.
14 Cfr. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., appendice; Id.,
“Teoria e ideologia dell’interpretazione costituzionale”, in Giurisprudenza costituzionale, 2006, spec. 756 ss.; Id., “Ancora sull’interpretazione costituzionale”, in Diritto pubblico, 2, 2005.
15 Con la possibile eccezione di qualche raro penalista di orientamento fermamente garantista. Sul garantismo in diritto penale, che qui può solo essere menzionato, non si può non fare rinvio a L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo
penale, Roma-Bari, 1989.
16 A onor del vero, il concetto di interpretazione letterale non è così semplice ed
univoco come lascio intendere nel testo. Vedi in proposito R. J. Vernengo, La interpretación literal de la ley y sus problemas, II ed., Buenos Aires, 1994; E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, spec. 350; V. Velluzzi (ed.), Si-
38
NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
S’intende che le regole linguistiche in questione – specie quelle semantiche – non sempre sono univoche. Tra l’altro – soprattutto – per la ragione che molti dei vocaboli o sintagmi che si
incontrano nei testi normativi trovano uso sia nel linguaggio
comune sia nel linguaggio (relativamente specializzato) dei giuristi, sicché ammettono (almeno) due distinte interpretazioni,
entrambe letterali: quella che attribuisce loro il significato comune, e quella che attribuisce loro il significato tecnico-giuridico, il quale, a sua volta, disgraziatamente non sempre è univoco. (Il significato tecnico-giuridico di una espressione contenuta
in un testo normativo, salvo che sia specificato da una definizione espressa della stessa autorità normativa, dipende dalle
costruzioni concettuali dei giuristi, e queste frequentemente divergono tra loro sotto vari profili.)
Insomma, non è detto che l’interpretazione letterale sempre
dia luogo ad un unico, univoco, significato: può ben accadere
che un testo normativo ammetta due o più interpretazioni, egualmente letterali, e tuttavia diverse e incompatibili.
2.2. La dottrina intenzionalista
La dottrina intenzionalista – oggidì largamente diffusa, specie nella dottrina dell’interpretazione costituzionale – sostiene
che ai testi normativi si debba attribuire il significato conforme
alla intenzione (o volontà) dell’autorità normativa (il legislatore,
il costituente, etc.). Tale intenzione, se mai può essere accertata,
evidentemente può solo esserlo mediante l’esame dei lavori
preparatori (ad esempio, i dibattiti parlamentari o gli atti di
un’assemblea costituente) del testo normativo di cui trattasi
(sempre che essi siano documentati).
È appena il caso di notare, però, che negli ordinamenti moderni è ben raro che l’autorità normativa sia un organo monognificato letterale e interpretazione del diritto, Torino, 2000; nonché R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 144 ss.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
39
cratico. E ciò fa problema, perché non è affatto certo che gli organi collegiali abbiano una qualsivoglia intenzione, e che questa
sia conoscibile.
Intanto, è dubbio che abbia perfino senso parlare di intenzione o volontà in riferimento (non a singoli individui, ma) a
collegi, dal momento che l’intenzione è uno stato mentale individuale, e non pare proprio che esistano stati mentali “collegiali”. Quanti ritengano che i discorsi sull’intenzione di organi collegiali non abbiano senso affatto concluderanno che ogni congettura intorno alla intenzione, per esempio, di un’assemblea
(una camera parlamentare, un’assemblea costituente, o ancor
più un parlamento bicamerale) è una finzione, destinata banalmente a celare le preferenze dell’interprete: ciascun interprete
infatti attribuisce alle autorità normative quelle intenzioni che a
lui paiono buone o ragionevoli 17.
D’altra parte, se anche si supera il dubbio precedente, resta
comunque ben difficile discernere la genuina intenzione “dell’autorità normativa” in seno alla molteplicità di intenzioni personali eventualmente manifestate da quanti hanno partecipato,
in varie forme, alla redazione e all’approvazione del testo normativo di cui trattasi.
