bIbLIOGRAFIA - EDU-FAD

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Associazione Italiana
di Oncologia Medica
EDU-FAD
Educazione Medica Continua in Oncologia
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
a cura del Dottor Sergio Bracarda e del Professor Francesco Boccardo
EDU-FAD
Educazione Medica Continua in Oncologia
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
a cura del Dottor Sergio Bracarda
e del Professor Francesco Boccardo
Progetto Working Group ECM&Congressi
Edizione 2009
www.edufadaiom.it
Corso di formazione a distanza reso possibile
grazie a un contributo educazionale di Pfizer Oncology
Edizione 2009
Aiom - Associazione Italiana di Oncologia Medica
Via E. Nöe, 23 - 20133 Milano, Italy
Tel: +39 02 70632097
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TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Progetto grafico e DTP: QG Project – Longone al Segrino (Co)
Stampa: Grafismi – Longone al Segrino (Co)
???????????
Responsabili di Patologia
Sergio Bracarda
UOC Oncologia Medica, Dipartimento di Oncologia
Ospedale San Donato, USL-8
Via Pietro Nenni, 20 - 52100 Arezzo
e-mail: [email protected]
Francesco Boccardo
Istituto Nazionale Ricerca Cancro - U.O.Univ. Oncologia Medica
Largo Rosanna Benzi, 10 - 16132 Genova GENOVA
e-mail: [email protected]
Co-Autori
Marcello Tucci
SCDU Oncologia Medica - AOU San Luigi di Orbassano
Regione Gonzole, 10 - 10043 - Orbassano (TO)
e-mail: [email protected]
Elisabetta Setola
U.O. Oncologia - Ospedale San Giuseppe
Via San Vittore, 12 - 20123 Milano
e-mail: [email protected]
Federica Merlin
U.O. Oncologia Medica
Ospedale Sant’Orsola - Fondazione Poliambulanza
Via Vittorio Emanuele II, 27 - 25122 Brescia
e-mail: [email protected]
Alketa Hamzaj
S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia
Ospedale S. Maria della Misericordia
via G. Dottori, 1 - 06120, Perugia
e-mail: [email protected]
Marta Rossi
S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia
Ospedale S. Maria della Misericordia
via G. Dottori, 1 - 06120, Perugia
e-mail: [email protected]
3
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Direttivo AIOM 2007-2009
Presidente: Francesco Boccardo
Presidente eletto: Carmelo Iacono
Segretario: Marco Venturini
Tesoriere: Maria Teresa Ionta
Consiglieri:
Paolo Carlini
Giovanni Condemi
Stefania Gori
Evaristo Maiello
Paolo Marchetti
Rodolfo Passalacqua
Carmine Pinto
Valter Torri
WG ECM&Congressi AIOM 2007-2009
Coordinatore: M.T. Ionta,
Componenti:
G. Bernardo, E. Bria, M. Cazzaniga, P. Comella,
A. Dinota, S. Iacobelli, M. Nardi, S. Palmeri,
G. Palmieri, G. Procopio, G. Rosti, R. Samaritani.
4
PREsEntAzIOnE
L’
Associazione Italiana di Oncologia Medica, tenendo fede alla sua “mission”,
si fa promotrice del progetto educazionale EDU-FAD.
Il progetto prevede la creazione di una Collana, costituita da sei monografie
indipendenti, riguardanti patologie di notevole interesse oncologico e di alto
impatto sociale. Abbiamo scelto, pertanto sei argomenti che riteniamo rappresentino ancora i temi “caldi” del sapere oncologico, in continua evoluzione, sia
per le recenti scoperte, frutto della ricerca di base, sia per i trattamenti innovativi, frutto della ricerca clinica e della ricerca traslazionale.
Della Collana fanno parte: il Carcinoma della Mammella, il Carcinoma del
Colon-Retto, il Carcinoma del Polmone, le Neoplasie del Sistema Nervoso
Centrale, i Sarcomi dell’Adulto, il Carcinoma Renale e i Carcinomi Uroteliali.
Tutti coloro che hanno a cuore l’oncologia e le problematiche dei pazienti collegate alla cura delle neoplasie troveranno in questa Collana una esauriente e
completa fonte di informazioni e avranno l’opportunità di approfondire la patologia di loro interesse nella sua globalità. Ogni argomento è, infatti, corredato
da dati riguardanti l’epidemiologia, la diagnostica, la stadiazione, il trattamento
multidisciplinare, con ricchezza di particolari e di voci bibliografiche per un ulteriore approfondimento.
Al progetto hanno partecipato alcuni tra i maggiori Opinion Leaders del settore,
in collaborazione con i Giovani Oncologi AIOM, particolarmente esperti nella
patologia trattata. Oltre quaranta tra Autori e Co-Autori, hanno offerto la loro
collaborazione con spirito di servizio e dedizione, consapevoli di siglare un’opera di alto profilo scientifico e di alto livello educazionale.
La presenza dei Giovani Oncologi in questo progetto educazionale, ha una
doppia valenza. Da una parte la partecipazione costante e attiva alla vita della
nostra Associazione, dall’altra il contributo diretto, in prima persona, alla costituzione di un fondo per le borse di studio destinate ai Giovani Oncologi AIOM
più meritevoli.
Uno degli obiettivi del progetto, è infatti, la totale destinazione dell’utile, ottenuto
dall’operazione editoriale, al fondo riservato alle borse di studio, grazie al contributo di alcune Aziende Farmaceutiche interessate al progetto educazionale.
La Collana verrà distribuita a tutti gli Oncologi Italiani.
Ciascuna monografia, inoltre, entrerà a far parte di un percorso di formazione a
distanza (tramite sistema FAD) con una piattaforma inserita nel sito dell’AIOM,
per coloro i quali volessero acquisire crediti ECM, con valutazione tramite test
a risposta multipla.
Il nostro vivo ringraziamento vada a tutti gli Autori e Co-Autori che hanno contribuito alla stesura dell’opera ed alle Aziende Farmaceutiche che ne hanno
permesso la realizzazione e la diffusione.
Francesco Boccardo
Past President AIOM
Carmelo Iacono
Presidente AIOM
5
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
sOMMARIO
 Principi generali del carcinoma renale
• Epidemiologia
• Classificazione istologica delle neoplasie renali
8
8
11
• La diagnostica per immagini nella diagnosi e stadiazione del RCC 17
• Bibliografia
 Classificazione del carcinoma renale
• Bibliografia
 Approccio terapeutico alle neoplasie renali
25
29
33
• Trattamento chirurgico
33
• Radioterapia
35
• Terapia adiuvante
36
• Trattamento del carcinoma metastatico
37
• Nuovi farmaci a bersaglio molecolare
39
• Trapianto allogenico
47
• Bibliografia
49
 Principi generali dei tumori della vescica
62
• Epidemiologia
62
• Bibliografia
66
• Anatomia patologica
73
• Bibliografia
80
 Principi generali dei tumori della pelvi renale e dell’uretere
82
• Epidemiologia
82
• Bibliografia
83
• Anatomia patologica
84
• Bibliografia
85
 Diagnosi
• Bibliografia
6
19
86
88
 Classificazione TNM e classificazione in stadi
90
• Del carcinoma vescicale e delle vie escretrici
90
• Del carcinoma delle alte vie escretrici
92
• Bibliografia
94
 Terapia del carcinoma uroteliale della vescica e delle vie escretrici
98
• Neoplasia superficiale o non-muscolo invasiva (stadio TIS, TA, T1)
98
• Bibliografia
104
• Neoplasia muscolo-infiltrante (stadio T2-T4, N0/N+, M0)
110
• Bibliografia
122
• Malattia metastatica
130
• Bibliografia
134
 Terapia del carcinoma uroteliale delle alte vie escretrici
• Bibliografia
 Questionario
138
143
145
7
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
PRInCIPI GEnERALI
DEL CARCInOMA REnALE
EPIDEMIOLOGIA
Incidenza
Tra le neoplasie urologiche, il carcinoma renale (RCC) è situato al terzo
posto per incidenza, dopo il carcinoma della prostata e il carcinoma a
cellule transizionali della vescica. Il
RCC rappresenta l’85-90% di tutte
le neoplasie parenchimali maligne
del rene1. In Europa occupa il settimo posto tra le neoplasie maligne
negli uomini ed il dodicesimo posto
tra tutte le neoplasie maligne nelle
donne, con un rapporto M/F di 3/22,
con maggiore frequenza nei paesi
economicamente più sviluppati e
negli afroamericani.
L’incidenza annua del RCC, negli
uomini e nelle donne in Europa, è rispettivamente di 29.600 nuovi casi/
anno e 16.700 nuovi casi/anno3.
Negli Stati Uniti circa 30.000 nuovi casi vengono diagnosticati ogni
anno con un incidenza di circa 9
casi per 100.000 abitanti all’anno.
L’incidenza del cancro renale è aumentata, in entrambi i sessi nel ventennio 1970-1990, fino a raggiungere un incidenza di 10/100.000/anno
negli uomini e circa 5/100.000/anno
nelle donne4.
Queste variazioni dell’incidenza potrebbero essere spiegate da una
migliore accuratezza diagnostica,
dovuta alla diffusione ed all’uso
routinario di indagini diagnostiche
come l’ecografia e la TAC che hanno aumentato il numero delle diagnosi precoci, e non ad una reale
aumentata incidenza del RCC.
Il carcinoma renale è raro nelle persone di età inferiore ai 40 anni e
8
rarissimo in età pediatrica5. L’80%
delle persone con diagnosi di RCC
è nel gruppo di età tra i 40 e 75 anni.
L’incidenza per età cresce rapidamente da meno del 2 per 100.000
persone/anno in soggetti di età inferiore a 40 anni, al 38/100.000/anno
nel gruppo di età tra 65 e 69 anni,
ed arriva al 46 per 100.000/anno nei
soggetti di età superiore ai 75 anni3.
Sopravvivenza e mortalità
Negli ultimi 25 anni i tassi di incidenza di questa neoplasia sono aumentati 3 volte più velocemente rispetto
ai tassi di mortalità, indicando un
incremento nella sopravvivenza globale (OS) dei pazienti con carcinoma renale6.
I dati di sopravvivenza in Europa,
per il periodo 1990-1994, hanno dimostrato una sopravvivenza relativa
per gli uomini ad 1 anno ed a 5 anni,
rispettivamente del 72% e del 54%.
Leggermente superiore è stata la
sopravvivenza relativa per le donne:
del 73% e 57% rispettivamente ad
1 e 5 anni7, 8. In Italia, Francia, Germania, Spagna ed Austria sono state registrate sopravvivenze a 5 anni
al di sopra della media europea (tra
57-67%), mentre nei paesi dell’Est,
in Gran Bretagna e Danimarca, la
sopravvivenza a 5 anni è risultata significativamente inferiore alla media
europea (tra 35-48%). La causa di
queste variazioni potrebbe essere in
gran parte dovuta alle nuove tecniche di immagine che permettono di
diagnosticare neoplasie in una fase
iniziale, quando la chirurgia da sola
risulta curativa, mentre in passato
non sarebbero state diagnosticate
finché non fossero diventate sintomatiche ed in fase metastatica9. Negli Stati Uniti circa 12.000 pazienti
muoiono ogni anno di questa neoplasia. Le stime di mortalità da carcinoma renale nell’Unione Europea
per l’anno 2006, erano di 26.400
morti/anno10.
La sopravvivenza diminuisce proporzionalmente con l’aumentare
dell’età: è più alta nei pazienti con
età inferiore a 45 anni (sopravvivenza a 5 anni pari a 71%), rispetto ai
pazienti con età superiore a 74 anni
(la sopravvivenza a 5 anni, scende
al 45% in questi pazienti)7. Inoltre
lo stadio del tumore alla diagnosi
correla inversamente con la sopravvivenza, che a 5 anni è dell’80%
per la malattia localizzata e solo del
12% per le neoplasie con metastasi
a distanza11.
Eziologia e fattori di rischio
Esistono vari fattori correlati con lo
sviluppo del carcinoma renale, alcuni dimostrati da modelli sperimentali
e da studi in vitro, altri ancora non
confermati come fattori eziologici
definitivi e oggetto di studi in corso.
1. Tabagismo
Il fumo rappresenta un fattore cancerogeno per molte neoplasie. Un
aumentata incidenza per il tumore
renale è stata dimostrata da studi di coorte, nei soggetti fumatori,
con un rischio relativo (RR) stimato tra 1.3 e 2.06, rispetto ai non
fumatori. Direttamente correlato
con il numero di sigarette fumate giornalmente ed inversamente
con l’età di inizio dell’ abitudine
al fumo. Uno studio condotto da
McLaughin12 e Lipworth13 ha confermato il tabacco come il fattore
di rischio più importante per l’in-
sorgenza del tumore renale, identificandolo nel 20% dei casi di RCC.
2. Esposizione a cancerogeni
chimici
a) Asbesto. In due studi di coorte,
è stato dimostrato un incremento
significativo del tasso di mortalità
da carcinoma renale, nei pazienti
esposti ad asbesto per motivi di
lavoro (RR 1.4)14.
b) Cadmio. I lavoratori esposti al
cadmio e con un abitudine al
fumo possono avere una particolare elevata incidenza a sviluppare RCC15.
c) Solventi organici. I pesticidi, il
solfato di rame, le benzidine, gli
erbicidi ed il cloruro di vinile sono
stati identificati come fattori di
rischio del RCC nei casi di prolungata esposizione. Una correlazione dose-effetto è stata però
osservata soltanto per i solventi
organici e per il solfato di rame16.
3. Analgesici
La prolungata assunzione di farmaci analgesici contenenti fenacetina e salicilati può determinare un
insufficienza renale cronica. Alcuni
di questi pazienti, hanno un rischio
aumentato per l’insorgenza di neoplasie della pelvi renale. Anche
l’incidenza di RCC sembra essere
aumentata, ma questo tuttora resta
controverso17, 18.
4. Obesità
L’obesità costituisce un fattore di
rischio indipendente per il carcinoma renale, sia negli uomini che nelle
donne19. Esiste una correlazione lineare tra aumento del BMI e aumento del rischio di carcinoma renale.
Nove studi caso-controllo ed uno
studio multietnico di coorte hanno
9
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
mostrato una relazione tra il RCC e
l’obesità20, 21. Le diete ricche in vegetali sembrano avere un ruolo protettivo, mentre il consumo regolare di
carne rossa, prodotti caseari ed alcool, sembra aumentare il rischio di
questa neoplasia. Non esiste, invece nessuna influenza sul rischio dal
consumo regolare di caffè e tè nero.
5. Ipertensione
L’ipertensione e l’uso dei diuretici
sono stati associati con il carcinoma
renale in alcuni studi prospettici19, 22,
ma visto che i diuretici sono stati
utilizzati ampiamente nel trattamento dell’ipertensione sistemica, è difficile identificare gli effetti correlati a
ciascuno separatamente23.
6. Altri fattori
a) Estrogeni. Anche se gli estrogeni
possono indurre l’insorgenza di
RCC nei modelli animali, solo una
minima evidenza risulta a favore
dell’associazione tra neoplasia renale ed estrogeni nel uomo24.
b) Radiazioni. Le radiazioni ionizzanti sembrano aumentare di poco il
rischio di RCC, specialmente nei
pazienti sottoposti precedentemente a radioterapia per spondilite anchilosante e carcinoma della cervice25. Il cancro della pelvi
renale e dell’uretere sembra essere maggiormente correlato alle radiazioni di quanto non lo è il carcinoma del parenchima.
7. Fattori ereditari
La maggior parte delle neoplasie
renali sono forme sporadiche. Esistono delle malattie ereditarie associate al carcinoma renale e caratterizzate da alterazioni genetiche ben
definite26. Le forme ereditarie e familiari rappresentano meno del 4%
10
di tutte le neoplasie renali.
a) Malattia di Von Hippel-Lindau
(VHL). È un sindrome familiare con trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da
mutazioni germinali del gene oncosoppressore VHL, situato sul
braccio corto del cromosoma 3
(3p25-26)27. Il prodotto del gene
VHL, è una proteina che partecipa nei meccanismi di regolazione
del ciclo cellulare e di angiogenesi28. I soggetti affetti da questa
sindrome hanno una predisposizione a sviluppare neoplasie multiple quali: l’emangiocarcinoma
del sistema nervoso centrale e
della retina, il carcinoma renale
a cellule chiare, il feocromocitoma, le neoplasie pancreatiche e
dell’orecchio interno. Il 40-60%
dei pazienti con malattia di VHL
presentano il carcinoma renale.
Nella maggior parte dei casi si
tratta di forme a basso grado con
un indice di progressione metastatica attorno ai 30%. Le lesioni renali sono spesso bilaterali e
multifocali. Le mutazioni del gene
di VHL sono state osservate nel
57% dei carcinomi renali sporadici localizzati ed avanzati.
b) Carcinoma renale papillare ereditario (Hereditary papillary renal
carcinoma). È una sindrome neoplastica ereditaria caratterizzata
da una predisposizione a sviluppare neoplasie renali papillari tipo-1, multiple e bilaterali. Questa
forma ereditaria è stata associata
con mutazioni a carico dell’ oncogene c-Met, situato sul cromosoma 7q31. Il gene c-Met codifica per il recettore sulla superficie
cellulare del fattore di crescita
epatocitario29. Le neoplasie renali
papillari di tipo 1, insorgono tardi-
vamente (età media alla presentazione ~70 anni) e di solito non
sono metastatizzati alla diagnosi.
c) Sindrome HLRCC (Hereditary
leiomyoma and renal cell cancer
syndrome). Una sindrome neoplastica ereditaria autosomica dominante, con mutazioni germinali
a carico del gene FH (fumarato
idratasi) situato sul cromosoma
1, che codifica per un’enzima del
ciclo di Krebs. Conosciuta anche
come sindrome di Reed, è caratterizzata da una predisposizione
a sviluppare leiomiomi cutanei, fibromi uterini e neoplasie renali30.
In questa sindrome i tumori renali
sono rappresentati da una forma
di carcinoma renale papillare di
tipo-2. Possono essere singoli o
multipli e bilaterali. Essi insorgono
precocemente (~30 anni), spesso
sono in fase metastatica alla presentazione e sono altamente aggressivi31.
d) Sindrome Birt-Hogg-Dube (BHD).
Sindrome ereditaria autosomica
dominante caratterizzata da mutazioni inattivanti del gene oncosoppressore BHD situato sul
cromosoma 17p, che codifica
per una proteina chiamata follicolina32. Gli individui affetti sono
a rischio di sviluppare manifestazioni cutanee (fibrofolliculomatosi
del viso, del collo e della parete
anteriore del tronco), neoplasie
renali multiple e cisti polmonari,
causa frequente di pneumotorace spontaneo. Le neoplasie renali
possono avere cellule cromofobe,
oncocitoma, papillare o a cellule
chiare33.
e) Carcinoma renale familiare a
cellule chiare. Le famiglie che
presentano questa sindrome, si
caratterizzano dalla presenza di
carcinomi renali bilaterali, multipli
ad istologia a cellule chiare, che
però non manifestano nessuna
evidenza clinica della malattia di
von Hippel-Lindau. Questa forma
di neoplasia ereditaria è caratterizzata da una translocazione
reciproca tra il braccio corto del
cromosoma 3 ed il braccio lungo
del cromosoma 834.
8. Malattia renale policistica e
dialisi cronica
I pazienti dializzati ed in particolare
quelli con una lunga storia di dialisi,
manifestano frequentemente cisti
renali acquisite (35-47%). In rari casi, l’epitelio delle cisti può andare
incontro a fenomeni di iperplasia
e displasia che può dare origine al
carcinoma renale35, 36. Tra i pazienti
con malattia cistica acquisita, approssimativamente il 5-9% potrà
sviluppare un carcinoma renale,
indicando un incidenza superiore
rispetto alla popolazione generale37.
Quando il carcinoma renale si presenta nel contesto della malattia
policistica ereditaria (trait autosomico dominante), non sembra esserci
un incidenza superiore rispetto alla
popolazione generale38, 39. Inoltre,
rispetto alle forme sporadiche, i
carcinomi sono più spesso bilaterali
alla presentazione, multicentrici e di
istologia sarcomatoide.
CLAssIFICAzIOnE IstOLOGICA
DELLE nEOPLAsIE REnALI
Le categorie istologiche delle neoplasie renali primitive hanno importanza predittiva nello sviluppo delle
metastasi a distanza e nella loro prognosi. Nel 1997, Heidelberg identificò cinque distinte categorie istologi11
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
tAbELLA 1: WHO CLAssIFICAtIOn OF KIDnEY tUMORs41
Familial renal cancer
• Renal cell tumors
Malignant
• Clear cell renal cell carcinoma
• Multilocular clear cell renal cell carcinoma
• Papillary renal cell carcinoma
• Chromophobe renal cell carcinoma
• Carcinoma of the collecting ducts of Bellini
• Renal medulary carcinoma
• Xp11 translocation carcinomas
• Carcinoma associated with neuroblastoma
• Mucinous tubular and spindle cell carcinoma
• Renal cell carcinoma unclassified
benign
• Papillary adenoma
• Oncocytoma
Metanephric tumors
• Metanephric adenoma
• Metanephric adenofibroma
• Metanephric stromal tumors
Mixed mesenchymal and epithelial tumors
• Cystic nephroma
• Mixed epithelial and stromal tumor
• Synovial sarcoma
nephroblastic tumors
• Nephrogenic rests
• Nephroblastoma
• Cystic partially differentiated nephroblastoma
neuroendocrine tumors
• Carcinoid
• Neuroendocrine carcinoma
• Primitive neuroectodermal tumor
• Neuroblastoma
• Phaeochromocytoma
Other tumors
• Mesenchymal tumors
• Haematopoietic and lymphoid tumors
• Germ cell tumors
• Metastatic tumors
12
???????????
che maligne nel carcinoma a cellule
renali: convenzionale (a cellule chiare) (75%), papillare (15%), cromofobe (5%), dei dotti collettori (2%), e
carcinoma a cellule renale nonclassificato40.
L’ultima classificazione WHO (2004)
delle neoplasie renali dell’adulto (tabella 1)41, 42, riassume le categorie
delle precedenti classificazioni, in
particolare quelle di Mainz (1986) e
di Heidelberg (1997)40, 43 e descrive
nuove categorie, basandosi sull’analisi patologica e genetica dei tumori. Il riconoscimento di queste entità
istologiche può avere un importante
ruolo nell’ approccio terapeutico dei
pazienti affetti da neoplasie renali.
Le neoplasie renali sporadiche si distinguono in tumori benigni, maligni,
metanefrici, misti (epiteliali e mesenchimali), nefroblastici, neuroendocrini ed altri tumori (tumori mesenchimali, ematopoietici e linfatici, a
cellule germinali e metastatici). Nella tabella 2 vengono elencate, come
descritte nella classificazione WHO
2004, le sindromi che predispongono alle neoplasie renali. Ciascuna di
queste sindromi predispone ad un
tipo istologico ben distinto di carcinoma a cellule renali (RCC) o altri tumori renali.
1. Neoplasie a cellule renali
• Carcinoma renale a cellule chiare
Il carcinoma a cellule chiare origina dalle cellule dei tubuli prossimali e tipicamente presenta quale alterazione genetica la delezione del
braccio corto del cromosoma 3. Le
cellule sono ricche in lipidi e glucosio. Macroscopicamente si presenta
come forma solida e meno frequentemente cistica. La maggior parte di queste neoplasie si presentano come forme solitarie situate nella
corteccia renale. Le dimensioni sono variabili. L’incidenza delle lesioni
piccole ha subito un incremento in
rapporto al miglioramento delle tecniche diagnostiche 44. Questo tipo
istologico, è tipicamente associato
con la malattia di von Hippel-Lindau.
Il grado nucleare secondo Fuhrman
(tabella 3)45 è, dopo lo stadio, il più
importante fattore prognostico predittivo nel carcinoma renale a cellule chiare.
La prognosi peggiore è associata
tAbELLA 2: FAMILIAL RCC: sYnDROMIC AnD nOn-sYnDROMIC PREsEntAtIOn
syndrome
Gene
tumor
Von Hippel-Lindau (VHL)
VHL (3p25)
Clear cell
Tuberous Sclerosis
TSC1, TSC2
Angiomyolipoma, clear cell, other
Constitutional chromosome 3 translocation
Responsible gene not found*
Clear cell
Familial renal carcinoma
Gene not identified
Clear cell
Hereditary PRCC
c-MET
Papillary type 1
Birt-Hogg-Dube (BHD)
BHD
Chromophobe**
Familial oncocytoma
Partial or complete loss
of multiple chromosomes
Oncocytoma
Hereditary leiomyoma-RCC
FH
Papillary type 2
* VHL gene mutated in some families.
** Renal oncocytomas, hybrid oncocytic and clear cell carcinomas may occur.
13
I Tumori
Le
neoplasie
del Rene
del sistema
nervoso
e
dell’Urotelio
centrale
tAbELLA 3: FUHRMAn’s GRADInG sYstEM, 198245
Grado 1
Cellule tumorali con nucleo piccolo (circa 10μ), uniforme e rotondo privo di nucleoli
Grado 2
Cellule tumorali con nucleo più voluminoso (circa 15μ) ed irregolare nel contorno e nucleoli
evidenti ad ingrandimento 400x
Grado 3
Cellule tumorali con nuclei ancora più grandi (circa 20μ) con evidente irregolarità dei contorni
e nucleoli prominenti nche a piccolo ingrandimento (100x)
Grado 4
Cellule tumorali con nucleo bizzaro, multilobulato e deposizioni grossolane di cromatina.
14
con la presenza di alto grado nucleare sec. Fuhrman (G3-G4), pattern
sarcomatoide ed invasione microvascolare. La definizione di queste
caratteristiche è particolarmente importante nei stadi iniziali, dove esse
potrebbero rappresentare dei fattori
predittivi della ripresa di malattia dopo una chirurgia radicale.
Nella classificazione WHO del 2004,
diversamente dalla precedente classificazione, il carcinoma sarcomatoide
non è stato più considerato come un
entità a parte, ma come un evoluzione
di tutti i tipi di carcinoma renale46, 47.
Il carcinoma a cellule chiare ha prognosi peggiore rispetto al carcinoma
a cellule cromofobe e papillare. Comunque la risposta alle nuove terapie sistemiche è superiore rispetto
agli altri tipi istologici.
pille sono costituite da un core fibrovascolare rivestito da piccole cellule con scarso citoplasma basofilo e
monostratificate. Alla diagnosi le lesioni sono frequentemente in stadio
iniziale (85% stadio I e II)49 e questo
correla con una prognosi favorevole. Nel carcinoma papillare tipo 2, le
cellule tumorali hanno grado nucleare più alto, citoplasma eosinofilo e
sono pluristratificate48. La prognosi è
peggiore rispetto al tipo 150.
Le forme ereditarie di carcinoma renale papillare sono state associate a
mutazioni a carico del oncogene cMet, mentre nelle forme sporadiche
queste mutazioni non sono state osservate. Rarissime alterazioni genetiche come la trisomia o tetrasomia 7,
trisomia 16, 17, e 20, sono state riportate in questa categoria neoplastica.
• Carcinoma renale papillare
Nella precedente classificazione
WHO questa categoria era riconosciuta con il termine di carcinoma a
cellule cromofile. Il carcinoma renale papillare ha decorso clinico meno
aggressivo rispetto al carcinoma a
cellule chiare48. Macroscopicamente
può essere bilaterale e/o multifocale
con frequenti emorragie interne, necrosi e degenerazione cistica e presentare una proporzione variabile di
papille. Si riconoscono due sottotipi di carcinoma renale papillare. Nel
carcinoma papillare di tipo 1, le pa-
• Carcinoma renale a cellule
cromofobe
Rappresenta circa il 5% dei carcinomi a cellule renali. È meno frequente
e meno aggressivo, rispetto al carcinoma renale a cellule chiare ed il
carcinoma papillare. Il tipo cromofobo è caratterizzato da cellule huge pale con citoplasma reticolare e
membrana citoplasmatica prominente. Le cellule mancano di lipidi e
glicogeno ed originano dalle cellule intercalate del sistema collettore51.
Il carcinoma a cellule cromofobe,
spesso necessita di diagnosi differen-
ziale dall’oncocitoma. La relazione tra
queste varianti è attualmente oggetto di studi. Entrambe sono considerate originate dalle cellule intercalate dei
dotti collettori, presentano alterazioni
mitocondriali ed entrambe sono frequentemente osservate insieme nella
sindrome Birt-Hogg-Dube. Da alcuni
autori l’oncocitoma viene considerato
come la controparte benigna del carcinoma renale a cellule cromofobe.
Questa variante è caratterizzata dalla perdita dei cromosomi 1, 2, 6, 10,
13, 17 e 2152, 53. La progressione sarcomatoide è associata a malattia aggressiva.
• Carcinoma dei dotti collettori
(di bellini)
Il carcinoma dei dotti collettori di
Bellini rappresenta meno dell’1%
delle neoplasie maligne renali. L’età
media di insorgenza è di 55 anni con
lieve predominanza nei maschi.
Deriva dalle cellule principali dei
dotti collettori e tipicamente presenta localizzazione centrale nel
rene e crescita voluminosa. Nella
maggior parte dei casi, alla diagnosi, si presenta in uno stadio avanzato con metastasi a distanza e la
prognosi è sfavorevole54, 55. Le cellule neoplastiche hanno spesso grado 3 e 4 (sec. Fuhrman). All’esame
immunoistochimico risultano positive per cheratina e vimentina, ma
le alterazioni molecolari sono ancora poco conosciute 41. La diagnosi
differenziale del carcinoma dei dotti collettori, include il carcinoma renale papillare tipo 2 ed il carcinoma
uroteliale della pelvi renale con differenziazione ghiandolare.
• Carcinoma renale midollare
Si tratta di una variante rara di neoplasia renale, considerata a cresci-
ta rapida ed aggressiva41. Nella precedente classificazione WHO (1998)
era considerata ad origine dalla pelvi renale56. Alla diagnosi i pazienti si
presentano spesso con voluminosa
massa addominale palpabile, dolore lombare ed ematuria. La prognosi è sfavorevole.
• Carcinoma renale associato
alla translocazione Xp11.2
Questa variante è stata recentemente riconosciuta come entità distinta. È caratterizzata da diverse translocazioni a carico del cromosoma
Xp11.2, determinanti tutte una fusione genica che coinvolge il gene
TFE3 (ASPL-TFE3, PRCC-TFE3)57.
