Conflitto Continuo. A un anno da Enron negli Stati Uniti e in Europa**, di Ugo Mattei1 e Filippo Sartori2 1. A partire dal secondo dopoguerra, il diritto degli Stati Uniti d’America ha mutato la propria posizione nel panorama globale. Da contesto di ricezione, tributario di modelli provenienti dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania, esso si è trasformato in contesto di produzione, capace di elaborazione scientifica autonoma. Per la prima volta modelli giuridici del common law statunitense sono ammirati, imitati ed importati nel mondo romanista3. Contestualmente l’Europa, un tempo contesto di produzione giuridica, si è trasformata in contesto di ricezione, rinunciando sempre più sovente ad un’elaborazione giuridica originale ed autoctona, e favorendo l’importazione di regole e soluzioni istituzionali “Made in the USA”. Questo fenomeno di importazione, in una varietà di settori, inclusa la corporate governance, è sovente acritico. Si tratta, come ogni imitazione nel campo giuridico, di un fenomeno elitario, saldamente nelle mani di un ceto tecnico-professionale, quello dei giuristi. Sovente inoltre, l’importazione è un fenomeno scarsamente consapevole e da questa scarsa consapevolezza discende la natura acritica della ricezione. Questo fenomeno è stato osservato da sociologi, economisti e di recente anche da giuristi. Per esempio l’economista francese Albert, nel suo volume classico “Capitalismo contro Capitalismo”, si interroga su come sia possibile spiegare il successo planetario del modello capitalistico c.d. neo-americano a fronte della sua palese inferiorità teorica, dal punto di vista economico e soprattutto sociale, rispetto al modello capitalistico alternativo, quello misto di tipo Renano, oggi recessivo4. Il caso Enron costituisce il più clamoroso incidente di percorso del modello neo-americano a partire dal momento del suo successo definitivo, coincidente con la caduta del muro di Berlino ed il trionfo della c.d. mondializzazione neo-liberista. Il Sarbanes-Oxley Act costituisce la risposta istituzionale del modello neo americano a questo shock. In questo senso il provvedimento si presta ad una lettura generale capace di fornire spunti di grande interesse teorico che intendo proporre come prima relazione contestuale per questi nostri lavori. 2. Nel mondo giuridico, l’ “americanizzazione” dell’ Europa costituisce oggi un fenomeno noto e da più parti registrato in una varietà di settori sui quali non vale la pena di soffermarsi in questa sede. Anche in Italia, gli interlocutori classici d’oltr’Alpe, il francese prima ed il tedesco poi, sono stati abbandonati. In una grande varietà di settori, nel diritto privato come altrove, quei giuristi che si aprono a culture diverse dalla propria tendono sempre più a preferire la letteratura nord-americana. Nel campo del “corporate governance”, volumi fondamentali del modello istituzionale fondato sull’idea tutta neo-americana della corporation come “nexus of contracts” (per esempio Easterbrook e Fishel5 o Roberta Romano6) sono conosciuti, citati e ** Articolo pubblicato in Politica del diritto, anno XXXIV, 2003. 1 Ordinario di diritto civile all’ Università di Torino e Alfred & Hanna Fromm Professor of International and Comparative Law, University of California, Hastings. 2 Docente a.c. di diritto degli intermediari finanziari presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento e di diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della LIUC. A Sartori sono dovuti i punti 6,7,8,9,10, 11, 12. 3 Cfr. U MATTEI, Why the Wind Changed: Intellectual Leadership in Western Law, 42 Am. J. Comp. L. 195 (1994); L’analisi dei trapianti giuridici è legata soprattutto a A. WATSON, Legal Transplants. An Approach to Comparative Law, Edinburgo, 1974; R. SACCO, Intoduzione al diritto comparato, in R. Sacco (dir.) Trattato di diritto comparato, Torino, 1995 (V ed. Rist.). 4 M. ALBERT, Capitalismo contro capitalismo, Bologna, 1993. 5 F. EASTERBROOK, D. FISHEL, The Economic Structure of Corporate Law, Harvard University Press, Cambridge MA, 1991. talvolta tradotti dai nostri studiosi. Questi volumi, come dicevo, offrono le fondamenta teoriche di quell’idea di corporation come rapporto contrattuale fra amministratori, azionisti, revisori, supervisori, creditori, eccetera che lo scandalo Enron (una pura sineddoche per una più generalizzata crisi di fiducia in alcuni grandi protagonisti del mondo economico neo-americano come World Com, Arthur Andersen, Tyco ecc) ha dimostrato essere affetta da un male molto serio: il conflitto di interessi. Una volta abbracciata la teoria dell’impresa come nesso di contratti, il conflitto di interessi si pone al cuore di uno sviluppato settore di ricerca economico-giuridica: la c.d. agency theory7. In questo quadro, esso si riduce ad un “agency cost”, per esempio il costo che gli azionisti (principals) devono sopportare per controllare i managers (agents) per evitare che questi facciano sistematicamente prevalere l’interesse personale su quello sociale. Accettate queste premesse teoriche, il problema che ci occupa non ha più nulla di etico, ma costituisce una delle tante scelte istituzionali che il modello neo-americano dominante vuole determinate dall’efficienza economica. Del resto fu lo stesso Adam Smith a ricordarci che le buone istituzioni sono quelle capaci di incanalare le pulsioni egoistiche di ciascuno di noi nell’interesse di tutti. Sicché prima di intraprendere in Europa un’ennesima ricezione del modello Americano, sembra il caso di interrogarsi sul se esso superi questo esame fondamentale, tracciato dal fondatore della moderna Economia politica. In un contesto di ricezione quale quello italiano, in cui il conflitto di interessi appare un male conclamato non soltanto nel mondo dell’economia e della finanza ma anche in quello della politica, risulta quasi naturale precipitarsi a vedere la reazione istituzionale statunitense, al fine di trarne lezioni. Ed infatti non è raro registrare, in un ambito di recente ammirazione (particolarmente acritica) del modello americano quale il nostro, conati di soddisfazione palese nel vedere la velocità con cui, in terra Americana, si è cercata e trovata una cura per i problemi procurati dalla malattia che ha prodotto Enron. Ritengo tuttavia che al fine di discutere di queste problematiche in modo serio e consapevole, sia necessario conoscere il contesto in cui il Serbanes Oxley Act é stato prodotto ed è chiamato ad operare. Ritengo cioè del tutto inutile, nell’ambito che oggi ci occupa come altrove, analizzare il Serbanes Act in una prospettiva puramente testuale ed acritica, accettandolo al suo valore di facciata, senza tener conto delle necessità prodotte dalla “spettacolarizzazione” delle risposte istituzionali, e senza consapevolezza delle forze vive che ne determinano i contenuti operazionali8. Le vicende successive alla sua promulgazione, e forse perfino la scelta di uno statute al fine di fronteggiare un’emergenza, mostrano come in realtà ben altra medicina sarebbe necessaria per curare il problema del conflitto di interessi nel modello neo-americano, sicché occorre guardarsi dall’assorbirne la propaganda. 3. La vicenda Enron, sia detto subito, trascende risvolti meramente tecnico giuridici. Trascende probabilmente anche i risvolti puramente economici, e raggiunge agevolmente la dimensione squisitamente politica. Una delle critiche più diffuse al partito Repubblicano, già dai tempi del “contract with America” di Newt Ginrich, durante il primo mandato del Presidente Clinton, e oggi spesso rivolte 6 R. ROMANO, The Genius of American Corporate Law, AEI Press, 1993; ID, Foundations of Corporate Law, Oxford University Press, 1993. 7 La letteratura in materia è copiosa. Per una ricostruzione bibliografica cfr. F. SARTORI, Il modello economico dell’agency e il diritto:prime riflessioni, in Rivista critica del diritto privato, 2001, pagg. 607 e ss. 8 Per un tentativo di applicare le teorie rese celebri da G. DEBORD, La Società dello Spettacolo, Tr. It. Baldini & Castaldi 1997 all’ egemonia giuridica si veda U. MATTEI, A Theory of Imperial Law. A Study on U.S. Hegemony and the Latin Resistance, 10 Indiana J. Global Legal Studies (2003). all’amministrazione Bush, è quella di far prevalere il c.d. “corporate interest” sul “public interest” di cui i Democratici si dicono campioni. Non è possibile quindi leggere il Serbanas Oxley Act al di fuori di questa dinamica politica. Ed e’ proprio questa dinamica politica che spiega tanto alcune norme penali draconiane contenute nell’Act (che commina fino a 25 anni di prigione e 5 milioni di dollari di multa per una varietà di comportamenti di falsa certificazione tutti definiti in modo assai vago) quanto la portata generale di una Legge considerata la più ambiziosa modifica del Federal Securities Law in oltre sessant’anni. I paralleli simbolici e spettacolari, capaci di garantire un effetto annuncio che in qualche modo si sperava potesse recuperare la fiducia degli investitori, sono stati cercati con insistenza e proclamati in toni altisonanti dallo stesso Presidente Bush e da molti altri esponenti dell’amministrazione. Così come a seguito del crack del ’29 nacque la Security Exchange Commission9, anche oggi si e’ ricorsi all’istituzionalizzazione di un nuovo organismo: il “Public Company Accounting Oversight Board”, composto da cinque membri full time, nominati dalla SEC di cui soltanto due possono essere (o esser stati) membri della professione contabile. Quando il Board sarà a regime, i suoi componenti resteranno in carica per cinque anni e, sulla carta, sono dotati di ampi poteri di regolamentazione, anche intrusiva di un settore, quale quello della certificazione, attualmente interamente auto-regolamentato nel quadro di un vero e proprio oligopolio dei servizi. (le c.d. big five, defunta Arthur Anderesen, sono rimaste in quattro!). Soffiando via la spolverata retorica prodotta da queste analogie di facciata, le differenze non sfuggono all’osservatore. Il Sarbanes Oaxley e’ stata una riforma con i caratteri