Computo ergo sum - Corriere delle Comunicazioni

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Anno XI n.20 - 11 dicembre 2015
www.corcom.it
1 . S TO R I A
2. GEOGRAFIA
L E M AT E R I E D E L D O M A N I
3. SCIENZE
4 . M AT E M AT I C A
5. LINGUE
6 . F I LO S O F I A
Computo ergo sum
La rivoluzione tecnologica in corso sta modificando
la nostra percezione del mondo. Eppure, mentre aumentano
le informazioni disponibili, aumenta anche l’incertezza
do il bisogno di una nuova filosofia:
la filosofia dell’informazione». È
possibile che un giorno quel bisogno
diventi necessità perché, detto fra noi,
siamo solo all’inizio della rivoluzione
di Turing.
Come abbiamo visto nelle precedenti puntate di questa serie, un diluvio di
dati sta trasformando gli studi storici.
La comunicazione in tempo reale sta
cambiando la geografia. La distribuzione e l’accumulo del sapere stanno
amplificando le scienze. La globalizzazione sta restringendo il numero delle
lingue parlate. E la matematica è, più
che mai, parte integrante del tessuto
spazio-temporale che ci avvolge. Ma
quanto crescerà tutto questo, nel
futuro?
Secondo le stime di Cisco, nel 2008
c’erano tanti apparecchi hardware
Marco Magrini
C
omputo ergo sum. Per riflettere sulla metafisica della nostra
èra digitale – chi siamo? da
dove veniamo? ma soprattutto: dove
andiamo? – basta compiere un breve
tragitto sulla metropolitana di Milano,
di Tokyo o di New York. Osserveremo
una rilevante maggioranza di passeggeri che, invece di interagire col
noioso ambiente circostante, è intenta
a scrutare un touchscreen. Questa
furibonda interazione uomo-macchina, per quanto esplosa di recente,
rappresenta già un tratto universale
del genere umano.
Potremmo dire che è l’antropologia
dell’homo digitalis. Ma è anche vero
che la natura fondamentale della
realtà e dell’esistenza, della scienza e
della conoscenza, della mente e della
ragione, sembra trasformarsi: mentre
i confini fra la nostra vita online e
quella offline si fanno sempre più
indefiniti, cambia inesorabilmente
anche la visione del mondo. Ovvero la
filosofia.
Nella vita quotidiana di questo
primo scorcio di XXI secolo, siamo
occupati – tramite i microprocessori
– in continue operazioni di calcolo:
sono calcoli i post su Facebook, le raccomandazioni su Amazon, i search su
Google, le partite su Minecraft. Quanto basta per trasformare il celebre
sillogismo cartesiano in computo ergo
sum. Calcolo, quindi sono. Twitto,
quindi esisto.
Nel suo libro «The Fourth Revolution», il filosofo Luciano Floridi
sostiene che le tecnologie della
comunicazione stanno trasformando
per la quarta volta la plurisecolare
speculazione sulla natura fondamentale dell’esistenza. «Prima abbiamo
scoperto – scrive Floridi – che non
siamo immobili al centro dell’universo
(la Rivoluzione copernicana). Poi che
non siamo distinti e diversi dal resto
del mondo animale (la Rivoluzione darwiniana). Che siamo lontani
dall’essere interamente trasparenti
a noi stessi (la Rivoluzione freudiana). Adesso, le tecnologie ci stanno
facendo capire che non siamo agenti
separati, ma organismi informatici che
condividono con altri un ambiente
globale fondamentalmente costituito
da informazioni: l’Infosfera». È quel
che lui chiama la «Turing revolution»,
da Alan Turing, il papà della computer
science.
La visione del mondo è cambiata
radicalmente, con le prime tre rivoluzioni menzionate dal filosofo italiano
che insegna a Oxford. E la quarta si
prepara a fare altrettanto, «generan-
Secondo le stime di Cisco, nel
2008 c'erano tanti apparecchi
hardware quanti abitanti del
pianeta. Oggi sono già 25 miliardi
destinati a crescere ancora
Alan Turing
Alan Mathison Turing
è stato un matematico,
logico e crittografo
britannico, considerato
uno dei padri
dell'informatica
e uno dei più grandi
matematici
del XX secolo
connessi a internet quanti esseri
umani sul pianeta. Oggi sono già 25
miliardi e saranno 50 miliardi alla fine
di questa decade, ovvero sette volte la
popolazione mondiale. Il rapporto è
ancora più impressionante se si considera che, purtroppo, solo un terzo del
genere umano ha attualmente accesso
alla Rete. Nella cosiddetta Internet
of Things in via di rapida costruzione – milioni di termostati, decine di
milioni di lampadine, centinaia di
milioni di telecamere sono già connesse al web – una crescente moltitudine
di agenti elettronici interagirà con la
realtà: percependola (con i sensori),
condividendola (con le comunicazione wireless), ed eventualmente
modificandola (con gli attuatori). È la
sublimazione dell’Infosfera.
Ma la spallata definitiva alla vecchia
concezione del mondo la daranno
altre due tecnologie in arrivo che sono
entrambe, diciamo così, ibride. Prima
la realtà aumentata, che miscela gli
input sensoriali biologici, come l’udito
e la vista, con le informazioni digitali
(i Google Glass sono solo il primo tentativo, peraltro maldestro, in questa
direzione). E poi l’intelligenza artificiale, che punta a replicare nell’hardware
e nel software tratti caratteristici
dell’intelligenza umana, a cominciare
dall’apprendimento.
Per quel che osserviamo oggi, il più
evidente spartiacque fra l’intelligenza
biologica e l’intelligenza artificiale è la
coscienza: senza bisogno di scomoda-
re Cartesio, è evidente che le macchine
la coscienza non ce l’hanno. Eppure autorevoli scienziati (Stephen Hawkins),
imprenditori (Elon Musk) e filantropi
(Bill Gates) sostengono senza pudore
che l’intelligenza artificiale è uno dei
maggiori pericoli che attendono il
genere umano lungo il suo cammino:
il pericolo che le macchine possano
diventare così potenti e intelligenti da
sviluppare autonomamente la coscienza e decidere di conseguenza che gli
umani vanno soggiogati.
È vero che la cosa suona un po’
comica, non foss’altro perché ricalca
la trama di circa un terzo di tutta la
letteratura mondiale di fantascienza. È
vero che numerosi scienziati, inclusi gli
esperti di intelligenza artificiale, escludono che ci siano per ora, o nel futuro
Secondo alcuni (Hawkins, Musk e Gates)
l'intelligenza artificiale è uno dei maggiori
pericoli che attendono il genere umano
Bill Gates
L'inventore di Microsoft è
un sostenitore dell'idea che
l'intelligenza artificiale
sia uno dei maggiori
pericoli che attendono
il genere umano
prossimo, motivi di allarme. Ma «per
ora», non vuol dire «mai». Cosicché
questo potrebbe diventare il dilemma
filosofico centrale del Terzo Millennio:
cos’è davvero la vita, se non si distingue
da quella artificiale? Esiste una cyberetica indipendente dal software? C’è un
libero arbitrio digitale?
In qualche modo, il pensiero
moderno ha già cominciato a prendere le misure di una crescente crisi
delle certezze, quantomeno dal 1979,
quando Richard Rorty ha pubblicato il
suo dirompente «Philosophy and the
Mirror of Nature». La filosofia della
scienza si sta spostando dalla retorica
tradizionale, basata su una fondamentale capacità di predire gli eventi, a una
consapevole accettazione dell’incertez-
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