galaxia La scena del Crimine (*) di Armando Palmegiani L a scena del crimine è senz’altro uno degli elementi più importan ti per scoprire chi sia l’autore di un reato. Inoltre, la sua accurata analisi è una delle operazioni più delicate ed importanti durante un’investigazione. Il luogo dove è stato compiuto un crimine, infatti, è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia, due discipline che molti tendono a confondere. In realtà, la prima studia le moderne tecniche di ricerca delle tracce, le metodologie e le procedure di laboratorio al fine di risalire alle tracce stesse di un delitto e all’identi ficazione del responsabile, mentre la seconda studia i reati, gli autori e le vittime. Nella scena del crimine, quindi, si trova il punto di contatto tra una scienza più teorica, la criminologia, e quella, invece, più pratica, la criminalistica, appunto. Per completarne il quadro delle definizioni possibili, possiamo considerare la SdC (la scena del crimine, come viene definita dagli “addetti ai lavori”) come una forma di comunicazione lasciata da chi ha commesso il crimine in questione; una comunicazione che spesso è l’unica in grado di farci capire chi sia il colpevole, chi possa aver commesso il reato. In un’indagine, infatti, spesso e volentieri possono venire a mancare i testimoni o il movente, ma la scena del crimine è sempre presente, più o meno estesa, più o meno difficile da analizzare, ma immancabilmente pronta per essere analizzata. Ma cos’è fisicamente e spazialmente una scena del crimine? Come definizione principale, è il luogo dove è stato compiuto il reato. Ma se analizziamo bene questa definizione, potremmo desumere che risulta abbastanza sommaria e generica. Questo perché vi sono almeno tre differenti zone, ugualmente importanti, ai fini investigativi: la scena del crimine primaria, dov’è avvenuto il fatto delittuoso o dove è stato rinvenuto il cadavere, la scena del crimine secondaria, ossia quel luogo, in prossimità della (*) Già pubblicato su “Detective” (febbraio 2007) 12 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 scena del crimine primaria, dove vi è un’alta probabilità che l’autore vi abbia compiuto delle azioni o vi abbia agito la vittima in prossimità della morte e, infine, le zone di interesse investigativo, dove l’autore del reato vi è sicuramente transitato. Ebbene, queste tre zone rappresentano complessivamente la scena del crimine. Oltre ad una definizione spaziale, comunque, è possibile dare, anche se in maniera un po’ azzardata, una definizione “temporale” della scena del crimine. Se consideriamo, per esempio, un luogo dove l’autore del reato vi abbia solamente transitato (per esempio la via di fuga), quest’ultimo può essere considerato a tutti gli effetti una SdC, a seconda del lasso di tempo in cui l’autore vi è rimasto. Infatti, se anche per ipotesi non vi sono state azioni dirette da parte dell’autore in quel luogo, è comunque statisticamente più probabile che vi abbia lasciato una traccia, per esempio una formazione pilifera (ossia lasciando uno o più capelli o peli), visto il lungo lasso di tempo in cui vi è rimasto. Altra zona importante, nell’atto dell’analisi della SdC, è l’individuazione di una zona, definita dagli specialisti “tiepida”, situata nelle adiacenze della stessa SdC, per esempio, in caso di un appartamento, il pianerottolo, dove gli operatori della Polizia scientifica dovranno indossare le idonee protezioni per “varcare la soglia” (frase che dà sempre inizio, per tradizione, alla descrizione di un ambiente chiuso nel fascicolo di sopralluogo). Definita la scena del crimine, in maniera spaziale e temporale, passiamo ora alla sua analisi. Tutti gli operatori che dovranno entrare per analizzarla, o anche solo per visionarla, sono obbligati a munirsi di apposite protezioni, a cominciare da una tuta monouso che comprende un paio di copricalzari e un cappuccio, dei guanti in lattice e una mascherina. Questo tipo di “abbigliamento” permette di evitare che gli operatori contaminino la SdC con le proprie impronte digitali o lascino, accidentalmente, residui biologici sulla scena. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che queste specifiche protezioni permettono di salvaguardare gli stessi operatori anche da eventuali contaminazioni da parte dell’ambiente, per esempio dalla presenza di tracce di sangue infetto ritrovate sulla scena del crimine. Per questo, si deve sempre evitare di entrare nella SdC senza queste opportune protezioni e, allo stesso tempo, si deve in ugual misura evitare di uscire dal luogo del crimine e dalla cosiddetta zona “tiepida”, con ancora indosso l’ “abbigliamento” di protezione. A questo punto, non solo è molto importante, ma anche scontato, quando viene scoperto un delitto, preservare la scena del crimine nel miglior Armando Palmegiani (a sinistra) e un suo collega esaminano una delle vittime degli attentati di Sharm el Sheikh, in Egitto, avvenuti il 23 luglio 2005. "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 LA “SCUOLA” DELLA POLIZIA SCIENTIFICA Gli operatori delle forze dell’ordine esperti di scena del crimine sono i videofotosegnalatori della Polizia scientifica. Quest’ultima è presente capillarmente su tutto il territorio nazionale nei Gabinetti Interregionali, Regionali, Provinciali ed anche nei posti di segnalamento presenti nei Commissariati distaccati. Tutto il personale che opera nella Scienti. ca ha effettuato un corso, presso il Servizio Polizia Scientifica della D.A.C. (Direzione Centrale Anticrimine) della Polizia di Stato, della durata di circa cinque mesi. In questo corso vengono insegnate, oltre ad una cultura generale sulle tecniche criminalistiche, l’analisi della scena del crimine, in particolar modo come ci si deve muovere, acquisendo le tecniche di protezione individuali, come effettuare il “sopralluogo di Polizia scientifica” (ossia l’atto formale che congela la scena del crimine) e la ricerca-repertazione delle possibili tracce. Inoltre, da più di un anno è stato istituito, presso il Servizio Polizia scienti. ca, il cosiddetto Gruppo E. R. T. (Esperti Ricerca Tracce), che ha il compito di supportare la Polizia scientifica territoriale in caso di eventi particolari che richiedono un maggiore impegno di personale e di tecnologie aggiornate e sofisticate. modo possibile. Anche dopo l’intervento dei sanitari accorsi, per il soccorso della o delle vittime o per la constatazione di morte, è fondamentale precludere l’accesso alla scena fino a quando non sono intervenuti gli operatori della Polizia scientifica. Questo perché, come si vede nei film e negli sceneggiati televisivi, la possibilità di trovare delle tracce, che possano ricondurre agli autori del crimine, dipende