Associazione Italiana di Oncologia Medica EDU-FAD Educazione Medica Continua in Oncologia I Tumori del Rene e dell’Urotelio a cura del Dottor Sergio Bracarda e del Professor Francesco Boccardo EDU-FAD Educazione Medica Continua in Oncologia I Tumori del Rene e dell’Urotelio a cura del Dottor Sergio Bracarda e del Professor Francesco Boccardo Progetto Working Group ECM&Congressi Edizione 2009 www.edufadaiom.it Corso di formazione a distanza reso possibile grazie a un contributo educazionale di Pfizer Oncology Edizione 2009 Aiom - Associazione Italiana di Oncologia Medica Via E. Nöe, 23 - 20133 Milano, Italy Tel: +39 02 70632097 Fax: +39 02 2360018 E-mail: [email protected] www.aiom.it TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI Progetto grafico e DTP: QG Project – Longone al Segrino (Co) Stampa: Grafismi – Longone al Segrino (Co) ??????????? Responsabili di Patologia Sergio Bracarda UOC Oncologia Medica, Dipartimento di Oncologia Ospedale San Donato, USL-8 Via Pietro Nenni, 20 - 52100 Arezzo e-mail: [email protected] Francesco Boccardo Istituto Nazionale Ricerca Cancro - U.O.Univ. Oncologia Medica Largo Rosanna Benzi, 10 - 16132 Genova GENOVA e-mail: [email protected] Co-Autori Marcello Tucci SCDU Oncologia Medica - AOU San Luigi di Orbassano Regione Gonzole, 10 - 10043 - Orbassano (TO) e-mail: [email protected] Elisabetta Setola U.O. Oncologia - Ospedale San Giuseppe Via San Vittore, 12 - 20123 Milano e-mail: [email protected] Federica Merlin U.O. Oncologia Medica Ospedale Sant’Orsola - Fondazione Poliambulanza Via Vittorio Emanuele II, 27 - 25122 Brescia e-mail: [email protected] Alketa Hamzaj S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia Ospedale S. Maria della Misericordia via G. Dottori, 1 - 06120, Perugia e-mail: [email protected] Marta Rossi S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia Ospedale S. Maria della Misericordia via G. Dottori, 1 - 06120, Perugia e-mail: [email protected] 3 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Direttivo AIOM 2007-2009 Presidente: Francesco Boccardo Presidente eletto: Carmelo Iacono Segretario: Marco Venturini Tesoriere: Maria Teresa Ionta Consiglieri: Paolo Carlini Giovanni Condemi Stefania Gori Evaristo Maiello Paolo Marchetti Rodolfo Passalacqua Carmine Pinto Valter Torri WG ECM&Congressi AIOM 2007-2009 Coordinatore: M.T. Ionta, Componenti: G. Bernardo, E. Bria, M. Cazzaniga, P. Comella, A. Dinota, S. Iacobelli, M. Nardi, S. Palmeri, G. Palmieri, G. Procopio, G. Rosti, R. Samaritani. 4 PREsEntAzIOnE L’ Associazione Italiana di Oncologia Medica, tenendo fede alla sua “mission”, si fa promotrice del progetto educazionale EDU-FAD. Il progetto prevede la creazione di una Collana, costituita da sei monografie indipendenti, riguardanti patologie di notevole interesse oncologico e di alto impatto sociale. Abbiamo scelto, pertanto sei argomenti che riteniamo rappresentino ancora i temi “caldi” del sapere oncologico, in continua evoluzione, sia per le recenti scoperte, frutto della ricerca di base, sia per i trattamenti innovativi, frutto della ricerca clinica e della ricerca traslazionale. Della Collana fanno parte: il Carcinoma della Mammella, il Carcinoma del Colon-Retto, il Carcinoma del Polmone, le Neoplasie del Sistema Nervoso Centrale, i Sarcomi dell’Adulto, il Carcinoma Renale e i Carcinomi Uroteliali. Tutti coloro che hanno a cuore l’oncologia e le problematiche dei pazienti collegate alla cura delle neoplasie troveranno in questa Collana una esauriente e completa fonte di informazioni e avranno l’opportunità di approfondire la patologia di loro interesse nella sua globalità. Ogni argomento è, infatti, corredato da dati riguardanti l’epidemiologia, la diagnostica, la stadiazione, il trattamento multidisciplinare, con ricchezza di particolari e di voci bibliografiche per un ulteriore approfondimento. Al progetto hanno partecipato alcuni tra i maggiori Opinion Leaders del settore, in collaborazione con i Giovani Oncologi AIOM, particolarmente esperti nella patologia trattata. Oltre quaranta tra Autori e Co-Autori, hanno offerto la loro collaborazione con spirito di servizio e dedizione, consapevoli di siglare un’opera di alto profilo scientifico e di alto livello educazionale. La presenza dei Giovani Oncologi in questo progetto educazionale, ha una doppia valenza. Da una parte la partecipazione costante e attiva alla vita della nostra Associazione, dall’altra il contributo diretto, in prima persona, alla costituzione di un fondo per le borse di studio destinate ai Giovani Oncologi AIOM più meritevoli. Uno degli obiettivi del progetto, è infatti, la totale destinazione dell’utile, ottenuto dall’operazione editoriale, al fondo riservato alle borse di studio, grazie al contributo di alcune Aziende Farmaceutiche interessate al progetto educazionale. La Collana verrà distribuita a tutti gli Oncologi Italiani. Ciascuna monografia, inoltre, entrerà a far parte di un percorso di formazione a distanza (tramite sistema FAD) con una piattaforma inserita nel sito dell’AIOM, per coloro i quali volessero acquisire crediti ECM, con valutazione tramite test a risposta multipla. Il nostro vivo ringraziamento vada a tutti gli Autori e Co-Autori che hanno contribuito alla stesura dell’opera ed alle Aziende Farmaceutiche che ne hanno permesso la realizzazione e la diffusione. Francesco Boccardo Past President AIOM Carmelo Iacono Presidente AIOM 5 I Tumori del Rene e dell’Urotelio sOMMARIO Principi generali del carcinoma renale • Epidemiologia • Classificazione istologica delle neoplasie renali 8 8 11 • La diagnostica per immagini nella diagnosi e stadiazione del RCC 17 • Bibliografia Classificazione del carcinoma renale • Bibliografia Approccio terapeutico alle neoplasie renali 25 29 33 • Trattamento chirurgico 33 • Radioterapia 35 • Terapia adiuvante 36 • Trattamento del carcinoma metastatico 37 • Nuovi farmaci a bersaglio molecolare 39 • Trapianto allogenico 47 • Bibliografia 49 Principi generali dei tumori della vescica 62 • Epidemiologia 62 • Bibliografia 66 • Anatomia patologica 73 • Bibliografia 80 Principi generali dei tumori della pelvi renale e dell’uretere 82 • Epidemiologia 82 • Bibliografia 83 • Anatomia patologica 84 • Bibliografia 85 Diagnosi • Bibliografia 6 19 86 88 Classificazione TNM e classificazione in stadi 90 • Del carcinoma vescicale e delle vie escretrici 90 • Del carcinoma delle alte vie escretrici 92 • Bibliografia 94 Terapia del carcinoma uroteliale della vescica e delle vie escretrici 98 • Neoplasia superficiale o non-muscolo invasiva (stadio TIS, TA, T1) 98 • Bibliografia 104 • Neoplasia muscolo-infiltrante (stadio T2-T4, N0/N+, M0) 110 • Bibliografia 122 • Malattia metastatica 130 • Bibliografia 134 Terapia del carcinoma uroteliale delle alte vie escretrici • Bibliografia Questionario 138 143 145 7 I Tumori del Rene e dell’Urotelio PRInCIPI GEnERALI DEL CARCInOMA REnALE EPIDEMIOLOGIA Incidenza Tra le neoplasie urologiche, il carcinoma renale (RCC) è situato al terzo posto per incidenza, dopo il carcinoma della prostata e il carcinoma a cellule transizionali della vescica. Il RCC rappresenta l’85-90% di tutte le neoplasie parenchimali maligne del rene1. In Europa occupa il settimo posto tra le neoplasie maligne negli uomini ed il dodicesimo posto tra tutte le neoplasie maligne nelle donne, con un rapporto M/F di 3/22, con maggiore frequenza nei paesi economicamente più sviluppati e negli afroamericani. L’incidenza annua del RCC, negli uomini e nelle donne in Europa, è rispettivamente di 29.600 nuovi casi/ anno e 16.700 nuovi casi/anno3. Negli Stati Uniti circa 30.000 nuovi casi vengono diagnosticati ogni anno con un incidenza di circa 9 casi per 100.000 abitanti all’anno. L’incidenza del cancro renale è aumentata, in entrambi i sessi nel ventennio 1970-1990, fino a raggiungere un incidenza di 10/100.000/anno negli uomini e circa 5/100.000/anno nelle donne4. Queste variazioni dell’incidenza potrebbero essere spiegate da una migliore accuratezza diagnostica, dovuta alla diffusione ed all’uso routinario di indagini diagnostiche come l’ecografia e la TAC che hanno aumentato il numero delle diagnosi precoci, e non ad una reale aumentata incidenza del RCC. Il carcinoma renale è raro nelle persone di età inferiore ai 40 anni e 8 rarissimo in età pediatrica5. L’80% delle persone con diagnosi di RCC è nel gruppo di età tra i 40 e 75 anni. L’incidenza per età cresce rapidamente da meno del 2 per 100.000 persone/anno in soggetti di età inferiore a 40 anni, al 38/100.000/anno nel gruppo di età tra 65 e 69 anni, ed arriva al 46 per 100.000/anno nei soggetti di età superiore ai 75 anni3. Sopravvivenza e mortalità Negli ultimi 25 anni i tassi di incidenza di questa neoplasia sono aumentati 3 volte più velocemente rispetto ai tassi di mortalità, indicando un incremento nella sopravvivenza globale (OS) dei pazienti con carcinoma renale6. I dati di sopravvivenza in Europa, per il periodo 1990-1994, hanno dimostrato una sopravvivenza relativa per gli uomini ad 1 anno ed a 5 anni, rispettivamente del 72% e del 54%. Leggermente superiore è stata la sopravvivenza relativa per le donne: del 73% e 57% rispettivamente ad 1 e 5 anni7, 8. In Italia, Francia, Germania, Spagna ed Austria sono state registrate sopravvivenze a 5 anni al di sopra della media europea (tra 57-67%), mentre nei paesi dell’Est, in Gran Bretagna e Danimarca, la sopravvivenza a 5 anni è risultata significativamente inferiore alla media europea (tra 35-48%). La causa di queste variazioni potrebbe essere in gran parte dovuta alle nuove tecniche di immagine che permettono di diagnosticare neoplasie in una fase iniziale, quando la chirurgia da sola risulta curativa, mentre in passato non sarebbero state diagnosticate finché non fossero diventate sintomatiche ed in fase metastatica9. Negli Stati Uniti circa 12.000 pazienti muoiono ogni anno di questa neoplasia. Le stime di mortalità da carcinoma renale nell’Unione Europea per l’anno 2006, erano di 26.400 morti/anno10. La sopravvivenza diminuisce proporzionalmente con l’aumentare dell’età: è più alta nei pazienti con età inferiore a 45 anni (sopravvivenza a 5 anni pari a 71%), rispetto ai pazienti con età superiore a 74 anni (la sopravvivenza a 5 anni, scende al 45% in questi pazienti)7. Inoltre lo stadio del tumore alla diagnosi correla inversamente con la sopravvivenza, che a 5 anni è dell’80% per la malattia localizzata e solo del 12% per le neoplasie con metastasi a distanza11. Eziologia e fattori di rischio Esistono vari fattori correlati con lo sviluppo del carcinoma renale, alcuni dimostrati da modelli sperimentali e da studi in vitro, altri ancora non confermati come fattori eziologici definitivi e oggetto di studi in corso. 1. Tabagismo Il fumo rappresenta un fattore cancerogeno per molte neoplasie. Un aumentata incidenza per il tumore renale è stata dimostrata da studi di coorte, nei soggetti fumatori, con un rischio relativo (RR) stimato tra 1.3 e 2.06, rispetto ai non fumatori. Direttamente correlato con il numero di sigarette fumate giornalmente ed inversamente con l’età di inizio dell’ abitudine al fumo. Uno studio condotto da McLaughin12 e Lipworth13 ha confermato il tabacco come il fattore di rischio più importante per l’in- sorgenza del tumore renale, identificandolo nel 20% dei casi di RCC. 2. Esposizione a cancerogeni chimici a) Asbesto. In due studi di coorte, è stato dimostrato un incremento significativo del tasso di mortalità da carcinoma renale, nei pazienti esposti ad asbesto per motivi di lavoro (RR 1.4)14. b) Cadmio. I lavoratori esposti al cadmio e con un abitudine al fumo possono avere una particolare elevata incidenza a sviluppare RCC15. c) Solventi organici. I pesticidi, il solfato di rame, le benzidine, gli erbicidi ed il cloruro di vinile sono stati identificati come fattori di rischio del RCC nei casi di prolungata esposizione. Una correlazione dose-effetto è stata però osservata soltanto per i solventi organici e per il solfato di rame16. 3. Analgesici La prolungata assunzione di farmaci analgesici contenenti fenacetina e salicilati può determinare un insufficienza renale cronica. Alcuni di questi pazienti, hanno un rischio aumentato per l’insorgenza di neoplasie della pelvi renale. Anche l’incidenza di RCC sembra essere aumentata, ma questo tuttora resta controverso17, 18. 4. Obesità L’obesità costituisce un fattore di rischio indipendente per il carcinoma renale, sia negli uomini che nelle donne19. Esiste una correlazione lineare tra aumento del BMI e aumento del rischio di carcinoma renale. Nove studi caso-controllo ed uno studio multietnico di coorte hanno 9 I Tumori del Rene e dell’Urotelio mostrato una relazione tra il RCC e l’obesità20, 21. Le diete ricche in vegetali sembrano avere un ruolo protettivo, mentre il consumo regolare di carne rossa, prodotti caseari ed alcool, sembra aumentare il rischio di questa neoplasia. Non esiste, invece nessuna influenza sul rischio dal consumo regolare di caffè e tè nero. 5. Ipertensione L’ipertensione e l’uso dei diuretici sono stati associati con il carcinoma renale in alcuni studi prospettici19, 22, ma visto che i diuretici sono stati utilizzati ampiamente nel trattamento dell’ipertensione sistemica, è difficile identificare gli effetti correlati a ciascuno separatamente23. 6. Altri fattori a) Estrogeni. Anche se gli estrogeni possono indurre l’insorgenza di RCC nei modelli animali, solo una minima evidenza risulta a favore dell’associazione tra neoplasia renale ed estrogeni nel uomo24. b) Radiazioni. Le radiazioni ionizzanti sembrano aumentare di poco il rischio di RCC, specialmente nei pazienti sottoposti precedentemente a radioterapia per spondilite anchilosante e carcinoma della cervice25. Il cancro della pelvi renale e dell’uretere sembra essere maggiormente correlato alle radiazioni di quanto non lo è il carcinoma del parenchima. 7. Fattori ereditari La maggior parte delle neoplasie renali sono forme sporadiche. Esistono delle malattie ereditarie associate al carcinoma renale e caratterizzate da alterazioni genetiche ben definite26. Le forme ereditarie e familiari rappresentano meno del 4% 10 di tutte le neoplasie renali. a) Malattia di Von Hippel-Lindau (VHL). È un sindrome familiare con trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da mutazioni germinali del gene oncosoppressore VHL, situato sul braccio corto del cromosoma 3 (3p25-26)27. Il prodotto del gene VHL, è una proteina che partecipa nei meccanismi di regolazione del ciclo cellulare e di angiogenesi28. I soggetti affetti da questa sindrome hanno una predisposizione a sviluppare neoplasie multiple quali: l’emangiocarcinoma del sistema nervoso centrale e della retina, il carcinoma renale a cellule chiare, il feocromocitoma, le neoplasie pancreatiche e dell’orecchio interno. Il 40-60% dei pazienti con malattia di VHL presentano il carcinoma renale. Nella maggior parte dei casi si tratta di forme a basso grado con un indice di progressione metastatica attorno ai 30%. Le lesioni renali sono spesso bilaterali e multifocali. Le mutazioni del gene di VHL sono state osservate nel 57% dei carcinomi renali sporadici localizzati ed avanzati. b) Carcinoma renale papillare ereditario (Hereditary papillary renal carcinoma). È una sindrome neoplastica ereditaria caratterizzata da una predisposizione a sviluppare neoplasie renali papillari tipo-1, multiple e bilaterali. Questa forma ereditaria è stata associata con mutazioni a carico dell’ oncogene c-Met, situato sul cromosoma 7q31. Il gene c-Met codifica per il recettore sulla superficie cellulare del fattore di crescita epatocitario29. Le neoplasie renali papillari di tipo 1, insorgono tardi- vamente (età media alla presentazione ~70 anni) e di solito non sono metastatizzati alla diagnosi. c) Sindrome HLRCC (Hereditary leiomyoma and renal cell cancer syndrome). Una sindrome neoplastica ereditaria autosomica dominante, con mutazioni germinali a carico del gene FH (fumarato idratasi) situato sul cromosoma 1, che codifica per un’enzima del ciclo di Krebs. Conosciuta anche come sindrome di Reed, è caratterizzata da una predisposizione a sviluppare leiomiomi cutanei, fibromi uterini e neoplasie renali30. In questa sindrome i tumori renali sono rappresentati da una forma di carcinoma renale papillare di tipo-2. Possono essere singoli o multipli e bilaterali. Essi insorgono precocemente (~30 anni), spesso sono in fase metastatica alla presentazione e sono altamente aggressivi31. d) Sindrome Birt-Hogg-Dube (BHD). Sindrome ereditaria autosomica dominante caratterizzata da mutazioni inattivanti del gene oncosoppressore BHD situato sul cromosoma 17p, che codifica per una proteina chiamata follicolina32. Gli individui affetti sono a rischio di sviluppare manifestazioni cutanee (fibrofolliculomatosi del viso, del collo e della parete anteriore del tronco), neoplasie renali multiple e cisti polmonari, causa frequente di pneumotorace spontaneo. Le neoplasie renali possono avere cellule cromofobe, oncocitoma, papillare o a cellule chiare33. e) Carcinoma renale familiare a cellule chiare. Le famiglie che presentano questa sindrome, si caratterizzano dalla presenza di carcinomi renali bilaterali, multipli ad istologia a cellule chiare, che però non manifestano nessuna evidenza clinica della malattia di von Hippel-Lindau. Questa forma di neoplasia ereditaria è caratterizzata da una translocazione reciproca tra il braccio corto del cromosoma 3 ed il braccio lungo del cromosoma 834. 8. Malattia renale policistica e dialisi cronica I pazienti dializzati ed in particolare quelli con una lunga storia di dialisi, manifestano frequentemente cisti renali acquisite (35-47%). In rari casi, l’epitelio delle cisti può andare incontro a fenomeni di iperplasia e displasia che può dare origine al carcinoma renale35, 36. Tra i pazienti con malattia cistica acquisita, approssimativamente il 5-9% potrà sviluppare un carcinoma renale, indicando un incidenza superiore rispetto alla popolazione generale37. Quando il carcinoma renale si presenta nel contesto della malattia policistica ereditaria (trait autosomico dominante), non sembra esserci un incidenza superiore rispetto alla popolazione generale38, 39. Inoltre, rispetto alle forme sporadiche, i carcinomi sono più spesso bilaterali alla presentazione, multicentrici e di istologia sarcomatoide. CLAssIFICAzIOnE IstOLOGICA DELLE nEOPLAsIE REnALI Le categorie istologiche delle neoplasie renali primitive hanno importanza predittiva nello sviluppo delle metastasi a distanza e nella loro prognosi. Nel 1997, Heidelberg identificò cinque distinte categorie istologi11 I Tumori del Rene e dell’Urotelio tAbELLA 1: WHO CLAssIFICAtIOn OF KIDnEY tUMORs41 Familial renal cancer • Renal cell tumors Malignant • Clear cell renal cell carcinoma • Multilocular clear cell renal cell carcinoma • Papillary renal cell carcinoma • Chromophobe renal cell carcinoma • Carcinoma of the collecting ducts of Bellini • Renal medulary carcinoma • Xp11 translocation carcinomas • Carcinoma associated with neuroblastoma • Mucinous tubular and spindle cell carcinoma • Renal cell carcinoma unclassified benign • Papillary adenoma • Oncocytoma Metanephric tumors • Metanephric adenoma • Metanephric adenofibroma • Metanephric stromal tumors Mixed mesenchymal and epithelial tumors • Cystic nephroma • Mixed epithelial and stromal tumor • Synovial sarcoma nephroblastic tumors • Nephrogenic rests • Nephroblastoma • Cystic partially differentiated nephroblastoma neuroendocrine tumors • Carcinoid • Neuroendocrine carcinoma • Primitive neuroectodermal tumor • Neuroblastoma • Phaeochromocytoma Other tumors • Mesenchymal tumors • Haematopoietic and lymphoid tumors • Germ cell tumors • Metastatic tumors 12 ??????????? che maligne nel carcinoma a cellule renali: convenzionale (a cellule chiare) (75%), papillare (15%), cromofobe (5%), dei dotti collettori (2%), e carcinoma a cellule renale nonclassificato40. L’ultima classificazione WHO (2004) delle neoplasie renali dell’adulto (tabella 1)41, 42, riassume le categorie delle precedenti classificazioni, in particolare quelle di Mainz (1986) e di Heidelberg (1997)40, 43 e descrive nuove categorie, basandosi sull’analisi patologica e genetica dei tumori. Il riconoscimento di queste entità istologiche può avere un importante ruolo nell’ approccio terapeutico dei pazienti affetti da neoplasie renali. Le neoplasie renali sporadiche si distinguono in tumori benigni, maligni, metanefrici, misti (epiteliali e mesenchimali), nefroblastici, neuroendocrini ed altri tumori (tumori mesenchimali, ematopoietici e linfatici, a cellule germinali e metastatici). Nella tabella 2 vengono elencate, come descritte nella classificazione WHO 2004, le sindromi che predispongono alle neoplasie renali. Ciascuna di queste sindromi predispone ad un tipo istologico ben distinto di carcinoma a cellule renali (RCC) o altri tumori renali. 1. Neoplasie a cellule renali • Carcinoma renale a cellule chiare Il carcinoma a cellule chiare origina dalle cellule dei tubuli prossimali e tipicamente presenta quale alterazione genetica la delezione del braccio corto del cromosoma 3. Le cellule sono ricche in lipidi e glucosio. Macroscopicamente si presenta come forma solida e meno frequentemente cistica. La maggior parte di queste neoplasie si presentano come forme solitarie situate nella corteccia renale. Le dimensioni sono variabili. L’incidenza delle lesioni piccole ha subito un incremento in rapporto al miglioramento delle tecniche diagnostiche 44. Questo tipo istologico, è tipicamente associato con la malattia di von Hippel-Lindau. Il grado nucleare secondo Fuhrman (tabella 3)45 è, dopo lo stadio, il più importante fattore prognostico predittivo nel carcinoma renale a cellule chiare. La prognosi peggiore è associata tAbELLA 2: FAMILIAL RCC: sYnDROMIC AnD nOn-sYnDROMIC PREsEntAtIOn syndrome Gene tumor Von Hippel-Lindau (VHL) VHL (3p25) Clear cell Tuberous Sclerosis TSC1, TSC2 Angiomyolipoma, clear cell, other Constitutional chromosome 3 translocation Responsible gene not found* Clear cell Familial renal carcinoma Gene not identified Clear cell Hereditary PRCC c-MET Papillary type 1 Birt-Hogg-Dube (BHD) BHD Chromophobe** Familial oncocytoma Partial or complete loss of multiple chromosomes Oncocytoma Hereditary leiomyoma-RCC FH Papillary type 2 * VHL gene mutated in some families. ** Renal oncocytomas, hybrid oncocytic and clear cell carcinomas may occur. 13 I Tumori Le neoplasie del Rene del sistema nervoso e dell’Urotelio centrale tAbELLA 3: FUHRMAn’s GRADInG sYstEM, 198245 Grado 1 Cellule tumorali con nucleo piccolo (circa 10μ), uniforme e rotondo privo di nucleoli Grado 2 Cellule tumorali con nucleo più voluminoso (circa 15μ) ed irregolare nel contorno e nucleoli evidenti ad ingrandimento 400x Grado 3 Cellule tumorali con nuclei ancora più grandi (circa 20μ) con evidente irregolarità dei contorni e nucleoli prominenti nche a piccolo ingrandimento (100x) Grado 4 Cellule tumorali con nucleo bizzaro, multilobulato e deposizioni grossolane di cromatina. 14 con la presenza di alto grado nucleare sec. Fuhrman (G3-G4), pattern sarcomatoide ed invasione microvascolare. La definizione di queste caratteristiche è particolarmente importante nei stadi iniziali, dove esse potrebbero rappresentare dei fattori predittivi della ripresa di malattia dopo una chirurgia radicale. Nella classificazione WHO del 2004, diversamente dalla precedente classificazione, il carcinoma sarcomatoide non è stato più considerato come un entità a parte, ma come un evoluzione di tutti i tipi di carcinoma renale46, 47. Il carcinoma a cellule chiare ha prognosi peggiore rispetto al carcinoma a cellule cromofobe e papillare. Comunque la risposta alle nuove terapie sistemiche è superiore rispetto agli altri tipi istologici. pille sono costituite da un core fibrovascolare rivestito da piccole cellule con scarso citoplasma basofilo e monostratificate. Alla diagnosi le lesioni sono frequentemente in stadio iniziale (85% stadio I e II)49 e questo correla con una prognosi favorevole. Nel carcinoma papillare tipo 2, le cellule tumorali hanno grado nucleare più alto, citoplasma eosinofilo e sono pluristratificate48. La prognosi è peggiore rispetto al tipo 150. Le forme ereditarie di carcinoma renale papillare sono state associate a mutazioni a carico del oncogene cMet, mentre nelle forme sporadiche queste mutazioni non sono state osservate. Rarissime alterazioni genetiche come la trisomia o tetrasomia 7, trisomia 16, 17, e 20, sono state riportate in questa categoria neoplastica. • Carcinoma renale papillare Nella precedente classificazione WHO questa categoria era riconosciuta con il termine di carcinoma a cellule cromofile. Il carcinoma renale papillare ha decorso clinico meno aggressivo rispetto al carcinoma a cellule chiare48. Macroscopicamente può essere bilaterale e/o multifocale con frequenti emorragie interne, necrosi e degenerazione cistica e presentare una proporzione variabile di papille. Si riconoscono due sottotipi di carcinoma renale papillare. Nel carcinoma papillare di tipo 1, le pa- • Carcinoma renale a cellule cromofobe Rappresenta circa il 5% dei carcinomi a cellule renali. È meno frequente e meno aggressivo, rispetto al carcinoma renale a cellule chiare ed il carcinoma papillare. Il tipo cromofobo è caratterizzato da cellule huge pale con citoplasma reticolare e membrana citoplasmatica prominente. Le cellule mancano di lipidi e glicogeno ed originano dalle cellule intercalate del sistema collettore51. Il carcinoma a cellule cromofobe, spesso necessita di diagnosi differen- ziale dall’oncocitoma. La relazione tra queste varianti è attualmente oggetto di studi. Entrambe sono considerate originate dalle cellule intercalate dei dotti collettori, presentano alterazioni mitocondriali ed entrambe sono frequentemente osservate insieme nella sindrome Birt-Hogg-Dube. Da alcuni autori l’oncocitoma viene considerato come la controparte benigna del carcinoma renale a cellule cromofobe. Questa variante è caratterizzata dalla perdita dei cromosomi 1, 2, 6, 10, 13, 17 e 2152, 53. La progressione sarcomatoide è associata a malattia aggressiva. • Carcinoma dei dotti collettori (di bellini) Il carcinoma dei dotti collettori di Bellini rappresenta meno dell’1% delle neoplasie maligne renali. L’età media di insorgenza è di 55 anni con lieve predominanza nei maschi. Deriva dalle cellule principali dei dotti collettori e tipicamente presenta localizzazione centrale nel rene e crescita voluminosa. Nella maggior parte dei casi, alla diagnosi, si presenta in uno stadio avanzato con metastasi a distanza e la prognosi è sfavorevole54, 55. Le cellule neoplastiche hanno spesso grado 3 e 4 (sec. Fuhrman). All’esame immunoistochimico risultano positive per cheratina e vimentina, ma le alterazioni molecolari sono ancora poco conosciute 41. La diagnosi differenziale del carcinoma dei dotti collettori, include il carcinoma renale papillare tipo 2 ed il carcinoma uroteliale della pelvi renale con differenziazione ghiandolare. • Carcinoma renale midollare Si tratta di una variante rara di neoplasia renale, considerata a cresci- ta rapida ed aggressiva41. Nella precedente classificazione WHO (1998) era considerata ad origine dalla pelvi renale56. Alla diagnosi i pazienti si presentano spesso con voluminosa massa addominale palpabile, dolore lombare ed ematuria. La prognosi è sfavorevole. • Carcinoma renale associato alla translocazione Xp11.2 Questa variante è stata recentemente riconosciuta come entità distinta. È caratterizzata da diverse translocazioni a carico del cromosoma Xp11.2, determinanti tutte una fusione genica che coinvolge il gene TFE3 (ASPL-TFE3, PRCC-TFE3)57. Questa neoplasia si presenta prevalentemente in età pediatrica e giovanne-adulta, in soggetti sottoposti antecedentemente a trattamenti chemioterapici 60. Macroscopicamente la neoplasia ricorda il carcinoma renale a cellule chiare, mentre microscopicamente il carcinoma papillare con una miscela di cellule chiare e cellule con citoplasma granulare ed eosinofilo58. Le cellule presentano immunoreattività per la proteina TFE3. • Carcinoma a cellule renali di tipo cistico multiloculare (MCRCC) Questa neoplasia è composta da cisti multiple di dimensioni variabili, separate dal parenchima renale da una capsula fibrosa. Le cisti sono rivestite da cellule chiare-pallide, disposte in singola fila ma che occasionalmente presentano alcune piccole papille41. I setti sono composti da tessuto fibroso e rare cellule epiteliali a citoplasma chiaro simili a quelle che rivestono le cisti. MCRCC è stato considerato come un entità specifica nell’ attuale clas15 I Tumori del Rene e dell’Urotelio sificazione WHO, in base ai criteri di diagnosi istopatologica e la sua eccellente prognosi42. • Carcinoma renale a cellule fusate, mucinoso, tubulare È una forma di carcinoma a basso grado, composto da tubuli strettamente ammassati e separati da uno stroma mixoide mucinoso con componente a cellule fusate. Le alterazioni genetiche riscontrate si caratterizzano da perdita dei cromosomi 1, 4, 6, 8, 13 e 1459. Sembra derivare dal nefrone distale. È più frequente nelle donne e l’età media è di 53 anni. • Carcinoma renale associato a neuroblastoma Riscontrato in rari casi in pazienti con pregressa diagnosi di neuroblastoma durante l’età pediatrica. Si tratta di un gruppo eterogeneo che presenta un disequilibrio allelico a carico del cromosoma 20p13. È costituito da cellule voluminose, a citoplasma oncocitico e ad aggregazione solida e papillare • Carcinoma renale non-classificato Rappresenta il 4-6% delle neoplasie renali. Alla presentazione molti sono di alto grado ed in stadio avanzato, con prognosi sfavorevole60. I criteri per poter classificare un carcinoma renale in questa categoria sono: a) mofologia sarcomatoide pura senza riconoscimento di cellule epiteliali; b) produzione di mucina; c) rari elementi epiteliali e stromali; d) tipo cellulare nonclassificabile. • Adenoma papillare È la neoplasia benigna più comune dell’epitelio dei tubuli renali. Riscon16 trata nel 10-40% dei campioni, presenta alterazioni genetiche simili al carcinoma a cellule renali papillari. Anche l’architettura tubulo-papillare è simile al carcinoma papillare tipo 1 e 241, 61. Di solito si presenta di piccole dimensioni, in forma solitaria ed in sede corticale. • Oncocitoma Neoplasia epiteliale benigna di origine dalle cellule intercalari che comprende il 3-9% di tutte le neoplasie primitive renali62. L’oncocita ha citoplasma granulare eosinofilo e nuclei rotondi e regolari. Sono frequenti le alterazioni genetiche a carico del cromosoma 1 e/o 14 e del DNA mitocondriale. È più frequente nei maschi con rapporto M/F di 2:1. La maggior parte sono diagnosticati incidentalmente ma esistono anche casi sintomatici. 