Scienza cognitiva e connessionismo

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Scienza cognitiva e connessionismo
In pochi, credo, hanno realmente dubitato che il pensiero (o la mente) sia la fonte
primaria di ogni comportamento cosciente, come nessuno dubita che proprio il
pensiero sia la caratteristica specifica e l'elemento che differenzia in maniera
determinante gli esseri umani dalle altre specie animali.
Dobbiamo però prendere atto del fatto che parecchie specie animali esibiscono
comportamenti che appaiono sconcertanti nella loro ricchezza e complessità e
sarebbe, forse, troppo semplicistico relegare questi prodigi di adattamento
ambientale nel grande bacino del non-pensiero, etichettandoli come comportamenti
istintuali. I compiti che la loro mente è chiamata ad assolvere non sono, nella loro
essenza, molto differenti da quelli che si trova ad assolvere la nostra: in ultima
analisi, quello che fa la nostra mente è scegliere secondo un fine, riuscire a
rappresentarsi un mondo che pone vincoli e decidere quale strategia adottare per
ottenere benefici malgrado i vincoli. Possiamo, al limite, stabilire a che livello di
complessità si trova ad operare la scelta, nel senso che c'è indubbiamente differenza
fra il fuggire da un predatore e la costruzione di un sillogismo, ma se, come
riteniamo, l'intelligenza (primaria caratteristica della mente) si debba misurare sulla
base dell'adeguatezza delle risposte adattative di un organismo al suo ambiente,
anche la scelta di sfuggire alle minacce di un predatore è da considerarsi un
comportamento intelligente, ma possiamo andare oltre, infatti, stando ai risultati
della ricerca contemporanea, sarebbe persino riduttivo confinare queste finalità
teleologiche dei sistemi intelligenti nel solo ambito degli organismi evoluti. Il
comportamento motivazionale crediamo si debba estendere a tutti quei sistemi
funzionali che agiscono secondo scopi e dal momento che i cibernetici, nello
studiare il ruolo del feedback nel raggiungimento degli scopi stessi, hanno mostrato
che un termostato che mantiene costante una temperatura si può considerare come
governato da uno scopo, l'insieme dei sistemi che esibiscono comportamenti
caratterizzati da principi teleologici comprende tanto i termostati quanto gli esseri
umani.
Il pensiero, quindi, e la coscienza sono le fonti della consapevolezza nelle nostre
azioni, ma non è affatto certo che sia il pensiero stesso a determinarle. Quando
decidiamo di acquistare un oggetto, ad esempio, la nostra scelta sarà influenzata da
una serie di elementi dei quali solo marginalmente saremo coscienti e la
giustificazione che daremo della nostra decisione in favore di un prodotto rispetto
ad un altro, benché in buona fede, non sarà comunque veritiera. E' per questo
motivo che dobbiamo cercare le ragioni delle nostre scelte non nella Ragione, nel
pensiero, ma in un gradino più in basso, quello delle operazioni inconsce (senza
dare a questo termine una connotazione psicanalitica).
Questo è propriamente il terreno della ricerca e della sperimentazione
psicologica ed è lo studio dei meccanismi della mente che ha attivato negli ultimi
anni, e sotto svariati aspetti, una grande quantità di persone che da più parti,
talvolta le più disparate, hanno dato vita ad una delle più moderne scienze che
hanno come obbiettivo la comprensione mente stessa: la scienza cognitiva.
La scienza cognitiva
E' difficile inquadrare questa scienza in un ambiente dai contorni ben definiti perché
ciò che colpisce maggiormente è la dimensione fortemente multidisciplinare della
sua struttura, sottolineata spesso con compiacimento dai suoi numerosi
"praticanti", sia con illustrazioni ad effetto, di cui abbiamo un esempio nella Fig. 1,
sia nella forza delle descrizioni: a mo' di esempio, in un articolo statunitense, patria
di tale disciplina, troviamo: "One of the most dramatic scientific developments in
recent years is the emergence of a new field called cognitive science -- a field that
studies how we think by drawing on the resources of multiple disciplines".
La Fig.1, comunque, illustra in maniera esauriente la complessa composizione
di questa nuova disciplina che, come vedremo fra breve, ha potuto svilupparsi in
virtù di nuove acquisizioni della scienza che solo qualche decennio fa potevano
solamente essere immaginate. Una fra tutte, e probabilmente la più determinante
per quel che ci riguarda, è la Computer Science che, grazie agli sbalorditivi
progressi compiuti in questo campo, è stata motivo di ispirazione per gran parte
della psicologia a partire dagli anni sessanta, permettendo di sviluppare nuovi
modelli del funzionamento mentale basati proprio sull'analogia fra mente e
computer e, in ultima analisi, fondati su processi computazionali. A questo
proposito si può citare il fondamentale libro di Neisser Psicologia cognitivista
[1967] che presenta in maniera molto esplicita l'analogia mente-computer, sebbene
lo stesso ne ammetta l'inadeguatezza sotto molti punti di vista: "il compito di uno
psicologo che cerca di comprendere i processi cognitivi dell'uomo è analogo a
quello di un tecnico che tenti di scoprire come è stato programmato un computer.