esclusivamente dalla salvaguardia dei luoghi dov’è avvenuto. Ecco perché bisogna sempre annotare chi ha avuto accesso nella SdC, ai quali, poi, in seguito saranno prese le impronte digitali che verranno escluse, di conseguenza, da quelle rilevate nell’ambiente, al fine di determinare quale sono, invece, quelle lasciate dall’autore del delitto. Così come, analogamente saranno prese le impronte delle suole delle scarpe, grazie ad appositi fogli, al fine di determinare quale impronte di calzature sono state lasciate dal colpevole. Leggendo i libri di Jeffery Deaver, che ha ideato la serie dell’investigatore paraplegico Lincoln Rime, vediamo che l’analista della SdC, Amalia Sachs procede all’analisi della scena con il metodo sistematico definito “a griglia”, ossia ponendosi parallela ad una pa- rete e procedendo a muoversi avanti e dietro, di metro in metro, coprendo tutta la zona interessata. Il metodo anglosassone appena considerato, forse un po’ enfatizzato in questi romanzi, è diverso da quello utilizzato dagli operatori della nostra Polizia scientifica, in quanto l’analisi della scena del crimine viene da noi effettuata, dal principio, con un sistema definito “punto-punto”. Ossia, preferiamo procedere diretti al punto più importante e visibile della scena, per esempio il cadavere, e poi sequenzialmente agli altri oggetti d’interesse investigativo visibili da quel punto, per esempio una pistola, un bossolo, un’impronta eccetera. A quel punto, dopo aver individuato le tracce più visibili, si procede ad una ricerca sistematica basata sul seguente ordine: da destra verso sinistra, dal generale al particolare, dal basso verso l’alto. Questa sequenza è la stessa utilizzata per la descrizione degli ambienti all’interno del sopralluogo della Polizia scientifica, l’atto complessivo che serve a fissare la scena del crimine. Ma che cosa succede quando i sopralluoghi di una scena del crimine si svolgono all’aperto e non in un appartamento o in un luogo chiuso? Ebbene, in questi casi, la scena del crimine può essere divisa in settori rettangolari per permettere di analizzare il luogo in modo più minuzioso, evitando così di cercare più volte nella stessa area. Se poi, nella scena del crimine all’aperto si è svolto un conflitto a fuoco o si ha il sospetto che vi possano essere nascosti o dispersi degli oggetti metallici, la zona in questione viene suddivisa in strisce della larghezza di circa un metro che saranno ulteriormente ispezionate mediante l’utilizzo di metal detector. Un esempio tipico è stata la ricerca del coltello disperso in un prato molto esteso per l’omicidio di Adriana Tamburini, avvenuto nell’ottobre di due anni fa a Sora, in provincia di Frosinone, per mano del suo fidanzato Michele Salerno. Il prato fu diviso a fasce e, alla fine, il coltello venne trovato, proprio grazie al metal detector, nascosto sotto uno spesso strato d’erba. Gli operatori della Polizia scienti fica, al loro arrivo sulla scena del crimine, non riservano il loro interesse esclusivamente nel congelare il luogo in questione per permettere di effettuare un fascicolo di sopralluogo, ma hanno il compito fondamentale di cercare e preservare le tracce. E quando si parla di tracce lasciate sulla scena del crimine non si può far a meno di parlare di Edmond Locard, un celeberrimo criminologo francese che, nel 1910 a Lione, formulò il cosiddetto “principio del libero scambio”, che riassunse con queste parole: «Quando due oggetti entrano in contatto, ognuno lascia sull’altro qualcosa di sè; quindi un individuo che commette un crimine lascia qualcosa di sè sulla scena del crimine e, parallelamente, qualcosa del luogo del delitto rimane sul reo». Avendo bene in mente questo principio fondamentale, ogni operatore della Polizia scientifica, e non solo italiana, dopo aver fissato e fotografato le tracce visibili, procede nel cercare quelle latenti, come possibili impronte digitali, tracce biologiche eccetera. In seguito, qualora il caso lo richieda, possono essere effettuate delle ricerche più accurate, avvalendosi di sistemi più o meno invasivi. Per esempio, a seguito dell’omicidio di Maria Carmela Linciano e della figlia quattordicenne Valentina Maiorano, avvenuto a Campobasso e di cui sono imputati Angelo Izzo e Luca Palaia, gli operatori della Polizia scientifica cercarono altre sepolture, che si riteneva fossero presenti sul terreno, mediante un Georadar, uno strumento altamente tecnologico che permette attraverso l’immissione di onde impulsive ad alta frequenza e la relativa lettura dell’onda riflessa, eventuali corpi sepolti o cavità presenti. La stessa tecnica è stata utilizzata, lo scorso anno, per cercare i resti del giornalista Mauro de Mauro, eliminato dalla mafia siciliana nel settembre del 1970 a Palermo. Naturalmente, la Polizia scientifica ha in dotazione altre apparecchiature che permettono di effettuare, sempre attraverso il principio del radar, ricerche all’interno di muri o sonde, munite di telecamera, che possono essere infilate nei forellini più minuscoli alla ricerca di cavità. Non per nulla, accurate ricerche, proprio grazie a questo tipo di apparecchiature, furono effettuate nel covo, dove venne catturato il “boss dei boss” Bernardo Provenzano a Corleone, alla ricerca dei famosi pizzini e di quanto altro utile fosse ai fini investigativi. # 13 galaxia L’orientamento di Francesco Morena P arlare oggi di orientamento porta subito a considerare l’uso di nuove tecnologie il cui ultimo esempio e il più emblematico è rappresentato dal navigatore satellitare. Eppure nonostante l’invenzione di questo utile strumento, il cui funzionamento, come vedremo, in taluni casi è condizionato dalla posizione, a volte si potrebbe avere lo stesso la necessità di orientarsi. Comunque se proprio non ci dovesse essere questo bisogno, se non altro interessarsi all’orientamento può essere utile per ricordare un po’ di nozioni di geografia generale imparate a suo tempo. Inoltre, visto che sono state inventate anche delle gare in cui cimentarsi in questa disciplina, può essere piacevole dedicarsi ad essa in caso di gita, di passeggiata montana o in barca e capire in che direzione ci si sta movendo. Oppure di notte alzare gli occhi e guardare quel cielo stellato, che l’inquinamento luminoso sempre meno ci permette di gustare, e riuscire a capire dove è posizionata la stella polare. Prima di tutto orientarsi vuol dire individuare un punto di nostro interesse, che può essere quello in cui ci si trova o dove bisogna andare, rispetto a qualcosa che rappresenti dei punti di riferimento: in pratica i punti cardinali. Se necessario, immaginando la “rete” formata da meridiani e paralleli, si individua allora la posizione tramite i valori di “latitudine” e “longitudine”. Il primo metodo per orientarsi, e chiaramente il più naturale, è quello di osservare la posizione del Sole valutando quindi dove esso è sorto o dove tramonterà. Non è così scontata que- Figura 1 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 sta valutazione: è facile, per esempio, se si guarda il Sole nelle ore del giorno prossime all’alba od al tramonto, ma in un orario intermedio, nell’arco della giornata, è meno intuitivo. In questo un po’ di geografia astronomica ci viene in aiuto: se si fosse all’equatore, a mezzogiorno, ed in uno dei due giorni dell’anno coincidenti con gli equinozi, il sole sarebbe giusto sulla nostra testa e quindi ci sarebbero un po’ di difficoltà a capire dove è sorto. Anche se fossimo in zone comprese fra i Tropici in determinati giorni sarebbe difficile capirlo ad occhio ed in modo immediato. Nelle nostre latitudini, invece, possiamo considerare che esso sorgendo ad Est e tramontando ad Ovest, percorre un arco nel cielo rivolto verso Sud (nel nostro emisfero) ad un’altezza dall’orizzonte variabile secondo le stagioni (vedi figura 1). Quindi quest’arco, che ha un’altezza massima che non è mai allo zenit (sulla nostra testa per capirci), proprio a mezzogiorno, o meglio al centro del dì, indica il Sud. In pratica percorrendo l’arco da Est ad Ovest nel suo centro, quando è alla sommità, il Sole è verso il Meridione. Tralasciamo e non approfondiamo come comportarsi se ci si trova nella fascia tra i Tropici. Ma si potrebbe ipotizzare un’altra situazione diversa, ancora più particolare: se si è proprio sul Polo Nord (o Sud) come ci si può orientare? E’ logico che il problema non sarebbe quello di sapere dove è il Nord (o il Sud), visto che ci si è sopra, ma sarebbe quello di trovare la direzione per la strada del ritorno. Del resto, come vedremo, avremmo la stessa difficoltà pur possedendo una bussola (magnetica) per la quale non avrebbe più senso indicare il Nord. Ricapitolando: si può affermare che se ci si trova in prossimità dell’alba o del tramonto il Sole indica l’Est o l’Ovest rispettivamente, mentre se è mezzogiorno indica il Sud. Ma tutto ciò non basta: dovrei conoscere anche le altre direzioni secondo la sua posizione, per esempio che ad un quarto della giornata (cioè mezza mattina) è a Sud-Est, oppure che a tre quarti (cioè metà del pomeriggio) è a Sud-Ovest. Quindi resta il problema di avere una certa precisione nel calcolare a che punto della giornata ci si trova, perché così diminuisce anche la probabilità di errore nel valutare la direzione. In questo può essere d’aiuto un semplice oggetto che ci si porta dietro quotidianamente: l’orologio. Vedremo subito come è possibile agire praticamente, ma prima è necessario fare una precisazione. Nell’emisfero australe ovviamente il discorso è del tutto ribaltato: l’arco descritto dal Sole al suo apice indicherà il Nord e si avrà l’Est alla destra e l’Ovest alla sinistra. Naturalmente il Sole, nel suo moto apparente, andrà sempre nello stesso senso, siamo noi che, per osservarlo nel suo percorso, ci saremo girati e quindi guardiamo verso Nord. Torniamo al discorso dell’orologio. Siccome il suo funzionamento è coerente con il moto apparente del Sole l’orologio man mano che passano le ore “segue” l’andamento del percorso. Così ponendo la lancetta delle ore in direzione del Sole si considera mentalmente l’angolo formato dalla stessa lancetta e le ore 12. La metà di quest’angolo, cioè la sua bisettrice, indica il Sud (vedi figura 2). Per migliorare la precisione del metodo si può poggiare l’orologio a terra o sulla carta topografica, se la stiamo usando, ed aiutarci con l’ombra di un bastoncino o una penna per avere la direzione del Sole precisa. Ovviamente l’orologio deve essere a lettura analogica e non digitale, deve cioè avere le lancette. In alternativa bisogna disegnarsi uno schemino su un foglio riportando la lancetta corta dell’ora come è in quel momento, non dimenticandosi di toglierne una se si è in periodo di ora legale. Fin qui si è trattato dell’orientamento durante il giorno, ma la notte? "" 14 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 È risaputo che nel nostro emisfero osservando il cielo stellato si può trovare la “Stella Polare”. In quello australe invece si può cercare la “Croce del Sud”. Ma è sempre facile riuscire ad individuare queste stelle se non si ha l’occhio abituato alla loro osservazione? Un luogo comune, per esempio, è che quella Polare sia la stella più brillante del cielo. Invece ce ne possono essere di ben più luminose, oppure ci possono essere dei pianeti scambiati per essa. Sirio per dirne una, che è una stella del Cane Maggiore, ha una magnitudine di –1,46, rispetto alla Polare che ne ha poco più di 2: in questo caso il numero negativo indica maggiore luminosità. La cosa più semplice per arrivare alla Stella Polare è individuare prima la costellazione dell’Orsa Maggiore: si tratta di un quadrilatero con un’appendice, tipo “coda”, facilmente riconoscibile. Fatto ciò, prendendo a riferimento il lato del quadrilatero opposto alla “coda” e prolungandolo di 5 volte, si arriva alla Stella Polare, riconoscibile dal fatto che, a sua volta, rappresenta la fine di un’altra coda, ma stavolta dell’Orsa Minore (vedi figura 3). A voler essere più precisi quelle definite “code” sarebbero invece i “timoni” del Piccolo e Grande Carro, altri nomi delle due costellazioni delle Orse. La figura descrive meglio la procedura e con un po’ di pratica, soprattutto in diversi periodi dell’anno (la visio- Figura 2 Figura 3 ne dell’Orsa varia durante le stagioni) si riesce a individuare la Polare in modo quasi automatico e senza difficoltà. Nell’altro emisfero però la Stella Polare non è visibile. Ciò per ovvi motivi, in quanto se un astro è rivolto a Nord è automaticamente nascosto agli abitanti dell‘emisfero Sud dalla stessa Terra. Esso indica il Nord proprio perché è sul prolungamento dell’asse terrestre verso la sfera celeste. Allora in terre australi la Stella Polare è sostituita dalla cosiddetta Croce del Sud (vedi figura), adottata anche come simbolo da alcuni stati e riportata sulla propria bandiera, come la stessa Australia. Questa costellazione è comunque meno vicina al Polo Sud di quanto lo sia la Polare al Polo Nord. Ma perché dovrebbe essere necessario conoscere i punti cardinali rispetto alla nostra posizione se ogni giorno il sole nasce e tramonta più o meno sempre dalla stessa direzione? In definitiva quale è l’utilità o la necessità dell’orientamento? E’ chiaro che fin a quando l’uomo ha avuto un comportamento stanziale il problema non si è posto. E’ divenuto necessario sapere dove si stava andando, (ma soprattutto come tornare), in caso di nomadismo o di esplorazioni. I primi