2. Le neoplasie metanefriche Questo gruppo include l’adenoma metanefrico, l’adenofibroma metanefrico e l’adenofibrosarcoma metanefrico61. L’adenoma metanefrico è una neoplasia epiteliale che può insorgere nei bambini e negli adulti (range: 5 mesi-36 anni) e può coesistere con il tumore di Wilms o con il carcinoma renale. In genere è solitario, con diametro di 3-6 cm e non capsulato. 3. Neoplasie miste epiteliali e mesenchimali Il nefroma cistico è una forma benigna di neoplasia mista epiteliale e stromale, unilaterale e multiloculare, ben capsulata e senza aree solide o necrotiche. Insorge dopo i 30 anni con predominanza nelle donne. Il tumore renale misto epiteliale e stromale è una neoplasia rara com- posta da aree solide stromali ed elementi epiteliali (maggiormente cistici), in precedenza riconosciuto come amartoma cistico della pelvi renale. Alcune cellule stromali reagiscono con gli anticorpi contro gli estrogeni ed il progesterone. Insorge prevalentemente nelle donne ed esiste una correlazione con l’uso di estrogeni. LA DIAGnOstICA PER IMMAGInI nELLA DIAGnOsI E stADIAzIOnE DEL RCC La diagnostica per immagine ha un ruolo in continuo incremento, nella diagnosi, programmazione terapeutica, sorveglianza e nel monitoraggio della risposta alle terapie, nelle varie neoplasie. Nelle ultime due decadi, il miglioramento delle tecniche di imaging, ha portato un incremento della sopravvivenza a 5 anni del carcinoma a cellule renali, grazie all’identificazione di queste neoplasie in stadi iniziali. L’interpretazione di qualsiasi esame diagnostico, utilizzato nella stadiazione del carcinoma renale deve includere la valutazione di: 1. dimensioni del tumore 2. rapporto tra tumore e parenchima renale 3. invasione tumorale del tessuto adiposo perirenale 4. interessamento dei linfonodi locoregionali 5. presenza ed estensione dell’invasione venosa 6. espansione in organi contigui 7. presenza di metastasi polmonari 8. presenza di metastasi a distanza63. La tC (tomografia compiuterizzata) rappresenta l’esame “gold standard” nella diagnosi e nella stadiazione del carcinoma renale. L’accuratezza diagnostica della TC, nella stadiazione del RCC è di circa 90%. Attualmente, essa rappresenta la migliore risoluzione delle piccole lesioni ed è la procedura diagnostica preferita nei pazienti con anomalie ecografiche suggestive per neoplasie maligne. Nella caratterizzazione delle neoplasie, la TC ha dimostrato buona capacità nel distinguere le lesioni potenzialmente operabili da quelle non-operabili, con sensibilità e specificità del 92% e 96%, rispettivamente64. La TC è altamente sensibile nell’identificare le metastasi a distanza. In particolare, l’accurata definizione delle metastasi polmonari, la sede più frequente di metastasi nel RCC (50-60%), seleziona i pazienti con metastasi singole e/o piccole, facilmente raggiungibili, che possono essere completamente asportate. La resezione chirurgica di queste lesioni incrementa la sopravvivenza a 5 anni da 32 a 56%65. La TC multistrato è la tecnica più sensibile per la determinazione delle lesioni polmonari, perciò nei centri che né dispongono, essa è sempre indicata nella stadiazione dei pazienti in programma di intervento chirurgico. La sensibilità e la specificità della TC nella stadiazione del RCC stadio IV, è rispettivamente di 98 e 99%. Comunque la TC presenta anche dei limiti. Essa ha una bassa accuratezza nella definizione dell’invasione perirenale (discriminazione tra stadio I e stadio II; T2 vs T3a), visto che le alterazioni del segnale nel grasso perirenale, possono essere presenti anche in diverse situazioni non-neoplastiche (edema, necrosi, 17 I Tumori del Rene e dell’Urotelio 18 fibrosi da precedente infiammazione o da malattia litiasica, etc). L’utilizzo delle più recenti TC multistrato (MDTC) ha segnalato un incremento della sensibilità (96%) nella diagnosi dell’invasione del grasso perirenale66. Un altra limitazione di questa tecnica stà nell’identificazione delle metastasi linfonodali; in particolare quando “il diametro”, viene utilizzato come criterio discriminante. Con il cut-off pari a 10 mm sono stati riportati elevati casi di falsi-positivi (>43%), a causa della frequente iperplasia reattiva linfonodale. Comunque linfonodi di diametro >20 mm sono quasi sempre interessati da infiltrazione neoplastica. I falsinegativi rappresentano in questi casi, solo il 4-5%. L’accuratezza globale della TC nello staging linfonodale è stata stimata tra l’83 e l’89%. negativo (VPN) per l’invasione venosa è di 98-99%. La RMN è più sensibile e specifica rispetto alla scintigrafia ossea ed alla TC nella definizione delle metastasi ossee, ma tuttavia in assenza di sospetta localizzazione ossea, non è un esame di routine nella fase di inquadramento diagnostico dei pazienti. La RMN ha la stessa limitazione diagnostica della TC nella definizione dell’invasione perirenale. Inoltre, anche per la RMN l’unico criterio diagnostico di infiltrazione linfonodale è rappresentato dall’incremento dimensionale dei linfonodi. La sensibilità e la specificità della RMN nella diagnosi delle metastasi linfonodali non supera quella della TC. In uno studio di 82 pazienti con carcinoma renale, la TC multistrato e la RMN sono risultati equivalenti nello staging globale del RCC67. La RMn ha dimostrato nella caraterizzazione dei tumori renali, una sensibilità e specificità sovrapponibile alla TC (92.3% e 91.3% rispettivamente). È una metodica di imaging più accurata della TC, nella definizione della presenza e dell’estensione della trombosi venosa renale e cavale. Ha inoltre il vantaggio della ricostruzione delle immagini nei piani sagittali e coronali, per cui risulta di grande aiuto nella programmazione del tipo di intervento nei pazienti con sospetta invasione venosa. L’accuratezza ed il valore predittivo La scintigrafia ossea non è un esame diagnostico di routine nella stadiazione del carcinoma renale. Essa deve essere eseguita nei pazienti sintomatici per dolori ossei, con incremento della fosfatasi alcalina o in presenza di tumori di grosse dimensioni. La PEt con FDG presenta bassa sensibilità diagnostica nella stadiazione del tumore renale. Questa metodica sembrerebbe utile nella determinazione delle lesioni metastatiche in pazienti selezionati68, 69. bIbLIOGRAFIA 1. A. Jemal, R. Siegel, E. Ward, et al.,“Cancer statistics, 2006,”Ca: A Cancer Journal for Clinicians, vol. 56, no.2,pp. 106–130, 2006. 2. J.K.McLaughlin and L. Lipworth, “Epidemiologic aspects of renal cell cancer,” Seminars in Oncology, vol.27,no.2,pp. 115–123, 2000. 3. Ferlay J. Parkin D.M., Pisani P., “Global cancer statistics”, Ca Cancer J Clin 1999; 49:33-64. 4. W.H. Chow, S. S. Devesa, J. L. Warren, and J. F. 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CLAssIFICAzIOnE In stADI In passato il sistema di stadi azione usato dalla maggioranza dei clinici negli Stati Uniti era la classificazione di Robson2: stadio I: tumore confinato all’interno della capsula renale. stadio II: il tumore localmente invasivo che si estende attraverso la capsula renale ma rimane confinato nella fascia di Gerota. stadio III: il carcinoma invade la vena renale o la vena cava inferiore (IIIA) o i linfonodi ilari (IIIB). stadio IV: il tumore invade gli organi circostanti (tranne il surrene) o a distanza. Il sistema di stadiazione di Robson è semplice ed ampiamente utilizzato e raggruppa casi con prognosi e sopravvivenze differenti. In questo sistema di classificazione lo stadio III comprende pazienti con invasione della vena cava inferiore (IIIA) sia pazienti con coinvolgimento linfonodale (IIIB): questi ultimi hanno una sopravvivenza decisamente inferiore rispetto ai pazienti stadio IIIA la cui prognosi e sopravvivenza non differisce di molto da quelli degli stadi I o II. Si basa sul risultato di esame fisico, bioptico e di imaging (ecografia, TC total body, PET-TC, scintigrafia ossea). • t indica la sede del tumore primitivo e la sua estensione locale • n indica l’estensione della malattia a livello delle stazioni linfonodali loco- regionali o a distanza • M indica la presenza di malattia in altri organi ed apparati t TX T0 T1 T2 T3 2. CLAssIFICAzIOnE tnM13, 14 La stadiazione TNM è un processo di definizione dell’estensione locale ed a distanza del carcinoma renale. Tale sistema ricopre un ruolo importante nelle decisioni terapeutiche e fa parte dei fattori prognostici della malattia. T4 tumore primitivo Tumore primitivo non definibile Tumore primitivo non evidenziabile Tumore primitivo < 7 cm, confinato al rene, all’interno della capsula adiposa t1a Tumore inferiore o uguale a 4 cm, confinato al rene t1b Tumore > 4 cm < 7 cm, confinato al rene Tumore primitivo > 7 cm, confinato al rene all’interno della capsula adiposa Tumore esteso ai grossi vasi o alla ghiandola surrenalica o ai tessuti perirenali, ma non oltre la fascia di Gerota. t3a Tumore che si estende alla ghiandola surrenalica o al tessuto perirenale, non oltre la fascia di Gerota t3b Tumore che invade macroscopicamente la vena renale o la vena Cava al di sotto del Diaframma t3c Tumore che invade macroscopicamente la vena Cava al di sopra del Diaframma Tumore primitivo esteso oltre 25 I Tumori del Rene e dell’Urotelio n Nx N0 N1 N2 la fascia di Gerota Linfonodi regionali (ilari, addominali para-aortici e para-cavali) Linfonodi regionali non valutabili Linfonodi regionali liberi da metastasi Metastasi in un solo linfonodo regionale Metastasi in più linfonodi regionali M Metastasi a distanza Mx Metastasi a distanza non accertabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti comprendente linfonodi a distanza e/o organi a distanza (es. polmone, fegato, ossa, encefalo). GRADInG IstOPAtOLOGICO Gx grado di differenziazione non accertato G1 ben differenziato G2 moderatamente differenziato G3 scarsamente differenziato G4 indifferenziato La sopravvivenza causa-specifica varia in base allo stadio di malattia, infatti passa dall’ 88 al 99% nei pT1, dal 70.5 all’ 82% nei pT2, dal 10 al 60% nei pT3 e fino al 20% nei pT4. 26 Inoltre nei pazienti con malattia metastatica la sopravvivenza a 5 anni varia dal 10 al 30% dei casi17, 21. Sebbene l’attuale TNM sia in grado di stratificare appropriatamente i paziente con carcinoma renale localizzato (T1-2), molti autori hanno suggerito una differente classificazione basata su criteri dimensionali. Uno studio multicentrico europeo ha identificato nella dimensione di 5.5 cm il migliore cut-off in grado di identificare pazienti con RCC a prognosi differente. Più recentemente altri autori hanno sottolineato la necessità di una riclassificazione dei pazienti in stadio T2 utilizzando il cut-off di 10cm o di 11cm. Per quanto riguarda le neoplasie localmente avanzate (T3-4), il TNM classifica come pT3a un insieme piuttosto eterogeneo di neoplasie caratterizzate dall’infiltrazione del grasso perirenale, del grasso ilare e del surrene omolaterale. I dati della letteratura dimostrano come i pazienti con neoplasia infiltrante per contiguità il surrene omolaterale abbiano una sopravvivenza causa-specifica significativamente peggiore rispetto a quella dei pazienti con infiltrazione del grasso perirenale e simile a quella dei pa- zienti con neoplasia estesa oltre la fascia di Gerota. Più controverso è il significato prognostico attribuito all’infiltrazione del grasso del seno renale. Thompson et al.12 hanno osservato una prognosi peggiore nei pazienti con coinvolgimento del grasso del seno renale rispetto a quella dei pazienti con infiltrazione del grasso perirenale. Al contrario9, più recentemente Margolius et al. non hanno riscontrato nessuna differenza significativa in termini di sopravvivenza tra le due categorie di pazienti. Inoltre Lam et al. hanno recentemente sottolineato come la prognosi dei pazienti con infiltrazione del grasso perirenale potrebbe essere influenzata anche dalle stesse dimensioni del tumore. In particolare, pazienti con neoplasie pT3a di dimensioni patologiche > o = a 7cm presenterebbero una sopravvivenza più favorevole rispetto a quelle di dimensioni maggiori. Per quanto riguarda i pazienti con invasione dell’asse vascolare venoso (pT3b-c), i dati recenti di uno studio multicentrico europeo hanno confermato una sopravvivenza sovrapponibile tra i pazienti con solo l’invasione della vena renale e della vena cava inferiore sottodiafram- matica; al contrario una sopravvivenza significativamente peggiore è stata riportata per i pazienti con invasione della vena cava inferiore sovradiaframmatica. Tuttavia il parametro più importante da considerare come fattore anatomico in grado di peggiorare sensibilmente la prognosi dei pazienti con estensione neoplastica all’asse venoso è rappresentato dalla contemporanea presenza di un’infiltrazione del grasso perirenale o di un’invasione per contiguità del surrene omolaterale. Fino ad oggi, i dati riportati in letteratura non hanno riconosciuto un valore prognostico indipendente dall’infiltrazione della via escretrice. Solo recentemente Klatte et al. hanno dimostrato in una serie di 519 pazienti sottoposti a nefrectomia un valore indipendente dall’invasione della via escretrice nel predire la sopravvivenza libera da progressione. I pazienti con coinvolgimento dei linfonodi regionali presentano percentuali di sopravvivenza significativamente peggiori rispetto ai pazienti con malattia confinata, ma migliore a quelli con metastasi a distanza. I pazienti con linfonodi positivi vengono attualmente classificati in due sottogrup- 27 I Tumori del Rene e dell’Urotelio pi, sulla base dell’interessamento di un singolo linfonodo coinvolto (N1) o di un numero maggiore (N2). Tuttavia molti dati della letteratura recente hanno evidenziato come a questa suddivisione non corrisponda una differente prognosi. Attualmente il sistema di classificazione maggiormente utilizzato è rappresentato da quello di Motzer et al. (MSKCC: Memorial Sloan Kettering Cancer Center)11 che identifica cinque fattori prognostici che si sono dimostrati essere correlati con la sopravvivenza globale in pazienti affetti da carcinoma renale in fase avanzata: • Performance status < 80 secon- 28 do Karnosky • Tempo intercorso tra la diagnosi di carcinoma e l’inizio dell’immunoterapia con citochine < a 12 mesi • Valore di emoglobina < al valore limite inferiore del range di normalità • Valore dell’ LDH (lattico deidrogenasi) > 1.5 il valore di normalità • Valore di calcio corretto > 10 mg/dl In base al numero di fattori presenti i soggetti possono essere suddivisi in tre classi prognostiche: • prognosi favorevole: nessun fattore • prognosi intermedia: uno o due fattori • prognosi sfavorevole: tre o più fattori bIbLIOGRAFIA 1. C. Wulfing, E. Herrmann, L. Trojan, A. Schrader, F. Becker, M. Stähler, A. Haferkamp, W. Legal, W. Brenner, A. Hartmann, German Papillary Renal Cancer Study Group. 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La nefrectomia radicale è da molti considerata l’intervento standard: si esegue attraverso un approccio anteriore, con iniziale legatura del peduncolo vascolare renale e prevede l’asportazione in blocco del rene, della ghiandola surrenale e del grasso perirenale fino alla fascia di Gerota. Tuttavia l’incidenza di interessamento del surrene omolaterale con tumori primitivi T1 e T2 é del 2%1; pertanto per la rarità delle metastasi al surrene omolaterale e per la potenziale morbidità associata alla surrenectomia, molti chirurghi ritengono che una ghiandola surrenale macroscopicamente normale non dovrebbe essere asportata con il rene2, 3. La linfadenectomia regionale viene comunemente praticata anche se la sua efficacia non è stata ancora dimostrata 4-6. Recentemente uno studio randomizzato dell’EORTC condotto su 772 pazienti ha dimostrato che, dopo una accurata stadiazione preoperatoria, l’incidenza di metastasi linfonodali riscontrate intraoperatoriamente e non evidenziate negli esami di stadiazione, è bassa (circa 4%) e pertanto non è possibile dimostrare che con la linfadenectomia si ottenga un vantaggio in sopravvivenza7. Nei pazienti non candidabili alla chirurgia si può ricorrere alla radioterapia esterna palliativa o all’embolizzazione dell’arteria renale, sempre a scopo palliativo8, 9. Nei pazienti con carcinoma di stadio I bilaterale (situazione probabile nei pazienti affetti da Sindrome di Von Hipple Lindau) occorre ricorrere a nefrectomie parziali bilaterali oppure a nefrectomie parziali unilaterali associate a nefrectomia radicale controlaterale, o in alternativa a nefrectomia bilaterale associata a trapianto di rene o dialisi. In pazienti selezionati, una nefrectomia parziale (chirurgia nephron-sparing) potrebbe essere indicata nei casi con carcinoma renale sporadico, in particolare se singoli, di piccole dimensioni (< o = 4 cm) e ben localizzati o in caso di tumore in rene solitario10, 11. Ulteriori dati indicano che una nefrectomia parziale comporta un vantaggio a lungo termine della funzionalità renale, rispetto alla nefrectomia in pazienti con un normale rene controlaterale12. La mortalità operatoria è meno dell’1% nei centri con esperienza e la morbidita è di circa il 10% (ematoma retroperitoneale, linfocele, danni splenici). Grazie al maggior impiego delle tecniche di imaging è sempre più frequente il riscontro di piccoli tumori renali che possono essere suscettibili di trattamenti ancor meno invasivi, quali la crioablazione e l’ablazione con radiofrequenze. Queste tecniche presentano i vantaggi della chirurgia mininvasiva riducendo ulteriormente il numero delle complicanze e le giornate di ospedalizzazione13, 14. 33 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Stadio III In presenza di trombosi neoplastica della vena renale si effettua la legatura della vena distalmente al trombo. Se il tumore si estende alla vena cava può essere necessaria una resezione parziale della parete del vaso, ma se c’è infiltrazione della parete o se il trombo è troppo esteso per una (semplice) resezione parziale della parete potrebbe essere necessario asportare una porzione di vena cava15, 16. La linfoadenectomia regionale viene effettuata contemporaneamente alla nefrectomia radicale, anche se non è stato dimostrato il suo ruolo nel prolungare la sopravvivenza. Nel 10-30% dei pazienti è presente interessamento dei linfonodi lombo-aortici alla diagnosi, di questi l’80% sviluppa metastasi viscerali. Si riscontrano all’esame istologico metastasi linfonodali solo nella metà dei pazienti con linfonodi retroperitoneali di aumentato diametro all’esame TC, e nel 6% dei pazienti con linfonodi retroperitoneali di dimensioni normali alla TC. La linfoadenectomia regionale prevede l’asportazione dei linfonodi omolaterali compresi tra il diaframma e la biforcazione dell’aorta e dei linfonodi interaortocavali dell’ilo renale. Se i linfonodi regionali fossero la prima sede di metastasi, l’asportazione di malattia microscopica andrebbe presa in considerazione. Nefrectomia palliativa La nefrectomia palliativa, con finalità citoriduttiva, è diventata terapia standard in alcuni pazienti selezionati sulla base di due studi prospettici in cui il trattamento con interferone alfa (IFNα) veniva preceduto o meno dalla nefrectomia17, 18. Un’analisi 34 combinata di questi studi ha dimostrato un vantaggio di sopravvivenza globale per il gruppo di pazienti sottoposti a nefrectomia (sopravvivenza mediana di 13.6 mesi vs 7.8 mesi), senza differenza significativa di risposte obiettive19. Le ragioni del vantaggio della nefrectomia nella malattia metastatica non sono del tutto chiare. Tra le ipotesi formulate la più semplice è che la riduzione del volume tumorale aumenti il tempo di raggiungimento di un volume tumorale letale. Un’altra spiegazione trova fondamento nelle modifiche che avvengono nel sistema immunitario, come evidenziato dai dati che mostrano un incremento di cellule immunostimolatorie dopo la nefrectomia20-22. Un’altra ipotesi è che la lieve insufficienza renale e la lieve acidosi metabolica cronica che si verificano dopo la nefrectomia inibiscano l’invasività delle cellule tumorali23. Inoltre in seguito alla nefrectomia si può assistere alla riduzione di proteine endogene pro-angiogeniche come il VEGF, che promuovono la crescita tumorale o possono impattare la risposta alle terapie con farmaci antiangionesi. Tuttavia non ci sono studi che valutino l’assetto di tali fattori prima e dopo la nefrectomia o che definiscano un assetto basale di biomarker dell’angiogenesi correlato alla risposta ai nuovi farmaci24. Quindi si possono considerare validi entrambi gli approcci: nefrectomia iniziale in pazienti selezionati seguita da terapia sistemica, o nefrectomia ritardata dopo un adeguato periodo di terapia sistemica. I pazienti candidabili alla nefrecomia a scopo citoriduttivo sono quelli con: performance status 0 o 1 secondo ECOG, tumore primitivo renale re- secabile che rappresenta la maggior parte del volume tumorale presente, assenza di malattia extrarenale a rapida evoluzione, assenza di comorbidità che controindichino l’intervento chirurgico. Posticipare la nefrectomia ad un momento successivo, dopo aver valutato l’attività della terapia sistemica potrebbe essere utile per selezionare ulteriormente i pazienti da sottoporre alla chirurgia. Sono attualmente pianificati due studi prospettici randomizzati per ottenere dati definitivi sulla questione. Chirurgia delle metastasi Quasi il 25% dei pazienti con carcinoma renale presenta metastasi alla diagnosi. La radioterapia o l’embolizzazione arteriosa percutanea sono tecniche valide per ottenere un controllo dei sintomi in pazienti selezionati. Il trattamento chirurgico dei pazienti con malattia disseminata dipende dalla sede e dal numero delle metastasi e dalla presenza di sintomi correlati al tumore primitivo. Nei pazienti con lesione unica cerebrale comparsa più di 1 anno dopo l’asportazione della lesione primitiva, la percentuale di sopravvivenza ad 1 anno dopo metastasectomia e radioterapia è stata il doppio rispetto al gruppo in cui la lesione cerebrale era comparsa meno di un anno dopo l’asportazione del tumore primitivo25. Nei pazienti con metastasi polmonare unica e lungo intervallo libero da malattia dopo la nefrectomia la resezione chirurgica delle metastasi può produrre un DFS > di 5 anni nel 40% dei pazienti26, 27. La resezione di lesioni polmonari nella malattia metastatica costituisce un trattamento efficace che conferisce un vantaggio in so- pravvivenza: la sopravvivenza globale a 5 anni è risultata tra il 30% e 49%28, 29. Queste considerazioni implicano che il tempo di raddoppiamento del tumore primitivo e le interazioni tumore-ospite influenzano profondamente la prognosi dei pazienti con metastasi. Anche se ci sono segnalazioni che la metastasectomia possa influenzare la prognosi dei pazienti con carcinoma renale recidivato non ci sono ovviamente dati provenienti da studi randomizzati30. Ciononostante un tale approccio è tipicamente gravato da meno effetti collaterali rispetto alla terapia sistemica e potrebbe avere importanti benefici in termini di prevenzione di complicazioni locali. RADIOtERAPIA Il carcinoma renale è considerato radioresistente e chemioresistente. Tuttavia i modelli sperimentali e l’esperienza clinica sull’utilizzo della radioterapia sulle metastasi indicano che una parte di questi pazienti potrebbe trarre beneficio dalla radioterapia effettuata dopo la nefrectomia. Gli studi più datati riportano un aumento delle complicanze usando tecniche di radioterapia convenzionali 31. Quattro studi randomizzati hanno indagato il ruolo neoadiuvante o adiuvante della radioterapia: nessuno di questi ha dimostrato un vantaggio in sopravvivenza nei pazienti sottoposti a radioterapia, mentre in tre di essi si è evidenziata una tendenza verso una peggior sopravvivenza. Alcuni di essi sono vecchi studi in cui il trattamento radioterapico utilizzato era subottimale e gravato da notevole tossicità, e nessuno studio ha arruolato un numero 35 I Tumori del Rene e dell’Urotelio sufficiente di pazienti per poter dimostrare o escludere una differenza significativa in termini di sopravvivenza 32-34. L’impiego di tecniche radioterapiche più sofisticate comporta meno complicanze correlate al trattamento35. Con l’introduzione della radioterapia conformazionale tridimensionale e dei sistemi di trattamento ad intensità modulata, è ora possibile erogare a scopo adiuvante dosi maggiori di radiazioni con minor tossicità. Uno studio retrospettivo ha riportato i risultati della radioterapia post-operatoria, effetuata con piano TC, in pazienti selezionati in base alla positività dei margini chirurgici o dell’estensione perirenale della malattia: nei pazienti sottoposti solo a nefrectomia il tasso globale di recidiva locale risultava del 100% versus il 30% dei pazienti sottoposti a radioterapia post-operatoria36. Tuttavia sono necessari studi randomizzati riservati a pazienti ad alto rischio per valutare pienamente il beneficio della radioterapia adiuvante in termini di controllo locale. La radioterapia assume un ruolo maggiore quando utilizzata con finalità palliativa sulle lesioni metastatiche, con un tasso di risposta globale che varia tra 50 e 70%37. Voluminose lesioni metastatiche come quelle del letto renale richiedono alte dosi di radiazioni per ottenere una palliazione e, in generale, questo approccio è efficace in meno del 50% dei pazienti trattati. Le metastasi ossee sintomatiche generalmente traggono beneficio dal trattamento radiante sia per il miglioramento del dolore sia per la riduzione del numero di fratture patologiche. Le metastasi cerebrali di carcinoma renale sono spesso complicate da emorragia e il rapido inizio della radioterapia può fermarne la 36 progressione. Per le lesioni uniche cerebrali o del rachide, si può prendere in considerazione la chirurgia seguita da radioterapia. In pazienti selezionati con un buon performance status e lesione solitaria va valutata anche l’opportunità di somministrare alte dosi con la radiochirurgia da sola o in combinazione con una irradiazione panencefalica38. La radioterapia gamma knife mostra risultati simili alla chirurgia in presenza di non più di 3 lesioni e con dimensioni inferiori a 3-4 cm. tERAPIA ADIUVAntE L’osservazione rimane lo standard nei pazienti sottoposti a nefrectomia per tumori localizzati. Ci sono tre studi di fase III di terapia adiuvante con IFNα versus l’osservazione nei pazienti sottoposti a nefrectomia con resezione completa di carcinoma renale localmente avanzato. Nessuno degli studi ha dimostrato un aumento del tempo alla recidiva o un miglioramento della sopravvivenza globale con la sommnistrazione di interferon alfa, il cui utilizzo è, pertanto, non raccomandato39-41. Non ci sono dati di studi di terapia adiuvante con interleukina-2. Il trattamento chemioterapico adiuvante nel carcinoma renale non può essere raccomandato per la scarsa attività dei farmaci citotossici. Nei pazienti ad alto rischio di recidiva dopo la nefrectomia sono state esaminate nuove tecniche, per esempio sono in corso studi di fase III con i vaccini, volti a potenziare la risposta immunitaria antitumorale. Sono attualmente in corso alcuni studi randomizzati di terapia adiuvante che utilizzano i nuovi farmaci. Ne citiamo