DR. ROBERTA RIBALI Specialista in Neurologia e Psichiatria Consulente Tribunale di Milano Psicosomatica Andrologica e Sessuologia Ist. “Humanitas” Milano ___________________________________________________________________________________________ ”Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente… “ L. Wittgenstein ….SIAMO TUTTI TRANSESSUALI! Tutto è cominciato in seduta, da una frase di un Paziente che diceva : ”… perché vede, dottoressa, noi transessuali…”e poi poche parole su una qualche situazione che non ricordo. E’ stata quell’espressione “noi transessuali” che mi è suonata stonata,come lo stridere della lama di un coltello sulla porcellana. Tutto lì…. Ma questa mia reazione mi ha acceso la mente e mi ha spinto ad ampliare le riflessioni che mi si sono presentate... Prima di tutto, ho provato una sensazione di essere esclusa immotivatamente e ingiustamente da un qualcosa di umano. Come quando mi si dice, ad esempio: noi ebrei siamo perseguitati. Noi neri siamo discriminati. Io mi irrito: anch’io,anche noi tutti umani possiamo essere e siamo perseguitati. Anche noi donne siamo perseguitate. Anche noi psichiatri siamo oggetto di pregiudizio . Anche noi automobilisti, noi vegetariani, noi che siamo della riva sinistra del Po, noi mancini, noi epilettici ,noi ecc.ecc.possiamo essere diversi, discriminati, in negativo o in positivo … (magari anch’io sono un po’ ebrea…una trisavola vivace di origine mitteleuropea, chissà. E poi, da piccola ho avuto un febbrone e le convulsioni…un po’ epilettica sono stata anch’io. Vegetariana lo sono diventata,ecc.ecc., appunto). Noi, noi, noi: e voi. Contrapposti, diversi appunto per quanto riguarda una peculiare caratteristica che “noi” abbiamo e “voi” no. Si tende comunque a fare parecchia confusione: alcune caratteristiche – poche- sono effettivamente esclusivo appannaggio di alcuni, ma spesso si preferisce , piu’ o meno consapevolmente, creare degli insiemi artificiosi e falsi. Questo, allo scopo di scorporare da noi stessi un qualche cosa che ci farebbe fatica riconoscerci addosso: meglio proiettarlo sull’altro , creando categorie fittizie e spurie, anche se non sempre facilmente identificate o smascherabili. Su tali categorie si fabbricano dei “films personali” a valanga, in apparenza logici ma in realtà solo imaginifici, in quanto spesso basati su punti di partenza campati in aria. Torniamo al “noi transessuali”. Si studia che l’identità sessuale di un essere umano si forma precocemente. Il piccolo essere umano, appena nato, si ritrova già con una appartenenza sessuale attribuita sulla base di un’ispezione agli organi genitali esterni: per l’adulto che decide , all’interno di un sistema linguistico adeguato, i giochi sono fatti. L’attribuzione si rifà appunto, alla realtà esistenziale di una persona che ha già un suo percorso e che proietta la sua esperienza finale in quel momento della sua vita. L’ostetrica è una femmina, il ginecologo è ancora quasi sempre un maschio: in sala parto tutto è chiaro e binario. Oggi l’esame ecografico ci consente di anticipare questo momento, che non è soltanto ispettivo: quando si conosce il sesso biologico del nascituro, già si mette in moto un gigantesco marchingegno di aspettative, proiezioni, predeterminazioni familiari e sociali. Se la lingua prevede anche un genere neutro, il neonato, comunque o maschio o femmina, gode ancora per qualche mese un piccolissimo margine di relativa indifferenziazione (greco moderno, ad esempio) ma al momento dell’attribuzione del nome comunque è o “lui “o “lei”. Inequivocabilmente e senza appello. La neuropsichiatria infantile contemporanea ,branca medico- specialistica offuscata spesso da un polverone divulgativo,ci fornisce qualche linea-guida fuori dal coro, a partire dall’embriologia: è ben noto che le strutture anatomiche sessuali primarie sono presenti in tutti gli embrioni e si atrofizzano o si sviluppano a seguito delle influenze ormonali. Anche i cosiddetti ormoni “maschili” e “femminili” sono presenti in tutti noi, tali e quali, solo in proporzioni variabili e diverse. La psiche ed il soma del neonato, e poi del bambino che cresce, sono modellati in continuazione da una serie di stimoli che provengono in parte dall’interno dell’organismo e in parte dall’esterno, in un divenire continuo e plastico, nel quale la causa e l’effetto si intersecano indissolubilmente. Non ci sono punti fissi di arrivo. In particolare, il gruppo famigliare e sociale ha pronti una serie di messaggi inequivocabili, precisi, affinati nei secoli ,che rinforzeranno o reprimeranno i comportamenti spontanei del bambino. Tali messaggi sono a volte talmente incorporati e passati acriticamente che assumono la dignità di input “naturali”, mentre altre volte sono mascherati e addirittura subconsci o inconsci. In taluni gruppi sociali, le due polarità maschile e femminile sono parecchio divergenti :anche guardandoli per strada, per strada maschi e femmine sono chiaramente individuati da segnali inequivocabili e non interscambiabili, mentre in altre società è consentito esprimersi con tutta una gamma intermedia di segni e comportamenti. E’ a mio parere molto difficile capire realmente cosa vuol dire un bambino quando, interrogato, asserisce di essere maschio o femmina. Il senso che lui o lei danno a ciò non è certamente il senso che da’ l’adulto, individuo relativamente più strutturato . Prima della pubertà il corpo manda segnali deboli, che però trovano una forte risonanza ed amplificazione nei comportamenti indotti dal gruppo. La stessa definizione di maschio o femmina non è così facile come sembra: certamente c’è