Come che sia, la verità è che quasi sempre la dottrina intenzionalista è fatta oggetto, da parte dei giuristi, di adesione meramente verbale. Nel senso che, nella maggior parte dei casi,
quanti pure la sostengono non cercano affatto l’intenzione
dell’autorità normativa nei lavori preparatori, come sarebbe
naturale. Preferiscono o cercare una misteriosa “volontà oggettiva della legge” (intesa come cosa diversa dalle, e irrelata alle,
soggettive intenzioni dei legislatori), o fare congetture controfattuali intorno a ciò che il legislatore avrebbe disposto se avesse previsto ciò che, di fatto, non ha previsto per nulla 18. Tutto
N. Bobbio, “Le bon législateur”, in Logique et analyse, n. 53-54, 1971, ha mostrato quanto peso abbia l’ipotesi del legislatore razionale e/o ragionevole nello stile argomentativo della Corte di cassazione italiana.
18 Vedi la giurisprudenza citata in R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, 397 ss.
17
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NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
ciò, con la reale intenzione dell’autorità normativa (posto che
tale intenzione esista e sia conoscibile), evidentemente non ha
nulla a che fare.
2.3. La dottrina statica
Osservando gli usi linguistici correnti, è facile accorgersi che il
vocabolo “interpretazione” soffre della caratteristica ambiguità
processo/prodotto; e cioè può riferirsi, secondo i contesti, ad
una attività (o processo) o al suo prodotto (o risultato) 19. Il prodotto dell’attività interpretativa è, ovviamente, il significato ascritto al (frammento di) testo normativo interpretato: la norma, insomma. Ebbene, questa distinzione – interpretazione in
quanto attività, interpretazione in quanto risultato di tale attività – torna utile per chiarire che la dottrina statica non dice nulla
intorno all’interpretazione in quanto attività, non propugna
una specifica tecnica interpretativa.
Essa raccomanda piuttosto un particolare prodotto dell’interpretazione (quale che sia la tecnica impiegata per argomentarlo).
Raccomanda che il prodotto dell’interpretazione sia stabile, che a
ciascun testo normativo sia attribuito sempre il medesimo significato (ovvero che esso sia inteso ad esprimere sempre la medesima norma); che insomma non si mutino orientamenti interpretativi, che non si rimettano in discussione le interpretazioni ormai consolidate, che la giurisprudenza non compia revirements.
La dottrina statica dunque favorisce un atteggiamento genericamente conservatore in materia di interpretazione, nel presupposto che la stabilità dell’interpretazione garantisca “certezza del diritto”, ossia prevedibilità delle conseguenze giuridiche
delle azioni di ciascuno: concretamente, prevedibilità delle decisioni giurisdizionali (ma, in diritto costituzionale, anche prevedibilità delle decisioni dei supremi organi costituzionali).
19 G. Tarello, “Orientamenti analitico-linguistici e teoria dell’interpretazione
giuridica”, in U. Scarpelli (ed.), Diritto e analisi del linguaggio, Milano, 1976.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
41
2.4. La dottrina dinamica
La dottrina dinamica, all’opposto, incoraggia gli interpreti a
cambiare l’interpretazione anche consolidata dei testi normativi
– specialmente ove si tratti di testi normativi ormai risalenti nel
tempo, come sono a volte i testi costituzionali – così da adattare
incessantemente il diritto a nuove circostanze, malgrado l’inerzia delle autorità normative (ivi incluso il potere di revisione costituzionale).
In altre parole, la dottrina dinamica favorisce l’interpretazione cosiddetta “evolutiva”, utile a rimediare, per via interpretativa appunto, all’invecchiamento dei testi normativi (o alla mancanza di revisioni costituzionali) 20.