alcuni: • S-TRAC TRIAL, studio randomizzato di fase III a doppio cieco che confronta il trattamento adiuvante con Sunitinib 50 mg/die x 4 settimane + 2 settimane di pausa per una anno, verso placebo, nei pazienti con carcinoma renale a cellule chiare ad alto rischio dopo nefrectomia, previsto l’arruolamento di 236 pazienti. • ASSURE TRIAL in cui i pazienti con T1b/T2 alto grado, oppure T3/T4 di ogni grado, vengono randomizzati dopo la nefrectomia, al trattamento con Sorafenib, Sunitinib, o placebo, per 1 anno. Lo studio prevede l’iclusione di 1300 pazienti e l’accrual è iniziato nel 2006 • SORCE TRIAL che confronta il Sorafenib con il placebo nei pazienti con carcinoma renale operato ad intermedio ed alto rischio di recidiva. I pazienti vengono stratificati per fattori di rischio e successivamente randomizzati in 3 gruppi: Sorafenib x 3 anni, placebo per 3 anni, e Sorafenib per 1 anno seguito da placebo per 2 anni. tRAttAMEntO DEL CARCInOMA REnALE MEtAstAtICO Immunoterapia L’ipotesi che ci sia un ruolo dei meccanismi immunologici nel carcinoma renale è sorta dall’osservazione clinica di alcuni casi di remissione spontanea di metastasi solitarie; di remissione, in alcuni pazienti, di metastasi dopo nefrectomia; della presenza di infiltrato linfocitario nel tumore primitivo. Gli studi clinici di immunoterapia hanno confermato tale ipotesi, dimostrando l’attività di IFNα, interleukina 2 (IL2), combinazioni di citochine, e combinazioni di linfociti (cellule LAK “lymphocyteactivated killer” o cellule TIL “tumorinfiltranting lymphocytes”) con citochine. La terapia con citochine ha rappresentato il trattamento standard di I linea per il carcinoma renale metastatico fino a pochi anni fa. Gli interferoni (IFns) sono glicoproteine naturali con proprietà antivirali, antiproliferative e immunomodulatorie: possiedono un effetto antiproliferativo diretto sulle cellule tumorali, stimolano le cellulle mononucleate del sistema immunitario e favoriscono l’espressione degli antigeni maggiori di istocompatibilità42. Tre sono le classi maggiori: IFN alfa, prodotto dai leucociti, IFN beta, prodotto dai fibroblasti e IFN gamma, prodotto dai linfociti attivati. Gli IFNs, sia naturali che ricombinanti, hanno mostrato di essere attivi nel carcinoma renale. La percentuale di risposte globali oscilla tra il 12 e il 14%. Non ci sono differenze in termine di riposte usando IFNs diversi. L’IFNα è stato somministrato secondo vari tipi di schedule, la più comunemente impiegata prevede la somministrazione sottocutanea per 3 volte a settimana di dosi da 6 a 20 milioni di unità. Ci sono alcune evidenze di correlazione dose-risposta ma purtroppo la possibilità di incrementare la dose è limitata dalla tossicità (febbre e sindrome simil-influenzale, anoressia, perdita di peso, depressione, fatigue). In una revisione effettuata dalla Cochrane di 6 studi clinici randomizzati, con un totale di 963 pazienti, l’hazard ratio per la sopravvivenza è risultato 0.78 (intervallo di confidenza 0.67-0.90), che si traduce in un aumento della sopravvivenza di 2.6 mesi43. In generale i pazienti che traggono beneficio dal trattamento con interferone so37 I Tumori del Rene e dell’Urotelio no quelli con malattia non bulky, con metastasi polmonari o ai tessuti molli, con performance status secondo ECOG tra 0 e 1, che non presentano calo ponderale. Riassumendo, nel carcinoma renale disseminato si ottiene una piccola ma consistente percentuale di risposte con l’IFNα, ma questo risultato va rapportato alla tossicità di una terapia cronica e alla mancanza di un documentato beneficio a lungo termine44-46. terapia cellulare: Una delle esperienze più interessanti nel campo dell’immunoterapia per il tumore del rene è stata la terapia adottiva messa a punto da Rosenberg utilizzando le cellule LAK (lymphokine-activated killer) e l’interleukina (IL2)47. IL2: questa citochina, con attività di fattore di crescita e attivatore delle cellule T e natural killer, è stata per lungo tempo l’unico farmaco approvato dall’FDA per il trattamento del carcinoma renale metastatico. I risultati migliori si sono ottenuti dal trattamento endovenoso con alte dosi di IL2, sia per il numero di risposte globali (17-27%) sia per la possibilità di ottenere, nel 5-7% dei pazienti, una risposta completa e duratura48, 49. Di solito sono i pazienti giovani, con buon performance status e un limitato volume di malattia con metastasi polmonari, ad andare incontro a una risposta completa di malattia che si mantiene nel tempo. (36). Purtroppo il trattamento con alte dosi di IL2 non è estendibile a tutta la popolazione, sia per la necessità di ricovero ospedaliero, sia per la tossicità da cui è gravato: aumento di peso (50% dei pazienti), oliguria, ipotensione, nausea e vomito, diarrea, brividi, prurito, secchezza cutanea, sopore e coma, distress respiratorio, angina, infarto del miocardio, aritmia. Inoltre 38 quando il trattamento con alte dosi endovenose è confrontato con la somministrazione sottocutanea (più maneggevole, perché non necessita di ricovero, e meno tossica) il beneficio in termini di risposte non si traduce in miglior DFS o OS50, 51. Combinazioni di citochine: sulla base del sinergismo di attività evidenziato in alcuni modelli preclinici sono stati condotti studi di confronto con citochine da sole o in combinazione, prevalentemente somministrate per via sottocutanea52,53. In studi di fase II e III, le combinazioni hanno riportato tassi di risposte simili a quelli osservati con le alte dosi di IL254. Tuttavia, secondo uno studio francese randomizzato, il significativo aumento del tasso di riposta con la combinazione IL2 più IFNα, non si è tradotto in un aumento della sopravvivenza55. Altri piccoli studi randomizzati non hanno dimostrato alcun vantaggio dalla terapia di combinazione con IL2 e IFNα. Concludendo, il trattamento con citochine, come agenti singoli, produce un tasso di risposta compreso tra il 10 e il 20%, con scarsa sopravvivenza a lungo termine. A fronte del dato interessante del 5-7% di risposte complete e durature ottenute dal trattamento con IL2 ad alte dosi per via endovenosa, la somministrazione di basse dosi di IL2 rimane una opzione terapeutica per i pazienti in regime di day hospital o ambulatoriale: l’arruolamento dei pazienti in ulteriori studi clinici che prevedano tali modalità è raccomandato. Chemioterapia La chemioterapia non è attiva nel carcinoma renale. Sono stati testati molti agenti chemioterapici, ma la maggior parte di essi ha dimostrato una percentuale di risposte inferiore al 10%: dalla metanalisi condotta da Yagoda, che ha analizzato tutti gli studi pubblicati dal 1983 al 1993, per un totale di 4903 pazienti, emerge un tasso di risposta alla monochemioterapia non superiore al 6%56. Solo tre agenti somministrati singolarmente hanno ottenuto risposte obiettive ma con un attività marginale (scarsa): floxuridina, 5 fluorouracile (5FU), vinblastina. In 14 studi la floxuridina ha ottenuto un 12% di response rate. Per il 5FU, inizialmente usato in combinazione con l’immunoterapia, il tasso di risposte è stato leggermente inferiore, con il 10% di risposte globali quando somministrato come agente singolo in infusione e il 19% in combinazione con l’nterferon. Risultati simili sono stati riportati per la vinblastina57, 58. Recentemente sono stati testati nuovi agenti tra cui i taxani, camptotecine, antracicline, agenti antifolati e alchilanti. Ancora una volta il carcinoma renale ha confermato la sua natura refrattaria ai farmaci. Una delle ragioni della chemioresistenza è stata identificata nella overespressione della P-glycoprotein, un trasportatore di membrana appartenente alla famiglia delle “multidrug resistance protein” (MDR). Circa l’80% delle cellule neoplastiche esprimono il gene MDR59. Anche per quanto riguarda gli schemi di associazione i risultati non sono migliori: la combinazione di 5FU e gemcitabina ha prodotto un tasso di risposte dell’11%60, mentre un ampio studio con gemcitabina e capecitabina ha mostrato percentuali di risposta circa del 10%. La combinazione di immunoterapia con farmaci citotossici (vinblastina, fluoxuridina, 5FU) non ha prodotto alcun impatto sulla sopravvivenza61. Dai dati della letteratura si conclude che non c’è un regime standard di chemioterapia per il carcinoma renale e la chemioterapia non è raccomandata al di fuori di studi clinici62, 63. Ormonoterapia L’ipotesi che l’endocrinoterapia possa essere utile si basa sull’osservazione che la prolungata somministrazione di estrogeni induce tumori renali nelle cavie maschio Syrian Golden. Tale osservazione costituisce il razionale dell’approccio ormonale con la somministrazione di un agente progestinico nei pazienti con carcinoma renale avanzato. È stata valutata un’ampia gamma di agenti progestinici, a volte con testosterone ed antiestrogeni, da soli o in combinazione con corticosteroidi. Le risposte obiettive sono state inferiori al 10%: la maggior parte di queste erano risposte parziali, rare le risposte complete64. All’inizio degli anni ‘70 sembravano promettenti gli studi di endocrinoterapia con medrossiprogesterone acetato, ma usando criteri più rigorosi nella definizione delle risposte obiettive le risposte globali furono meno del 5%65, 66. Il tamoxifene ha ottenuto un beneficio scarso se non nullo67. Studi con flutamide e antiestrogeni non hanno riportato alcun beneficio. La maggioranza dei pazienti con carcinoma renale avanzato, quindi, non otterrà alcuna risposta significativa con la manipolazione ormonale sia con agenti singoli che in combinazione. nUOVI FARMACI A bERsAGLIO MOLECOLARE La ricerca su nuovi farmaci è basata sulla scoperta delle vie di segna39 I Tumori del Rene e dell’Urotelio le che mantengono in vita la cellula tumorale al fine di identificare dei target, la cui inibizione possa indurre la morte cellulare68. Nel carcinoma renale a cellule chiare (RCC) sono emersi come pathway clinicamente significativi la via del VEGF (vascular endothelial growth factor) e la via di mTOR (mammalian target of rapamycin), entrambe implicate nella regolazione della produzione del fattore di trascrizione HIF (hypoxia inducible factor). Nel carcinoma renale a cellule chiare è l’alterazione del gene oncosoppressore VHL (von Hippel-Lindau), e perciò l’inattivazione della proteina da esso codificata, la causa di una aumentata attività di HIF che porta alla produzione di nuovi vasi che alimentano il tumore mediante l’attivazione della trascrizione dei geni per fattori pro-angiogenici (VEGF, PDGFβ, TGFα)69, 70. L’inattivazione di VHL avviene tramite la delezione di un allele (LOH, “loss of hetrozygosity”, riscontrabile nel 90% di RCC spoFigura 1: Vie di segnale attivate nel RCC, target per nuovi farmaci. radico), e tramite mutazione genica (circa nell’80%) o metilazione ( nel 5-10%) dell’altro allele71, 72. Nel carcinoma renale a cellule chiare è stata documentata anche l’attivazione della via di mTOR che ha come effetto un aumento dell’attività di HIF e di altri regolatori del ciclo cellulare, come la ciclica D1 e c-myc73-75. Nel RCC risulta inoltra attivata la via dell’EGFR. Il primo farmaco ad azione antiangiogenica studiato nel tumore renale è la talidomide che inibisce l’angiogenesi indotta dal “basic fibroblast growth factor” (bFGF) e dal VEGF. Sono stati pubblicati sei studi sulla talidomide impiegata come agente singolo nel RCC metastatico: la percentuale di risposte globali è risultata bassa (6%) e caratterizzata da un tardivo raggiungimento della massima riduzione tumorale, mentre è stato riscontrato in tutti gli studi un alto tasso di stabilizzazione di malattia76, 77. Studi di fase I/II di associazione con Cell Stimuli (e.g. growth factors) TUMOR CELL FKBP Inactivated VHL tumor suppressor gene Temsirolimus PI3-K PTEN Bevacizumab VHL Akt HIFα HIFα Pro Pro Hypoxia OH Normoxia and normal VHL gene mTORC1 Raptor mL5T8 p70S6K GßL HIFα HIFα 4E-BP1 eIF-4E Pro P eIF-4E 4E-BP1 P HIFα Pro Pro Ub Ub Ub Ub Sunitinib Sorafenib VEGF OH PDGFR VHL Pro HIFα VEGFR E3 Ligase PDGF HIFα Pro mRNA translation Cyclin D1 c-Myc HIFα Cell growth and survival 40 OH Pro Transcriptional activation of HIF target genes Proteasome-mediated degradation of HIF ENDOTHELIAL CELL citokine hanno riportato percentuali di risposta maggiore. Amato e coll hanno riportato, in uno studio su 52 pazientti, un controllo di malattia pari al 52%, con 8% di risposte complete e 29% risposte parziali, con l’associazione di talidomide e IL278.Hernberg e coll hanno utilizzato una combinazione di IFN-alfa per 3 somministrazioni giornaliere e talidomide iniziando con 100mg/die con aumenti di dose fino a 300 mg/ die79. Sei pazienti (20%) su 30 hanno ottenuto una risposta parziale e 17 (63%) una stazionarietà di malattia persistente per almeno 3 mesi. Il tempo mediano alla progressione è stato di 7,8 mesi con una sopravvivenza libera da progressione di 6,9 mesi ed una sopravvivenza globale di 15,5 mesi. Gli effetti collaterali più comuni sono stati sonnolenza, costipazione e neuropatia periferica. Sono in corso altri studi che dovrebbero fornire ulteriori elementi per definire meglio il ruolo della talidomide nel carcinoma renale. Tra i nuovi farmaci alcuni sono piccole molecole “small molecules” che inibiscono la porzione intracellulare del recettore del VEGF, tra questi il Sunitinib e il Sorafenib sono i più studiati, mentre più recenti sono i dati relativi ad Axitinib e Pazopanib. Questi farmaci vengono somministrati per via orale e presentano tra loro delle differenze non solo per la potenza di inibizione del VEGF-R, ma anche per lo spettro di recettori tirosin kinasici che inibisono. Il Bevacizumab è un anticorpo monoclonale, somministrato per via endovenosa, che si lega e neutralizza il VEGF circolante, ma non il VEGF legato al recettore. Un altro gruppo è costitiuto dagli inibitori di mTOR , come Temsirolimus ed Everolimus, che influenzano la trascrizione di HIF senza effetti diretti su VEGF e VEGFR. SUNITINIB80: l’efficacia di sunitinib nel RCC è stata evidenziata fin dai primi studi di fase II in cui il farmaco ha ottenuto un tasso di risposte obiettive nei pazienti pretrattati con citochine del 34-40%, cioè 2-3 volte maggiore di quanto ottenuto dalle citochine in prima linea81, 82. Successivamente è stato condotto uno studio randomizzato di fase III, di confronto tra sunitinib e IFNα, come trattamento di prima linea per il carcinoma renale metastatico. In questo studio, che ha portato all’approvazione del farmaco in prima linea, con sunitinib si è ottenuta una PFS mediana più che raddoppiata rispetto a IFNα (11 vs 5 mesi) con una riduzione del 58% del rischio di progressione (hazard ratio 0,42, IC 95%: 0,32-0,54; p<0,001)83. Sunitinib ha evidenziato inoltre un netto miglioramento delle risposte obiettive (47% vs 12%) e della qualità della vita rispetto a IFNα84. E’ stato recentemente pubblicato l’aggiornamento finale del dato di sopravvivenza globale: la mediana di sopravvivenza è 26,4 mesi85. SORAFENIB 86: L’attività di Sorafenib per il trattamento del RCC in pazienti pretrattati con citochine è stata dimostrata inizialmente in uno studio di fase II, in cui tutti i 202 pazienti inclusi ricevevano il Sorafenib; in una seconda fase dello studio continuavano la terapia solo quelli in risposta, mentre quelli con malattia stabile venivano randomizzati a proseguire il 41 I Tumori del Rene e dell’Urotelio farmaco sperimentale o a ricevere placebo87. Dopo le prime dodici settimane il 36% dei pazienti aveva una riduzione tumorale pari ad almeno il 25%. Successivamente alla randomizzazione i pazienti liberi da progressione dopo 12 settimane di Sorafenib erano il 50% contro il 18% di quelli trattati con placebo, con una mediana di 24 settimane per Sorafenib contro 6 settimane per placebo (p= 0,0087). Nel successivo studio di fase III di confronto tra sorafenib e placebo condotto in 903 pazienti pretrattati con citochine (studio TARGET)88, Sorafenib ha dimostrato un vantaggio significativo rispetto al placebo in termini di PFS (5.5 vs 2.8 mesi, p< 0,001) ed un trend favorevole in sopravvivenza globale, che però non ha raggiunto la significatività statistica probabilmente a causa del crossover precocemente autorizzato dagli sperimentatori dopo l’analisi ad interim programmata. Da un’analisi dei pazienti anziani (> 70 anni) arruolati in questo studio si evince un effetto positivo di Sorafenib anche in questo sottogruppo89. I principali effetti collaterali sono stati la diarrea (43%), l’ipertensione arteriosa (17%), il rash cutaneo (40%) e la sindrome mano-piede (30%). Sulla scorta dei dati ottenuti in seconda linea sorafenib è stato confrontato con IFNα in uno studio di fase II randomizzato in pazienti non pretrattati90: il trattamento con Sorafenib ha dimostrato una migliore tollerablità ma nessuna differenza in PSF rispetto a IFNα (5.7 vs 5.6 mesi). In considerazione di questi dati sorafenib costituisce il trattamento di riferimento dopo fallimento di una terapia con citochine. Alcuni stu42 di randomizzati hanno dimostrato come le combinazioni tra Sorafenib e IFNα o IL2 siano fattibili e possano aumentare l’efficacia terapeutica della monoterapia con solo Sorafenib. Alcuni studi retrospettivi hanno rilevato l’assenza di resistenza crociata tra TKI e supportano l’attuazione di sequenze terapeutiche tra inibitori multichinasici. AXITINIB (AG 013736): Axitinib è una piccola molecola somministrata per via orale, che inibisce tutte le isoforme di VEGFR, PDGFRβ e c-Kit ed è caratterizzata da un profilo accettabile di tossicità costituito soprattutto da ipertensione arteriosa e stomatite. La sua attività nel mRCC è stata determinata in uno studio di fase II condotto su 52 pazienti nefrectomizzati in progressione dopo citochine, in cui il farmaco ha ottenuto un promettente 44% di risposte91. Più di recente Axitinib è stato testato in pazienti refrattari a Sorafenib ottenendo 15% di risposte e un 35% di stabilità92. PAZOPANIB (GW 786034): Pazopanib ha caratteristiche simili a quelle di Axitinib 93. Uno studio di fase II randomizzato verso placebo è stato condotto in una popolazione che comprendeva sia pazienti non pretrattati che pretrattati con citochine94. In un’analisi ad interim il 40% dei 60 pazienti arruolati aveva evidenziato una risposta obiettiva, con un ulteriore 42% in stabilità di malattia della durata di almeno 12 settimane. L’elevata percentuale di risposte ha condotto alla chiusura del braccio placebo ed alla progettazione di uno studio di fase III i cui risultati sono stati presentati all’ASCO 2009. Lo studio ha arruolato 435 pazienti con carcinoma a cellule chiare, non pretrattati o pretrattati con citochine per la malattia metastatica. Essi sono stati randomizzati (2:1) a ricevere Pazopanib 800 mg/die vs placebo fino a progressione o tossicità95. La PFS è risultata significativamente a favore di Pazopanib nell’intera popolazione (9.2 vs 4.2 mesi; HR: 0.46; p< 0,0000001), nei pazienti non protrattati (11.2 vs 2.8 mesi; HR: 0.40; p<0,0000001) ed in quelli pretrattati con citochine (7.4 vs 4.2 mesi; HR: 0.54; p< 0,001). Le risposte obiettive riportate erano il 30% con Pazopanib vs 3% con placebo con una durata media di 58.7 settimane. I principali eventi avversi di grado severo sono stati la diarrea (4%), ipertensione (4%), le discromie dei capelli (<1%), la nausea (<1%), l’anoressia (2%), il vomito (2%), oltre alle alterazioni asintomatiche delle transaminasi (12%). I dati di sopravvivenza globale non sono ancora maturi e verranno presentati il prossimo anno. BEVACIZUMAB 96: il primo studio di fase II randomizzato, pubblicato da Yang nel 2003 su NEJM, aveva stabilito che nel mRCC la dose di Bevacizumab 10 mg/kg ogni 3 settimane allungava la PFS in pazienti pretrattati per la malattia metastatica, sia rispetto al placebo (4.8 vs 2.5 mesi) che rispetto ad una dose più bassa dello stesso Bevacizumab (3 mg/kg) 97. L’attività sinergica di IFNα e Bevacizumab ha poi fornito il razionale perché questa doppietta costituisse il braccio sperimentale dello studio di fase III randomizzato in doppio cieco AVOREN98. I 649 pazienti arruolati avevano un carcinoma a cellule chiare oppure una forma mista con almeno il 50% di cellule chiare e sono stati randomizzati a ricevere, fino a progressione di malattia, IFNα 9 MU 3 volte alla settimana (con possibile riduzione di dose a 6 o 3 MU) + Bevacizumab 10 mg/ kg ogni 2 settimane (BEV-IFN) oppure IFNα + placebo. L’associazione di Bevacizumab + IFN ha ottenuto un vantaggio statisticamente significativo in PFS (mediana 10.2 vs 5.4 mesi; HR = 0.63; p= 0,0001) ed in termini di risposte (31% vs 13%) rispetto al braccio di controllo. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, obiettivo primario dello studio, l’analisi finale è stata presentata all’ASCO 2009 ad un follow-up mediano di 22 mesi99. Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa fra i due regimi (OS mediana 23.3 vs 21.3 mesi), con una riduzione del rischio di morte a favore di Bevacizumab + IFN che non va oltre, anche dopo stratificazione per classe di rischio, il 14% (p= 0,12). Lo studio americano CALGB 90206 utilizzava un disegno statistico identico all’AVOREN ma non prevedeva il placebo nel braccio di controllo100, 101. Per quanto riguarda la PFS rispetto all’AVOREN si confermano sia il miglioramento significativo a vantaggio del braccio sperimentale (mediana: 8.4 vs 4.9 mesi; HR= 0,71; p< 0,0001) sia le risposte obiettive, quasi il doppio rispetto a quelle dei controlli. In termini di sopravvivenza globale la differenza tra i due regimi non raggiunge la significatività statistica nella popolazione intention-to-treat (18.3 43 I Tumori del Rene e dell’Urotelio vs 17.4 mesi; p = 0,069), confermando una riduzione del rischio di morte del 14% che è inferiore a quanto previsto dal disegno statistico. La percentuale dei pazienti vivi a 3 anni è stimata intorno al 30-35% sia nello studio CALGB sia nell’AVOREN. Tuttavia risultati preliminari di alcuni studi indicano PFS e RR maggiori dell’atteso con Bevacizumab o IFNα in monoterapia102, mentre altri dati dimostrano che l’efficacia è conservata con basse dosi di IFNα103. TEMSIROLIMUS104, 105: inibisce la chinasi 1 del complesso della rapamicina che viene somministrato per via endovenosa. Nello studio di fase II su pazienti pretrattati sono stati confrontat tre diversi dosaggi settimanali del farmaco (25 mg, 75 mg e 250 mg) senza ottenere alcuna differenza significativa in termini di attività106. A fronte di un esiguo 5% di risposte si è ottenuta una discreta PFS (5.8 mesi) ed una sopravvivenza mediana di quasi 15 mesi. Il 40% dei pazienti in questo studio era ad alto rischio di ricaduta secondo MSKCC: la PFS mediana in questo gruppo era compresa tra 7.1 ed 8.5 mesi a seconda della dose utilizzata conro i 4 mesi identificati dal gruppo MSKCC nella loro analisi retrospettiva. Il successivo studio randomizzato di fase III ha perciò confrontato in prima linea Temsirolimus vs IFNα vs i due farmaci in combinazione nei pazienti a prognosi sfavorevole107. La superiorità di Temsirolimus rispetto ad interferone si è manifestata sia in termini di PFS che di OS, con una sopravvivenza mediana che sfiora gli 11 mesi ed una riduzio44 ne del rischio di morte del 27% rispetto ad interferone. Il braccio di combinazione non è risultato superiore alla monoterapia. Gli eventi avversi più comuni sono risultati: anemia, astenia, dispnea, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia ed iperglicemia. Queste ultime riflettono l’inibizione del metabolismo dei lipidi e dei glucidi mediato da mTOR. Attualmente Temsirolimus, alla dose di 25 mg/settimana, è l’opzione di scelta nel trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma renale metastatico a prognosi sfavorevole secondo i criteri MSKCC. EVEROLIMUS: è un inibitore del pathway m-TOR che viene assunto per via orale. All’ASCO 2007 sono stati presentati i risultati di uno studio di fase II che evidenziava un interessante tasso di risposte in pazienti pretrattati sia con citochine che con farmaci multitarget108. Successivamente è partito uno studio di fase III di confronto verso placebo in 410 pazienti pretrattati con Sorafenib e/o Sunitinib109. Everolimus ha raddoppiato la PFS rispetto a placebo (4 mesi vs 1.9 mesi) riducendo di circa il 70% il rischio di ripresa di malattia. Questo vantaggio è risultato evidente in tutti i pazienti indipendentemente dalla classe prognostica di rischio. PROPOSTA DI ALGORITMO: Tabella 1. Al momento attuale nessuno studio sul trattamento di I linea del RCC metastatico, compresi gli aggiornamenti dell’AVOREN e del CALGB presentati all’ASCO 2009, ha raggiunto e superato i 26.4 mesi di sopravvivenza globale ottenuti tAbELLA 1: PROPOstA DI ALGORItMO PER IL tRAttAMEntO DEL CARCInOMA REnALE MEtAstAtICO In bAsE ALLE CLAssI DI RIsCHIO sECOnDO MsKCC (PrOCOPIO G, TuMOrI 2009) Carcinoma renale a cellule chiare terapia di prima scelta Opzioni di seconda scelta Non pretrattati Rischio prognostico: favorevole o intermedio Rischio prognostico: sfavorevole Sunitinib o Bevacizumab + IFNα Temsirolimus IL2 alte dosi Trial clinico Sunitinib Trial clinico Pretrattati con citokine Sorafenib Sunitinib con farmaci multitarget Everolimus* TKI Trial clinico Carcinoma renale non a cellule chiare terapia di prima scelta Altre opzioni Tutti Temsirolimus Sunitinib, Sorafenib * Non ancora approvato in Italia. da Sunitinib. In considerazione di ciò all’ultimo congresso ASCO è stato ribadito che, sebbene la combinazione bevacizumab + interferone alfa rimanga un’opzione terapeutica adeguata per i pazienti a prognosi buona e intermedia, i dati di efficacia di sunitinib rimangono superiori in termini di risposte obiettive, sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione, favorendone quindi l’impiego quale terapia standard di riferimento per il trattamento di prima linea del mRCC. E’ importante tener conto dei dati emersi dagli studi per cercare di individualizzare il trattamento. Per esempio il sunitinib può essere il farmaco appropriato per un paziente con malattia bulky, sintomatico, in cui si vuole ottenere una rapida risposta obiettiva; oppure nei pazienti con malattia metastatica limitata che potrebbero essere candidati a radicalizzazione chirurgica. Stanno emergendo alcuni dati di metastasectomia dopo esposizione a farmaci a bersaglio molecolare110. Per i pazienti ad alto rischio, cioè con tre o più fattori di rischio, in- vece è stato dimostrato un vantaggio in sopravvivenza con il temsirolimus. Da analisi di sottogruppo di altri studi sembra che anche il sunitinib, possa avere un effetto favorevole nei pazienti ad alto rischio111. Il sistema più comunemente usato per la definizione delle classi di rischio è quello del Memorial Sloan Kettering Cancer Center. Deriva dallo studio di una coorte di pazienti con tumore renale metastatico trattati con IFNα ed include: performance status secondo Karnofsky inferiore a 80%, lattico deidrogenasi maggiore di 1.5 volte al limite superiore di normalità, emoglobina inferiore al limite inferiore di normalità, calcemia corretta maggiore di 10 mg/dL, tempo intercorso dalla diagnosi di RCC all’inizio del trattamento inferiore ad 1 anno112. In base a questi valori i pazienti sono suddivisi in tre gruppi di basso, intermedio ed alto rischio e, sebbene il sistema sia stato costruito su pazienti non trattati con terapie a bersaglio molecolare, rispecchia perfettamente l’andamento del trattamento con questi farmaci. Un sesto criterio, e cioè numero di siti 45 I Tumori del Rene e dell’Urotelio metastatici ≥ 3 è stato introdotto da un analisi che ha validato i fattori di rischio del MSKCC113. Un punto critico nella valutazione dell’attività di questi nuovi farmaci è rappresentato dai criteri di valutazione della risposta: infatti secondo i criteri RECIST il tasso di riposta varia dal 1% (Everolimus) al 10% (Sorafenib, Bevacizumab, Temsirolimus) al 40% (Sunitinib), ma circa nel 60-75% dei pazienti si osserva una riduzione del volume tumorale dall’inizio del trattamento e un raddoppiamento del PFS rispetto alla terapia standard. I criteri di Choi, che hanno dimostrato un valore prognostico e predittivo di sopravvivenza in altre patologie, necessitano di validazione prima di un loro utilizzo su larga scala nei pazienti con mRCC. Esistono alcuni dati sull’impiego di questi farmaci anche nei tumori renali non a cellule chiare114. In particolare si evince un’attività del temsirolimus sui tipi istologici non a cellule chiare da un analisi di sottogruppo nello studio di fase III. La cosa più importante da considerare nella scelta del farmaco da impiegare nel trattamento è la sopravvivenza globale. Tuttavia, nonostante sia chiaro che la sopravvivenza è stata significativamente aumentata dall’introduzione di questi nuovi farmaci rispetto ai controlli storici, è difficile dire quale farmaco o quale sequenza conduca alla maggior sopravvivenza. Per esempio nello studio di fase III del Sunitinib vs IFN, la sopravvivenza mediana dei pazienti