dell’emergenza, poco studiata, ancor meno discussa al di fuori dai corridoi del palazzo e anche qui del tutto frettolosa, consideratane la portata e l’estensione. Sul piano generale di politica del diritto deve almeno notarsi che il nuovo statute si presenta come un prodotto bi-partisan, legato al nome prestigioso del Senatore democratico del Maryland Paul M. Sarbanes, (presidente del Banking Committee del Senato) e a quello del presidente del Comitato per i servizi finanziari della Camera, Michael G. Oxley, Repubblicano dell’Ohio. Uno statute di portata molto ampia, scarsamente pensato e negoziato, sostenuto da un ampia maggioranza bi-partisan, e promulgato come reazione ad un’emergenza specifica. Si tratta di uno stile di produzione normativa del tutto nuova per gli Stati Uniti, e che trova nel recentissimo statute istitutivo dell’Homeland Security Department una nuova clamorosa epifania. L’efficacia di tale reazione, che non cambia alla radice i presupposti istituzionali del modello neocapitalistico interamente privatizzato tipico degli Stati Uniti, lascia tuttavia molto perplessi ed ha raccolto critiche da destra come da sinistra. A destra, tipico è l’atteggiamento del giudice Posner che, in un recente seminario presso il nostro Ministero dell’Economia, ha descritto Enron come la miglior prova dell’effettivo funzionamento del mercato, capace di individuare ed annientare le Corporations bolla di sapone10. In questa prospettiva, Sarbanes Oxley, come ogni intervento di regolamentazione pubblica del mercato, finirebbe per introdurre nuove distorsioni perché “most of the corrections should be left to the market, which is a potent source of incentives and constraints for corporate managers”. Secondo Posner, inoltre, l’insistenza sulla “business ethics”, dei legali 9 Cfr. M. E. PARRISH, Securities Regulation and the New Deal, New Haven: Yale University Press, 1970; Per un’analisi dei presupposti che stanno alla base dell’emanazione della legislazione finanziaria all’inizio del secolo scorso vedi S. THEL, The Original Conception of Section 10 (b) of the Securities Exchange Act, 52 Standford Law Review 385 (1990). 10 Il contributo può essere scaricato dal sito web del Ministero dell’Economia e della Finanza: http://www.tesoro.it ; o dal sito diritto bancario: http://www.dirittobancario.it/. come degli accountants, da parte di Sarbanes Oxley é destinata allo stesso inutile impatto dell’ introduzione di corsi di legal ethics nelle facoltà di giurisprudenza a seguito del caso Watergate. A sinistra la critica radicale si articola nel movimento anti-corporate che fa capo da molti anni all’avvocato Ralph Nader. In quella prospettiva, le poche disposizioni che Sarbanes Oxley dedica ad estendere i termini di prescrizione per le azioni giudiziarie private nei confronti delle “corporate frauds” sarebbero del tutto insufficienti alla bisogna (oggi due anni dalla scoperta o cinque anni dal fatto). Il Sarbanes Oxley, infatti, non crea nessun nuovo diritto azionabile privatamente, sicché il solo meccanismo istituzionale che ha dato prova storica di effettività nei confronti del corporate power, la class action, non viene per nulla potenziata ed estesa. In concreto, nel quadro di una professione legale polarizzata quale quella statunitense, si tratta di una sconfitta per il plaintiff bar, già sottoposto a un notevole assalto da parte del tort reform movement.11 In questa prospettiva, si segnala come la sola possibilità effettiva di ovviare all’endemico conflitto di interessi, sia il ricorso ad istituzioni pubbliche, vuoi estendendo piuttosto che diminuire il potere delle Corti, vuoi creando una nuova magistratura contabile, dotata delle garanzie di indipendenza e neutralità proprie del giudiziario ordinario. Sul piano tecnico, la legge, forse a causa della sua frettolosità, fa sorgere una gran quantità di dubbi interpretativi. Quei dubbi che, per intenderci, fanno la fortuna delle grandi law firms schierate sul fronte dei potenziali convenuti. Il legal update di una di queste mega-firms, Morrison & Foerster, per esempio, non riesce a trattenere appieno il tono di soddisfazione nel ripetere più volte che “Companies would be well advised to seek the assistance of consel in interpreting these provisions of the new law”. E ancora “new provisions of the law will require immediate planning to address rule changes” e infine, ben consapevoli dell’attuale status egemonico-internazionale del diritto americano : “Foreign private issuers will need to carefully monitor the SEC rulemaking process and consult with counsel regarding application of the new law, since a number of provisions of the statute immediately apply to such issuers, even though prior SEC proposals would have exempted foreign private issuers”. 4. Il conflitto di interessi domina la struttura del Sarbanes-Oxley Act. Una ricognizione introduttiva può mettere in luce come sia proprio quello il leit motive della sua struttura. Una varietà di strategie sono escogitate per limitare questa piaga e, come vedremo, alcune hanno ottenuto successo nel mantenere le condizioni per il medesimo. Fra le prime si possono notare diversi nuovi obblighi di certificazione e garanzia in capo a CEO e CFO. Costoro devono innanzitutto certificare la verità e l’accuratezza dei reports annuali e trimestrali della compagnia. Devono dettagliatamente dar conto dei sistemi interni di controllo delle loro società, assumendo diretta responsabilità per frodi e conflitti di interesse. Molte norme vogliono scongiurare pratiche c.d. “self serving” da parte del management. Così per esempio le corporations non possono più concedere prestiti ai loro executive officers, una pratica fin qui molto diffusa e quasi sempre destinata a sfociare nella rimessione. Inoltre i poteri della SEC sono aumentati in relazione alla possibilità di congelare pagamenti sospetti fra le corporations ed i loro executive officers. La nuova legge impone poi alla SEC di metter mano a nuove regolamentazioni: in particolare, entro il 26 gennaio 2003 devono essere approntati nuovi obblighi di disclosure relativi a tutte le c.d. off bilance sheet transactions (che sono il sale del c.d. aggressive accounting), complicati meccanismi attraverso cui gli ufficiali delle corporations possono concludere affari con se stessi all’insaputa e ai danni degli investitori. 11 Su questa tendenza a limare gli artigli dell’ attore civile, definita significativamente “anti law movement” ha lasciato pagine importanti LAURA NADER, The Life of the Law, Anthropological Projects, University of California Press, 2002. Tr. It. Le forze vive del diritto, a cura di E. Grande, Napoli, ESI, 2003. Entro la stessa data gli standard etici della professione legale ammessa alla pratica davanti alla SEC dovrebbero essere a loro volta aumentati. Le corporations dovranno poi rendere pubblico il Codice di condotta a cui legano ufficiali e controllori o alternativamente spiegare le ragioni per cui non hanno messo mano ad un tale codice. Il conflitto di interessi degli analisti finanziari, in agguato quando costoro raccomandano certe piuttosto che altre azioni, viene sollevato per la prima volta come problema dal Sarbanes Oxley e deve essere “risolto” entro il 30 luglio del 2003 (ma lo statute non dice come). Infine, ed è questa la novità più importante, la legge ripone molta fiducia nel Public Company Accounting Ovrersight Board, un organismo, almeno sulla carta, dotato di notevoli poteri. Interessante è notare come, fedeli all’ideologia “privatistica” tipica del modello neo-americano, quest’ organo non sia un Agenzia del Governo Federale ma a sua volta una non profit corporation. In America, grazie ad almeno due decenni di propaganda, tutto il settore pubblico e’ screditato sicché l’ idea di istituire un’ apposita magistratura, con le garanzie di indipendenza ed inamovibilità che sono considerate requisiti essenziali dell’ indipendenza del giudiziario, non e’ stata presa in considerazione. L’intelaiatura che il Sarbanes Oxley Act dedica all’ Oversight Board rientra nella tipologia dei c.d. “enabling statutes” nel senso che al nuovo organismo sono delegati poteri normativi non indifferenti (fra i quali l’elaborazione di un codice etico per scongiurare i conflitti di interesse nell’ auditing process ed in particolare la possibilità di istituire il divieto di ulteriori servizi offerti dal controllore alla controllata) che il Board può usare o meno secondo discrezione. Il Board può stabilire gli standards per l’auditing, registrare le società di revisione, investigarne i comportamenti, multare e sospendere le accounting firms, e inoltre revisionarle periodicamente. Naturalmente, questa morfologia normativa sposta la partita al momento dell’implementazione, sicché di per se costituisce un successo di quanti miravano a limare gli artigli del Sarbanes Oxley Act. Decisive diventano infatti in questo quadro la personalità del presidente e la solidità finanziaria dell’organismo per valutare l’efficacia istituzionale del Board (e quindi della reazione statunitense a Enron), sicché diviene importante qualche cenno sulla fase di implementazione. 