naviganti, senza bussola, dovevano per forza orientarsi con il Sole o le stelle. La storia della navigazione, ovviamente non quella moderna, è basata su metodi che oggi possono sembrare poco pratici o perlomeno macchinosi, ma che considerando i mezzi a disposizione erano davvero molto precisi. Si parla di misura degli angoli for- mati dal Sole sull’orizzonte (col sestante per esempio) per calcolare la latitudine di un luogo. Oppure di metodi per misurare il tempo, con orologi quanto più possibilmente precisi e sincronizzati rispetto ad un punto di partenza che, confrontati con l’ora locale, davano il valore della longitudine. Tra l’altro sono metodi che vengono in aiuto anche alle alte latitudini e risolvono uno dei problemi di cui si è detto prima, quello dell’orientamento in vicinanza ai Poli. È anche importante avere in ausilio qualcosa che indichi i luoghi in cui spostarsi: le carte nautiche o quelle topografiche. Per esempio anche con un navigatore satellitare che senso avrebbe sapere in quale punto del pianeta si è in un determinato momento e basta? Esso ci viene in aiuto nel momento in cui ci indica “come” spostarci. L’utilità si mostra nel momento in cui si programma una destinazione ed il relativo itinerario per arrivarci. Così un esploratore con una mappa topografica tipo quelle dell’I.G.M. (Istituto Geografico Militare) ed una buona bussola ha con sé il modo di muoversi con estrema sicurezza e precisione. A proposito di bussola, approfondiamo l’argomento su quella di tipo magnetico. Il suo funzionamento è noto: il campo magnetico terrestre ha delle “linee di forza” che vanno da un polo all’altro della Terra e seguono in linea di massima un po’ l’andamento dei meridiani. Quindi l’ago della bussola, posizionato parallelamente al terreno e condi- "" 15 galaxia zionato dal magnetismo, assume la posizione della linea di forza in quel punto e si orienta lungo la stessa direzione indicando il Polo Nord. Se poi al disotto dell’ago si pone un quadrante con la “rosa dei venti” e graduato secondo il sistema sessagesimale, si otterrà un metodo per individuare anche le altre direzioni cardinali e quelle intermedie espresse in gradi. Sembra così molto semplice orientarsi con la bussola, ma c’è un problema. Il Polo Nord terrestre, come si sa, non coincide con quello magnetico. Perciò la bussola ci indica una direzione errata. Infatti i poli (geografici) sono i due punti della superficie terrestre dove questa incontra l’asse di rotazione della stessa Terra, mentre quelli magnetici, sono quelli relativi alle linee di forza del campo magnetico. Attualmente (perché anche questo cambia nel tempo) i due poli Nord distano fra loro di circa 1600 km mentre i poli Sud di circa 2600. Per l’esattezza il Polo Nord magnetico è situato a 70° di latitudine rispetto a quello geografico, nel Canadà settentrionale. A Sud è invece a 73° rispetto all’altro geografico, nella Terra di Vittoria, nell’Antartide. Facciamo l’esempio di doverci trasferire verso un punto ipotetico distante 100 km: con l’errore che potrebbe verificarsi, considerando un angolo di “declinazione” di circa 2°, valore pienamente plausibile, si potrebbe avere la meta di arrivo spostata di più di 3 km. Fino a quando ci si muove su un terreno denso di altri punti di riferimento, tipo alture, colline, montagne o se antropizzato, città, strade, ponti, eccetera, poco male, ma se si è in un territorio desertico o in mare aperto, si immagina benissimo la difficoltà creata da un simile errore. Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 “Declinazione” magnetica è il termine usato per indicare l’angolo formato dalle due diverse direzioni relative al polo magnetico e a quello geografico. Nonostante l’errore, sembrerebbe comunque facile usare una bussola: basterebbe applicare una correzione fissa, quella della declinazione appunto, in maniera da far coincidere il polo geografico anziché quello magnetico con la direzione dell’ago. Insomma si potrebbe ovviare considerando l’errore come se fosse “sistematico”. Ma la declinazione magnetica non è uguale in tutti i punti del pianeta e anche nello stesso punto non è sempre la stessa. Infatti a volte, per svariati motivi, varia sensibilmente anche tra luoghi ravvicinati e, come se non bastasse, si modifica nel tempo. Per fortuna queste variazioni sono misurabili e analizzabili, per cui il problema di come leggere la bussola è stato risolto riportando sulle carte topografiche sia l’angolo di declinazione del luogo sia di quanto esso cambia annualmente. La correzione così calcolata, diciamo “ad hoc”, viene applicata alla direzione indicata dallo strumento e si ottiene la direzione del polo nord geografico. Come si vede l’orientamento diviene non tanto una questione di come usare la bussola, ma più di un corretto uso delle carte topografiche. Addirittura esistono anche carte magnetiche che riportano oltre alla “declinazione” anche la variazione del magnetismo rispetto al piano orizzontale tangente la Terra in un punto, cioè l’”inclinazione” verso il basso o verso l’alto. Ma non esistono solo bussole magnetiche. Un’altra di tipo particolare, detta bussola giroscopica o girobusso- www.mensa.it Nell’Area Riservata i Soci in regola con l’iscrizione trovano: Archivio di Mensa News e Memento, Chat e Forum, Biblioteca e Videoteca, Galleria Foto e Area Download, Calendario Eventi, Organigramma e FAQ, Elenco Soci e Scheda on-line per l’aggiornamento dei dati personali, ... la, si basa sulla rotazione terrestre. Quando Foucault dimostrò sperimentalmente che la Terra gira, con il suo famoso pendolo, mise le basi anche per la realizzazione del cosiddetto giroscopio. La bussola in questione consiste appunto sull’uso di questo strumento particolare che girando è sottoposto sia alla coppia del proprio movimento e sia a quella del moto terrestre, con una risultante (somma vettoriale) che lo dispone lungo l’asse di rotazione della Terra e quindi nella direzione Nord-Sud. Terminiamo proprio con il sistema da cui eravamo partiti, cioè dal navigatore satellitare. Si basa sulla trasmissione radio tra l’apparecchio ed una rete satellitare mondiale. Attualmente i satelliti sono gestiti dal Dipartimento della Difesa degli USA, ma anche l’UE sta lavorando per “attrezzare” un sistema proprio e sganciarsi da quello americano. Anzi, a tal proposito, nel progetto “Galileo” sono previsti 6 veicoli spaziali in più: 30 in confronto ai 24 statunitensi. Ovviamente si tratta di satelliti geo-stazionari ed orbitano a circa 24.000 km di altezza. Il ricevitore GPS (Global Positioning System) quindi è in collegamento costante con la rete spaziale e, tramite un particolare software, è in grado di calcolare la propria posizione sul pianeta. Per poterlo fare però ha