Sindrome di asperger e Autismo High-functioning

INTRODUZIONE
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Introduzione
Eric Schopler e Gary B. Mesibov
Nei cinque anni trascorsi dalla pubblicazione di High-functioning individuals with autism (Schopler e Mesibov, 1992), un flusso crescente di persone è
stato indirizzato al TEACCH. La maggioranza di loro è accompagnata da una
possibile diagnosi di sindrome di Asperger/SA o disturbo di Asperger/DA. Dai
nostri colleghi che applicano il TEACCH e che operano nelle varie regioni degli
Stati Uniti e in altri Paesi tenendo corsi di formazione e consulenze, ci giungono
notizie di un aumento degli invii che va nella stessa direzione. L’aumento di
prevalenza è confermato anche dai dati della ricerca (Honda et al., 1996).
Con la pubblicazione di High-functioning individuals with autism avevamo assunto che non esistesse una distinzione clinica significativa fra autismo highfunctioning/AHF e SA. Tuttavia, a causa del numero crescente di studi che
utilizzano soggetti con diagnosi di SA, abbiamo ritenuto che fosse importante
pubblicare un volume sulla SA e sul confronto con l’AHF. A questo scopo abbiamo raccolto un gruppo autorevole di colleghi disposti a preparare lavori sui diversi
aspetti della sindrome, fra cui la sua storia, la diagnosi, le condizioni affini e il
trattamento. Abbiamo anche invitato alcune persone qualificate a descrivere il
significato che la diagnosi di SA ha avuto per loro, che l’hanno ricevuta in prima
persona. Non siamo riusciti a inserire nel libro i contributi di tutti i maggiori
ricercatori che hanno pubblicato studi sulla SA, ma ci è stato assicurato che
compaiono almeno nelle bibliografie a fine capitolo. Ognuno dei due autori di
questa introduzione ha presentato un’istantanea di un aspetto della SA per il quale
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ha sviluppato un particolare interesse. Parliamo di questi capitoli come di fotografie perché le questioni che compongono il quadro della SA sono ancora in
movimento e indubbiamente forniranno una diversa serie di istantanee nel corso
dei prossimi dieci anni. Questo volume intende offrire un resoconto sullo stato
della ricerca e degli interventi su questa popolazione.
La diagnosi di SA solleva alcuni interrogativi importanti per la classificazione
dei disturbi mentali. Esiste una distinzione fra SA e AHF? Se la risposta è negativa,
quali conseguenze ne derivano per la ricerca e il trattamento? La controversia
sull’esistenza della SA in quanto disturbo solleva anche problematiche più generali riguardo al processo di classificazione diagnostica in generale. Con l’obiettivo
di fornire ai nostri lettori una migliore comprensione del processo di classificazione diagnostica, abbiamo chiesto a tutti gli autori se, dal loro punto di vista, esiste
una distinzione fra SA e AHF o se invece questi due termini non sono altro che
etichette diverse per una condizione che è sostanzialmente la stessa.
Per fornire un inquadramento generale di questo affascinante disturbo,
Lorna Wing tratteggia per noi la storia della SA, indicando anche alcuni personaggi storici o letterari riconducibili a questa categoria diagnostica appartenenti a
epoche anteriori alla pubblicazione del famoso articolo di Asperger. La Wing ci
suggerisce alcuni indizi di un risveglio dell’interesse per questa sindrome, dopo
quarant’anni di relativo sopore. Nessuno meglio di lei ha le carte in regola per
farlo, dal momento che il suo lavoro sulla SA (Wing, 1981) viene indicato da molti
autori come il motivo ispiratore di questo risveglio. Asperger non pubblicò un
elenco di criteri diagnostici essenziali; descrisse però varie caratteristiche dei
bambini da lui visitati. La Wing elenca otto punti a cui Asperger diede un particolare rilievo. Sarà utile per il lettore tenerli a mente perché sono diversi dai «criteri»
per la SA indicati da Gillberg e Gillberg (1989) e da quelli indicati da Szatmari,
Bartolucci e Bremner (1989). Anche sulle caratteristiche delle difficoltà sociali e
linguistiche, ognuno di questi gruppi suggerisce differenze interessanti.