Per scendere nei dettagli, qualora si tratti di un programma in grado di
immagazzinare e reimpiegare l'informazione, il nostro tecnico cercherà di sapere
per mezzo di quali routines o procedure viene raggiunto tale scopo. A questo
punto a lui non interesserà affatto se quel particolare computer immagazzina
l'informazione su nuclei magnetici o su sottili pellicole: egli cercherà di capire il
programma, non lo hardware". Analogamente, allo psicologo cognitivista non
interessa sapere quali sono i meccanismi anatomici, chimici, o biologici che
permettono all'uomo di svolgere le sue attività cognitive: ciò che interessa è la
funzionalità dei processi cognitivi, non la loro incarnazione. Con il cognitivismo,
quindi, si inserisce una nuova metafora nel dibattito filosofico sul rapporto mentecorpo: cervello e mente sono legati insieme come computer e programma.
Naturalmente una tale analogia, così come ci viene presentata da Neisser, è in
massima parte esemplificativa, non essendoci la pretesa di condizionare la mente ad
operare alla stregua di un computer, semmai, alla base di questo discorso, c'è il
presupposto che tanto la mente quanto i computer fondano le loro prestazioni su
processi elaborativi: i computer elaborano simboli, mentre gli uomini elaborano
informazioni.
Dal libro di Neisser ad oggi, però, sono cambiate molte cose. Il cognitivismo,
interpretato nella maniera classica del Neisser di Psicologia Cognitivista ha subito
parecchie critiche, risultando a molti psicologi eccessivamente astratto, riducendosi
spesso ad una vuota modellizzazione e perdendo le reali attinenze con la realtà. Lo
stesso Neisser, solo un decennio più tardi, con Conoscenza e realtà [1976], si fa
interprete di una tendenza critica del cognitivismo classico che mirava a recuperare
il rapporto dell'uomo con l'ambiente, sottraendolo alle astrazioni del laboratorio.
All'opposto di questa corrente, conosciuta come ecologismo, se n'è sviluppata
un'altra che, invece, ha intensificato i rapporti con i calcolatori digitali. La stessa
scienza dei computer, infatti, ha fatto parecchi passi avanti e, coniugandosi con i
progressi fatti nel campo dell'intelligenza artificiale, ha spinto una certa parte di
psicologi ad orientare le loro ricerche verso una concezione della mente più
strettamente legata alle modalità di funzionamento dei computer ed il paradigma
del elaborazione mentale dell'informazione ha raggiunto un radicalismo tale da far
pensare ad alcuni psicologi che la simulazione al computer di un'attività cognitiva
sia di per sé un'esplicazione sufficiente della stessa.
Come abbiamo accennato prima, la teoria del elaborazione dell'informazione si
fonda su presupposti che fanno capo alla più generale teoria della computabilità e
la forza della scienza cognitiva sta proprio nell'aver introdotto in maniera organica
questa teoria nell'orizzonte della ricerca psicologica, operando una nuova e
stimolante saldatura fra psicologia ed Intelligenza Artificiale. D'altro canto gli
sviluppi di quest'ultima rendono autenticamente plausibili strade come quella
battuta dalla scienza cognitiva, mostrando come programmi per computer e robot
possano implementare parecchie e complesse funzioni che fino a non molto tempo
fa venivano ritenute appannaggio esclusivo dei sistemi biologici in generale se non,
addirittura, specificatamente degli esseri umani. In particolare le ricerche
sull'intelligenza artificiale forniscono molti esempi agli psicologi su come sia
possibile l'esibizione di un comportamento complesso da parte di un automa
governato da sistemi di elaborazione abbastanza semplici.
Ma cos'è che viene elaborato esattamente?
Il computer elabora, ma potremmo anche dire manipola, simboli in modo da
trasformarli o da costituire nuovi simboli a partire da essi ed inoltre le sue stesse
operazioni interne sono governate da simboli. I simboli in questione non sono altro
che stringhe di numerali (1 e 0) che stanno per altre cose, che possono essere tanto
altri numerali quanto elementi esterni al sistema, con i quali il computer entra in
contatto tramite le così dette periferiche, che traducono questi elementi in un
linguaggio accessibile alla macchina. Ad esempio, una foto digitale per il
calcolatore è costituita da una serie di stringhe che stanno per i vari punti
dell'immagine, stabilendo una corrispondenza biunivoca tra stringhe di numerali e
punti immagine che permette alla macchina di avere una rappresentazione interna
dell'immagine esterna e lo stesso discorso vale per le immagini di una fotocamera
digitale.