sempre necessità di essere collegato con almeno 3 satelliti per la cosiddetta “triangolazione”: in pratica per avere un punto univocamente determinato sulla Terra. Esso è individuato, calcolando la distanza dai satelliti e per intersezione dei coni di propagazione dei segnali e per questo devono essere almeno tre. I segnali sono di frequenza fra 1 e 2 GHz e non sempre riescono ad attraversare gli ostacoli, per cui potrebbe verificarsi che in qualche punto il navigatore potrebbe non “agganciare” uno dei tre satelliti. In verità si tratta di casi piuttosto rari e normalmente vengono ricevuti molti più segnali contemporaneamente per cui si può ritenere il ricevitore GPS praticamente sempre funzionante, tranne zone molto coperte e monopolio statunitense permettendo, nel senso che si è legati sempre al servizio gestito dagli USA, che potrebbero abbassarne la sensibilità se non addirittura, almeno teoricamente, disattivarlo. # 16 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 Ancora in tema di aspettative di Giuseppe Provenza P arto dall’articolo di Roberto Pugliese pubblicato nel numero 1/ 2007 di Memento (*) per trattare ancora dell’argomento “aspettative”, con particolare riguardo alle teorie sull’inflazione formulate da Milton Friedman, citato da Pugliese, e da Edmund Phelps, entrambi premi Nobel per l’Economia, nel 1976 il primo e nel 2006 il secondo (nello stesso anno in cui veniva a mancare Friedman). Per introdurre le teorie dei due economisti occorre partire da quelle di Alban Phillips, un economista neozelandese che nel 1958 pubblicò un articolo in cui, sulla base dei dati dell’economia britannica fra il 1861 ed il 1957, enunciava l’esistenza di una relazione inversa fra l’inflazione e la disoccupazione: in periodi di inflazione elevata la disoccupazione è bassa, e viceversa. Questa teoria ebbe un notevole impatto fra gli studiosi di economia, in particolare fra i seguaci di Keynes, poiché forniva un supporto statistico a politiche economiche “interventiste”, mediante le quali lo stato sceglie l’opportuno punto di equilibrio fra inflazione e disoccupazione lungo la curva di Phillips. Negli anni 70, tuttavia, soprattutto a causa di ricorrenti episodi riscontratisi nel mondo di contemporanea elevata disoccupazione ed elevata inflazione, la teoria di Phillips cominciò ad essere criticata da molti economisti, con in testa, appunto, Friedman, che, vale la pena ricordarlo, era il caposcuola degli economisti “liberali” che sostengono cioè che l’intervento dello stato in economia debba essere ridotto al minimo (fu anche consigliere economico di Reagan). In sostanza ciò che Friedman sostenne riguardo alla curva di Phillips è che questa è applicabile soltanto nel breve periodo e non nel lungo. Ciò perché nel lungo tempo la disoccupazione ha un suo livello che prescinde dall’inflazione. In altri termini una politica espansiva del governo nel breve termine fa crescere la domanda e quindi riduce la (*) Memento è liberamente disoccupazione ma fa Sorsero così nuove disponibile in formato pdf su lievitare l’inflazione. teorie, come le teorie http://memento.mensa.it Nel lungo termine, tutmonetaristiche o queltavia, gli effetti sono le delle “aspettative radiversi, appunto perché subentrano le zionali” della Nuova Macroeconomia aspettative, e in particolare l’inflazione Classica il cui maggior esponente è il “attesa”. Insomma gli operatori si adepremio Nobel per l’economia del 1995, guano al tasso di inflazione che, pur Robert Lucas. rimanendo alto, non costituisce più Queste ultime teorie sostengono che uno stimolo all’espansione dell’econosono le previsioni della maggioranza mia e quindi la disoccupazione torna degli operatori economici (produttori, ai suoi livelli “naturali”. consumatori, lavoratori) a determinaSostanzialmente in posizioni analore in larga misura l’andamento dell’ecoghe si pose Edmund Phelps che fornomia, purché, come appunto dice il mulò la “curva di Phillips corretta con termine, tali aspettative siano “razionale aspettative”, basata sulla teoria del li”, nel senso soprattutto che le scelte tasso naturale della disoccupazione in operate siano coerenti con le previsioni. base alla quale nel lungo termine la diIn base a tali teorie, quindi, gli effetti soccupazione ha un suo livello che predi una misura di politica monetaria scinde dal livello di inflazione. possono essere annullati dalle aspetMa cosa, in sostanza, era successo tative degli operatori economici, con la negli anni 70 alle teorie economiche ? conseguenza estrema che le politiche Fino ad allora a dominare incontraeconomiche siano inefficaci. state erano state le teorie keynesiane, Il limite di tali teorie è che presupponsecondo cui, contrariamente a quanto gono che i sistemi economici si trovisostenevano le teorie classiche, è posno in equilibrio in condizioni di piena sibile un equilibrio economico senza occupazione, presupposto evidentepieno impiego. In questo caso la polimente stridente con la realtà, così come tica economica dello stato deve interparadossale appare che le politiche venire, soprattutto con lavori pubblici, economiche siano inefficaci. per aumentare la domanda e far sviPiù attendibile appare che l’andamenluppare l’economia, ciò anche perché to ciclico dell’economia, in un mercato solo al raggiungimento del pieno imnon necessariamente caratterizzato piego l’aumento di domanda, non podalla piena occupazione, sia la risultendo avere l’effetto di una maggior tante della politica economica e del produzione, si trasforma in aumento comportamento degli operatori econodei prezzi e quindi in inflazione. mici determinato dalle loro aspettative, Come detto la crisi delle teorie keyneo per meglio dire, che l’andamento cisiane subentrò negli anni 70, quando, clico dell’economia sia sostanzialmente contrariamente a quanto le stesse asdeterminato dalle aspettative degli opesumono, si verificarono in molte parti ratori, le quali, però, sono anche indel mondo casi di “stagflazione”, neofluenzate dalla politica economica atlogismo che indica appunto la stagnatuale ed attesa, ipotesi che personalzione economica accompagnata da mente sposo. inflazione. # Memento - Rivista del Mensa Italia Norme editoriali La riproduzione anche parziale degli articoli che appaiono su Memento senza l’autorizzazione scritta del Mensa Italia è vietata. 