Szatmari, nel suo capitolo, mostra come la SA possa essere distinta dagli
altri disturbi generalizzati dello sviluppo e dall’autismo ma non dall’AHF. Il lettore
viene condotto in un affascinante viaggio attraverso la ricerca in cui è possibile
apprendere le possibili distinzioni diagnostiche fra la SA e altre condizioni fra cui
il disturbo di personalità schizoide, il disturbo di personalità schizotipico, la schizofrenia, i disturbi semantici e pragmatici del linguaggio, il disturbo ossessivocompulsivo e le fobie sociali. L’autore conclude che una diagnosi differenziale
della SA è ancora prematura e che non è ancora stata stabilita una chiara distinzione fra AHF e SA, ma anche che la velocità di miglioramento del linguaggio può
fornire un criterio per distinguere fra SA, caratterizzata progressi più rapidi, e
AHF, caratterizzato da progressi più lenti.
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Gillberg ed Ehlers presentano un’utile rassegna della letteratura sulla SA. Ne
emerge che nei quattordici anni successivi al 1981, anno di pubblicazione dell’articolo ispiratore della Wing, sono stati pubblicati almeno 140 articoli in lingua
inglese, di cui più di due terzi sono comparsi negli ultimi cinque anni e solo quattro
prima del 1980. Questo capitolo stabilisce l’inizio della rinascita della SA ed
evidenzia la confusione venutasi a creare al contempo.
Anche se Asperger non indicò personalmente dei criteri per la diagnosi di
SA, Gillberg e Gillberg (1989) hanno messo a punto i loro, che sono diversi da
quelli di Szatmari e colleghi (1989) e da quelli di altri ricercatori che hanno dato
la priorità ad aspetti quali la goffaggine, la menomazione delle funzioni cognitive
superiori o l’eloquio pedantesco. Il capitolo aiuta il lettore a comprendere in che
modo i criteri di ricerca dell’ICD-10 (OMS, 1995) differiscano dai criteri clinici del
DSM-IV (APA, 1994), mostrando un’altra angolatura della questione. Il lettore si
chiederà probabilmente come potranno esserci progressi nella ricerca sulla SA se
le popolazioni cliniche studiate rispondono a criteri diversi rispetto a quelle studiate nella ricerca formale. Non meraviglia che il capitolo sia stato scritto come se la
SA fosse una diagnosi fondata mentre gli autori concludono che non è possibile
distinguere la SA dall’AHF.
Volkmar e Klin si uniscono agli autori sopra citati nel momento in cui rilevano
che lo stato di confusione sulla denominazione «sindrome di Asperger» non si limita
alle sovrapposizioni fra SA e autismo ma si estende ad altri concetti diagnostici,
come quello di disturbo di personalità schizoide, disturbo semantico-pragmatico,
disturbo di apprendimento evolutivo dell’emisfero destro e via dicendo.
Il materiale relativo alla SA a cui si fa riferimento in questo capitolo è quello
raccolto per la prova sul campo del DSM-IV, uno dei fattori più importanti nel
conferimento di ufficialità alla diagnosi di SA. Il suo uso nel DSM-IV, naturalmente,
non garantisce che i vari partecipanti alla prova sul campo abbiano usato la stessa
definizione di SA. Ci si aspettava che costoro si basassero sulla definizione per la
ricerca dell’ICD-10, che esige come condizione essenziale l’assenza di ritardi
clinicamente significativi nel linguaggio o nello sviluppo cognitivo. Pur ammettendo la possibilità che altri studi sulla SA siano inficiati da forme di autoreferenzialità,
gli autori concludono ottimisticamente che l’autismo e l’AHF possano essere
chiaramente distinguibili, ma non la SA e i disturbi di apprendimento non verbale/
DAN. Queste manifestazioni comprendono deficit di percezione tattile, di coordinazione psicomotoria, di organizzazione visuospaziale, di soluzione di problemi
non verbali e una memoria verbale meccanica ben sviluppata. Per esempio, gli
alunni affetti da SA e le persone con DAN hanno difficoltà di adattamento a
situazioni nuove e mostrano deficit nelle percezioni linguistiche e nella prosodia.