L’interpretazione evolutiva, in verità, non è di per sé una
specifica tecnica interpretativa: ciò che “evolve”, a rigore, non è
l’attività interpretativa, ma piuttosto il prodotto dell’interpretazione. Ciò che cambia, in altri termini, è il significato ascritto ad
un medesimo testo normativo. Nondimeno, si incontra in dottrina e in giurisprudenza una tecnica standard per argomentare
questo tipo di interpretazione: quella che consiste nel fare appello a certi tipi di fatti – così come sono percepiti e valutati
dall’interprete alla luce dei suoi sentimenti di giustizia – quali un
mutamento nella coscienza sociale, l’emergere di nuove esigenze della vita sociale (economica, politica, etc.), e simili.
2.5. Combinazioni: due varianti della dottrina letteralista
La dottrina letteralista può combinarsi con la dottrina statica
o con la dottrina dinamica, dando così luogo a due distinte versioni del letteralismo.
Per chiarire la faccenda, conviene fare una, peraltro ovvia,
premessa. Il significato comune delle espressioni linguistiche è,
20
1996.
R. Dworkin, Freedom’s Law. The Moral Reading of the Constitution, Oxford,
42
NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
talvolta, instabile: muta nel tempo, al mutare degli usi linguistici, delle circostanze sociali, dei modi di vedere diffusi. E ciò è
particolarmente vero per quelle espressioni che incorporano
valori politici o morali, e che tanto spesso si incontrano nei testi
costituzionali (specie contemporanei), quali: “libertà”, “eguaglianza”, “dignità”, “democrazia”, “progresso”, etc. Orbene:
(i) Combinata con la dottrina statica, la dottrina letteralista
produce quel modo di vedere – una prima (rara) variante di “originalismo” 21 – secondo il quale ai testi normativi si deve attribuire il significato letterale che essi avevano all’epoca in cui furono redatti e approvati.
Inutile dire che questa forma di originalismo fatalmente produce interpretazioni tanto più discutibili quanto più è risalente
nel tempo il testo interpretato.
(ii) Combinata invece con la dottrina dinamica, la dottrina
letteralista dà luogo all’idea che ai testi normativi si debba attribuire il significato letterale che essi assumono nel momento in cui
sono interpretati.
Evidentemente, questa ultima dottrina, non diversamente
dalla dottrina dinamica in genere, favorisce l’interpretazione evolutiva, suggerendo però di argomentarla, semplicemente,
con riferimento all’uso effettivo attuale del linguaggio.
2.6. Combinazioni: due varianti della dottrina intenzionalista
Anche la dottrina intenzionalista può combinarsi con la dottrina statica o con la dottrina dinamica, dando così luogo a due
distinte versioni dell’intenzionalismo.
(i) Combinata con la dottrina statica, la dottrina intenzionalista produce quel modo di vedere – una seconda (ben diffusa)
21 A. Scalia, A Matter of Interpretation. Federal Courts and the Law. An Essay, Princeton, 1996.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
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variante di “originalismo” 22 – secondo il quale ai testi normativi
si deve attribuire il significato corrispondente all’intenzione
dell’autorità normativa (ad esempio: i “padri costituenti”), poco
importa che si tratti di testi assai risalenti nel tempo – come è
talvolta il caso dei testi costituzionali – e di autorità normative
ormai estinte da tempo.
Questa dottrina si regge sulla tesi, genericamente intenzionalista, secondo cui ogni testo normativo non incorpora altro significato che quello voluto dal suo autore, combinata però con
la tesi – squisitamente politica – secondo cui gli interpreti non
hanno titolo per rimediare all’inerzia delle autorità normative,
cambiando essi stessi il diritto, per via interpretativa, quando
non mutino i testi normativi. Se, ad esempio, agli interpreti fosse consentito attribuire ad una clausola costituzionale un senso
diverso da quello voluto dai costituenti, essi si sostituirebbero al
potere costituente (o al potere di revisione costituzionale), usurpandolo.