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Memento è una pubblicazione autorizzata dal Consiglio nazionale del Mensa Italia quale organo ufficiale dell’Associazione. # 17 galaxia Lascia parlare … Excel! (*) di Gianclaudio Floria Quadriamo il cerchio n questo paragrafo vedremo alcuni esempi sull’uso delle funzioni precedentemente spiegate per far sì che Excel esprima un giudizio testuale. Questi esempi sono integrati in un modello liberamente scaricabile, nel quale è possibile modificare i dati per vedere cosa dirà “l’oracolo”. I Inseriamo i dati sui quali eseguire le analisi nel modello. Per congruenza rispetto ai valori e che analizzeremo, nel range A1:C13 inseriamo i seguenti dati: Periodo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Serie1 Serie2 100 80 120 120 130 130 140 150 110 180 115 140 150 140 125 131 145 190 160 170 171 290 140 100 Osservando i valori della Serie 2, appare chiaro che il primo valore e l’undicesimo sono molto più alti o molto più bassi rispetto alla serie stessa e sono senz’altro dei temi da approfondire. Se la serie rappresentasse delle vendite, potrebbero essere degli effetti di stock o delle diminuzioni della domanda: in ogni caso, dei motivi di approfondimento. Come fare per far sì che Excel evidenzi automaticamente un valore troppo alto o troppo basso? Per prima cosa, dobbiamo calcolare un valore di stima che rappresenti da solo l’intera serie. Lo stimatore per eccellenza, con i suoi pregi e i suoi difetti, è la media. Mettendo a rapporto ogni valore della serie con la media, scopriamo valori eccessivamente alti o bassi. Assumiamo che giudichiamo Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 eccessivamente alto un rapporto maggiore o uguale a 1,5 ed eccessivamente basso un rapporto minore o uguale a 0,5. Per individuare sia i valori alti che i valori bassi basta considerare il valore assoluto del rapporto meno uno: Stima = ass [(valore n / media) – 1] In questo modo, potremo considerare come “anomali” tutti i valori maggiori o uguali a 0,5. Vediamo come approcciare il problema con Excel proponendo un approfondimento sul valore anomalo più evidente. Calcoliamo la media delle due serie in B14:C14 utilizzando la formula MEDIA(). Ora eseguiamo un confronto con SE() verificando quali celle delle due serie hanno dei rapporti superiori a 0,5. In E2 scriviamo: =SE(ASS(B2/B$14-1)>=0,5; ASS(B2/B$14-1);0) La formula verifica se il valore assoluto della cella B2 divisa per la media (B14) meno uno, riporti un valore superiore a 0,5: se la condizione è vera viene riportato il rapporto, mentre, in caso contrario, la formula riporta uno 0. Copiamo questa formula nel range E2:F13. Nel range E14:F14 calcoliamo il valore massimo della serie appena calcolata attraverso la funzione MAX(). Se il valore massimo sarà 0, significherà che non vi è alcun valore “anomalo”. Per questo utilizziamo una funzione SE() che riporterà un “no” nel caso non vi siano valori anomali. In E14 inseriamo la seguente formula: =SE(MAX(E2:E13)=0;”no”;MAX(E2:E13)) Copiamo la formula in F14. Nel range G2:G13, riportiamo il numero che rappresenta il periodo: questo sarà utile per derivare l’eventuale valore anomalo con la funzione CERCA.VERT. A questo punto possiamo creare una formula che ci dica qual è il periodo anomalo per entrambe le serie e, per (*) 3ª e ultima parte. Le precedenti sono state pubblicate su Memento 5/06 e Memento 1/07 (http://memento.mensa.it). I fogli citati nell’articolo sono disponibili ai seguenti indirizzi: www.excelling.it/articoli/fai_parlare_excel.xls e www.excelling.it/articoli/data_analyser.xls. 18 farlo, utilizziamo la funzione CERCA.VERT, preceduta da un SE() che riporterà la frase testuale di analisi. Nella cella E15 scriviamo: =SE(E14=“no”;“”; CERCA.VERT(E14;$E$2:$G$13;3;FALSO)) Nella cella F15, invece: =SE(F14=“no”;“”; CERCA.VERT(F14;$F$2:$G$13;2;FALSO)) Avremo ottenuto il numero dell’eventuale periodo con un picco anomalo. Ora proviamo a comporre una frase che dica “Il x° periodo evidenzia un andamento anomalo”. Il primo grande problema deriva dal fatto che potremo usare l’articolo il in tutti i casi tranne quando ci troviamo di fronte all’undicesimo periodo. In questo caso, infatti l’articolo diventa l’. Rileviamo questa complessità con un SE() che tenga conto anche del caso in cui non vi siano picchi anomali. In A17 scriveremo: =SE(E15=“”; “La Serie 1 non presenta picchi anomali”;SE(E15=11;”L’”;”Il “)&E15&”° periodo della Serie 1 evidenzia un picco anomalo”) In A18, invece: =SE(F15=””;“La Serie 2 non presenta picchi anomali”; SE(F15=11;“L’”;“Il”)&F15&”° periodo della Serie 2 evidenzia un picco anomalo”) In A18 e A17 ora abbiamo due commenti relativi alle due serie. Proviamo ora a stabilire il livello di correlazione tra le due serie. Per farlo, utilizzeremo la funzione CERCA.VERT() con il quarto argomento su VERO, cioè con sfruttando l’approssimazione. A titolo esemplificativo, a fronte di un certo valore di correlazione, il commento che riporteremo sarà “Le due serie presentano”: Corr. –1 Commento un andamento diametralmente opposto – 0,9 un andamento opposto – 0,55 una relazione molto debole – 0,1 un andamento non correlato 0,1 una relazione molto debole 0,55 un andamento simile 0,9 un andamento molto simile 0,95 una forte relazione "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 pillole Intelligenza e condizionamenti sociali di Cinzia Malaguti P uò l’intelligenza sfuggire ai condizionamenti sociali? Per condizionamenti sociali intendo quei meccanismi che spingono il giudizio e le scelte entro percorsi strutturati dall’ambiente sociale; condizionamenti che incidono sul comportamento, orientato da spinte interne ed esterne di tipo adattativo; influenze sociali legate ai ruoli o alle situazioni. La psicologia sociale ci spiega che è sbagliato giudicare i comportamenti mettendo a fuoco la centralità della persona ed ancorando ad essa le valutazioni successive, perché l’uomo è “un animale sociale” e, pertanto, è il risultato dell’interazione ed integrazione tra dimensione individuale e dimensione sociale. L’intelligenza, allora, può controllare il livello d’interazione e d’integrazione sociale in maniera attiva, fattiva, costruttiva? Lo vuole? O preferisce proteggersi “nicchiandosi”’ ma, soprattutto, può? La centralità del confronto fra il sé e gli altri per la costruzione dell’identità e per la conoscenza della realtà sociale, teorizzata dallo studioso di psicologia sociale George H. Mead, può stimolare una grande intelligenza, ma la può anche reprimere nella percezione della diversità e della sua conseguente emarginazione, dipende dal contesto, dipende dal gruppo di confronto, dipende dagli interlocutori, dipende dalle interazioni sol’appuntamento settimanale ciali. In questo senso, una associazione con il Mensa Italia come il Mensa, che fa interagire persoMensa News è la newsletter ufficiale del Mensa Italia riservata agli iscritti: ne con una marcia in più, è un belconsultabile via web su http://news.mensa.it, esce ogni lunedì ed è l’aiuto nella valorizzazione e nel sostearticolata in sezioni (SIG e altre iniziative, eventi internazionali, giochi, gno individuale dell’intelligenza, ma la interventi dei lettori, notizie regionali, informazioni anche istituzionali sulla vita associativa, approfondimenti). Il sito permette anche il download del società più estesa ha interesse a sofile eml originale, oltre che la lettura on-line (versione integrale riservata ai stenere e valorizzare l’intelligenza? OpSoci), e contiene l’archivio dal primo numero uscito (7 giugno 2004). pure la teme, come teme ogni diversità? $ Per esempio, se la correlazione ha un valore pari a 0,8 il commento sarà “Le due serie hanno un andamento simile”, poiché l’approssimazione di CERCA.VERT() riporta il valore immediatamente precedente a quello cercato, cioè 0,55. Iniziamo a calcolare la correlazione nella cella F16: Selezioniamo le celle A20:K20 e premiamo Ctrl + 1, scegliamo la scheda Allineamento e spuntiamo Testo a capo, Unione Celle e Allineamento Testo Orizzontale a Sinistra. Ora, in A20 scriviamo: =A17&“.”