Questa neoplasia si presenta prevalentemente in età pediatrica e
giovanne-adulta, in soggetti sottoposti antecedentemente a trattamenti chemioterapici 60. Macroscopicamente la neoplasia ricorda
il carcinoma renale a cellule chiare,
mentre microscopicamente il carcinoma papillare con una miscela di
cellule chiare e cellule con citoplasma granulare ed eosinofilo58. Le
cellule presentano immunoreattività per la proteina TFE3.
• Carcinoma a cellule renali di tipo
cistico multiloculare (MCRCC)
Questa neoplasia è composta da
cisti multiple di dimensioni variabili, separate dal parenchima renale da una capsula fibrosa. Le cisti
sono rivestite da cellule chiare-pallide, disposte in singola fila ma che
occasionalmente presentano alcune
piccole papille41. I setti sono composti da tessuto fibroso e rare cellule epiteliali a citoplasma chiaro simili a quelle che rivestono le cisti.
MCRCC è stato considerato come
un entità specifica nell’ attuale clas15
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
sificazione WHO, in base ai criteri di
diagnosi istopatologica e la sua eccellente prognosi42.
• Carcinoma renale a cellule
fusate, mucinoso, tubulare
È una forma di carcinoma a basso
grado, composto da tubuli strettamente ammassati e separati da uno
stroma mixoide mucinoso con componente a cellule fusate. Le alterazioni genetiche riscontrate si caratterizzano da perdita dei cromosomi
1, 4, 6, 8, 13 e 1459. Sembra derivare dal nefrone distale. È più frequente nelle donne e l’età media è
di 53 anni.
• Carcinoma renale associato a
neuroblastoma
Riscontrato in rari casi in pazienti con pregressa diagnosi di neuroblastoma durante l’età pediatrica. Si
tratta di un gruppo eterogeneo che
presenta un disequilibrio allelico a
carico del cromosoma 20p13. È costituito da cellule voluminose, a citoplasma oncocitico e ad aggregazione solida e papillare
• Carcinoma renale non-classificato
Rappresenta il 4-6% delle neoplasie
renali. Alla presentazione molti sono
di alto grado ed in stadio avanzato,
con prognosi sfavorevole60. I criteri per poter classificare un carcinoma renale in questa categoria sono:
a) mofologia sarcomatoide pura
senza riconoscimento di cellule
epiteliali;
b) produzione di mucina;
c) rari elementi epiteliali e stromali;
d) tipo cellulare nonclassificabile.
• Adenoma papillare
È la neoplasia benigna più comune
dell’epitelio dei tubuli renali. Riscon16
trata nel 10-40% dei campioni, presenta alterazioni genetiche simili al
carcinoma a cellule renali papillari.
Anche l’architettura tubulo-papillare è simile al carcinoma papillare tipo 1 e 241, 61. Di solito si presenta di
piccole dimensioni, in forma solitaria ed in sede corticale.
• Oncocitoma
Neoplasia epiteliale benigna di origine dalle cellule intercalari che comprende il 3-9% di tutte le neoplasie primitive renali62. L’oncocita ha
citoplasma granulare eosinofilo e
nuclei rotondi e regolari. Sono frequenti le alterazioni genetiche a carico del cromosoma 1 e/o 14 e del
DNA mitocondriale. È più frequente
nei maschi con rapporto M/F di 2:1.
La maggior parte sono diagnosticati
incidentalmente ma esistono anche
casi sintomatici.
2. Le neoplasie metanefriche
Questo gruppo include l’adenoma
metanefrico, l’adenofibroma metanefrico e l’adenofibrosarcoma metanefrico61.
L’adenoma metanefrico è una neoplasia epiteliale che può insorgere
nei bambini e negli adulti (range: 5
mesi-36 anni) e può coesistere con
il tumore di Wilms o con il carcinoma renale. In genere è solitario, con
diametro di 3-6 cm e non capsulato.
3. Neoplasie miste epiteliali
e mesenchimali
Il nefroma cistico è una forma benigna di neoplasia mista epiteliale e
stromale, unilaterale e multiloculare,
ben capsulata e senza aree solide o
necrotiche. Insorge dopo i 30 anni
con predominanza nelle donne.
Il tumore renale misto epiteliale e
stromale è una neoplasia rara com-
posta da aree solide stromali ed elementi epiteliali (maggiormente cistici), in precedenza riconosciuto come
amartoma cistico della pelvi renale.
Alcune cellule stromali reagiscono
con gli anticorpi contro gli estrogeni
ed il progesterone. Insorge prevalentemente nelle donne ed esiste una
correlazione con l’uso di estrogeni.
LA DIAGnOstICA PER IMMAGInI
nELLA DIAGnOsI E stADIAzIOnE
DEL RCC
La diagnostica per immagine ha un
ruolo in continuo incremento, nella
diagnosi, programmazione terapeutica, sorveglianza e nel monitoraggio
della risposta alle terapie, nelle varie
neoplasie.
Nelle ultime due decadi, il miglioramento delle tecniche di imaging, ha
portato un incremento della sopravvivenza a 5 anni del carcinoma a cellule renali, grazie all’identificazione di
queste neoplasie in stadi iniziali.
L’interpretazione di qualsiasi esame
diagnostico, utilizzato nella stadiazione del carcinoma renale deve includere la valutazione di:
1. dimensioni del tumore
2. rapporto tra tumore e parenchima
renale
3. invasione tumorale del tessuto
adiposo perirenale
4. interessamento dei linfonodi locoregionali
5. presenza ed estensione dell’invasione venosa
6. espansione in organi contigui
7. presenza di metastasi polmonari
8. presenza di metastasi a distanza63.
La tC (tomografia compiuterizzata)
rappresenta l’esame “gold standard”
nella diagnosi e nella stadiazione
del carcinoma renale. L’accuratezza diagnostica della TC, nella stadiazione del RCC è di circa 90%.
Attualmente, essa rappresenta la
migliore risoluzione delle piccole
lesioni ed è la procedura diagnostica preferita nei pazienti con anomalie ecografiche suggestive per neoplasie maligne.
Nella caratterizzazione delle neoplasie, la TC ha dimostrato buona
capacità nel distinguere le lesioni
potenzialmente operabili da quelle
non-operabili, con sensibilità e specificità del 92% e 96%, rispettivamente64.
La TC è altamente sensibile
nell’identificare le metastasi a distanza. In particolare, l’accurata
definizione delle metastasi polmonari, la sede più frequente di metastasi nel RCC (50-60%), seleziona i pazienti con metastasi singole
e/o piccole, facilmente raggiungibili, che possono essere completamente asportate. La resezione chirurgica di queste lesioni incrementa
la sopravvivenza a 5 anni da 32 a
56%65. La TC multistrato è la tecnica più sensibile per la determinazione delle lesioni polmonari, perciò
nei centri che né dispongono, essa
è sempre indicata nella stadiazione
dei pazienti in programma di intervento chirurgico.
La sensibilità e la specificità della
TC nella stadiazione del RCC stadio
IV, è rispettivamente di 98 e 99%.
Comunque la TC presenta anche
dei limiti. Essa ha una bassa accuratezza nella definizione dell’invasione perirenale (discriminazione
tra stadio I e stadio II; T2 vs T3a), visto che le alterazioni del segnale nel
grasso perirenale, possono essere
presenti anche in diverse situazioni
non-neoplastiche (edema, necrosi,
17
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
18
fibrosi da precedente infiammazione o da malattia litiasica, etc). L’utilizzo delle più recenti TC multistrato
(MDTC) ha segnalato un incremento della sensibilità (96%) nella diagnosi dell’invasione del grasso perirenale66.
Un altra limitazione di questa tecnica stà nell’identificazione delle
metastasi linfonodali; in particolare quando “il diametro”, viene utilizzato come criterio discriminante. Con il cut-off pari a 10 mm sono
stati riportati elevati casi di falsi-positivi (>43%), a causa della frequente iperplasia reattiva linfonodale. Comunque linfonodi di diametro >20
mm sono quasi sempre interessati da infiltrazione neoplastica. I falsinegativi rappresentano in questi casi, solo il 4-5%.
L’accuratezza globale della TC nello staging linfonodale è stata stimata tra l’83 e l’89%.
negativo (VPN) per l’invasione venosa è di 98-99%.
La RMN è più sensibile e specifica
rispetto alla scintigrafia ossea ed alla TC nella definizione delle metastasi ossee, ma tuttavia in assenza di
sospetta localizzazione ossea, non
è un esame di routine nella fase di
inquadramento diagnostico dei pazienti.
La RMN ha la stessa limitazione diagnostica della TC nella definizione
dell’invasione perirenale.
Inoltre, anche per la RMN l’unico criterio diagnostico di infiltrazione linfonodale è rappresentato dall’incremento dimensionale dei linfonodi. La
sensibilità e la specificità della RMN
nella diagnosi delle metastasi linfonodali non supera quella della TC.
In uno studio di 82 pazienti con carcinoma renale, la TC multistrato e la
RMN sono risultati equivalenti nello
staging globale del RCC67.
La RMn ha dimostrato nella caraterizzazione dei tumori renali, una sensibilità e specificità sovrapponibile
alla TC (92.3% e 91.3% rispettivamente). È una metodica di imaging
più accurata della TC, nella definizione della presenza e dell’estensione della trombosi venosa renale
e cavale. Ha inoltre il vantaggio della
ricostruzione delle immagini nei piani sagittali e coronali, per cui risulta
di grande aiuto nella programmazione del tipo di intervento nei pazienti con sospetta invasione venosa.
L’accuratezza ed il valore predittivo
La scintigrafia ossea non è un esame diagnostico di routine nella stadiazione del carcinoma renale. Essa deve essere eseguita nei pazienti
sintomatici per dolori ossei, con incremento della fosfatasi alcalina o
in presenza di tumori di grosse dimensioni.
La PEt con FDG presenta bassa sensibilità diagnostica nella stadiazione del tumore renale. Questa
metodica sembrerebbe utile nella
determinazione delle lesioni metastatiche in pazienti selezionati68, 69.
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CLAssIFICAzIOnE
DEL CARCInOMA REnALE
1. CLAssIFICAzIOnE In stADI
In passato il sistema di stadi azione
usato dalla maggioranza dei clinici
negli Stati Uniti era la classificazione
di Robson2:
stadio I: tumore confinato all’interno della capsula renale.
stadio II: il tumore localmente invasivo che si estende attraverso la
capsula renale ma rimane confinato
nella fascia di Gerota.
stadio III: il carcinoma invade la
vena renale o la vena cava inferiore
(IIIA) o i linfonodi ilari (IIIB).
stadio IV: il tumore invade gli organi circostanti (tranne il surrene) o a
distanza.
Il sistema di stadiazione di Robson
è semplice ed ampiamente utilizzato e raggruppa casi con prognosi e
sopravvivenze differenti. In questo
sistema di classificazione lo stadio
III comprende pazienti con invasione
della vena cava inferiore (IIIA) sia pazienti con coinvolgimento linfonodale
(IIIB): questi ultimi hanno una sopravvivenza decisamente inferiore rispetto
ai pazienti stadio IIIA la cui prognosi e
sopravvivenza non differisce di molto
da quelli degli stadi I o II.
Si basa sul risultato di esame fisico, bioptico e di imaging (ecografia,
TC total body, PET-TC, scintigrafia
ossea).
• t indica la sede del tumore primitivo e la sua estensione locale
• n indica l’estensione della malattia a livello delle stazioni linfonodali loco- regionali o a distanza
• M indica la presenza di malattia in
altri organi ed apparati
t
TX
T0
T1
T2
T3
2. CLAssIFICAzIOnE tnM13, 14
La stadiazione TNM è un processo di
definizione dell’estensione locale ed
a distanza del carcinoma renale. Tale
sistema ricopre un ruolo importante
nelle decisioni terapeutiche e fa parte
dei fattori prognostici della malattia.
T4
tumore primitivo
Tumore primitivo non definibile
Tumore primitivo non evidenziabile
Tumore primitivo < 7 cm, confinato al rene, all’interno della
capsula adiposa
t1a Tumore inferiore o uguale
a 4 cm, confinato al rene
t1b Tumore > 4 cm < 7 cm,
confinato al rene
Tumore primitivo > 7 cm, confinato al rene all’interno della
capsula adiposa
Tumore esteso ai grossi vasi o
alla ghiandola surrenalica o ai
tessuti perirenali, ma non oltre
la fascia di Gerota.
t3a Tumore che si estende
alla ghiandola surrenalica o al
tessuto perirenale, non oltre la
fascia di Gerota
t3b Tumore che invade macroscopicamente la vena renale o la vena Cava al di sotto
del Diaframma
t3c Tumore che invade macroscopicamente la vena Cava
al di sopra del Diaframma
Tumore primitivo esteso oltre
25
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
n
Nx
N0
N1
N2
la fascia di Gerota
Linfonodi regionali (ilari, addominali para-aortici e para-cavali)
Linfonodi regionali non valutabili
Linfonodi regionali liberi da
metastasi
Metastasi in un solo linfonodo
regionale
Metastasi in più linfonodi regionali
M Metastasi a distanza
Mx Metastasi a distanza non accertabili
M0 Metastasi a distanza assenti
M1 Metastasi a distanza presenti
comprendente linfonodi a distanza e/o organi a distanza (es. polmone, fegato, ossa, encefalo).
GRADInG IstOPAtOLOGICO
Gx grado di differenziazione non
accertato
G1 ben differenziato
G2 moderatamente differenziato
G3 scarsamente differenziato
G4 indifferenziato
La sopravvivenza causa-specifica
varia in base allo stadio di malattia,
infatti passa dall’ 88 al 99% nei pT1,
dal 70.5 all’ 82% nei pT2, dal 10 al
60% nei pT3 e fino al 20% nei pT4.
26
Inoltre nei pazienti con malattia metastatica la sopravvivenza a 5 anni
varia dal 10 al 30% dei casi17, 21.
Sebbene l’attuale TNM sia in grado di stratificare appropriatamente
i paziente con carcinoma renale localizzato (T1-2), molti autori hanno
suggerito una differente classificazione basata su criteri dimensionali.
Uno studio multicentrico europeo
ha identificato nella dimensione di
5.5 cm il migliore cut-off in grado di
identificare pazienti con RCC a prognosi differente.
Più recentemente altri autori hanno
sottolineato la necessità di una riclassificazione dei pazienti in stadio
T2 utilizzando il cut-off di 10cm o di
11cm. Per quanto riguarda le neoplasie localmente avanzate (T3-4),
il TNM classifica come pT3a un insieme piuttosto eterogeneo di neoplasie caratterizzate dall’infiltrazione del grasso perirenale, del grasso
ilare e del surrene omolaterale. I dati
della letteratura dimostrano come i
pazienti con neoplasia infiltrante
per contiguità il surrene omolaterale abbiano una sopravvivenza
causa-specifica significativamente
peggiore rispetto a quella dei pazienti con infiltrazione del grasso
perirenale e simile a quella dei pa-
zienti con neoplasia estesa oltre la
fascia di Gerota. Più controverso è
il significato prognostico attribuito
all’infiltrazione del grasso del seno
renale. Thompson et al.12 hanno
osservato una prognosi peggiore
nei pazienti con coinvolgimento del
grasso del seno renale rispetto a
quella dei pazienti con infiltrazione
del grasso perirenale. Al contrario9, più recentemente Margolius et
al. non hanno riscontrato nessuna
differenza significativa in termini di
sopravvivenza tra le due categorie
di pazienti. Inoltre Lam et al. hanno
recentemente sottolineato come la
prognosi dei pazienti con infiltrazione del grasso perirenale potrebbe essere influenzata anche dalle
stesse dimensioni del tumore. In
particolare, pazienti con neoplasie
pT3a di dimensioni patologiche > o
= a 7cm presenterebbero una sopravvivenza più favorevole rispetto a quelle di dimensioni maggiori.
Per quanto riguarda i pazienti con
invasione dell’asse vascolare venoso (pT3b-c), i dati recenti di uno
studio multicentrico europeo hanno
confermato una sopravvivenza sovrapponibile tra i pazienti con solo
l’invasione della vena renale e della
vena cava inferiore sottodiafram-
matica; al contrario una sopravvivenza significativamente peggiore
è stata riportata per i pazienti con
invasione della vena cava inferiore sovradiaframmatica. Tuttavia il
parametro più importante da considerare come fattore anatomico in
grado di peggiorare sensibilmente
la prognosi dei pazienti con estensione neoplastica all’asse venoso
è rappresentato dalla contemporanea presenza di un’infiltrazione del
grasso perirenale o di un’invasione
per contiguità del surrene omolaterale. Fino ad oggi, i dati riportati in
letteratura non hanno riconosciuto
un valore prognostico indipendente dall’infiltrazione della via escretrice. Solo recentemente Klatte et
al. hanno dimostrato in una serie di
519 pazienti sottoposti a nefrectomia un valore indipendente dall’invasione della via escretrice nel
predire la sopravvivenza libera da
progressione. I pazienti con coinvolgimento dei linfonodi regionali
presentano percentuali di sopravvivenza significativamente peggiori rispetto ai pazienti con malattia
confinata, ma migliore a quelli con
metastasi a distanza. I pazienti con
linfonodi positivi vengono attualmente classificati in due sottogrup-
27
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
pi, sulla base dell’interessamento
di un singolo linfonodo coinvolto
(N1) o di un numero maggiore (N2).
Tuttavia molti dati della letteratura
recente hanno evidenziato come a
questa suddivisione non corrisponda una differente prognosi.
Attualmente il sistema di classificazione maggiormente utilizzato
è rappresentato da quello di Motzer et al. (MSKCC: Memorial Sloan Kettering Cancer Center)11 che
identifica cinque fattori prognostici
che si sono dimostrati essere correlati con la sopravvivenza globale
in pazienti affetti da carcinoma renale in fase avanzata:
• Performance status < 80 secon-
28
do Karnosky
• Tempo intercorso tra la diagnosi di
carcinoma e l’inizio dell’immunoterapia con citochine < a 12 mesi
• Valore di emoglobina < al valore
limite inferiore del range di normalità
• Valore dell’ LDH (lattico deidrogenasi) > 1.5 il valore di normalità
• Valore di calcio corretto > 10 mg/dl
In base al numero di fattori presenti
i soggetti possono essere suddivisi
in tre classi prognostiche:
• prognosi favorevole: nessun fattore
• prognosi intermedia: uno o due
fattori
• prognosi sfavorevole: tre o più
fattori
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32
APPROCCIO tERAPEUtICO
ALLE nEOPLAsIE REnALI
tRAttAMEntO CHIRURGICO
Stadio I e II
La resezione chirurgica semplice
o radicale è l’opzione, spesso curativa, per il carcinoma renale I e II
stadio (pT1pN0,M0). La nefrectomia radicale è da molti considerata l’intervento standard: si esegue
attraverso un approccio anteriore, con iniziale legatura del peduncolo vascolare renale e prevede
l’asportazione in blocco del rene, della ghiandola surrenale e del
grasso perirenale fino alla fascia di
Gerota. Tuttavia l’incidenza di interessamento del surrene omolaterale con tumori primitivi T1 e T2 é
del 2%1; pertanto per la rarità delle metastasi al surrene omolaterale
e per la potenziale morbidità associata alla surrenectomia, molti chirurghi ritengono che una ghiandola
surrenale macroscopicamente normale non dovrebbe essere asportata con il rene2, 3. La linfadenectomia regionale viene comunemente
praticata anche se la sua efficacia
non è stata ancora dimostrata 4-6.
Recentemente uno studio randomizzato dell’EORTC condotto su
772 pazienti ha dimostrato che, dopo una accurata stadiazione preoperatoria, l’incidenza di metastasi
linfonodali riscontrate intraoperatoriamente e non evidenziate negli
esami di stadiazione, è bassa (circa 4%) e pertanto non è possibile
dimostrare che con la linfadenectomia si ottenga un vantaggio in sopravvivenza7. Nei pazienti non candidabili alla chirurgia si può ricorrere
alla radioterapia esterna palliativa o
all’embolizzazione dell’arteria renale, sempre a scopo palliativo8, 9. Nei
pazienti con carcinoma di stadio I
bilaterale (situazione probabile nei
pazienti affetti da Sindrome di Von
Hipple Lindau) occorre ricorrere a
nefrectomie parziali bilaterali oppure a nefrectomie parziali unilaterali associate a nefrectomia radicale
controlaterale, o in alternativa a nefrectomia bilaterale associata a trapianto di rene o dialisi. In pazienti
selezionati, una nefrectomia parziale (chirurgia nephron-sparing) potrebbe essere indicata nei casi con
carcinoma renale sporadico, in particolare se singoli, di piccole dimensioni (< o = 4 cm) e ben localizzati
o in caso di tumore in rene solitario10, 11. Ulteriori dati indicano che
una nefrectomia parziale comporta
un vantaggio a lungo termine della
funzionalità renale, rispetto alla nefrectomia in pazienti con un normale rene controlaterale12. La mortalità
operatoria è meno dell’1% nei centri con esperienza e la morbidita è
di circa il 10% (ematoma retroperitoneale, linfocele, danni splenici).
Grazie al maggior impiego delle tecniche di imaging è sempre più frequente il riscontro di piccoli tumori
renali che possono essere suscettibili di trattamenti ancor meno invasivi, quali la crioablazione e l’ablazione con radiofrequenze. Queste
tecniche presentano i vantaggi della chirurgia mininvasiva riducendo
ulteriormente il numero delle complicanze e le giornate di ospedalizzazione13, 14.
33
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Stadio III
In presenza di trombosi neoplastica
della vena renale si effettua la legatura della vena distalmente al trombo. Se il tumore si estende alla vena
cava può essere necessaria una resezione parziale della parete del vaso, ma se c’è infiltrazione della parete o se il trombo è troppo esteso
per una (semplice) resezione parziale della parete potrebbe essere necessario asportare una porzione di
vena cava15, 16.
La linfoadenectomia regionale viene effettuata contemporaneamente alla nefrectomia radicale, anche
se non è stato dimostrato il suo ruolo nel prolungare la sopravvivenza. Nel 10-30% dei pazienti è presente interessamento dei linfonodi
lombo-aortici alla diagnosi, di questi l’80% sviluppa metastasi viscerali. Si riscontrano all’esame istologico metastasi linfonodali solo nella
metà dei pazienti con linfonodi retroperitoneali di aumentato diametro all’esame TC, e nel 6% dei pazienti con linfonodi retroperitoneali
di dimensioni normali alla TC. La linfoadenectomia regionale prevede
l’asportazione dei linfonodi omolaterali compresi tra il diaframma e la
biforcazione dell’aorta e dei linfonodi interaortocavali dell’ilo renale. Se
i linfonodi regionali fossero la prima
sede di metastasi, l’asportazione di
malattia microscopica andrebbe presa in considerazione.
Nefrectomia palliativa
La nefrectomia palliativa, con finalità citoriduttiva, è diventata terapia
standard in alcuni pazienti selezionati sulla base di due studi prospettici
in cui il trattamento con interferone
alfa (IFNα) veniva preceduto o meno dalla nefrectomia17, 18. Un’analisi
34
combinata di questi studi ha dimostrato un vantaggio di sopravvivenza globale per il gruppo di pazienti
sottoposti a nefrectomia (sopravvivenza mediana di 13.6 mesi vs 7.8
mesi), senza differenza significativa di risposte obiettive19. Le ragioni
del vantaggio della nefrectomia nella malattia metastatica non sono del
tutto chiare. Tra le ipotesi formulate la più semplice è che la riduzione
del volume tumorale aumenti il tempo di raggiungimento di un volume
tumorale letale. Un’altra spiegazione trova fondamento nelle modifiche che avvengono nel sistema immunitario, come evidenziato dai dati
che mostrano un incremento di cellule immunostimolatorie dopo la nefrectomia20-22. Un’altra ipotesi è che
la lieve insufficienza renale e la lieve acidosi metabolica cronica che si
verificano dopo la nefrectomia inibiscano l’invasività delle cellule tumorali23. Inoltre in seguito alla nefrectomia si può assistere alla riduzione
di proteine endogene pro-angiogeniche come il VEGF, che promuovono la crescita tumorale o possono impattare la risposta alle terapie
con farmaci antiangionesi. Tuttavia non ci sono studi che valutino
l’assetto di tali fattori prima e dopo la nefrectomia o che definiscano un assetto basale di biomarker
dell’angiogenesi correlato alla risposta ai nuovi farmaci24.
Quindi si possono considerare validi entrambi gli approcci: nefrectomia iniziale in pazienti selezionati
seguita da terapia sistemica, o nefrectomia ritardata dopo un adeguato periodo di terapia sistemica. I pazienti candidabili alla nefrecomia a
scopo citoriduttivo sono quelli con:
performance status 0 o 1 secondo
ECOG, tumore primitivo renale re-
secabile che rappresenta la maggior
parte del volume tumorale presente, assenza di malattia extrarenale
a rapida evoluzione, assenza di comorbidità che controindichino l’intervento chirurgico. Posticipare la
nefrectomia ad un momento successivo, dopo aver valutato l’attività della terapia sistemica potrebbe
essere utile per selezionare ulteriormente i pazienti da sottoporre alla
chirurgia. Sono attualmente pianificati due studi prospettici randomizzati per ottenere dati definitivi sulla
questione.
Chirurgia delle metastasi
Quasi il 25% dei pazienti con carcinoma renale presenta metastasi alla
diagnosi. La radioterapia o l’embolizzazione arteriosa percutanea sono tecniche valide per ottenere un
controllo dei sintomi in pazienti selezionati. Il trattamento chirurgico
dei pazienti con malattia disseminata dipende dalla sede e dal numero
delle metastasi e dalla presenza di
sintomi correlati al tumore primitivo.
Nei pazienti con lesione unica cerebrale comparsa più di 1 anno dopo
l’asportazione della lesione primitiva, la percentuale di sopravvivenza ad 1 anno dopo metastasectomia e radioterapia è stata il doppio
rispetto al gruppo in cui la lesione
cerebrale era comparsa meno di un
anno dopo l’asportazione del tumore primitivo25. Nei pazienti con metastasi polmonare unica e lungo intervallo libero da malattia dopo la
nefrectomia la resezione chirurgica delle metastasi può produrre un
DFS > di 5 anni nel 40% dei pazienti26, 27. La resezione di lesioni polmonari nella malattia metastatica costituisce un trattamento efficace
che conferisce un vantaggio in so-
pravvivenza: la sopravvivenza globale a 5 anni è risultata tra il 30% e
49%28, 29. Queste considerazioni implicano che il tempo di raddoppiamento del tumore primitivo e le interazioni tumore-ospite influenzano
profondamente la prognosi dei pazienti con metastasi. Anche se ci sono segnalazioni che la metastasectomia possa influenzare la prognosi
dei pazienti con carcinoma renale
recidivato non ci sono ovviamente
dati provenienti da studi randomizzati30. Ciononostante un tale approccio è tipicamente gravato da meno
effetti collaterali rispetto alla terapia
sistemica e potrebbe avere importanti benefici in termini di prevenzione di complicazioni locali.
RADIOtERAPIA
Il carcinoma renale è considerato
radioresistente e chemioresistente. Tuttavia i modelli sperimentali e
l’esperienza clinica sull’utilizzo della
radioterapia sulle metastasi indicano che una parte di questi pazienti
potrebbe trarre beneficio dalla radioterapia effettuata dopo la nefrectomia. Gli studi più datati riportano un
aumento delle complicanze usando
tecniche di radioterapia convenzionali 31. Quattro studi randomizzati
hanno indagato il ruolo neoadiuvante o adiuvante della radioterapia:
nessuno di questi ha dimostrato un
vantaggio in sopravvivenza nei pazienti sottoposti a radioterapia, mentre in tre di essi si è evidenziata una
tendenza verso una peggior sopravvivenza. Alcuni di essi sono vecchi
studi in cui il trattamento radioterapico utilizzato era subottimale e gravato da notevole tossicità, e nessuno studio ha arruolato un numero
35
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
sufficiente di pazienti per poter dimostrare o escludere una differenza significativa in termini di sopravvivenza 32-34. L’impiego di tecniche
radioterapiche più sofisticate comporta meno complicanze correlate al
trattamento35. Con l’introduzione della radioterapia conformazionale tridimensionale e dei sistemi di trattamento ad intensità modulata, è ora
possibile erogare a scopo adiuvante
dosi maggiori di radiazioni con minor
tossicità. Uno studio retrospettivo ha
riportato i risultati della radioterapia
post-operatoria, effetuata con piano
TC, in pazienti selezionati in base alla positività dei margini chirurgici o
dell’estensione perirenale della malattia: nei pazienti sottoposti solo a
nefrectomia il tasso globale di recidiva locale risultava del 100% versus il 30% dei pazienti sottoposti a
radioterapia post-operatoria36. Tuttavia sono necessari studi randomizzati riservati a pazienti ad alto rischio
per valutare pienamente il beneficio
della radioterapia adiuvante in termini di controllo locale. La radioterapia
assume un ruolo maggiore quando
utilizzata con finalità palliativa sulle lesioni metastatiche, con un tasso di risposta globale che varia tra
50 e 70%37. Voluminose lesioni metastatiche come quelle del letto renale richiedono alte dosi di radiazioni per ottenere una palliazione e, in
generale, questo approccio è efficace in meno del 50% dei pazienti
trattati. Le metastasi ossee sintomatiche generalmente traggono beneficio dal trattamento radiante sia per
il miglioramento del dolore sia per la
riduzione del numero di fratture patologiche. Le metastasi cerebrali di
carcinoma renale sono spesso complicate da emorragia e il rapido inizio
della radioterapia può fermarne la
36
progressione. Per le lesioni uniche
cerebrali o del rachide, si può prendere in considerazione la chirurgia
seguita da radioterapia. In pazienti
selezionati con un buon performance status e lesione solitaria va valutata anche l’opportunità di somministrare alte dosi con la radiochirurgia
da sola o in combinazione con una
irradiazione panencefalica38. La radioterapia gamma knife mostra risultati simili alla chirurgia in presenza di non più di 3 lesioni e con
dimensioni inferiori a 3-4 cm.
tERAPIA ADIUVAntE
L’osservazione rimane lo standard nei
pazienti sottoposti a nefrectomia per
tumori localizzati. Ci sono tre studi di
fase III di terapia adiuvante con IFNα
versus l’osservazione nei pazienti sottoposti a nefrectomia con resezione
completa di carcinoma renale localmente avanzato. Nessuno degli studi
ha dimostrato un aumento del tempo
alla recidiva o un miglioramento della
sopravvivenza globale con la sommnistrazione di interferon alfa, il cui utilizzo è, pertanto, non raccomandato39-41. Non ci sono dati di studi di
terapia adiuvante con interleukina-2.
Il trattamento chemioterapico adiuvante nel carcinoma renale non può
essere raccomandato per la scarsa
attività dei farmaci citotossici.