(ii) Combinata con la dottrina dinamica, la dottrina intenzionalista dà luogo a quel modo di vedere – una evidente finzione
– secondo cui l’intenzione delle autorità normative non è data
una volta per tutte, cristallizzata nei documenti normativi, ma
magicamente evolve, adattandosi al mutare delle circostanze.
Questa formulazione alquanto assurda nasconde tuttavia un’idea ricca di implicazioni pratiche.
22 J. Raz, “Intention in Interpretation”, in R. P. George (ed.), The Autonomy of Law.
Essays on Legal Positivism, Oxford, 1996; K. Whittington, Constitutional Interpretation. Textual Meaning, Original Intent, and Judicial Review, Lawrence, 1999; J. Goldsworthy, “Originalism in Constitutional Interpretation”, in Federal Law Review, 25,
1997; R. S. Kay, “Adherence to Original Intentions in Constitutional Adjudication.
Three Objections and Responses”, in Northwestern University Law Review, 82, 2,
1988; R. S. Kay, “Original Intentions, Standard Meanings, and the Legal Character
of the Constitution”, in Constitutional Commentary, vol. 6, 1, 1989; J. Allan, “Constitutional Interpretation vs Statutory interpretation. Understanding the Attractions of
‘Original Intent’”, in Legal Theory, 6, 2000. Cfr. P. De Lora Deltoro, La interpretación
originalista de la Constitución, Madrid, 1998.
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NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
L’idea è grosso modo questa: che l’intenzione dell’autorità
normativa non sia tanto la norma espressa dal testo per sé presa, quanto piuttosto la sua ratio, la sua ragion d’essere, ossia lo
scopo che l’autorità normativa intendeva perseguire, o, ancora,
il “valore” o “principio” sotteso alla norma. In altre parole: non
la norma espressa, ma il principio – il valore etico-politico – implicito sottostante, da cui l’autorità normativa, si suppone, era
animata.
Ora, un principio, un valore, una ratio sono potenziali matrici
di innumerevoli norme (ulteriori rispetto a quella in cui si sono
originariamente concretizzati) inespresse, idonee a risolvere
fattispecie nuove, non previste. Con l’ausilio, s’intende, dell’argomento analogico, oppure del solito argomento controfattuale: “Se il legislatore avesse previsto la fattispecie F, l’avrebbe
risolta, in conformità al principio P, nel modo G”.
Sicché questo modo di vedere si risolve: talvolta, nell’interpretazione estensiva o analogica del testo di cui trattasi; altre
volte, non tanto in una peculiare interpretazione – strettamente
intesa: “T significa S (invece che R)”, dove S si riferisce ad una
classe di fattispecie più ampia di quella cui si riferisce R – del testo, quanto piuttosto nella elaborazione di norme nuove, inespresse, a partire dal principio che si ritiene sotteso al testo.
2.7. Altri orientamenti dottrinali
Per concludere, si può dar conto di alcuni altri orientamenti
dottrinali, che non sono univocamente riconducibili ai precedenti. E che, a dire il vero, non sono, strettamente parlando,
dottrine dell’interpretazione, anche se hanno ovviamente un
impatto sull’interpretazione. Sono piuttosto dottrine (ideologie)
della decisione giurisdizionale: politiche de sententia ferenda, come suol dirsi. Si tratta cioè di dottrine che pretendono di orientare la giurisprudenza – ivi inclusa la giurisprudenza costituzionale – senza peraltro raccomandare ai giudici specifiche tecniche
interpretative a preferenza di altre.
II . METATEORIA DELL’INTERPRETAZIONE
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Anche qui risulta comodo esporre gli orientamenti in questione raggruppandoli in coppie opposizionali.