5. Su entrambi questi versanti il modello Americano ha dimostrato tratti che ben difficilmente giustificano l’ammirazione di cui gode. Sul piano finanziario, il budget trasferito dall’amministrazione alla SEC, cui erano stati promessi in luglio cospicui aumenti (oltre il 50 %) in virtù della sua storica indigenza e conseguente incapacità di far fronte ad una percentuale accettabile delle proprie responsabilità istituzionali, e’ stato molto inferiore alle aspettative (-40%). La SEC di conseguenza ha già comunicato che, data la situazione, ben difficilmente sarà in grado di far fronte all’effettiva organizzazione del Board, tutt’oggi senza sede né budget. La scelta del Presidente del nuovo organismo ha poi mostrato tutti i tratti di quelli che vengono chiamati “capitol games”, idea traducibile nel nostro idioma come “intrigo di palazzo”. Un intrigo che ha avuto come regista, neppure occulto, la lobby degli accountants. Il pomo della discordia, é conseguenza della stessa struttura “enabling” del Sarbanes Oxley. (Tale struttura, sia detto per inciso, e’ stato un successo del lobbying delle big five). Il Public Company Accounting Oversight Board, infatti, può disciplinare direttamente gli standards etici delle accounting firms deputate all’auditing, ma non deve necessariamente farlo. Anzi, una corrente di pensiero resa prestigiosa dai forti legami accademici con l’Analisi Economica del diritto, ha sostenuto che la sola disciplina dell’auditing compatibile con le necessità dell’efficienza economica è l’autoregolamentazione. In questa seconda prospettiva, piuttosto che regolamentare direttamente, l’ Oversight Board dovrebbe limitarsi a fissare qualche principio generale limitandosi poi al controllo dell’opera di autoregolamentazione efficiente così posta in essere. Per settimane era circolata la candidatura di John H. Biggs, il Presidente di TIIA CREF, un importante sistema pensionistico. Costui, un esponente della filosofia nota come “aggressive oversight” della professione contabile, aveva manifestato in più sedi la sua convinzione secondo cui il solo sistema di evitare il conflitto di interessi fosse quello di una vera e propria regolamentazione, capace di prevedere la turnazione, il divieto di rendere servizi paralleli all’auditing, e perfino in prospettiva, lo smembramento secondo sani principi di antitrust. In una dichiarazione rilasciata al New York Times, perfino il Presidente della SEC Harvey Pitt, un avvocato molto legato agli ambienti delle big five, aveva lasciato intendere di aver preso contatti con Briggs, il quale a sua volta dichiarava di aver già accettato l’incarico. Ventiquattro ore dopo Pitt insieme a lui gli altri due esponenti repubblicani della commissione (entrambi legati alla professione contabile), cedendo alle pressioni degli accountants, rappresentati in Congresso dallo stesso Oxley, lasciarono cadere la candidatura Briggs. Il 25 ottobre, dopo circa una settimana di negoziati volti ad ottenere un voto bipartisan, veniva annunciata la scelta, compiuta dalla maggioranza repubblicana, dell’avvocato William H. Webster, un ex giudice Federale ed Ex Presidente (unico nella storia!) prima della CIA e poi dell’ FBI. Questo curriculum segnalava la natura “tough” del personaggio che tuttavia veniva immediatamente criticato dai commentatori indipendenti (per esempio James D. Cox della Duke University) come privo di qualsiasi esperienza specifica, ancorché irreprensibile sul piano etico. Ma la mancanza di esperienza non era il punto. Webster di esperienza ne aveva avuta almeno una, come presidente dell’Audit Committee di U.S. Technologies, una compagnia semi-insolvente accusata di frode. Per di più come sindaco aveva reagito in modo per lo meno discutibile al rapporto dell’accounting firm BDO Seidman che, nell’agosto del 2001, segnalava le irregolarità contabili alla base delle accuse di frode: aveva licenziato in tronco gli auditors! Aveva cioè posto in essere proprio quel comportamento che determina, secondo gli osservatori più imparziali, l’endemica impossibilità per le accounting firms di essere indipendenti: il controllato è cliente del controllore, spesso un ottimo cliente che il controllore non vuole perdere… Tutto o parte di ciò era noto a Pitt prima della nomina di Webster. A seguito dell’istituzione di ben tre commissioni d’inchiesta, la notte successiva alle ultime elezioni di mid term si dimette Pitt. Lo segue a ruota Webster. Oltre al budget e alla sede l’ Oversight Board ha perso anche il presidente. 6. Il principio della prevenzione del conflitto di interesse nella revisione contabile domina almeno all’apparenza la struttura normativa del Sarbanes Oxley Act. L’opportunità di avere un revisore incaricato del controllo dei conti “indipendente” è essenziale per assicurare una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale-finanziaria delle imprese quotate e la fiducia del pubblico nell’affidabilità delle relazioni di revisione. In ultima analisi, l’efficienza del mercato sembra fondarsi sul presupposto dell’indipendence of public account. Per comprendere il fumoso concetto di conflitto di interessi risulta necessario, in primis, individuare quali siano gli interessi che fanno capo al mercato e quelli che, di converso, sono riconducibili alla società di revisione (o alla “rete” a cui essa appartiene). L’interesse del mercato (perdonando l’ antropomorfizzazione) sarà di avere un controllo puntuale e veritiero sui documenti contabili della società revisionata. Per tale via si garantisce credibilità alle informazioni finanziarie e si dona linfa al sistema economico globale incentivando gli investitori, i creditori, i dipendenti e tutti coloro che hanno un interesse nella società12. L’interesse sinallagmatico delle società di revisione è quello di ottenere un compenso per l’attività svolta. L’interesse è dunque l’utilità, ipotetica e futura che incentiva l’esercizio di una determinata attività; si tratta di un’anticipazione mentale del guadagno, ovvero dello scopo che muove gli attori del mercato e che giustifica la stessa esistenza del sistema finanziario13. Il concetto di (conflitto di) interesse rileva quindi prima ancora che da un punto di vista giuridico da un punto di vista economico; ed è agevole comprende, alla luce di quanto si è detto, come tali interessi possano trovarsi in contrapposizione l’uno con l’altro; lo stesso rapporto tra società di revisione e “mercato” e’ caratterizzato da una tensione permanete, fisiologica che diventerà patologica ogniqualvolta la stessa società di revisione deciderà intenzionalmente di sacrificare l’interesse generale per avvantaggiare sé o un soggetto del network a cui appartiene14. Di conseguenza, tale categoria teorica comprende sia la naturale competizione fra interessi sinallagmatici che l’effettivo conflitto (rilevante per l’attivazione della sanzioni previste ex lege)15. 7. Assunto che il tema del conflitto di interessi rappresenta il vero problema della crisi finanziaria che ha investito i mercati negli ultimi mesi, occorre interrogarsi, su quale sia il sistema istituzionale più efficiente per la tutela degli interessi di mercato sottesi alla certificazione di bilancio. Da un punto di vista normativo le possibilità di intervento si muovono principalmente in due direzioni. Da una parte attraverso l’introduzione di un sistema rigido di divieti e vincoli strumentali alla prevenzione delle cause che possono pregiudicare l’indipendenza della società di revisione rispetto alla società sottoposta al suo controllo. Dall’altra, attraverso la valorizzazione di strumenti finalizzati a verificare ex post la deviazione dell’agire della società di revisione: deviazione che si appalesa nel perseguimento dell’interesse proprio o di terzi invece che del mercato tout court16. Il primo tipo di intervento, estraneo fino all’emanazione del Serbanes Oxley Act al sistema finanziario statunitense, è finalizzato a eliminare geneticamente il conflitto di interessi. In altri termini, è la stessa esigenza di prevenire i conflitti di interesse che dovrebbe informare la disciplina normativa, sì da intervenire geneticamente sul rapporto tra le parti, evitando di collocarne una in condizione di porre in essere comportamenti opportunistici. In tale frangente una soluzione preventiva appare, in prima analisi, 12 I risparmiatori ad investire in strumenti finanziari; i creditori a “concedere prestiti” alla società; i dipendenti ad investire in quella determinata attività professionale, etc. 13 Sul concetto di interesse in generale cfr. P. G. JAEGER, L’interesse sociale, Milano, 1964. 14 Cfr. C. RABITTI BEDOGNI, L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, relazione al convegno “La revisione contabile. Profili regolamentari in tema di indipendenza nello svolgimento della professione. L’esperienza italiana a confronto con quella internazionale”, 8 marzo 2001, Roma “La Sapienza”. 15 Cfr. G. DE NOVA, Conflict of interests and the fair dealing duty, in Rivista di diritto privato, 2002, pagg. 477 e ss.; F. SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, cit., pagg. 194 e ss.; G. VISENTINI, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, rielaborazione della relazione al seminario La tutela dell’investitore non professionale, Padova 12 aprile 2002, http://www.archivioceradi.luiss.it/. 16 In termini simili cfr. C. RABITTI BEDOGNI, L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, cit., nonché F. SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, cit. una scelta saggia: tagliando in radice il rischio di conflitti derivanti dai diversi rapporti trasversali che legano la società di revisione con gli emittenti si contribuisce alla trasparenza e all’efficienza del mercato. La tecnica legislativa più appropriata per raggiungere tale obiettivo consiste nella limitazione dell’oggetto sociale della “società di controllo”, attraverso l’esclusione di qualsiasi altra attività di natura consulenziale che possa, direttamente o indirittamante, pregiudicare l’indipendenza del revisore. Tale tecnica legislativa è nota da tempo nel nostro ordinamento giuridico che, ispirandosi al sistema franco-belga, con il D.lgs 27 gennaio 1992, n. 8817 ha limitato l’oggetto sociale delle società di revisione all’attività di revisione e di organizzazione contabile di azienda18. Sempre nella direzione di prevenire il conflitto si muove tutta quella normativa finalizzata a introdurre un articolato sistema di incompatibilità tra la società di revisione e la società controllata. L’ordinamento italiano ha elaborato a partire dal 1975, con il d.p.r. n. 136, ancora oggi in vigore a causa della mancata emanazione del regolamento del Ministero della Giustizia di cui all’art. 160 del D.lgs. n. 52/1998 (il Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria – c.d. TUF), un sistema di incompatibilità presunte derivanti da rapporti contrattuali, di partecipazione, nonché di legami parentali o di affinità tra gli ufficiali della società di revisione e di quella controllata, etc19. Negli