La nozione di simbolo e di rappresentazione, così come l'abbiamo descritta, è di
fondamentale importanza anche per la scienza cognitiva, addirittura un'assunzione
senza la quale non si darebbe il paradigma della stessa. La questione è posta in
questi termini dagli stessi ricercatori, Johnson-Laird, nel suo La mente e il
computer [1988], afferma: "Che cos'è che i processi mentali elaborano? La risposta
naturalmente è: <un gran numero di percezioni, idee, immagini, credenze, ipotesi,
pensieri e ricordi>. Una delle assunzioni della scienza cognitiva è che tutte queste
entità sono rappresentazioni mentali o simboli di qualche tipo". La mente dunque è
un sistema rappresentazionale, ovvero un sistema attivo di strutture capaci di
autoaggiornarsi e organizzato in modo da rispecchiare il mondo nella sua continua
trasformazione, un sistema simbolico che può creare e manipolare i simboli stessi.
Ma questa creazione non è che una proprietà fra tutte quelle necessarie ad un
organismo evoluto come l'essere umano, ad esempio, per adattarsi ad un mondo in
continua trasformazione. Le stesse ricerche sull'intelligenza artificiale confermano
la necessità di determinate strutture, come la memoria o la percezione, ovviamente,
al fine di dotare un sistema intelligente di tutte quelle capacità utili ad affrontare le
variabili di un siffatto mondo.
Per prima cosa, un sistema intelligente deve essere capace di percepire che cosa
succede nel mondo, deve cioè essere dotato di sistemi sensoriali capaci di ricevere
informazioni dall'esterno e di processi che rendano tali informazioni accessibili al
sistema stesso. A tal proposito l'intelligenza artificiale viene in aiuto per cercare di
capire in che modo un sistema può ricostruire le informazioni sensoriali provenienti
dal mondo esterno in assenza del segnale originale, ad esempio, come sia possibile
che da un recettore bidimensionale come la retina si generino rappresentazioni
tridimensionali del mondo. In secondo luogo il sistema deve essere capace di
ricordare ciò che percepisce e di poterlo richiamare ogni qual volta si renda
necessario. Le ricerche in tal senso vanno verso l'esplicazione dei metodi e delle
modalità di un processo sul quale si fonda una parte importante delle capacità
esibite dalla mente umana e dagli altri sistemi intelligenti. La terza proprietà è la
capacità di utilizzare le conoscenze acquisite tanto dalla percezione immediata
quanto dalla memoria al fine di pianificare un comportamento appropriato alla
situazione ambientale contingente. Strettamente collegato a questa capacità, che è
forse la più importante da una prospettiva evolutiva, è il concetto di feedback, al
quale abbiamo già accennato in precedenza, ovvero la facoltà di monitorare lo
stato di attuazione progressiva di uno scopo pianificato in precedenza. Altri
processi che deve possedere un sistema del tipo di cui stiamo trattando sono le
capacità di comunicare con altri enti intelligenti, di apprendere ed infine, riunire i
risultati di tutti questi processi per creare delle rappresentazioni del mondo
esterno.
Fin qui abbiamo solo accennato a quelle branche della scienza cognitiva che si
riferiscono alla psicologia ed alla intelligenza artificiale: a quelle scienze, cioè, che
fanno luce su come gli esseri umani elaborano le informazioni e su quali siano i
requisiti e le facoltà di cui dobbiamo dotare un sistema computazionale in generale
affinché, almeno nelle risposte a determinati stimoli, simuli in qualche modo
comportamenti che possano essere comparati a quelli degli esseri umani o degli
altri organismi biologici dotati di una vita mentale1. Ma se andiamo ad analizzare
1
Sottolineo questo, benché interpreti il termine "mentale" in senso molto allargato, per rendere
ancor più evidente che le ricerche della scienza cognitiva si applicano a quei sistemi, che abbiamo
definito intelligenti, nei quali è possibile ravvisare un'attività cognitiva di qualche genere. Nel
caso degli organismi biologici il requisito fondamentale, a nostro avviso, è che esista un filtro,
nella fattispecie il sistema nervoso, che medi le risposte dell'organismo rispetto agli stimoli che
riceve. Il batterio Escherichia coli, per esempio, sul quale si sono applicate nomerose ricerche
biologiche, non risponde a queste caratteristiche per il fatto che il movimento dei suoi flagelli,
quali sono i livelli secondo cui deve essere affrontato un problema del tipo di
quello che si pone la scienza cognitiva, le informazioni di cui disponiamo non sono
ancora sufficienti. La scienza cognitiva, infatti, si propone di fornire una risposta
che copra tutto il ventaglio di problematiche che si apre dinanzi ad una impegnativa
ricerca come quella sopra i sistemi intelligenti e, non ultima tra questi, la mente
umana.
Un'analisi dei livelli nella scienza cognitiva è stata offerta da David Marr in Vision:
A Computational Investigation into the Human Representation and Processing of
Visual information [1982]; un articolo fondamentale per la costituzione di questa
scienza, nel quale l'autore propone tre livelli di spiegazione per i sistemi complessi
che elaborano informazioni: il livello computazionale, quello algoritmico e
l'implementazione (vedi Tav.1). Proprio in questa tabella troviamo un'ulteriore
riprova dell'importanza della teoria computazionale per la scienza cognitiva.