2.7.1. Prima coppia: equità vs legalità
(i) La dottrina che, in mancanza di meglio, possiamo chiamare “della legalità” è l’analogo giuridico di una dottrina morale
che va sotto il nome di “universalismo” 23. L’universalismo, in
quanto dottrina morale, è discutibile e largamente discusso in
sede di filosofia morale. Ma la dottrina giuridica corrispondente
– la dottrina “della legalità” – suona persino ovvia alle orecchie
di molti giuristi moderni a partire dalla Rivoluzione francese,
tanto che è difficile offrirne una formulazione perspicua, non
banale (o che non si risolva in una tautologia, del tipo: l’applicazione della legge consiste nell’applicazione della legge).
La dottrina può essere enunciata semplicemente così: i casi
sottoposti alle corti devono essere risolti in conformità a norme
generali (norme cioè che si applicano a classi di casi) 24, e le norme devono essere uniformemente applicate a tutti i casi che ricadono nel loro campo di applicazione (e, beninteso, solo ad essi), senza eccezioni 25.
All’evidenza – posto che il diritto consista precisamente di
norme generali 26 – ciò è quanto dire che i giudici devono, molto
semplicemente, applicare il diritto, e non violarlo. Giudicare un
23 L’opposizione tra universalismo e particolarismo (a quest’ultimo faremo cenno tra un momento) è stata elaborata soprattutto nella letteratura metaetica: cfr. J.
Dancy, Moral Reasons, Oxford, 1993, capp. 5 e 6; B. Hooker, M. Little (eds.), Moral
Particularism, Oxford, 2000. Nella letteratura giuridica si può vedere F. Schauer,
Playing by the Rules, Oxford, 1992, cap. 5; Z. Bankovski, J. Mac Lean (eds.), The Universal and the Particular in Legal Reasoning, Ashgate, Burlington, 2006.
24 Sempre che norme generali, espressamente formulate da un’autorità normativa, vi siano. Il che, ovviamente, non è sempre il caso nei sistemi giuridici di common
law.
25 Cfr. M. Jori, Il formalismo giuridico, Milano, 1980.
26 Il che dipende, evidentemente, non dagli organi dell’applicazione, ma dalle
autorità normative.
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NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
caso in modo difforme da ciò che la norma generale applicabile
prescrive – ossia introdurre (più o meno tacitamente) una eccezione nella norma stessa – costituirebbe duplice violazione del
diritto: violazione della norma disattesa (non applicata) e, al
tempo stesso, violazione del principio d’eguaglianza (i casi eguali devono essere risolti allo stesso modo), espressamente
consacrato nella gran parte delle costituzioni moderne.
Come si vede, tutto ciò non è cosa diversa dall’enunciare,
banalmente, il principio di legalità della giurisdizione: principio
che non dovrebbe essere materia di controversie dottrinali, essendo, nella gran parte degli ordinamenti moderni, un principio
di diritto positivo, espressamente formulato o comunque pacificamente accettato 27.
Tendenzialmente, sul terreno dell’interpretazione, la dottrina
in questione si riduce alla raccomandazione, puramente negativa,
di non praticare l’interpretazione restrittiva, e comunque di trattare le norme giuridiche come norme “indefettibili”, cioè di non
introdurre surrettiziamente in esse delle eccezioni implicite 28.
(ii) La dottrina della legalità, come si diceva, suona come
un’ovvietà. Se non lo è, ciò dipende dal fatto che, dopo tutto, esiste una dottrina che ad essa si contrappone. Possiamo chiamarla, in mancanza di meglio, dottrina “dell’equità” o della
“giustizia del caso concreto”: l’analogo giuridico di una dottrina
morale che va sotto il nome di “particolarismo”.
La dottrina dell’equità raccomanda ai giudici di non applicare
le norme generali “ciecamente”, ossia senza tener conto delle peculiari circostanze del singolo caso concreto, ma di ricercare invece, per ogni caso loro sottoposto, la soluzione “giusta”: la “giustizia del caso concreto”, appunto, una giustizia case by case 29.
27 Negli ordinamenti di common law il principio di legalità nella giurisdizione
prende la forma di regola del precedente vincolante (“stare decisis”).