trattati con sunitinib era 26.4 mesi, rispetto a 21.8 mesi dei pazienti trattati con IFN. Ma molti pazienti del braccio IFN hanno ricevuto sunitinib alla progressione 46 e pertanto il dato sulla sopravvivenza con sunitinib è sottostimato115. La sopravvivenza nei pazienti con carcinoma renale refrattario trattati con Sorafenib è risultata essere di 17.8 mesi rispetto ai 15.2 mesi nei pazienti del braccio placebo. Tuttavia analizzando i pazienti del braccio placebo successivamente passati a trattamento con Sorafenib la sopravvivenza con Sorafenib rispetto a placebo è risultata essere di 17.8 mesi vs 15.2 mesi116. Per quanto riguarda la qualità di vita ci sono studi con singoli farmaci, ma non sono comparativi116, 117. È importante tener presente la qualità di vita soprattutto nei pazienti che vengono sottoposti a trattamenti di lunga durata, per questo si può optare per trattamenti meno tossici purchè nella scelta non si vada a scapito di una minor efficacia del trattamento, infatti la progressione di malattia comporta altri sintomi e morbilità. Un punto ancora da chiarire è quando iniziare il trattamento. Infatti c’è un sottogruppo di pazienti con RCC metastatico che ha un limitato volume di malattia, a lenta crescita. Per esempio nello studio randomizzato sulla discontinuità del trattamento con Sorafenib si è osservato che 28 pazienti assegnati al gruppo che iniziava placebo dopo 12 settimane di Sorafenib e che riprendeva il Sorafenib alla progressione, il PFS mediano era di 24 settimane, cioè esattamente uguale al gruppo che non interrompeva il trattamento con Sorafenib119. Questi dati suggeriscono che ci sono pazienti in cui il trattamento può essere dilazionato senza che ne sia compromessa l’efficacia. Su questo argomento sono necessari studi prospettici. tRAPIAntO ALLOGEnICO Fra i tumori solidi il carcinoma renale a cellule chiare è quello che maggiormente beneficia, per le ragioni già esposte, di una immunoterapia. Per queste ragioni il trapianto di cellule staminali allogeniche è stato esplorato nel RCC, e i risultati finora ottenuti sicuramente non sono da trascurare120. Nel 2000 Childs ha pubblicato la prima serie di pazienti con RCC trattati con trapianto allogenico non mieloablativo riportando, in pazienti refrattari alle citochine, una percentuale di risposte del 53%, tra cui alcune complete. In un aggiornamento successivo si evidenziava una mortalità correlata al trapianto dell’8% (nella metà dei casi dovuta a complicanze della GVHD). Le risposte si verificavano in media dopo 160 giorni dal trapianto (range 30-425 giorni) 121. Successivamente sono stati pubblicati altri lavori analoghi in cui sono stati utilizzati diversi regimi di condizionamento e di profilassi della GVHD (tabella 2)122-133. La percentuale di risposte variava da 0 a 57%, con alcune risposte complete e durature. La risposta al trapianto era più frequente in pazienti con un numero limitato di siti metastatici, per esempio metastasi solo polmonari, e in caso di tumori a lenta progressione. Inoltre la risposta si verificava solo nei tumori renali a cellule chiare e non negli altri tipi istologici. La TRM (mortalità correlata al trapianto) in questi primi studi varia da 0 a 33% ed è chiaramente associata al PS pre-trapianto, che era variabile a seconda delle casistiche. Recentemente Bregni et al hanno riportato i risultati dopo follow-up mediano di 65 mesi, di una casistica di 25 pazienti refrattari al trattamento con citochine sottoposti a trapianto allogenico ad intensità ridotta: la sopravvivenza ad 1 anno era del 48% e a 5 anni del 20%134. Lo studio più numeroso di allotrapianto nel RCC riportato finora (124 pazienti) è quello che include gli studi prospettici del gruppo francese ITAC (French Immunotherapy and Cancer) e il gruppo europeo di trapianto nei tumori solidi European Bone Marrow Transplantation Solid Tumors Working Party (EBMT STWP). In questo studio è stata riportata una sopravvivenza a 2 anni del 70% per i pazienti con GVHD cronica che hanno ricevuto DLI (infusione di linfociti del donatore)135. Per identificare prospetticamente quali pazienti possono beneficiare maggiormente del trapianto Peccatori et al hanno esaminato le caratteristiche pre-trapianto di 70 pazienti che hanno ricevuto l’allogenico in centri dell’EBMT136. All’analisi multivariata i pazienti potevano essere stratificati in 2 gruppi con sopravvivenza mediana veramente diversa (3.5 mesi per i pazienti con prognosi scarsa e 23 mesi per i pazienti con buona prognosi) in base a sole 3 caratteristiche: performance status, PCR, LDH. Gli autori suggeriscono che in base a questi tre parametri si possono facilmente identificare i pazienti candidabili al trapianto allogenico, e si può facilitare il processo di “decision making” per scegliere gli appropriati programmi terapeutici per ciascun paziente. Quindi ormai è stato dimostrato che il tumore renale a cellule chiare è suscettibile di un effetto di “graft versus tumor” (GVT). Il trapianto allogenico dopo un regime di condizionamento non mieloablativo è fat47 I Tumori del Rene e dell’Urotelio tAbELLA 2: PstUDI DI tRAPIAntO ALLOGEnICO nEL CARCInOMA REnALE Studio N° pz Regime di condizionamento Profilassi GVHD TRM (%) RR (%) Childs et al. (2000)122 19 Flu + Cy CSA 12 53 Bregni et al. (2002)123 7 Thio + Flu + Cy CSA + MTX 14 57 Pedrazzoli et al. (2002)124 7 Flu + Cy CSA + MTX 29 0 Rini et al. (2002)125 12 Flu + Cy Tac + MTX 33 33 Ueno et al. (2003)126 15 Flu + Mel Tac + MTX 22 47 Hentschke et al. (2003)127 10 Flu + TBI CSA + MMF 30 30 Baron et al. (2003)128 7 Flu + TBI CSA 0 14 Blaise et al. (2004)129 25 ATG + Bu + Flu CSA 9 8 Nagakawa et al. (2004)130 9 ATG + Bu + Flu CSA 0 11 Massenkeil et al. (2004)131 7 ATG + Flu + Cy CSA 14 29 Tykodi et al. (2004)132 8 Flu + TBI CSA + MMF 0 13 Rini et al. (2006)133 22 Flu + Cy Tac + MTX 9 0 Abbreviazioni: ATG, immunoglobuline antitimociti; Bu, busulfano; CSA, ciclosporina; Cy, ciclofosfamide; Flu, fludarabina;GVHD, graft versus host disease; Mel, melfalan; MMF, micofenolato; MTX, methotrexate; Tac, tacrolimus; TBI, total body irradiation; Thio, thiotepa; TRM, treatment-related mortality. tibile per i pazienti con RCC, allunga la sopravvivenza, soprattutto nei pazienti con caratteristiche cliniche favorevoli e malattia minima. Sicuramente una importante area di ricerca è l’associazione dei farmaci a bersaglio molecolare al trapianto allogenico, utilizzando quest’ultimo come immunoterapia adottiva. Anche le terapie a bersaglio molecolare, impiegate inizialmente a finali- 48 tà soltanto antiangiogenetica hanno infatti dimostrato di possedere effetti sulla risposta immunitaria: Sunitinib riduce il numero delle T reg, Bevacizumab migliora la funzionalità delle cellule dendritiche, Temsirolimus sinergizza con le Tregs nel controllare la GVHD, Sorafenib riduce la capacità delle cell dendritiche di stimolare i linfociti, inoltre può indurre apoptosi delle cell dendritiche. bIbLIOGRAFIA 1. Kletscher BA, Qian J, Bostwick DG, Blute ML, Zincke H. Prospective analysis of the incidence of ipsilateral adrenal metastasis in localized renal cell carcinoma. J Urol; 155: 1844-1846, 1996 2. Wunderlich H, Schlichter A, Reichelt O, Zermann DH, Janitzky V, Kosmehl H, et al. Real indications for adrenalectomy in renal cell carcinoma. Eur Urol; 35: 272-276, 1999 3. Kardar AH, Arafa M, Al Suhaibani H, Pettersson BA, Lindstedt E, Hanash KA, et al. Feasibility of adrenalectomy with radical nephrectomy. 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Tabacco ed esposizione occupazionale rappresentano infatti i fattori di rischio maggiormente riconosciuti nel favorire lo sviluppo delle neoplasie vescicali2. I più alti tassi di incidenza si registrano nei paesi sviluppati ma sono molto elevati anche in Nord Africa e in Medio Oriente2. Per quanto riguarda il sesso maschile, i maggiori tassi di incidenza sono riportati in Egitto (37,1 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno), in Spagna (33,0 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno) ed in Olanda (32,6 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno). Se consideriamo il sesso femminile invece, i tassi di incidenza maggiormente elevati sono descritti in Zambia (13,8 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno), Mozambico (13,0 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno) e Zimbabwe (8,0 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno)1, 2. È possibile evidenziare un andamento molto simile a quello dei tassi di in62 cidenza anche per i tassi di mortalità2. In Europa nel 2006 sono stati diagnosticati 104400 nuovi casi di carcinoma vescicale (82000 negli uomini e 21600 nelle donne); nello stesso anno tale neoplasia è stata responsabile del 3,1% delle morti per cancro3. Per quanto riguarda l’andamento temporale della mortalità europea per neoplasia vescicale, la percentuale di soggetti deceduti a causa di tale neoplasia è aumentata fino agli anni ‘80, soprattutto nel Sud e nell’Est ed successivamente è diminuita del 12% tra il 1988 ed il 20004. Questo tipo di andamento è simile a quello del tumore del polmone ed è verosimilmente da ricondurre alla riduzione dell’abitudine al fumo di sigaretta; tale evidenza confermerebbe l’importanza di quest’ultimo come fattore di rischio comune alle due patologie. Fattori di rischio relativi allo stile di vita • Fumo di sigaretta Il fumo di sigaretta costituisce il fattore di rischio più importante per lo sviluppo di carcinoma uroteliale vescicale, essendo responsabile di circa il 50% dei casi nell’uomo e del 35% circa dei casi nella donna5.Una meta-analisi ha evidenziato come i fumatori di sigarette abbiano un rischio di 2,57 volte superiore rispetto ai non fumatori di sviluppare un carcinoma uroteliale della vescica5. È stata dimostrata una correlazione diretta tra numero di sigarette fumate, numero di anni di abitudine al fumo e rischio di carcinoma uroteliale della vescica6. Uno studio caso-controllo ha altresì evidenziato un incre- mento del rischio di sviluppare carcinomi non uroteliali7. Con la sospensione del consumo di tabacco, il rischio in eccesso subisce un decremento del 30% circa dopo 1-4 anni e superiore al 60% dopo 25 anni6, 8. I soggetti che fumano esclusivamente sigarette senza filtro presentano un rischio più elevato del 30-70% rispetto a quelli che fumano sigarette con filtro9-11. Il tabacco scuro è associato ad un rischio superiore rispetto a quello biondo12-15. Alcuni studi hanno inoltre riportato un incremento del rischio anche nei fumatori di pipa16-18. • Consumo di alcool Gli studi che hanno valutato l’impatto dell’introito di alcool sul rischio di sviluppare un carcinoma vescicale hanno prodotto risultati sostanzialmente inconsistenti. Una recente meta-analisi, in particolare, non ha evidenziato un effetto significativo del consumo di alcool sul rischio di carcinoma vescicale con odds-ratio (OR) di 1,3 (95%CI 0.9-2.0) per l’uomo e 1.0 (95%CI 0.6-1.7) per la donna19. • Consumo di caffè Nonostante molteplici studi epidemiologici abbiano indagato l’impatto del consumo eccessivo di caffè sulla suscettibilità a sviluppare un carcinoma vescicale, il ruolo di tale fattore dietetico in questo ambito non è a tutt’oggi chiaro20. Una meta-analisi del 2001 ha evidenziato un OR per il consumo di caffè di 1.26 (95%CI 1.09-1,46) per l’uomo, di 1.08 (95%CI 0.79-1.46) per la donna, di 1.18 (95%CI 1.011,38) per entrambi i sessi21. • Consumo di tè Una recente meta-analisi non ha di- mostrato alcuna significativa correlazione tra consumo di tè e rischio di sviluppare un carcinoma vescicale21. • Introito totale di liquidi I dati ottenuti da studi caso-controllo e di coorte che hanno valutato l’effetto dell’introito totale di liquidi sul rischio di sviluppare un carcinoma vescicale sono controversi. Alcuni studi hanno infatti dimostrato una significativa associazione tra introito di liquidi e rischio di carcinoma vescicale22-24. Altri studi hanno evidenziato che un elevato consumo di liquidi è associato ad un effetto protettivo25,26. Altri ancora non hanno trovato associazioni significative21, 27, 28. • Consumo di dolcificanti artificiali Sebbene sia stato dimostrato che la saccarina sodica è associata ad un incremento del rischio di sviluppare carcinoma vescicale in modelli animali, l’insieme delle evidenze epidemiologiche disponibili consente oggi di escludere ogni associazione tra saccarina o altri dolcificanti artificiali e tumore della vescica. Di conseguenza, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha riclassificato la saccarina spostandola dal gruppo 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo) al Gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno nell’uomo)29. • Dieta I molteplici studi osservazionali che hanno indagato l’impatto del consumo di frutta e vegetali, hanno evidenziato una relazione inversa tra quest’ultimo ed il rischio di sviluppare un carcinoma della vescica30. Una meta-analisi ha dimostrato come una dieta povera di frutta sia associata ad un maggior rischio di svi63 I Tumori del Rene e dell’Urotelio luppo di neoplasie vescicali (RR = 1,4, 95%CI 1,08-1,83)31. Nella stessa meta-analisi inoltre è stato evidenziato un elevato rischio per diete ricche di grassi (RR = 1,3, 95%CI 1,16-1,62) ma non per diete ricche di proteine animali (RR = 1,08, 95%CI 0,82-1,42)31. I dati riguardanti il supposto effetto protettivo dell’introito di vitamine ed antiossidanti sulla carcinogenesi vescicale sono invece a tutt’oggi inconsistenti. Alcuni studi hanno riportato un effetto protettivo di antiossidanti quali vitamina E32, 33 e selenio34-36. La meta-analisi di Steinmaus del 2000, tuttavia, non ha dimostrato un incremento del rischio di sviluppare un carcinoma della vescica per diete povere di retinolo (RR = 1,01, 95%CI 0,83-1,23) o beta-carotene (RR = 1,1, 95%CI 0,93-1,30)31. • Attività fisica L’effetto dell’attività fisica è stato studiato in una coorte di 37.459 donne seguite per 13 anni in USA37; le donne con una regolare attività fisica hanno dimostrato un rischio più basso rispetto a quelle sedentarie di sviluppare una neoplasia della vescica (RR = 0,66, 95%CI 0,43-1,01). Al contrario uno studio di coorte che ha arruolato 7.588 uomini ha evidenziato come un’attività fisica più importante sia associata ad un maggior rischio di sviluppo di carcinoma della vescica (RR = 2,06 95%CI 1,08-3,95)38. • Coloranti per capelli Gli studi di coorte39, 40 e caso-controllo41-45 che hanno valutato l’associazione tra coloranti per capelli e carcinoma della vescica non hanno evidenziato significative variazioni del rischio. 64 • Farmaci Un’associazione tra frequente consumo di fenacetina e rischio di tumore della vescica è stata dimostrata in molti studi caso-controllo ed ha condotto all’eliminazione di questo analgesico2, 46. Al contrario, l’acetaminofene (paracetamolo), il principale metabolita della fenacetina, non ha dimostrato un’associazione significativa con il cancro della vescica47-50, come già evidenziato nel 1999 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro29. Un altro farmaco associato al rischio di tumore della vescica è l’antitumorale ciclofosfamide51-53. • Esposizione occupazionale Il secondo più importante fattore di rischio per il carcinoma vescicale è costituito dagli agenti chimici occupazionali. Le sostanze principalmente coinvolte sono i derivati del benzene e le arilamine. Le professioni a maggior rischio di esposizione sono quelle in cui vengono utilizzati coloranti, gomme, tessili, vernici, cuoio e prodotti chimici54-57. Fattori di rischio ambientali • Agenti contaminanti le acque Molteplici studi hanno dimostrato un’associazione tra consumo di acqua clorizzata e carcinoma della vescica58-61. È inoltre noto che acque contaminate da arsenico sono associate ad un elevato rischio di carcinoma della vescica e di altre neoplasie62-65. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha pertanto classificato l’arsenico come agente carcinogenetico quando addizionato alle acque66. • radiazioni È noto che l’irradiazione terapeutica della pelvi per neoplasie ovariche, della cervice uterina e della prostata è associata con un incremento significativo del rischio di sviluppare una neoplasia della vescica67-70. • Fumo passivo Ad oggi non vi sono evidenze di un aumento del rischio di cancro della vescica in soggetti esposti a fumo passivo71. Condizioni mediche precedenti e fattori endogeni • Infezioni delle vie urinarie La flogosi cronica della vescica causata dallo Schistosoma haematobium è associata con un incremento del rischio di sviluppare un carcinoma vescicale ad istotipo squamoso72. Nell’Africa del Nord e nell’Asia Orientale la maggior parte dei carcinomi vescicali sono causati dalla Schistosomiasi73. Relativamente all’impatto di altre infezioni delle vie urinarie sul rischio di sviluppare un carcinoma della vescica, i dati attualmente a nostra disposizione sono inconsistenti74-76. • Litiasi delle vie urinarie Il ruolo della litiasi del distretto urinario sul carcinoma della vescica è a tutt’oggi controverso. Alcuni studi caso-controllo74-77 e di coorte78 hanno infatti dimostrato un’associazione tra calcolosi e rischio di neoplasia vescicale, altri studi invece non hanno confermato tale correlazione74, 75. • Ph urinario Rothman e collaboratori hanno evidenziato che un basso pH urinario è associato con elevati livelli di benzidina e N-acetilbenzidina urinarie e con la comparsa di un elevato numero di addotti del DNA nelle cellule dell’urotelio79. Un recente studio caso-controllo tuttavia non ha evidenziato alcuna associazione tra pH urinario e rischio di carcinoma della vescica80. Fattori ereditari • Storia familiare di carcinoma vescicale I familiari di primo grado di pazienti con tumori della vescica hanno un rischio circa doppio di sviluppare a loro volta un cancro della vescica, il rischio appare più elevato in giovane età81. • Suscettibilità genetica Per esercitare il loro effetto cancerogeno, le amine aromatiche richiedono un’attivazione, che le rende capaci di legarsi al DNA. Questa attivazione è effettuata da enzimi codificati da geni, i cui polimorfismi nelle popolazione implicano una diversa suscettibilità genetica individuale. In particolare, la N-acetiltransferasi (NAT) è un enzima implicato nella detossificazione delle amine aromatiche. Il gene NAT-2 è polimorfico e circa il 50% della popolazione caucasica è acetilatore lento ossia ha ridotta attività di questo enzima ed è quindi a rischio elevato, di circa il 40%, di sviluppare il tumore della vescica82. 65 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. 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Il carcinoma squamoso puro infatti costituisce l’1,1% dei casi nell’uomo ed il 2,8% nella donna1; l’adenocarcinoma puro rende conto invece dell’1,5% dei casi nell’uomo e dell’1,9% nella donna1, 3. 1) Neoplasie uroteliali • Anatomia macroscopica Il carcinoma uroteliale infiltrante può presentarsi macroscopicamente in forma papillare (75% dei casi), in forma polipoide, in forma piatta, in forma nodulare o caratterizzato da crescita transmurale diffusa. Può essere solitario o multifocale ed essere circondato da mucosa indenne o eritematosa, quando associato ad aree di carcinoma in situ1. • Grading - Classificazione istologica Il grado di queste neoplasie rappresenta da oltre 30 anni argomento di dibattito serrato, in ragione della scarsa riproducibilità delle classificazioni adottate4. Del resto, l’importanza di un grado ben definito non si può sottovalutare alla luce del suo stretto rapporto con lo stadio5. Il dibattito diagnostico nell’ambito del grado, protrattosi fino ad oggi nonostante il contributo della biologia molecolare, si incentra soprattutto sulle neoplasie uroteliali papillari con scarsissime atipie cito-istologiche. I sostenitori della benignità di tali lesioni hanno argomentato circa l’identità morfologica di nuove lesioni (cosiddette recidive) che si sviluppano dopo l’asportazione della prima, mentre i sostenitori della malignità sottolineano i risultati di quei lavori che indicano, sia pure in una percentuale scarsa di casi, una progressione in grado e/o stadio delle cosiddette recidive6. In questo contesto il termine “recidiva” viene in realtà comunemente adoperato in modo improprio poiché, nella maggior parte dei casi, le neoplasie che si manifestano durante il follow-up cistoscopico dopo la resezione endoscopica si manifestano in sedi diverse da quella iniziale4. In conclusione, il carattere assai sfumato delle atipie di queste lesioni suggerisce l’adozione di un termine che non allarmi troppo il paziente senza tuttavia trascurare un adeguato follow up. Il termine adottato dalla Classificazione WHO 2004 per identificare queste lesioni a bassissimo grado è neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale di malignità. Nel 2004 è stata ufficializzata la nuova classificazione WHO delle neoplasie vescicali2 che integra, con modificazioni e semplificazioni, le precedenti classificazioni e proposte di gradazione. Il suo avvento rin- 73 I Tumori del Rene e dell’Urotelio nova i concetti esposti nella classificazione WHO 19737, che è tuttavia ancora assai diffusa ed utilizzata. La classificazione WHO 1973 si basa su criteri morfologici, non del tutto soddisfacenti e la sua riproducibilità è modesta, laddove la classificazione WHO 2004 appare più chiara, benché il livello di riproducibilità sia ancora da verificare4. • Papilloma uroteliale Le lesioni papillari uroteliali benigne vere (papillomi) sono assai rare. La diagnosi di papilloma uroteliale andrebbe limitata a lesioni singole, soprattutto in pazienti giovani e con urotelio istologicamente normale “montato” su architetture frondose senza fusione delle papille. Viceversa, il riscontro di un papilloma invertito (anch’esso assai raro e singolo ed interessante di solito le sedi trigonali/peri-meatali) è possibile anche in pazienti anziani. Quest’ultimo è composto da cordoni/isolotti di urotelio normale invaginati all’interno della lamina propria, senza vera infiltrazione. È evidente come la diagnosi di papilloma e papilloma invertito debbano essere formulate con estrema cautela4. • Neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale maligno (PuN-LMP, papillary urothelial neoplasm of low malignant potential) Le pareti posteriori e laterali in prossimità degli sbocchi ureterali sono le sedi di più frequente insorgenza della neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale di malignità. Si tratta solitamente di una lesione frondosa piccola, singola o talora multipla. Spesso, la citologia urinaria è nega74 tiva. Istologicamente, papille sottili e non fuse mostrano scarsissime atipie citologiche. La PUN-LMP assomiglia ai papillomi, rispetto ai quali mostra un aumento del numero di strati, nuclei lievemente aumentati e lievissima anisometria nucleare con preservazione di ordine, polarità e cellule ad ombrello4. • Carcinoma uroteliale papillare (non invasivo) a basso grado (LG-PuC, low grade- papillary urothelial carcinoma) L’apparenza endoscopica e le localizzazioni del carcinoma uroteliale papillare non invasivo a basso grado sono simili alla PUN-LMP. Istologicamente le fronde papillari, che preservano un’architettura ordinata, sono spesso fuse e mostrano atipie citoarchitetturali in termini di lievi perdite di polarità ed anisometrie nucleari. Le mitosi sono scarse e prevalentemente basali4. • Carcinoma uroteliale papillare (non invasivo) ad alto grado (HG-PuC, high grade-papillary urothelial carcinoma) Il carcinoma uroteliale papillare non invasivo ad alto grado è costituito generalmente da lesioni singole o multiple, papillari o nodulari/sessili. Si manifesta generalmente dal punto di vista clinico con ematuria macro/microscopica. Istologicamente dominato da un aspetto di disordine architetturale visibile già a basso ingrandimento, l’HG-PUC mostra frequente fusione di papille ed una composizione cellulare caratterizzata da perdite di polarità nucleari, anisometrie, eterocromatina e/o nucleoli evidenti. Talora sono presenti campi di vera e propria anaplasia. Le mitosi sono frequenti e la “scoe- sione” cellulare è marcata, con grande variabilità nel numero di strati. L’HG-PUC può mostrare focolai di infiltrazione, più frequentemente che il LG-PUC. Citocheratina 20, p53 e p63 hanno un’espressione maggiore che nel LG PUC e la lesione è spesso aneuploide4. Per quanto concerne la storia naturale delle neoplasie papillari uroteliali, è necessario sottolineare che mentre la recidiva di un papilloma vero è un evento assai raro, le PUNLMP possono recidivare fino al 35% e 47%, come dimostrato in talune casistiche 2. Tuttavia, c’è un buon accordo tra gli autori sul fatto che, a differenza dei LG-PUC, la prognosi delle PUN-LMP è eccellente, in quanto le recidive dei PUN-LMP non sono associate a progressione in grado o stadio8. Diversa è l’attesa di fronte ad una diagnosi di LG-PUC. Infatti, i carcinomi a basso grado recidivano in più della metà dei casi e queste recidive possono associarsi a progressione in stadio e/o grado, portando in una minoranza di casi (<del 5%) a morte per malattia2. Purtroppo, diverso è il caso dei HG-PUC, responsabili della gran parte della mortalità cancro-specifica del carcinoma della vescica. Del resto, in funzione del grado citologico, le neoplasie non invasive papillari possono condividere aspetti fenotipici e genetici con le neoplasie infiltranti4. È stato infatti dimostrato che i carcinomi uroteliali papillari ad alto grado e talora anche i carcinomi uroteliali a basso grado possono avere focolai di infiltrazione4. • Carcinoma uroteliale in situ (Tis) e displasia uroteliale La displasia uroteliale rappresenta una lesione piana dell’urotelio; quando essa è secondaria, cioè associata/preceduta da neoplasie papillari uroteliali, comporta un maggior rischio di progressione di quest’ultime. Meno noto è il comportamento della displasia primaria e cioè displasia de novo, non associata a neoplasia papillare dell’urotelio, sebbene sia documentata la possibilità di evoluzione in carcinoma in situ (Tis) ed in carcinomi invasivi in pazienti non trattati9. Non sempre agevole è la distinzione tra displasia e “atipia di incerto significato”, entità riportata in tutte le più recenti classificazioni. Quest’ultima rappresenta in realtà una semplice categoria descrittiva per casi in cui l’atipia, pur essendo sproporzionata rispetto alla flogosi presente, non offre ancora tutti i criteri citoarchitetturali della displasia9. Il Tis rappresenta una forma piana di neoplasia uroteliale, non invasiva, ma già integralmente trasformata in senso maligno. L’evoluzione probabile del Tis è il carcinoma uroteliale infiltrante. Il Tis e la displasia si possono ovviamente associare anche a varianti di carcinomi uroteliali invasivi, quali i carcinomi uroteliali con metaplasia adenocarcinomatosa o squamosa, i carcinomi linfoepiteliali, i micropapillari invasivi, i carcinomi uroteliali con cellule osteoclastiche, plasmocitoidi, producenti ß HCG o con componente a piccole cellule4. Il Tis è anch’esso frequentemente associato a neoplasia papillare dell’urotelio, di cui è un marcatore di progressione, ed è per lo più multifocale10. La presenza di un Tis vescicale comporta, rispetto ad altri carcinomi uroteliali, anche di tipo invasivo, un rischio triplicato di simultanea o 75 I Tumori del Rene e dell’Urotelio successiva comparsa di Tis nelle vie urinarie superiori, mentre in uretra il rischio appare aumentato fino a 7 volte10. La compresenza di Tis in vescica, ureteri, pelvi renale, uretra, come le segnalazioni di Tis in diverticoli e neovesciche intestinali, chiamano in causa fenomeni di seeding (cioè disseminazione ed impianto di cellule neoplastiche) e multifocalità vera. • Carcinoma uroteliali invasivi L’istologia dei carcinomi uroteliali infiltranti è variabile. La maggior parte dei carcinomi pT1 sono papillari, di basso o alto grado, mentre molti carcinomi pT2-pT4 non sono papillari e sono di alto grado5. L’identificazione dell’invasione e la valutazione della sua profondità e delle sue caratteristiche rappresentano momenti fondamentali della valutazione anatomo-patologica in quanto sono correlate con importanti conseguenze cliniche, terapeutiche e prognostiche4. Come sottolineato dalla classificazione WHO del 2004 è inoltre fondamentale riconoscere correttamente alcune varianti del carcinoma uroteliale invasivo che spesso sono associate con significative differenze nella prognosi e nella terapia1. Ne riportiamo qui di seguito un elenco, con descrizione delle caratteristiche fondamentali. • Carcinoma uroteliale con differenziazione squamosa Riguarda circa 1/5 dei carcinomi uroteliali insorti in vescica ed oltre 1/3 dei carcinomi delle alte vie e la sua frequenza aumenta di concerto con grado e stadio. Questa categoria è assegnata a lesioni con qualsiasi estensione di differenziazione squamosa in presenza di una, sia pur mi76 noritaria, componente uroteliale, che talora può essere limitata