Anche se Volkmar e Klin non pretendono di risolvere la confusione che circonda
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la diagnosi di SA, le connessioni da loro suggerite fra SA e DAN ci avviano in modo
promettente verso un raggruppamento diagnostico che sarà significativo a prescindere dal modo in cui si risolverà la controversia sulla SA.
Sula Wolff si è interessata di personalità schizoide dell’infanzia per più di
trent’anni. In questo capitolo l’autrice mostra di convenire con chi, negli altri
capitoli, rileva l’esistenza di una notevole confusione riguardo alla diagnosi di SA.
Dal suo punto di vista, la SA si sovrappone anche ai disturbi dello spettro della
schizofrenia, al mutismo elettivo, alla psicosi benigna, ai disturbi dell’Io, agli stati
borderline, ai pattern di interessi limitati, ai deficit dell’emisfero destro e al disturbo
evolutivo multiplo. Non meraviglia che, come spiega l’autrice, i bambini con SA e
quelli con personalità schizoide si assomiglino e al contempo presentino alcune
differenze. Entrambi i gruppi presentano anomalie per quanto riguarda la reciprocità sociale, la comunicazione e la presenza di interessi limitati e ripetitivi. Rispetto
ai soggetti con SA, quelli con disturbo di personalità schizoide tuttavia mostrano
anomalie sociali a scuola con i compagni più che a casa, presentano interessi
particolari più complessi e problemi di comunicazione più sottili. Poiché la Wolff
sospetta l’esistenza di un processo genetico comune alla base di questi disturbi
denominati diversamente, le differenze fra di essi potrebbero essere nelle condizioni
di socializzazione più che nelle disabilità.
Il lettore potrebbe chiedersi se sia possibile mettere a punto un intervento
significativo per una categoria diagnostica con uno status incerto come quello
della SA. Tuttavia ci troviamo tendenzialmente d’accordo con Volkmar e Klin
quando affermano che le distinzioni qualitative descritte fra le caratteristiche della
SA e quelle dell’AHF sono legate più strettamente alla ricerca che al trattamento.
Il capitolo di Carol Gray è un’interessante visita guidata in mezzo ai suoi
interventi con le storie sociali e le conversazioni basate sui fumetti. Le storie sociali
consentono di fornire interventi educativi individualizzati riguardo a situazioni
sociali che appaiono «ovvie» ai più ma che, nel caso delle persone con AHF o SA,
possono essere piuttosto difficili da capire. Esse danno indicazioni riguardo al
dove, al quando, al chi, al cosa e al perché delle diverse situazioni sociali. Il tema
e il contesto vengono formulati tenendo conto del punto di vista dell’alunno e della
tendenza alle interpretazioni letterali.
Le conversazioni con i fumetti forniscono un altro contesto per lo sviluppo
di conversazioni di gruppo mediante l’impiego di figure. Gray ammette che alcuni
alunni non sono interessati a queste attività o si rifiutano persino di partecipare,
ma molti le trovano utilissime. Non sono ancora stati ultimati studi di valutazione
dei risultati, ma le tecniche delle storie sociali e dei fumetti hanno suscitato un
interesse considerevole poiché sembrano essere strumenti di insegnamento quantomai promettenti applicabili allo stesso modo nella SA e nell’AHF.
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Il capitolo di Twachtman-Cullen è molto utile perché ci aiuta a capire in che
modo il linguaggio e la comunicazione negli individui con SA o AHF si discostano
da quelli normali. Non si tratta di un’analisi degli aspetti formali del linguaggio
bensì di uno studio del linguaggio in quanto comunicazione e interazione sociale.
Questo è l’ambito in cui sia i ricercatori sia gli individui con SA o AHF sperimentano le maggiori difficoltà. La pragmatica del linguaggio, ovvero l’uso del linguaggio nelle sue diverse funzioni, comprende azioni come fare richieste, criticare,
domandare, discutere opinioni, esprimere pensieri, sentimenti ed emozioni complesse, speculare, negoziare, ingannare, implorare e comprendere gli altri. E in
questi ambiti le persone con SA o AHF incontrano particolari difficoltà di comunicazione.