& CODICE.CARATT(10)&A18& “.”&CODICE.CARATT(10)&A19 # =CORRELAZIONE(B2:B13;C2:C13) La cella restituisce un valore pari a 0,659. Ora riportiamo il valore testuale attraverso la funzione CERCA.VERT(). Per questo riportiamo la tabella sopra illustrata nel range J1:K9 e, in A19, scriviamo: =“Le due serie presentano”& CERCA.VERT(F16;$J$2:$K$9;2;VERO) Come ultimo esempio proviamo a mettere insieme i tre testi prodotti inserendo dei ritorni di carrello (carattere ASCII = 10). Per farlo utilizzeremo la funzione CODICE.CARATT(). Prima di procedere all’inserimento, dobbiamo creare una fusione tra celle per favorire una maggiore visibilità. 19 galaxia Radar. Ma come funzionano? di Valentina Faloci I l significato del nome è un acronimo che sta per RAdio Detection And Ranging. Il radar è uno strumento di rilevazione di oggetti presenti in aria. I primi studi iniziarono negli anni trenta in Europa e negli Stati Uniti, ma si svilupparono poi separatamente a causa dell’avvento della seconda guerra mondiale che rese questo strumento un indispensabile apparato per la difesa di molte nazioni. Il suo principio di funzionamento è molto simile a quello dell’eco. Viene generata un onda Radio, che può avere frequenza variabile a seconda del tipo di applicazione, che viene trasmessa in aria. Se e quando quest’onda incontra un ipotetico bersaglio una piccola parte di essa verrà riflessa. Captando l’eco riflessa con un antenna, che spesso è la stessa che abbiamo usato per trasmettere in segnale, siamo in grado di ottenere molte informazioni. Gli obbiettivi principali di un Radar sono: la funzione primaria, che consiste nel decidere se il bersaglio è presente o meno e la funzione secondaria che consiste nel determinare le caratteristiche d’interesse di eventuali bersagli. Proprio perché il nostro interesse è conoscere la natura di un oggetto non identificato, il segnale ricevuto dal Radar deve necessariamente essere elaborato come un processo aleatorio, attraverso metodi che ci aiutino a trovare un criterio di decisione per la presenza/assenza del bersaglio. QLa branca che studia l’elaborazione ed i metodi per ottenere queste informazioni va sotto il nome di Teoria della rilevazione statistica. Argomento lungo e complesso che avrebbe bisogno di un articolo a se per essere sviscerato in maniera adeguata. Infatti, anche se il concetto teorico di funzionamento appare molto semplice, analizzare un segnale radar è in realtà molto difficoltoso. Innanzi tutto dobbiamo tenere presente che le potenze rilevate, rispetto 20 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 a quelle trasmesse sono più piccole di molti ordini di grandezza. Se in trasmissione abbiamo un segnale con potenze di picco di ad esempio dell’ordine dei KW(1000W), l’eco di ritorno al Radar sarà dell’ordine dei pW. Questo è dovuto ai moltissimi fattori che attenuano l’onda nel suo viaggio di andata e di ritorno. Tra i più importanti ci sono le perdite per la propagazione nel mezzo atmosferico, causate da aria o nuvole che alterano l’ideale propagazione nel vuoto, i disturbi (intenzionali o meno) generati da altri sistemi di telecomunicazione operanti alle stesse frequenze del radar, i clutter, ovvero disturbi dovuti ad echi indesiderati come stormi di uccelli o precipitazioni atmosferiche ed ovviamente al bersaglio stesso in se che, oltre a rifletterne una piccola parte ne assorbe una considerevole. Un segnale così piccolo si confonde molto facilmente con il rumore di fondo presente nei dispositivi elettronici. Cercare l’eco riflessa da un bersaglio è più o meno come cercare un ago in un pagliaio. Diventa allora oggetto di studi complessi che comprendono un largo uso della statistica come ausilio matematico, il riuscire ad estrarre questo segnale dal rumore e poi poterlo interpretare. Potrebbe apparire in effetti che decidere per la presenza di un bersaglio si tiri un po’ ad indovinare, il che renderebbe la applicazioni in campo militare di questo strumento alquanto pericolose. Prima di tutto dobbiamo ricordare che anche la meccanica quantistica usa metodi statistici per decidere dove sta un elettrone, per quanto Einstein non fosse d’accordo con il fatto che Dio potesse giocare a Dadi. Poi è di rilevante importanza notare che viene assegnato un diverso “peso” alle decisioni errate come la mancata rivelazione oppure il falso allarme, dando al secondo una gravità ben maggiore del primo. Per fare un esempio pratico in genere si scelgono una probabilità di Falso Allarme pari al 0,1% ed una probabilità di Mancata rivelazione del 10% (ovvero una probabilità di Detection del 90%). Per capire meglio a grandi linee come avviene questo calcolo, le distribuzioni di probabilità legate ai due fenomeni che ci interessano, che sono la presenza oppure l’assenza del bersaglio, risultano essere due distribuzioni di Gauss (quelle della distribuzione normale a forma di campana) una centrata in zero (assenza di bersaglio) ed una centrata un valor medio diverso da zero, che rappresenterà nella pratica, il valore della tensione ai morsetti dell’antenna ricevente. La distanza e la forma delle due curve risulterà legata al rapporto segnale/rumore del mio dispositivo, in pratica quanto segnale il dispositivo è in grado di distinguere dal rumore, ma anche alle probabilità di Falso allarme e alla probabilità di Detection. Quindi, impostando questi tre parametri posso progettare le caratteristiche del mio Radar. Esempi di curve gaussiane centrata a 0 e sul valor medio m≠≠0 σ 0 m La teoria della rilevazione statistica non si occupa solo della funzione primaria di decisione. Infatti, non conoscere la natura del bersaglio implica che non possiamo predire come questo altererà il segnale trasmesso, rendendo tutti i fattori soggetti ad alterazione vere e proprie variabili