Nei pazienti ad alto rischio di recidiva dopo la nefrectomia sono state esaminate nuove tecniche, per
esempio sono in corso studi di fase III con i vaccini, volti a potenziare
la risposta immunitaria antitumorale.
Sono attualmente in corso alcuni
studi randomizzati di terapia adiuvante che utilizzano i nuovi farmaci.
Ne citiamo alcuni:
• S-TRAC TRIAL, studio randomizzato di fase III a doppio cieco che
confronta il trattamento adiuvante
con Sunitinib 50 mg/die x 4 settimane + 2 settimane di pausa per
una anno, verso placebo, nei pazienti con carcinoma renale a cellule chiare ad alto rischio dopo nefrectomia, previsto l’arruolamento di
236 pazienti.
• ASSURE TRIAL in cui i pazienti con T1b/T2 alto grado, oppure
T3/T4 di ogni grado, vengono randomizzati dopo la nefrectomia, al
trattamento con Sorafenib, Sunitinib, o placebo, per 1 anno. Lo studio prevede l’iclusione di 1300 pazienti e l’accrual è iniziato nel 2006
• SORCE TRIAL che confronta il Sorafenib con il placebo nei pazienti
con carcinoma renale operato ad
intermedio ed alto rischio di recidiva. I pazienti vengono stratificati per fattori di rischio e successivamente randomizzati in 3 gruppi:
Sorafenib x 3 anni, placebo per 3
anni, e Sorafenib per 1 anno seguito da placebo per 2 anni.
tRAttAMEntO DEL CARCInOMA
REnALE MEtAstAtICO
Immunoterapia
L’ipotesi che ci sia un ruolo dei meccanismi immunologici nel carcinoma renale è sorta dall’osservazione
clinica di alcuni casi di remissione
spontanea di metastasi solitarie; di
remissione, in alcuni pazienti, di metastasi dopo nefrectomia; della presenza di infiltrato linfocitario nel tumore primitivo. Gli studi clinici di
immunoterapia hanno confermato
tale ipotesi, dimostrando l’attività di
IFNα, interleukina 2 (IL2), combinazioni di citochine, e combinazioni di
linfociti (cellule LAK “lymphocyteactivated killer” o cellule TIL “tumorinfiltranting lymphocytes”) con citochine. La terapia con citochine ha
rappresentato il trattamento standard di I linea per il carcinoma renale metastatico fino a pochi anni fa.
Gli interferoni (IFns) sono glicoproteine naturali con proprietà antivirali,
antiproliferative e immunomodulatorie: possiedono un effetto antiproliferativo diretto sulle cellule tumorali, stimolano le cellulle mononucleate
del sistema immunitario e favoriscono l’espressione degli antigeni maggiori di istocompatibilità42. Tre sono
le classi maggiori: IFN alfa, prodotto
dai leucociti, IFN beta, prodotto dai
fibroblasti e IFN gamma, prodotto
dai linfociti attivati. Gli IFNs, sia naturali che ricombinanti, hanno mostrato di essere attivi nel carcinoma
renale. La percentuale di risposte
globali oscilla tra il 12 e il 14%. Non
ci sono differenze in termine di riposte usando IFNs diversi. L’IFNα
è stato somministrato secondo vari tipi di schedule, la più comunemente impiegata prevede la somministrazione sottocutanea per 3 volte
a settimana di dosi da 6 a 20 milioni
di unità. Ci sono alcune evidenze di
correlazione dose-risposta ma purtroppo la possibilità di incrementare la dose è limitata dalla tossicità
(febbre e sindrome simil-influenzale, anoressia, perdita di peso, depressione, fatigue). In una revisione
effettuata dalla Cochrane di 6 studi clinici randomizzati, con un totale
di 963 pazienti, l’hazard ratio per la
sopravvivenza è risultato 0.78 (intervallo di confidenza 0.67-0.90), che
si traduce in un aumento della sopravvivenza di 2.6 mesi43. In generale i pazienti che traggono beneficio
dal trattamento con interferone so37
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
no quelli con malattia non bulky, con
metastasi polmonari o ai tessuti molli, con performance status secondo
ECOG tra 0 e 1, che non presentano calo ponderale. Riassumendo,
nel carcinoma renale disseminato si
ottiene una piccola ma consistente
percentuale di risposte con l’IFNα,
ma questo risultato va rapportato
alla tossicità di una terapia cronica
e alla mancanza di un documentato
beneficio a lungo termine44-46.
terapia cellulare: Una delle esperienze più interessanti nel campo
dell’immunoterapia per il tumore del
rene è stata la terapia adottiva messa a punto da Rosenberg utilizzando
le cellule LAK (lymphokine-activated
killer) e l’interleukina (IL2)47.
IL2: questa citochina, con attività di
fattore di crescita e attivatore delle
cellule T e natural killer, è stata per
lungo tempo l’unico farmaco approvato dall’FDA per il trattamento del
carcinoma renale metastatico. I risultati migliori si sono ottenuti dal trattamento endovenoso con alte dosi
di IL2, sia per il numero di risposte
globali (17-27%) sia per la possibilità di ottenere, nel 5-7% dei pazienti,
una risposta completa e duratura48, 49.
Di solito sono i pazienti giovani, con
buon performance status e un limitato volume di malattia con metastasi
polmonari, ad andare incontro a una
risposta completa di malattia che si
mantiene nel tempo. (36). Purtroppo
il trattamento con alte dosi di IL2 non
è estendibile a tutta la popolazione,
sia per la necessità di ricovero ospedaliero, sia per la tossicità da cui è
gravato: aumento di peso (50% dei
pazienti), oliguria, ipotensione, nausea e vomito, diarrea, brividi, prurito, secchezza cutanea, sopore e coma, distress respiratorio, angina,
infarto del miocardio, aritmia. Inoltre
38
quando il trattamento con alte dosi endovenose è confrontato con la
somministrazione sottocutanea (più
maneggevole, perché non necessita
di ricovero, e meno tossica) il beneficio in termini di risposte non si traduce in miglior DFS o OS50, 51.
Combinazioni di citochine: sulla
base del sinergismo di attività evidenziato in alcuni modelli preclinici
sono stati condotti studi di confronto con citochine da sole o in combinazione, prevalentemente somministrate per via sottocutanea52,53. In
studi di fase II e III, le combinazioni hanno riportato tassi di risposte
simili a quelli osservati con le alte
dosi di IL254. Tuttavia, secondo uno
studio francese randomizzato, il significativo aumento del tasso di riposta con la combinazione IL2 più
IFNα, non si è tradotto in un aumento della sopravvivenza55. Altri piccoli
studi randomizzati non hanno dimostrato alcun vantaggio dalla terapia
di combinazione con IL2 e IFNα.
Concludendo, il trattamento con citochine, come agenti singoli, produce un tasso di risposta compreso tra
il 10 e il 20%, con scarsa sopravvivenza a lungo termine. A fronte del
dato interessante del 5-7% di risposte complete e durature ottenute dal
trattamento con IL2 ad alte dosi per
via endovenosa, la somministrazione
di basse dosi di IL2 rimane una opzione terapeutica per i pazienti in regime di day hospital o ambulatoriale:
l’arruolamento dei pazienti in ulteriori studi clinici che prevedano tali modalità è raccomandato.
Chemioterapia
La chemioterapia non è attiva nel
carcinoma renale. Sono stati testati molti agenti chemioterapici, ma la
maggior parte di essi ha dimostrato
una percentuale di risposte inferiore
al 10%: dalla metanalisi condotta da
Yagoda, che ha analizzato tutti gli
studi pubblicati dal 1983 al 1993, per
un totale di 4903 pazienti, emerge un
tasso di risposta alla monochemioterapia non superiore al 6%56. Solo tre
agenti somministrati singolarmente hanno ottenuto risposte obiettive
ma con un attività marginale (scarsa): floxuridina, 5 fluorouracile (5FU),
vinblastina. In 14 studi la floxuridina
ha ottenuto un 12% di response rate. Per il 5FU, inizialmente usato in
combinazione con l’immunoterapia, il tasso di risposte è stato leggermente inferiore, con il 10% di risposte globali quando somministrato
come agente singolo in infusione e
il 19% in combinazione con l’nterferon. Risultati simili sono stati riportati per la vinblastina57, 58. Recentemente sono stati testati nuovi agenti
tra cui i taxani, camptotecine, antracicline, agenti antifolati e alchilanti.
Ancora una volta il carcinoma renale
ha confermato la sua natura refrattaria ai farmaci. Una delle ragioni della
chemioresistenza è stata identificata nella overespressione della P-glycoprotein, un trasportatore di membrana appartenente alla famiglia
delle “multidrug resistance protein”
(MDR). Circa l’80% delle cellule neoplastiche esprimono il gene MDR59.
Anche per quanto riguarda gli schemi di associazione i risultati non sono migliori: la combinazione di 5FU e
gemcitabina ha prodotto un tasso di
risposte dell’11%60, mentre un ampio studio con gemcitabina e capecitabina ha mostrato percentuali di
risposta circa del 10%. La combinazione di immunoterapia con farmaci
citotossici (vinblastina, fluoxuridina,
5FU) non ha prodotto alcun impatto
sulla sopravvivenza61. Dai dati della
letteratura si conclude che non c’è
un regime standard di chemioterapia per il carcinoma renale e la chemioterapia non è raccomandata al di
fuori di studi clinici62, 63.
Ormonoterapia
L’ipotesi che l’endocrinoterapia possa essere utile si basa sull’osservazione che la prolungata somministrazione di estrogeni induce tumori
renali nelle cavie maschio Syrian Golden. Tale osservazione costituisce il
razionale dell’approccio ormonale
con la somministrazione di un agente progestinico nei pazienti con carcinoma renale avanzato. È stata valutata un’ampia gamma di agenti
progestinici, a volte con testosterone ed antiestrogeni, da soli o in combinazione con corticosteroidi. Le risposte obiettive sono state inferiori al
10%: la maggior parte di queste erano risposte parziali, rare le risposte
complete64. All’inizio degli anni ‘70
sembravano promettenti gli studi di
endocrinoterapia con medrossiprogesterone acetato, ma usando criteri più rigorosi nella definizione delle
risposte obiettive le risposte globali furono meno del 5%65, 66. Il tamoxifene ha ottenuto un beneficio scarso
se non nullo67. Studi con flutamide e
antiestrogeni non hanno riportato alcun beneficio. La maggioranza dei
pazienti con carcinoma renale avanzato, quindi, non otterrà alcuna risposta significativa con la manipolazione ormonale sia con agenti singoli
che in combinazione.
nUOVI FARMACI A bERsAGLIO
MOLECOLARE
La ricerca su nuovi farmaci è basata sulla scoperta delle vie di segna39
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
le che mantengono in vita la cellula tumorale al fine di identificare dei
target, la cui inibizione possa indurre la morte cellulare68. Nel carcinoma renale a cellule chiare (RCC)
sono emersi come pathway clinicamente significativi la via del VEGF
(vascular endothelial growth factor)
e la via di mTOR (mammalian target of rapamycin), entrambe implicate nella regolazione della produzione del fattore di trascrizione HIF
(hypoxia inducible factor). Nel carcinoma renale a cellule chiare è l’alterazione del gene oncosoppressore VHL (von Hippel-Lindau), e perciò
l’inattivazione della proteina da esso
codificata, la causa di una aumentata attività di HIF che porta alla produzione di nuovi vasi che alimentano il tumore mediante l’attivazione
della trascrizione dei geni per fattori pro-angiogenici (VEGF, PDGFβ,
TGFα)69, 70. L’inattivazione di VHL avviene tramite la delezione di un allele (LOH, “loss of hetrozygosity”,
riscontrabile nel 90% di RCC spoFigura 1: Vie di segnale
attivate nel RCC,
target per nuovi farmaci.
radico), e tramite mutazione genica
(circa nell’80%) o metilazione ( nel
5-10%) dell’altro allele71, 72. Nel carcinoma renale a cellule chiare è stata documentata anche l’attivazione
della via di mTOR che ha come effetto un aumento dell’attività di HIF
e di altri regolatori del ciclo cellulare, come la ciclica D1 e c-myc73-75.
Nel RCC risulta inoltra attivata la via
dell’EGFR.
Il primo farmaco ad azione antiangiogenica studiato nel tumore renale è la talidomide che inibisce
l’angiogenesi indotta dal “basic fibroblast growth factor” (bFGF) e
dal VEGF. Sono stati pubblicati sei
studi sulla talidomide impiegata come agente singolo nel RCC metastatico: la percentuale di risposte
globali è risultata bassa (6%) e caratterizzata da un tardivo raggiungimento della massima riduzione
tumorale, mentre è stato riscontrato in tutti gli studi un alto tasso di
stabilizzazione di malattia76, 77. Studi di fase I/II di associazione con
Cell Stimuli (e.g. growth factors)
TUMOR CELL
FKBP
Inactivated
VHL tumor
suppressor gene
Temsirolimus
PI3-K
PTEN
Bevacizumab
VHL
Akt
HIFα
HIFα
Pro
Pro
Hypoxia
OH
Normoxia
and normal
VHL gene
mTORC1
Raptor
mL5T8
p70S6K
GßL
HIFα
HIFα
4E-BP1
eIF-4E
Pro
P
eIF-4E
4E-BP1
P
HIFα
Pro
Pro
Ub
Ub
Ub
Ub
Sunitinib
Sorafenib
VEGF
OH
PDGFR
VHL
Pro
HIFα
VEGFR
E3 Ligase
PDGF
HIFα
Pro
mRNA translation
Cyclin D1
c-Myc
HIFα
Cell growth and survival
40
OH
Pro
Transcriptional
activation of
HIF target genes
Proteasome-mediated
degradation of HIF
ENDOTHELIAL
CELL
citokine hanno riportato percentuali di risposta maggiore. Amato e coll
hanno riportato, in uno studio su
52 pazientti, un controllo di malattia pari al 52%, con 8% di risposte
complete e 29% risposte parziali,
con l’associazione di talidomide e
IL278.Hernberg e coll hanno utilizzato una combinazione di IFN-alfa per
3 somministrazioni giornaliere e talidomide iniziando con 100mg/die
con aumenti di dose fino a 300 mg/
die79. Sei pazienti (20%) su 30 hanno ottenuto una risposta parziale e
17 (63%) una stazionarietà di malattia persistente per almeno 3 mesi. Il tempo mediano alla progressione è stato di 7,8 mesi con una
sopravvivenza libera da progressione di 6,9 mesi ed una sopravvivenza globale di 15,5 mesi. Gli effetti collaterali più comuni sono stati
sonnolenza, costipazione e neuropatia periferica. Sono in corso altri studi che dovrebbero fornire ulteriori elementi per definire meglio
il ruolo della talidomide nel carcinoma renale.
Tra i nuovi farmaci alcuni sono piccole molecole “small molecules”
che inibiscono la porzione intracellulare del recettore del VEGF, tra
questi il Sunitinib e il Sorafenib sono i più studiati, mentre più recenti
sono i dati relativi ad Axitinib e Pazopanib. Questi farmaci vengono
somministrati per via orale e presentano tra loro delle differenze non
solo per la potenza di inibizione del
VEGF-R, ma anche per lo spettro
di recettori tirosin kinasici che inibisono. Il Bevacizumab è un anticorpo monoclonale, somministrato per
via endovenosa, che si lega e neutralizza il VEGF circolante, ma non
il VEGF legato al recettore. Un altro
gruppo è costitiuto dagli inibitori di
mTOR , come Temsirolimus ed Everolimus, che influenzano la trascrizione di HIF senza effetti diretti su
VEGF e VEGFR.
SUNITINIB80: l’efficacia di sunitinib
nel RCC è stata evidenziata fin dai
primi studi di fase II in cui il farmaco ha ottenuto un tasso di risposte obiettive nei pazienti pretrattati con citochine del 34-40%,
cioè 2-3 volte maggiore di quanto ottenuto dalle citochine in prima linea81, 82. Successivamente è
stato condotto uno studio randomizzato di fase III, di confronto tra
sunitinib e IFNα, come trattamento di prima linea per il carcinoma
renale metastatico. In questo studio, che ha portato all’approvazione del farmaco in prima linea, con
sunitinib si è ottenuta una PFS mediana più che raddoppiata rispetto a IFNα (11 vs 5 mesi) con una
riduzione del 58% del rischio di
progressione (hazard ratio 0,42, IC
95%: 0,32-0,54; p<0,001)83. Sunitinib ha evidenziato inoltre un netto
miglioramento delle risposte obiettive (47% vs 12%) e della qualità
della vita rispetto a IFNα84. E’ stato
recentemente pubblicato l’aggiornamento finale del dato di sopravvivenza globale: la mediana di sopravvivenza è 26,4 mesi85.
SORAFENIB 86: L’attività di Sorafenib per il trattamento del RCC
in pazienti pretrattati con citochine è stata dimostrata inizialmente
in uno studio di fase II, in cui tutti i 202 pazienti inclusi ricevevano
il Sorafenib; in una seconda fase
dello studio continuavano la terapia solo quelli in risposta, mentre quelli con malattia stabile venivano randomizzati a proseguire il
41
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
farmaco sperimentale o a ricevere placebo87. Dopo le prime dodici
settimane il 36% dei pazienti aveva una riduzione tumorale pari ad
almeno il 25%. Successivamente
alla randomizzazione i pazienti liberi da progressione dopo 12 settimane di Sorafenib erano il 50%
contro il 18% di quelli trattati con
placebo, con una mediana di 24
settimane per Sorafenib contro 6
settimane per placebo (p= 0,0087).
Nel successivo studio di fase III di
confronto tra sorafenib e placebo
condotto in 903 pazienti pretrattati con citochine (studio TARGET)88,
Sorafenib ha dimostrato un vantaggio significativo rispetto al placebo in termini di PFS (5.5 vs 2.8
mesi, p< 0,001) ed un trend favorevole in sopravvivenza globale,
che però non ha raggiunto la significatività statistica probabilmente a
causa del crossover precocemente autorizzato dagli sperimentatori
dopo l’analisi ad interim programmata. Da un’analisi dei pazienti anziani (> 70 anni) arruolati in questo
studio si evince un effetto positivo
di Sorafenib anche in questo sottogruppo89. I principali effetti collaterali sono stati la diarrea (43%),
l’ipertensione arteriosa (17%), il
rash cutaneo (40%) e la sindrome mano-piede (30%). Sulla scorta dei dati ottenuti in seconda linea
sorafenib è stato confrontato con
IFNα in uno studio di fase II randomizzato in pazienti non pretrattati90: il trattamento con Sorafenib
ha dimostrato una migliore tollerablità ma nessuna differenza in PSF
rispetto a IFNα (5.7 vs 5.6 mesi). In
considerazione di questi dati sorafenib costituisce il trattamento di
riferimento dopo fallimento di una
terapia con citochine. Alcuni stu42
di randomizzati hanno dimostrato come le combinazioni tra Sorafenib e IFNα o IL2 siano fattibili e
possano aumentare l’efficacia terapeutica della monoterapia con
solo Sorafenib. Alcuni studi retrospettivi hanno rilevato l’assenza di
resistenza crociata tra TKI e supportano l’attuazione di sequenze
terapeutiche tra inibitori multichinasici.
AXITINIB (AG 013736): Axitinib è
una piccola molecola somministrata per via orale, che inibisce tutte le isoforme di VEGFR, PDGFRβ
e c-Kit ed è caratterizzata da un
profilo accettabile di tossicità costituito soprattutto da ipertensione
arteriosa e stomatite. La sua attività nel mRCC è stata determinata in uno studio di fase II condotto su 52 pazienti nefrectomizzati
in progressione dopo citochine, in
cui il farmaco ha ottenuto un promettente 44% di risposte91. Più di
recente Axitinib è stato testato in
pazienti refrattari a Sorafenib ottenendo 15% di risposte e un 35%
di stabilità92.
PAZOPANIB (GW 786034): Pazopanib ha caratteristiche simili a
quelle di Axitinib 93. Uno studio di
fase II randomizzato verso placebo è stato condotto in una popolazione che comprendeva sia pazienti non pretrattati che pretrattati
con citochine94. In un’analisi ad interim il 40% dei 60 pazienti arruolati aveva evidenziato una risposta obiettiva, con un ulteriore 42%
in stabilità di malattia della durata
di almeno 12 settimane. L’elevata
percentuale di risposte ha condotto alla chiusura del braccio placebo ed alla progettazione di uno
studio di fase III i cui risultati sono stati presentati all’ASCO 2009.
Lo studio ha arruolato 435 pazienti con carcinoma a cellule chiare,
non pretrattati o pretrattati con citochine per la malattia metastatica.
Essi sono stati randomizzati (2:1) a
ricevere Pazopanib 800 mg/die vs
placebo fino a progressione o tossicità95. La PFS è risultata significativamente a favore di Pazopanib nell’intera popolazione (9.2 vs
4.2 mesi; HR: 0.46; p< 0,0000001),
nei pazienti non protrattati (11.2 vs
2.8 mesi; HR: 0.40; p<0,0000001)
ed in quelli pretrattati con citochine (7.4 vs 4.2 mesi; HR: 0.54; p<
0,001). Le risposte obiettive riportate erano il 30% con Pazopanib
vs 3% con placebo con una durata
media di 58.7 settimane. I principali eventi avversi di grado severo
sono stati la diarrea (4%), ipertensione (4%), le discromie dei capelli (<1%), la nausea (<1%), l’anoressia (2%), il vomito (2%), oltre
alle alterazioni asintomatiche delle transaminasi (12%). I dati di sopravvivenza globale non sono ancora maturi e verranno presentati il
prossimo anno.
BEVACIZUMAB 96: il primo studio
di fase II randomizzato, pubblicato
da Yang nel 2003 su NEJM, aveva
stabilito che nel mRCC la dose di
Bevacizumab 10 mg/kg ogni 3 settimane allungava la PFS in pazienti pretrattati per la malattia metastatica, sia rispetto al placebo (4.8
vs 2.5 mesi) che rispetto ad una
dose più bassa dello stesso Bevacizumab (3 mg/kg) 97. L’attività sinergica di IFNα e Bevacizumab ha
poi fornito il razionale perché questa doppietta costituisse il braccio
sperimentale dello studio di fase
III randomizzato in doppio cieco
AVOREN98. I 649 pazienti arruolati avevano un carcinoma a cellule chiare oppure una forma mista
con almeno il 50% di cellule chiare
e sono stati randomizzati a ricevere, fino a progressione di malattia,
IFNα 9 MU 3 volte alla settimana
(con possibile riduzione di dose a
6 o 3 MU) + Bevacizumab 10 mg/
kg ogni 2 settimane (BEV-IFN) oppure IFNα + placebo. L’associazione di Bevacizumab + IFN ha ottenuto un vantaggio statisticamente
significativo in PFS (mediana 10.2
vs 5.4 mesi; HR = 0.63; p= 0,0001)
ed in termini di risposte (31% vs
13%) rispetto al braccio di controllo. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, obiettivo primario dello studio, l’analisi finale
è stata presentata all’ASCO 2009
ad un follow-up mediano di 22 mesi99. Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa fra i
due regimi (OS mediana 23.3 vs
21.3 mesi), con una riduzione del
rischio di morte a favore di Bevacizumab + IFN che non va oltre, anche dopo stratificazione per classe
di rischio, il 14% (p= 0,12). Lo studio americano CALGB 90206 utilizzava un disegno statistico identico all’AVOREN ma non prevedeva
il placebo nel braccio di controllo100, 101. Per quanto riguarda la PFS
rispetto all’AVOREN si confermano
sia il miglioramento significativo a
vantaggio del braccio sperimentale (mediana: 8.4 vs 4.9 mesi; HR=
0,71; p< 0,0001) sia le risposte
obiettive, quasi il doppio rispetto
a quelle dei controlli. In termini di
sopravvivenza globale la differenza tra i due regimi non raggiunge
la significatività statistica nella popolazione intention-to-treat (18.3
43
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
vs 17.4 mesi; p = 0,069), confermando una riduzione del rischio
di morte del 14% che è inferiore
a quanto previsto dal disegno statistico. La percentuale dei pazienti vivi a 3 anni è stimata intorno al
30-35% sia nello studio CALGB
sia nell’AVOREN. Tuttavia risultati
preliminari di alcuni studi indicano
PFS e RR maggiori dell’atteso con
Bevacizumab o IFNα in monoterapia102, mentre altri dati dimostrano
che l’efficacia è conservata con
basse dosi di IFNα103.
TEMSIROLIMUS104, 105: inibisce la
chinasi 1 del complesso della rapamicina che viene somministrato
per via endovenosa. Nello studio
di fase II su pazienti pretrattati sono stati confrontat tre diversi dosaggi settimanali del farmaco (25
mg, 75 mg e 250 mg) senza ottenere alcuna differenza significativa
in termini di attività106. A fronte di
un esiguo 5% di risposte si è ottenuta una discreta PFS (5.8 mesi) ed una sopravvivenza mediana
di quasi 15 mesi. Il 40% dei pazienti in questo studio era ad alto rischio di ricaduta secondo
MSKCC: la PFS mediana in questo gruppo era compresa tra 7.1
ed 8.5 mesi a seconda della dose utilizzata conro i 4 mesi identificati dal gruppo MSKCC nella loro
analisi retrospettiva. Il successivo
studio randomizzato di fase III ha
perciò confrontato in prima linea
Temsirolimus vs IFNα vs i due farmaci in combinazione nei pazienti a prognosi sfavorevole107. La superiorità di Temsirolimus rispetto
ad interferone si è manifestata sia
in termini di PFS che di OS, con
una sopravvivenza mediana che
sfiora gli 11 mesi ed una riduzio44
ne del rischio di morte del 27% rispetto ad interferone. Il braccio di
combinazione non è risultato superiore alla monoterapia. Gli eventi avversi più comuni sono risultati:
anemia, astenia, dispnea, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia ed
iperglicemia. Queste ultime riflettono l’inibizione del metabolismo
dei lipidi e dei glucidi mediato da
mTOR. Attualmente Temsirolimus,
alla dose di 25 mg/settimana, è
l’opzione di scelta nel trattamento
di prima linea dei pazienti con carcinoma renale metastatico a prognosi sfavorevole secondo i criteri MSKCC.
EVEROLIMUS: è un inibitore del
pathway m-TOR che viene assunto per via orale. All’ASCO 2007 sono stati presentati i risultati di uno
studio di fase II che evidenziava
un interessante tasso di risposte
in pazienti pretrattati sia con citochine che con farmaci multitarget108. Successivamente è partito
uno studio di fase III di confronto
verso placebo in 410 pazienti pretrattati con Sorafenib e/o Sunitinib109. Everolimus ha raddoppiato
la PFS rispetto a placebo (4 mesi vs 1.9 mesi) riducendo di circa
il 70% il rischio di ripresa di malattia. Questo vantaggio è risultato
evidente in tutti i pazienti indipendentemente dalla classe prognostica di rischio.
PROPOSTA DI ALGORITMO: Tabella 1. Al momento attuale nessuno studio sul trattamento di I linea
del RCC metastatico, compresi gli
aggiornamenti dell’AVOREN e del
CALGB presentati all’ASCO 2009,
ha raggiunto e superato i 26.4 mesi di sopravvivenza globale ottenuti
tAbELLA 1: PROPOstA DI ALGORItMO PER IL tRAttAMEntO DEL CARCInOMA REnALE MEtAstAtICO In bAsE ALLE CLAssI DI RIsCHIO sECOnDO MsKCC (PrOCOPIO G, TuMOrI 2009)
Carcinoma renale a cellule chiare
terapia di prima scelta
Opzioni di seconda scelta
Non
pretrattati
Rischio prognostico:
favorevole o intermedio
Rischio prognostico:
sfavorevole
Sunitinib o
Bevacizumab + IFNα
Temsirolimus
IL2 alte dosi
Trial clinico
Sunitinib
Trial clinico
Pretrattati
con citokine
Sorafenib
Sunitinib
con farmaci multitarget
Everolimus*
TKI
Trial clinico
Carcinoma renale non a cellule chiare
terapia di prima scelta
Altre opzioni
Tutti
Temsirolimus
Sunitinib, Sorafenib
* Non ancora approvato in Italia.
da Sunitinib. In considerazione di ciò
all’ultimo congresso ASCO è stato
ribadito che, sebbene la combinazione bevacizumab + interferone alfa rimanga un’opzione terapeutica
adeguata per i pazienti a prognosi
buona e intermedia, i dati di efficacia di sunitinib rimangono superiori in termini di risposte obiettive, sopravvivenza globale e sopravvivenza
libera da progressione, favorendone
quindi l’impiego quale terapia standard di riferimento per il trattamento
di prima linea del mRCC.
E’ importante tener conto dei dati emersi dagli studi per cercare di
individualizzare il trattamento. Per
esempio il sunitinib può essere il
farmaco appropriato per un paziente con malattia bulky, sintomatico, in
cui si vuole ottenere una rapida risposta obiettiva; oppure nei pazienti con malattia metastatica limitata
che potrebbero essere candidati a
radicalizzazione chirurgica. Stanno
emergendo alcuni dati di metastasectomia dopo esposizione a farmaci a bersaglio molecolare110.
Per i pazienti ad alto rischio, cioè
con tre o più fattori di rischio, in-
vece è stato dimostrato un vantaggio in sopravvivenza con il temsirolimus. Da analisi di sottogruppo di
altri studi sembra che anche il sunitinib, possa avere un effetto favorevole nei pazienti ad alto rischio111. Il
sistema più comunemente usato per
la definizione delle classi di rischio
è quello del Memorial Sloan Kettering Cancer Center. Deriva dallo studio di una coorte di pazienti con tumore renale metastatico trattati con
IFNα ed include: performance status
secondo Karnofsky inferiore a 80%,
lattico deidrogenasi maggiore di 1.5
volte al limite superiore di normalità,
emoglobina inferiore al limite inferiore di normalità, calcemia corretta
maggiore di 10 mg/dL, tempo intercorso dalla diagnosi di RCC all’inizio del trattamento inferiore ad 1
anno112. In base a questi valori i pazienti sono suddivisi in tre gruppi di
basso, intermedio ed alto rischio e,
sebbene il sistema sia stato costruito su pazienti non trattati con terapie a bersaglio molecolare, rispecchia perfettamente l’andamento del
trattamento con questi farmaci. Un
sesto criterio, e cioè numero di siti
45
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
metastatici ≥ 3 è stato introdotto da
un analisi che ha validato i fattori di
rischio del MSKCC113.