USA, per contro, prima dell’emanazione di Sarbanes Oxley non esisteva un sistema di incompatibilità analogo a quello descritto e tipico di alcune esperienze continentali. Regole stringenti erano infatti previste esclusivamente in relazione alla tenuta della contabilità e alla rappresentanza del contenzioso esterno alla società. È solo con il Sarbanes Oxley Act che si è riscritto in parte la materia, estendendo le incompatibilità a tutte le attività diverse dalla revisione, pur con una duplice possibilità di esoneri (title II, sec. 201). In termini di politica legislativa gli ammiratori del sistema neo-americano sottolineeranno che un intervento normativo che si basa sull’esclusività dell’oggetto sociale e sulla preclusione delle situazioni di concorrenza attraverso l’introduzione di un complesso di incompatibilità rischia di ingessare il sistema, creando situazioni di inefficienza. Di qui le critiche “da destra” al Sarbanes Oxley. È noto che le società di revisione si collocano all’interno di una più vasta “rete”20, costituita da diverse società, studi legali e professionali che, nell’ambito di un generale interesse comune, collaborano tra loro scambiandosi informazioni, mettendo a disposizione le proprie risorse, le proprie esperienze etc. In altri termini, creando quelle che gli economisti definiscono “economie di scala”. Ne consegue, che il divieto statuario delle società di revisione di svolgere attività consulenziale potrebbe frustrare le stesse esigenze 17 In attuazione della delega di cui all’art. 2 della legge 7 giugno 1974, n. 216. Cfr. F. VELLA, I controlli interni e la revisione contabile nella riforma delle società non quotate, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2001, pagg. 19 e ss. 19 Nell’ambito del sistema normativo finalizzato a prevenire il conflitto deve essere ricondotta anche la disciplina del c.d. cooling off period; si tratta della disciplina del passaggio di personale della società di revisione alla società cliente. In merito l’art. 3, comma 2 del citato d.p.r. stabilisce, infatti, che: “I soci, gli amministratori, i sindaci o i dipendenti della società di revisione alla quale è stato conferito l'incarico a norma dell'articolo 2 non possono esercitare le funzioni di amministratore o di sindaco della società che ha conferito l'incarico, né possono prestare lavoro autonomo o subordinato in favore della società stessa, se non sia decorso almeno un triennio dalla scadenza o dalla revoca dell'incarico, ovvero dal momento in cui abbiano cessato di essere soci, amministratori, sindaci o dipendenti della società di revisione”. 20 La definizione di “rete” si trova nel glossario che accompagna la Raccomandazione sull’indipendenza dei revisori dei conti nella UE, approvata dalla Commissione dell’Unione Europea, del 16 maggio 2002. “Una rete comprende la società di revisione che esegue la revisione legale come pure le sue consociate e qualsiasi altra entità controllata dalla società di revisione o soggetta con essa ad un controllo, una proprietà o una gestione comuni, o collegata o associata in altro modo alla società di revisione attraverso l’uso di una denominazione comune o la messa in comune di significative risorse professionali”. 18 sottese alla polifunzionalità dei revisori, a discapito dell’interesse dello stesso mercato21. Negare alla radice la possibilità di un’azione sinergica alle società del gruppo equivarrebbe a neutralizzare il valore aggiunto del network, idoneo a favorire economie nella prestazione dei vari servizi. Peraltro, tale divieto sarebbe facilmente aggirabile attraverso le complesse strutture di gruppo22. In altri termini, “il sistema si indirizzerebbe verso la patologia con i probabili tentativi di eclissare i legami apparenti tra diverse unità nell’ambito di un network e, per contro, l’affermarsi di legami occulti. Per altro verso, sarebbe sempre possibile l’attuazione di tacite intese incrociate tra diverse società di revisione, intese per le quali ciascuna società di revisione potrebbe favorire l’affidamento di incarichi di consulenza a soggetti vicini ad una società di revisione <gemellata>”23. La seconda strada percorribile per amministrare il conflitto di interessi consiste nell’introduzione di un sistema di norme flessibile, più attento alla sostanza che non alla forma, idoneo a governare il fenomeno del conflitto non aprioristicamente ma ex post, attraverso una difficile ma efficace analisi del comportamento concreto del revisore. Tale sistema si basa sui principi della trasparenza, delle regole della correttezza e, soprattutto, su un adeguato sistema rimediale di natura amministrativa e civile, in grado di internalizzare i costi dei comportamenti opportunistici. Si tratta di un modello istituzionale-normativo che si è sviluppato ed affinato nell’ordinamento statunitense a partire dall’emanazione del Securities Act del 193324 grazie soprattutto al ruolo forte degli avvocati specializzati in azioni civili (c.d. plaintiff bar). Sul piano teorico, l’attuazione del principio dell’indipendenza sarebbe assicurata dall’applicazione di un modello tecnico giuridico capace di cogliere i vantaggi della polifunzionalità, senza tuttavia rinunciare alla public responsability dei revisori infedeli e opportunisti25. È agevole comprendere come tale prospettiva preveda uno spostamento del problema dal piano sostanziale a quello processuale-rimediale. Le regole in materia di trasparenza-diligenza e di buona fede, infatti, acquistano un reale significato, tutelando l'interesse degli azionisti di minoranza e del mercato, solo se l'ordinamento giuridico le considera nella definizione e nella predisposizione dell'apparato rimediale26; specificamente delle c.d. enforcement rules (si tratta delle norme sui danni da inadempimento)27. 21 Cfr. N. S. POSER, Conflict of interest within securities firm, 16 Brooklyn J. Int’l L., 111 (1990). Nonchè A. FICI, Il conflitto di interessi nelle gestioni individuali di patrimoni mobiliari, in Rivista critica del diritto privato, 1997, pagg. 323 e 324. 22 Cfr. L. ENRIQUES, Le tecniche di prevenzione del moral hazard risk nella normativa italiana in tema di intermediazione gestoria, in Banca Impresa e Società, 1995, pagg. 287 e ss. 23 Cfr. C. RABITTI BEDOGNI, L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, cit., pag. 27. In termini simili cfr. L. ENRIQUES, Le tecniche di prevenzione del moral hazard risk nella normativa italiana in tema di intermediazione gestoria, cit., pag. 287. 24 Per una ricostruzione storica della disciplina dei revisori nel sistema statunitense Cfr. M. SANTARONI, Note sull’esperienza americana: l’indipendenza del revisore, in Giurisprudenza Commerciale, 1982, pagg. 851 e ss. 25 United States v. Arthur Young, 465 US 805, 817-818 (1984). 26 Sui rimedi e il metodo rimediale cfr. U. MATTEI, I Rimedi, in Il Diritto Soggettivo, Trattato di diritto civile, diretto da R. SACCO, Torino, 2001, pagg. 105 e ss.; ID, Tutela Inibitoria e Tutela Risarcitoria. Contributo alla teoria dei diritti sui beni, Milano, 1987; ID, Diritto e Rimedio nell'Esperienza Italiana ed in quella Statunitense. Un Primo Approccio, in Quadrimestre, 1987, pagg. 341 e ss.; A. DI MAJO, La Tutela Civile dei Diritti, 3ª ed., Milano, 2001 (1 ed. 1982); A. CHIANALE, Diritto Soggettivo e Tutela in Forma Specifica, Milano, 1993; C. RAPISARDA, Profili della Tutela Civile Inibitoria, Padova, 1987. 27 Nell'ambito del diritto dei contratti da un punto di vista concettuale si deve differenziare tra default rules, mandatory rules ed enforcement rules. Tale distinzione si coglie bene in U. MATTEI, Efficiency and Equal Protection in Anche nel settore finanziario lo studio dei rimedi si pone come necessario per comprendere appieno le regole operazionali che si nascondono dietro la retorica dei diritti. I rimedi sono, infatti, gli strumenti che il diritto positivo offre all'investitore per dare concreta attuazione ai propri interessi giuridicamente protetti nel caso in cui essi vengano lesi28. Si aggiunga che le regole rimediali costituiscono degli incentivi comportamentali per le parti e assumono, di conseguenza, un ruolo cruciale nel processo di integrazione dei contratti (economicamente) incompleti, minimizzando i costi d'agenzia e lubrificando l'accordo tra le parti. L’ordinamento giuridico d’oltre oceano, a prescindere dalle sanzioni penali introdotte con il Serbanes Oxley Act, più idonee a rispondere ad istanze politiche che non alle reali esigenze di tutela del mercato, conosce da tempo efficaci strumenti rimediali di natura privatistica e amministrativa idonei a creare i giusti incentivi necessari affinché gli attori di mercato realizzino il risultato socialmente desiderabile. La flessibilità dell’apparto rimediale consente dunque di calibrare la quantificazione del danno in modo tale da internalizzare le esternalità negative derivanti dai comportamenti opportunistici degli operatori, e da prevenire gli stessi attraverso la sua funzione deterrente. Il tradizionale rimedio utilizzato a tal fine dall'ordinamento nordamericano è il c.d. disgorgement. Si tratta, in estrema sintesi, di una sanzione civile che spoglia il revisore (a favore della parte lesa) di tutto il guadagno illegittimamente percepito dall'azione opportunista, non limitandosi, quindi, a riportare il danneggiato sulla stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato in assenza del comportamento pregiudizievole, ma portandolo su una curva più alta a causa dell'eventuale maggior guadagno ottenuto dall'operatore29. Oltre a tale rimedio, il sistema statunitense conosce l'istituto dei punitive damages che consentono di quantificare il risarcimento in misura eccedente rispetto al valore pecuniario del beneficio derivante all’operatore infedele dall'azione intenzionalmente pregiudizievole30. Tali rimedi vanno ben oltre la mera internalizzazione piena del danneggiato, ma producono un windfall, ovvero una vincita inaspettata in capo all'investitore31. Un altro istituto posto a presidio della tutela del mercato è naturalmente la class- action. Si tratta di uno strumento processuale in grado di tutelare interessi che sarebbero altrimenti difficilmente azionabili. In altri termini, nell’esperienza nord-americana il fenomeno del danno diffuso, che caratterizza il settore finanziario, è strettamente connesso con la possibilità di intentare una class-action, cioè un’azione in cui the New European Contract Law: Mandatory, Default and Enforcement Rules, Virginia Journal of International Law, The Fifteenth Sokol Colloquium on Private International Law: Unity and Harmonization in International Commercial Law, 1999, pagg. pagg. 538 e ss. Sul concetto di default rules cfr. G. BELLANTUONO, Le Regole di default nel diritti dei contratti, in Rivista di dirittocivile, 2000, pagg. 434 e 435. 