L'analisi del livello computazionale, infatti, sta proprio nella ricerca dei processi più
adeguati al fine di fornire ad un organismo gli strumenti necessari per l'adattamento
ambientale. Riguardo a questo abbiamo già detto qualcosa in precedenza e, ai fini
del nostro discorso, è sufficiente; ma la scienza cognitiva, come abbiamo detto, non
si limita a questo: cerca anche di capire quali potrebbero essere le rappresentazioni
degli input e degli output, di cui abbiamo già parlato, e quali siano esattamente i
passi (le linee di programma) che sottostanno ad un determinato processo. Questi
ultimi, infatti, non sono altro che i successivi passi dell'elaborazione dei simboli. In
altre parole, i processi sono equiparabili alle linee di codice di un programma per
calcolatore, ovvero, alle istruzioni che la macchina deve eseguire per fornire un
output a partire da un determinato input. Questi algoritmi, che vengono descritti
Tav. 1 I tre livelli proposti da Marr in cui va analizzato un sistema
complesso per l'elaborazione delle informazioni
Teoria computazionale
Rappresentazione e
Algoritmo
Implementazione dello
hardware
Qual è lo scopo della
Come si può implementare Come si possono realizza-
computazione, perché e
questa teoria computazio-
re fisicamente sia la
appropriata e qual'è la
nale? In particolare, Qual'è
rappresentazione che
logica
attraverso
eseguita?
della
cui
stratagia la rappresentazione per
l'algoritmo?
viene l'input e l'output, e qual è
l'algoritmo per la trasformazione?
per mezzo di diagrammi di flusso tanto nella computer science quanto
nella più classica tradizione cognitivista, sono la base delle prestazioni cognitive ed
il loro livello di spiegazione, per quanto riguarda Marr, è quello algoritmico.
che possono ruotare in senso orario od antiorario, è determinato esclusivamente dalla ricezione di
specifiche sostanze, sia tossiche che nutritive, che lo fanno muovere in maniera disordinata nel
primo caso ed in linea retta, nella direzione della sostanza nutritiva, nel secondo.
C'è ancora un ultimo livello da trattare: quello dell'hardware. A questo livello si
cerca di spiegare come sia possibile implementare fisicamente i processi del livello
precedente e per far ciò ci si affida alla ricerca neuroscientifica, ma prima facciamo
un passo indietro.
I primi due livelli di Marr danno una rappresentazione puramente logica del
sistema, indicandoci solo quali sono gli algoritmi che delle funzioni cognitive, ma le
funzioni cognitive sono localizzate in un organo ben preciso: il cervello, ed è nel
funzionamento biologico del cervello che bisogna cercare gli strumenti adatti per
rendere la teoria della computabilità applicabile, oltre che hai computer, anche agli
uomini.
Per i computer lo strumento della computazione è ben conosciuto: il processore,
come sono ben conosciuti i meccanismi logici sottesi al suo funzionamento
essendo, infatti, costituito da un insieme di circuiti nel quale l'apertura o la chiusura
degli stessi determina lo stato di quest'ultimo; anche se un processore, da solo, non
può andare lontano: per migliorare le sue capacità di calcolo bisogna dotarlo di una
memoria, grazie alla quale sarà in grado di immagazzinare e ricordare risultati già
acquisiti e sfruttarli per ulteriori calcoli. A parte questo, il funzionamento di un
processore richiede naturalmente istruzioni che indichino, passo dopo passo, alla
macchina quali operazioni mettere in atto; i dati, in altre parole, vengono elaborati
in maniera seriale: l'errore, o la mancanza, di una sola linea di codice compromette
il processo di elaborazione nel suo complesso. Le istruzioni e le operazioni svolte
da un computer sono molte e piuttosto complesse, ma per esemplificare il senso
dell'elaborazione seriale dei dati, piuttosto che rivolgerci alle CPU dei computer
prenderemo a modello un altro sistema computazionale, ideale, che unisce la
semplicità di funzionamento ad una enorme potenza di calcolo. Il suo ideatore, il
matematico inglese Alan Turing, in un articolo del 1936 avanzò l'ipotesi che tale
sistema potesse computare qualsiasi cosa ci fosse di computabile2: ciò di cui stiamo
parlando è la macchina di Turing (Vedi Tav.2). In essa, tre sole operazioni, unite
alle adeguate istruzioni ed alla infinita memoria fornita da un nastro che scorre
sotto la sua testina permettono di programmare una macchina di Turing per la
risoluzione di qualsiasi problema. Ma il discorso intorno alla computabilità,
comunque, non ci interessa molto. Ci interessa invece sapere se sia possibile
approssimare il cervello ad una macchina di Turing, se il cervello computi in
maniera diversa ma logicamente approssimabile ad una macchina di Turing o se la
teoria computazionale che fin qui abbiamo trattato non sia affatto un valido
modello per il funzionamento cerebrale, ed in questo caso metteremmo in
discussione il paradigma stesso della scienza cognitiva.