un cromosoma differente, ma… cosa significa esattamente? Sta a determinare una dinamica evolutiva dell’organizzazione degli organi in senso quantitativo? Così sembrerebbe ragionevole pensare: che poi il risultato debba portare camicini rosa o celesti, amare i fiori o voler fare la guerra, prediligere il ricamo o il bricolage, avere schede elettorali di colore differente sembrerebbe appartenere a tutto un altro ordine simbolico. L’identificazione con il genitore dello stesso sesso è una tappa dello sviluppo davvero così “naturale” o non è anch’essa influenzata massivamente dalla pressione ambientale? Tant’è vero che spesso questo meccanismo non fila liscio come l’olio, né per quanto riguarda il percorso di identificazione né per quanto riguarda l’oggetto dell’attrazione sessuale che ciascuno di noi “dovrebbe” avere. Nell’adolescenza le idee in proposito sono spesso piuttosto confuse: e questo lo sanno bene gli specialisti dell’età evolutiva. Il percorso di identificazione sessuale , così come il percorso della scelta dell’oggetto, è plastico, dinamico, passibile di cambiamenti, inversioni di rotta, inceppamenti e quant'altro. E’ pensabile che questa plasticità molte persone la conservino, in modo magari parziale, ben oltre l’adolescenza: ho incontrato, nei miei anni d’esperienza clinica, tanti che, nel profondo dell’anima, hanno percorso strade complesse. Prima una vita di coppia eterosessuale, anche, a volte, sostenuta da amore sincero e desiderio per il o la partner; poi, nel tempo, la domanda ”chi sono io? “affiora, e affiorano incertezze, indizi antichi di dubbi e ambivalenza, scoppi di passioni improvvise e assolutamente inaspettate. La gamma dei possibili partners si amplia così a 360 gradi… Noi conosciamo solo una piccola parte di tali realta’: ma nel percorso d’analisi, nella stanza chiusa di uno studio riservato e accogliente,questo continuo lavorio plastico di assestamento della propria identità,questo non dare per scontata l’evidenza richiesta dal ruolo sociale o anche da una linea di affetti che coesiste in parallelo,emerge e si esprime. Molto dipende anche dall’accoglienza del terapeuta e , a sua volta, dalla plasticità che lui stesso consente, a sé e all’altro, nell’interscambio fra il corpo e il suo desiderio, l’io, il sociale. Le tematiche dell’identità sessuale del terapeuta, nelle sue infinite sfumature, è argomento di difficile trattazione, durante il tirocinio didattico e non tutti gli psicoterapeuti hanno affrontato un’analisi del profondo, che li abbia messi a contatto con questi aspetti del sé: l’io spesso li rifiuta, non li considera e li rimuove facilmente. Magari per tutta la vita possono essere tenuti a bada. A volte invece il terapeuta gioca più disinvoltamente le sue proprie carte: allora , in un’atmosfera di celebrazione, certi aspetti del sé del Paziente possono fare capolino, per poi svilupparsi oppure per ritrarsi, se è il caso, dopo esser stati però elaborati. In certi momenti, uno stesso soggetto passa da un’identificazione maschile a una femminile e viceversa, a volte c’è addirittura una contemporaneita’, una coesistenza: maschile e femminile convenzionali magari non vogliono dire nulla, ma stanno per una diversità e una complementarietà desiderata e riconosciuta. In altri casi, maschile e femminile travalicano il significato specifico e simboleggiano tutt’altro, ad esempio modalità desiderate che l’io non lascia affiorare o espressioni arcaiche di un sé primario, sepolto e accantonato. Questo tipo di lavoro analitico riporta, circolarmente, al Paziente che mi ha “fatto irritare”; certamente, lui non poteva sapere, visti i segnali addomesticati che manda una tranquilla dottoressa di mezza età , rassicurante nel suo studio borghese e prevedibile, quanta parte di me non si identifichi nello stereotipo femminile dominante e quanto non si senta a suo agio in un vissuto maschile, non solo a livello razionale. Mi spiego meglio: le teorie femministe , ad esempio, hanno ragionevolmente analizzato molti stereotipi banali e non, ma non è a contenuti critici cognitivi cui io faccio riferimento in questo contesto. Vorrei riportarmi invece alla percezione di uno stato primitivo non differenziato, nel quale ci si sente liberi di viversi, immaginarsi e sperimentarsi in una gamma di possibilità umane molto ampia, non circoscritta dai messaggi del sociale e dell’io. Alcune persone si ritrovano a percorrere questa strada di vita, di passaggio fra i modi d’essere che il corpo e il sé pretendono,in direzione apparentemente “contraria” alla spinta dell’impronta genetica. Spesso il loro investimento affettivo è così forte da travolgere le resistenze immense che incontrano, dentro e fuori da sé stessi , e da portarli necessariamente ad andare avanti , avvicinandosi a modelli di vita che li fanno “stare meglio”. In un corpo genotipicamente e fenotipicamente maschile alligna, talvolta,in tutto o in parte,anche una donna, o viceversa. E questa identita’ nascosta a volte vuole emergere,lanciare segnali, o anche vivere completamente la propria vita. Queste persone oggi le chiamiamo ....trans...transgender, transsessuali ( termine che mi piace poco perché riduttivo, anziché aperto ad una realtà piu’ ampia della persona tutta). Quanto a me, ho cercato di mediare e di elaborare in altro modo questa catexi, questa spinta istintuale, a modo mio, come fanno in molti. Ma se non mi viene riconosciuta la legittima esperienza umana di una parte di me … posso anche irritarmi un istante con un inconsapevole Paziente che mi considera esclusa dalle sue esperienze , e pensare, invece,che…siamo tutti transessuali.