al solo carcinoma in situ. Una stima della percentuale delle due componenti istologiche dovrebbe essere indicata nel referto. Molti autori hanno correlato questo istotipo ad una scarsa radiochemiosensibilità e pertanto ad una peggiore prognosi4. • Carcinoma uroteliale con differenziazione ghiandolare È meno comune rispetto alla differenziazione squamosa e la sua identificazione richiede la presenza, in un tumore uroteliale, di campi di differenziazione ghiandolare con aspetti tubulari, mucinosi, enterici e/o ad anello con castone. La diagnosi differenziale deve soprattutto escludere da questa categoria frequenti aspetti pseudoghiandolari dovuti a necrosi o ad artefatti; la sola presenza di mucine, osservabile talora in tipici carcinomi uroteliali, non comporta di per sé la classificazione della lesione in questa categoria. Il significato clinico della componente ghiandolare è sconosciuto4. • Carcinoma uroteliale “Nested Type” È raro1, a netta prevalenza maschile ed altamente aggressivo, tanto da risultare fatale nel 70% dei pazienti, ad onta di un’apparenza citologica assai blanda; per questo motivo può richiedere, in biopsie superficiali, una diagnosi differenziale con situazioni benigne/iperplastiche. Le atipie virtualmente assenti in superficie diventano spesso più prominenti nei campi profondi. La diagnosi di questa variante è clinicamente molto rilevante ed impone usualmente la cistectomia radicale1. • Carcinoma uroteliale variante microcistica Rara, caratterizzata da spazi cistici rotondo-ovalari di taglia variabile, da microscopica sino a 1- 2 mm, spesso a contenuto necrotico od eosinofilo amorfo. Il significato clinico è sconosciuto, ma la lesione deve essere nota onde poterla differenziare da lesioni benigne e da carcinoma uroteliali con aspetti pseudo-ghiandolari, dalle varianti nested, dai veri adenocarcinomi4. • Carcinoma uroteliale variante micropapillare È una varietà aggressiva, rara, prevalente nel maschio simile al carcinoma sieroso-papillare dell’ovaia ed al carcinoma micro-papillare invasivo della mammella; spesso è associata a campi di carcinoma uroteliale classico. La diagnosi avviene di solito in stadio avanzato, talora con malattia già metastatica e, per quanto la neoplasia sembri limitata allo stroma sottoepiteliale, è opportuno richiedere una seconda biopsia della base di resezione per escludere una possibile invasione del detrusore. Nel sesso femminile, la diagnosi di carcinoma uroteliale micropapillare richiede una contestuale esclusione di neoplasia ovarica4. • Carcinoma uroteliale variante “Lymphoepithelioma like” È infrequente, ma deve essere riconosciuto perché questa variante può avere buona prognosi anche per una buona chemio-sensibilità della forma pura; la morfologia non differisce sostanzialmente dal carcinoma linfoepiteliale di altre sedi; in vescica interessa solitamente la cupola o il trigono e può presentarsi puro o associato a campi di carcinoma uroteliale classico o di carcinoma squamoso11. • Carcinoma uroteliale variante sarcomatoide Nella classificazione WHO 2004, la variante sarcomatoide riunisce le precedenti definizioni di carcinoma sarcomatoide e di carcino-sarcoma, con o senza elementi eterologhi e si basa su recenti acquisizioni molecolari che paiono indicare una medesima origine monoclonale sia per la componente epiteliale che per quella mesenchimale. Gli elementi eterologhi di più comune riscontro sono di tipo osteo- e condrosarcomatoso e via via meno frequentemente, rabdo- e leio-miosarcomatoso, lipo- ed angio-sarcomatoso; alcuni casi possono presentare componenti eterologhe di vari tipi ed un piccolo gruppo può avere rilevante stroma mixoide. Il carcinoma sarcomatoide deve essere riconosciuto e diagnosticato correttamente soprattutto per la cattiva prognosi cui si associa (mediana di sopravvivenza pari a 17 mesi) anche correlata al frequente esordio della malattia già in fase metastatica4. • Carcinoma uroteliale variante con cellule giganti e con differenziazione trofoblastica Comprende grandi cellule con frequenti mostruosità e talora con aspetti sinciziali; la varietà con cellule giganti dovrebbe essere considerata separata dalla rarissima presentazione con cellule osteoclastiche. La positività per ß-HCG degli elementi giganti e sinciziali identifica la forma con differenziazione trofoblastica4. • Carcinoma uroteliale variante a cellule chiare Viene ricordata principalmente per la ovvia necessità di diagnosi differen77 I Tumori del Rene e dell’Urotelio ziale con neoplasie a cellule chiare di altre origini, in particolare renali. I citoplasmi sono chiari per ricchezza in glicogeno; questo aspetto può essere osservato sia in lesioni papillari, sia in carcinomi in situ, sia, infine, in carcinomi infiltranti di alto grado4. • Carcinoma uroteliale variante a cellule lipidiche Forma assai rara, è caratterizzata da citoplasmi ricchi di lipidi che simulano carcinomi a cellule ad anello con castone o liposarcomi4. • Carcinoma uroteliale variante “lymphoma-like” e plasmocitoide Variante molto rara e per questo di morfologia insidiosa specie in piccole biopsie; se sospettata all’esame morfologico può essere facilmente confermata dall’analisi immunoistochimica4. • Varianti indifferenziate Comprendono carcinomi non altrimenti classificabili, mentre “carcinomi a piccole cellule” talora con differenziazione neuroendocrina e le già citate forme a cellule giganti e lymphoepithelioma-like sono considerate oggi varianti a sé stanti4. 2) Altre neoplasie epiteliali Il carcinoma squamoso ed adenocarcinoma devono essere ricordati separatamente. Per entrambi è richiesta la presentazione in forma pura, poiché le forme associate a carcinoma uroteliale sono comprese tra le varianti già descritte. • Carcinoma squamoso È frequente nelle aree di diffusione endemica della bilharziosi, ma raro 78 nei paesi occidentali dove è spesso associato ad infiammazioni croniche, decubito di calcoli, radioterapia pelvica soprattutto per carcinomi della prostata o dell’utero. Viene di solito graduato in tre gradi, come il carcinoma squamoso di altre sedi12 e stadiato con le stesse regole valide per il carcinoma uroteliale. La forma verrucosa è tenuta separata per la possibile associazione con infezione da HPV (Human Papilloma Virus) e la migliore prognosi4. • Adenocarcinoma La primitività vescicale può essere affermata solo dopo esclusione, anche clinica, dei più comuni adenocarcinoma del colon, dell’endometrio o della prostata. La distinzione dal carcinoma del grosso intestino può essere ardua dal punto di vista anatomo-patologico anche se l’immunoistochimica (CK7, CK20, CD141, beta-catenina) può talora essere d’aiuto. Ha prognosi usualmente peggiore delle lesioni uroteliali , anche per il frequente esordio in fase avanzata. I carcinomi squamosi puri e gli adenocarcinomi puri possono essere preceduti rispettivamente da metaplasie squamose o ghiandolari e gli adenocarcinomi da adenomi villosi o residui uracali4. • Adenocarcinoma uracale Può presentarsi con uno qualsiasi degli istotipi sopra elencati con una prevalenza di casi “mucinosi”. Per la diagnosi è richiesta l’insorgenza nella cupola (ma resti uracali sono stati descritti anche in altre sedi), una netta demarcazione tra tumore ed epitelio di superficie e l’esclusione di adenocarcinoma di altra sede vescicale o extra-vescicale (criteri di Jo- hnson). Alcuni ritengono anche necessaria l’assenza di cistite cistica e la presenza di resti uracali (criteri di Wheeler-Hill)4. • Adenocarcinoma a cellule chiare (Mulleriano) Usualmente colpisce le donne di età compresa tra 20 e 80 anni, ha presentazione macroscopica aspecifica e caratteristica struttura microscopica tubulo-cistica o papillare o diffusa e può essere associato con campi di carcinoma uroteliale o più di rado con adenocarcinoma. Talora si osservano resti Mulleriani. La diagnosi differenziale si pone con carcinomi renali, utero-vaginali e con l’adenoma nefrogenico e, nel maschio, anche con l’adenocarcinoma prostatico. La positività immunoistochimica per CK7, CK20, CEA, CA-125, LeuM1 e la negatività per PSA e recettori per estrogeni e progesterone sono d’aiuto nella diagnosi differenziale. La stadiazione è analoga a quella del carcinoma uroteliale. Insufficienti i dati sulla prognosi di queste lesioni , che tuttavia paiono relativamente poco aggressive4. 3) Tumori neuroendocrini Comprendono il carcinoma neuroendocrino a piccole cellule e il paraganglioma. Presentandosi talora associato a carcinoma uroteliale in situ, si pen- sa che il carcinoma neuroendocrino di piccole cellule possa avere origine uroteliale ed effettivamente l’associazione con aree di carcinoma uroteliale classico si osserva nel 50% dei casi. La diagnosi di carcinoma di piccole cellule, seguendo le indicazioni WHO 2004, si pone su base morfologica, anche se la differenziazione neuroendocrina non può essere sempre dimostrata: infatti, la cromogranina-A risulta espressa solo in 1/3 dei casi. Per il cancro vescicale, diversamente da quanto decritto per la prostata13 manca ancora una chiara correlazione tra espressione del fenotipo neuroendocrino e decorso clinico, tuttavia la prognosi è usualmente infausta e la sopravvivenza a 5 anni non supera il 10%. Carcinoidi e carcinomi neuroendocrini ben differenziati sono assai rari nella vescica, ma possibili e descritti in letteratura. Il paraganglioma deriva da elementi gangliari della parete vescicale, è molto raro e morfologicamente simile al paraganglioma insorto in altre sedi: analoga è la presentazione clinica, cui si aggiungono episodi di macroematuria. La morfologia è quella classica del paraganglioma/ feocromocitoma e la malignità certa è definita solo dalla presenza di metastasi. Sono indici di rischio età giovanile, ipertensione, la presenza di disturbi minzionali ed aspetti infiltrativi nella parete vescicale4. 79 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. Eble JN, Young RH. (1997) Carcinoma of the urinary bladder: a review of its diverse morphology. Semin Diagn Pathol 14(2): 98-108. 2. Eble JN, Sauter G, Epstein JI, Sesterhenn IA. (2004) Tumours of the Urinary System and Male Genital Organs, chapter 2. WHO Lyon 2004. IARC Press. 3. Lopez-Beltran A, Bassi PF, Pavone-Macaluso M, Montironi R. (2004) European Society of Uropathology; Uropathology Working Group Handling and pathology reporting of specimens with carcinoma of the urinary bladder, ureter, and renal pelvis. A joint proposal of the European Society of Uropathology and the Uropathology Working Group Virchows Arch 445(2): 103-10. 4. Bollito E, Patriarca C. (2005) Anatomia patologica del carcinoma vescicale. In: Basi scientifiche della formazione di linee guida in ambito clinico per i tumori della vescica. Progetti strategici in Oncologia CNR/ MIUR. Responsabili: Boccardo F, Silvestrini R. 5. Cheng L, Neumann RM, Weaver AL, Cheville GC, Leibovich BC, Ramnani DM, Sherer BC, Nehra A, Zincke H, Bostwick DG. (2000) Grading and Staging of Bladder Carcinoma in Transurethral Resection Specimens. Am J Clin Pathol 113: 275-279 6. Murphy W. (1997) Urological Pathology. WB Saunders Co. Philadelphia. 7. Mostofi FK, Sorbin LH, Torloni H. 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Berruti A, Mosca A, Tucci M, Terrone C, Torta M, Tarabuzzi R, Russo L, Cracco C, Bollito E, Scarpa RM, Angeli A, Dogliotti L. (2005) Independent prognostic role of circulating chromogranin A in prostate cancer patients with hormone-refractory disease. Endocr Relat Cancer 12(1): 109-17. 81 I Tumori del Rene e dell’Urotelio PRInCIPI GEnERALI DEI tUMORI DELLA PELVI REnALE E DELL’UREtERE EPIDEMIOLOGIA Introduzione I tumori della pelvi renale e dell’uretere rappresentano l’8% circa di tutte le neoplasie del distretto urinario; in più del 90% si tratta di carcinomi uroteliali1, 2. L’incidenza di tali neoplasie varia dai 0,7 all’1,1 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per anno ed è in lento incremento negli ultimi 3 decenni. L’incidenza nel sesso maschile è quasi il doppio di quella che si registra nel sesso femminile, sebbene quest’ultima sia in lieve incremento negli ultimi anni3. Analogamente a quanto è dato di osservare nel caso dei carcinomi vescicali, i tumori della pelvi renale e dell’uretere colpiscono più frequentemente pazienti anziani, essendo l’età mediana dei soggetti che ne sono affetti di circa 70 anni3. I tumori uroteliali della pelvi renale e dell’uretere sono rari; in Europa costituiscono infatti lo 01% di tutte le neoplasie nei soggetti di sesso maschile e lo 0,07% in quelli di sesso femminile1. La maggiore incidenza di tumori uroteliali della pelvi renale e dell’uretere si registra in Australia, Nord America ed Europa, mentre le incidenze più basse sono osservate nell’America del Sud e del Centro ed in Africa1. Fattori di rischio • Fumo di tabacco Analogamente a quanto dimostra- 82 to per il carcinoma della vescica, il principale fattore di rischio per le neoplasie della pelvi renale e dell’uretere è costituito dal fumo di tabacco4. La correlazione tra fumo di tabacco e neoplasie della pelvi renale e dell’uretere è stata infatti confermata da svariati autori5-7. Il rischio incrementa in modo significativo con l’aumentare del numero di anni di abitudine al fumo e del numero di sigarette fumate al giorno. Il rischio sembra essere sovrapponibile nei due sessi5, 6. • Impiego di analgesici Gli studi che hanno valutato l’impatto dell’impiego di analgesici come la fenacetina, hanno dimostrato che quest’ultimo incrementa il rischio di sviluppare tumori della pelvi renale e dell’uretere di 4-8 volte nei soggetti di sesso maschile e di 10-13 volte in quelli di sesso femminile4, 7, 8. • Esposizione occupazionale Diverse esposizioni occupazionali sono state associate al rischio di sviluppare tumori della pelvi renale e dell’uretere5. Il rischio più alto è stato evidenziato in lavoratori dell’industria chimica, petrolchimica e di materie plastiche ed in quelli esposti al coke petrolifero, al carbone ed al catrame5. Tra gli altri fattori di rischio è opportuno annoverare: la necrosi papillare, la nefropatia dei Balcani, le infezioni croniche e la litiasi del distretto urinario9. bIbLIOGRAFIA 1. Devesa SS, Silverman DT, McLaughlin JK, Brown CC, Connelly RR, Fraumeni JFJr (1990) Comparison of the descriptive epidemiology of urinary tract cancers. Cancer Causes Control 1: 133-141. 2. Lynch CF, Cohen MB (1995) Urinary system. Cancer 75: 316-329. 3. Munoz JJ, Ellison LM (2000) Upper tract urothelial neoplasm: incidence and survival during the last 2 decades. J Urol 164: 1523-1525. 4. McLaughlin JK, Blot WJ, Mandel JS, Schuman LM, Mehl ES, Fraumeni JFJr (1983) Etiology of cancer of the renal pelvis. J Natl Cancer Inst 71: 287-291. 5. Jensen OM, Knudsen JB, McLaughlin JK, Sorensen BL (1988) The Copenhagen case-control study of renal pelvis and ureter cancer: role of smoking and occupational exposures. Int J Cancer 41: 557-561. 6. 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Alcune forme con tendenza alla crescita papillare possono invadere l’intera pelvi, altre possono invece avere una crescita transmurale con tendenza ulcerativa1. Un tumore di alto grado può apparire come una massa scirrosa mal definita che interessa il parenchima renale, mimando una neoplasia primitiva epiteliale renale1. La presenza di idronefrosi e/o calcoli può essere associata ad una neoplasia papillare della pelvi, mentre megauretere e stenosi ureterali sono reperti macroscopici tipici di un tumore dell’uretere. La multifocalità delle lesioni è di riscontro frequente1, 2. cinomi uroteliali della pelvi renale e dell’uretere includono: varianti istologiche caratterizzate da differenziazione aberrante (carcinoma uroteliale con differenziazione squamosa, carcinoma uroteliale con differenziazione ghiandolare), carcinomi uroteliali con morfologia non tipica (carcinoma uroteliale “Nested Type”, carcinoma uroteliale variante microcistica, carcinoma uroteliale variante micropapillare, carcinoma uroteliale variante a cellule chiare, carcinoma uroteliale variante plasmocitoide) e carcinomi uroteliali scarsamente differenziati (carcinoma uroteliale variante “Lymphoepithelioma like”, carcinoma uroteliale variante sarcomatoide, carcinoma uroteliale variante a cellule giganti)2-4. I carcinomi uroteliali con morfologia cellulare non tipica e scarsamente differenziati sono di più frequente riscontro rispetto a quelli caratterizzati da differenziazione aberrante2, 3. Classificazione istologica Grading La classificazione istopatologica delle neoplasie uroteliali della pelvi renale e dell’uretere è sovrapponibile a quella delle neoplasie vescicali, come il sistema impiegato per definire il grado di differenziazione di tali neoplasie1, 2. È infatti possibile riscontrare tumori papillari non invasivi (neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale maligno, carcinoma uroteliale papillare a basso grado, carcinoma papillare uroteliale ad alto grado), carcinomi in situ e carcinomi invasivi2-4. Analogamente a quanto avviene per le neoplasie vescicali, inoltre, i car- 2) Altre neoplasie epiteliali Carcinoma squamoso Il carcinoma squamoso puro, sebbene rappresenti la neoplasia più comune dopo quelle uroteliali, è raro. È di più frequente riscontro nella pelvi renale che nell’uretere e spesso viene diagnosticato in stadio già avanzato5. Si origina generalmente in soggetti con storia di nefrolitiasi e associata metaplasia squamosa ed ha prognosi usualmente peggiore delle lesioni uroteliali1, 5. Adenocarcinoma L’adenocarcinoma puro della pelvi renale e dell’uretere è estremamen- te raro ed è spesso diagnosticato in pazienti con storia di adenocarcinomi dell’intestino, mucinosi o a cellule ad anello con castone1, 2, 6. Fattori predisponenti per lo sviluppo di tale neoplasia sono: la nefrolitiasi, la metaplasia intestinale ghiandolare, le infezioni ricorrenti2,3. Ha prognosi usualmente peggiore dei carcinomi uroteliali, anche per il frequente esordio in fase avanzata2, 3. bIbLIOGRAFIA 1. Genega EM, Porter CR (2002) Urothelial neoplasms of the kidney and ureter. An epidemiologic, pathologic and clinical review. Am J Clin Pathol 117 Suppl:S36-48. 2. Lopez-Beltran A, Bassi PF, Pavone-Macaluso M, Montironi R. (2004) European Society of Uropathology; Uropathology Working Group Handling and pathology reporting of specimens with carcinoma of the urinary bladder, ureter, and renal pelvis. A joint proposal of the European Society of Uropathology and the Uropathology Working Group Virchows Arch 445(2):103-10. 3. Eble JN, Sauter G, Epstein JI, Sesterhenn IA. (2004) Tumours of the Urinary System and Male Genital Organs, chapter 2. WHO Lyon 2004. IARC Press. 4. Eble JN, Young RH. (1997) Carcinoma of the urinary bladder: a review of its diverse morphology. Semin Diagn Pathol 14(2):98-108. 5. Blacher EJ, Johnson DE, Abdul-Karim FW, Ayala AG. (1985) Squamous cell carcinoma of renal pelvis. Urology 25:124-126. 6. Delahunt B, Nacey JN, Meffan PJ, Clark MG. (1991) Signet ring cell adenocarcinoma of the ureter. Br J Urol 146:555-556. 85 I Tumori del Rene e dell’Urotelio DIAGnOsI Segni e sintomi Il quadro clinico che si associa all’insorgenza di una neoplasia delle vie urinarie dipende, per quanto concerne tipologia e severità delle manifestazioni, dall’estensione e dalla localizzazione del tumore. Nella quasi totalità dei pazienti con neoplasia vescicale è presente sin dalle fasi precoci, almeno saltuariamente, un’ematuria microscopica rilevabile esclusivamente con gli esami di laboratorio1. Il più comune sintomo d’esordio di un carcinoma della vescica è rappresentato da ematuria macroscopica, riscontrabile in circa l’85% dei casi. A questo può associarsi tardivamente pollachiuria2. I carcinomi della vescica localizzati a livello del collo vescicale o che interessano una porzione rilevante della parete dell’organo possono manifestarsi con sintomi a carattere irritativo quali disuria, urgenza minzionale, pollachiuria. Quadri clinici sovrapponibili possono inoltre associarsi alla presenza di un carcinoma in situ diffuso2. Nelle neoplasie del trigono l’interessamento dell’ostio ureterale può dare origine ad idronefrosi; tale complicanza è da considerasi un fattore prognostico negativo 3. In caso di malattia avanzata possono essere presenti calo ponderale, dolore addominale ed osseo legati alla presenza di localizzazioni secondarie di malattia4. L’ematuria microscopica costituisce il primo segno clinico anche in caso di tumori della pelvi e dell’uretere; il sintomo più comune è rappresentato, anche in questo caso, dalla macroematuri, riscontrabile nel 50% circa dei casi5. Un dolore al fianco che 86 non di rado si presenta in forma colica viene riferito nell’8-40% dei casi ed è talvolta correlato all’ostruzione della via escretrice da parte della massa neoplastica o di coaguli di sangue5,6. L’idronefrosi è di più frequente riscontro rispetto alle neoplasie a sede vescicale e può esitare, in alcuni casi, in insufficienza renale4, 5. Esame clinico La valutazione clinico-obiettiva deve prevedere un’accurata visita addominale e pelvica comprendente un’esplorazione rettale (ed eventualmene vaginale bimanuale) al fine di identificare masse palpabili e/o infiltrazione di organi viciniori4. Malattia localizzata Esami diagnostici • Citologia urinaria L’analisi citologica delle urine è uno degli esami di prima scelta nella diagnostica delle neoplasie delle vie urinarie. Viene effettuata su 3 campioni giornalieri successivi per aumentarne la sensibilità che rimane, comunque, limitata per le neoplasie di basso grado e in quelle caratterizzate da scarsa esfoliazione mentre è sufficientemente elevata nelle neoplasie in situ o di alto grado7. • Ecografia L’ecografia è una metodica strumentale non invasiva, poco costosa e disponibile in tutte le istituzioni, rappresenta l’indagine iniziale nello studio delle vie urinarie8. Sebbene sia caratterizzata da un’elevata specificità (circa il 99%), ha una sensibilità che raggiunge solo il 63%. La percentuale di falsi negativi con tale metodica strumentale non è pertanto trascurabile8. Esistono infatti sedi di insorgenza di neoplasia della vescica in cui il rilievo di lesione può essere difficoltoso; tra queste: la localizzazione a livello della cupola e, in alcuni soggetti obesi e con addome prominente, le pareti laterali9. • urografia endovenosa L’urografia endovenosa può essere utile nell’evidenziare lesioni in corrispondenza della pelvi renale, dell’uretere, in caso di idronefrosi o mancata visualizzazione dell’uretere. La sua accuratezza è inferiore in caso di lesioni vescicali10. • urO-TC, TC, rMN La uro-TC, TC con software dedicato per lo studio delle vie urinarie (URO-TC) è una metodica strumentale che sta sempre più sostituendo l’urografia endovenosa nella diagnosi di neoplasie dell’uretere e dalla pelvi renale grazie anche alla sua maggiore accuratezza nella valutazione dell’estensione extramurale di tali processi tumorali10, 11. Rispetto all’urografia fornisce inoltre una migliore definizione delle pareti vescicali e di eventuali difetti di riempimento endovescicali10, 11. La TC con mezzo di contrasto è caratterizzata da un’accuratezza nella stadiazione di tumore primitivo vescicale di circa il 74%12. La RM fornisce una migliore definizione dei tessuti molli rispetto alla TC ed ha un’accuratezza maggiore nella stadiazione del T (85% circa)12. • uretrocistoscopia La cistoscopia rappresenta ad oggi una metodica fondamentale nella corretta diagnostica delle neoplasie della vescica4, 13. La visione diretta infatti permette di ottenere informazioni importanti circa le caratteristiche macroscopiche, le dimensioni, il numero, la sede e le modalità d’impianto della neoformazione. In corso di cistoscopia è possibile inoltre eseguire biopsie mirate, fondamentali per la determinazione del tipo istologico e del grado di invasione della parete vescicale13, mapping vescicali, ovvero prelievi multipli di mucosa apparentemente indenne che permettono di valutare l’estensione della neoplasia e la presenza di carcinoma in situ ed anche resezioni di lesioni superficiali mediante l’impiego del resettore transuretrale13. Malattia metastatica Esami diagnostici TC e RM costituiscono le indagini di prima scelta per valutare la diffusione di malattia a distanza e pertanto individuare eventuali metastasi epatiche o polmonari4. Sensibilità e specificità delle stesse metodiche per la valutazione dell’eventuale interessamento dei linfonodi loco-regionali sono invece basse12. L’esecuzione di una scintigrafia ossea total body è raccomandata come procedura di stadiazione solo in soggetti sintomatici per dolore scheletrico4, 14. 87 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. 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Inoltre si possono distinguere in forme a sviluppo vegetante di tipo papillare che si estrinseca all’interno del lume vescicale e forme a sviluppo sessile di tipo nodulare ulcerativo nel contesto della parete vescicale che normalmente sono caratterizzate da una prognosi peggiore. I tumori vescicali oltre che per la più o meno estesa invasione della parete vescicale possono essere classificati in base al grado di malignità delle lesioni. Esiste infine una varietà di tumore della vescica definito Carcinoma in Situ (CIS) caratterizzato da lesioni piatte di alta malignità, a crescita superficiale, ma con alto potenziale biologico, vale a dire dotate di grande capacità di evoluzione peggiorativa. Una volta posta diagnosi di carcinoma della vescica, devono essere eseguiti ulteriori accertamenti per verificare se le cellule neoplastiche si sono diffuse all’interno della vescica o ad altre parti dell’organismo. 90 Questo processo, che si definisce stadiazione, insieme al grado istologico di malattia svolge un ruolo decisivo sulla scelta terapeutica e sulla prognosi del soggetto. I sistemi di classificazione che normalmente sono utilizzati nella stadiazione 23 del carcinoma vescicale sono: il TNM 1997, il grading istopatologico OMS-WHO3, 10. Sistema TNM t tumore primitivo TX Tumore primitivo non definibile T0 Tumore primitivo non evidenziabile Ta Carcinoma papillare non invasivo Tis Carcinoma in situ: “tumore piatto” T1 Tumore che invade il tessuto connettivo sottoepiteliale T2 Tumore che invade la parete muscolare t2a invasione superficiale della parete muscolare (metà interna) t2b invasione profonda della parete muscolare (metà esterna) T3 Tumore che invade i tessuti perivescicali t3a microscopicamente t3b macroscopicamente (massa extravescicale) T4 Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: prostata, utero o vagina t4a tumore che invade prostata, utero o vagina t4b tumore che invade la parete pelvica o la parete addominale n NX N0 N1 N2 N3 Linfonodi regionali Linfonodi regionali non valutabili Linfonodi regionali liberi da metastasi Metastasi in un solo linfonodo regionale della dimensione massima di 2 cm Metastasi in uno o più linfonodi regionali delle dimensioni comprese tra 2 e 5 cm Metastasi in un linfonodo della dimensione massima superiore di 5 cm M Metastasi a distanza MX Metastasi a distanza non accertabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti Il grading istopatologico (OMsWHO) GX Il grado di differenziazione non può essere accertato G1 Ben differenziato G2 Moderatamente differenziato G3 Scarsamente differenziato G4 Indifferenziato La classificazione in stadi: Stadio 0 Nello stadio 0, il tumore è localizzato solamente alla mucosa della vescica. Lo stadio 0 si suddivide convenzionalmente in stadio 0a e stadio 0is, a seconda del tipo di tumore: • stadio 0A, anche detto carcinoma papillare: si presenta come una serie di piccoli funghi che protrudono dalla mucosa della vescica; • stadio 0IS, anche detto carcinoma in situ: è un tumore piatto, che cresce sulla mucosa di rivestimento della vescica. Stadio I Il tumore ha invaso la mucosa della vescica. Stadio II Il tumore ha invaso la porzione interna o esterna della parete muscolare della vescica. Stadio III Il tumore si è diffuso allo strato adiposo del tessuto circostante e può aver compromesso gli organi riproduttivi (prostata, utero, vagina). Stadio IV Il tumore si è diffuso dalla vescica alla parete addominale o pelvica. Il tumore potrebbe aver infiltrato uno o più linfonodi adiacenti o anche altri organi a distanza. Cancro della vescica recidivante Si definisce recidivante il tumore della vescica che si ripresenta dopo il trattamento. La recidiva può svilupparsi nella stessa sede del tumore primitivo oppure in un altro organo. Classificazione del carcinoma vescicale e delle vie escretrici3 Il carcinoma della vescica è una malattia che presenta spiccata disomogeneità nella sua storia naturale19. La sopravvivenza a 5 anni varia dal 90% nei tumori superficiali ben differenziati allo 0-10% in caso di invasione della parete pelvica. Molti fattori clinici e patologici risultano determinanti nell’evoluzione della malattia e nelle scelte terapeutiche. Risulta quindi necessaria una selezione rigorosa dei pazienti che possono potenzialmente trarre beneficio da tali trattamenti. Tra i criteri prognostici possiamo distinguere fattori legati alla neoplasia (volume tumorale, stadio, grading, assetto biologico molecolare) e fattori legati al paziente (performance status, età, sesso, livello di emoglobina circolante). 