2
Una ipotesi del genere, naturalmente, non può essere provata, essendo notoriamente impossibile
decidere in merito alla computabilità di un problema senza prima averne trovato una soluzione.
Tav.2 La macchina di Turing
Nell'articolo On Computable Numbers [1936] Turing descrive uno strumento ipotetico, la
macchina di Turing appunto, che permetteva di compiere calcoli complessi con un
meccanismo molto semplice. Più che un vero e proprio "strumento" può essere considerata
un modello matematico che riduce le strutture logiche della computazione all'essenziale. In
termini moderni, ora che conosciamo i computer digitali, possiamo dire che la macchina di
Tuing è costituita da:
•
un'unita di controllo che presenta un numero finito di stati interni diversi tra loro;
•
un nastro diviso in caselle, in cui ogni casella contiene un simbolo (usualmente i
numerali binari 0 e 1) e che può essere trascinato in avanti o all'indietro di una casella
per volta.
•
una testina che può leggere i simboli del nastro e scrivere sul nastro stesso trasmettendo
i dati da e verso l'unità di controllo. Lo stato interno dell'unità di controllo e
determinato da un set di istruzioni e dalle operazioni che sono svolte sul nastro.
Le prestazioni di una semplice macchina di questo tipo, non solo sono in tutto equivalenti a
quelle di un moderno, e ben piu complesso, calcolatore elettronico, ma la potenza di calcolo
di una macchina di Turing è superiore, essendo dotata di un nastro di lunghezza infinita, e
quindi di una memoria infinita, cosa di cui non è provvisto un computer reale. Con le
adeguate istruzioni, quindi, si potrebbe progettare una macchina di Turing che sarebbe in
grado di svolgere qualsiasi genere di computazione e, sempre in termini moderni, stabilendo
un paragone con i calcolatori digitali, è possibile introdurre il concetto di macchina di
Turing universale, una macchina che può implementare qualsiasi genere di programma, a
differenza di una semplice macchina di Turing che, invece, è paragonabile ad un singolo
programma. In pratica la stessa differenza che c'è fra un Personal Computer ed una
calcolatrice.
La branca della scienza cognitiva che ci dovrebbe mettere nelle condizioni di poter
dare una risposta al quesito sul funzionamento del cervello è la neuroscienza,
anch'essa presente nella Fig. 1 nella prima pagina. Sfortunatamente, però, la
conoscenza che abbiamo dei meccanismi cerebrali è ancora insufficiente per
fornirci dati esenti da forti ambiguità, ed è proprio su questo campo, come su
quello delle rappresentazioni e degli algoritmi che si giocano le sorti della
plausibilità della scienza cognitiva a confronto con altri e nuovi paradigmi che si
sono sviluppati in questi ultimi anni. essa fa comunque anche in questo caso delle
assunzioni: la mente, abbiamo già più volte ripetuto, e un sistema che elabora
simboli in input per fornire simboli in output, ma è inverosimile pensare che tutto il
cervello sia un unico sistema computazionale. Da anni di ricerche
neuropsicologiche ormai sappiamo che un danno cerebrale, anche molto esteso,
non porta ad una interdizione totale delle funzioni cognitive e, di converso, alcuni
danni cerebrali molto localizzati causano deficit cognitivi molto specifici. Inoltre,
grazie al metodo delle dissociazioni e delle associazioni tra sintomi3, si è potuto
notare come la costituzione modulare della mente sia la più aderente ai risultati
neuropsicologici.
Per costituzione modulare intendiamo che la mente sia costituita da svariati moduli,
ognuno dei quali interessato all'elaborazione di un particolare processo; con ciò
non intendiamo però che tali moduli siano fisicamente localizzati in maniera
specifica nel cervello, ed è sotto questa premessa, ad esempio, che diciamo
l'emisfero sinistro del cervello essere, nella maggior parte dei casi, la sede del
linguaggio, senza intendere né che tutto l'emisfero sinistro sia sede esclusiva del
linguaggio, né che una zona ben localizzata di tale emisfero sia la sola ad essere la
sede del linguaggio.
Il modularismo della mente è un'idea propria del cognitivismo, benché la storia
della scienza presenti da lungo tempo ipotesi sulla struttura della mente di questo
genere, non a caso, un testo di un'importante esponente di tale corrente, Jerry
Fodor, ha come titolo: La mente modulare [1983]. Un testo nel quale sono
espresse tutte le tematiche del cognitivismo, con ampi riferimenti al passato (alla
teoria frenologica di Gall, per esempio), ma in una nuova chiave, che compendia,
tra le altre cose, l'innatismo di Chomsky, sostenendo la matrice genetica alla base di
alcune facoltà, come la vista, oltre a quella del parlare, naturalmente.