Un punto critico nella valutazione
dell’attività di questi nuovi farmaci
è rappresentato dai criteri di valutazione della risposta: infatti secondo i criteri RECIST il tasso di riposta varia dal 1% (Everolimus) al 10%
(Sorafenib, Bevacizumab, Temsirolimus) al 40% (Sunitinib), ma circa
nel 60-75% dei pazienti si osserva
una riduzione del volume tumorale
dall’inizio del trattamento e un raddoppiamento del PFS rispetto alla terapia standard. I criteri di Choi,
che hanno dimostrato un valore prognostico e predittivo di sopravvivenza in altre patologie, necessitano di
validazione prima di un loro utilizzo su larga scala nei pazienti con
mRCC.
Esistono alcuni dati sull’impiego di
questi farmaci anche nei tumori renali non a cellule chiare114. In particolare si evince un’attività del temsirolimus sui tipi istologici non a
cellule chiare da un analisi di sottogruppo nello studio di fase III.
La cosa più importante da considerare nella scelta del farmaco da
impiegare nel trattamento è la sopravvivenza globale. Tuttavia, nonostante sia chiaro che la sopravvivenza è stata significativamente
aumentata dall’introduzione di questi nuovi farmaci rispetto ai controlli storici, è difficile dire quale farmaco o quale sequenza conduca alla
maggior sopravvivenza. Per esempio nello studio di fase III del Sunitinib vs IFN, la sopravvivenza mediana dei pazienti trattati con sunitinib
era 26.4 mesi, rispetto a 21.8 mesi dei pazienti trattati con IFN. Ma
molti pazienti del braccio IFN hanno
ricevuto sunitinib alla progressione
46
e pertanto il dato sulla sopravvivenza con sunitinib è sottostimato115.
La sopravvivenza nei pazienti con
carcinoma renale refrattario trattati
con Sorafenib è risultata essere di
17.8 mesi rispetto ai 15.2 mesi nei
pazienti del braccio placebo. Tuttavia analizzando i pazienti del braccio
placebo successivamente passati
a trattamento con Sorafenib la sopravvivenza con Sorafenib rispetto
a placebo è risultata essere di 17.8
mesi vs 15.2 mesi116.
Per quanto riguarda la qualità di vita ci sono studi con singoli farmaci, ma non sono comparativi116, 117. È
importante tener presente la qualità
di vita soprattutto nei pazienti che
vengono sottoposti a trattamenti
di lunga durata, per questo si può
optare per trattamenti meno tossici purchè nella scelta non si vada
a scapito di una minor efficacia del
trattamento, infatti la progressione
di malattia comporta altri sintomi e
morbilità.
Un punto ancora da chiarire è quando iniziare il trattamento. Infatti c’è
un sottogruppo di pazienti con RCC
metastatico che ha un limitato volume di malattia, a lenta crescita. Per
esempio nello studio randomizzato sulla discontinuità del trattamento con Sorafenib si è osservato che
28 pazienti assegnati al gruppo che
iniziava placebo dopo 12 settimane
di Sorafenib e che riprendeva il Sorafenib alla progressione, il PFS mediano era di 24 settimane, cioè esattamente uguale al gruppo che non
interrompeva il trattamento con Sorafenib119. Questi dati suggeriscono
che ci sono pazienti in cui il trattamento può essere dilazionato senza
che ne sia compromessa l’efficacia.
Su questo argomento sono necessari studi prospettici.
tRAPIAntO ALLOGEnICO
Fra i tumori solidi il carcinoma renale a cellule chiare è quello che maggiormente beneficia, per le ragioni
già esposte, di una immunoterapia. Per queste ragioni il trapianto di
cellule staminali allogeniche è stato
esplorato nel RCC, e i risultati finora ottenuti sicuramente non sono da
trascurare120.
Nel 2000 Childs ha pubblicato la prima serie di pazienti con RCC trattati
con trapianto allogenico non mieloablativo riportando, in pazienti refrattari alle citochine, una percentuale
di risposte del 53%, tra cui alcune
complete. In un aggiornamento successivo si evidenziava una mortalità
correlata al trapianto dell’8% (nella
metà dei casi dovuta a complicanze della GVHD). Le risposte si verificavano in media dopo 160 giorni dal
trapianto (range 30-425 giorni) 121.
Successivamente sono stati pubblicati altri lavori analoghi in cui sono
stati utilizzati diversi regimi di condizionamento e di profilassi della
GVHD (tabella 2)122-133. La percentuale di risposte variava da 0 a 57%,
con alcune risposte complete e durature. La risposta al trapianto era
più frequente in pazienti con un numero limitato di siti metastatici, per
esempio metastasi solo polmonari,
e in caso di tumori a lenta progressione. Inoltre la risposta si verificava
solo nei tumori renali a cellule chiare e non negli altri tipi istologici. La
TRM (mortalità correlata al trapianto) in questi primi studi varia da 0 a
33% ed è chiaramente associata al
PS pre-trapianto, che era variabile
a seconda delle casistiche. Recentemente Bregni et al hanno riportato i risultati dopo follow-up mediano di 65 mesi, di una casistica di 25
pazienti refrattari al trattamento con
citochine sottoposti a trapianto allogenico ad intensità ridotta: la sopravvivenza ad 1 anno era del 48%
e a 5 anni del 20%134.
Lo studio più numeroso di allotrapianto nel RCC riportato finora (124
pazienti) è quello che include gli studi prospettici del gruppo francese
ITAC (French Immunotherapy and
Cancer) e il gruppo europeo di trapianto nei tumori solidi European
Bone Marrow Transplantation Solid Tumors Working Party (EBMT
STWP). In questo studio è stata riportata una sopravvivenza a 2 anni del 70% per i pazienti con GVHD
cronica che hanno ricevuto DLI (infusione di linfociti del donatore)135.
Per identificare prospetticamente
quali pazienti possono beneficiare
maggiormente del trapianto Peccatori et al hanno esaminato le caratteristiche pre-trapianto di 70 pazienti che hanno ricevuto l’allogenico in
centri dell’EBMT136. All’analisi multivariata i pazienti potevano essere
stratificati in 2 gruppi con sopravvivenza mediana veramente diversa
(3.5 mesi per i pazienti con prognosi scarsa e 23 mesi per i pazienti
con buona prognosi) in base a sole 3
caratteristiche: performance status,
PCR, LDH. Gli autori suggeriscono
che in base a questi tre parametri si
possono facilmente identificare i pazienti candidabili al trapianto allogenico, e si può facilitare il processo
di “decision making” per scegliere
gli appropriati programmi terapeutici per ciascun paziente.
Quindi ormai è stato dimostrato
che il tumore renale a cellule chiare
è suscettibile di un effetto di “graft
versus tumor” (GVT). Il trapianto
allogenico dopo un regime di condizionamento non mieloablativo è fat47
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
tAbELLA 2: PstUDI DI tRAPIAntO ALLOGEnICO nEL CARCInOMA REnALE
Studio
N° pz
Regime
di condizionamento
Profilassi GVHD
TRM (%)
RR (%)
Childs et al.
(2000)122
19
Flu + Cy
CSA
12
53
Bregni et al.
(2002)123
7
Thio + Flu + Cy
CSA + MTX
14
57
Pedrazzoli et al.
(2002)124
7
Flu + Cy
CSA + MTX
29
0
Rini et al.
(2002)125
12
Flu + Cy
Tac + MTX
33
33
Ueno et al.
(2003)126
15
Flu + Mel
Tac + MTX
22
47
Hentschke et al.
(2003)127
10
Flu + TBI
CSA + MMF
30
30
Baron et al.
(2003)128
7
Flu + TBI
CSA
0
14
Blaise et al.
(2004)129
25
ATG + Bu + Flu
CSA
9
8
Nagakawa et al.
(2004)130
9
ATG + Bu + Flu
CSA
0
11
Massenkeil et al.
(2004)131
7
ATG + Flu + Cy
CSA
14
29
Tykodi et al.
(2004)132
8
Flu + TBI
CSA + MMF
0
13
Rini et al.
(2006)133
22
Flu + Cy
Tac + MTX
9
0
Abbreviazioni: ATG, immunoglobuline antitimociti; Bu, busulfano; CSA, ciclosporina; Cy, ciclofosfamide; Flu, fludarabina;GVHD, graft versus host disease; Mel, melfalan; MMF, micofenolato; MTX, methotrexate; Tac, tacrolimus; TBI, total body irradiation; Thio, thiotepa; TRM, treatment-related mortality.
tibile per i pazienti con RCC, allunga la sopravvivenza, soprattutto nei
pazienti con caratteristiche cliniche
favorevoli e malattia minima. Sicuramente una importante area di ricerca è l’associazione dei farmaci
a bersaglio molecolare al trapianto
allogenico, utilizzando quest’ultimo
come immunoterapia adottiva. Anche le terapie a bersaglio molecolare, impiegate inizialmente a finali-
48
tà soltanto antiangiogenetica hanno
infatti dimostrato di possedere effetti
sulla risposta immunitaria: Sunitinib
riduce il numero delle T reg, Bevacizumab migliora la funzionalità delle
cellule dendritiche, Temsirolimus sinergizza con le Tregs nel controllare
la GVHD, Sorafenib riduce la capacità delle cell dendritiche di stimolare i
linfociti, inoltre può indurre apoptosi
delle cell dendritiche.
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60
tumori dell’Urotelio
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
PRInCIPI GEnERALI
DEI tUMORI DELLA VEsCICA
EPIDEMIOLOGIA
Introduzione
Il carcinoma della vescica costituisce
la settima neoplasia in ordine di frequenza nell’uomo con un’incidenza
pari a 10,1 nuovi casi ogni 100.000
persone all’anno e la diciassettesima nella donna con un’incidenza di
2,5 nuovi casi per 100.000 persone
all’anno1. Ciò riflette la più frequente
esposizione degli uomini al fumo di
sigarette e, particolarmente in passato, a professioni che comportavano contatti con alcune sostanze chimiche, quali le amine aromatiche.
Tabacco ed esposizione occupazionale rappresentano infatti i fattori di
rischio maggiormente riconosciuti
nel favorire lo sviluppo delle neoplasie vescicali2.
I più alti tassi di incidenza si registrano nei paesi sviluppati ma sono molto elevati anche in Nord Africa e in
Medio Oriente2.
Per quanto riguarda il sesso maschile, i maggiori tassi di incidenza
sono riportati in Egitto (37,1 nuovi
casi ogni 100.000 persone all’anno), in Spagna (33,0 nuovi casi ogni
100.000 persone all’anno) ed in
Olanda (32,6 nuovi casi ogni 100.000
persone all’anno). Se consideriamo
il sesso femminile invece, i tassi di
incidenza maggiormente elevati sono descritti in Zambia (13,8 nuovi
casi ogni 100.000 persone all’anno),
Mozambico (13,0 nuovi casi ogni
100.000 persone all’anno) e Zimbabwe (8,0 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno)1, 2.
È possibile evidenziare un andamento molto simile a quello dei tassi di in62
cidenza anche per i tassi di mortalità2.
In Europa nel 2006 sono stati diagnosticati 104400 nuovi casi di carcinoma vescicale (82000 negli uomini e
21600 nelle donne); nello stesso anno tale neoplasia è stata responsabile del 3,1% delle morti per cancro3.
Per quanto riguarda l’andamento
temporale della mortalità europea per
neoplasia vescicale, la percentuale
di soggetti deceduti a causa di tale
neoplasia è aumentata fino agli anni ‘80, soprattutto nel Sud e nell’Est
ed successivamente è diminuita del
12% tra il 1988 ed il 20004. Questo
tipo di andamento è simile a quello
del tumore del polmone ed è verosimilmente da ricondurre alla riduzione dell’abitudine al fumo di sigaretta;
tale evidenza confermerebbe l’importanza di quest’ultimo come fattore di
rischio comune alle due patologie.
Fattori di rischio relativi
allo stile di vita
• Fumo di sigaretta
Il fumo di sigaretta costituisce il fattore di rischio più importante per lo
sviluppo di carcinoma uroteliale vescicale, essendo responsabile di circa il 50% dei casi nell’uomo e del
35% circa dei casi nella donna5.Una
meta-analisi ha evidenziato come i
fumatori di sigarette abbiano un rischio di 2,57 volte superiore rispetto
ai non fumatori di sviluppare un carcinoma uroteliale della vescica5.
È stata dimostrata una correlazione
diretta tra numero di sigarette fumate, numero di anni di abitudine al fumo e rischio di carcinoma uroteliale
della vescica6. Uno studio caso-controllo ha altresì evidenziato un incre-
mento del rischio di sviluppare carcinomi non uroteliali7.
Con la sospensione del consumo di
tabacco, il rischio in eccesso subisce un decremento del 30% circa
dopo 1-4 anni e superiore al 60%
dopo 25 anni6, 8. I soggetti che fumano esclusivamente sigarette senza filtro presentano un rischio più
elevato del 30-70% rispetto a quelli che fumano sigarette con filtro9-11.
Il tabacco scuro è associato ad un
rischio superiore rispetto a quello
biondo12-15. Alcuni studi hanno inoltre riportato un incremento del rischio anche nei fumatori di pipa16-18.
• Consumo di alcool
Gli studi che hanno valutato l’impatto
dell’introito di alcool sul rischio di sviluppare un carcinoma vescicale hanno prodotto risultati sostanzialmente
inconsistenti. Una recente meta-analisi, in particolare, non ha evidenziato un effetto significativo del consumo di alcool sul rischio di carcinoma
vescicale con odds-ratio (OR) di 1,3
(95%CI 0.9-2.0) per l’uomo e 1.0
(95%CI 0.6-1.7) per la donna19.
• Consumo di caffè
Nonostante molteplici studi epidemiologici abbiano indagato l’impatto
del consumo eccessivo di caffè sulla suscettibilità a sviluppare un carcinoma vescicale, il ruolo di tale fattore dietetico in questo ambito non è
a tutt’oggi chiaro20.
Una meta-analisi del 2001 ha evidenziato un OR per il consumo di
caffè di 1.26 (95%CI 1.09-1,46) per
l’uomo, di 1.08 (95%CI 0.79-1.46)
per la donna, di 1.18 (95%CI 1.011,38) per entrambi i sessi21.
• Consumo di tè
Una recente meta-analisi non ha di-
mostrato alcuna significativa correlazione tra consumo di tè e rischio di
sviluppare un carcinoma vescicale21.
• Introito totale di liquidi
I dati ottenuti da studi caso-controllo
e di coorte che hanno valutato l’effetto dell’introito totale di liquidi sul
rischio di sviluppare un carcinoma
vescicale sono controversi. Alcuni
studi hanno infatti dimostrato una significativa associazione tra introito di
liquidi e rischio di carcinoma vescicale22-24. Altri studi hanno evidenziato
che un elevato consumo di liquidi è
associato ad un effetto protettivo25,26.
Altri ancora non hanno trovato associazioni significative21, 27, 28.
• Consumo di dolcificanti artificiali
Sebbene sia stato dimostrato che la
saccarina sodica è associata ad un
incremento del rischio di sviluppare
carcinoma vescicale in modelli animali, l’insieme delle evidenze epidemiologiche disponibili consente oggi di escludere ogni associazione tra
saccarina o altri dolcificanti artificiali e tumore della vescica. Di conseguenza, l’Agenzia Internazionale per
la Ricerca sul Cancro ha riclassificato la saccarina spostandola dal
gruppo 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo) al Gruppo 3 (non
classificabile come cancerogeno
nell’uomo)29.
• Dieta
I molteplici studi osservazionali che
hanno indagato l’impatto del consumo di frutta e vegetali, hanno evidenziato una relazione inversa tra
quest’ultimo ed il rischio di sviluppare un carcinoma della vescica30.
Una meta-analisi ha dimostrato come una dieta povera di frutta sia associata ad un maggior rischio di svi63
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
luppo di neoplasie vescicali (RR =
1,4, 95%CI 1,08-1,83)31. Nella stessa meta-analisi inoltre è stato evidenziato un elevato rischio per diete ricche di grassi (RR = 1,3, 95%CI
1,16-1,62) ma non per diete ricche di
proteine animali (RR = 1,08, 95%CI
0,82-1,42)31.
I dati riguardanti il supposto effetto
protettivo dell’introito di vitamine ed
antiossidanti sulla carcinogenesi vescicale sono invece a tutt’oggi inconsistenti. Alcuni studi hanno riportato
un effetto protettivo di antiossidanti
quali vitamina E32, 33 e selenio34-36. La
meta-analisi di Steinmaus del 2000,
tuttavia, non ha dimostrato un incremento del rischio di sviluppare un
carcinoma della vescica per diete
povere di retinolo (RR = 1,01, 95%CI
0,83-1,23) o beta-carotene (RR = 1,1,
95%CI 0,93-1,30)31.
• Attività fisica
L’effetto dell’attività fisica è stato
studiato in una coorte di 37.459 donne seguite per 13 anni in USA37; le
donne con una regolare attività fisica
hanno dimostrato un rischio più basso rispetto a quelle sedentarie di sviluppare una neoplasia della vescica
(RR = 0,66, 95%CI 0,43-1,01).
Al contrario uno studio di coorte che
ha arruolato 7.588 uomini ha evidenziato come un’attività fisica più importante sia associata ad un maggior rischio di sviluppo di carcinoma
della vescica (RR = 2,06 95%CI
1,08-3,95)38.
• Coloranti per capelli
Gli studi di coorte39, 40 e caso-controllo41-45 che hanno valutato l’associazione tra coloranti per capelli e
carcinoma della vescica non hanno evidenziato significative variazioni del rischio.
64
• Farmaci
Un’associazione tra frequente consumo di fenacetina e rischio di tumore della vescica è stata dimostrata in
molti studi caso-controllo ed ha condotto all’eliminazione di questo analgesico2, 46.
Al contrario, l’acetaminofene (paracetamolo), il principale metabolita della
fenacetina, non ha dimostrato un’associazione significativa con il cancro
della vescica47-50, come già evidenziato nel 1999 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro29.
Un altro farmaco associato al rischio
di tumore della vescica è l’antitumorale ciclofosfamide51-53.
• Esposizione occupazionale
Il secondo più importante fattore di
rischio per il carcinoma vescicale è
costituito dagli agenti chimici occupazionali. Le sostanze principalmente coinvolte sono i derivati del benzene e le arilamine. Le professioni a
maggior rischio di esposizione sono
quelle in cui vengono utilizzati coloranti, gomme, tessili, vernici, cuoio e
prodotti chimici54-57.
Fattori di rischio ambientali
• Agenti contaminanti le acque
Molteplici studi hanno dimostrato
un’associazione tra consumo di acqua
clorizzata e carcinoma della vescica58-61. È inoltre noto che acque contaminate da arsenico sono associate ad un elevato rischio di carcinoma
della vescica e di altre neoplasie62-65.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha pertanto classificato
l’arsenico come agente carcinogenetico quando addizionato alle acque66.
• radiazioni
È noto che l’irradiazione terapeutica
della pelvi per neoplasie ovariche,
della cervice uterina e della prostata
è associata con un incremento significativo del rischio di sviluppare una
neoplasia della vescica67-70.
• Fumo passivo
Ad oggi non vi sono evidenze di un
aumento del rischio di cancro della
vescica in soggetti esposti a fumo
passivo71.
Condizioni mediche precedenti
e fattori endogeni
• Infezioni delle vie urinarie
La flogosi cronica della vescica causata dallo Schistosoma haematobium è associata con un incremento
del rischio di sviluppare un carcinoma vescicale ad istotipo squamoso72. Nell’Africa del Nord e nell’Asia
Orientale la maggior parte dei carcinomi vescicali sono causati dalla Schistosomiasi73. Relativamente
all’impatto di altre infezioni delle vie
urinarie sul rischio di sviluppare un
carcinoma della vescica, i dati attualmente a nostra disposizione sono inconsistenti74-76.
• Litiasi delle vie urinarie
Il ruolo della litiasi del distretto urinario sul carcinoma della vescica è
a tutt’oggi controverso. Alcuni studi
caso-controllo74-77 e di coorte78 hanno infatti dimostrato un’associazione tra calcolosi e rischio di neoplasia
vescicale, altri studi invece non hanno confermato tale correlazione74, 75.
• Ph urinario
Rothman e collaboratori hanno evidenziato che un basso pH urinario è
associato con elevati livelli di benzidina e N-acetilbenzidina urinarie e con
la comparsa di un elevato numero di
addotti del DNA nelle cellule dell’urotelio79. Un recente studio caso-controllo tuttavia non ha evidenziato alcuna associazione tra pH urinario e
rischio di carcinoma della vescica80.
Fattori ereditari
• Storia familiare di carcinoma
vescicale
I familiari di primo grado di pazienti
con tumori della vescica hanno un rischio circa doppio di sviluppare a loro
volta un cancro della vescica, il rischio
appare più elevato in giovane età81.
• Suscettibilità genetica
Per esercitare il loro effetto cancerogeno, le amine aromatiche richiedono un’attivazione, che le rende capaci di legarsi al DNA. Questa attivazione
è effettuata da enzimi codificati da geni, i cui polimorfismi nelle popolazione implicano una diversa suscettibilità genetica individuale. In particolare,
la N-acetiltransferasi (NAT) è un enzima
implicato nella detossificazione delle
amine aromatiche. Il gene NAT-2 è polimorfico e circa il 50% della popolazione caucasica è acetilatore lento ossia
ha ridotta attività di questo enzima ed è
quindi a rischio elevato, di circa il 40%,
di sviluppare il tumore della vescica82.
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72
AnAtOMIA PAtOLOGICA
La variante più comune di carcinoma
vescicale nei paesi sviluppati è il carcinoma uroteliale, che è responsabile
di circa il 90% dei casi in USA, Francia ed Italia (1). Nell’Europa del Nord
e dell’Est, in Africa ed in Asia la frequenza relativa del carcinoma uroteliale è, tuttavia, più bassa.
In generale il carcinoma uroteliale è
responsabile di circa l’84% dei casi nell’uomo e di circa il 79% nelle
donne1, 2.
Altri tipi di carcinoma vescicale,
quali il carcinoma squamoso puro e l’adenocarcinoma puro hanno
una frequenza nettamente inferiore.
Il carcinoma squamoso puro infatti
costituisce l’1,1% dei casi nell’uomo ed il 2,8% nella donna1; l’adenocarcinoma puro rende conto invece dell’1,5% dei casi nell’uomo e
dell’1,9% nella donna1, 3.
1) Neoplasie uroteliali
• Anatomia macroscopica
Il carcinoma uroteliale infiltrante può
presentarsi macroscopicamente in
forma papillare (75% dei casi), in forma polipoide, in forma piatta, in forma nodulare o caratterizzato da crescita transmurale diffusa.
Può essere solitario o multifocale ed
essere circondato da mucosa indenne o eritematosa, quando associato
ad aree di carcinoma in situ1.
• Grading - Classificazione
istologica
Il grado di queste neoplasie rappresenta da oltre 30 anni argomento
di dibattito serrato, in ragione della
scarsa riproducibilità delle classificazioni adottate4.
Del resto, l’importanza di un grado
ben definito non si può sottovalutare alla luce del suo stretto rapporto
con lo stadio5.
Il dibattito diagnostico nell’ambito del
grado, protrattosi fino ad oggi nonostante il contributo della biologia molecolare, si incentra soprattutto sulle
neoplasie uroteliali papillari con scarsissime atipie cito-istologiche.
I sostenitori della benignità di tali lesioni hanno argomentato circa l’identità morfologica di nuove lesioni (cosiddette recidive) che si sviluppano
dopo l’asportazione della prima,
mentre i sostenitori della malignità
sottolineano i risultati di quei lavori
che indicano, sia pure in una percentuale scarsa di casi, una progressione in grado e/o stadio delle cosiddette recidive6. In questo contesto il
termine “recidiva” viene in realtà comunemente adoperato in modo improprio poiché, nella maggior parte
dei casi, le neoplasie che si manifestano durante il follow-up cistoscopico dopo la resezione endoscopica si manifestano in sedi diverse da
quella iniziale4.
In conclusione, il carattere assai sfumato delle atipie di queste lesioni
suggerisce l’adozione di un termine che non allarmi troppo il paziente
senza tuttavia trascurare un adeguato follow up. Il termine adottato dalla
Classificazione WHO 2004 per identificare queste lesioni a bassissimo
grado è neoplasia uroteliale papillare
a basso potenziale di malignità.
Nel 2004 è stata ufficializzata la nuova classificazione WHO delle neoplasie vescicali2 che integra, con
modificazioni e semplificazioni, le
precedenti classificazioni e proposte di gradazione. Il suo avvento rin-
73
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
nova i concetti esposti nella classificazione WHO 19737, che è tuttavia
ancora assai diffusa ed utilizzata. La
classificazione WHO 1973 si basa
su criteri morfologici, non del tutto
soddisfacenti e la sua riproducibilità è modesta, laddove la classificazione WHO 2004 appare più chiara,
benché il livello di riproducibilità sia
ancora da verificare4.
• Papilloma uroteliale
Le lesioni papillari uroteliali benigne
vere (papillomi) sono assai rare. La
diagnosi di papilloma uroteliale andrebbe limitata a lesioni singole, soprattutto in pazienti giovani e con
urotelio istologicamente normale
“montato” su architetture frondose
senza fusione delle papille.
Viceversa, il riscontro di un papilloma invertito (anch’esso assai raro e singolo ed interessante di solito le sedi trigonali/peri-meatali) è
possibile anche in pazienti anziani.
Quest’ultimo è composto da cordoni/isolotti di urotelio normale invaginati all’interno della lamina propria,
senza vera infiltrazione.
È evidente come la diagnosi di papilloma e papilloma invertito debbano essere formulate con estrema
cautela4.
• Neoplasia uroteliale papillare
a basso potenziale maligno
(PuN-LMP, papillary urothelial
neoplasm of low malignant
potential)
Le pareti posteriori e laterali in prossimità degli sbocchi ureterali sono
le sedi di più frequente insorgenza
della neoplasia uroteliale papillare a
basso potenziale di malignità. Si tratta solitamente di una lesione frondosa piccola, singola o talora multipla.
Spesso, la citologia urinaria è nega74
tiva. Istologicamente, papille sottili e
non fuse mostrano scarsissime atipie citologiche. La PUN-LMP assomiglia ai papillomi, rispetto ai quali mostra un aumento del numero di
strati, nuclei lievemente aumentati e
lievissima anisometria nucleare con
preservazione di ordine, polarità e
cellule ad ombrello4.
• Carcinoma uroteliale papillare
(non invasivo) a basso grado
(LG-PuC, low grade- papillary
urothelial carcinoma)
L’apparenza endoscopica e le localizzazioni del carcinoma uroteliale
papillare non invasivo a basso grado sono simili alla PUN-LMP. Istologicamente le fronde papillari, che
preservano un’architettura ordinata, sono spesso fuse e mostrano
atipie citoarchitetturali in termini di
lievi perdite di polarità ed anisometrie nucleari. Le mitosi sono scarse
e prevalentemente basali4.
• Carcinoma uroteliale papillare
(non invasivo) ad alto grado
(HG-PuC, high grade-papillary
urothelial carcinoma)
Il carcinoma uroteliale papillare non
invasivo ad alto grado è costituito
generalmente da lesioni singole o
multiple, papillari o nodulari/sessili.
Si manifesta generalmente dal punto di vista clinico con ematuria macro/microscopica. Istologicamente
dominato da un aspetto di disordine architetturale visibile già a basso ingrandimento, l’HG-PUC mostra
frequente fusione di papille ed una
composizione cellulare caratterizzata da perdite di polarità nucleari,
anisometrie, eterocromatina e/o nucleoli evidenti. Talora sono presenti campi di vera e propria anaplasia.
Le mitosi sono frequenti e la “scoe-
sione” cellulare è marcata, con grande variabilità nel numero di strati.
L’HG-PUC può mostrare focolai di
infiltrazione, più frequentemente che
il LG-PUC. Citocheratina 20, p53 e
p63 hanno un’espressione maggiore che nel LG PUC e la lesione è
spesso aneuploide4.
Per quanto concerne la storia naturale delle neoplasie papillari uroteliali, è necessario sottolineare che
mentre la recidiva di un papilloma
vero è un evento assai raro, le PUNLMP possono recidivare fino al 35%
e 47%, come dimostrato in talune
casistiche 2. Tuttavia, c’è un buon
accordo tra gli autori sul fatto che,
a differenza dei LG-PUC, la prognosi delle PUN-LMP è eccellente,
in quanto le recidive dei PUN-LMP
non sono associate a progressione
in grado o stadio8.
Diversa è l’attesa di fronte ad una
diagnosi di LG-PUC. Infatti, i carcinomi a basso grado recidivano in più
della metà dei casi e queste recidive
possono associarsi a progressione in
stadio e/o grado, portando in una minoranza di casi (<del 5%) a morte per
malattia2. Purtroppo, diverso è il caso
dei HG-PUC, responsabili della gran
parte della mortalità cancro-specifica
del carcinoma della vescica.
Del resto, in funzione del grado citologico, le neoplasie non invasive
papillari possono condividere aspetti
fenotipici e genetici con le neoplasie
infiltranti4. È stato infatti dimostrato
che i carcinomi uroteliali papillari ad
alto grado e talora anche i carcinomi uroteliali a basso grado possono
avere focolai di infiltrazione4.
• Carcinoma uroteliale in situ (Tis)
e displasia uroteliale
La displasia uroteliale rappresenta
una lesione piana dell’urotelio; quando essa è secondaria, cioè associata/preceduta da neoplasie papillari
uroteliali, comporta un maggior rischio di progressione di quest’ultime. Meno noto è il comportamento
della displasia primaria e cioè displasia de novo, non associata a neoplasia papillare dell’urotelio, sebbene sia documentata la possibilità di
evoluzione in carcinoma in situ (Tis)
ed in carcinomi invasivi in pazienti
non trattati9.
Non sempre agevole è la distinzione
tra displasia e “atipia di incerto significato”, entità riportata in tutte le più
recenti classificazioni. Quest’ultima
rappresenta in realtà una semplice
categoria descrittiva per casi in cui
l’atipia, pur essendo sproporzionata
rispetto alla flogosi presente, non offre ancora tutti i criteri citoarchitetturali della displasia9.
Il Tis rappresenta una forma piana
di neoplasia uroteliale, non invasiva,
ma già integralmente trasformata in
senso maligno. L’evoluzione probabile del Tis è il carcinoma uroteliale
infiltrante. Il Tis e la displasia si possono ovviamente associare anche a
varianti di carcinomi uroteliali invasivi, quali i carcinomi uroteliali con
metaplasia adenocarcinomatosa o
squamosa, i carcinomi linfoepiteliali, i micropapillari invasivi, i carcinomi
uroteliali con cellule osteoclastiche,
plasmocitoidi, producenti ß HCG o
con componente a piccole cellule4.
Il Tis è anch’esso frequentemente associato a neoplasia papillare
dell’urotelio, di cui è un marcatore di
progressione, ed è per lo più multifocale10.