91 I Tumori del Rene e dell’Urotelio In particolare l’infiltrazione muscolare è correlata con la sopravvivenza a 5 anni pari al 20% nei T3, < al 10% nei T4 o N+, non superando il 5% nella malattia metastatica. L’interessamento linfonodale, presente nel 30% dei casi, rappresenta un fattore prognostico peggiorativo con tendenza all’estensione metastatica entro 18 mesi. L’ureteroidronefrosi riflette l’estensione di malattia essendo strettamente correlata alla presenza di tumori muscolo-invasivi e malattia extravescicale ed influenza significatamente la sopravvivenza che a 5 anni scende dal 23 al 4%. L’identificazione dei fattori prognostici riveste un ruolo chiave per la scelta terapeutica atta a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita, così come per una diagnosi più accurata del carcinoma vescicole. CLAssIFICAzIOnE DEL CARCInOMA DELLE ALtE VIE EsCREtRICI Le lesioni paraneoplastiche e neoplastiche delle vie alte urinarie sono le stesse di quelle considerate per il carcinoma vescicale12. Morfologicamente si differenziano in forme piatte (es. CIS), papillare e solide; istologicamente la varietà più frequente è rappresentata dal carcinoma uroteliale (oltre il 90% dei casi), più raro è il carcinoma squamoso (meno dell’8% dei casi), rarissimi sono l’adenocarcinoma ed il carcinoma anaplastico. Per quanto riguarda il grado di differenziazione delle cellule è sovrapponibile a quello dei carcinomi vescicali: GX Il grado di differenziazione non può essere accertato G1 Ben differenziato G2 Moderatamente differenziato G3 Scarsamente differenziato G4 Indifferenziato Invece la diagnosi risulta essere meno agevole rispetto a quella della neoplasie vescicali in quanto la difficoltà d’accesso diretto (endoscopica) alla lesione preclude generalmente la possibilità di ottenere l’esame istologico in fase preoperatoria. Pertanto la diagnosi è, nella maggior parte dei casi di tipo radio92 logica anche se la biopsia con spazzola (brushing) e la recente introduzione dell’ureteroscopia forniscono un valido aiuto nella definizione diagnostica soprattutto nei casi dubbi. L’iter diagnostico iniziale comprende: esame clinico, esami ematobiochimici e dell’urine, citologia urinaria in tre campioni; seguito da valutazione strumentale con urografia, ecografia, TC e/o RMN dell’addome. A completamento o in caso di casi dubbi si può procedere con ureteropielografia ascendente o per cutanea, biopsia con spazzola, cistoscopia o ureteroscopia. Una volta posta diagnosi istologica di neoplasia ureterale è importante dal punto di vista prognostico e /o terapeutico definirne l’estensione locale e a distanza. Il sistema di stadiazione più comunemente impiegato è il TNM22: t TX T0 Tis tumore primitivo L’estensione locale del tumore primitivo non può essere definita Non sono presenti segni del tumore primitivo Carcinoma in situ (tumore intraepiteliale piatto) T1 T2 T3 T4 n NX N0 N1 N2 N3 Tumore che invade il connettivo sottoepiteliale Tumore che invade la muscolatura Tumore che invade il grasso periureterale o peripielico o il parenchima renale Tumore che invade gli organi adiacenti o, attraverso il rene, il grasso perirenale. Linfonodi regionali Linfonodi regionali non valutabili Linfonodi regionali liberi da metastasi Metastasi in un solo linfonodo regionale della dimensione massima di 2 cm Metastasi in uno o più linfonodi regionali delle dimensioni comprese tra 2 e 5 cm Metastasi in un linfonodo della dimensione massima superiore di 5 cm M Metastasi a distanza MX Metastasi a distanza non accertabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti Gruppo di stadiazione AjCC Stage 0a Ta, N0, M0 Stage 0is Tis, N0, M0 Stage I T1, N0, M0 Stage II T2, N0, M0 Stage III T3, N0, M0 Stage IV T4, N0, M0 Any T, N1, M0 Any T, N2, M0 Any T, N3, M0 Any T, Any N, M1 Lo stadio ed il grado istologico di malignità rappresentano i principali parametri prognostici per i tumori delle vie urinarie superiori19. Per quanto riguarda lo stadio la sopravvivenza a 5 anni varia dal 60 al 90% per i Ta, al 40-50% per i T1, al 20% per i T3; nei tumori metastatici le percentuali sono prossime allo zero. Anche il grading è strettamente correlato con la sopravvivena a 5 anni che infatti risulta essere del 55% per le forme ben differenziate, del 15% per le forme scarsamente differenziate. Pertanto si può suddividere i soggetti affetti da carcinoma delle alte vie escretrici nelle seguenti classi prognostiche (UICC/AJCC 2002)23: a prognosi favorevole: neoplasie T0, Tis, T1 (stadio 0-I) con una sopravvivenza a 10 anni dell’80-100% a prognosi non favorevole: neoplasie T2 e T3 (stadio II-III) con una sopravvivenza a 10 anni del 40-60% a prognosi sfavorevole: neoplasie T4 (stadio IV) con una sopravvivenza a 5 anni inferiore del 5%. 93 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. J Clin Oncol 27:15s, 2009 (suppl; abstr 5092) Author(s): C. Wulfing, E. Herrmann, L. Trojan, A. Schrader, F. Becker, M. Stähler, A. Haferkamp, W. Legal, W. Brenner, A. 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La resezione endoscopica ha un intento stadiativo, diagnostico e terapeutico. Tale manovra viene condotta in anestesia loco-regionale e si propone l’asportazione della porzione esofitica del tumore, della sua base di impianto e dei margini circostanti la base di impianto. Affinché l’intento stadiante della resezione sia garantito, occorre che nel tessuto resecato in corrispondenza della base di impianto sia contenuto del tessuto muscolare istologicamente analizzabile. Le resezioni incomplete (con conseguente rischio di sotto-stadiazione del tumore) sono frequenti. Una seconda resezione (re-TUR), eseguita a 6 settimane dalla prima, è raccomandata in caso di prima resezione non completa, in assenza di tonaca muscolare nei campioni della prima resezione e in presenza di neoplasia T1 G3 alla prima resezione. Numerosi studi di re-TUR hanno riportato l’elevata incidenza (1798 45%) di malattia residua nella sede della pregressa TUR ad una seconda resezione endoscopica eseguita entro 6 settimane dalla resezione originaria1, 2, 3. In particolare, persistenza di malattia residua è del 3353% dei pazienti con neoplasia in stadio T14-7. La presenza di tumore residuo alla re-TUR rappresenta un fattore prognostico negativo per rischio di recidiva e progressione8, 9. Ciò è particolarmente evidente nelle neoplasie ad alto rischio (T1 ad alto grado) per le quali la seconda TUR ha dimostrato un impatto sulla storia naturale aumentando l’intervallo libero da malattia e riducendo il tasso di progressione. Uno studio del Memorial Sloan Kettering Cancer Center ha valutato 701 pazienti con neoplasia T1 sottoposti a re-TUR. La tonaca muscolare era presente in 421 campioni iniziali di questi 701 pazienti, non era riconoscibile in 280. Alla seconda TUR si sono rilevate neoplasie T0 nel 22% dei casi e T1-2 nel 55% dei casi. La presenza di tonaca muscolare nel primo campione riduce il rischio di sotto-stadiazione. Nel 40% dei pazienti con assenza di tonaca muscolare nel primo prelievo, alla re-TUR sono state evidenziate neoplasie con stadio ≥ T2. Studi recenti hanno riportato, nei pazienti sottoposti a re-TUR, un possibile effetto terapeutico e un miglior controllo locale nei casi T1 con miglioramento della risposta a breve termine al BCG.7. Herr ha valutato 352 pazienti con neoplasia T1, seguiti per 5 anni. I pazienti con assenza di neoplasia alla re-TUR avevano una sopravvivenza del 95%, mentre nei pazienti con residuo tumorale Ta-Tis la sopravvivenza era del 75%. I pazienti con persistenza di tumore ≥ T1 alla re-TUR avevano una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 20%. Gli autori concludono affermando la necessità di sottoporre a una seconda TUR i pazienti con neoplasia T1, anche in presenza di tonaca muscolare nel campione iniziale. Questo riduce in modo significativo il rischio d sottostadiazione e permette un trattamento più appropriato per il paziente. La resezione endoscopica può essere condotta previa instillazione endovescicale di farmaci induttori di fluorescenza (5-ALA, HAL). Questa tecnica permette di visualizzare in maniera più evidente la presenza o la persistenza di malattia, ma non è ancora stata chiarita la sua reale influenza sulla storia naturale della malattia e il vantaggio (costo/beneficio) a lungo termine. Trattamento chemio-immunoterapico locale Nonostante la completa eradicazione del tumore primitivo, circa due terzi dei pazienti con neoplasia superficiale, sviluppano una recidiva locale entro 5 anni. La terapia endovescicale riduce questa percentuale. L’EORTC, sulla base di una metaanalisi su 2.596 pazienti, ha sviluppato uno Scoring System da cui è possibile valutare il grado di rischio delle neoplasie superficiali. La definizione del grado di rischio permette di definire l’indicazione all’effettuazione di ulteriori trattamenti post-TUR10. Sulla base di questo sistema vengono definite tre categorie di rischio: • Basso Rischio: lesione unica, Ta, G1, diametro <3 cm (probabilità di recidiva ad un anno 15%, probabilità di progressione a 5 anni: 0.8%) • Rischio Intermedio: Ta-T1, G1-2, diametro > 3 cm (probabilità di recidiva ad un anno 24-38%, probabilità di progressione a 5 anni: 6%) • Alto rischio: multifocalità, alto tasso di recidiva, stadio T1, grado G3, Tis (probabilità di recidiva ad un anno 61%, probabilità di progressione a 5 anni: 30%) La concomitante presenza di un CIS incrementa il rischio di progressione dal 29% al 74% a 5 anni e una neoplasia recidiva/residua alla prima valutazione cistoscopica a 3 mesi dalla TUR incrementa il rischio di progressione dall’8.7% al 25.6% a 5 anni11, 12. Già nelle lesioni a basso rischio è indicato un trattamento chemioterapico endovescicale. Il trattamento endovescicale agisce a diretto contatto con la mucosa vescicale e previene l’impianto di cellule tumorali nella regione irritata dal trattamento chirurgico. Secondo numerosi studi la chemioterapia endovescicale si prefigge: • completamento dell’eradicazione della neoplasia effettuata con la TUR • allungamento dell’intervallo libero tra TUR e recidive • prevenzione della progressione per stadio e grado della malattia. Gli svantaggi di tale trattamento sono imputabili soprattutto alla tossicità locale e alla tossicità sistemica 99 I Tumori del Rene e dell’Urotelio dovuta alla quota di farmaco che entra in circolo. Il trattamento chemioterapico endovescicale può essere effettuato immediatamente dopo la chirurgica locale o entro 24 ore. Una meta-analisi, su 7 studi randomizzati per un totale di 1.476 pazienti, seguiti per un follow-up mediano di 3.4 anni, pubblicata da Sylvester RJ nel 200413, mostra che la chemioterapia endovescicale riduce il tasso di recidiva dell’11.7%, passando dal 48.4% dopo sola TUR, al 36.7% dopo una singola dose di chemioterapia endovescicale. Tale risultato è confermato in caso di neoplasia Ta e T1 con lesione singola. In presenza di lesioni multiple, gli autori concludono che questo trattamento potrebbe non essere adeguato. Una più recente meta-analisi di due studi riporta, dopo un singolo trattamento con mitomicina C, una riduzione del tasso di recidiva del 17% rispetto alla sola TUR14. Pur non esistendo accordo unanime sullo schema di trattamento ideale, la maggior parte degli autori concorda sul fatto che il trattamento precoce è preferibile a quello tardivo15. Il maggiore beneficio è atteso quando l’instillazione è effettuata entro le prime 6 ore dalla TUR16-18. Il vantaggio della singola instillazione precoce si manifesta sostanzialmente durante i primi 24 mesi dalla TUR13. Il tiotepa è stato il primo farmaco utilizzato, ma a causa del basso peso molecolare, si verifica un significativo assorbimento sistemico che determina mielosoppressione in oltre il 50% dei casi. La mitomicina C è il farmaco più frequentemente usato negli USA con buona tollerabilità. La mitomicina C è utilizzata alla dose di 40 mg che rimangono 100 in vescica per 45 minuti19. La doxorubicina determina un’alta incidenza di contrazioni vescicali. L’epirubicina non è disponibile negli USA ma è molto utilizzata in Europa (20). Dai dati degli studi pubblicati, non si è potuto documentare la superiorità di un farmaco rispetto ad un altro: Mitomicina C, Epirubicina e doxorubicina hanno entrambe riportato un beneficio netto rispetto alla sola TUR21. Recentemente sono stati utilizzati anche gemcitabina e docetaxel. La somministrazione di questi ultimi è ben tollerata, con minima induzione di cistite e scarso assorbimento sistemico22. Per i pazienti a rischio intermedio e alto, si ritiene insufficiente l’instillazione singola precoce e si raccomanda un trattamento adiuvante addizionale. Mentre l’effetto favorevole della chemioterapia locale nella riduzione delle recidive post-TUR è confermato da almeno 2 meta-analisi23, 24, una meta-analisi dell’EORTC e del Medical Research Council ha dimostrato che la chemioterapia adiuvante non è in grado di influenzare la progressione della malattia25. Un recente studio randomizzato conclude che la chemioterapia endovescicale postoperatoria con epirubicina non aggiunge vantaggi a pazienti successivamente trattati con BCG26. Nei pazienti a rischio intermedio, il rischio di recidiva è del 50%, mentre solo nell’1,8% vi è progressione a malattia muscolo-invasiva27; pertanto la scelta fra l’utilizzo di chemioterapici o del BCG va fatta considerando la maggiore efficacia del BCG a fronte di una maggiore tossicità. Rimane estremamente controverso lo schema di somministrazione della chemioterapia adiuvante (quan- te instillazioni complessive e con quale cadenza, per quanto tempo proseguirla). Alcune evidenze cliniche consigliano un mantenimento a lungo termine (comunque non oltre i 6-12 mesi) ma la scheda di somministrazione, così come il farmaco ideale per la chemioterapia addizionale, rimangono ancora del tutto da definire28-30. Lo studio pubblicato da Tolley DA nel 199631 ha randomizzato 502 pazienti post-TUR a nessuna ulteriore terapia, una istillazione di mitomicina C immediatamente post-TUR, una istillazione di Mitomicina C immediatamente post-operatoria e istillazioni successive ogni 3 mesi per un anno. Gli autori hanno concluso che una singola istillazione di Mitomicina C riduce il rischio di recidiva locale del 50% ma nessun vantaggio ulteriore deriva da istillazioni ripetute. Uno studio prospettico randomizzato mostra a 3 anni un superiore intervallo libero da recidiva per pazienti sottoposti a TUR ripetute rispetto a pazienti trattati con chemioterapia endovescicale32. Nei pazienti ad alto rischio è raccomandabile ricorrere alla immunoterapia adiuvante con BCG. Nei pazienti con neoplasia in stadio T1, tuttavia, può essere considerata l’opportunità di una cistectomia radicale. Tale trattamento è indicato anche per tumori con elevata componente in situ e neoplasie con frequenti recidive. Una miglior sopravvivenza è garantita da un timing corretto della cistectomia33, 34. La sopravvivenza dei pazienti (con tumori T1, Tis) sottoposti precocemente a cistectomia, è migliore dei pazienti sottoposti a cistectomia tardivamente35. Una tempestiva cistectomia riduce la mortalità e la morbidità peri-ope- ratorie, migliora le possibilità di una chirurgia adeguata, permette di scegliere tra una neovescica ortotopica o una diversione urinaria36, 37. Fallimenti dopo chemioterapia endovescicale In questi casi è consigliabile il ricorso al trattamento alternativo con BCG dato che pazienti non rispondenti alla chemioterapia possono rispondere alla immunoterapia38. Immunoterapia endovescicale con BCG Il BCG è il più comune agente immunomodulatore utilizzato nelle neoplasie superficiali. Quattro meta-analisi hanno documentato la superiorità della profilassi con BCG rispetto alla sola TUR o alla TUR seguita dalla chemioterapia adiuvante nella prevenzione delle recidive38-42 e tre meta-analisi43-45 hanno documentato l’efficacia del BCG nel prevenire o ritardare la progressione della malattia. La meta-analisi su 4863 pazienti da 24 studi43, mostra una riduzione del 27% del rischio di progressione per pazienti trattati con BCG ad un follow-up di 2.5 anni. La durata mediana della remissione completa varia dai 2 ai 4 anni. L’utilizzo del BCG appare particolarmente efficace in forme più aggressive ed è diventato il trattamento di scelta nel CIS. Lo schema ottimale di somministrazione del BCG prevede un mantenimento a lungo termine. Infatti, solo gli studi con mantenimento hanno potuto registrare un beneficio nella riduzione del rischio di progressione. In ogni caso, un mantenimento della durata di almeno 12 mesi è necessario46, 47. Nello studio SWOG 8507, tuttavia, che valutava una terapia di 101 I Tumori del Rene e dell’Urotelio mantenimento con BCG verso la sola induzione, solo il 16% ha completato l’intero trattamento di mantenimento previsto e il 25% dei pazienti in questo gruppo ha sperimentato tossicità di grado ≥ 346. Allo scopo di identificare la dose ottimale di BCG, il gruppo CUETO48 ha condotto uno studio multicentrico randomizzato che confrontvaa BCG a basse dosi (27 mg) verso BGC a dose ulteriormente ridotta (13 mg) verso Mitomicina C (30 mg). Le basse dosi di BCG (27 mg) determinano un maggiore intervallo dalla recidiva e sono più efficaci della Mitomicina C (30 mg), con una buona tollerabilità. Per quanto riguarda le neoplasie in situ, numerosi studi hanno documentato percentuali di risposte complete del 70-75% con due cicli di induzione. Più del 50% dei pazienti con risposta completa, rimane libero da malattia per più di 5 anni con una significativa riduzione della necessità di cistectomia49, 50, 46. Fallimenti dopo BCG endovescicale Si considerano fallimenti del trattamento con BCG i casi con: • documentazione istologica di una progressione per stadio verso una forma invasiva • persistenza di una neoplasia non muscolo invasiva ad alto grado a 3 che a 6 mesi dal termine del ciclo di induzione. • ogni caso di peggioramento dei fattori prognostici in corso di trattamento, quali riduzione dell’intervallo libero tra le recidive, incremento di stadio o di grado, comparsa ex novo di CIS indipendentemente dalla risposta iniziale. Nei pazienti con neoplasia persistente a 3 mesi è dimostrato che un ci102 clo addizionale di BCG è in grado di ottenere una risposta completa in oltre il 50% dei casi, sia in caso di neoplasie papillari che nei CIS51, 52.Esiste tuttavia un accordo generale che, in considerazione dell’alto rischio di progredire verso una forma muscolo invasiva, per i pazienti in fallimento dopo BCG, la cistectomia radicale precoce sia raccomandata53-55. Diverse alternative sono state sviluppate per i pazienti non candidati a trattamento chirurgico. La valrubicina intravescicale, anche se non è comunemente usata, è stata approvata dalla FDA per il trattamento delle neoplasie Tis refrattarie a BCG in pazienti che rifiutano la cistectomia. Studi di fase II con gemcitabina hanno mostrato risultati promettenti. Mancano ancora dati di follow-up a lungo termine56. Anche l’IFN si è dimostrato attivo. Uno studio recente riporta i risultati di 490 pazienti trattati con BCG più IFN. L’intervallo libero da malattia a 2 anni è del 57% nei pazienti non protrattati con BCG e del 42% nei pazienti ricaduti dopo BCG e ritrattati con basse dosi di BCG +IFN. In questo gruppo di pazienti non è stato notato un incremento delle cistectomie o delle progressioni precoci di malattia57. Discussione e conclusioni Le neoplasie superficiali della vescica, nella maggior parte dei casi, sono una patologia di lunga durata che influenza per molti anni la qualità di vita del paziente. Sono importanti fin da subito una corretta e completa informazione, una valutazione adeguata della categoria di rischio e una discussione con il paziente sulle possibili opzioni terapeutiche. Come illustrato precedentemente, il ruolo della TUR, come trattamento primario, è definito con un elevato livello di evidenza. È confermato anche il beneficio, in termini di riduzione delle recidive, ottenuto dalla chemio-immunoterapia endovescicale. Il rischio di progressione sistemica delle neoplasie superficiali, rimane tuttavia, ad oggi, l’evento vita-limitante. Tale dato è ancora poco valutato negli studi. Sono ancora aperte importanti questioni riguardanti il tipo di trattamento endo-vescicale, le dosi e la durata dello stesso. Nei molti studi pubblicati sono stati testa- ti diversi farmaci e diversi regimi, ma con estrema eterogeneità dei gruppi di pazienti trattati per caratteristiche e categorie di rischio. Questa mancanza di uniformità impedisce, anche nelle meta-analisi, conclusioni più definitive. Molti nuovi farmaci necessitano di studi di fase III. È importante informare il paziente della necessità di controlli periodici (cistoscopia ogni 3 mesi) e delle possibilità di ulteriori successivi trattamenti. In alternativa, la cistectomia rimane un’opzione valida di trattamento. Figura 1: Algoritmo 1. Neoplasia vescicale superficiale TUR e re-TUR Basso rischio Rischio intermedio Alto rischio Insitllazione immediata di chemioterapia endovesciale Cistoscopia periodica Chemioterapia endovescicale per 6-12 mesi o Terapia con BCG RECIDIVA Cistoscopia periodica RECIDIVA BCG Cistoscopia periodica RECIDIVA CISTECTOMIA 103 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. Klän R, Loy V, Huland H. 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L’intervento chirurgico consiste nella rimozione in blocco della vescica, delle vescichette seminali, della prostata, negli uomini; dell’utero, delle ovaie e dell’uretra nelle donne. La sopravvivenza a 5 anni è intorno al 50%2. Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche, negli ultimi anni non è stato ottenuto alcun guadagno di sopravvivenza con la sola chirurgia. Nel confronto di una serie di pazienti operati prima e dopo il 1985, emerge una sopravvivenza a 5 anni nei contemporanei verso gli storici del 67% vs 60% per i pT2, del 35% vs 33% per i pT3 e del 27% vs 21% per pT4. la percentuale di pazienti che hanno sviluppato successivamente metastasi a distanza va dal 20% per i pT2 al 90% per i pT43. Le percentuali di complicanze legate 110 all’intervento vanno dal 17% al 32% con una mortalità peri-operatoria dell’1-2%. Le cause più frequenti di morte peri-operatoria sono le sepsi e le complicanza cardiovascolari4. Dopo la cistectomia radicale, la vescica può essere sostituita da una diversione urinaria con connessione degli ureteri al condotto intestinale o alla cute. Tale procedura implica la presenza di un drenaggio esterno con sacchetto che raccoglie l’urina. In alternativa è stata sviluppata la costruzione di un resevoir interno continente usando un tratto di ileo o il segmento ileo-cecale. Tale resevoir può essere “attaccato” alla parete addominale o abboccato all’uretra. Il paziente può cateterizzarsi autonomamente o urinare nella posizione normale. Attualmente è ampiamente diffusa la pratica di ricostruzione della vescica con neovescica ortotopica, con miglioramento della qualità di vita del paziente5. Tale procedura porta ad una buona accettabilità da parte del paziente, con una continenza dell’85-90%. Le procedure nerve-sparing permettono di mantenere una normale attività sessuale nel 30-60% dei pazienti6. Recentemente sono stati pubblicati dati anche sulla possibilità di una chirurgia con risparmio totale o parziale della prostata7. Manca tuttavia uno studio randomizzato che metta a confronto cistectomia radicale versus cistectomia “prostate sparing”. Un tumore prostatico misconosciuto pre-operatoriamente è presente nel 23-54% dei pazienti cistectomizzati. Fino al 29% di queste neoplasie prostatiche possono essere clinicamente significative e recidivare localmente o persino a distanza nel caso di una eventuale cistectomia “prostate sparing”8-10. Un’infiltrazione di neoplasia uroteliale a livello prosta- tico è stata inoltre rilevata nel 33% dei pazienti sottoposti a cistoprostatectomia radicale11. L’uretra viene analizzata in breve tratto. L’asportazione totale dell’uretra trova indicazione nel caso di margini di resezione positivi, in caso di neoplasia del collo vescicale, con coinvolgimento dell’uretra o infiltrazione prostatica. La cistectomia laparoscopica è una tecnica ormai consolidata e in alcuni centri di riferimento di routinaria esecuzione sia nell’uomo che nella donna. La cistectomia e la successiva derivazione urinaria possono essere “hand-assisted”, “robot assisted” o entrambe12, 13. A tutt’oggi la maggior parte degli operatori soprattutto nella fase ricostruttiva preferisce un approccio “open”. Attualmente nessuno studio presente in letteratura ha dimostrato un miglioramento della qualità di vita e soprattutto un aumento della sopravvivenza specifica libera da malattia nei pazienti sottoposti a cistectomia radicale laparoscopica. Un ritardo nell’esecuzione della cistectomia di circa 90 giorni dalla prima diagnosi causa un significativo incremento del rischio di propagazione extravescicale della malattia (81 vs 52%). Il ritardo nell’esecuzione della cistectomia non influenza solo l’esito dell’intervento ma anche il tipo di diversione urinaria. In una neoplasia uroteliale confinata alla vescica il tempo medio intercorrente dalla prima diagnosi alla cistectomia è di 12.2 mesi nei pazienti in cui è stata eseguita una derivazione ortotopica continente e di 19.1 mesi nei pazienti con condotto ileale non ortotopico non continente. Questo aspetto è particolarmente significativo per i pazienti che mostrano una neoplasia invasiva della vescica organo-confinata14, 15. Una differenza in termini di mortalità post intervento, di incidenza delle complicanze e di sopravvivenza, è determinata dall’abilità del chirurgo che effettua l’intervento16, 17. Il PS è l’età del paziente sono fattori che influenzano non solo il trattamento primario del tumore ma anche la scelta della diversione da utilizzare. La maggior parte degli studi riportano a 5 anni una sopravvivenza del 60-75% per i tumori in stadio T2 e del 20-40% per i tumori in stadio T3-4. La presenza di margini liberi da malattia è indicatore di miglior sopravvivenza. tAbELLA 1: tERAPIA ADIUVAntE E nEOADIUVAntE terapia neoadiuvante Vantaggi Svantaggi terapia adiuvante Vantaggi Svantaggi Valutazione della risposta Tossicità pre-chirurgia indicazioni guidate da una corretta stadiazione Possibili ritardi nella somministrazione per effetti collaterali post-chirurgici Trattamento precoce delle metastasi occulte Ritardato trattamento locale nei tumori chemio-resistenti Trend positivo in alcuni studi Vantaggio non statisticamente significativo Aumento del controllo locale di malattia Rischio di una non corretta stadiazione Vantaggio in sopravvivenza dagli studi randomizzati 111 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Circa il 15% dei pazienti trattati con chirurgia radicale, sviluppa metastasi a distanza entro 6-12 mesi dalla chirurgia. Tale dato suggerisce la necessità di trattamenti chemioterapici anche per pazienti con neoplasie confinate alla vescica e linfonodi negativi18 (Tabella 1). ruolo della linfadenectomia Le neoplasie uroteliali hanno una caratteristica prima diffusione per via linfatica con interessamento dei linfonodi regionali. Il 25% dei pazienti con neoplasia T1-T4 sottoposti a chirurgia risultano avere metastasi linfonodali. Il ruolo della linfadenectomia è frequentemente dibattuto. I dati raccolti da Stein JP et al.19-21 valutano i risultati di una linfadenectomia pelvica estesa (che include una dissezione linfonodale dalla mesenterica inferiore ai linfonodi inguinali bilaterali). Un maggior numero di linfonodi campionati permette una più corretta stadiazione e sembra portare ad un beneficio in termini di sopravvivenza. Questi dati erano stati anticipati da Herr22 che aveva documentato un aumento in sopravvivenza nei pazienti con più di 10 linfonodi asportati. Attualmente la maggior parte dei chirurghi si orienta verso una linfadenectomia estesa. Tali dati sono stati confermati anche da una revisione della letteratura pubblicata da Karl A. nel 200923. Conservazione della vescica Il vantaggio della preservazione della vescica include la necessità di una chirurgia minore, la assenza di diversione urinaria e una normale vita sessuale con un netto miglioramento della qualità di vita del paziente. La combinazione di chemioterapia neoadiuvante e radioterapia permette una preservazione d’organo in circa 112 il 40% dei pazienti con una sopravvivenza a 5 anni dal 42 al 63%24. I fattori prognostici favorevoli alla preservazione della vescica sono: tumori di piccole dimensioni, assenza di idronefrosi, istologia papillare, TUR completa e risposta completa alla terapia di induzione. Uno studio su 87 pazienti con