28 Cfr. U. MATTEI, I Rimedi, cit., pag. 107; cfr. anche A. BLOMEYER, Types of Relief Available (Judicial Remedies) XVI International Encyclopedia of Comparative Law, Civil Procedure Cap IV, M. CAPPELLETTI (Chief Ed.), Tubingen, 1982. 29 Cfr. F. SARTORI, Il modello economico dell’agency e il diritto: prime riflessioni, cit, pagg. 645 e ss. 30 Tale istituto viene sovente utilizzato dalle corti d'oltre oceano proprio nei casi di violazione intenzionale dell'elemento fiduciario. Cfr. ad esempio Schoenholtz v. Doniger, 657 F. Supp. 899, 914 (S.D.N.Y. 1987). In dottrina Cfr. R. COOTER, Punitive Damages: When and How much?, Ala. L. Rev. 1143 (1989). Cfr. G. PONZANELLI, I punitive damages nell'esperienza nordamericana, in Rivista di diritto civile, 1983, pagg. 435 e ss. 31 Cfr. U. MATTEI, I Rimedi, cit., pag. 169. uno o più individui, i “class-representatives” possono agire a nome dell’intero gruppo di persone coinvolte32. Nonostante la presenza di questo poderoso sustrato rimediale quasi completamente assente a casa nostra (cosa che rende tanto più irresponsabile la pedissequa imitazione del modello statunitense), il sistema di controllo privatizzato ex post non ha vissuto all’altezza delle aspettative teoriche. Occorre quindi interrogarsi sul perché ampliando la nostra prospettiva. 8. Il problema della revisione contabile si inserisce dunque nell’ambito del più complesso fenomeno del “corporate governance”. In generale, si tratta di quell’articolato sistema di regole di gestione dei molteplici interessi di coloro che hanno rapporti economici con l’impresa. Da un punto di vista giuridico, la corporate governance ricomprende tutte le tecniche prodromiche alla minimizzazione dei costi di agenzia che gravano, in primo luogo, sugli azionisti di minoranza, ovvero sugli agenti (gli investitori retail) che non hanno a disposizione le informazioni necessarie per effettuare un investimento “consapevole e informato”33. Il sistema di tutele e di regole elaborato negli Stati Uniti è stato sovente oggetto di giustificata ammirazione, che tuttavia non deve accecare di fronte alle altre caratteristiche del modello che ne frustrano comunque il funzionamento. L’ ammirazione successiva al caso Enron, soprattutto quando basata su aspetti simbolici della reazione istituzionale quali l’ inasprimento delle pene, risulta difficilmente condivisibile.34 Le corti svolgono un ruolo cruciale nel delicato compito di garantire la correttezza e la trasparenza dei comportamenti dei revisori. Si sono, infatti, creati gli incentivi necessari per privatizzare il monitoraggio, offrendo al sistema maggiori informazioni sulla frequenza degli illeciti. La flessibilità dell’apparato rimediale a disposizione delle Corti consente, in linea teorica, di utilizzare i rimedi non solo per realizzare finalità compensative, ma anche deterrenti-sanzionatorie. In altri termini, il giudice può preoccuparsi del segnale sociale che la sua decisione introduce sul mercato, non limitandosi ad internalizzare i costi connessi al comportamento opportunistico. Class actions, digorgment, punitve damages (cfr. supra) sono solo alcuni degli incisivi rimedi a disposizione dei risparmiatori (e\o del plaintiffs bar) per tutelarsi contro amministratori opportunisti e infedeli. I poteri attribuiti alla SEC sono – in linea di principio - più penetranti rispetto a quelli a disposizione delle Autorità di Vigilanza del vecchio continente. In guisa, l’efficacia dell’azione amministrativa e la stessa tutela degli interessi che l’ordinamento giuridico mira a proteggere sono dotati, sulla carta, di quel rigore e di quella trasparenza che ne rendono più propria l’esplicazione nei settori di riferimento. Ricordiamo tuttavia 32 Per un saggio comparativo cfr. M. CAPPALLI, C. CONSOLO, Class Actions for Continental Europe. A Preliminary Inquiry, 6 Temple Int’l and Comp. L.J. 217 (1993), nonché C. CONSOLO, Class Actions fuori dagli USA?, in Rivista di diritto civile, 1993, pagg. 609 e ss.; cfr. anche A. GIUSSANI, Studi sulle “class-actions”, Padova, 1996. 33 La definzione “classica” di corporate governance è influenzata dalla teoria dei diritti proprietari elaborata da R. COASE nel suo noto The Problem of Social Cost, 3 Journal of law and Economics (1960). Sul punto cfr. anche A. ALCHIAN, H. DEMSETZ, Production, Information Costs, and Economic Organization, in L. Putterman (a cura di), The Economic Nature of the Firm: A Reader, 2nd edition, Cambridge University Press, Cambridge, 1996 (I ed. 1972); S. GROSSMAN, O. HART, The Costs and the Benefits of Ownership: A Theory of Vertical and Lateral Integration, 4 Journal of Political Economy 691 (1986); O. HART, J. MOORE, Property Rights and the Nature of the Firm, 98 Journal of Political Economy 1119 (1990). 34 Si veda C. De MAGLIE, L’ Etica e il mercato. La responsabilità penale della persona giuridica, Milano, 2002. quanto detto circa l’ endemica indigenza della S.E.C. e della conseguente sostanziale impossibilità di operare un monitoraggio decorosamente esteso. Il modello proprietario d’impresa d’oltre oceano, diversamente da quello europeo35, è caratterizzato dalla natura frazionata dei diritti di controllo e, di conseguenza, dalla netta dissociazione tra proprietà e controllo. Si tratta, del modello della public company che stimola l’attivismo degli azionisti di minoranza i quali possono far sentire più chiaramente la propria voce all’interno degli organi sociali, oltre che assicurarsi il successo di un eventuale take over. In sintesi, secondo la vulgata neoliberista ed i suoi ammiratori nostrani, anche la coroporate governance esercitata dal mercato sembra indurre all’efficienza e il mercato finanziario assolvere nel modo più penetrante le fasi di transazione nel market for corporate control36. Eppure l’architettura del sistema finanziario statunitense non è stata in grado di funzionalizzare le pulsioni egoistiche del management all’interesse dei risparmiatori e del mercato tout court. All’ efficienza declamata (con la sua evidente funzione ideologica) non è corrisposta quella operazionale sicché un atteggiamento particolarmente guardingo e critico é d’uopo soprattutto in fase di riorganizzazione del mercato europeo. 9. Si è detto che la “vicenda Enron e dintorni” costituisce il più clamoroso incidente di percorso del modello capitalistico c.d. neoamericano, e si è dimostrato che la risposta politico-istituzionale d’oltre Atlantico alla crisi della financial industry deve considerarsi, quantomeno allo stato dell’arte, inadeguata (cfr. supra). Come il Presidente della Consob ha evidenziato di recente nella sua relazione annuale, trattare il caso Enron come un evento patologico d’eccezione, sintomatico di comportamenti negligenti o per lo più dolosi di amministratori infedeli, sarebbe un errore strategicamente pericoloso37. Altrettanto pericoloso, oltre che intellettualmente disonesto, è l’atteggiamento di coloro che descrivono Enron come la miglior prova dell’effettivo funzionamento del mercato, capace di monitorare e neutralizzare le Corportations bolla di sapone. Entrambe queste tesi sono, infatti, ideologicamente orientate alla difesa di quella corrente di pensiero che nega l’opportunità di un intervento esogeno di matrice regolamentare nel settore finanziario, ovvero, in termini più generali, di un intervento pubblico in economia, finalizzato a garantire efficienza nell’impiego delle risorse ed equità nella distribuzione delle stesse. Il caso Enron è il miglior banco di prova, in un’economia matura e sviluppata, dell’incapacità del mercato di realizzare in via autonoma la combinazione ottimale – o quantomeno soddisfacente - efficienza-stabilità. Le peculiarità intrinseche dei mercati, soprattutto finanziari, danno luogo ad un ambiente economico caratterizzato dall’incompletezza dei contratti38 e dell’asimmetria informativa39. I meccanismi endogeni 35 Sul sistema di corporate governance europeo cfr. M. ONADO, Mercati e intermediari finanziari. Economia e regolamentazione, Bologna, 2000. Per il sistema italiano cfr. P. CIOCCA, La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi (1980-2000), Torino, 2000. 36 Cfr. M. ROE, Strong Managers Weak Owners. The Political Roots of American Corporate Finanance, Princeton, N.J., Princeton University Press, 1994; F. ALLAN, D. GALE, Comparing Financial System, Cambridge, Mass., MIT Press, 2000; K. E. SCOTT, Agency Costs and Corporate Governance, The New Palgrave Dictionary of Economics and the Law, 1998. 37 Cfr. Relazione per l’anno 2001. Discorso del Presidente della Consob al mercato finanziario, disponibile sul sito web dell’Autorità di Vigilanza: http://www.consob.it. 38 In questa sede non intendiamo soffermarci sul profilo dell'incompletezza dei contratti; tuttavia è bene specificare che tale termine si riferisce all'incompletezza c.d. economica. Il contratto può essere incompleto pur non presentando lacune da un punto di vista giuridico. Si tratta, in altri termini, di un'incompletezza dipendente dai costi di possono ridurre solo in parte i costi di agenzia connessi ai comportamenti opportunistici degli attori “forti” e non sono comunque in grado di eliminare le esternalità negative40. La market failure provocata dalla società texana ha dimostrato che la fisiologica asimmetria nella distribuzione delle informazioni non consente il raggiungimento di un equilibrio caratterizzato dalle condizioni di allocazione efficiente delle risorse. Si tratta di un riscontro storico che mette nuovamente in crisi l’incosciente ottimismo di coloro che, in nome del liberismo più conservatore, si schierano su posizioni contrarie a qualsiasi intervento pubblico di regolamentazione: e ciò in quanto il mercato alla fine … ha sempre ragione! 