La presenza di un Tis vescicale
comporta, rispetto ad altri carcinomi uroteliali, anche di tipo invasivo,
un rischio triplicato di simultanea o
75
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
successiva comparsa di Tis nelle vie
urinarie superiori, mentre in uretra il
rischio appare aumentato fino a 7
volte10. La compresenza di Tis in vescica, ureteri, pelvi renale, uretra, come le segnalazioni di Tis in diverticoli e neovesciche intestinali, chiamano
in causa fenomeni di seeding (cioè
disseminazione ed impianto di cellule neoplastiche) e multifocalità vera.
• Carcinoma uroteliali invasivi
L’istologia dei carcinomi uroteliali infiltranti è variabile. La maggior parte dei carcinomi pT1 sono papillari,
di basso o alto grado, mentre molti
carcinomi pT2-pT4 non sono papillari e sono di alto grado5.
L’identificazione dell’invasione e la
valutazione della sua profondità e
delle sue caratteristiche rappresentano momenti fondamentali della
valutazione anatomo-patologica in
quanto sono correlate con importanti conseguenze cliniche, terapeutiche
e prognostiche4.
Come sottolineato dalla classificazione WHO del 2004 è inoltre fondamentale riconoscere correttamente
alcune varianti del carcinoma uroteliale invasivo che spesso sono associate con significative differenze nella prognosi e nella terapia1.
Ne riportiamo qui di seguito un elenco, con descrizione delle caratteristiche fondamentali.
• Carcinoma uroteliale con
differenziazione squamosa
Riguarda circa 1/5 dei carcinomi uroteliali insorti in vescica ed oltre 1/3
dei carcinomi delle alte vie e la sua
frequenza aumenta di concerto con
grado e stadio. Questa categoria è
assegnata a lesioni con qualsiasi
estensione di differenziazione squamosa in presenza di una, sia pur mi76
noritaria, componente uroteliale, che
talora può essere limitata al solo carcinoma in situ. Una stima della percentuale delle due componenti istologiche dovrebbe essere indicata nel
referto. Molti autori hanno correlato
questo istotipo ad una scarsa radiochemiosensibilità e pertanto ad una
peggiore prognosi4.
• Carcinoma uroteliale con
differenziazione ghiandolare
È meno comune rispetto alla differenziazione squamosa e la sua identificazione richiede la presenza, in un
tumore uroteliale, di campi di differenziazione ghiandolare con aspetti tubulari, mucinosi, enterici e/o ad anello con
castone. La diagnosi differenziale deve soprattutto escludere da questa categoria frequenti aspetti pseudoghiandolari dovuti a necrosi o ad artefatti;
la sola presenza di mucine, osservabile talora in tipici carcinomi uroteliali,
non comporta di per sé la classificazione della lesione in questa categoria.
Il significato clinico della componente
ghiandolare è sconosciuto4.
• Carcinoma uroteliale “Nested Type”
È raro1, a netta prevalenza maschile ed
altamente aggressivo, tanto da risultare fatale nel 70% dei pazienti, ad onta
di un’apparenza citologica assai blanda; per questo motivo può richiedere,
in biopsie superficiali, una diagnosi differenziale con situazioni benigne/iperplastiche. Le atipie virtualmente assenti in superficie diventano spesso più
prominenti nei campi profondi. La diagnosi di questa variante è clinicamente
molto rilevante ed impone usualmente
la cistectomia radicale1.
• Carcinoma uroteliale variante
microcistica
Rara, caratterizzata da spazi cistici
rotondo-ovalari di taglia variabile, da
microscopica sino a 1- 2 mm, spesso a contenuto necrotico od eosinofilo amorfo.
Il significato clinico è sconosciuto, ma
la lesione deve essere nota onde poterla differenziare da lesioni benigne
e da carcinoma uroteliali con aspetti
pseudo-ghiandolari, dalle varianti nested, dai veri adenocarcinomi4.
• Carcinoma uroteliale variante
micropapillare
È una varietà aggressiva, rara, prevalente nel maschio simile al carcinoma sieroso-papillare dell’ovaia ed
al carcinoma micro-papillare invasivo della mammella; spesso è associata a campi di carcinoma uroteliale classico.
La diagnosi avviene di solito in stadio avanzato, talora con malattia già
metastatica e, per quanto la neoplasia sembri limitata allo stroma sottoepiteliale, è opportuno richiedere
una seconda biopsia della base di
resezione per escludere una possibile invasione del detrusore. Nel sesso femminile, la diagnosi di carcinoma uroteliale micropapillare richiede
una contestuale esclusione di neoplasia ovarica4.
• Carcinoma uroteliale variante
“Lymphoepithelioma like”
È infrequente, ma deve essere riconosciuto perché questa variante può
avere buona prognosi anche per una
buona chemio-sensibilità della forma
pura; la morfologia non differisce sostanzialmente dal carcinoma linfoepiteliale di altre sedi; in vescica interessa solitamente la cupola o il
trigono e può presentarsi puro o associato a campi di carcinoma uroteliale classico o di carcinoma squamoso11.
• Carcinoma uroteliale variante
sarcomatoide
Nella classificazione WHO 2004, la
variante sarcomatoide riunisce le
precedenti definizioni di carcinoma
sarcomatoide e di carcino-sarcoma,
con o senza elementi eterologhi e si
basa su recenti acquisizioni molecolari che paiono indicare una medesima origine monoclonale sia per la
componente epiteliale che per quella mesenchimale. Gli elementi eterologhi di più comune riscontro sono
di tipo osteo- e condrosarcomatoso
e via via meno frequentemente, rabdo- e leio-miosarcomatoso, lipo- ed
angio-sarcomatoso; alcuni casi possono presentare componenti eterologhe di vari tipi ed un piccolo gruppo
può avere rilevante stroma mixoide.
Il carcinoma sarcomatoide deve
essere riconosciuto e diagnosticato correttamente soprattutto per la
cattiva prognosi cui si associa (mediana di sopravvivenza pari a 17
mesi) anche correlata al frequente esordio della malattia già in fase
metastatica4.
• Carcinoma uroteliale variante
con cellule giganti e con
differenziazione trofoblastica
Comprende grandi cellule con frequenti mostruosità e talora con
aspetti sinciziali; la varietà con cellule giganti dovrebbe essere considerata separata dalla rarissima
presentazione con cellule osteoclastiche. La positività per ß-HCG degli
elementi giganti e sinciziali identifica la forma con differenziazione trofoblastica4.
• Carcinoma uroteliale variante
a cellule chiare
Viene ricordata principalmente per la
ovvia necessità di diagnosi differen77
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
ziale con neoplasie a cellule chiare
di altre origini, in particolare renali. I
citoplasmi sono chiari per ricchezza
in glicogeno; questo aspetto può essere osservato sia in lesioni papillari, sia in carcinomi in situ, sia, infine,
in carcinomi infiltranti di alto grado4.
• Carcinoma uroteliale variante
a cellule lipidiche
Forma assai rara, è caratterizzata da
citoplasmi ricchi di lipidi che simulano carcinomi a cellule ad anello con
castone o liposarcomi4.
• Carcinoma uroteliale
variante “lymphoma-like”
e plasmocitoide
Variante molto rara e per questo di
morfologia insidiosa specie in piccole biopsie; se sospettata all’esame
morfologico può essere facilmente
confermata dall’analisi immunoistochimica4.
• Varianti indifferenziate
Comprendono carcinomi non altrimenti classificabili, mentre “carcinomi a piccole cellule” talora con differenziazione neuroendocrina e le già
citate forme a cellule giganti e lymphoepithelioma-like sono considerate oggi varianti a sé stanti4.
2) Altre neoplasie epiteliali
Il carcinoma squamoso ed adenocarcinoma devono essere ricordati separatamente. Per entrambi è richiesta la presentazione in forma
pura, poiché le forme associate a
carcinoma uroteliale sono comprese
tra le varianti già descritte.
• Carcinoma squamoso
È frequente nelle aree di diffusione
endemica della bilharziosi, ma raro
78
nei paesi occidentali dove è spesso
associato ad infiammazioni croniche,
decubito di calcoli, radioterapia pelvica soprattutto per carcinomi della
prostata o dell’utero. Viene di solito
graduato in tre gradi, come il carcinoma squamoso di altre sedi12 e stadiato con le stesse regole valide per
il carcinoma uroteliale. La forma verrucosa è tenuta separata per la possibile associazione con infezione da
HPV (Human Papilloma Virus) e la
migliore prognosi4.
• Adenocarcinoma
La primitività vescicale può essere
affermata solo dopo esclusione, anche clinica, dei più comuni adenocarcinoma del colon, dell’endometrio
o della prostata. La distinzione dal
carcinoma del grosso intestino può
essere ardua dal punto di vista anatomo-patologico anche se l’immunoistochimica (CK7, CK20, CD141,
beta-catenina) può talora essere
d’aiuto.
Ha prognosi usualmente peggiore
delle lesioni uroteliali , anche per il
frequente esordio in fase avanzata.
I carcinomi squamosi puri e gli adenocarcinomi puri possono essere
preceduti rispettivamente da metaplasie squamose o ghiandolari e gli
adenocarcinomi da adenomi villosi o
residui uracali4.
• Adenocarcinoma uracale
Può presentarsi con uno qualsiasi
degli istotipi sopra elencati con una
prevalenza di casi “mucinosi”. Per la
diagnosi è richiesta l’insorgenza nella cupola (ma resti uracali sono stati
descritti anche in altre sedi), una netta demarcazione tra tumore ed epitelio di superficie e l’esclusione di
adenocarcinoma di altra sede vescicale o extra-vescicale (criteri di Jo-
hnson). Alcuni ritengono anche necessaria l’assenza di cistite cistica e
la presenza di resti uracali (criteri di
Wheeler-Hill)4.
• Adenocarcinoma a cellule
chiare (Mulleriano)
Usualmente colpisce le donne di età
compresa tra 20 e 80 anni, ha presentazione macroscopica aspecifica
e caratteristica struttura microscopica tubulo-cistica o papillare o diffusa
e può essere associato con campi
di carcinoma uroteliale o più di rado
con adenocarcinoma. Talora si osservano resti Mulleriani. La diagnosi differenziale si pone con carcinomi
renali, utero-vaginali e con l’adenoma nefrogenico e, nel maschio, anche con l’adenocarcinoma prostatico. La positività immunoistochimica
per CK7, CK20, CEA, CA-125, LeuM1 e la negatività per PSA e recettori per estrogeni e progesterone sono
d’aiuto nella diagnosi differenziale.
La stadiazione è analoga a quella
del carcinoma uroteliale. Insufficienti i dati sulla prognosi di queste lesioni , che tuttavia paiono relativamente poco aggressive4.
3) Tumori neuroendocrini
Comprendono il carcinoma neuroendocrino a piccole cellule e il paraganglioma.
Presentandosi talora associato a
carcinoma uroteliale in situ, si pen-
sa che il carcinoma neuroendocrino
di piccole cellule possa avere origine
uroteliale ed effettivamente l’associazione con aree di carcinoma uroteliale classico si osserva nel 50%
dei casi. La diagnosi di carcinoma
di piccole cellule, seguendo le indicazioni WHO 2004, si pone su base
morfologica, anche se la differenziazione neuroendocrina non può essere sempre dimostrata: infatti, la cromogranina-A risulta espressa solo in
1/3 dei casi. Per il cancro vescicale,
diversamente da quanto decritto per
la prostata13 manca ancora una chiara correlazione tra espressione del
fenotipo neuroendocrino e decorso
clinico, tuttavia la prognosi è usualmente infausta e la sopravvivenza a
5 anni non supera il 10%.
Carcinoidi e carcinomi neuroendocrini ben differenziati sono assai rari
nella vescica, ma possibili e descritti in letteratura.
Il paraganglioma deriva da elementi gangliari della parete vescicale, è
molto raro e morfologicamente simile al paraganglioma insorto in altre sedi: analoga è la presentazione clinica, cui si aggiungono episodi
di macroematuria. La morfologia è
quella classica del paraganglioma/
feocromocitoma e la malignità certa è definita solo dalla presenza di
metastasi. Sono indici di rischio età
giovanile, ipertensione, la presenza
di disturbi minzionali ed aspetti infiltrativi nella parete vescicale4.
79
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
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81
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
PRInCIPI GEnERALI DEI tUMORI
DELLA PELVI REnALE E DELL’UREtERE
EPIDEMIOLOGIA
Introduzione
I tumori della pelvi renale e dell’uretere rappresentano l’8% circa di tutte le neoplasie del distretto urinario;
in più del 90% si tratta di carcinomi
uroteliali1, 2.
L’incidenza di tali neoplasie varia dai
0,7 all’1,1 nuovi casi ogni 100.000
abitanti per anno ed è in lento incremento negli ultimi 3 decenni. L’incidenza nel sesso maschile è quasi il
doppio di quella che si registra nel
sesso femminile, sebbene quest’ultima sia in lieve incremento negli ultimi anni3.
Analogamente a quanto è dato di
osservare nel caso dei carcinomi vescicali, i tumori della pelvi renale e
dell’uretere colpiscono più frequentemente pazienti anziani, essendo
l’età mediana dei soggetti che ne sono affetti di circa 70 anni3.
I tumori uroteliali della pelvi renale e
dell’uretere sono rari; in Europa costituiscono infatti lo 01% di tutte le
neoplasie nei soggetti di sesso maschile e lo 0,07% in quelli di sesso
femminile1.
La maggiore incidenza di tumori uroteliali della pelvi renale e dell’uretere si registra in Australia, Nord America ed Europa, mentre le incidenze
più basse sono osservate nell’America del Sud e del Centro ed in Africa1.
Fattori di rischio
• Fumo di tabacco
Analogamente a quanto dimostra-
82
to per il carcinoma della vescica, il
principale fattore di rischio per le neoplasie della pelvi renale e dell’uretere è costituito dal fumo di tabacco4.
La correlazione tra fumo di tabacco e
neoplasie della pelvi renale e dell’uretere è stata infatti confermata da svariati autori5-7. Il rischio incrementa in
modo significativo con l’aumentare
del numero di anni di abitudine al fumo e del numero di sigarette fumate
al giorno. Il rischio sembra essere sovrapponibile nei due sessi5, 6.
• Impiego di analgesici
Gli studi che hanno valutato l’impatto dell’impiego di analgesici come
la fenacetina, hanno dimostrato che
quest’ultimo incrementa il rischio di
sviluppare tumori della pelvi renale e
dell’uretere di 4-8 volte nei soggetti
di sesso maschile e di 10-13 volte in
quelli di sesso femminile4, 7, 8.
• Esposizione occupazionale
Diverse esposizioni occupazionali sono state associate al rischio di sviluppare tumori della pelvi renale e
dell’uretere5. Il rischio più alto è stato
evidenziato in lavoratori dell’industria
chimica, petrolchimica e di materie
plastiche ed in quelli esposti al coke
petrolifero, al carbone ed al catrame5.
Tra gli altri fattori di rischio è opportuno annoverare: la necrosi papillare, la nefropatia dei Balcani, le infezioni croniche e la litiasi del distretto
urinario9.
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I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
AnAtOMIA PAtOLOGICA
84
1) Neoplasie uroteliali
Anatomia macroscopica
Il carcinoma uroteliale della pelvi
renale e dell’uretere può presentarsi macroscopicamente in forma
papillare, polipoide, nodulare, ulcerativa o infiltrante1. Alcune forme
con tendenza alla crescita papillare possono invadere l’intera pelvi,
altre possono invece avere una
crescita transmurale con tendenza
ulcerativa1.
Un tumore di alto grado può apparire come una massa scirrosa mal
definita che interessa il parenchima renale, mimando una neoplasia
primitiva epiteliale renale1. La presenza di idronefrosi e/o calcoli può
essere associata ad una neoplasia
papillare della pelvi, mentre megauretere e stenosi ureterali sono
reperti macroscopici tipici di un tumore dell’uretere. La multifocalità
delle lesioni è di riscontro frequente1, 2.
cinomi uroteliali della pelvi renale e
dell’uretere includono: varianti istologiche caratterizzate da differenziazione aberrante (carcinoma uroteliale
con differenziazione squamosa, carcinoma uroteliale con differenziazione ghiandolare), carcinomi uroteliali
con morfologia non tipica (carcinoma
uroteliale “Nested Type”, carcinoma
uroteliale variante microcistica, carcinoma uroteliale variante micropapillare, carcinoma uroteliale variante
a cellule chiare, carcinoma uroteliale
variante plasmocitoide) e carcinomi uroteliali scarsamente differenziati (carcinoma uroteliale variante
“Lymphoepithelioma like”, carcinoma uroteliale variante sarcomatoide,
carcinoma uroteliale variante a cellule giganti)2-4. I carcinomi uroteliali
con morfologia cellulare non tipica e
scarsamente differenziati sono di più
frequente riscontro rispetto a quelli caratterizzati da differenziazione
aberrante2, 3.
Classificazione istologica Grading
La classificazione istopatologica
delle neoplasie uroteliali della pelvi
renale e dell’uretere è sovrapponibile a quella delle neoplasie vescicali, come il sistema impiegato per
definire il grado di differenziazione
di tali neoplasie1, 2. È infatti possibile riscontrare tumori papillari non
invasivi (neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale maligno,
carcinoma uroteliale papillare a
basso grado, carcinoma papillare
uroteliale ad alto grado), carcinomi
in situ e carcinomi invasivi2-4.
Analogamente a quanto avviene per
le neoplasie vescicali, inoltre, i car-
2) Altre neoplasie epiteliali
Carcinoma squamoso
Il carcinoma squamoso puro, sebbene rappresenti la neoplasia più
comune dopo quelle uroteliali, è
raro. È di più frequente riscontro
nella pelvi renale che nell’uretere e
spesso viene diagnosticato in stadio già avanzato5.
Si origina generalmente in soggetti
con storia di nefrolitiasi e associata
metaplasia squamosa ed ha prognosi usualmente peggiore delle
lesioni uroteliali1, 5.
Adenocarcinoma
L’adenocarcinoma puro della pelvi
renale e dell’uretere è estremamen-
te raro ed è spesso diagnosticato
in pazienti con storia di adenocarcinomi dell’intestino, mucinosi o a
cellule ad anello con castone1, 2, 6.
Fattori predisponenti per lo sviluppo
di tale neoplasia sono: la nefrolitiasi,
la metaplasia intestinale ghiandolare, le infezioni ricorrenti2,3.
Ha prognosi usualmente peggiore
dei carcinomi uroteliali, anche per
il frequente esordio in fase avanzata2, 3.
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85
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
DIAGnOsI
Segni e sintomi
Il quadro clinico che si associa all’insorgenza di una neoplasia delle vie
urinarie dipende, per quanto concerne tipologia e severità delle manifestazioni, dall’estensione e dalla localizzazione del tumore.
Nella quasi totalità dei pazienti con
neoplasia vescicale è presente sin
dalle fasi precoci, almeno saltuariamente, un’ematuria microscopica rilevabile esclusivamente con gli esami di laboratorio1.
Il più comune sintomo d’esordio di
un carcinoma della vescica è rappresentato da ematuria macroscopica,
riscontrabile in circa l’85% dei casi. A questo può associarsi tardivamente pollachiuria2. I carcinomi della
vescica localizzati a livello del collo
vescicale o che interessano una porzione rilevante della parete dell’organo possono manifestarsi con sintomi
a carattere irritativo quali disuria, urgenza minzionale, pollachiuria. Quadri clinici sovrapponibili possono
inoltre associarsi alla presenza di un
carcinoma in situ diffuso2.
Nelle neoplasie del trigono l’interessamento dell’ostio ureterale può dare origine ad idronefrosi; tale complicanza è da considerasi un fattore
prognostico negativo 3. In caso di
malattia avanzata possono essere
presenti calo ponderale, dolore addominale ed osseo legati alla presenza di localizzazioni secondarie di
malattia4.
L’ematuria microscopica costituisce
il primo segno clinico anche in caso
di tumori della pelvi e dell’uretere; il
sintomo più comune è rappresentato, anche in questo caso, dalla macroematuri, riscontrabile nel 50% circa dei casi5. Un dolore al fianco che
86
non di rado si presenta in forma colica viene riferito nell’8-40% dei casi ed è talvolta correlato all’ostruzione della via escretrice da parte della
massa neoplastica o di coaguli di
sangue5,6. L’idronefrosi è di più frequente riscontro rispetto alle neoplasie a sede vescicale e può esitare, in
alcuni casi, in insufficienza renale4, 5.
Esame clinico
La valutazione clinico-obiettiva deve prevedere un’accurata visita addominale e pelvica comprendente
un’esplorazione rettale (ed eventualmene vaginale bimanuale) al fine di
identificare masse palpabili e/o infiltrazione di organi viciniori4.
Malattia localizzata
Esami diagnostici
• Citologia urinaria
L’analisi citologica delle urine è uno
degli esami di prima scelta nella diagnostica delle neoplasie delle vie urinarie. Viene effettuata su 3 campioni
giornalieri successivi per aumentarne la sensibilità che rimane, comunque, limitata per le neoplasie di basso grado e in quelle caratterizzate
da scarsa esfoliazione mentre è sufficientemente elevata nelle neoplasie
in situ o di alto grado7.
• Ecografia
L’ecografia è una metodica strumentale non invasiva, poco costosa e disponibile in tutte le istituzioni,
rappresenta l’indagine iniziale nello
studio delle vie urinarie8. Sebbene
sia caratterizzata da un’elevata specificità (circa il 99%), ha una sensibilità che raggiunge solo il 63%. La
percentuale di falsi negativi con tale
metodica strumentale non è pertanto
trascurabile8. Esistono infatti sedi di
insorgenza di neoplasia della vescica in cui il rilievo di lesione può essere difficoltoso; tra queste: la localizzazione a livello della cupola e, in
alcuni soggetti obesi e con addome
prominente, le pareti laterali9.
• urografia endovenosa
L’urografia endovenosa può essere utile nell’evidenziare lesioni in
corrispondenza della pelvi renale,
dell’uretere, in caso di idronefrosi o
mancata visualizzazione dell’uretere.
La sua accuratezza è inferiore in caso di lesioni vescicali10.
• urO-TC, TC, rMN
La uro-TC, TC con software dedicato per lo studio delle vie urinarie
(URO-TC) è una metodica strumentale che sta sempre più sostituendo
l’urografia endovenosa nella diagnosi di neoplasie dell’uretere e dalla pelvi renale grazie anche alla sua
maggiore accuratezza nella valutazione dell’estensione extramurale di
tali processi tumorali10, 11.
Rispetto all’urografia fornisce inoltre
una migliore definizione delle pareti vescicali e di eventuali difetti di riempimento endovescicali10, 11.
La TC con mezzo di contrasto è caratterizzata da un’accuratezza nella
stadiazione di tumore primitivo vescicale di circa il 74%12.
La RM fornisce una migliore definizione dei tessuti molli rispetto alla
TC ed ha un’accuratezza maggiore
nella stadiazione del T (85% circa)12.
• uretrocistoscopia
La cistoscopia rappresenta ad oggi una metodica fondamentale nella
corretta diagnostica delle neoplasie
della vescica4, 13. La visione diretta
infatti permette di ottenere informazioni importanti circa le caratteristiche macroscopiche, le dimensioni, il
numero, la sede e le modalità d’impianto della neoformazione. In corso
di cistoscopia è possibile inoltre eseguire biopsie mirate, fondamentali
per la determinazione del tipo istologico e del grado di invasione della
parete vescicale13, mapping vescicali, ovvero prelievi multipli di mucosa
apparentemente indenne che permettono di valutare l’estensione della neoplasia e la presenza di carcinoma in situ ed anche resezioni di
lesioni superficiali mediante l’impiego del resettore transuretrale13.
Malattia metastatica
Esami diagnostici
TC e RM costituiscono le indagini di
prima scelta per valutare la diffusione di malattia a distanza e pertanto
individuare eventuali metastasi epatiche o polmonari4. Sensibilità e specificità delle stesse metodiche per la
valutazione dell’eventuale interessamento dei linfonodi loco-regionali
sono invece basse12.
L’esecuzione di una scintigrafia ossea
total body è raccomandata come procedura di stadiazione solo in soggetti
sintomatici per dolore scheletrico4, 14.
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I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
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I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
CLAssIFICAzIOnE tnM
E CLAssIFICAzIOnE In stADI
CLAssIFICAzIOnE DEL CARCInOMA VEsCICALE
Circa il 90% dei tumori vescicali
sono costituiti da Carcinomi a Cellule Transizionali (CCT) 4. La classificazione morfologica dei CCT si
caratterizza per forme superficiali o
infiltranti; ciò dipende dalle caratteristiche evidenziate mediante l’esame
endoscopico e/o l’esame istologico
dei prelievi eseguiti in corso di resezione endoscopica (Resezione
Trans Uretrale Vescicale – TURV) e
mediante gli esami diagnostici strumentali quali Ecografia o TAC e/o
RMN.
Inoltre si possono distinguere in
forme a sviluppo vegetante di tipo
papillare che si estrinseca all’interno
del lume vescicale e forme a sviluppo sessile di tipo nodulare ulcerativo
nel contesto della parete vescicale
che normalmente sono caratterizzate da una prognosi peggiore. I tumori vescicali oltre che per la più o
meno estesa invasione della parete
vescicale possono essere classificati
in base al grado di malignità delle
lesioni.
Esiste infine una varietà di tumore
della vescica definito Carcinoma in
Situ (CIS) caratterizzato da lesioni
piatte di alta malignità, a crescita
superficiale, ma con alto potenziale biologico, vale a dire dotate di
grande capacità di evoluzione peggiorativa.
Una volta posta diagnosi di carcinoma della vescica, devono essere
eseguiti ulteriori accertamenti per
verificare se le cellule neoplastiche
si sono diffuse all’interno della vescica o ad altre parti dell’organismo.
90
Questo processo, che si definisce
stadiazione, insieme al grado istologico di malattia svolge un ruolo
decisivo sulla scelta terapeutica e
sulla prognosi del soggetto. I sistemi
di classificazione che normalmente
sono utilizzati nella stadiazione 23
del carcinoma vescicale sono: il
TNM 1997, il grading istopatologico
OMS-WHO3, 10.
Sistema TNM
t
tumore primitivo
TX Tumore primitivo non definibile
T0 Tumore primitivo non evidenziabile
Ta Carcinoma papillare non invasivo
Tis Carcinoma in situ: “tumore
piatto”
T1 Tumore che invade il tessuto
connettivo sottoepiteliale
T2 Tumore che invade la parete
muscolare
t2a invasione superficiale della parete muscolare (metà interna)
t2b invasione profonda della
parete muscolare (metà esterna)
T3 Tumore che invade i tessuti perivescicali
t3a microscopicamente
t3b macroscopicamente
(massa extravescicale)
T4 Tumore che invade qualsiasi
delle seguenti strutture: prostata, utero o vagina
t4a tumore che invade prostata, utero o vagina
t4b tumore che invade la parete pelvica o la parete addominale
n
NX
N0
N1
N2
N3
Linfonodi regionali
Linfonodi regionali non valutabili
Linfonodi regionali liberi da metastasi
Metastasi in un solo linfonodo regionale della dimensione
massima di 2 cm
Metastasi in uno o più linfonodi
regionali delle dimensioni comprese tra 2 e 5 cm
Metastasi in un linfonodo della
dimensione massima superiore
di 5 cm
M Metastasi a distanza
MX Metastasi a distanza non accertabili
M0 Metastasi a distanza assenti
M1 Metastasi a distanza presenti
Il grading istopatologico (OMsWHO)
GX Il grado di differenziazione non
può essere accertato
G1 Ben differenziato
G2 Moderatamente differenziato
G3 Scarsamente differenziato
G4 Indifferenziato
La classificazione in stadi:
Stadio 0
Nello stadio 0, il tumore è localizzato
solamente alla mucosa della vescica.
Lo stadio 0 si suddivide convenzionalmente in stadio 0a e stadio 0is, a
seconda del tipo di tumore:
• stadio 0A, anche detto carcinoma
papillare: si presenta come una serie di piccoli funghi che protrudono
dalla mucosa della vescica;
• stadio 0IS, anche detto carcinoma
in situ: è un tumore piatto, che cresce sulla mucosa di rivestimento
della vescica.
Stadio I
Il tumore ha invaso la mucosa della
vescica.
Stadio II
Il tumore ha invaso la porzione interna o esterna della parete muscolare
della vescica.
Stadio III
Il tumore si è diffuso allo strato adiposo del tessuto circostante e può
aver compromesso gli organi riproduttivi (prostata, utero, vagina).
Stadio IV
Il tumore si è diffuso dalla vescica
alla parete addominale o pelvica. Il
tumore potrebbe aver infiltrato uno
o più linfonodi adiacenti o anche altri
organi a distanza.
Cancro della vescica recidivante
Si definisce recidivante il tumore
della vescica che si ripresenta dopo
il trattamento. La recidiva può svilupparsi nella stessa sede del tumore primitivo oppure in un altro
organo.
Classificazione del carcinoma
vescicale e delle vie escretrici3
Il carcinoma della vescica è una
malattia che presenta spiccata disomogeneità nella sua storia naturale19. La sopravvivenza a 5 anni varia
dal 90% nei tumori superficiali ben
differenziati allo 0-10% in caso di
invasione della parete pelvica. Molti
fattori clinici e patologici risultano
determinanti nell’evoluzione della
malattia e nelle scelte terapeutiche. Risulta quindi necessaria una
selezione rigorosa dei pazienti che
possono potenzialmente trarre beneficio da tali trattamenti. Tra i criteri prognostici possiamo distinguere
fattori legati alla neoplasia (volume
tumorale, stadio, grading, assetto
biologico molecolare) e fattori legati al paziente (performance status,
età, sesso, livello di emoglobina circolante).
91
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
In particolare l’infiltrazione muscolare è correlata con la sopravvivenza a
5 anni pari al 20% nei T3, < al 10%
nei T4 o N+, non superando il 5%
nella malattia metastatica. L’interessamento linfonodale, presente nel
30% dei casi, rappresenta un fattore prognostico peggiorativo con
tendenza all’estensione metastatica entro 18 mesi. L’ureteroidronefrosi riflette l’estensione di malattia
essendo strettamente correlata alla
presenza di tumori muscolo-invasivi
e malattia extravescicale ed influenza significatamente la sopravvivenza che a 5 anni scende dal 23 al 4%.
L’identificazione dei fattori prognostici riveste un ruolo chiave per la
scelta terapeutica atta a migliorare
la sopravvivenza e la qualità di vita,
così come per una diagnosi più accurata del carcinoma vescicole.