Le neuroscienze cognitive seguono tutt'ora il solco del modularismo, cercando i
meccanismi neurali che stanno alla base dei processi cognitivi, avvalendosi delle più
moderne tecnologie messe in campo dalla scienza per lo studio del cervello e la
scienza cognitiva, a sua volta, si avvale di queste ricerche per dare una risposta alle
domande che sorgono cercando di implementare un sistema computazionale in un
organo caotico e complesso come il cervello.
Un cambio di prospettiva
Con quanto è stato detto fin qui si è cercato di riassumere cosa si intende per
scienza cognitiva, ma, come abbiamo già accennato, in questi ultimissimi anni
alcuni suoi fondamentali paradigmi, quali il concetto di rappresentazione mentale o
l'elaborazione sequenziale dei dati, ad esempio, sono messi fortemente in crisi da
un nuovo modo di interpretare i processi mentali, basato su un nuovo modello
computazionale che fa riferimento alla teoria dei sistemi dinamici complessi. Tale
approccio allo studio della mente, e dei sistemi intelligenti in generale, è talmente
diverso da quello che abbiamo fin qui descritto da aver suscitato un dibattito sulla
plausibilità o meno della collocazione di questa nuova corrente, il connessionismo,
e di tutti i suoi numerosi derivati, all'intero della scienza cognitiva.
La domanda che gli scienziati connessionisti si pongono è sempre la stessa, ovvero,
cosa ci sia dietro al comportamento ed alla vita mentale, ma non sono soddisfatti
3
Il metodo delle dissociazioni e delle associazioni tra sintomi è molto usato dalla neuropsicologia
moderna e consiste nell'esaminare gruppi di pazienti cerebrolesi che presentano deficit differenti
di una stessa funzione cognitiva, cercando di isolare quali sottofunzioni della funzione principale
sono deficitarie, restando integre le altre.
delle risposte che ricevono dal cognitivismo e dalle simulazioni dell’intelligenza
artificiale classica.
La rigidità che mostrano questi programmi nei confronti del mondo e la loro
scarsissima plasticità nel reagire adeguatamente ad un ambiente altamente
mutevole, che, si noti, noi uomini non abbiamo alcuna difficoltà a definire
“normale”, essendo il terreno delle esperienze quotidiane della nostra vita, rende
oggettivamente difficoltoso pensare che uno qualunque di questi sistemi possa
degnamente rappresentare anche solo una semplificazione di ciò che si cela dietro
ai nostri più comuni comportamenti.
L’enorme potenza di calcolo che ha permesso al programma Deep Blue di
sconfiggere il campione del mondo di scacchi Kasparov non ci deve stupire e
nemmeno preoccupare ed il già citato Turing, in Calcolatori e intelligenza [1950],
ci dice qualcosa di illuminante in proposito: “Non vogliamo penalizzare la
macchina per la sua incapacità di brillare in un concorso di bellezza, né penalizzare
l’uomo perché perde una corsa contro un aeroplano”. Non possiamo penalizzare
l’uomo perché a perso una sfida sul terreno della logica e del calcolo contro un
programma come Deep Blue, che ha nella logica e nella potenza di calcolo l’unica
sua ragione di esistere per noi uomini, ma un computer è una macchina che esegue
calcoli e certo nessuno si aspetta che si arrabbi al termine di una partita persa. Da
una prospettiva di questo genere è difficile guardare a Deep Blue come ad una
simulazione del nostro modo di ragionare, al contrario, è più probabile pensare che
forse non ci sia nulla di più lontano ed ecco ciò che i connessionisti4 non
condividono: pensare che si possa studiare la mente dell’uomo solo nelle sue forme
più astratte della logica e quindi della mente, ignorando tutto il resto. In un libro
ancora inedito dal titolo Mente, Domenico Parisi denuncia questa nuova forma di
dualismo associata all’analogia mente-computer e quando si chiede quali siano le
risposte della scienza alle domande sul comportamento e sulla vita mentale
prospetta due risposte: “…la scienza da un lato afferma che dietro al
comportamento e alla vita mentale c’è il sistema nervoso, il resto del corpo, il
materiale genetico ereditato (il DNA). Dall’altro, invece, la scienza ci dice che
dietro al comportamento e alla vita mentale c’è la mente”, ma è davvero possibile
pensare di studiare realisticamente la mente ignorando il cervello, il sistema
nervoso ed il modo in cui noi sviluppiamo, a partire dal nostro patrimonio
genetico, questi elementri insieme al resto del nostro corpo? La risposta di Parisi è
no, e noi ci sentiamo di condividerla. Ogni giorno le neuroscienze, così come la
biologia molecolare o altre discipline, ci presentano i risultati di nuove ricerche
nelle quali i rapporti fra l’ambiente, il corpo ed il nostro comportamento si fanno
sempre più stretti e mettendoci difronte alla estrema complessità generata da
queste interazioni che non possiamo trascurare. Da questo punto di vista lo
studioso della mente e del comportamento cambia completamente fisionomia, non
è più solo lo psicologo che studia l’uomo nelle sue reazioni verso determinati
stimoli, e non è più nemmeno il cognitivista che cerca gli algoritmi adatti ad
4
Con questo termine, alquanto improprio, intendiamo raggruppare tutti quei ricercatori che
utilizzano nel loro lavoro sistemi di simulazioni connessionisti (reti neurali artificiali, ecc…) ben
coscienti della varietà di modi con i quali questo genere di sistemi vengono utilizzati.
elaborare gli stimoli percepiti da un soggetto: la mente umana non si risolve nella
sola elaborazione dei simboli.