10. È dunque agevole comprendere che la vera questione che dovrebbe essere oggetto di un dibattito sereno, riguarda l’opportunità di avere un regulator privato ovvero uno pubblico. In altri termini, nel momento storico in cui nel vecchio continente si mette mano alla riforma del mercato finanziario, è opportuno interrogarsi sui costi e sui benefici del modello autoregolamentare di matrice statunitense evitandone la consueta importazione acritica, e per giunta monca del sustrato istituzionale che la sorregge41. Solo una seria riflessione in materia scongiura il rischio (concretizzatosi in Italia nella procedura penale) di un trapianto acritico e inconsapevole del modello culturalmente egemonico, dando luogo ad un fenomeno ormai ben documentato di “path dependency”42 o, forse meglio a questo punto, di coazione a ripetere. Non è questo il luogo per iniziare sul piano tecnico tale riflessione. Tuttavia occorre almeno segnalare che la vicenda di cui si discute ha messo in luce – inaspettatamente per taluno - l’inefficacia delle procedure autoregolamentari, caratterizzanti il controllo di qualità della revisione contabile statunitense. L'affermarsi di un corpo di norme a presidio della trasparenza e della correttezza dell’attività di certificazione dei bilanci delle società di revisione si accompagna nell'evoluzione del sistema americano all'attività delle associazioni di categoria (in particolare dell’American Institute of Certified Public Account – c.d. A.I.C.P.A.)43. Il controllo di qualità della revisione contabile è dunque avvenuto con procedure di peer reviews all’interno della professione, e senza interventi diretti della mano pubblica (della SEC). “Queste informazione e di decisione. In materia cfr. G. BELLANTUONO, I contratti incompleti nel diritto e nell'economia, Padova, 2000; ID, Le Regole di default nel diritti dei contratti, cit., pagg. 427 e ss. A. SCHWARTZ, Incomplete contracts, in The New Palgrave Dictionary of Economics and the Law, Vol. 2, 1998, pagg. 277 e ss. F. ALLEN, D. GALE, Measurement distortion and missing contingiencies in optimal contracts, Economic Theory 1 (1992); O. HART, J. MOORE, Incomplete contracts and renegotiation, Econometrica 755 (1988); A. SCHWARTZ, Relational contracts in the courts: an analysis of incomplete contracts and Judicial strategies, Journal of Legal Studies 271 (1992); I. SEGAL, Complexity and renegotation: a foundation for incomplete contracts, Department of Economics, University of California at Berkeley, 1996; J. TIROLE, Incomplete contracts: where do we stand? Istitut d'Economie Industrielle, Tolouse and Ceras, Paris, 1994. 39 Sui problemi dell’asimmetria informativa cfr. G. AKERLOF, The Market of Lemons: Quality Unicertainity and the Market Mechanism, 89 Quarterly Journal of Economics 488 (1979). 40 Cfr. GENERAL ACCOUNTING OFFICE, Conflict of Interest Abuses in Commercial Banking Institutions, Washington, 1989, pagg. 15 e ss.; contra, cioè dell’idea che un mercato efficiente e concorrenziale è condizione sufficiente per disincentivare comportamenti opportunistici cfr. per tutti PELTZMAN, Commentary, in Edward (a cura di), Issues in Financial Regulation, New York, 1979, pagg. 155 e ss. 41 Si veda, su questo fenomeno, E. GRANDE, Imitazione e diritto. Ipotesi sulla circolazione dei modelli, Torino, 2001. 42 Cfr. D. NORTH, Indtitutions, Institutional Change and Economic Performance, Cambridge, 1991. 43 Nel 1887 si costituì la prima associazione di revisori, predecessore dell’attuale A.I.C.P.A. Per una ricostruzione storica della nascita e dell’evoluzione delle associazioni dei revisori cfr. J. DON EDWARDS, History of Public Accounting in the United States, Michigan, 1960. procedure si sono palesemente rivelate inefficaci: da quando furono istituite, nel 1977, mai è stato emesso un giudizio negativo a carico di una grande società di revisione”44. Storicamente il modello autoregolamentare si giustifica alla luce dei benefici connessi all'intima conoscenza che gli operatori hanno del mercato. Si tratta di vere e proprie informazioni private difficilmente accessibili dagli organi di governo e che se messe a servizio dell'interesse pubblico possono creare alti benefici sociali. Nella logica di mercato gli incentivi dell' “industria” a creare e, naturalmente, far rispettare regole idonee a prevenire comportamenti opportunistici sono alti. Infatti, un fallimento in tal senso si tradurrebbe in un fallimento della stessa industria che subirebbe degli alti costi in termini di concorrenza connessi alla perdita della reputazione tra gli investitori. Per contro, a tali riflessioni si può obiettare che la realizzazione di comportamenti opportunistici da parte dei controllori non pregiudica sempre l'interesse della stessa industria. In primo luogo, in quanto l'attività speculativa solitamente connessa alle pratiche abusive può creare dei benefici marginali rilevanti per i membri delle associazioni private e quindi per la stessa industria. In secondo luogo, in quanto per gli investitori il trasferimento della propria ricchezza da un mercato ad un altro ha dei costi marginali spesso più alti di quelli connessi ai comportamenti illeciti realizzati a proprio danno. Infine, l'asimmetria informativa tra le parti è così rilevante che la probabilità che gli azionisti di minoranza e gli altri agenti vengano a conoscenza della condotta illecita – prima di un “fallimento di mercato”, si intende - è molto limitata45. Sono queste ultime considerazioni che suggeriscono l'affiancamento alle associazioni dei revisori di un organo di governo pubblico, con lo specifico compito di controllare le stesse associazioni private e di intervenire nei casi di "fallimento" delle stesse nell'amministrazione delle norme poste a presidio della trasparenza e dell’integrità del mercato. Le regole sui sistemi contabili (gli US Generally Accepted Accounting Principles – noti come USGAAPS), elaborate dal lobbying delle big five, per quanto analitiche e puntigliose, non sono infatti state in grado di creare i giusti incentivi affinché venissero rese pubbliche le informazioni private. La mancanza di un intervento incisivo della mano pubblica ha acuito il problema della concorrenza di interessi “costringendo”, a qualsiasi costo (sociale), le società di revisione, gli analisti e i controllori interni a non rinunciare ai lucrosi incarichi di consulenza. Lo stesso può essere ripetuto sic et simpliciter per gli amministratori c.d. indipendenti e per “disinvolte” banche d’affari che non hanno esitato, in disprezzo delle più basilari conduct of business rules, a collocare tra i risparmiatori disinformati strumenti finanziari privi di valore. I fenomeni di selezione avversa e di azzardo morale non sono stati in alcun modo minimizzati da azioni appropriate, idonee a individuare e penalizzare gli operatori opportunisti. Tale situazione ha creato un mercato inefficiente, incapace di garantire ai prezzi dei “titoli” una rispondenza corretta alle informazioni disponibili; come conseguenza, si è prodotta una situazione di instabilità finanziaria portatrice di esternalità negative. I costi marginali associati alla crisi si sono tradotti in costi sociali, unidirezionalmente allocati ai soggetti endemicamente meno informati: i risparmiatori. 44 Cfr. L. SPAVENTA, Relazione per l’anno 2001. Discorso del Presidente della Consob al mercato finanziario, cit.; G. COLANGELO, C’era una volta in America. Gli insegnamenti presunti e i fallimenti reali dell’affare Enron, in Mercato concorrenza regole, 3, 2002, pag. 461. 45 Sul punto cfr. D. P. MCCAFFREY E D. W. HART, Wall Street Policies Itself, How Securities Firms Manage the Legal Hazard of Competitive Pressure, New York-Oxford, 1998, pagg. 6, 7 e pagg. 75 e ss. Cfr. R. COOTER, T. ULEN, Law and Economics, Law and Economics, II ed., 1997; R. COOTER, U. MATTEI, P.G. MONATERI, R. PARDOLESI, T. ULEN, Il Mercato delle Regole, Bologna, 1999. L’esperienza americana, dunque, non disattendendo le ricostruzioni teoriche elaborate da Minsky46, e le ricerche storiografiche di Kindleberger47 ha dimostrato, smentendo i pensatori neoliberisti, come nelle moderne economie finanziarie il mercato lasciato a se stesso trasforma la tranquillità in turbolenza e instabilità. È vero che gli operatori disonesti, inefficienti e irresponsabili, nell’ambito delle c.d. long run relationships, vengono sovente individuati e “messi fuori mercato”48; pur tuttavia, nel mentre possono arrecare ingenti pregiudizi alle parti meno informate, non sopportando i costi delle loro azioni. Da qui la necessità di un intervento esogeno a cui affidare il compito di intervenire per correggere i cedimenti di mercato ed assicurare integrità allo stesso. 