28 Si introducono eccezioni implicite nelle norme espressamente formulate mediante la tecnica della dissociazione, e nelle norme derivanti da precedenti giurisprudenziali mediante la tecnica del distinguishing.
29 J. Raz, “Why Interpret?”, in Ratio Juris, 9, 1996.
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Per far ciò, sarà sovente necessario scartare l’interpretazione
letterale, e interpretare i testi restrittivamente, introducendo
nelle norme – alla luce del loro presunto scopo (la loro ratio, la
loro giustificazione soggiacente) – delle eccezioni implicite: ogniqualvolta, a causa delle peculiarità della controversia, la loro
applicazione stretta avrebbe conseguenze (che al giudice appaiano) ingiuste 30.
Lo strumento tipico per scartare l’interpretazione letterale
ogniqualvolta i suoi esiti appaiano ingiusti è la tecnica della
“dissociazione”, non diversa dal distinguishing praticato dai giudici di common law nell’interpretazione dei precedenti. (Intesa alla lettera, la disposizione D dovrebbe applicarsi all’intera classe
di fattispecie F; ma la classe F include due sottoclassi sostanzialmente distinte, F1 e F2; alla luce dello scopo perseguito dall’autorità normativa, si deve ritenere che la disposizione D sia
applicabile solo alle fattispecie F1, non anche alle fattispecie F2,
che meritano un trattamento giuridico diverso, e che comunque l’autorità normativa non poteva ragionevolmente voler disciplinare in quello stesso modo. Secondo la legge penale, mettiamo, il furto in genere deve essere punito, ma deve essere
punito anche il furto di una mela compiuto da un bambino affamato?)
La dottrina dell’equità invita dunque gli interpreti a privilegiare lo scopo della norma – o l’intenzione dell’autorità normativa – contro il suo tenore letterale (lo “spirito” contro la
“lettera”), e tratta tendenzialmente ogni norma giuridica come
una norma “defettibile”, soggetta cioè ad eccezioni implicite
non identificabili se non al momento dell’applicazione a casi
concreti.
Si può considerare espressione di un atteggiamento “particolarista” anche la pratica dei tribunali costituzionali che consiste
nel risolvere i conflitti tra principi soppesando il valore dei principi stessi “case by case”, anziché in modo stabile e definitivo
(sicché in un caso o in una classe di casi il principio P1 prevale
30
G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992.
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NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
sul principio P2, ma è possibile che in un caso diverso o in una
classe di casi diversa P2 prevalga su P1) 31.
2.7.2. Seconda coppia: “judicial restraint” vs “judicial activism”
Resta ancora da accennare a due dottrine – largamente discusse soprattutto nella letteratura americana – che hanno ad
oggetto specificamente la giurisdizione costituzionale, sicché
dovrebbero avere grande rilievo in quanto dottrine dell’interpretazione costituzionale. Senonché, come vedremo subito, le
due dottrine sono molto eloquenti dal punto di vista politico,
quanto ai rapporti tra legislazione e giurisdizione costituzionale, ma assai povere di contenuto tecnico.
(i) La dottrina del “judicial restraint” – ossia della (auto)limitazione giudiziale – s’ispira al valore della deferenza verso il legislatore democratico. I giudici – in particolare i giudici costituzionali – privi come sono di qualunque legittimazione democratica (non essendo eletti dal popolo) non devono invadere la
competenza del potere legislativo, o usurparlo 32. Il che avverrebbe se esercitassero sulle leggi un controllo di legittimità costituzionale troppo penetrante. Sicché una legge non deve essere dichiarata incostituzionale se non quando contraddica la costituzione in modo evidente, conclamato 33.
Disgraziatamente, non è facile dire quando mai un’antinomia
tra legge e costituzione possa considerarsi evidente o conclamata. Forse quando sia generalmente percepita come tale dalla
comunità dei giuristi? O quando sia frutto di interpretazione let31 Cfr. J. J. Moreso, “Conflitti tra principi costituzionali”, in Ragion pratica, 18,
2002; B. Celano, “‘Defeasibility’ e bilanciamento”, in Ragion pratica, 18, 2002.