tumore in stadio T2-T4a, trattati con chemioterapia (MVAC per 3 cicli) seguita da TUR o cistectomia parziale o cistectomia totale, ha permesso una conservazione dell’organo nel 57% dei pazienti del gruppo trattato con TUR, con una sopravvivenza a 5 anni superiore al 60%25. In un altro studio con 111 pazienti trattati con MVAC in neoadiuvante, la sopravvivenza a 10 anni per i pazienti sottoposti a TUR o a cistectomia parziale è risultata del 74% con una conservazione della vescica nel 58% dei pazienti26. Altri studi che hanno utilizzato trattamenti combinati chemio-radioterapici e TUR, hanno confermato un buon tasso di sopravvivenza a lungo termine con preservazione d’organo27-29. La conservazione della vescica è fattibile, ma la validità di questo approccio deve essere confermata da studi randomizzati con un numero adeguato di pazienti. La preservazione della vescica richiede una stretta cooperazione multidisciplinare e una buona compliance da parte del paziente. Anche se la risposta al trattamento è stata completa, la vescica rimane una sede potenziale di recidiva. Tali pazienti necessitano quindi di una stretta sorveglianza e di ripetute cistectomie di controllo. Terapia neoadiuvante La chemioterapia neoadiuvante ha diversi vantaggi: può eradicare precocemente le metastasi occulte che sono la prima causa di fallimento della chirurgia, è meglio tollerata dal paziente e permette di valutare la chemio-responsività della malattia30. Nella Tabella 1 sono elencati i principali studi randomizzati di chemioterapia neoadiuvante. La maggior parte di questi studi non ha mostrato vantaggi in termini di sopravvivenza ma questo dato va correlato alla presenza di un campione inadeguato di pazienti, l’utilizzo di una chemioterapia sub-ottimale (cisplatino in mono-terapia) e, in alcuni casi, la chiusura prematura dello studio o la mancanza di un adeguato follow-up. Più recentemente i risultati di studi randomizzati ben disegnati e la pubblicazione di meta-analisi, hanno spostato l’attenzione in favore della terapia neoadiuvante. Lo schema MVAC (methotrexate, adriamicina, cisplatino e vinblastina), introdotto nel 1985, è stato il primo schema terapeutico utilizzato con succes- so nella neoplasia vescicale metastatica31. La percentuale di risposte raggiunte arrivava al 72% con 36% di risposte complete. Per tale motivo, questo schema è stato il primo ad essere utilizzato in fase neoadiuvante32. Lo studio con numero maggiore di pazienti è stato condotto dall’EORTC/MRC33 in questo studio 976 pazienti, provenenti da 106 centri, furono randomizzati tra chemioterapia con schema CMV (Cisplatino, Metotrexate e Vinblastina) per 3 cicli, 491 pazienti, verso sola chirurgica con o senza associazione di radioterapia (485 pazienti). L’obiettivo dello studio era quello di ottenere una differenza in sopravvivenza globale del 10%. Ad un follow-up mediano di tre anni, lo studio fu considerato negativo con una differenza in OS non statisticamente significativa. I risultati aggiornati ad un follow-up mediano di 7 anni mostrano un vantaggio in sopravvivenza (5%) tAbELLA 2: CHEMIOtERAPIA nEOADIUVAntE studi n° pz trattamento neoadivuante trattamento locale sopravvivenza Spagna/CUETO 121 Cisplatino e Chirurgia Chirurgia Non differenza EORTC/MCR 976 CMV e RT/Chirurgia RT/Chirurgia 5,5% a favore di CMV SWOG/Intergroup 307 MVAC e Chirurgia Chirurgia Trend a favore di MVAC Italia/GUONE 206 MVAC e Chirurgia Chirurgia Non differenza Italia/GISTV 171 MVEC e Chirurgia Chirurgia Non differenza Nordic 1 325 Cisplatino e Doxorubicina con Chirurgia e RT Chirurgia e RT Non differenza. Benefico del 15% negli stadi T3-T4a Nordic 2 317 Cisplatino e Metohtrexate con Chirurgia Chirurgia Non differenza Abol-Enein 194 CarboplatinoMV e Chirurgia Beneficio in DFS per CarboplatinoMV 113 I Tumori del Rene e dell’Urotelio statisticamente significativo per i pazienti trattati con chemioterapia. Non è stata condotta una analisi di sottogruppo per valutare gli eventuali effetti della radioterapia. Non esiste un confronto diretto di efficacia tra lo schema CMV e MVAC, quest’ultimo tuttavia è considerato di maggiore efficacia. Lo studio INT-008034 condotto negli USA conferma I vantaggi della terapia neoadiuvante. Un totale di 317 pazienti (di cui 307 eleggibili), con neoplasia vescicale stadio T2-T4a, sono stati randomizzati a 3 cicli di MVAC seguiti da chirurgia verso sola chirurgia. La sopravvivenza mediana è risultata di 77 mesi per i pazienti chemio-trattati, verso 46 mesi per i pazienti trattati con sola chirurgia (riduzione del rischio di morte del 25%, HR 1.33). Il 38% dei pazienti trattati con MVAC ha raggiunto una risposta completa; l’età non è risultata un fattore che influenza la sopravvivenza. L’utilizzo della chemioterapia non ha determinato un aumento delle complicanze chirurgiche. Questo studio ha avuto un tempo di arruolamento di 11 anni e questo può aver creato dei bias nella selezione dei pazienti. Lo studio italiano del GUONE ha arruolato 206 pazienti randomizzati tra 4 cicli MVAC neoadiuvante e sola chirurgia. Lo studio ha fallito nel dimostrare il vantaggio in sopravvivenza ipotizzato (15% a 3 anni) ed è stato chiuso precocemente35. Anche un altro studio italiano con schema MVEC non ha mostrato vantaggi di sopravvivenza36. Nello studio Nordic I sono stati arruolati 325 pazienti randomizzati tra chemioterapia con cisplatino e doxorubicina seguita da chirurgia e radioterapia verso chirurgia più radioterapia 40 Gy37. Tale studio ha mostrato un piccolo vantaggio in 114 sopravvivenza solo nel sottogruppo di pazienti con neoplasia T3-4. Lo studio Nordic II ha arruolato 317 pazienti trattati con tre cicli pre-operatorio con schema CM vs sola chirurgia38. L’analisi combinata dei due studi mostra un vantaggio in termini di sopravvivenza per i pazienti trattati con chemioterapia neoadiuvante con una differenza in sopravvivenza a 5 anni dal 56 al 48%39. Altri studi minori non hanno mostrato alcun vantaggio. Con l’obiettivo di ridurre la tossicità del cisplatino, Abol-Enein et al. hanno valutato l’efficacia della combinazione CaMV, utilizzando carboplatino in sostituzione del cisplatino40. Sono stati randomizzati 196 pazienti trattati con due cicli di terapia neoadiuvante verso sola chirurgia. La DFS a 5 anni è risultata del 62% versus 42%, (P = 0.013), a favore del braccio di chemioterapia. È stato calcolato che per evidenziare un vantaggio del 10% in sopravvivenza occorrerebbe arruolare 1000 pazienti. Una prima meta-analisi di 2688 pazienti da 10 studi randomizzati, non ha tenuto conto dei dati dello studio INT-008041. Tale analisi ha confermato il beneficio di sopravvivenza del 5% con l’utilizzo di chemioterapia contente cisplatino e una riduzione del rischio di morte del 13% (p = 0.016). Il beneficio in sopravvivenza non raggiunge la significatività statistica se vengono considerati gli studi con cisplatino in mono terapia. Una meta-analisi canadese 42 su 2605 pazienti, conferma un beneficio assoluto in sopravvivenza del 6.5% nei pazienti trattati con chemioterapia platinum-based e un miglioramento della sopravvivenza globale dal 50% al 56.5% (p=0.006). La meta-analisi più autorevole, con un totale di 3005 pazienti, risultan- te dall’analisi di 11 studi (compreso l’INT-0080) evidenzia un beneficio in sopravvivenza dal 5%. (p = 0.003) e una riduzione del 14% del rischio di morte per malattia (43). Tale vantaggio si conferma in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati. Tuttavia, nonostante questi risultati il trattamento neoadiuvante non è ampiamente praticato. Le ragioni riconoscibili possono essere diverse: molti urologi non ritengono che un vantaggio del 5% giustifichi un trattamento preoperatorio, nei pazienti non chemio-responsivi un ritardo nella chirurgica compromette le probabilità di sopravvivenza. In report pubblicato nel 200744 risulta che dal National Bladder Cancer Database solo lo 0.7% di pazienti con neoplasia vescicale localmente avanzata viene sottoposto a trattamento neoadiuvante. La chemioterapia neoadiuvante è meglio tollerata dai pazienti. Il trattamento adiuvante post-operatorio è gravato da maggiori tossicità e ritardi di somministrazione. Gli studi in corso devono porsi l’obiettivo di valutare quale è il miglior schema terapeutico in termini di efficacia e tollerabilità e i vantaggi dall’aggiunta di nuovi farmaci. Terapia adiuvante Il ruolo della terapia adiuvante postcistectomia è ad oggi poco chiaro. I vantaggi di tale trattamento sono: l’assenza di ritardi nel trattamento chirurgico locale (soprattutto per pazienti non chemio-responsivi) e una corretta stadiazione patologica. Gli svantaggi sono dati dalla assenza di un test di chemio-sensibilità in vivo e la difficoltà a somministrare la chemioterapia in un paziente appena operato di cistectomia. In pazienti con tumore pT3-4 e/o N+M0 la sopravvivenza a 5 anni dopo cistectomia radicale varia dal 25 al 35%. L’obiettivo della chemioterapia adiuvante è quello di aumentare la sopravvivenza e ritardare la recidiva. Il trattamento post-operatorio ha il vantaggio di selezionare i pazienti con caratteristiche patologiche a più altro rischio e di non ritardare il trattamento chirurgico. Nella tabella 2 vengono mostrati i risultati degli studi di chemioterapia adiuvante. Si tratta di piccoli studi con numero di pazienti variabile da 49 a 108. Il primo studio comparativo non randomizzato, riportato da Logothetis et al. 198845, valuta l’efficacia del trattamento con 5 cicli di terapia con schema CISCA (cisplatino, ciclofosfamide, adriamicina) nei pazienti ad alto rischio. Si evidenzia un vantaggio in DFS statisticamente significativo a 2 anni (79% vs 37% p = 0.0012). Nello studio di Skinner et al 1991 (46), i pazienti con neoplasia pT3T4a o N+ sono stati randomizzati tra chemioterapia con cisplatino, ciclofosamide e doxorubicina (CAP) per 4 cicli, verso nessun trattamento. La mediana di sopravvivenza e risultata di 4.3 anni nel braccio di chemioterapia adiuvante verso 2.4 anni per il gruppo trattato con sola chirurgia (p=0.006) con un vantaggio in DFS (51% vs. 34%) e in sopravvivenza globale (44% vs. 39%, n.s.). Tale studio è stato fortemente criticato per la metodologia con cui è stato condotto: solo 91 dei 498 pazienti risultati eleggibili, sono stati arruolati e molti pazienti non hanno ricevuto la terapia assegnata. Anche lo schema terapeutico utilizzato non è stato considerato adeguato. Solo i pazienti con localizzazioni linfonodali hanno mostrato un effettivo vantaggio dal trattamento adiuvante. 115 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Stockle et al 199547 hanno randomizzato pazienti ad alto rischio a trattamento con 3 cicli di methotrexate, viblastina, doxorubicina/epirubicina verso sola chirurgia. Lo studio è stato chiuso precocemente dopo l’arruolamento di soli 49 pazienti perché l’analisi ad interim aveva mostrato un miglioramento significativo nella sopravvivenza libera da malattia a 3 anni (63% vs 13%, p= 0.002). Un aggiornamento recente dei dati di questo studio riporta vantaggi statisticamente significativi in PFS (44% vs 13%, p =0.002), DSS (disease specific servival = 42% vs 17%, p = 0.007) e un trend per la sopravvivenza globale (27% vs 17%, p = 0.07)48. Un beneficio significativo è stato visto nei pazienti N+ trattati con chemioterapia adiuvante. Solo il 27% dei pazienti trattati con chemioterapia è andato incontro a progressione di malattia verso il 92% dei pazienti trattati con sola cistectomia. Anche quest’ultimo studio è stato fortemente criticato dal punto di vista metodologico. Altri studi che non evidenziano vantaggi in sopravvivenza hanno arruolato un numero di pazienti non adeguato o hanno utilizzato trattamenti di efficacia inferiore alle terapia platinum-based. Studer et al. 199449 hanno trattato 37 di 77 pazienti con monoterapia con cisplatino senza osservare differenze significative. Lo studio è stato chiuso prematuramente per assenza di beneficio significativo ed è stato criticato anche per la selezione dei pazienti (sono stati arruolati solo pazienti con malattia localizzata ed esclusi tutti i pazienti N+). Bono et al. 198950 in 83 pazienti N0 trattati con 4 cicli di terapia con schema CM post-cistectomia vs sola cistectomia hanno trovano un vantaggio non significativo del 10% in DFS a 18 mesi. Anche in questo studio la numerosità del campione era troppo bassa per evidenziare una differenza significativa tra i due bracci. Lo studio randomizzato condotto da Freiha et al 199651 su 50 pazienti con tumori pT3b-T4, N0/+, M0, utilizza 4 cicli di chemioterapia adiuvante con schema CMV. I pazienti nel braccio della sola chirurgia venivano trattati con chemioterapia alla recidiva. Tale studio mostra una differenza statisticamente significativa in DFS per il braccio sperimentale (mediana 37 versus 12 mesi, p = 0.01) e un trend a favore per la sopravvivenza globa- tAbELLA 3: CHEMIOtERAPIA ADIUVAntE studi n° pz trattamento sopravvivenza Ct nO Ct Logothetis 1988 62 71 CISCA Beneficio, non randomizzato Skinner 1991 47 44 CAP Benefico, pochi trattati Freiha 1996 25 25 CMV Beneficio in DFS Otto 2001 55 53 MVEC Non benefici Studer 1994 40 37 Cisplatino Non benefici Bono 1995 48 35 CM Non benefici per N0 Lehmann 2005 163 164 CM/MVEC Non inferiorità per CM. Criticato. 116 le (mediana 63 vs 36 mesi p=0.32). Questo studio è stato chiuso prematuramente. Uno studio, pubblicato da Otto et al. nel 200152, ha utilizzato lo schema MVEC per 4 cicli somministrandolo anche ai pazienti trattati con sola chirurgia che andavano incontro a progressione. Anche tale studio non ha mostrato differenze significative. La meta-analisi, pubblicata nel 2005, ha analizzato 491 paziento provenienti da 6 studi, tale campione rappresenta il 90% dei pazienti randomizzati e il 66% di quelli eleggibili. Il potere della meta-analisi è limitato dal numero dei pazienti, dalla precoce interruzione degli studi e dalla mancata somministrazione dei trattamenti previsti. In uno studio veniva utilizzato cisplatino in mono-terapia. Quattro studi sono stati interrotti precocemente, 3 per risultati favorevoli alla analisi ad interim, il quarto per riscontro di un beneficio inferiore a quello atteso. Solo due studi sono arrivati a fornire un follow-up adeguato. I risultati mostrano una riduzione del rischio di morte del 25% in favore del trattamento adiuvante (p=0.02) con un beneficio assoluto in sopravvivenza del 9% a tre anni53. Anche se i dati che supportano la terapia adiuvante sono meno chiari di quelli in favore del trattamento neoadiuvante, alcuni clinici sostengono che non ci siano differenze di vantaggio tra i due trattamenti. Ad oggi non ci sono dati si studi randomizzati con confronto diretto. Uno studio di Millikan et al 200154 ha randomizzato 140 pazienti tra 2 cicli di MVAC neoadiuvante seguiti da chirurgia e da 3 cicli di MVAC in adiuvante confrontati con chirurgia seguita da 5 cicli di MVAC adiuvante. Non si è evidenziata alcuna differenza di sopravvivenza, il 97% dei pazienti nel braccio di terapia neoadiuvante ha ricevuto almeno 2 cicli di terapia, solo il 77% dei pazienti nel braccio di sola terapia adiuvante hanno ricevuto 2 cicli di terapia. Il trattamento neoadiuvante ha permesso di ottenere più facilmente una radicalità chirurgica. Nello studio tuttavia non è stato previsto un braccio di confronto con sola chirurgia. Una meta-analisi pubblicata nel 2005 non mostra significativi vantaggi in sopravvivenza ma solo un trend verso il miglioramento con HR di 0.71 e P di 0.0155. Tale vantaggio non è così evidente come quello risultante delle meta-analisi di chemioterapia neoadiuvante. Lo schema MVAC è considerato un trattamento chemioterapico efficace nelle neoplasie uroteliali ma la presenza di tossicità ad esso correlate limita il suo utilizzo in fase pre-operatoria a pazienti selezionati. Nei pazienti con malattia metastatica la combinazione cisplatino e gemcitabina risulta comparabile allo schema MVAC come risposta e sopravvivenza ma gravata da minori tossicità56. Al momento non ci sono dati di studi randomizzati con l’utilizzo di questo schema in peri-operatorio, ma il suo uso si è diffuso ampiamente nella pratica clinica quotidiana. Nel 2008 Dash A et al.57 hanno pubblicato una analisi retrospettiva di 42 pazienti trattati in neoadiuvante con la combinazione cisplatino e gemcitabina tra il Novembre 2000 e il Dicembre 2006 al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. Il 26% dei pazienti ha ottenuto alla chirurgia una risposta completa e il trattamento si è dimostrato fattibile. Tale dato conferma quello di precedenti studi di fase II58. L’utilizzo di platino in mono-terapia si è dimostrato inferiore come efficacia alle terapie di combinazione. Altri chemio117 I Tumori del Rene e dell’Urotelio terapici sono stati testati negli ultimi anni. Lehmann et al nel 200559 hanno riportato i dati di uno studio randomizzato che confronta MVEC con un regime meno tossico (CM). Un disegno di non inferiorità è stato scelto per confrontare i due regimi terapeutici. I risultati dello studio mostrano una mediana di TTP di 49.7 mesi per i pazienti trattati con MVEC verso 43.4 mesi per i pazienti trattati con CM. Gli autori concludono affermando che lo schema CM ha uguale efficacia e migliore tollerabilità rispetto allo schema MVEC. Questo studio è stato pesantemente criticato (Matthew D. JCO 2005) in diversi punti: il regime scelto di confronto (MVEC) non è considerato lo standard di cura; i dati sull’uso del CM anche nella malattia avanzata sono lacunosi. Inoltre nello studio di chemioterapia neoadiuvante, lo schema CM non ha mostrato vantaggi rispetto al cisplatino in monoterapia che è risultato inefficacie nel trattamento neo-adiuvante. Solo il 71% dei 327 pazienti arruolati ha completato i tre cicli di trattamento previsti e il 17% ha sospeso il trattamento per tossicità, l’11% ha rifiutato il trattamento. La mortalità correlata al trattamento è stata dell’1%. Un terzo dei pazienti eleggibili non è stato adeguatamente trattato. All’ASCO 2008 sono stati presentati i risultati dello studio italiano che valuta lo schema Cisplatino e Gemcitabina come terapia adiuvante. Lo studio ha arruolato 194 pazienti; a 32 mesi di follow-up, non si sono evidenziate differenze in sopravvivenza globale e DFS. La frequenza di complicanze chirurgiche varia a seconda degli studi. Alcuni autori riportano 1 complicanza in quasi il 60% dei pazienti entro 90 giorni dalla chirurgia60. Circa 1/3 sono complicanze di grado 2-4 che ri118 chiedono ri-ospedalizzazione ed interventi medici. La cistectomia può compromettere la funzionalità renale e rendere difficile l’uso del cisplatino adiuvante. Il gruppo EORTC ha sviluppato uno studio multicentrico randomizzato che arruola pazienti con neoplasia pT3-pT4 e/o N+, M0. I pazienti sono randomizzati a ricevere 4 cicli di chemioterapia con schema MVAC o 4 cicli di MVAC ad alte dosi o 4 cicli di Cispaltino e Gemcitabina, in adiuvante o alla ripresa di malattia. Sono necessari 1344 pazienti per l’obiettivo dello studio che è quello di rilevare un aumento del 20% a 5 anni in sopravvivenza globale. Un altro studio in corso, condotto dallo Spanish Oncology Genito-Urinary Group (SOGUG), confronta 4 cicli di chemioterapia con cisplatino, gemcitabina e paclitaxel verso sola chirurgia. radioterapia (Tabella 4) La radioterapia ha diverse possibilità di inserimento nel trattamento delle neoplasie vescicali. In particolare, nei tumori muscolo infiltranti, la radioterapia viene utilizzata per i pazienti che non possono essere sottoposti a trattamento chirurgico. La sola radioterapia, come trattamento radicale raggiunge un controllo locale nettamente inferiore a quello ottenuto con la cistectomia, con una sopravvivenza a 5 anni del 25-30%61-63. L’utilizzo della radioterapia come trattamento adiuvante post-chirurgico, è ad oggi ancora molto dibattuto. Una delle principali ragioni è data dal rischio di tossicità gastroenteriche legate al trattamento. Le casistiche pubblicante negli anni ’90 riportavano una percentuale di occlusione intestinale del 37%. Uno studio prospettico, pubblicato negli stessi anni64, con l’utilizzo della radioterapia tAbELLA 4: stUDI DI CHIRURGIA E RADIOtERAPIA ADIUVAntE studi n° pz Dose Mediana (Gy) Recidiva locale (%) Os a 5 aa (%) Ozsahin et al. 45 50 38 (17/45) 21 Maulard-Durdux et al. 26a 45 19 (5/26) 49 (T2, 60%; T3, 19%) Catton et al 86b 35 34 (29/86) 43 (T3N0, 45%; N+, 15%) Brookland and Richter 11 50 9 (1/11) 27 Cozad et al 9 50 11 (1/9) 44 Czito et al. 31 47 23 (7/31) 39 (67% nel trattamento combinato) Craig et al 74 40 8 (6/74) 28 Chirurgia + Radioterapia Chirurgia Ozsahin et al. 81 65 (53/81) 33 Cozad et al. 17c 53 (9/17) 24 Brookland, Richter 11 45 (5/11) 17 30% in stadio T2. b27% in stadio T1 o T2. a c Tutti in stadio ≥ T3. iperfrazionata evidenza una percentuale di occlusioni intestinali del 5% verso il 18% per i pazienti trattati con radioterapia convenzionale. Le tecniche di radioterapia usate e la pianificazione del trattamento hanno avuto sostanziali modificazioni negli ultimi anni, con riscontro di una netta riduzione della quota di intestino irradiata nel corso del trattamento. All’ASCO del 2006 sono stati presentati i risultati di uno studio prospettico randomizzato multicentrico65 che ha utilizzato chemio-radioterapia adiuvante post-cistectomia. Negli ultimi anni, sono stati condotti diversi studi che valutano un trattamento multimodale per la neo- plasia vescicale infiltrante: chirurgia locale (TUR) seguita da chemioterapia adiuvante (a base di cisplatino), somministrata prima e dopo la radioterapia esterna. Una delle ragioni per combinare il trattamento chemio-radioterapico è la riduzione della recidiva locale e la possibilità di trattare localizzazioni linfonodali occulte. Il trattamento multimodale può permettere la possibilità della conservazione della vescica in pazienti con malattia locale, a prezzo di trattamento più prolungati. I dati di sopravvivenza riportati dagli studi con trattamento trimodale e conservazione della vescica, si avvicinano a quelli riportati da Stein con la 119 I Tumori del Rene e dell’Urotelio sola cistectomia radicale66, 67.La casistica più numerosa, con 415 pazienti, è stata riportata dall’ Erlangen group, con una mediana di followup di 60mesi. 89 pazienti si presentavano con neoplasia in stadio T1, i restanti pazienti avevano un tumore muscolo-infiltrante. La sopravvivenza globale a 5 anni è risultata del 51%, con 75% di sopravvivenza per tumori T1 e 45% per tumori ≥ T2. La sopravvivenza con conservazione della vescica è risultata del 42%68. Lo studio, condotto da Sauer69, su 184 pazienti trattati con TUR seguita da radioterapia (45-54 GY) e cisplatino o carboplatino concomitanti, ha ottenuto una sopravvivenza a 5 anni del 56%. Il 41% dei pazienti ha potuto conservare la vescica. Recentemente, lo stesso gruppo ha riportato i dati di uno studio su 112 pazienti trattati con TUR seguita da cisplatino (20mg/m2/die) and 5-fluorouracile (600 mg/m2/die), con radioterapia. Nel gruppo di pazienti con malattia muscolo-inflitrante il controllo locale è stato del 51% a 5 anni. Il 61% dei lungo-sopravviventi ha conservato la vescica70. Il Massachusetts General Hospital ha trattato una serie di 167 pazienti con TUR e chemio-radioterapia, con una sopravvivenza a 5 anni del 54% e una DSS del 63%. Il 64% dei pazienti ha ottenuto una riposta completa al trattamento71. Un aggiornamento a 15 anni di questi dati è stato presentato al Genitourinary Cancers Symposium del 200972, con una sopravvivenza globale a 15 anni del 23% e una DSS del 61%. Le recidive pelviche si sono verificate nel 12% dei pazienti. Lo stadio clinico T, la risposta completa alla terapia di induzione e la radioterapia due volte al giorno, sono significativamente associati ad un miglioramento di sopravvivenza. L’uso del120 la chemioterapia neoadiuvante non modifica la sopravvivenza. Non ci sono state morti legate al trattamento e nessuna cistectomia dovuta a tossicità da terapia. Gli autori concludono dicendo che la terapia combinata raggiunge una percentuale di risposte complete e di preservazione dell’organo nei due terzi dei pazienti, con una sopravvivenza globale comparabile a quella della sola cistectomia. L’Università di Parigi, con la stessa terapia di combinazione aveva ottenuto una OS del 63% a 5 anni con una percentuale di risposte complete del 77% (Housset M et al. 1993). Altri gruppi hanno avuto risultati simili73. In caso di recidiva di neoplasia superficiale nell’organo conservato, la sopravvivenza correlata alla malattia rimane dell’87% a 5 anni e non sembra essere compromessa dalla necessità di successive TUR. Tuttavia, la probabilità di conservare la vescica si riduce del 50%74. Analizzando i sottogruppi di pazienti che possono beneficiare di un trattamento bladder-sparing, Miyanaga et al.75 concludono che la conservazione dell’organo è una possibilità in presenza di tumori singoli T2-3, N0, M0 con dimensioni non superiori a 3 cm. Tali dati derivano da uno studio retrospettivo su 70 pazienti. Lo studio di Shipley WU76 non ha mostrato vantaggi dall’aggiunta di chemioterapia neoadiuvante precedente il trattamento concomitante chemio-radioterapico. Blank et al.77 hanno recentemente pubblicato uno studio che valuta l’efficacia della radioterapia esterna associata ad una chirurgia limitata e a brachiterapia per pazienti con tumore T1-3. Trentasette pazienti sono stati trattati con cistectomia parziale, mentre i restanti 85 sono stati sottoposti ad una ci- stotomia e brachiterapia. La sopravvivenza globale a 5 anni è risultata del 73% con una sopravvivenza libera da recidiva del 69%. Un recente studio di fase III multicentrico non ha confermato questi risultati e non ha mostrato vantaggi con la radioterapia né in sopravvivenza globale, né in sopravvivenza libera da malattia. Tale studio è stato tuttavia fortemente criticato per il lungo tempo di arruolamento (11 anni), per l’alto numero di centri coinvolti37, per non aver utilizzato chemioterapia radiosensiblizzante78. Discussione e conclusioni Il trattamento ottimale per le neoplasie vescicali muscolo infiltranti ha lo scopo di prevenire le recidive locali, ridurre la probabilità di meta statizzazione a distanza e migliorare la sopravvivenza. Dai dati emersi dalle revisioni il miglior approccio è costituito da un intervento integrato, chemioterapia a base di cisplatino e adeguata chirurgia. I vantaggi e la tollerabilità del trattamento neoadiuvante sono confermati. Per quello che riguarda la terapia adiuvante, verosimilmente la sua efficacia si limita ai pazienti senza residuo macroscopico di malattia e con limitato interessamento linfonodale. La chemioterapia adiuvante dovrebbe essere somministrata entro 8-12 settimane dalla chirurgia ma solo una minoranza di pazienti è in grado di rispettare il timing e di completare il trattamento. Le ragioni sono uno scarso PS, complicanze chirurgiche, ripresa ritardata dopo il trattamento, comorbidità maggiori, riduzione della funzionalità renale, età avanzata o rifiuto del paziente. Nell’utilizzo in adiuvante di schemi come MVAC la mortalità correlata al trattamento arriva al 4%. Un trattamento multimodale, con conservazione della vescica, va prospettato solamente a pazienti selezionati. Le recenti analisi molecolari potranno indirizzare gli studi futuri per una miglio individualizzazione del trattamento. 121 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. Stein JP, Lieskovsky G, Cote R, et al: Radical cystectomy in the treatment of invasive bladder cancer: Long-term results in 1,054 patients. J Clin Oncol 19: 666-675, 2001 2. Quek ML, Stein JP, Clark PE, et al. The natural history of surgically treated bladder cancer with extravesical tumor extension. Cancer 2003; 98: 955-61. 3. Galsky MD, Herr HW and Bajorin DF: The integration of chemotherapy and surgery for bladder cancer. J Natl Compr Cancer Netw 2005; 3: 45. 4. Quek M, Stein J, Daneshmand S, et al. (2006) A critical analysis of perioperative mortality from radical cystectomy. J Urol 175: 886–889 5. Hautmann R, Abol-Enein H, Hafez K, et al. (2007) Urinary diversion. 