CLAssIFICAzIOnE DEL CARCInOMA
DELLE ALtE VIE EsCREtRICI
Le lesioni paraneoplastiche e neoplastiche delle vie alte urinarie sono
le stesse di quelle considerate per il
carcinoma vescicale12.
Morfologicamente si differenziano
in forme piatte (es. CIS), papillare
e solide; istologicamente la varietà
più frequente è rappresentata dal
carcinoma uroteliale (oltre il 90% dei
casi), più raro è il carcinoma squamoso (meno dell’8% dei casi), rarissimi sono l’adenocarcinoma ed il
carcinoma anaplastico. Per quanto
riguarda il grado di differenziazione
delle cellule è sovrapponibile a quello dei carcinomi vescicali:
GX Il grado di differenziazione non
può essere accertato
G1 Ben differenziato
G2 Moderatamente differenziato
G3 Scarsamente differenziato
G4 Indifferenziato
Invece la diagnosi risulta essere
meno agevole rispetto a quella della neoplasie vescicali in quanto la
difficoltà d’accesso diretto (endoscopica) alla lesione preclude generalmente la possibilità di ottenere
l’esame istologico in fase preoperatoria. Pertanto la diagnosi è, nella
maggior parte dei casi di tipo radio92
logica anche se la biopsia con spazzola (brushing) e la recente introduzione dell’ureteroscopia forniscono
un valido aiuto nella definizione diagnostica soprattutto nei casi dubbi.
L’iter diagnostico iniziale comprende:
esame clinico, esami ematobiochimici e dell’urine, citologia urinaria in
tre campioni; seguito da valutazione
strumentale con urografia, ecografia,
TC e/o RMN dell’addome. A completamento o in caso di casi dubbi si
può procedere con ureteropielografia
ascendente o per cutanea, biopsia
con spazzola, cistoscopia o ureteroscopia.
Una volta posta diagnosi istologica
di neoplasia ureterale è importante
dal punto di vista prognostico e /o
terapeutico definirne l’estensione
locale e a distanza. Il sistema di stadiazione più comunemente impiegato è il TNM22:
t
TX
T0
Tis
tumore primitivo
L’estensione locale del tumore
primitivo non può essere definita
Non sono presenti segni del tumore primitivo
Carcinoma in situ (tumore intraepiteliale piatto)
T1
T2
T3
T4
n
NX
N0
N1
N2
N3
Tumore che invade il connettivo sottoepiteliale
Tumore che invade la muscolatura
Tumore che invade il grasso
periureterale o peripielico o il
parenchima renale
Tumore che invade gli organi
adiacenti o, attraverso il rene,
il grasso perirenale.
Linfonodi regionali
Linfonodi regionali non valutabili
Linfonodi regionali liberi da metastasi
Metastasi in un solo linfonodo regionale della dimensione
massima di 2 cm
Metastasi in uno o più linfonodi
regionali delle dimensioni comprese tra 2 e 5 cm
Metastasi in un linfonodo della
dimensione massima superiore
di 5 cm
M Metastasi a distanza
MX Metastasi a distanza non accertabili
M0 Metastasi a distanza assenti
M1 Metastasi a distanza presenti
Gruppo di stadiazione AjCC
Stage 0a
Ta, N0, M0
Stage 0is
Tis, N0, M0
Stage I
T1, N0, M0
Stage II
T2, N0, M0
Stage III
T3, N0, M0
Stage IV
T4, N0, M0
Any T, N1, M0
Any T, N2, M0
Any T, N3, M0
Any T, Any N, M1
Lo stadio ed il grado istologico di
malignità rappresentano i principali parametri prognostici per i tumori
delle vie urinarie superiori19.
Per quanto riguarda lo stadio la sopravvivenza a 5 anni varia dal 60 al
90% per i Ta, al 40-50% per i T1,
al 20% per i T3; nei tumori metastatici le percentuali sono prossime
allo zero.
Anche il grading è strettamente correlato con la sopravvivena a 5 anni
che infatti risulta essere del 55% per
le forme ben differenziate, del 15%
per le forme scarsamente differenziate.
Pertanto si può suddividere i soggetti affetti da carcinoma delle alte vie
escretrici nelle seguenti classi prognostiche (UICC/AJCC 2002)23:
a prognosi favorevole: neoplasie T0,
Tis, T1 (stadio 0-I) con una sopravvivenza a 10 anni dell’80-100%
a prognosi non favorevole: neoplasie
T2 e T3 (stadio II-III) con una sopravvivenza a 10 anni del 40-60%
a prognosi sfavorevole: neoplasie T4
(stadio IV) con una sopravvivenza a 5
anni inferiore del 5%.
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I Tumori del Rene
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tERAPIA DEL CARCInOMA UROtELIALE
DELLA VEsCICA E DELLE VIE EsCREtRICI
La scelta del trattamento più appropriato per il carcinoma uroteliale è subordinata alla considerazione di diversi fattori: la sede in cui
si è formato il tumore, lo stadio del
tumore, il grado di differenziazio-
ne, la velocità con la quale il tumore cresce o recidiva dopo precedenti trattamenti (soprattutto nel
caso delle forme superficiali) e le
condizioni di salute generale del
paziente.
nEOPLAsIA UROtELIALE VEsCICALE
nEOPLAsIA sUPERFICIALE
O nOn-MUsCOLO InVAsIVA
(stADIO tIs, tA, t1)
Trattamento chirurgico locale
In presenza di un tumore uroteliale
superficiale (Tis, Ta, T1) il trattamento primariamente indicato è la resezione endoscopica trans-uretrale
(TUR). La resezione endoscopica ha
un intento stadiativo, diagnostico e
terapeutico. Tale manovra viene condotta in anestesia loco-regionale e si
propone l’asportazione della porzione esofitica del tumore, della sua base di impianto e dei margini circostanti la base di impianto. Affinché
l’intento stadiante della resezione sia
garantito, occorre che nel tessuto resecato in corrispondenza della base
di impianto sia contenuto del tessuto muscolare istologicamente analizzabile. Le resezioni incomplete (con
conseguente rischio di sotto-stadiazione del tumore) sono frequenti.
Una seconda resezione (re-TUR),
eseguita a 6 settimane dalla prima,
è raccomandata in caso di prima resezione non completa, in assenza di
tonaca muscolare nei campioni della prima resezione e in presenza di
neoplasia T1 G3 alla prima resezione. Numerosi studi di re-TUR hanno riportato l’elevata incidenza (1798
45%) di malattia residua nella sede
della pregressa TUR ad una seconda resezione endoscopica eseguita entro 6 settimane dalla resezione
originaria1, 2, 3. In particolare, persistenza di malattia residua è del 3353% dei pazienti con neoplasia in
stadio T14-7.
La presenza di tumore residuo alla
re-TUR rappresenta un fattore prognostico negativo per rischio di recidiva e progressione8, 9. Ciò è particolarmente evidente nelle neoplasie
ad alto rischio (T1 ad alto grado) per
le quali la seconda TUR ha dimostrato un impatto sulla storia naturale aumentando l’intervallo libero da
malattia e riducendo il tasso di progressione. Uno studio del Memorial
Sloan Kettering Cancer Center ha
valutato 701 pazienti con neoplasia
T1 sottoposti a re-TUR. La tonaca
muscolare era presente in 421 campioni iniziali di questi 701 pazienti,
non era riconoscibile in 280. Alla seconda TUR si sono rilevate neoplasie T0 nel 22% dei casi e T1-2 nel
55% dei casi. La presenza di tonaca muscolare nel primo campione riduce il rischio di sotto-stadiazione.
Nel 40% dei pazienti con assenza di
tonaca muscolare nel primo prelievo, alla re-TUR sono state evidenziate neoplasie con stadio ≥ T2. Studi
recenti hanno riportato, nei pazienti sottoposti a re-TUR, un possibile
effetto terapeutico e un miglior controllo locale nei casi T1 con miglioramento della risposta a breve termine
al BCG.7. Herr ha valutato 352 pazienti con neoplasia T1, seguiti per
5 anni. I pazienti con assenza di neoplasia alla re-TUR avevano una sopravvivenza del 95%, mentre nei pazienti con residuo tumorale Ta-Tis la
sopravvivenza era del 75%. I pazienti con persistenza di tumore ≥ T1 alla
re-TUR avevano una sopravvivenza
a 5 anni inferiore al 20%. Gli autori
concludono affermando la necessità di sottoporre a una seconda TUR
i pazienti con neoplasia T1, anche
in presenza di tonaca muscolare nel
campione iniziale. Questo riduce in
modo significativo il rischio d sottostadiazione e permette un trattamento più appropriato per il paziente.
La resezione endoscopica può essere condotta previa instillazione
endovescicale di farmaci induttori
di fluorescenza (5-ALA, HAL). Questa tecnica permette di visualizzare
in maniera più evidente la presenza o
la persistenza di malattia, ma non è
ancora stata chiarita la sua reale influenza sulla storia naturale della malattia e il vantaggio (costo/beneficio)
a lungo termine.
Trattamento chemio-immunoterapico locale
Nonostante la completa eradicazione del tumore primitivo, circa due
terzi dei pazienti con neoplasia superficiale, sviluppano una recidiva locale entro 5 anni. La terapia endovescicale riduce questa percentuale.
L’EORTC, sulla base di una metaanalisi su 2.596 pazienti, ha sviluppato uno Scoring System da cui è
possibile valutare il grado di rischio
delle neoplasie superficiali. La definizione del grado di rischio permette di
definire l’indicazione all’effettuazione di ulteriori trattamenti post-TUR10.
Sulla base di questo sistema vengono definite tre categorie di rischio:
• Basso Rischio: lesione unica, Ta,
G1, diametro <3 cm (probabilità di
recidiva ad un anno 15%, probabilità di progressione a 5 anni: 0.8%)
• Rischio Intermedio: Ta-T1, G1-2,
diametro > 3 cm (probabilità di recidiva ad un anno 24-38%, probabilità di progressione a 5 anni: 6%)
• Alto rischio: multifocalità, alto tasso di recidiva, stadio T1, grado G3,
Tis (probabilità di recidiva ad un
anno 61%, probabilità di progressione a 5 anni: 30%)
La concomitante presenza di un CIS
incrementa il rischio di progressione dal 29% al 74% a 5 anni e una
neoplasia recidiva/residua alla prima valutazione cistoscopica a 3 mesi dalla TUR incrementa il rischio di
progressione dall’8.7% al 25.6% a
5 anni11, 12.
Già nelle lesioni a basso rischio è indicato un trattamento chemioterapico endovescicale.
Il trattamento endovescicale agisce
a diretto contatto con la mucosa vescicale e previene l’impianto di cellule tumorali nella regione irritata dal
trattamento chirurgico. Secondo numerosi studi la chemioterapia endovescicale si prefigge:
• completamento dell’eradicazione della neoplasia effettuata con
la TUR
• allungamento dell’intervallo libero
tra TUR e recidive
• prevenzione della progressione per
stadio e grado della malattia.
Gli svantaggi di tale trattamento sono imputabili soprattutto alla tossicità locale e alla tossicità sistemica
99
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
dovuta alla quota di farmaco che entra in circolo.
Il trattamento chemioterapico endovescicale può essere effettuato
immediatamente dopo la chirurgica locale o entro 24 ore. Una meta-analisi, su 7 studi randomizzati
per un totale di 1.476 pazienti, seguiti per un follow-up mediano di
3.4 anni, pubblicata da Sylvester RJ
nel 200413, mostra che la chemioterapia endovescicale riduce il tasso di recidiva dell’11.7%, passando
dal 48.4% dopo sola TUR, al 36.7%
dopo una singola dose di chemioterapia endovescicale. Tale risultato è
confermato in caso di neoplasia Ta
e T1 con lesione singola. In presenza di lesioni multiple, gli autori concludono che questo trattamento potrebbe non essere adeguato. Una
più recente meta-analisi di due studi
riporta, dopo un singolo trattamento
con mitomicina C, una riduzione del
tasso di recidiva del 17% rispetto alla sola TUR14.
Pur non esistendo accordo unanime
sullo schema di trattamento ideale,
la maggior parte degli autori concorda sul fatto che il trattamento precoce è preferibile a quello tardivo15. Il
maggiore beneficio è atteso quando
l’instillazione è effettuata entro le prime 6 ore dalla TUR16-18.
Il vantaggio della singola instillazione precoce si manifesta sostanzialmente durante i primi 24 mesi dalla
TUR13. Il tiotepa è stato il primo farmaco utilizzato, ma a causa del basso peso molecolare, si verifica un significativo assorbimento sistemico
che determina mielosoppressione
in oltre il 50% dei casi. La mitomicina C è il farmaco più frequentemente usato negli USA con buona tollerabilità. La mitomicina C è utilizzata
alla dose di 40 mg che rimangono
100
in vescica per 45 minuti19. La doxorubicina determina un’alta incidenza
di contrazioni vescicali. L’epirubicina non è disponibile negli USA ma
è molto utilizzata in Europa (20). Dai
dati degli studi pubblicati, non si è
potuto documentare la superiorità di
un farmaco rispetto ad un altro: Mitomicina C, Epirubicina e doxorubicina hanno entrambe riportato un beneficio netto rispetto alla sola TUR21.
Recentemente sono stati utilizzati
anche gemcitabina e docetaxel. La
somministrazione di questi ultimi è
ben tollerata, con minima induzione
di cistite e scarso assorbimento sistemico22.
Per i pazienti a rischio intermedio
e alto, si ritiene insufficiente l’instillazione singola precoce e si raccomanda un trattamento adiuvante addizionale.
Mentre l’effetto favorevole della chemioterapia locale nella riduzione delle recidive post-TUR è confermato
da almeno 2 meta-analisi23, 24, una
meta-analisi dell’EORTC e del Medical Research Council ha dimostrato
che la chemioterapia adiuvante non
è in grado di influenzare la progressione della malattia25. Un recente
studio randomizzato conclude che la
chemioterapia endovescicale postoperatoria con epirubicina non aggiunge vantaggi a pazienti successivamente trattati con BCG26.
Nei pazienti a rischio intermedio, il
rischio di recidiva è del 50%, mentre solo nell’1,8% vi è progressione a
malattia muscolo-invasiva27; pertanto
la scelta fra l’utilizzo di chemioterapici o del BCG va fatta considerando
la maggiore efficacia del BCG a fronte di una maggiore tossicità.
Rimane estremamente controverso
lo schema di somministrazione della chemioterapia adiuvante (quan-
te instillazioni complessive e con
quale cadenza, per quanto tempo
proseguirla). Alcune evidenze cliniche consigliano un mantenimento a
lungo termine (comunque non oltre
i 6-12 mesi) ma la scheda di somministrazione, così come il farmaco
ideale per la chemioterapia addizionale, rimangono ancora del tutto da
definire28-30.
Lo studio pubblicato da Tolley DA
nel 199631 ha randomizzato 502 pazienti post-TUR a nessuna ulteriore terapia, una istillazione di mitomicina C immediatamente post-TUR,
una istillazione di Mitomicina C immediatamente post-operatoria e istillazioni successive ogni 3 mesi per un
anno. Gli autori hanno concluso che
una singola istillazione di Mitomicina C riduce il rischio di recidiva locale del 50% ma nessun vantaggio ulteriore deriva da istillazioni ripetute.
Uno studio prospettico randomizzato mostra a 3 anni un superiore intervallo libero da recidiva per pazienti
sottoposti a TUR ripetute rispetto a
pazienti trattati con chemioterapia
endovescicale32.
Nei pazienti ad alto rischio è raccomandabile ricorrere alla immunoterapia adiuvante con BCG. Nei pazienti
con neoplasia in stadio T1, tuttavia,
può essere considerata l’opportunità di una cistectomia radicale. Tale trattamento è indicato anche per
tumori con elevata componente in
situ e neoplasie con frequenti recidive. Una miglior sopravvivenza è
garantita da un timing corretto della cistectomia33, 34. La sopravvivenza dei pazienti (con tumori T1, Tis)
sottoposti precocemente a cistectomia, è migliore dei pazienti sottoposti a cistectomia tardivamente35.
Una tempestiva cistectomia riduce
la mortalità e la morbidità peri-ope-
ratorie, migliora le possibilità di una
chirurgia adeguata, permette di scegliere tra una neovescica ortotopica
o una diversione urinaria36, 37.
Fallimenti dopo chemioterapia
endovescicale
In questi casi è consigliabile il ricorso
al trattamento alternativo con BCG
dato che pazienti non rispondenti alla chemioterapia possono rispondere alla immunoterapia38.
Immunoterapia endovescicale
con BCG
Il BCG è il più comune agente immunomodulatore utilizzato nelle neoplasie superficiali. Quattro meta-analisi hanno documentato la
superiorità della profilassi con BCG
rispetto alla sola TUR o alla TUR seguita dalla chemioterapia adiuvante
nella prevenzione delle recidive38-42 e
tre meta-analisi43-45 hanno documentato l’efficacia del BCG nel prevenire o ritardare la progressione della malattia. La meta-analisi su 4863
pazienti da 24 studi43, mostra una riduzione del 27% del rischio di progressione per pazienti trattati con
BCG ad un follow-up di 2.5 anni.
La durata mediana della remissione
completa varia dai 2 ai 4 anni. L’utilizzo del BCG appare particolarmente efficace in forme più aggressive
ed è diventato il trattamento di scelta nel CIS.
Lo schema ottimale di somministrazione del BCG prevede un mantenimento a lungo termine. Infatti, solo
gli studi con mantenimento hanno
potuto registrare un beneficio nella
riduzione del rischio di progressione.
In ogni caso, un mantenimento della durata di almeno 12 mesi è necessario46, 47. Nello studio SWOG 8507,
tuttavia, che valutava una terapia di
101
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
mantenimento con BCG verso la sola induzione, solo il 16% ha completato l’intero trattamento di mantenimento previsto e il 25% dei pazienti
in questo gruppo ha sperimentato
tossicità di grado ≥ 346. Allo scopo di
identificare la dose ottimale di BCG,
il gruppo CUETO48 ha condotto uno
studio multicentrico randomizzato
che confrontvaa BCG a basse dosi (27 mg) verso BGC a dose ulteriormente ridotta (13 mg) verso Mitomicina C (30 mg). Le basse dosi di
BCG (27 mg) determinano un maggiore intervallo dalla recidiva e sono
più efficaci della Mitomicina C (30
mg), con una buona tollerabilità. Per
quanto riguarda le neoplasie in situ,
numerosi studi hanno documentato
percentuali di risposte complete del
70-75% con due cicli di induzione.
Più del 50% dei pazienti con risposta completa, rimane libero da malattia per più di 5 anni con una significativa riduzione della necessità di
cistectomia49, 50, 46.
Fallimenti dopo BCG
endovescicale
Si considerano fallimenti del trattamento con BCG i casi con:
• documentazione istologica di una
progressione per stadio verso una
forma invasiva
• persistenza di una neoplasia non
muscolo invasiva ad alto grado a 3
che a 6 mesi dal termine del ciclo
di induzione.
• ogni caso di peggioramento dei
fattori prognostici in corso di trattamento, quali riduzione dell’intervallo libero tra le recidive, incremento di stadio o di grado,
comparsa ex novo di CIS indipendentemente dalla risposta iniziale.
Nei pazienti con neoplasia persistente a 3 mesi è dimostrato che un ci102
clo addizionale di BCG è in grado di
ottenere una risposta completa in oltre il 50% dei casi, sia in caso di neoplasie papillari che nei CIS51, 52.Esiste tuttavia un accordo generale che,
in considerazione dell’alto rischio di
progredire verso una forma muscolo invasiva, per i pazienti in fallimento dopo BCG, la cistectomia radicale precoce sia raccomandata53-55.
Diverse alternative sono state sviluppate per i pazienti non candidati a trattamento chirurgico. La valrubicina intravescicale, anche se non
è comunemente usata, è stata approvata dalla FDA per il trattamento
delle neoplasie Tis refrattarie a BCG
in pazienti che rifiutano la cistectomia. Studi di fase II con gemcitabina
hanno mostrato risultati promettenti. Mancano ancora dati di follow-up
a lungo termine56.
Anche l’IFN si è dimostrato attivo.
Uno studio recente riporta i risultati
di 490 pazienti trattati con BCG più
IFN. L’intervallo libero da malattia a 2
anni è del 57% nei pazienti non protrattati con BCG e del 42% nei pazienti ricaduti dopo BCG e ritrattati con basse dosi di BCG +IFN. In
questo gruppo di pazienti non è stato notato un incremento delle cistectomie o delle progressioni precoci di
malattia57.
Discussione e conclusioni
Le neoplasie superficiali della vescica, nella maggior parte dei casi, sono una patologia di lunga durata che
influenza per molti anni la qualità di
vita del paziente. Sono importanti fin da subito una corretta e completa informazione, una valutazione
adeguata della categoria di rischio e
una discussione con il paziente sulle
possibili opzioni terapeutiche.
Come illustrato precedentemente,
il ruolo della TUR, come trattamento primario, è definito con un elevato livello di evidenza. È confermato
anche il beneficio, in termini di riduzione delle recidive, ottenuto dalla
chemio-immunoterapia endovescicale. Il rischio di progressione sistemica delle neoplasie superficiali, rimane
tuttavia, ad oggi, l’evento vita-limitante. Tale dato è ancora poco valutato negli studi. Sono ancora aperte
importanti questioni riguardanti il tipo
di trattamento endo-vescicale, le dosi e la durata dello stesso. Nei molti studi pubblicati sono stati testa-
ti diversi farmaci e diversi regimi, ma
con estrema eterogeneità dei gruppi
di pazienti trattati per caratteristiche
e categorie di rischio. Questa mancanza di uniformità impedisce, anche nelle meta-analisi, conclusioni
più definitive. Molti nuovi farmaci necessitano di studi di fase III.
È importante informare il paziente
della necessità di controlli periodici (cistoscopia ogni 3 mesi) e delle
possibilità di ulteriori successivi trattamenti. In alternativa, la cistectomia rimane un’opzione valida di trattamento.
Figura 1: Algoritmo 1.
Neoplasia vescicale superficiale
TUR e re-TUR
Basso rischio
Rischio intermedio
Alto rischio
Insitllazione
immediata di
chemioterapia
endovesciale
Cistoscopia periodica
Chemioterapia
endovescicale
per 6-12 mesi o
Terapia con BCG
RECIDIVA
Cistoscopia periodica
RECIDIVA
BCG
Cistoscopia periodica
RECIDIVA
CISTECTOMIA
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109
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
nEOPLAsIA MUsCOLOInFILtRAntE (stADIO t2-t4,
n0/n+, M0)
Il trattamento primario delle neoplasie vescicali muscolo infiltranti (Stadio T2-T4a M0) è la chirurgia. La
cistectomia radicale è la terapia chirurgica più frequentemente attuata, anche se in pazienti selezionati
è possibile attuare strategie di conservazione della vescica. Nonostante l’intento curativo, circa il 50% dei
pazienti sviluppa metastasi a distanza dopo la chirurgia. L’aggiunta di
un trattamento chemioterapico peri-operatorio ha lo scopo di eradicare le metastasi occulte e prevenire le
recidive. Dati recenti emergono dagli studi pubblicati negli ultimi anni.
Cistectomia
Il trattamento chirurgico radicale con
cistectomia e linfadenectomia pelvica1 permette un eccellente controllo locale e può essere considerato
potenzialmente curativo. L’intervento chirurgico consiste nella rimozione in blocco della vescica, delle vescichette seminali, della prostata,
negli uomini; dell’utero, delle ovaie
e dell’uretra nelle donne. La sopravvivenza a 5 anni è intorno al 50%2.
Nonostante il miglioramento delle
tecniche chirurgiche, negli ultimi anni non è stato ottenuto alcun guadagno di sopravvivenza con la sola chirurgia. Nel confronto di una serie di
pazienti operati prima e dopo il 1985,
emerge una sopravvivenza a 5 anni nei contemporanei verso gli storici del 67% vs 60% per i pT2, del
35% vs 33% per i pT3 e del 27% vs
21% per pT4. la percentuale di pazienti che hanno sviluppato successivamente metastasi a distanza va
dal 20% per i pT2 al 90% per i pT43.
Le percentuali di complicanze legate
110
all’intervento vanno dal 17% al 32%
con una mortalità peri-operatoria
dell’1-2%. Le cause più frequenti di
morte peri-operatoria sono le sepsi e
le complicanza cardiovascolari4. Dopo la cistectomia radicale, la vescica
può essere sostituita da una diversione urinaria con connessione degli
ureteri al condotto intestinale o alla
cute. Tale procedura implica la presenza di un drenaggio esterno con
sacchetto che raccoglie l’urina. In
alternativa è stata sviluppata la costruzione di un resevoir interno continente usando un tratto di ileo o il
segmento ileo-cecale. Tale resevoir
può essere “attaccato” alla parete
addominale o abboccato all’uretra.
Il paziente può cateterizzarsi autonomamente o urinare nella posizione
normale. Attualmente è ampiamente
diffusa la pratica di ricostruzione della vescica con neovescica ortotopica, con miglioramento della qualità
di vita del paziente5. Tale procedura porta ad una buona accettabilità
da parte del paziente, con una continenza dell’85-90%. Le procedure
nerve-sparing permettono di mantenere una normale attività sessuale
nel 30-60% dei pazienti6. Recentemente sono stati pubblicati dati anche sulla possibilità di una chirurgia
con risparmio totale o parziale della prostata7. Manca tuttavia uno studio randomizzato che metta a confronto cistectomia radicale versus
cistectomia “prostate sparing”. Un
tumore prostatico misconosciuto
pre-operatoriamente è presente nel
23-54% dei pazienti cistectomizzati. Fino al 29% di queste neoplasie
prostatiche possono essere clinicamente significative e recidivare localmente o persino a distanza nel caso
di una eventuale cistectomia “prostate sparing”8-10. Un’infiltrazione di
neoplasia uroteliale a livello prosta-
tico è stata inoltre rilevata nel 33%
dei pazienti sottoposti a cistoprostatectomia radicale11. L’uretra viene
analizzata in breve tratto. L’asportazione totale dell’uretra trova indicazione nel caso di margini di resezione positivi, in caso di neoplasia del
collo vescicale, con coinvolgimento
dell’uretra o infiltrazione prostatica.
La cistectomia laparoscopica è una
tecnica ormai consolidata e in alcuni
centri di riferimento di routinaria esecuzione sia nell’uomo che nella donna. La cistectomia e la successiva
derivazione urinaria possono essere “hand-assisted”, “robot assisted”
o entrambe12, 13. A tutt’oggi la maggior parte degli operatori soprattutto nella fase ricostruttiva preferisce
un approccio “open”. Attualmente
nessuno studio presente in letteratura ha dimostrato un miglioramento
della qualità di vita e soprattutto un
aumento della sopravvivenza specifica libera da malattia nei pazienti sottoposti a cistectomia radicale
laparoscopica. Un ritardo nell’esecuzione della cistectomia di circa
90 giorni dalla prima diagnosi causa un significativo incremento del rischio di propagazione extravescicale
della malattia (81 vs 52%). Il ritardo
nell’esecuzione della cistectomia
non influenza solo l’esito dell’intervento ma anche il tipo di diversione
urinaria. In una neoplasia uroteliale
confinata alla vescica il tempo medio
intercorrente dalla prima diagnosi alla cistectomia è di 12.2 mesi nei pazienti in cui è stata eseguita una derivazione ortotopica continente e di
19.1 mesi nei pazienti con condotto
ileale non ortotopico non continente. Questo aspetto è particolarmente significativo per i pazienti che mostrano una neoplasia invasiva della
vescica organo-confinata14, 15. Una
differenza in termini di mortalità post
intervento, di incidenza delle complicanze e di sopravvivenza, è determinata dall’abilità del chirurgo che
effettua l’intervento16, 17. Il PS è l’età
del paziente sono fattori che influenzano non solo il trattamento primario
del tumore ma anche la scelta della
diversione da utilizzare. La maggior
parte degli studi riportano a 5 anni
una sopravvivenza del 60-75% per
i tumori in stadio T2 e del 20-40%
per i tumori in stadio T3-4. La presenza di margini liberi da malattia è
indicatore di miglior sopravvivenza.
tAbELLA 1: tERAPIA ADIUVAntE E nEOADIUVAntE
terapia neoadiuvante
Vantaggi
Svantaggi
terapia adiuvante
Vantaggi
Svantaggi
Valutazione della risposta Tossicità pre-chirurgia
indicazioni guidate da
una corretta stadiazione
Possibili ritardi nella
somministrazione per effetti
collaterali post-chirurgici
Trattamento precoce
delle metastasi occulte
Ritardato trattamento locale
nei tumori chemio-resistenti
Trend positivo in
alcuni studi
Vantaggio non statisticamente
significativo
Aumento del controllo
locale di malattia
Rischio di una non corretta
stadiazione
Vantaggio in
sopravvivenza dagli studi
randomizzati
111
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Circa il 15% dei pazienti trattati con
chirurgia radicale, sviluppa metastasi a distanza entro 6-12 mesi dalla
chirurgia. Tale dato suggerisce la necessità di trattamenti chemioterapici anche per pazienti con neoplasie
confinate alla vescica e linfonodi negativi18 (Tabella 1).
ruolo della linfadenectomia
Le neoplasie uroteliali hanno una caratteristica prima diffusione per via
linfatica con interessamento dei linfonodi regionali. Il 25% dei pazienti con neoplasia T1-T4 sottoposti a
chirurgia risultano avere metastasi
linfonodali. Il ruolo della linfadenectomia è frequentemente dibattuto. I
dati raccolti da Stein JP et al.19-21 valutano i risultati di una linfadenectomia pelvica estesa (che include una
dissezione linfonodale dalla mesenterica inferiore ai linfonodi inguinali
bilaterali). Un maggior numero di linfonodi campionati permette una più
corretta stadiazione e sembra portare ad un beneficio in termini di sopravvivenza. Questi dati erano stati
anticipati da Herr22 che aveva documentato un aumento in sopravvivenza nei pazienti con più di 10 linfonodi asportati. Attualmente la maggior
parte dei chirurghi si orienta verso
una linfadenectomia estesa. Tali dati
sono stati confermati anche da una
revisione della letteratura pubblicata
da Karl A. nel 200923.
Conservazione della vescica
Il vantaggio della preservazione della vescica include la necessità di una
chirurgia minore, la assenza di diversione urinaria e una normale vita
sessuale con un netto miglioramento
della qualità di vita del paziente. La
combinazione di chemioterapia neoadiuvante e radioterapia permette
una preservazione d’organo in circa
112
il 40% dei pazienti con una sopravvivenza a 5 anni dal 42 al 63%24. I fattori prognostici favorevoli alla preservazione della vescica sono: tumori di
piccole dimensioni, assenza di idronefrosi, istologia papillare, TUR completa e risposta completa alla terapia
di induzione. Uno studio su 87 pazienti con tumore in stadio T2-T4a,
trattati con chemioterapia (MVAC per
3 cicli) seguita da TUR o cistectomia
parziale o cistectomia totale, ha permesso una conservazione dell’organo nel 57% dei pazienti del gruppo
trattato con TUR, con una sopravvivenza a 5 anni superiore al 60%25.