Per studiare l’uomo non basta studiare il presente, ma è necessario rivolgersi anche
al passato, a quel processo evolutivo che ha portato l’uomo ad essere quello che è,
ricercando questi segnali, ad esempio, nella complessa composizione del nostro
DNA o nella nostra particolare struttura anatomica, tanto a livello macroscopico
quanto a livello microscopico, non dimentichiamo infatti che la struttura delle reti
neurali del nostro cervello è pre-determinata, in massima parte, geneticamente. Le
nostre cellule durante l’embriogenesi sanno perfettamente dove posizionarsi e
svilupparsi, e sanno anche dove e quando morire, secondo un processo di morte
cellulare, detto apoptosi, che interessa tutte le cellule del nostro corpo e,
misteriosamente, anche i neuroni, che hanno la spiacevole caratteristica di non
duplicarsi nel corso della vita, quindi ogni neurone morto è da sottrarre
definitivamente al numero totale (enorme, ma pur sempre finito) dei neuroni che
abbiamo al momento del concepimento. E’ possibile che meccanismi tanto
complessi e particolari non influenzino anche i tratti psicologici di un individuo?
Abbiamo testimonianza di come determinati danni cerebrali, in particolare quelli
delle regioni frontali e prefrontali, portino a mutamenti del carattere di una persona
( R. Damasio, L’errore di Cartesio [1994]) e purtroppo sappiamo anche delle
devastanti conseguenze di una pratica in uso fino a qualche hanno fa in alcuni
ospedali psichiatrici per “calmare” i malati più pericolosi: stiamo parlando della
lobotomia frontale, capace di trasformare un uomo in qualcosa di assimilabile ad un
vegetale. Bisogna tener conto della struttura del sistema nervoso e del cervello per
studiare la mente, cercando di tenere in debito conto anche i milioni di anni che
sono trascorsi dai batteri primordiali fino alla comparsa degli organismi più evoluti
per capire come si siano sviluppate strutture tanto complesse.
Bisogna dire che, in questi ultimi anni, un cambio di prospettiva di questa portata è
stato possibile grazie ad alcune novità che è possibile collocare, una nell’ambito
metodologico della ricerca scientifica e l’altra in quello teorico.
Cominciando dall’ultima, possiamo vedere come una tendenza di questi ultimi anni
di ricerca è stata l’affermarsi di modelli che interpretano i fenomeni della realtà
come fenomeni “complessi”. Ma cos’è un sistema complesso? Intendiamo come
tale un sistema costituito da un grande numero di elementi interagenti nel quale il
comportamento del sistema in generale non si può dedurre dal comportamento dei
singoli elementi che lo compongono. Una fantasiosa rappresentazione del concetto
di sistema dinamico complesso è fornita da Douglas Hofstadter, nel dialogo
"mirmecofuga", presente nel libro Godel, Escher e Bach [1979], dove il
formichiere spiega in che modo riesce a comunicare con il sig. Furio-Caio, un
formicaio: le sue parole, infatti, non sono altro che le figure tracciate sul terreno
dalle formiche a loro insaputa. Il formicaio è costituito dall' insieme delle formiche,
ma le formiche, idividualmente, non sanno di essere parte del formicaio, seguendo
ognuna la propria strada e badando solo alle altre formiche che sono vicine, senza
curarsi di quelle distanti. Allo stesso modo, un elemento di un sistema dinamico
complesso, "conosce" solo il proprio stato, senza poter prevedere in alcun modo la
sua funzione nei confronti dei suoi vicini e quindi, nell' insieme generale del sistema.
Un’altra caratteristica dei sistemi complessi che Parisi ci fa notare è
l’organizzazione in una gerarchia di livelli in cui “numerosi elementi appartenenti
ad un certo stato determinano le caratteristiche di un singolo elemento del livello
immediatamente superiore. Questo ovviamente accresce la complessità dell’intero
sistema dato che si debbono considerare sia le interazioni tra gli elementi all’interno
di un livello, sia le interazioni tra i diversi livelli”. Un esempio che ci riguarda molto
da vicino è dato dalle complesse relazioni presenti fra il genotipo di un organismo
ed il suo fenotipo, comprendendo in esso, naturalmente, anche il sistema nervoso,
(che già di per sé stesso ha ben poco di semplice) infatti, sono solo gli elementi
funzionali del genoma, ben difficili da individuare, che determinano lo sviluppo e la
struttura del fenotipo ed in seguito sarà solo il risultato di questo sviluppo a
determinare, secondo regole specifiche e grazie all’interazione con l’ambiente, il
comportamento di un organismo naturale qualsiasi..