aleatorie. Per fare un esempio pratico la forma del bersaglio potrà generare dei riflessi in varie direzioni che contribuiranno ad attenuare e sfasare l’eco ricevuto (in gergo contributi di back scattering) in maniera assolutamente non prevedibile. Attraverso complessi algoritmi e studi statistici siamo spesso anche in grado di assolvere alla funzione secondaria determinando, entro certi limiti, il tipo di bersaglio con cui abbiamo a che fare. "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 3-4/2007 I tipi di Radar possono essere divisi essenzialmente in due grandi categorie che caratterizzano le forme d’onda del segnale trasmesso, quelli ad onda continua e quelli ad impulsi. Quello ad onda continua è di precedente realizzazione e anche se risulta avere notevoli limiti tecnologici si è rivelato molto utile per applicazioni in campo civile. L’onda trasmessa in questo caso è idealmente una sinusoide, o comunque un segnale a banda molto stretta. Per esso, il tempo di ritorno dell’eco si manifesterà come un contributo di variazione nella fase dell’onda riflessa rispetto a quella trasmessa pari a 2r/c (dove r è la distanza dal bersaglio e c è la velocità della luce), che sarà proprio uguale al tempo che intercorre tra l’invio del segnale in trasmissione ed il ritorno del suo eco al Radar. Per calcolarlo basterà fare un battimento tra il segnale originale ed il suo eco. Idealmente, questo sfasamento dovrebbe essere in grado di fornire informazioni sulla distanza del bersaglio, ma non è cosi’. La fase è un angolo, quindi è un fattore che varia periodicamente in maniera ripetitiva (tra 0 e Pi greco in questo caso). L’equazione per calcolare la distanza risulterà avere un numero infinito di soluzioni, creando delle enormi ambiguità ed evidenziando i limiti di questo tipo di Radar. Il problema si aggira solo parzialmente modulando il segnale in frequenza e cercando le informazioni attraverso la variazione di fase dell’onda modulante, che contrariamente al segnale, può essere resa più piccola possibile allungando così la durata della periodicità ed aumentando la distanza non ambigua all’interno della quale posso sapere dove è il bersaglio. Da notare che derivando il contributo di variazione di fase le ambiguità sull’informazione che cerchiamo vengono eliminate, quindi l’ipotetica velocità del bersaglio, nel caso in cui questo sia in movimento, è un informa- SIG - Special Interest Groups Per la ML generale del Mensa Italia cfr “il Commensale”. zione che questo tipo di Radar è in grado di darci. Questa sua particolarità di rilevare movimenti ma non le distanze lo rende utilissimo e di vastissima applicazione come elemento di rilevazione nei sistemi di allarme. Il Radar ad impulsi ha invece un larghissimo uso ed un infinito campo di applicazioni sia civili che militari. Esso è caratterizzato da un numero finito di periodi di sinusoide di brevissima durata. Questo funzionamento ha l’immediato vantaggio di poter usare potenze di picco maggiori per i singoli impulsi potendo quindi andare a scandagliare distanze maggiori. Esso, a sua volta, si divide in due principali categorie, i treni d’impulsi coerenti e quelli incoerenti, caratterizzati rispettivamente impulsi aventi sempre stessa fase di partenza oppure fase casuale. Un Radar ad impulsi coerenti ha notevoli vantaggi visto che l’onda che si trasmette risulta estremamente precisa (rendendo le ipotesi sul segnale di ritorno più specifiche) ma è più complessa ed anche più costosa la realizzazione pratica. Per sincronizzare le fasi si usa uno strumento chiamato Klystron che sostanzialmente è un tubo a vuoto a microonde, anzichè il più noto Magnetron (si, quello del forno a microonde) che genera impulsi incoerenti. È ovvio che infatti per un forno a microonde non è importante la fase delle onde prodotte ma più che altro la loro potenza. Questi tipi di Radar non presentano i limiti di quelli ad onda continua. Innanzi tutto perchè alternano il periodo di ricezione con quello di trasmissione sfruttando il vuoto temporale tra impulsi consecutivi. Sarà allora sufficiente calcolare il tempo di ritorno dell’eco di ogni singolo impulso trasmesso per ottenere una stima della distanza del bersaglio secondo la formula vista prima 2r/c. In questo caso infatti possiamo calcolare un ritardo effettivo non un semplice sfasamento soggetto a periodicità come nei radar ad onda continua. Ovviamente anche in questo caso la distanza calcolabile non è certo infinita, innanzi tutto perché non è infinita la portata di un Radar, ma anche perché dobbiamo essere sicuri che l’eco di ritorno si riferisca proprio all’impulso che lo ha preceduto e non ad altri. Faremo allora in modo che il tempo di ritorno dell’eco (To) risulti inferiore al tempo di ripetizione degli impulsi (Tr) in maniera che si possa determinare in maniera univoca a quale impulso trasmesso si riferisce l’eco ricevuta. Questo lo si fa dimensionando opportunamente la frequenza di ripetizione degli impulsi (1/Tr) con la distanza di un ipotetico bersaglio d’interesse, quest’ultima la si dimensiona attraverso la potenza che scelgo di usare in trasmissione in modo che echi non relativi all’impulso d’interesse ritornino troppo attenuati per essere captati. Per concludere, questi strumenti nati principalmente per scopi bellici, con l’evolversi dell’elettronica si sono rivelati oggetti utilissimi anche per migliorare la conoscenza del mondo che ci circonda, diventando indispensabili per una vastissima gamma di studi. Tra le applicazioni più conosciute ci sono ad esempio Radar meteorologici con i quali possiamo prevedere precipitazioni nell’arco di circa 6 ore, ma anche la tipologia di questa (nevosa, piovosa o grandine) ed anche i venti ad i quali è sottoposta. Un altro esempio sono i sistemi SAR (sintetic aperture radar) sono Radar montati su satelliti in movimento che effettuano vere e proprie mappature topografiche del territorio con un enorme grado di precisione. Per non parlare della gestione del traffico aereo e marittimo, degli studi astronomici, del controllo dell’inquinamento e molti altri ancora che volendo potremo sviscerare con la stessa curiosità di sempre in un seguente articolo sull’argomento. # I SIG attivi del Mensa Italia sono: Accademia Alighieri, Borsa, Calcio, Cinema, Cucina, Domandedaporci, Donazioni, Eros, Fotografia, Giochi, Giovani, Informatica, Job, Libri, MLab, M-obilita, Nautica, Parapsicologia, Scienze, Scrivere, Vincere, Vizi. Non tutti i Sig sono dotati di Mailing List o di Sito Internet dedicato. Per iscriversi alla mailing list spedire una e-mail con oggetto subscribe (unsubscribe per cancellarsi) a un indirizzo del tipo [email protected]. Altre informazioni e link: mensa.it » gruppi di interesse. 21