In un altro studio con 111 pazienti
trattati con MVAC in neoadiuvante,
la sopravvivenza a 10 anni per i pazienti sottoposti a TUR o a cistectomia parziale è risultata del 74% con
una conservazione della vescica nel
58% dei pazienti26. Altri studi che
hanno utilizzato trattamenti combinati chemio-radioterapici e TUR,
hanno confermato un buon tasso di
sopravvivenza a lungo termine con
preservazione d’organo27-29. La conservazione della vescica è fattibile, ma la validità di questo approccio deve essere confermata da studi
randomizzati con un numero adeguato di pazienti.
La preservazione della vescica richiede una stretta cooperazione
multidisciplinare e una buona compliance da parte del paziente. Anche
se la risposta al trattamento è stata
completa, la vescica rimane una sede potenziale di recidiva. Tali pazienti necessitano quindi di una stretta
sorveglianza e di ripetute cistectomie di controllo.
Terapia neoadiuvante
La chemioterapia neoadiuvante ha
diversi vantaggi: può eradicare precocemente le metastasi occulte che
sono la prima causa di fallimento della chirurgia, è meglio tollerata
dal paziente e permette di valutare la
chemio-responsività della malattia30.
Nella Tabella 1 sono elencati i principali studi randomizzati di chemioterapia neoadiuvante. La maggior parte di questi studi non ha mostrato
vantaggi in termini di sopravvivenza ma questo dato va correlato alla presenza di un campione inadeguato di pazienti, l’utilizzo di una
chemioterapia sub-ottimale (cisplatino in mono-terapia) e, in alcuni casi, la chiusura prematura dello studio o la mancanza di un adeguato
follow-up. Più recentemente i risultati di studi randomizzati ben disegnati e la pubblicazione di meta-analisi,
hanno spostato l’attenzione in favore
della terapia neoadiuvante. Lo schema MVAC (methotrexate, adriamicina, cisplatino e vinblastina), introdotto nel 1985, è stato il primo schema
terapeutico utilizzato con succes-
so nella neoplasia vescicale metastatica31. La percentuale di risposte
raggiunte arrivava al 72% con 36%
di risposte complete. Per tale motivo, questo schema è stato il primo
ad essere utilizzato in fase neoadiuvante32. Lo studio con numero maggiore di pazienti è stato condotto
dall’EORTC/MRC33 in questo studio
976 pazienti, provenenti da 106 centri, furono randomizzati tra chemioterapia con schema CMV (Cisplatino, Metotrexate e Vinblastina) per 3
cicli, 491 pazienti, verso sola chirurgica con o senza associazione di radioterapia (485 pazienti). L’obiettivo dello studio era quello di ottenere
una differenza in sopravvivenza globale del 10%. Ad un follow-up mediano di tre anni, lo studio fu considerato negativo con una differenza
in OS non statisticamente significativa. I risultati aggiornati ad un follow-up mediano di 7 anni mostrano
un vantaggio in sopravvivenza (5%)
tAbELLA 2: CHEMIOtERAPIA nEOADIUVAntE
studi
n° pz
trattamento
neoadivuante
trattamento
locale
sopravvivenza
Spagna/CUETO
121
Cisplatino e Chirurgia
Chirurgia
Non differenza
EORTC/MCR
976
CMV e RT/Chirurgia
RT/Chirurgia
5,5% a favore di CMV
SWOG/Intergroup 307
MVAC e Chirurgia
Chirurgia
Trend a favore di MVAC
Italia/GUONE
206
MVAC e Chirurgia
Chirurgia
Non differenza
Italia/GISTV
171
MVEC e Chirurgia
Chirurgia
Non differenza
Nordic 1
325
Cisplatino e Doxorubicina
con Chirurgia e RT
Chirurgia e RT
Non differenza.
Benefico del 15%
negli stadi T3-T4a
Nordic 2
317
Cisplatino e Metohtrexate
con Chirurgia
Chirurgia
Non differenza
Abol-Enein
194
CarboplatinoMV e
Chirurgia
Beneficio in DFS per
CarboplatinoMV
113
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
statisticamente significativo per i pazienti trattati con chemioterapia. Non
è stata condotta una analisi di sottogruppo per valutare gli eventuali
effetti della radioterapia. Non esiste
un confronto diretto di efficacia tra lo
schema CMV e MVAC, quest’ultimo
tuttavia è considerato di maggiore
efficacia. Lo studio INT-008034 condotto negli USA conferma I vantaggi
della terapia neoadiuvante. Un totale di 317 pazienti (di cui 307 eleggibili), con neoplasia vescicale stadio T2-T4a, sono stati randomizzati
a 3 cicli di MVAC seguiti da chirurgia verso sola chirurgia. La sopravvivenza mediana è risultata di 77 mesi per i pazienti chemio-trattati, verso
46 mesi per i pazienti trattati con sola chirurgia (riduzione del rischio di
morte del 25%, HR 1.33). Il 38% dei
pazienti trattati con MVAC ha raggiunto una risposta completa; l’età
non è risultata un fattore che influenza la sopravvivenza. L’utilizzo della
chemioterapia non ha determinato
un aumento delle complicanze chirurgiche. Questo studio ha avuto un
tempo di arruolamento di 11 anni e
questo può aver creato dei bias nella selezione dei pazienti.
Lo studio italiano del GUONE ha arruolato 206 pazienti randomizzati
tra 4 cicli MVAC neoadiuvante e sola chirurgia. Lo studio ha fallito nel
dimostrare il vantaggio in sopravvivenza ipotizzato (15% a 3 anni) ed
è stato chiuso precocemente35. Anche un altro studio italiano con schema MVEC non ha mostrato vantaggi
di sopravvivenza36.
Nello studio Nordic I sono stati arruolati 325 pazienti randomizzati tra
chemioterapia con cisplatino e doxorubicina seguita da chirurgia e radioterapia verso chirurgia più radioterapia 40 Gy37. Tale studio ha
mostrato un piccolo vantaggio in
114
sopravvivenza solo nel sottogruppo di pazienti con neoplasia T3-4.
Lo studio Nordic II ha arruolato 317
pazienti trattati con tre cicli pre-operatorio con schema CM vs sola chirurgia38. L’analisi combinata dei due
studi mostra un vantaggio in termini
di sopravvivenza per i pazienti trattati con chemioterapia neoadiuvante
con una differenza in sopravvivenza
a 5 anni dal 56 al 48%39. Altri studi minori non hanno mostrato alcun
vantaggio. Con l’obiettivo di ridurre
la tossicità del cisplatino, Abol-Enein
et al. hanno valutato l’efficacia della
combinazione CaMV, utilizzando carboplatino in sostituzione del cisplatino40. Sono stati randomizzati 196 pazienti trattati con due cicli di terapia
neoadiuvante verso sola chirurgia.
La DFS a 5 anni è risultata del 62%
versus 42%, (P = 0.013), a favore del
braccio di chemioterapia.
È stato calcolato che per evidenziare un vantaggio del 10% in sopravvivenza occorrerebbe arruolare 1000
pazienti. Una prima meta-analisi di
2688 pazienti da 10 studi randomizzati, non ha tenuto conto dei dati
dello studio INT-008041. Tale analisi
ha confermato il beneficio di sopravvivenza del 5% con l’utilizzo di chemioterapia contente cisplatino e una
riduzione del rischio di morte del
13% (p = 0.016). Il beneficio in sopravvivenza non raggiunge la significatività statistica se vengono considerati gli studi con cisplatino in
mono terapia.
Una meta-analisi canadese 42 su
2605 pazienti, conferma un beneficio assoluto in sopravvivenza del
6.5% nei pazienti trattati con chemioterapia platinum-based e un miglioramento della sopravvivenza globale dal 50% al 56.5% (p=0.006).
La meta-analisi più autorevole, con
un totale di 3005 pazienti, risultan-
te dall’analisi di 11 studi (compreso
l’INT-0080) evidenzia un beneficio in
sopravvivenza dal 5%. (p = 0.003) e
una riduzione del 14% del rischio di
morte per malattia (43). Tale vantaggio si conferma in tutti i sottogruppi
di pazienti analizzati.
Tuttavia, nonostante questi risultati il trattamento neoadiuvante non è
ampiamente praticato. Le ragioni riconoscibili possono essere diverse:
molti urologi non ritengono che un
vantaggio del 5% giustifichi un trattamento preoperatorio, nei pazienti non chemio-responsivi un ritardo
nella chirurgica compromette le probabilità di sopravvivenza. In report
pubblicato nel 200744 risulta che dal
National Bladder Cancer Database solo lo 0.7% di pazienti con neoplasia vescicale localmente avanzata viene sottoposto a trattamento
neoadiuvante. La chemioterapia neoadiuvante è meglio tollerata dai
pazienti. Il trattamento adiuvante
post-operatorio è gravato da maggiori tossicità e ritardi di somministrazione.
Gli studi in corso devono porsi
l’obiettivo di valutare quale è il miglior schema terapeutico in termini
di efficacia e tollerabilità e i vantaggi
dall’aggiunta di nuovi farmaci.
Terapia adiuvante
Il ruolo della terapia adiuvante postcistectomia è ad oggi poco chiaro.
I vantaggi di tale trattamento sono:
l’assenza di ritardi nel trattamento chirurgico locale (soprattutto per
pazienti non chemio-responsivi) e
una corretta stadiazione patologica.
Gli svantaggi sono dati dalla assenza di un test di chemio-sensibilità in
vivo e la difficoltà a somministrare
la chemioterapia in un paziente appena operato di cistectomia. In pazienti con tumore pT3-4 e/o N+M0
la sopravvivenza a 5 anni dopo cistectomia radicale varia dal 25 al
35%. L’obiettivo della chemioterapia adiuvante è quello di aumentare la sopravvivenza e ritardare la recidiva. Il trattamento post-operatorio
ha il vantaggio di selezionare i pazienti con caratteristiche patologiche a più altro rischio e di non ritardare il trattamento chirurgico. Nella
tabella 2 vengono mostrati i risultati degli studi di chemioterapia adiuvante. Si tratta di piccoli studi con
numero di pazienti variabile da 49
a 108. Il primo studio comparativo
non randomizzato, riportato da Logothetis et al. 198845, valuta l’efficacia del trattamento con 5 cicli di terapia con schema CISCA (cisplatino,
ciclofosfamide, adriamicina) nei pazienti ad alto rischio. Si evidenzia un
vantaggio in DFS statisticamente significativo a 2 anni (79% vs 37% p
= 0.0012).
Nello studio di Skinner et al 1991
(46), i pazienti con neoplasia pT3T4a o N+ sono stati randomizzati tra
chemioterapia con cisplatino, ciclofosamide e doxorubicina (CAP) per
4 cicli, verso nessun trattamento. La
mediana di sopravvivenza e risultata di 4.3 anni nel braccio di chemioterapia adiuvante verso 2.4 anni per
il gruppo trattato con sola chirurgia
(p=0.006) con un vantaggio in DFS
(51% vs. 34%) e in sopravvivenza globale (44% vs. 39%, n.s.). Tale studio è stato fortemente criticato per la metodologia con cui è stato
condotto: solo 91 dei 498 pazienti risultati eleggibili, sono stati arruolati
e molti pazienti non hanno ricevuto
la terapia assegnata. Anche lo schema terapeutico utilizzato non è stato
considerato adeguato. Solo i pazienti con localizzazioni linfonodali hanno
mostrato un effettivo vantaggio dal
trattamento adiuvante.
115
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Stockle et al 199547 hanno randomizzato pazienti ad alto rischio a trattamento con 3 cicli di methotrexate,
viblastina, doxorubicina/epirubicina
verso sola chirurgia. Lo studio è stato chiuso precocemente dopo l’arruolamento di soli 49 pazienti perché
l’analisi ad interim aveva mostrato
un miglioramento significativo nella sopravvivenza libera da malattia
a 3 anni (63% vs 13%, p= 0.002).
Un aggiornamento recente dei dati di questo studio riporta vantaggi
statisticamente significativi in PFS
(44% vs 13%, p =0.002), DSS (disease specific servival = 42% vs 17%,
p = 0.007) e un trend per la sopravvivenza globale (27% vs 17%, p =
0.07)48. Un beneficio significativo è
stato visto nei pazienti N+ trattati
con chemioterapia adiuvante. Solo
il 27% dei pazienti trattati con chemioterapia è andato incontro a progressione di malattia verso il 92%
dei pazienti trattati con sola cistectomia. Anche quest’ultimo studio è
stato fortemente criticato dal punto
di vista metodologico. Altri studi che
non evidenziano vantaggi in sopravvivenza hanno arruolato un numero di pazienti non adeguato o hanno utilizzato trattamenti di efficacia
inferiore alle terapia platinum-based.
Studer et al. 199449 hanno trattato 37
di 77 pazienti con monoterapia con
cisplatino senza osservare differenze significative. Lo studio è stato
chiuso prematuramente per assenza di beneficio significativo ed è stato criticato anche per la selezione
dei pazienti (sono stati arruolati solo pazienti con malattia localizzata
ed esclusi tutti i pazienti N+). Bono
et al. 198950 in 83 pazienti N0 trattati con 4 cicli di terapia con schema
CM post-cistectomia vs sola cistectomia hanno trovano un vantaggio
non significativo del 10% in DFS a
18 mesi. Anche in questo studio la
numerosità del campione era troppo
bassa per evidenziare una differenza
significativa tra i due bracci. Lo studio randomizzato condotto da Freiha
et al 199651 su 50 pazienti con tumori pT3b-T4, N0/+, M0, utilizza 4
cicli di chemioterapia adiuvante con
schema CMV. I pazienti nel braccio
della sola chirurgia venivano trattati
con chemioterapia alla recidiva. Tale studio mostra una differenza statisticamente significativa in DFS per
il braccio sperimentale (mediana 37
versus 12 mesi, p = 0.01) e un trend
a favore per la sopravvivenza globa-
tAbELLA 3: CHEMIOtERAPIA ADIUVAntE
studi
n° pz
trattamento
sopravvivenza
Ct
nO Ct
Logothetis 1988
62
71
CISCA
Beneficio, non randomizzato
Skinner 1991
47
44
CAP
Benefico, pochi trattati
Freiha 1996
25
25
CMV
Beneficio in DFS
Otto 2001
55
53
MVEC
Non benefici
Studer 1994
40
37
Cisplatino
Non benefici
Bono 1995
48
35
CM
Non benefici per N0
Lehmann 2005
163
164
CM/MVEC
Non inferiorità per CM. Criticato.
116
le (mediana 63 vs 36 mesi p=0.32).
Questo studio è stato chiuso prematuramente.
Uno studio, pubblicato da Otto et
al. nel 200152, ha utilizzato lo schema MVEC per 4 cicli somministrandolo anche ai pazienti trattati con sola chirurgia che andavano incontro a
progressione. Anche tale studio non
ha mostrato differenze significative.
La meta-analisi, pubblicata nel 2005,
ha analizzato 491 paziento provenienti da 6 studi, tale campione rappresenta il 90% dei pazienti randomizzati e il 66% di quelli eleggibili.
Il potere della meta-analisi è limitato dal numero dei pazienti, dalla precoce interruzione degli studi e dalla
mancata somministrazione dei trattamenti previsti. In uno studio veniva utilizzato cisplatino in mono-terapia. Quattro studi sono stati interrotti
precocemente, 3 per risultati favorevoli alla analisi ad interim, il quarto
per riscontro di un beneficio inferiore a quello atteso. Solo due studi sono arrivati a fornire un follow-up
adeguato. I risultati mostrano una riduzione del rischio di morte del 25%
in favore del trattamento adiuvante
(p=0.02) con un beneficio assoluto
in sopravvivenza del 9% a tre anni53.
Anche se i dati che supportano la terapia adiuvante sono meno chiari di
quelli in favore del trattamento neoadiuvante, alcuni clinici sostengono
che non ci siano differenze di vantaggio tra i due trattamenti. Ad oggi
non ci sono dati si studi randomizzati
con confronto diretto. Uno studio di
Millikan et al 200154 ha randomizzato
140 pazienti tra 2 cicli di MVAC neoadiuvante seguiti da chirurgia e da 3
cicli di MVAC in adiuvante confrontati con chirurgia seguita da 5 cicli di
MVAC adiuvante. Non si è evidenziata alcuna differenza di sopravvivenza, il 97% dei pazienti nel braccio di
terapia neoadiuvante ha ricevuto almeno 2 cicli di terapia, solo il 77%
dei pazienti nel braccio di sola terapia adiuvante hanno ricevuto 2 cicli
di terapia. Il trattamento neoadiuvante ha permesso di ottenere più facilmente una radicalità chirurgica. Nello studio tuttavia non è stato previsto
un braccio di confronto con sola chirurgia.
Una meta-analisi pubblicata nel
2005 non mostra significativi vantaggi in sopravvivenza ma solo un
trend verso il miglioramento con HR
di 0.71 e P di 0.0155. Tale vantaggio
non è così evidente come quello risultante delle meta-analisi di chemioterapia neoadiuvante. Lo schema
MVAC è considerato un trattamento chemioterapico efficace nelle neoplasie uroteliali ma la presenza di
tossicità ad esso correlate limita il
suo utilizzo in fase pre-operatoria a
pazienti selezionati. Nei pazienti con
malattia metastatica la combinazione
cisplatino e gemcitabina risulta comparabile allo schema MVAC come risposta e sopravvivenza ma gravata da minori tossicità56. Al momento
non ci sono dati di studi randomizzati con l’utilizzo di questo schema
in peri-operatorio, ma il suo uso si
è diffuso ampiamente nella pratica
clinica quotidiana. Nel 2008 Dash A
et al.57 hanno pubblicato una analisi retrospettiva di 42 pazienti trattati in neoadiuvante con la combinazione cisplatino e gemcitabina tra il
Novembre 2000 e il Dicembre 2006
al Memorial Sloan-Kettering Cancer
Center. Il 26% dei pazienti ha ottenuto alla chirurgia una risposta completa e il trattamento si è dimostrato
fattibile. Tale dato conferma quello di
precedenti studi di fase II58. L’utilizzo
di platino in mono-terapia si è dimostrato inferiore come efficacia alle terapie di combinazione. Altri chemio117
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
terapici sono stati testati negli ultimi
anni. Lehmann et al nel 200559 hanno riportato i dati di uno studio randomizzato che confronta MVEC con
un regime meno tossico (CM). Un disegno di non inferiorità è stato scelto
per confrontare i due regimi terapeutici. I risultati dello studio mostrano
una mediana di TTP di 49.7 mesi per
i pazienti trattati con MVEC verso
43.4 mesi per i pazienti trattati con
CM. Gli autori concludono affermando che lo schema CM ha uguale efficacia e migliore tollerabilità rispetto allo schema MVEC. Questo studio
è stato pesantemente criticato (Matthew D. JCO 2005) in diversi punti:
il regime scelto di confronto (MVEC)
non è considerato lo standard di cura; i dati sull’uso del CM anche nella malattia avanzata sono lacunosi.
Inoltre nello studio di chemioterapia
neoadiuvante, lo schema CM non ha
mostrato vantaggi rispetto al cisplatino in monoterapia che è risultato
inefficacie nel trattamento neo-adiuvante. Solo il 71% dei 327 pazienti arruolati ha completato i tre cicli di
trattamento previsti e il 17% ha sospeso il trattamento per tossicità,
l’11% ha rifiutato il trattamento. La
mortalità correlata al trattamento è
stata dell’1%. Un terzo dei pazienti
eleggibili non è stato adeguatamente trattato. All’ASCO 2008 sono stati
presentati i risultati dello studio italiano che valuta lo schema Cisplatino e
Gemcitabina come terapia adiuvante. Lo studio ha arruolato 194 pazienti; a 32 mesi di follow-up, non
si sono evidenziate differenze in sopravvivenza globale e DFS.
La frequenza di complicanze chirurgiche varia a seconda degli studi. Alcuni autori riportano 1 complicanza
in quasi il 60% dei pazienti entro 90
giorni dalla chirurgia60. Circa 1/3 sono complicanze di grado 2-4 che ri118
chiedono ri-ospedalizzazione ed interventi medici. La cistectomia può
compromettere la funzionalità renale e rendere difficile l’uso del cisplatino adiuvante.
Il gruppo EORTC ha sviluppato uno
studio multicentrico randomizzato
che arruola pazienti con neoplasia
pT3-pT4 e/o N+, M0. I pazienti sono randomizzati a ricevere 4 cicli di
chemioterapia con schema MVAC o
4 cicli di MVAC ad alte dosi o 4 cicli
di Cispaltino e Gemcitabina, in adiuvante o alla ripresa di malattia. Sono
necessari 1344 pazienti per l’obiettivo dello studio che è quello di rilevare un aumento del 20% a 5 anni in
sopravvivenza globale. Un altro studio in corso, condotto dallo Spanish
Oncology Genito-Urinary Group (SOGUG), confronta 4 cicli di chemioterapia con cisplatino, gemcitabina e
paclitaxel verso sola chirurgia.
radioterapia (Tabella 4)
La radioterapia ha diverse possibilità di inserimento nel trattamento delle neoplasie vescicali. In particolare,
nei tumori muscolo infiltranti, la radioterapia viene utilizzata per i pazienti che non possono essere sottoposti a trattamento chirurgico. La
sola radioterapia, come trattamento
radicale raggiunge un controllo locale nettamente inferiore a quello ottenuto con la cistectomia, con una sopravvivenza a 5 anni del 25-30%61-63.
L’utilizzo della radioterapia come
trattamento adiuvante post-chirurgico, è ad oggi ancora molto dibattuto. Una delle principali ragioni è data
dal rischio di tossicità gastroenteriche legate al trattamento. Le casistiche pubblicante negli anni ’90 riportavano una percentuale di occlusione
intestinale del 37%. Uno studio prospettico, pubblicato negli stessi anni64, con l’utilizzo della radioterapia
tAbELLA 4: stUDI DI CHIRURGIA E RADIOtERAPIA ADIUVAntE
studi
n° pz
Dose
Mediana (Gy)
Recidiva
locale (%)
Os a 5 aa (%)
Ozsahin et al.
45
50
38 (17/45)
21
Maulard-Durdux et al.
26a
45
19 (5/26)
49
(T2, 60%; T3, 19%)
Catton et al
86b
35
34 (29/86)
43
(T3N0, 45%; N+, 15%)
Brookland and Richter
11
50
9 (1/11)
27
Cozad et al
9
50
11 (1/9)
44
Czito et al.
31
47
23 (7/31)
39
(67% nel trattamento combinato)
Craig et al
74
40
8 (6/74)
28
Chirurgia + Radioterapia
Chirurgia
Ozsahin et al.
81
65 (53/81)
33
Cozad et al.
17c
53 (9/17)
24
Brookland, Richter
11
45 (5/11)
17
30% in stadio T2. b27% in stadio T1 o T2.
a
c
Tutti in stadio ≥ T3.
iperfrazionata evidenza una percentuale di occlusioni intestinali del 5%
verso il 18% per i pazienti trattati con
radioterapia convenzionale. Le tecniche di radioterapia usate e la pianificazione del trattamento hanno avuto
sostanziali modificazioni negli ultimi
anni, con riscontro di una netta riduzione della quota di intestino irradiata
nel corso del trattamento. All’ASCO
del 2006 sono stati presentati i risultati di uno studio prospettico randomizzato multicentrico65 che ha utilizzato chemio-radioterapia adiuvante
post-cistectomia.
Negli ultimi anni, sono stati condotti diversi studi che valutano un trattamento multimodale per la neo-
plasia vescicale infiltrante: chirurgia
locale (TUR) seguita da chemioterapia adiuvante (a base di cisplatino), somministrata prima e dopo la
radioterapia esterna. Una delle ragioni per combinare il trattamento
chemio-radioterapico è la riduzione
della recidiva locale e la possibilità
di trattare localizzazioni linfonodali occulte. Il trattamento multimodale può permettere la possibilità della
conservazione della vescica in pazienti con malattia locale, a prezzo
di trattamento più prolungati. I dati
di sopravvivenza riportati dagli studi con trattamento trimodale e conservazione della vescica, si avvicinano a quelli riportati da Stein con la
119
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
sola cistectomia radicale66, 67.La casistica più numerosa, con 415 pazienti, è stata riportata dall’ Erlangen
group, con una mediana di followup di 60mesi. 89 pazienti si presentavano con neoplasia in stadio T1,
i restanti pazienti avevano un tumore muscolo-infiltrante. La sopravvivenza globale a 5 anni è risultata del
51%, con 75% di sopravvivenza per
tumori T1 e 45% per tumori ≥ T2. La
sopravvivenza con conservazione
della vescica è risultata del 42%68.
Lo studio, condotto da Sauer69, su
184 pazienti trattati con TUR seguita
da radioterapia (45-54 GY) e cisplatino o carboplatino concomitanti, ha
ottenuto una sopravvivenza a 5 anni
del 56%. Il 41% dei pazienti ha potuto conservare la vescica. Recentemente, lo stesso gruppo ha riportato i dati di uno studio su 112 pazienti
trattati con TUR seguita da cisplatino (20mg/m2/die) and 5-fluorouracile (600 mg/m2/die), con radioterapia.
Nel gruppo di pazienti con malattia
muscolo-inflitrante il controllo locale è stato del 51% a 5 anni. Il 61%
dei lungo-sopravviventi ha conservato la vescica70. Il Massachusetts General Hospital ha trattato una serie di
167 pazienti con TUR e chemio-radioterapia, con una sopravvivenza a
5 anni del 54% e una DSS del 63%.
Il 64% dei pazienti ha ottenuto una
riposta completa al trattamento71. Un
aggiornamento a 15 anni di questi
dati è stato presentato al Genitourinary Cancers Symposium del 200972,
con una sopravvivenza globale a 15
anni del 23% e una DSS del 61%.
Le recidive pelviche si sono verificate nel 12% dei pazienti. Lo stadio clinico T, la risposta completa alla terapia di induzione e la radioterapia
due volte al giorno, sono significativamente associati ad un miglioramento di sopravvivenza. L’uso del120
la chemioterapia neoadiuvante non
modifica la sopravvivenza. Non ci
sono state morti legate al trattamento e nessuna cistectomia dovuta a
tossicità da terapia. Gli autori concludono dicendo che la terapia combinata raggiunge una percentuale di
risposte complete e di preservazione dell’organo nei due terzi dei pazienti, con una sopravvivenza globale comparabile a quella della sola
cistectomia.
L’Università di Parigi, con la stessa
terapia di combinazione aveva ottenuto una OS del 63% a 5 anni con
una percentuale di risposte complete del 77% (Housset M et al. 1993).
Altri gruppi hanno avuto risultati simili73. In caso di recidiva di neoplasia
superficiale nell’organo conservato,
la sopravvivenza correlata alla malattia rimane dell’87% a 5 anni e non
sembra essere compromessa dalla necessità di successive TUR. Tuttavia, la probabilità di conservare la
vescica si riduce del 50%74. Analizzando i sottogruppi di pazienti che
possono beneficiare di un trattamento bladder-sparing, Miyanaga et al.75
concludono che la conservazione
dell’organo è una possibilità in presenza di tumori singoli T2-3, N0, M0
con dimensioni non superiori a 3 cm.
Tali dati derivano da uno studio retrospettivo su 70 pazienti.
Lo studio di Shipley WU76 non ha
mostrato vantaggi dall’aggiunta di
chemioterapia neoadiuvante precedente il trattamento concomitante
chemio-radioterapico. Blank et al.77
hanno recentemente pubblicato uno
studio che valuta l’efficacia della radioterapia esterna associata ad una
chirurgia limitata e a brachiterapia
per pazienti con tumore T1-3. Trentasette pazienti sono stati trattati con
cistectomia parziale, mentre i restanti 85 sono stati sottoposti ad una ci-
stotomia e brachiterapia. La sopravvivenza globale a 5 anni è risultata
del 73% con una sopravvivenza libera da recidiva del 69%. Un recente studio di fase III multicentrico non
ha confermato questi risultati e non
ha mostrato vantaggi con la radioterapia né in sopravvivenza globale,
né in sopravvivenza libera da malattia. Tale studio è stato tuttavia fortemente criticato per il lungo tempo
di arruolamento (11 anni), per l’alto
numero di centri coinvolti37, per non
aver utilizzato chemioterapia radiosensiblizzante78.
Discussione e conclusioni
Il trattamento ottimale per le neoplasie vescicali muscolo infiltranti
ha lo scopo di prevenire le recidive
locali, ridurre la probabilità di meta
statizzazione a distanza e migliorare la sopravvivenza. Dai dati emersi dalle revisioni il miglior approccio
è costituito da un intervento integrato, chemioterapia a base di cisplatino e adeguata chirurgia. I vantaggi e
la tollerabilità del trattamento neoadiuvante sono confermati. Per quello
che riguarda la terapia adiuvante, verosimilmente la sua efficacia si limita
ai pazienti senza residuo macroscopico di malattia e con limitato interessamento linfonodale. La chemioterapia adiuvante dovrebbe essere
somministrata entro 8-12 settimane
dalla chirurgia ma solo una minoranza di pazienti è in grado di rispettare
il timing e di completare il trattamento. Le ragioni sono uno scarso PS,
complicanze chirurgiche, ripresa ritardata dopo il trattamento, comorbidità maggiori, riduzione della funzionalità renale, età avanzata o rifiuto
del paziente. Nell’utilizzo in adiuvante di schemi come MVAC la mortalità correlata al trattamento arriva al
4%. Un trattamento multimodale,
con conservazione della vescica, va
prospettato solamente a pazienti selezionati. Le recenti analisi molecolari potranno indirizzare gli studi futuri per una miglio individualizzazione
del trattamento.
121
I Tumori del Rene
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129
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
MALAttIA MEtAstAtICA
Circa il 50% dei pazienti con neoplasia uroteliale della vescica sviluppano metastasi a distanza. La sopravvivenza di questi pazienti rimane
molto bassa. In particolare per quei
pazienti che hanno fallito la terapia
con cisplatino in prima linea.