A partire dalla complessità che caratterizza la realtà secondo questa nuova
prospettiva possiamo capire l’importanza dell’innovazione metodologica che si
accompagna ad essa. Questa novità è la simulazione mediante il computer: un tipo
di simulazione diversa da quella che si propone l’intelligenza artificiale, dove si
cercava di costruire sistemi che imitassero, almeno negli esiti superficiali, i
comportamenti di un ente intelligente. Per spiegare questo concetto di simulazione
ricorriamo nuovamente alle parole di Parisi: “…la simulazione cerca di conoscere e
di capire la realtà sintetizzandola , cioè mettendola insieme a partire dalle sue
componenti, riproducendola in un sistema artificiale….Il ricercatore mette dentro
al computer le componenti che secondo la sua teoria sono responsabili di un
fenomeno e, facendo girare il programma, osserva se da queste componenti emerge
il fenomeno tutto intero” . In altre parole, i metodi di ricerca e di simulazione che
vengono utilizzati per studiare i fenomeni complessi sono essi stessi delle
riproduzioni computerizzate dei fenomeni che vengono studiati, in modo da avere
sotto controllo tutti gli elementi che noi riteniamo essere determinanti per quel
fenomeno, così, ad esempio, lo studio dei processi cognitivi nell’uomo diventa una
riproduzione dei fenomeni salienti che avvengono all’interno del cervello, cercando
di riprodurre gli elementi che li rendono possibili, i neuroni, ed i meccanismi del
loro funzionamento, ma non ci dilunghiamo in questo discorso che sarà l’oggetto
della prima parte della nostra discussione e dove verranno discussi i sistemi di
simulazione del connessionismo.
Abbiamo visto come lo studio sull’uomo, dal punto di vista che stiamo
esaminando, riconduca a tante e diverse discipline ed è legittimo domandarsi come
sia possibile studiare fenomeni così disparati come quelli che riguardano la
genetica, la biologia o la psicologia. Anche in questo caso l’approccio simulativo
risulta il metodo d’elezione per esaminare e studiare fenomeni di questo genere,
semplificandoli e chiarendoli, almeno per certi versi. E’ in quest’ottica che, in
questi ultimissimi anni, vengono svolte le cosiddette simulazioni di vita artificiale.
Di questo tipo di simulazioni parleremo ampiamente in seguito, dal momento che
ne useremo una per affrontare la parte sperimentale del nostro studio, qui ci basti
sapere che la vita artificiale permette di studiare in maniera semplificata quei
complessi fenomeni che vanno dall’evoluzione di sistemi artificiali che, secondo
principi darwinistici, aumentano la loro adattabilità nei confronti dell’ambiente
attraverso la selezione “naturale”, a strutture complesse di genotipi che si
sviluppano in fenotipi costituiti da un sistema nervoso e dotati di funzioni sensomotorie che permettono a tali organismi artificiali di muoversi ed adattarsi ai più
disparati ambienti: anche a quelli reali, qualora tali sistemi vengano implementati
nel “cervello” di un robot ed in effetti queste ricerche, applicate al campo della
robotica, stanno dando buoni frutti, soprattutto nel tentativo di comprendere come
un robot possa orientarsi e reagire alle sollecitazioni di un ambiente mutevole in
maniera autonoma.
Tra l’altro, porsi domande di questo genere ci riporta inevitabilmente alla nostra
storia evolutiva e al perché siano state premiate determinate strutture, piuttosto che
altre, dalla selezione naturale. Ecco che diventa importante non solo sapere il
funzionamento del sistema nervoso nell’uomo e negli altri animali superiori, ma
anche come si sviluppa il sistema nervoso di un semplice vermiciattolo
micrometrico come il Caenorhabditis elegans, che ci ha insegnato molto sui
meccanismi genetici dell’apoptosi neuronale nello sviluppo embrionale.
Naturalmente le simulazioni possono servire a simulare fenomeni reali, ma anche
fenomeni che reali non sono, possono creare organismi e persino società nuove,
che non esistono nella realtà, e può sorgere la legittima domanda: “Che senso ha
una cosa di questo genere? A parte gli scopi pratici, ingegneristici,
tecnologici,…,simulare il possibile al di là del reale può servire a capire il reale,
purché il possibile incorpori i principi del reale” (Parisi).
E’ da questa prospettiva che ci accingeremo alla nostra verifica sperimentale, che
presenteremo nella seconda parte e che verterà su un aspetto rilevante, ma poco
indagato, dei sistemi complessi (tanto naturali quanto artificiali), ovvero il ruolo
della ridondanza, se mai un ruolo le si potrà attribuire, degli elementi costituenti
tali sistemi nel funzionamento degli stessi.
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