32 J. H. Ely, Democracy and Distrust. A Theory of Judicial Review, Cambridge
(Mass.), 1980.
33 M. Tushnet, Taking the Constitution away from the Courts, Princeton, 1999; J.
Waldron, Law and Disagreement, Oxford, 1999. Cfr. V. Ferreres Comella, Justicia
constitucional y democracia, Madrid, 1997.
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terale (sia della legge, sia della costituzione)? O, ancora, quando
sia frutto di interpretazione ormai consolidata? La domanda è
destinata a restare senza risposta 34. Sicché la dottrina del “judicial restraint” si riduce ad un invito del tutto generico, rivolto ai
giudici costituzionali, ad attenersi ad un atteggiamento di deferenza verso il legislatore (democratico) 35.
Pare comunque che la dottrina in esame tendenzialmente
concepisca la costituzione come un insieme di norme finito, e in
questo senso (ampio) “lacunoso” 36: la costituzione non disciplina qualunque possibile materia o fattispecie; e nelle materie che
la costituzione non disciplina in alcun modo il legislatore è pienamente libero di disporre come crede, per mancanza di qualsivoglia “parametro” di legittimità costituzionale.
(ii) La dottrina del “judicial activism” – ossia dell’attivismo
giudiziale – s’ispira piuttosto all’idea che i giudici costituzionali
abbiano il dovere di proteggere i diritti costituzionali dei cittadini (e delle minoranze politiche) contro le maggioranze politiche (per quanto democraticamente elette), cioè contro il legislatore 37.
Par di capire che questa dottrina intenda raccomandare ai
giudici una interpretazione poco rispettosa della lettera del testo costituzionale, se non addirittura una interpretazione libera
da ogni vincolo testuale, favorendo così quella che si usa chiamare “libera creazione” del diritto costituzionale da parte dei
giudici (in alcune varianti della dottrina: allo scopo di adattare i
valori costituzionali ai bisogni della vita reale, che, s’intende, i
34 Si può comunque congetturare che i partigiani del “judicial restraint” siano
tendenzialmente favorevoli all’interpretazione letterale.
35 Un’eco (inconsapevole) di questa dottrina nell’art. 28 della legge 87/1953: «Il
controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza
di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento».
36 K. Whittington, Constitutional Interpretation, cit., 13.
37 J. Wróblewski, The Judicial Application of Law, Dordrecht, 1992, cap. XIII.
50
NUOVI STUDI SULL’INTERPRETAZIONE
giudici possono identificare solo attraverso i loro sentimenti di
giustizia 38).
Al contrario della precedente, questa dottrina sembra poi voler suggerire che il diritto costituzionale sia un insieme di norme “completo” (o tendenzialmente completo): i principi costituzionali – in virtù della struttura aperta che li caratterizza – sono capaci di disciplinare qualunque materia o fattispecie possibile. Sicché nel diritto costituzionale non residua alcuno spazio
vuoto – alcun Rechtsleererraum – nel quale il legislatore ordinario possa liberamente decidere ciò che vuole: per ogni legge
ordinaria vi sarà sempre una norma – o, piuttosto, un principio
o un valore – costituzionale con cui essa può essere confrontata
per decidere della sua conformità alla costituzione 39.
R. Dworkin, Freedom’s Law, cit.
Una conseguenza notevole del “judicial activism” è la tendenziale “costituzionalizzazione” dell’ordinamento giuridico. Cfr. L. Favoreu, “La constitutionnalisation du droit”, in B. Mathieu, M. Verpeaux (eds.), La constitutionnalisation des
branches du droit, Paris, 1998; R. Guastini, Lezioni di teoria del diritto e dello stato, Torino, 2006, 239 ss., 251 ss.
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