Prima dell’era moderna, la mediana di sopravvivenza dei pazienti con
malattia metastatica era di circa 6
mesi1. Il cisplatino ed il methotrexate furono i primi farmaci a dimostrarsi attivi verso la malattia, ma i
primi studi di combinazione non hanno portato a benefici significativi in
sopravvivenza2. Il trattamento con
schema CMV (cisplatino, Methotrexate e ciclofosfamide), raggiungeva
una risposta del 56% e una mediana
di sopravvivenza di 8 mesi. Solo con
l’introduzione dello schema MVAC
a quattro farmaci, la mediana di sopravvivenza superò l’anno e si osservarono le prime risposte complete al trattamento3. Successivamente
due studi prospettici randomizzati
confermarono l’efficacia dello schema MVAC che divenne la terapia
standard nella malattia avanzata4, 5.
Anche se efficacie, questo trattamento è gravato da pesanti tossicità,
soprattutto in pazienti anziani e con
comorbidità. Le tossicità più significative sono quella renale, cardiologica ed ematologica con il 10% di
sepsi in pazienti neutropenici.
Per migliorare i dati di sopravvivenza
dello schema MAVC e la tollerabilità,
furono tentate due diverse strategie:
la prima con somministrazione dello stesso schema ogni due settimane con supporto dei fattori di crescita (high dose MVAC); la seconda con
testando nuovi farmaci come docetaxel e gemcitabina in combinazione con il cisplatino. L’MVAC ad alte
130
dosi non mostrò vantaggi in sopravvivenza mediana rispetto all’MVAC
tradizionale6 La combinazione di cisplatino e docetaxel si dimostrò inferiore allo schema MVAC7. Lo studio di fase III di confronto cisplatino
e gemcitabina (CG) con MVAC, mostrò una uguale efficacia in termini di RR (49% vs 46%), una mediana di sopravvivenza simile (14.8 vs
13.8 mesi).e una minore tossicità
per lo schema CG. Tali risultati furono confermati anche ad un follow-up
più lungo8, 9. A seguito di questo studio, nella pratica clinica lo schema
CG sostituì rapidamente lo schema
MVAC. Nei pazienti con alterata funzionalità renale, la possibilità di usare il cisplatino è limitata. Tre studi di
fase II hanno confrontato il cisplatino con il carboplatino riportando simili percentuali di RR10-12. Uno studio
di fase III dell’EORTC con MVAC verso carboplatino e paclitaxel è stato
chiuso precocemente per scarso accrual13 i risultati i sopravvivenza con
il carboplatino risultano inferiori rispetto alle combinazioni standard e
il suo uso non è promosso nella pratica clinica quotidiana. Altri schemi
di terapia con paclitaxel e ifosfamide sono stati testati solo in studi di
fase II.
Un recente studio di fase III dell’EORTC14,
ha confrontato la combinazione cisplatino e gemcitabina con gli stessi farmaci con l’aggiunta di paclitaxel (PCG). Lo studio ha arruolato più
di 600 pazienti dimostrando che lo
schema PCG migliora il tasso di risposte e aumenta di 2.9 mesi la mediana di sopravvivenza. Tuttavia il
disegno dello studio era stato pianificato per testare una differenza di 4
mesi in sopravvivenza globale e i risultati non sono significativi.
Numerosi farmaci sono stati testati in studi di seconda linea, dove il
tasso di risposte è molto basso e la
mediana di sopravvivenza modesta.
Ad oggi nessuno studio randomizzato di fase III evidenzia un vantaggio
in sopravvivenza della chemioterapia verso la sola terapia di supporto. Tra i diversi farmaci testati in fase
II, ifosfamide, topotecan, oxaliplatino non hanno mostrato una significativa attività15, 16.
I taxani hanno dimostrato una attività
modesta. In studio di fase II, 32 pazienti ricaduti dopo una prima linea
di terapia con cisplatino, sono stati
trattati con docetaxel trisettimanale.
Solo il 13% dei pazienti ha ottenuto una riposta parziale con una mediana di sopravvivenza di 9 mesi. La
mielosoppressione era frequente e il
60% ha necessitato di una riduzione di dose17.
Il paclitaxel settimanale è stato testato in 31 pazienti con il 10% di riposte parziali e una mediana di sopravvivenza di 7.2 mesi18.
La gemcitabina è stata studiata con
diverse dosi e schedule. Nei pazienti non pretrattati ha mostrato una
percentuale di risposte del 45%, in
seconda linea le percentuali di risposta variano dal 30 al 10%19. Partendo dai dati di uno studio di fase
II con la combinazione gemcitabina e paclitaxel (PG), è stato pianificato uno studio di fase III che confronta lo schema GP x 6 cicli verso
lo stesso trattamento proseguito fino a progressione. Lo studio è stato pianificato per mostrare una differenza di almento 9.1 mesi in DSS
(disease-specific survival) in favore
della terapia di mantenimento. Sono stati randomizzati 102 pazienti e
i risultati dello studio non mostrano
differenze significative né in sopravvivenza globale, né in PFS, né nella percentuale di risposte. I pazienti che hanno risposto alla prima linea
ed hanno avuto una buona durata
della risposta, sono quelli che beneficiano di una seconda linea20. Anche
il pemetrexed si è dimostrato attivo.
Paz-Ares et al.21 è il primo studio
pubblicato che testato una dose di
pemetrexed di 600 mg/m2, poi ridotta a 500 mg/m2 per tossicità. Il 29%
dei pazienti ha ottenuto una risposta e la tossicità è derivata soprattutto da una mancata supplementazione di vitamina B12 e folati. Un
successivo studio multicentrico della
Indiana University, utilizza pemetrexed in pazienti pretrattati, alla dose
di 500 mg/m2 con supplementazione di folati, vitamina B12 e steroide.
In 47 pazienti sono state osservate il
6.4% di riposte complete e il 21% di
risposte parziali. La mediana di sopravvivenza è di 9.8 mesi22. Un terzo
studio del Memorial Sloan-Kettering
Cancer Center (MSKCC) con caratteristiche simili è stato chiuso per
mancata evidenza di attività23.
La vinflunina ha dimostrato in vitro
attività contro le cellule tumorali uroteliali. Il primo studio in vivo ha utilizzato una dose di 350 mg/m2, con
una successiva riduzione a 320mg/
m2, la maggior parte dei pazienti ha
avuto una progressione di malattia
entro l’anno, con una percentuale di
riposte del 18%. La mediana di sopravvivenza è di 6.6 mesi24.
Uno studio di fase II su 120 pazienti, riporta una percentuale di risposte del 14.9% con una mediana di
durata della risposta di 6.8 mesi. La
tossicità più frequentemente riportata è quella midollare con il 59% di
neutropenie di grado 3-425.
Nell’utilizzo delle chemioterapie di
combinazione, anche in seconda linea si osserva una percentuale di risposte superiore alla monoterapia
ma tale dato non si traduce in un
miglioramento della sopravvivenza.
131
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Due studi con gemcitabina e paclitaxel in seconda linea mostrano risultati di non facile interpretazione. Nel
primo studio, trenta pazienti sono
stati trattati con cicli di terapia ogni
3 settimane o ogni 2 settimane26. La
percentuale di risposte è del 44%
con una mediana di sopravvivenza
superiore per la terapia trisettimanale. (13 vs 9 mesi). un secondo studio su 40 pazienti utilizza lo schema
bisettimanale con una sopravvivenza di 8-12 mesi e una neutropenia
di grado 3-4 nel 32% dei pazienti27.
I dati di mancata efficacia e pesante tossicità, riportati da questi studi,
non supportano l’uso in seconda linea di terapie di combinazione.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una maggior comprensione
della biologia del tumore che ha portato a testare i nuovi farmaci a bersaglio molecolare. L’EGFR e l’erb-B2
sono frequentemente iper-espressi nella neoplasia uroteliale avanzata. I primi studi con trastuzumab
non hanno mostrato alcuna efficacia, forse per assenza di amplificazione genica. Un successivo studio
con la combinazione gemcitabina,
paclitaxel, carboplatino e trastuzumab, ha riportato un RR del 73% in
32 pazienti HER-2–positivi, con risultati deludenti in sopravvivenza28.
All’ASCO 2007, sono stati presentati i risultati di tossicità di uno studio
di fase II randomizzato che ha testato la combinazione trastuzumab, cisplatino e gemcitabina in 37 pazienti con neoplasia avanzata. Non sono
ancora disponibili dati di efficacia29.
Il gefitinib, è stato utilizzato in combinazione con CG in 55 pazienti non
pretrattati, con un RR del 51% e una
mediana di sopravvivenza simile a
quella del solo cisplatino e gemcitabina30.
Recentemente uno studio del MSKCC
132
riporta dati di efficacia con sunitinib
in pazienti pretrattati31. Un secondo studio spagnolo conferma l’attività di questo farmaco in prima linea32. I risultati finali di questi studi
sono attesi. È in corso uno studio di
fase II randomizzato con il sunitinib
come terapia di mantenimenti dopo
una prima linea. L’erlotinib è stato testato in studi di fase II, anche come
trattamento neoadiuvante.
Altri studi sono in corso con sorafenib. Uno studio del MSKCC sta
valutando il bevacizumab, in combinazione con carboplatino e gemcitabina nei pazienti con malattia metastatica che non possono ricevere
il cisplatino. Il Cancer and Leukemia
Group B ha pianificato uno studio di
fase III che confronta CG più bevacizumab versus la stessa chemioterapia più placebo.
radioterapia palliativa
Le sedi più frequentemente coinvolte, nella malattia metastatica, sono
rappresentate dalle stazioni linfonodali addominali, dalle ossa, dai polmoni, dal fegato e dall’encefalo.
Il ruolo della radioterapia in questo
stadio di malattia è limitato al controllo della sintomatologia legata alla
localizzazione secondaria (soprattutto per le localizzazioni ossee e cerebrali). Gli schemi di trattamento
impiegati non differiscono da quelli impiegati nella palliazione di metastasi da altre neoplasie primitive.
Chirurgia della malattia residua
Alcuni studi retrospettivi di chirurgia
dopo ottenimento di una risposta
completa o parziale dopo chemioterapia hanno indicato che questa
strategia può contribuire ad incrementare la sopravvivenza libera da
malattia a lungo termine in pazienti
altamente selezionati33-35.
Conclusioni
La chemioterapia sistemica ha migliorato la qualità di vita e la sopravvivenza mediana senza però che
questa arrivi a superare i 12 mesi. La
percentuale di risposte in seconda linea è molto modesta. Gli studi clinici in corso possono aprire spiragli
promettenti, soprattutto con i nuovi farmaci. Tuttavia occorre ricordare
che spesso il principale ostacolo al-
la conduzione degli studi è lo scarso
arruolamento di pazienti negli stessi. A questo contribuisce la bassa
incidenza della patologia e la mancata informazione da parte di urologi e oncologi che entrano in contatto con questa patologia. La maggior
parte dei pazienti presenta inoltre un
età avanzata o comorbidità che non
consentono un loro arruolamento in
studi clinici.
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I Tumori del Rene
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I Tumori del Rene
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tERAPIA DEL CARCInOMA UROtELIALE
DELLE ALtE VIE EsCREtRICI
tRAttAMEntO CHIRURGICO
Trattamento chirurgico radicale
Il trattamento standard dei tumori
delle alte vie urinarie è la nefroureterectomia radicale che viene realizzata mediante incisione ipogastrica in
modo da permettere l’apertura della vescica, l’isolamento del meato
ureterale dal lato interessato e l’isolamento dell’uretere pelvico1. Una
seconda incisione dal lato lombare permette l’asportazione radicale
del rene, con il grasso perirenale e
la fascia del Gerota, e di tutto l’uretere, compreso il tratto intramurale.
La mancata asportazione dell’uretere in toto comporta un maggior rischio di recidive vescicali e di recidive tumorali nel moncone ureterale
lasciato in situ. La diffusione di cellule neoplastiche per esfoliazione può
essere già in atto al momento dell’intervento ed essere responsabile di
recidive a valle. La radicalità dell’intervento trova spiegazione nell’alta
frequenza di recidive nel moncone
ureterale residuo distale (20%), nella
multifocalità delle lesioni e nella relativamente bassa incidenza di interessamento controlaterale (2-5%). La
chirurgia radicale inoltre rende il follow-up meno complicato. Quando
una neoplasia, a partenza dalla pelvi renale, invade la vena renale o la
vena cava, è richiesta una procedura chirurgica più estesa con asportazione del trombo neoplastico e di un
tratto della vena cava. È opportuno
evitare lesioni lungo l’uretere, poiché
la desquamazione di cellule uroteliali tumorali, a livello microscopico, al
momento dell’intervento secondo la
teoria del “seeding” potrebbe provocare l’insorgenza di uroteliomi distal138
mente alla lesione primaria. La ripresa di malattia a livello vescicale dopo
chirurgia radicale si evidenzia nel 1924% dei casi.
Il miglioramento delle tecniche chirurgiche ha permesso una riduzione
della morbilità usando un approccio
laparoscopico, senza perdere in radicalità chirurgica2. Il numero di interventi eseguiti per via laparoscopica è aumentato molto negli ultimi
anni. Le indicazioni cliniche per l’approccio laparoscopico sono essenzialmente le stesse di quelle per la
nefroureterectomia radicale classica,
le controindicazioni relative sono la
presenza di tumori di grande volume
e multifocali. Le curve di sopravvivenza globale e libera da malattia dei
pazienti trattati laparoscopicamente
e tramite laparotomia sembrerebbero
comparabili. La porzione intravescicale dell’uretere deve essere rimossa
con una procedura separata.
Chirurgia conservativa
Il miglioramento delle tecniche endourologiche ha incoraggiato lo sviluppo di approcci conservativi nel
trattamento dei tumori delle alte vie
escretrici, come quello ureteroscopico e la resezione percutanea della neoplasia. Inizialmente la chirurgia
conservativa era riservata a quei pazienti con condizioni che escludevano categoricamente l’approccio radicale come la presenza di un solo
rene, di tumore bilaterale o di insufficienza renale. Vi è maggiore esperienza nella chirurgia conservativa
degli ureteri rispetto alla pelvi renale: le neoplasie che originano nella
porzione distale dell’uretere, di basso stadio e ben differenziate, sono,
infatti, le più suscettibili ad una chi-
rurgia conservativa. Al contrario per
tumori più aggressivi e interessanti la
pelvi renale il trattamento conservativo si è dimostrato essere un fattore prognostico negativo, la sopravvivenza a 5 anni in pazienti trattati
radicalmente e conservativamente
è del 49% e 23% rispettivamente3.
La terapia conservativa viene presa
in considerazione nelle forme monofocali ureterali distali, in quanto
la diffusione neoplastica retrograda ascendente è molto improbabile.
In alcuni centri, dopo chirurgia conservativa, viene lasciata in sede una
nefrotomia di minima, per consentire un trattamento topico chemio-immunoterapico. I risultati preliminari di
questa strategia terapeutica sono incoraggianti.
Nei pazienti, in cui l’escissione radicale della neoplasia può portare ad
uno stato di severa insufficienza renale (pazienti con rene singolo o con
decurtazione della funzionalità renale), possono essere effettuati trattamenti endoscopici con uguale efficacia4.Un approccio che risparmia il
rene può essere proposto in casi selezionati con tumori di basso grado,
localizzati e a partenza dall’uretere
distale, poichè le recidive e la multicentricità di questi tumori sono quasi sempre distali alla sede di origine.
L’intero uretere distale viene rimosso
con chirurgia a cielo aperto e il tratto mediano dell’uretere viene reimpiantato in vescica. Al contrario, lesioni dello stesso grado e stadio, ma
a partenza dalla porzione superiore
dell’uretere richiederebbero la rimozione in toto dell’uretere. In questi
casi, se la pelvi renale non è interessata dalla neoplasia è possibile e oncologicamente corretto, sostituire il
tratto di uretere con un tatto di intestino tenue. In queste situazioni è
importante un’accurata selezione dei
pazienti. Altri studi riportano serie di
pazienti con neoplasie dell’uretere,
scelti per una chirurgia kidney-sparing senza svantaggi in termini di sopravvivenza5.
ruolo della linfadenectomia
Il coinvolgimento linfonodale è presente nel 20-40% dei casi e si associa a prognosi infausta. Tuttavia
non ci sono ancora chiare indicazioni per l’esecuzione o meno della linfadenectomia. La linfadenectomia
ipsilaterale permette sicuramente una stadiazione più accurata, ma
non sembra portare vantaggi in termini di sopravvivenza. Miyake et al.6
nel loro studio evidenziano come la
linfadenectomia potrebbe portare dei
vantaggi terapeutici in pazienti senza
invasione linfovascolare. In un altro
lavoro viene analizzato il ruolo della linfadenectomia nel selezionare i
pazienti che potrebbero trarre maggior vantaggio da una terapia adiuvante. È stato evidenziato come, dei
36 pazienti arruolati nello studio e
trattati chirurgicamente con nefroureterectomia e linfadenectomia, tutti
quelli deceduti durante il follow-up a
causa del tumore iniziale (8 pazienti) presentavano metastasi linfonodali
all’intervento. Il numero totale di pazienti con metastasi linfonodali era
di 11 (31%) su 36. Otto (72%) pazienti su 11 con metastasi linfonodali
sono quindi morti di malattia durante il follow-up. Lo stato linfonodale
sembrerebbe quindi essere un fattore prognostico importante e la linfadenectomia potrebbe essere utile nell’identificare quei pazienti con
metastasi linfonodale e maggior rischio di recidiva di malattia7.
Trattamento chemio-immunoterapico locale
La terapia endocavitaria è utilizzata
nelle neoplasie superficiali per prevenire recidive dopo resezione del tu139
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
more, a scopo adiuvante8. Il BCG è
frequentemente utilizzato nei tumori delle alte vie escretrici, soprattutto
per i carcinomi in situ. L’instillazione
nelle alte vie urinarie può essere anterograda, tramite un catetere per via
percutanea, retrograda tramite uno
stent ureterale oppure tramite reflusso vescicoureterale. Solitamente
si utilizza un regime di somministrazione che dura 6 settimane, il tempo
medio di durata delle instillazioni varia dai 60 ai 120 minuti, con un minimo 10 minuti e un massimo di 240
minuti. La dose utilizzata è maggiore di quelle comunemente utilizzate
nel carcinoma uroteliale della vescica, fortunatamente questo aumento
di dosi non si traduce in un aumento
quantitativo e qualitativo degli effetti indesiderati. L’obiettivo della somministrazione di BCG è la profilassi
quando viene utilizzato dopo la chirurgia conservativa di carcinomi uroteliali non invasivi: circa il 70% dei
pazienti trattati inizialmente con chirurgia conservativa e in seguito con
terapia adiuvante locale a base di
BCG rimangono liberi da malattia
considerando un follow-up medio di
12-24 mesi. Può avere inoltre significato terapeutico per il trattamento
di malattia residua e nei casi di carcinoma in situ. Si evidenziano diversi
effetti collaterali legati all’instillazione
di BCG, sia anterograda che retrograda, sebbene la perfusione percutanea attraverso nefrostomia sembri
essere più sicura. Gli effetti collaterali più significativi sono la possibilità
di sviluppare sepsi, febbre alta con
necessità di terapia antitubercolare,
ematuria macroscopica, stenosi ureterale e lesioni renali. Gli effetti irritativi a carico della mucosa vescicale non trovano un riscontro nelle alte
vie escretrici trattate con BCG. Benché sintomi irritativi compaiano in alcuni pazienti, nel giro di qualche ora
140
generalmente recedono9.
Anche la MMC è utilizzata. L’instillazione di MMC per il trattamento di
UUT TCC può avvenire tramite reflusso vescico-ureterale, stent ureterale o attraverso una nefrostomia
percutanea. Il dosaggio è di 40 mg
somministrato in 3 instillazioni, con
tempo di esposizione ciascuna di
30 minuti. Il trattamento non sembra
avere effetti collaterali sistemici. Tale
trattamento è stato utilizzato soprattutto in pazienti che non potevano
essere sottoposti a chirurgia radicale. Sebbene vi siano risultati incoraggianti, l’efficacia di applicazioni locali di MMC non è ancora stata provata
e sono necessari ulteriori trials prima di poter soddisfare i criteri di fase II e iniziare studi randomizzati di
fase III10.
L’utilizzo del Thiotepa nel trattamento dei tumori uroteliali delle alte vie
escretrici è stato scarsamente provato, probabilmente a causa dei gravi effetti collaterali associati all’instillazione endovescicale evidenziati nel
corso degli anni. Anche l’infusione di
antracicline, prevalentemente farmorubicina, è efficace.
Chemioterapia sistemica
A prescindere dal trattamento eseguito, la sopravvivenza dei pazienti
dipende principalmente dallo stadio
e dal grado del tumore alla diagnosi.
La chirurgia radicale in pazienti con
malattia metastatica o localmente
avanzata non sembra migliorare la
sopravvivenza. I pazienti con neoplasia in stadio T3-T4 o con interessamento linfonodale, benché trattati con chirurgia radicale, hanno una
pessima prognosi soprattutto in relazione allo sviluppo di metastasi a distanza. Gli studi riportano percentuali di recidiva locale variabili tra il 2% e
il 27%, ma tali dati derivano da studi datati e forse sono sottostimati11-13.
Cozad et al.14 riportano un tasso di
recidiva locale del 50% nella malattia
T3, percentuale che sale al 60% nei
tumori G3. Brookland and Richter15
and Ozsahin16 hanno riportato recidive locali nel 45% e 62%, rispettivamente. Nella maggior parte delle
casistiche emerge una stretta correlazione tra le recidive locali e la comparsa di metastasi a distanza ma
non è possibile, per la scarsa numerosità delle casistiche, stabilire se
si tratta di una associazione casuale o sincrona. In tali pazienti l’utilizzo
di terapie sistemiche a base di chemioterapici potrebbe pertanto portare qualche beneficio, diminuendo
principalmente lo sviluppo di metastasi a distanza e migliorando così
la sopravvivenza.
Il ruolo della chemioterapia come
trattamento adiuvante successivo
alla chirurgia non è ancora stato ben
definito per i carcinomi uroteliali delle
alte vie escretrici: eseguire studi randomizzati su questi pazienti è molto
difficile a causa della rarità del tumore. I regimi chemioterapici sono quelli usati per il trattamento del carcinoma uroteliale della vescica.
Allo stato attuale per i carcinomi in
fase avanzata la terapia più efficace
è quella di combinazione. Gli schemi principalmente si basano sul Cisplatino e la sua combinazione con
Metotrexate, Vinblastina e Adriamicina (MVAC) è considerata l’associazione standard per il trattamento dei
carcinomi uroteliali avanzati. In pazienti trattati con schemi chemioterapici a base di platino si ottengono
risposte complete e parziali in circa
il 54% dei casi. Un significativo miglioramento della sopravvivenza si
nota solo in quei pazienti con metastasi di scarso volume e che hanno una risposta completa alla chemioterapia17.
Un’alternativa al regime MVAC è la
chemioterapia con Carboplatino e
Paclitaxel (CP). Il vantaggio di questa associazione è la minore tossicità soprattutto renale. In uno studio, di chemioterapia adiuvante, 36
pazienti, con stadio T3 o maggiore o interessamento linfonodale, sono stati trattati con 4 cicli di Paclitaxel (175mg/m2) e carboplatino (area
sotto la curva 5, Formula di Calvert)
iniziando 4-6 settimane dopo l’intervento chirurgico e riproponendo
la terapia con intervalli di 3 settimane18. Il trattamento sembra essere
ben tollerato dai pazienti. L’alopecia è sempre presente, la tossicità
di grado 3-4 più frequente è la neutropenia (39% dei pazienti) complicata in un solo caso da febbre neutropenica. Tossicità di grado 3 non
ematologica è stata rilevata in un
solo paziente; nessuna mucosite di
grado 3-4. La neurotossicità è stata descritta nel 30% dei pazienti, ma
nessun caso di grado 3 o superiore
probabilmente a causa dello scarso
numero di cicli somministrati.
Dal confronto tra le associazioni MVAC e CP è stata evidenziata una sopravvivenza globale simile
per entrambi i trattamenti19. I pazienti trattati con CP presentano una risposta globale (parziale e completa) del 28,2% dei casi, mentre per
quelli trattati con MVAC raggiunge
il 35,9%. La sopravvivenza media libera da progressione di malattia è
di 8,7 mesi e 5,2 mesi per il MVAC
e il CP rispettivamente. Con un follow-up medio di 35 mesi la sopravvivenza media dei pazienti trattati con MVAC è di 15,4 mesi, mentre
per quanto riguarda i pazienti trattati con CP è di 13,8 mesi. I pazienti trattati con MVAC vanno incontro
ad una tossicità più severa legata alla terapia rispetto a quelli trattati con
CP, tuttavia non ci sono differenze significative nella qualità di vita.
141
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
Altre combinazioni di chemioterapici
utilizzate nel trattamento degli UUT
TCC sono CMV (cisplatino, metotrexate e vinblastina) e PEM (cisplatino,
epirubicina e metotrexate). Più recentemente sono stati introdotti nella pratica clinica schemi di chemioterapia contententi farmaci di ultima
generazione (Taxani, Gemcitabina), i
dati di attività devono essere confermati.
radioterapia
Non esistono dati sufficienti a dimostrare l’utilità della radioterapia come
trattamento primario delle neoplasie
della pelvi renale e dell’uretere. Diversi studi di fase II, con scarsa numerosità, suggeriscono che la radioterapia adiuvante può portare ad un
maggior controllo locale della malattia e forse ad un vantaggio in termini di sopravvivenza. (Tabella 3) Uno
studio non conferma questo beneficio, ma comprendeva un 30% di pazienti in stadio precoce di malattia20.
Un altro studio negativo usava dosi di radioterapia inadeguat. Craig21
conclude che la radioterapia adiuvante (dose media di 40 Gy) è di
scarso valore nel migliorare il controllo locale della malattia e non influisce sulla sopravvivenza in pazienti con UTT TCC avanzato sottoposti
a chirurgia. Al Massachusetts General Hospital, negli ultimi 20 anni,
è stato tentato un approccio più aggressivo, per cui i pazienti con malattia localmente avanzata, ad alto rischio di recidiva, sono stati trattati
142
ad intento adiuvante, prima con radioterapia adiuvante e poi, negli ultimi anni, con redioterapia associata
a chemioterapia radiosensibilizzante. Se lo schema veniva tollerato era
seguito dalla somministrazione di
ulteriore chemioterapia in combinazione. Sono stati trattati solo 31 pazienti, ma gli autori hanno osservato una percentuale di recidiva locale
inferiore per i trattamenti combinati
chemio-radioterapici (22% vs. 45%),
e una sopravvivenza a 5 anni superiore (67% vs. 27%). E’ stato osservato un miglioramento anche per la
sopravvivenza malattia specifica e la
sopravvivenza libera da metastasi22.
Trattamento delle recidive
Esistono pochi dati pubblicati fino ad
oggi che indicano il trattamento più
appropriato nelle recidive locali dopo nefroureterectomia. Se la recidiva è bulky e sono presenti metastasi a distanza, la chemioterapia con
intento palliativo dovrebbe essere il
trattamento più appropriato. Quando la recidiva è isolata e il paziente è
in buone condizioni, può essere tentato un approccio più aggressivo. Il
primo step dovrebbe essere mirare
a ridurre le dimensioni della massa
e migliorare la resecabilità, usando
radioterapia, con dosi di 30-45 Gy e
chemioterapia. Se è possibile, può
essere fatto un tentativo di debulking
e associare radioterapia intraoperatoria. Tale approccio è gravato da alta percentuale di rischi se sono interessati organi critici come l’intestino.
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144
QUEstIOnARIO
www.edufadaiom.it
1 Il carcinoma renale è una neoplasia tipica di quale categoria di
pazienti?




A)
B)
C)
D)
Maschi giovani adulti
Donne giovani adulte
Donne anziane
Maschi in età pediatrica
2 La maggior parte delle neoplasie renali sono:




A)
B)
C)
D)
Forme familiari
Forme sporadiche
Forme ereditarie
Correlate con la malattia renale policistica
3 La chirurgia nel carcinoma renale:
 A) è sempre indicata
 B) deve essere effettuata sempre prima di un trattamento sistemico
 C) deve essere essere integrata agli altri tipi di trattamento (terapia
sistemica, radioterapia) per definire il miglior iter terapeutico per
ogni paziente
 D) non deve essere presa in considerazione per la malattia metastatica
4 I pazienti ad alto rischio secondo MsKCC:




A)
B)
C)
D)
hanno una prognosi peggiore dopo il trattamento con citochine
non rispondono al trattamento con temsirolimus
rispondono meno degli altri al trattamento con everolimus
non hanno prognosi peggiore dopo il trattamento con sunitinib
5 Come trattamento di prima linea nel carcinoma renale:
 A) trova indicazione soltanto il sunitinib
 B) è preferibile l’associazione IFN-Bevacizumab
 C) occorre effettuare una scelta ragionata in base alle caratteristiche
della malattia, del paziente e dell’effetto che si vuole ottenere
 D) non è indicato il temsirolimus
145
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
6 Considerando la storia naturale delle neoplasie papillari uroteliali
della vescica, quale di queste affermazioni è falsa?
 A) La recidiva di un papilloma vero è un evento assai raro
 B) Le neoplasie uroteliali papillari a basso potenziale maligno possono
recidivare fino al 35% - 47% dei casi
 C) Le recidive di neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale maligno
sono associate frequentemente a progressione in grado e/o stadio
 D) I carcinomi uroteliali papillari (non invasivi) a basso grado recidivano
in più della metà dei casi e queste recidive possono associarsi a
progressione in stadio e/o grado
7 nel tumore vescicale superficiale, una seconda resezione (re-tUR),
da eseguire a 6 settimane dalla prima, è raccomandata:




A)
B)
C)
D)
in caso di prima resezione non completa
in assenza di tonaca muscolare nei campioni della prima resezione
in presenza di neoplasia T1 G3 alla prima resezione
in tutte le precedenti
8 In caso di recidiva di tumore vescicale superficiale, dopo trattamento chemioterapico endovescicale, si raccomanda
 A) trattamento chirurgico radicale
 B) trattamento con BCG
 C) trattamento radioterapico
9 nell’intervento di cistectomia radicale, per carcinoma muscoloinfiltrante:
 A) non è consigliata la linfadenectomia
 B) la linfadenectomia estesa sembra portare un beneficio in
sopravvivenza
 C) l a linfadenectomia estesa è consigliata solo per i paziente non
suscettibili a radioterapia adiuvante
10 Lo schema chemioterapico standard nel trattamento del carcinoma
vescicale avanzato è:
 A) M-VAC ad alte dosi
 B) M-VAC classico
 C) associazione di cisplatino e gemcitabina
146
Note
147
I Tumori del Rene
e dell’Urotelio
148
Corso di formazione a distanza reso possibile
grazie a un contributo educazionale di
10SU481 - Depositato all’AIFA in data 24 Giugno 2010
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