11. Anche in Europa il tema dei sistemi contabili e della morfologia istituzionale degli stessi è al centro di un vivace dibattito che vede protagoniste le Autorità di Vigilanza dei paesi membri. Se il dibattito intorno all’istituto della revisione non può dirsi nuovissimo, tuttavia è certo che esso ha ricevuto notevole impulso da quando gli scandali Enron, World.com, Global Crossing, Qwest Communication International etc. hanno colpito al cuore la tanto ammirata corporate America. Il quadro normativo di riferimento a livello comunitario è ancora incompleto. Peraltro, già a partire dal 1996 con l’emanazione da parte della Commissione del noto Libro Verde su “Il ruolo, la posizione e la responsabilità del revisore”49, si è preso atto dell’opportunità di individuare un nucleo comune di principi in materia di indipendenza dei revisori contabili, a fronte del diffondersi del fenomeno dell’”arbitraggio normativo”. Nel 1998 a seguito della comunicazione della Commissione “La revisione contabile nell’Unione Europea: prospettive future”50 è stato costituito un Comitato UE per la revisione contabile che ha indicato il principio dell’indipendenza dei revisori come una priorità comunitaria. Da ultimo la Commissione ha approvato il 16 maggio 2002 una puntuale Raccomandazione (non vincolante) sull’indipendenza dei revisori dei conti nella UE51. Si tratta di un articolato documento che indica con precisione la strada che i paesi membri devono seguire in modo tale da assicurare “agli investitori ed agli atri soggetti che detengono un interesse in una società dell’UE un grado uniformemente elevato di certezza che i revisori incaricati del controllo di legge dei bilanci esercitino le loro funzioni in tutta indipendenza (…)” (V considerando). In particolare, la Commissione pone l’accento sulla concorrenza di interessi, statuendo che un revisore legale non deve accettare l’incarico qualora abbia con il cliente relazioni finanziarie, d’affari di lavoro o di altro genere - comprese quelle derivanti dalla prestazione al cliente di taluni servizi diversi dalla revisione “tali che un terzo ragionevole ed informato riterrebbe compromessa l’indipendenza del revisore legale” (Sezione A, premessa). 46 H. P. MINSKY, The Financial-Instability Hypothesis: Capitalist processes and the behavior of the economy, in Kindleberger and Laffargue, editors, Financial Crises, 1982. 47 C. P. KINDLEBERGER, J. P. LAFFARGUE, Financial Crises: Theory, History and Policy, NewYork: Cambridge University Press, 1982. 48 Tale fenomeno è stato studiato da noti economisti come Oliver Williamson, Ben Klein e Victor Goldberg. Cfr. anche S. MACAULAY, Non-Contractual Relationships in Business: A Preliminary Study, 28 Am. Soc. Rev. 55 (1963); B. KLEIN, K. LEFFLER, The Role of Market Forces in Assuring Contractual Performance, 89 Jour. Pol. Econ 615 (1981); R. AXELROD, The Evolution of Cooperation, New York, 1984.; R. COOTER, U. MATTEI, P.G. MONATERI, R. PARDOLESI, T. ULEN, Il mercato delle regole, cit. 49 In GU C 321 del 28 ottobre 1996. 50 In GU C 143 dell’8 maggio 1998. 51 In GU L 191/22 del 19 luglio 2002. Enunciati quindi i requisiti generali di indipendenza dei revisori legali dei conti e definito l’ambito delle persone alle quali tali requisiti devono applicarsi (sezione A), la Commissione enuncia una serie di circostanze specifiche nelle quali l’indipendenza del revisore rischia di essere compromessa e fornisce delle indicazioni in merito alle misure che un controllore deve prendere per minimizzare tali rischi in relazione ad uno specifico incarico di revisione (sezione B). Come la stessa Commissione ha avuto modo di sottolineare, l’indicazione delle misure di salvaguardia dell’indipendenza non ha carattere esaustivo, ben potendo i revisori prendere ulteriori provvedimenti necessari per raggiungere gli obiettivi generali indicati nella raccomandazione. L’intervento della Commissione è allo stato dell’arte insoddisfacente. Anche a tacere dell’ ormai dogmatica ricezione del principio del revisore privato, l’impostazione seguita è altamente formalista e in parte simile alla strada intrapresa negli USA con il Sarbanes Oxley Act; l’indipendenza del revisore contabile, infatti, viene considerata esclusivamente come “indipendenza nella forma” o, per utilizzare le stesse parole della Commissione, “indipendenza agli occhi dei terzi”. In altri termini, si tiene conto esclusivamente dell’esigenza di evitare fatti e situazioni rilevanti che, per loro natura, possano indurre un terzo a mettere in dubbio l’oggettività del revisore52, mentre, di contro, non si riflette sulle “regole dinamiche” e sull’apparato rimediale, necessarie anche se come visto non sufficienti ad amministrare ex post il complesso fenomeno del conflitto. L’inadeguatezza della raccomandazione è tanto più evidente se si considera che la stessa Commissione nel Libro verde del ’96, traendo spunto dalle indicazioni fornite dalla Fédération des Experts Compatables Européens (c.d. FEE)53, aveva sottolineato l’opportunità di avviare una riflessione sul concetto di “indipendenza di spirito”, in considerazione del fatto che “la revisione legale è un elemento fondamentale del sistema di governo di impresa (c.d. <corporate governance> )”. Sicché “per inquadrare nella giusta prospettiva la revisione legale dei conti, è fondamentale definire il ruolo dei vari organi societari”54 e chiarire la posizione dello stesso controllore a livello di valutazione dell’eventuale responsabilità in caso di “errori” (colposi o dolosi) di revisione, e ciò a prescindere dal fatto che “le tradizioni giuridiche dei vari Stati membri a livello di responsabilità civile siano notevolmente diverse”55. In estrema sintesi, la raccomandazione della Commissione si sofferma sulla predisposizione di meccanismi formali(sti) in punto di prevenzione del conflitto e, di converso, trascura gli strumenti di corporate governance improntati ad una maggior flessibilità e capaci di cogliere i vantaggi della polifunzionalità, senza rinunciare alla public responsability dei revisori infedeli e opportunisti. 12. A livello comunitario non sono inoltre mancati gli interventi finalizzati a definire, in termini di legal process, a che livello istituzionale deve essere affidata la funzione regolamentare e di monitoraggio. In merito, la Commissione ha posto in essere nel 2000 una Comunicazione - “La strategia dell’UE in materia di informativa finanziaria: la via da seguire”56 - con la quale, ribadendo quanto già emerso nel Piano d’Azione per i servizi finanziari del 1999 e nel successivo Consiglio Europeo di Lisbona, ha indicato 52 Sebbene nell’allegato alla Raccomandazione si metta in luce che il profilo dell’indipendenza del revisore comprende oltre all’indipendenza formale anche quella sostanziale, nel corpo del testo non ci si sofferma su questo secondo profilo. 53 Rôle, Statut et Responsabilité du Contrôleur Légal des Comptes dans l’Union Européenne, Annexes’, Fédération des Experts Compatables Européens, Janvier 1996, Bruxelles. Come noto, la FEE è l’organismo che svolge attività di consulenza nei confronti delle istituzioni comunitarie in materia di bilanci e contabilità. 54 Art. 4.18 del Libro Verde su “Il ruolo, la posizione e la responsabilità del revisore”, cit. 55 Art. 5.6 e 5.7 ibidem. 56 COM (2000) 359, del 13 giugno 2000. l’importanza di assicurare che la funzione di revisione legale dei conti venga esercitata a livelli qualitativi uniformemente elevati nell’ambito dell’Unione, attraverso lo sviluppo di regole comuni, anche per quanto concerne le norme etico-professionali57. Il giugno scorso il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha approvato il Regolamento comunitario che impone alle società quotate dei paesi membri di adottare, a partire dal 2005, i criteri contabili dell’International Accounting Standards (c.d. IAS)58. Si tratta di principi generali, più flessibili rispetto agli USGAAPS, capaci di rispondere alle necessità del mercato comune, assicurando un’informazione chiara, veritiera, comparabile e corretta. La scelta della Commissione e, successivamente, del Consiglio di adottare i principi IAS rispetto agli USGAAPS è certamente condivisibile: sia perché questi ultimi sono stati elaborati facendo riferimento specificamente al contesto del mercato americano, sia in quanto l’utilizzo degli IAS è stato di recente raccomandato dalla International Organization of Securities Commissions (IOSCO)59. L’utilizzo di principi contabili internazionali è un fattore positivo, fondamentale per la libera circolazione dei capitali60 e, più in generale, per la creazione di un mercato europeo efficiente e concorrenziale61. Nella sostanza62 quindi la definizione degli standard contabili per la redazione dei bilanci delle imprese europee è delegata ad un organismo non governativo: l’International Accounting Standards Board – c.d. IASB. Affidare l’elaborazione di tali principi ad un organismo non governativo, oltretutto non più 57 Per alcune riflessioni in merito all’imparzialità come questione di etica professionale cfr. E. CUSA, I requisiti delle società abilitate alla revisione legale, Quaderni del dipartimento, Università degli Stuti di Trento, 1997, pagg. 123 e ss. 58 Ovvero International Financial Reporting Standards – c.d. IFRS. 59 A Report of the Technical Committee of the International Organization of Securities Commissions, May 2000; cfr. Anche il più recente Principles of Auditor Independence and the Role of Corporate Governance in Monitoring an Auditor’s Independence. A Statement of the Technical Committee of the International Organization of Securities Commissions, October 2002. Giova ricordare che nonostante della IOSCO faccia parte anche la SEC, quest’ultima ha sempre imposto alle società che intendono quotarsi nei mercati USA l’applicazione dei principi USAGAAP, non riconoscendo, di conseguenza, valore agli stessi. Peraltro, di recente sembra esserci stata un’apertura idonea a superare le pregresse resistenze; è infatti stato raggiunto un accordo tra L’Internationa Accounting Standards Board e l’U S Financial Accounting Standards Board con il quale entrambi gli organismi si impegnano a raggiungere una reale convergenza entro il 2005. Cfr. il Financial Reporting della Commissione del 29 ottobre 2002, DN: IP/02/1576; cfr. anche SEC, Concept release on International Accounting Standards, febbraio 2000. 60 In armonia con gli obiettivi fissati dal Trattato CEE del 1957. 