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In particolare per quei pazienti che hanno fallito la terapia con cisplatino in prima linea. Prima dell’era moderna, la mediana di sopravvivenza dei pazienti con malattia metastatica era di circa 6 mesi1. Il cisplatino ed il methotrexate furono i primi farmaci a dimostrarsi attivi verso la malattia, ma i primi studi di combinazione non hanno portato a benefici significativi in sopravvivenza2. Il trattamento con schema CMV (cisplatino, Methotrexate e ciclofosfamide), raggiungeva una risposta del 56% e una mediana di sopravvivenza di 8 mesi. Solo con l’introduzione dello schema MVAC a quattro farmaci, la mediana di sopravvivenza superò l’anno e si osservarono le prime risposte complete al trattamento3. Successivamente due studi prospettici randomizzati confermarono l’efficacia dello schema MVAC che divenne la terapia standard nella malattia avanzata4, 5. Anche se efficacie, questo trattamento è gravato da pesanti tossicità, soprattutto in pazienti anziani e con comorbidità. Le tossicità più significative sono quella renale, cardiologica ed ematologica con il 10% di sepsi in pazienti neutropenici. Per migliorare i dati di sopravvivenza dello schema MAVC e la tollerabilità, furono tentate due diverse strategie: la prima con somministrazione dello stesso schema ogni due settimane con supporto dei fattori di crescita (high dose MVAC); la seconda con testando nuovi farmaci come docetaxel e gemcitabina in combinazione con il cisplatino. L’MVAC ad alte 130 dosi non mostrò vantaggi in sopravvivenza mediana rispetto all’MVAC tradizionale6 La combinazione di cisplatino e docetaxel si dimostrò inferiore allo schema MVAC7. Lo studio di fase III di confronto cisplatino e gemcitabina (CG) con MVAC, mostrò una uguale efficacia in termini di RR (49% vs 46%), una mediana di sopravvivenza simile (14.8 vs 13.8 mesi).e una minore tossicità per lo schema CG. Tali risultati furono confermati anche ad un follow-up più lungo8, 9. A seguito di questo studio, nella pratica clinica lo schema CG sostituì rapidamente lo schema MVAC. Nei pazienti con alterata funzionalità renale, la possibilità di usare il cisplatino è limitata. Tre studi di fase II hanno confrontato il cisplatino con il carboplatino riportando simili percentuali di RR10-12. Uno studio di fase III dell’EORTC con MVAC verso carboplatino e paclitaxel è stato chiuso precocemente per scarso accrual13 i risultati i sopravvivenza con il carboplatino risultano inferiori rispetto alle combinazioni standard e il suo uso non è promosso nella pratica clinica quotidiana. Altri schemi di terapia con paclitaxel e ifosfamide sono stati testati solo in studi di fase II. Un recente studio di fase III dell’EORTC14, ha confrontato la combinazione cisplatino e gemcitabina con gli stessi farmaci con l’aggiunta di paclitaxel (PCG). Lo studio ha arruolato più di 600 pazienti dimostrando che lo schema PCG migliora il tasso di risposte e aumenta di 2.9 mesi la mediana di sopravvivenza. Tuttavia il disegno dello studio era stato pianificato per testare una differenza di 4 mesi in sopravvivenza globale e i risultati non sono significativi. Numerosi farmaci sono stati testati in studi di seconda linea, dove il tasso di risposte è molto basso e la mediana di sopravvivenza modesta. Ad oggi nessuno studio randomizzato di fase III evidenzia un vantaggio in sopravvivenza della chemioterapia verso la sola terapia di supporto. Tra i diversi farmaci testati in fase II, ifosfamide, topotecan, oxaliplatino non hanno mostrato una significativa attività15, 16. I taxani hanno dimostrato una attività modesta. In studio di fase II, 32 pazienti ricaduti dopo una prima linea di terapia con cisplatino, sono stati trattati con docetaxel trisettimanale. Solo il 13% dei pazienti ha ottenuto una riposta parziale con una mediana di sopravvivenza di 9 mesi. La mielosoppressione era frequente e il 60% ha necessitato di una riduzione di dose17. Il paclitaxel settimanale è stato testato in 31 pazienti con il 10% di riposte parziali e una mediana di sopravvivenza di 7.2 mesi18. La gemcitabina è stata studiata con diverse dosi e schedule. Nei pazienti non pretrattati ha mostrato una percentuale di risposte del 45%, in seconda linea le percentuali di risposta variano dal 30 al 10%19. Partendo dai dati di uno studio di fase II con la combinazione gemcitabina e paclitaxel (PG), è stato pianificato uno studio di fase III che confronta lo schema GP x 6 cicli verso lo stesso trattamento proseguito fino a progressione. Lo studio è stato pianificato per mostrare una differenza di almento 9.1 mesi in DSS (disease-specific survival) in favore della terapia di mantenimento. Sono stati randomizzati 102 pazienti e i risultati dello studio non mostrano differenze significative né in sopravvivenza globale, né in PFS, né nella percentuale di risposte. I pazienti che hanno risposto alla prima linea ed hanno avuto una buona durata della risposta, sono quelli che beneficiano di una seconda linea20. Anche il pemetrexed si è dimostrato attivo. Paz-Ares et al.21 è il primo studio pubblicato che testato una dose di pemetrexed di 600 mg/m2, poi ridotta a 500 mg/m2 per tossicità. Il 29% dei pazienti ha ottenuto una risposta e la tossicità è derivata soprattutto da una mancata supplementazione di vitamina B12 e folati. Un successivo studio multicentrico della Indiana University, utilizza pemetrexed in pazienti pretrattati, alla dose di 500 mg/m2 con supplementazione di folati, vitamina B12 e steroide. In 47 pazienti sono state osservate il 6.4% di riposte complete e il 21% di risposte parziali. La mediana di sopravvivenza è di 9.8 mesi22. Un terzo studio del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC) con caratteristiche simili è stato chiuso per mancata evidenza di attività23. La vinflunina ha dimostrato in vitro attività contro le cellule tumorali uroteliali. Il primo studio in vivo ha utilizzato una dose di 350 mg/m2, con una successiva riduzione a 320mg/ m2, la maggior parte dei pazienti ha avuto una progressione di malattia entro l’anno, con una percentuale di riposte del 18%. La mediana di sopravvivenza è di 6.6 mesi24. Uno studio di fase II su 120 pazienti, riporta una percentuale di risposte del 14.9% con una mediana di durata della risposta di 6.8 mesi. La tossicità più frequentemente riportata è quella midollare con il 59% di neutropenie di grado 3-425. Nell’utilizzo delle chemioterapie di combinazione, anche in seconda linea si osserva una percentuale di risposte superiore alla monoterapia ma tale dato non si traduce in un miglioramento della sopravvivenza. 131 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Due studi con gemcitabina e paclitaxel in seconda linea mostrano risultati di non facile interpretazione. Nel primo studio, trenta pazienti sono stati trattati con cicli di terapia ogni 3 settimane o ogni 2 settimane26. La percentuale di risposte è del 44% con una mediana di sopravvivenza superiore per la terapia trisettimanale. (13 vs 9 mesi). un secondo studio su 40 pazienti utilizza lo schema bisettimanale con una sopravvivenza di 8-12 mesi e una neutropenia di grado 3-4 nel 32% dei pazienti27. I dati di mancata efficacia e pesante tossicità, riportati da questi studi, non supportano l’uso in seconda linea di terapie di combinazione. Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una maggior comprensione della biologia del tumore che ha portato a testare i nuovi farmaci a bersaglio molecolare. L’EGFR e l’erb-B2 sono frequentemente iper-espressi nella neoplasia uroteliale avanzata. I primi studi con trastuzumab non hanno mostrato alcuna efficacia, forse per assenza di amplificazione genica. Un successivo studio con la combinazione gemcitabina, paclitaxel, carboplatino e trastuzumab, ha riportato un RR del 73% in 32 pazienti HER-2–positivi, con risultati deludenti in sopravvivenza28. All’ASCO 2007, sono stati presentati i risultati di tossicità di uno studio di fase II randomizzato che ha testato la combinazione trastuzumab, cisplatino e gemcitabina in 37 pazienti con neoplasia avanzata. Non sono ancora disponibili dati di efficacia29. Il gefitinib, è stato utilizzato in combinazione con CG in 55 pazienti non pretrattati, con un RR del 51% e una mediana di sopravvivenza simile a quella del solo cisplatino e gemcitabina30. Recentemente uno studio del MSKCC 132 riporta dati di efficacia con sunitinib in pazienti pretrattati31. Un secondo studio spagnolo conferma l’attività di questo farmaco in prima linea32. I risultati finali di questi studi sono attesi. È in corso uno studio di fase II randomizzato con il sunitinib come terapia di mantenimenti dopo una prima linea. L’erlotinib è stato testato in studi di fase II, anche come trattamento neoadiuvante. Altri studi sono in corso con sorafenib. Uno studio del MSKCC sta valutando il bevacizumab, in combinazione con carboplatino e gemcitabina nei pazienti con malattia metastatica che non possono ricevere il cisplatino. Il Cancer and Leukemia Group B ha pianificato uno studio di fase III che confronta CG più bevacizumab versus la stessa chemioterapia più placebo. radioterapia palliativa Le sedi più frequentemente coinvolte, nella malattia metastatica, sono rappresentate dalle stazioni linfonodali addominali, dalle ossa, dai polmoni, dal fegato e dall’encefalo. Il ruolo della radioterapia in questo stadio di malattia è limitato al controllo della sintomatologia legata alla localizzazione secondaria (soprattutto per le localizzazioni ossee e cerebrali). Gli schemi di trattamento impiegati non differiscono da quelli impiegati nella palliazione di metastasi da altre neoplasie primitive. Chirurgia della malattia residua Alcuni studi retrospettivi di chirurgia dopo ottenimento di una risposta completa o parziale dopo chemioterapia hanno indicato che questa strategia può contribuire ad incrementare la sopravvivenza libera da malattia a lungo termine in pazienti altamente selezionati33-35. Conclusioni La chemioterapia sistemica ha migliorato la qualità di vita e la sopravvivenza mediana senza però che questa arrivi a superare i 12 mesi. La percentuale di risposte in seconda linea è molto modesta. Gli studi clinici in corso possono aprire spiragli promettenti, soprattutto con i nuovi farmaci. Tuttavia occorre ricordare che spesso il principale ostacolo al- la conduzione degli studi è lo scarso arruolamento di pazienti negli stessi. A questo contribuisce la bassa incidenza della patologia e la mancata informazione da parte di urologi e oncologi che entrano in contatto con questa patologia. La maggior parte dei pazienti presenta inoltre un età avanzata o comorbidità che non consentono un loro arruolamento in studi clinici. 133 I Tumori del Rene e dell’Urotelio bIbLIOGRAFIA 1. Yagoda A. Progress in treatment of advanced urothelial tract tumors. J Clin Oncol. 1985; 3: 1448-1450. 2. Stoter G, Splinter JH, Child JA, et al. 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La radicalità dell’intervento trova spiegazione nell’alta frequenza di recidive nel moncone ureterale residuo distale (20%), nella multifocalità delle lesioni e nella relativamente bassa incidenza di interessamento controlaterale (2-5%). La chirurgia radicale inoltre rende il follow-up meno complicato. Quando una neoplasia, a partenza dalla pelvi renale, invade la vena renale o la vena cava, è richiesta una procedura chirurgica più estesa con asportazione del trombo neoplastico e di un tratto della vena cava. È opportuno evitare lesioni lungo l’uretere, poiché la desquamazione di cellule uroteliali tumorali, a livello microscopico, al momento dell’intervento secondo la teoria del “seeding” potrebbe provocare l’insorgenza di uroteliomi distal138 mente alla lesione primaria. La ripresa di malattia a livello vescicale dopo chirurgia radicale si evidenzia nel 1924% dei casi. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche ha permesso una riduzione della morbilità usando un approccio laparoscopico, senza perdere in radicalità chirurgica2. Il numero di interventi eseguiti per via laparoscopica è aumentato molto negli ultimi anni. Le indicazioni cliniche per l’approccio laparoscopico sono essenzialmente le stesse di quelle per la nefroureterectomia radicale classica, le controindicazioni relative sono la presenza di tumori di grande volume e multifocali. Le curve di sopravvivenza globale e libera da malattia dei pazienti trattati laparoscopicamente e tramite laparotomia sembrerebbero comparabili. La porzione intravescicale dell’uretere deve essere rimossa con una procedura separata. Chirurgia conservativa Il miglioramento delle tecniche endourologiche ha incoraggiato lo sviluppo di approcci conservativi nel trattamento dei tumori delle alte vie escretrici, come quello ureteroscopico e la resezione percutanea della neoplasia. Inizialmente la chirurgia conservativa era riservata a quei pazienti con condizioni che escludevano categoricamente l’approccio radicale come la presenza di un solo rene, di tumore bilaterale o di insufficienza renale. Vi è maggiore esperienza nella chirurgia conservativa degli ureteri rispetto alla pelvi renale: le neoplasie che originano nella porzione distale dell’uretere, di basso stadio e ben differenziate, sono, infatti, le più suscettibili ad una chi- rurgia conservativa. Al contrario per tumori più aggressivi e interessanti la pelvi renale il trattamento conservativo si è dimostrato essere un fattore prognostico negativo, la sopravvivenza a 5 anni in pazienti trattati radicalmente e conservativamente è del 49% e 23% rispettivamente3. La terapia conservativa viene presa in considerazione nelle forme monofocali ureterali distali, in quanto la diffusione neoplastica retrograda ascendente è molto improbabile. In alcuni centri, dopo chirurgia conservativa, viene lasciata in sede una nefrotomia di minima, per consentire un trattamento topico chemio-immunoterapico. I risultati preliminari di questa strategia terapeutica sono incoraggianti. Nei pazienti, in cui l’escissione radicale della neoplasia può portare ad uno stato di severa insufficienza renale (pazienti con rene singolo o con decurtazione della funzionalità renale), possono essere effettuati trattamenti endoscopici con uguale efficacia4.Un approccio che risparmia il rene può essere proposto in casi selezionati con tumori di basso grado, localizzati e a partenza dall’uretere distale, poichè le recidive e la multicentricità di questi tumori sono quasi sempre distali alla sede di origine. L’intero uretere distale viene rimosso con chirurgia a cielo aperto e il tratto mediano dell’uretere viene reimpiantato in vescica. Al contrario, lesioni dello stesso grado e stadio, ma a partenza dalla porzione superiore dell’uretere richiederebbero la rimozione in toto dell’uretere. In questi casi, se la pelvi renale non è interessata dalla neoplasia è possibile e oncologicamente corretto, sostituire il tratto di uretere con un tatto di intestino tenue. In queste situazioni è importante un’accurata selezione dei pazienti. Altri studi riportano serie di pazienti con neoplasie dell’uretere, scelti per una chirurgia kidney-sparing senza svantaggi in termini di sopravvivenza5. ruolo della linfadenectomia Il coinvolgimento linfonodale è presente nel 20-40% dei casi e si associa a prognosi infausta. Tuttavia non ci sono ancora chiare indicazioni per l’esecuzione o meno della linfadenectomia. La linfadenectomia ipsilaterale permette sicuramente una stadiazione più accurata, ma non sembra portare vantaggi in termini di sopravvivenza. Miyake et al.6 nel loro studio evidenziano come la linfadenectomia potrebbe portare dei vantaggi terapeutici in pazienti senza invasione linfovascolare. In un altro lavoro viene analizzato il ruolo della linfadenectomia nel selezionare i pazienti che potrebbero trarre maggior vantaggio da una terapia adiuvante. È stato evidenziato come, dei 36 pazienti arruolati nello studio e trattati chirurgicamente con nefroureterectomia e linfadenectomia, tutti quelli deceduti durante il follow-up a causa del tumore iniziale (8 pazienti) presentavano metastasi linfonodali all’intervento. Il numero totale di pazienti con metastasi linfonodali era di 11 (31%) su 36. Otto (72%) pazienti su 11 con metastasi linfonodali sono quindi morti di malattia durante il follow-up. Lo stato linfonodale sembrerebbe quindi essere un fattore prognostico importante e la linfadenectomia potrebbe essere utile nell’identificare quei pazienti con metastasi linfonodale e maggior rischio di recidiva di malattia7. Trattamento chemio-immunoterapico locale La terapia endocavitaria è utilizzata nelle neoplasie superficiali per prevenire recidive dopo resezione del tu139 I Tumori del Rene e dell’Urotelio more, a scopo adiuvante8. Il BCG è frequentemente utilizzato nei tumori delle alte vie escretrici, soprattutto per i carcinomi in situ. L’instillazione nelle alte vie urinarie può essere anterograda, tramite un catetere per via percutanea, retrograda tramite uno stent ureterale oppure tramite reflusso vescicoureterale. Solitamente si utilizza un regime di somministrazione che dura 6 settimane, il tempo medio di durata delle instillazioni varia dai 60 ai 120 minuti, con un minimo 10 minuti e un massimo di 240 minuti. La dose utilizzata è maggiore di quelle comunemente utilizzate nel carcinoma uroteliale della vescica, fortunatamente questo aumento di dosi non si traduce in un aumento quantitativo e qualitativo degli effetti indesiderati. L’obiettivo della somministrazione di BCG è la profilassi quando viene utilizzato dopo la chirurgia conservativa di carcinomi uroteliali non invasivi: circa il 70% dei pazienti trattati inizialmente con chirurgia conservativa e in seguito con terapia adiuvante locale a base di BCG rimangono liberi da malattia considerando un follow-up medio di 12-24 mesi. Può avere inoltre significato terapeutico per il trattamento di malattia residua e nei casi di carcinoma in situ. Si evidenziano diversi effetti collaterali legati all’instillazione di BCG, sia anterograda che retrograda, sebbene la perfusione percutanea attraverso nefrostomia sembri essere più sicura. Gli effetti collaterali più significativi sono la possibilità di sviluppare sepsi, febbre alta con necessità di terapia antitubercolare, ematuria macroscopica, stenosi ureterale e lesioni renali. Gli effetti irritativi a carico della mucosa vescicale non trovano un riscontro nelle alte vie escretrici trattate con BCG. Benché sintomi irritativi compaiano in alcuni pazienti, nel giro di qualche ora 140 generalmente recedono9. Anche la MMC è utilizzata. L’instillazione di MMC per il trattamento di UUT TCC può avvenire tramite reflusso vescico-ureterale, stent ureterale o attraverso una nefrostomia percutanea. Il dosaggio è di 40 mg somministrato in 3 instillazioni, con tempo di esposizione ciascuna di 30 minuti. Il trattamento non sembra avere effetti collaterali sistemici. Tale trattamento è stato utilizzato soprattutto in pazienti che non potevano essere sottoposti a chirurgia radicale. Sebbene vi siano risultati incoraggianti, l’efficacia di applicazioni locali di MMC non è ancora stata provata e sono necessari ulteriori trials prima di poter soddisfare i criteri di fase II e iniziare studi randomizzati di fase III10. L’utilizzo del Thiotepa nel trattamento dei tumori uroteliali delle alte vie escretrici è stato scarsamente provato, probabilmente a causa dei gravi effetti collaterali associati all’instillazione endovescicale evidenziati nel corso degli anni. Anche l’infusione di antracicline, prevalentemente farmorubicina, è efficace. Chemioterapia sistemica A prescindere dal trattamento eseguito, la sopravvivenza dei pazienti dipende principalmente dallo stadio e dal grado del tumore alla diagnosi. La chirurgia radicale in pazienti con malattia metastatica o localmente avanzata non sembra migliorare la sopravvivenza. I pazienti con neoplasia in stadio T3-T4 o con interessamento linfonodale, benché trattati con chirurgia radicale, hanno una pessima prognosi soprattutto in relazione allo sviluppo di metastasi a distanza. Gli studi riportano percentuali di recidiva locale variabili tra il 2% e il 27%, ma tali dati derivano da studi datati e forse sono sottostimati11-13. Cozad et al.14 riportano un tasso di recidiva locale del 50% nella malattia T3, percentuale che sale al 60% nei tumori G3. Brookland and Richter15 and Ozsahin16 hanno riportato recidive locali nel 45% e 62%, rispettivamente. Nella maggior parte delle casistiche emerge una stretta correlazione tra le recidive locali e la comparsa di metastasi a distanza ma non è possibile, per la scarsa numerosità delle casistiche, stabilire se si tratta di una associazione casuale o sincrona. In tali pazienti l’utilizzo di terapie sistemiche a base di chemioterapici potrebbe pertanto portare qualche beneficio, diminuendo principalmente lo sviluppo di metastasi a distanza e migliorando così la sopravvivenza. Il ruolo della chemioterapia come trattamento adiuvante successivo alla chirurgia non è ancora stato ben definito per i carcinomi uroteliali delle alte vie escretrici: eseguire studi randomizzati su questi pazienti è molto difficile a causa della rarità del tumore. I regimi chemioterapici sono quelli usati per il trattamento del carcinoma uroteliale della vescica. Allo stato attuale per i carcinomi in fase avanzata la terapia più efficace è quella di combinazione. Gli schemi principalmente si basano sul Cisplatino e la sua combinazione con Metotrexate, Vinblastina e Adriamicina (MVAC) è considerata l’associazione standard per il trattamento dei carcinomi uroteliali avanzati. In pazienti trattati con schemi chemioterapici a base di platino si ottengono risposte complete e parziali in circa il 54% dei casi. Un significativo miglioramento della sopravvivenza si nota solo in quei pazienti con metastasi di scarso volume e che hanno una risposta completa alla chemioterapia17. Un’alternativa al regime MVAC è la chemioterapia con Carboplatino e Paclitaxel (CP). Il vantaggio di questa associazione è la minore tossicità soprattutto renale. In uno studio, di chemioterapia adiuvante, 36 pazienti, con stadio T3 o maggiore o interessamento linfonodale, sono stati trattati con 4 cicli di Paclitaxel (175mg/m2) e carboplatino (area sotto la curva 5, Formula di Calvert) iniziando 4-6 settimane dopo l’intervento chirurgico e riproponendo la terapia con intervalli di 3 settimane18. Il trattamento sembra essere ben tollerato dai pazienti. L’alopecia è sempre presente, la tossicità di grado 3-4 più frequente è la neutropenia (39% dei pazienti) complicata in un solo caso da febbre neutropenica. Tossicità di grado 3 non ematologica è stata rilevata in un solo paziente; nessuna mucosite di grado 3-4. La neurotossicità è stata descritta nel 30% dei pazienti, ma nessun caso di grado 3 o superiore probabilmente a causa dello scarso numero di cicli somministrati. Dal confronto tra le associazioni MVAC e CP è stata evidenziata una sopravvivenza globale simile per entrambi i trattamenti19. I pazienti trattati con CP presentano una risposta globale (parziale e completa) del 28,2% dei casi, mentre per quelli trattati con MVAC raggiunge il 35,9%. La sopravvivenza media libera da progressione di malattia è di 8,7 mesi e 5,2 mesi per il MVAC e il CP rispettivamente. Con un follow-up medio di 35 mesi la sopravvivenza media dei pazienti trattati con MVAC è di 15,4 mesi, mentre per quanto riguarda i pazienti trattati con CP è di 13,8 mesi. I pazienti trattati con MVAC vanno incontro ad una tossicità più severa legata alla terapia rispetto a quelli trattati con CP, tuttavia non ci sono differenze significative nella qualità di vita. 141 I Tumori del Rene e dell’Urotelio Altre combinazioni di chemioterapici utilizzate nel trattamento degli UUT TCC sono CMV (cisplatino, metotrexate e vinblastina) e PEM (cisplatino, epirubicina e metotrexate). Più recentemente sono stati introdotti nella pratica clinica schemi di chemioterapia contententi farmaci di ultima generazione (Taxani, Gemcitabina), i dati di attività devono essere confermati. radioterapia Non esistono dati sufficienti a dimostrare l’utilità della radioterapia come trattamento primario delle neoplasie della pelvi renale e dell’uretere. Diversi studi di fase II, con scarsa numerosità, suggeriscono che la radioterapia adiuvante può portare ad un maggior controllo locale della malattia e forse ad un vantaggio in termini di sopravvivenza. (Tabella 3) Uno studio non conferma questo beneficio, ma comprendeva un 30% di pazienti in stadio precoce di malattia20. Un altro studio negativo usava dosi di radioterapia inadeguat. Craig21 conclude che la radioterapia adiuvante (dose media di 40 Gy) è di scarso valore nel migliorare il controllo locale della malattia e non influisce sulla sopravvivenza in pazienti con UTT TCC avanzato sottoposti a chirurgia. Al Massachusetts General Hospital, negli ultimi 20 anni, è stato tentato un approccio più aggressivo, per cui i pazienti con malattia localmente avanzata, ad alto rischio di recidiva, sono stati trattati 142 ad intento adiuvante, prima con radioterapia adiuvante e poi, negli ultimi anni, con redioterapia associata a chemioterapia radiosensibilizzante. Se lo schema veniva tollerato era seguito dalla somministrazione di ulteriore chemioterapia in combinazione. Sono stati trattati solo 31 pazienti, ma gli autori hanno osservato una percentuale di recidiva locale inferiore per i trattamenti combinati chemio-radioterapici (22% vs. 45%), e una sopravvivenza a 5 anni superiore (67% vs. 27%). E’ stato osservato un miglioramento anche per la sopravvivenza malattia specifica e la sopravvivenza libera da metastasi22. Trattamento delle recidive Esistono pochi dati pubblicati fino ad oggi che indicano il trattamento più appropriato nelle recidive locali dopo nefroureterectomia. Se la recidiva è bulky e sono presenti metastasi a distanza, la chemioterapia con intento palliativo dovrebbe essere il trattamento più appropriato. Quando la recidiva è isolata e il paziente è in buone condizioni, può essere tentato un approccio più aggressivo. Il primo step dovrebbe essere mirare a ridurre le dimensioni della massa e migliorare la resecabilità, usando radioterapia, con dosi di 30-45 Gy e chemioterapia. Se è possibile, può essere fatto un tentativo di debulking e associare radioterapia intraoperatoria. Tale approccio è gravato da alta percentuale di rischi se sono interessati organi critici come l’intestino. bIbLIOGRAFIA 1. Ong AM, Bhayani SB. Trocar site recurrence after laparoscopic nephroureterectomy. J Urol 2003; 170(4): 1301. 2. Daneshmand S, Quek ML. Endoscopic management of upper urinary tract transitional cell carcinoma: long-term experience. Cancer 2003; 98(1): 55. 3. Salvador-Bayarri J, Rodrìguez-Villamil L. 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A) B) C) D) Maschi giovani adulti Donne giovani adulte Donne anziane Maschi in età pediatrica 2 La maggior parte delle neoplasie renali sono: A) B) C) D) Forme familiari Forme sporadiche Forme ereditarie Correlate con la malattia renale policistica 3 La chirurgia nel carcinoma renale: A) è sempre indicata B) deve essere effettuata sempre prima di un trattamento sistemico C) deve essere essere integrata agli altri tipi di trattamento (terapia sistemica, radioterapia) per definire il miglior iter terapeutico per ogni paziente D) non deve essere presa in considerazione per la malattia metastatica 4 I pazienti ad alto rischio secondo MsKCC: A) B) C) D) hanno una prognosi peggiore dopo il trattamento con citochine non rispondono al trattamento con temsirolimus rispondono meno degli altri al trattamento con everolimus non hanno prognosi peggiore dopo il trattamento con sunitinib 5 Come trattamento di prima linea nel carcinoma renale: A) trova indicazione soltanto il sunitinib B) è preferibile l’associazione IFN-Bevacizumab C) occorre effettuare una scelta ragionata in base alle caratteristiche della malattia, del paziente e dell’effetto che si vuole ottenere D) non è indicato il temsirolimus 145 I Tumori del Rene e dell’Urotelio 6 Considerando la storia naturale delle neoplasie papillari uroteliali della vescica, quale di queste affermazioni è falsa? A) La recidiva di un papilloma vero è un evento assai raro B) Le neoplasie uroteliali papillari a basso potenziale maligno possono recidivare fino al 35% - 47% dei casi C) Le recidive di neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale maligno sono associate frequentemente a progressione in grado e/o stadio D) I carcinomi uroteliali papillari (non invasivi) a basso grado recidivano in più della metà dei casi e queste recidive possono associarsi a progressione in stadio e/o grado 7 nel tumore vescicale superficiale, una seconda resezione (re-tUR), da eseguire a 6 settimane dalla prima, è raccomandata: A) B) C) D) in caso di prima resezione non completa in assenza di tonaca muscolare nei campioni della prima resezione in presenza di neoplasia T1 G3 alla prima resezione in tutte le precedenti 8 In caso di recidiva di tumore vescicale superficiale, dopo trattamento chemioterapico endovescicale, si raccomanda A) trattamento chirurgico radicale B) trattamento con BCG C) trattamento radioterapico 9 nell’intervento di cistectomia radicale, per carcinoma muscoloinfiltrante: A) non è consigliata la linfadenectomia B) la linfadenectomia estesa sembra portare un beneficio in sopravvivenza C) l a linfadenectomia estesa è consigliata solo per i paziente non suscettibili a radioterapia adiuvante 10 Lo schema chemioterapico standard nel trattamento del carcinoma vescicale avanzato è: A) M-VAC ad alte dosi B) M-VAC classico C) associazione di cisplatino e gemcitabina 146 Note 147 I Tumori del Rene e dell’Urotelio 148 Corso di formazione a distanza reso possibile grazie a un contributo educazionale di 10SU481 - Depositato all’AIFA in data 24 Giugno 2010