Il linguaggio corporeo — i gesti, l’espressione facciale, lo sguardo — e il tono
e l’accento della voce sono aspetti della comunicazione spesso sottovalutati. Dalla
ricerca emerge che soltanto il 7% del significato emozionale di un messaggio si
trasmette attraverso le parole, mentre il restante 93% viene espresso tramite il
linguaggio del corpo. Fra le altre difficoltà di comunicazione, gli individui con SA
o AHF tendono a interpretare e utilizzare il linguaggio verbale in senso letterale
e faticano a compiere inferenze e a interpretare le metafore. Data la presenza di
questi problemi di comunicazione, ne consegue che queste persone faticano a
gestire gli argomenti di conversazione. Questa chiara disamina dei problemi
comunicativi non viene tradotta in indicazioni per l’intervento, ma permette al
lettore di comprendere meglio la condizione delle persone limitate dai problemi
di comunicazione dell’AHF e della SA.
Kunce e Mesibov descrivono gli approcci educativi utilizzabili in classe nell’insegnamento agli alunni con AHF o SA. Indicano i principi e le strategie
dell’insegnamento strutturato, una componente centrale del programma TEACCH sin dai suoi inizi, e dimostrano come esso possa essere utilizzato nella progettazione degli interventi educativi rivolti agli alunni con AHF o SA. Insegnanti,
genitori e professionisti troveranno queste applicazioni particolarmente interessanti e utili. Benché il punto focale sia l’insegnamento strutturato, vengono descritte ed esemplificate strategie di intervento basate su una varietà di metodi di
trattamento efficaci.
Il capitolo di Sally Ozonoff ci guida attraverso la definizione, la valutazione
e l’intervento sui deficit delle funzioni cognitive superiori, un’area in cui la maggioranza degli studi del passato ha riscontrato deficit nelle persone con disturbi
dello spettro autistico. Il concetto di funzioni cognitive superiori è ampio e sfaccettato, e le difficoltà su questo piano cognitivo possono essere riscontrate in
molte condizioni diverse dall’autismo. A parte questo, per porre rimedio a tale
genere di disturbi occorre prima identificare il modo specifico in cui si manifesta-
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no. Ozonoff ci fornisce un’utilissima rassegna degli strumenti neuropsicologici di
misura disponibili, delle modalità di raccolta di osservazioni comportamentali e
degli interventi con genitori e insegnanti, che consistono in metodi cognitivi e
comportamentali e comprendono le tecniche di autogestione, il monitoraggio del
comportamento e l’uso di strutture cognitive applicabili attraverso adattamenti
della classe.
Poi troviamo alcuni saggi personali scritti da persone con AHF o SA che
descrivono le loro toccanti esperienze e percezioni personali. Questo gruppo
variegato racconta le prime esperienze, le strategie di fronteggiamento, le sconfitte e i successi personali. Nessun libro su questo argomento sarebbe completo
se non riportasse anche il punto di vista dei diretti interessati.
Nel capitolo conclusivo, Schopler puntualizza provocatoriamente il perché,
secondo la maggioranza degli autori, non è ancora stata raggiunta una distinzione
chiara fra SA e AHF. Pur riconoscendo che sarebbe relativamente facile trovare
un accordo su tale distinzione, indica anche alcune possibili conseguenze, fondamentalmente negative, che ne deriverebbero. Dal suo punto di vista, la maggioranza delle prove indica che attualmente il fatto di considerare la SA una diagnosi
causa una confusione inutile e controproducente ed è in definitiva affrettato.
Bibliografia
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Milano, Masson.
Schopler E. e Mesibov G.B. (a cura di) (1992), High-functioning individuals with autism,
New York, Plenum Press.
Szatmari P., Bartolucci G. e Bremner R. (1989), Asperger’s syndrome and autism:
Comparisons on early history and outcome, «Developmental Medicine and Child
Neurology», vol. 31, pp. 709-720
Wing L. (1981), Asperger’s syndrome: A clinical account, «Psychological Medicine», vol.
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