61 A titolo esemplificativo, è sufficiente ricordare che una società quotanda in più “borse” europee è tenuta a redigere tanti bilanci quanti sono i mercati in cui si vuole quotare. Se si considera che le norme attualmente vigenti in materia cambiano da Stato a Stato si comprende l’inefficienza di un sistema contabile “parrocchiale”, che, in contrasto con la natura globalizzata dei mercati, crea inutili costi a carico delle imprese, oltre che una situazione di incertezza a discapito dei soci e dei creditori sociali. Sul punto si rimanda allo Studio n. 4, Documento n. 13 del 22 maggio 2002, Gli IRFS nell’economia e nei bilanci delle imprese. L’armonizzazione contabile nell’Unione Europea, Osservatorio Principi Contabili Internazionali. “ La difformità dei criteri contabili adottati nella redazione dei bilanci delle imprese europee determina (…) una scarsa comparabilità tra tali bilanci e, conseguentemente, una notevole difficoltà per gli operatori economici di investire sulla base di informazioni così diverse. La mancanza di compatibilità ostacola, e per certi versi impedisce, a qualsiasi soggetto interessato all’andamento di un’azienda, di analizzare, confrontare ed elaborare le informazioni presenti nel bilancio di un’impresa di differente nazionalità”, scoraggiando eventuali investimenti e determinando, “al contempo, una difficoltà per le imprese europee di reperire capitali al di là dei propri confini nazionali”. 62 Nella sostanza in quanto da un punto di vista formale i principi sono introdotti nei paesi membri mediante regolamento. dipendente in via esclusiva dalla professione contabile63, è una scelta condivisibile, purché venga assegnato un ruolo di primo piano alla “mano pubblica” nell’attività di controllo e di implementazione degli stessi. Anche il problema del controllo, dunque, approda, come quello della disciplina, alla questione dei soggetti a cui affidare il controllo stesso: problema che a sua volta conduce al tema della definizione di un sistema istituzionale del mercato finanziario coerente ed efficiente. Sul punto la Commissione si è limitata a posticipare il problema ad un futuro intervento normativo. Il considerando n. 14 della Raccomandazione sull’indipendenza dei revisori dei conti nella UE precisa, per l’appunto, che “la Commissione intende proporre una più ampia strategia in materia di revisione contabile, nel cui ambito verranno affrontate questioni quali (…) l’instaurazione di una vigilanza pubblica sui professionisti della revisione contabile (…)”; (ma la raccomandazione non dice quando e come). A sopperire alle mancanze del “legislatore di Bruxelles” ha provveduto, in parte, il Committee of European Securities Regulators (CESR), pubblicando un documento consultivo (CESR/02-188 b) che indica ai Paesi membri la direzione da seguire in materia. Tale documento assegna un ruolo di primo piano alle Autorità amministrative indipendenti, le quali “(…) should have the responsability for enforcement of compliance of the financial information provided by the companies (…)” (principle 1). Tali amministrazioni per poter svolgere la loro attività in modo efficace, oltre ad essere dotate di ampli poteri, devono godere di risorse sufficienti, e non essere legate da rapporti di dipendenza con il governo e i principali attori del mercato. Alle autorità amministrative deve essere quantomeno attribuito il potere di monitorare le informazioni finanziarie rilevanti; di richiedere materiale suppletivo sia alle società emittenti sia alle società di revisione; di prendere tutte le misure più opportune per lo svolgimento dell’attività di enforcement, necessaria “to protect investors and promote market confidence by contributing to the transparency of financial information relevant to the investors’ decision making process” (principle 9). Anche in quegli ordinamenti, come il Regno Unito, ove alle Self Regulating Organizations viene attribuito un ruolo di primo piano, le autorità amministrative indipendenti devono conservare il loro potere ed esercitarlo incisivamente per monitorare il puntuale rispetto dei principi in materia. Nonostante gli apprezzabili sforzi fatti dal Committee of European Securities Regulators, è agevole comprendere che anche in Europa, come negli USA, la morfologia normativa sposta la partita al momento dell’implementazione. Momento che nel vecchio continente sembra ancora più lontano se si considera che l’intervento meramente consultivo del CESR does not, in any way, pre-empt the discussions currently taking place on related proposed EU directives. Peraltro, alcuni risonanti principi enunciati nel documento rischiano di rimanere un esercizio di vuota retorica se non vengono concretizzati con adeguate misure idonee a far fronte alle reali esigenze di mercato. Le autorità amministrative indipendenti devono essere dotate di adeguate risorse, ma non si specifica quali e le modalità per far fronte alle esigenze finanziarie; devono prendere appropriate misure nel caso di violazione delle regole di trasparenza e buona fede, ma ci si limita a dire, senza alcuna 63 Dall’aprile del 2001 infatti il “vecchio” committee ha riorganizzato la propria struttura, diventando board, ed ha coinvolto oltre agli esponenti della professione contabile anche rappresentanti del mondo accademico, investitori, analisti finanziari, revisori e rappresentanti degli imprenditori. specificazione, che tali misure devono essere effective, timely enacted and proportional to the impact of the detected infringement (Principle 18); devono esercitare il loro potere incisivamente anche in quegli ordinamenti ove alle Self Regulating Organizations viene attribuito un ruolo di primo piano, ma non si definiscono le competenze reciproche e le modalità di intervento, etc. Infine, pur prendendosi atto della necessità di sviluppare “transparent corporate governance systems”, non ci si sofferma a riflettere sulla struttura del mercato e si guarda con attenzione alla risposta americana ad Enron, senza di contro, tenere in considerazione gli aspetti istituzionali del modello statunitense davvero rilevanti, i caratteri più profondi di quel sistema giuridico e, soprattutto, gli apparati rimediali a disposizione dei risparmiatori pregiudicati da un comportamento opportunistico di un controllore infedele. Un atteggiamento analogo sembra potersi registrare anche in Italia. Di recente una commissione di studio sulla trasparenza delle società quotate, istituita con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 aprile 2002, e formata da autorevoli studiosi ed esponenti del mondo della finanza, ha licenziato una relazione finale ove si indica la strada da seguire affinché il nostro paese sia in grado “di segnalare per tempo l’insorgere di situazioni di crisi e di individuare le misure correttive necessarie”. La Commissione “Galgano” (dal nome del suo presidente) dopo aver enfatizzato che nel nostro ordinamento giuridico “il corretto esercizio della revisione è stato (…) elevato al rango di bene penalmente protetto”, anche attraverso l’introduzione della responsabilità “penale” degli enti, indica, nel dettaglio, le possibili soluzioni al problema dell’ “indipendenza” dei revisori, “tenendo conto degli apporti ulteriori sia della Raccomandazione UE, si della legge USA”. La soluzione legislativa indicata è orientata a dare rilevanza al conflitto di interessi statico (potenziale), ossia alla mera compresenza di interessi divergenti, imponendo stringenti divieti laddove tali situazioni si verifichino. In una prospettiva de jure condendo quindi si suggerisce: a) di mantenere inalterata la regola sull’esclusività dell’oggetto sociale (cfr. supra); b) di estendere tale divieto anche alle entità che compongo la rete, così come definita nella raccomandazione UE; c) di vietare alle società sottoposte a revisione ed alle sue controllanti e controllate di conferire incarichi diversi dalla revisione, oltre che alla società cui hanno conferito l’incarico della revisione, anche alle entità interne alla rete cui queste appartengono, se tali incarichi hanno per oggetto servizi che siano stati valutati, con regolamento Consob, come incompatibili con l’incarico di revisione; d) di rafforzare il c.d. cooling-off period64 etc. La soluzione accolta dalla Commissione affronta dunque il problema del conflitto di interessi in astratto, a prescindere dal concreto manifestarsi di un abuso; soluzione che, come si è detto, risulta inefficiente in termini di valutazione del rapporto costi-benefici. “Il fine dell’indipendenza delle società di revisione mediante il contenimento aprioristico delle naturali spinte del mercato è inutile e dannoso. Inutile perché in un mercato in continua evoluzione è impossibile individuare in anticipo tutte le possibili cause di dipendenza dei revisori; dannoso, perché un simile sforzo finirebbe per limitare l’attività dei revisori, con evidente nocumento ai principi della libera concorrenza e del libero mercato, anche laddove l’indipendenza degli stessi non fosse concretamente in pericolo”65. Si guarda con attenzione al Sarbanes Oxley Act e lo si ammira per la severa tutela penale che ha apprestato, mentre non si indaga sulla struttura più profonda del sistema statunitense, i cui caratteri sono 64 65 Cfr. nota n. 18. cfr. C. RABITTI BEDOGNI, L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, cit., pag. 32. “difficilmente riscontrabili nel nostro sistema” e probabilmente difficilmente importabili66. Con l’emanazione del Testo Unico della Finanza si è già persa una straordinaria occasione per riscrivere, nel settore in esame, la disciplina delle regole rimediali basate sugli assiomi dei regimi della responsabilità civile. La riforma in atto impone (anche) al legislatore domestico di non abdicare nuovamente al suo compito. 13. Gli addetti ai lavori guardano con attenzione, e sovente ammirazione, alla recente reazione politicoistituzionale americana. Qualche irriducibile ideologo del libero mercato dirà che si tratta di un’altra eccellente prova del sistema istituzionale d’oltre oceano che, con i suoi checks and balances, individua qualunque problema. Un’ osservatore imparziale noterà l’ enorme spreco di risorse istituzionali, e l’ evidente vantaggio per gli special interests, riusciti non soltanto nell’intento di autoregolamentarsi ma in quello, più ambizioso, di farlo senza alcun controllo pubblico efficace. Chi osserva senza pregiudizi dalla sponda europea vorrà almeno importare dagli Stati Uniti una di quelle scritte che accompagnano ogni prodotto offerto su quel mercato: Warning: si rischia di importare, senza saperlo, un prodotto difettoso! 66 Cfr. F. SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, cit., pagg. 208 e ss.