Visualizza

annuncio pubblicitario
Infezioni ospedaliere: in Italia fino a 700mila l’anno
In Ue sono ogni anno 4,1 milioni i pazienti che si ammalano
di infezione in ospedale. E la stima del Centro europeo
per la prevenzione e il controllo delle malattie
(Ecdc) sale fino a 4,5 milioni di casi, se si considera che i
pazienti possono essere colpiti da più di un’infezione
durante lo stesso ricovero.
Un fenomeno sempre più preoccupante anche in
Italia, dove le infezioni nosocomiali sono tra 450 mila e
700 mila all’anno, mortali nell’1% dei casi. Eventi che
allungano la permanenza in ospedale, e che anche per questo pesano sul Servizio sanitario nazionale
con costi annuali superiori a 1 miliardo di euro.
L’emergenza è in crescita, avvertono gli esperti intervenuti ieri a Milano a un incontro sul tema.
L’allarme riguarda in particolare i “super-batteri” resistenti agli antibiotici, responsabile di quasi
un’infezione ospedaliera su 5, il 16%. E soprattutto il Mrsa (stafilococco aureo resistente alla
meticillina), responsabile dell’8% delle infezioni ospedaliere. Si stima che in Europa questo germe
sia la causa del 50% dei casi di infezioni del sangue, della cute, dei tessuti molli e dei polmoni. In
questi contesti clinici, la frequenza delle infezioni da Mrsa varia da meno dell’1% del Nord Europa
al oltre il 50% del Sud, con punte del 60% nelle Terapie intensive
Infezioni ospedaliere, Oms: in Europa scarsa igiene ne causa 4 milioni l’anno
In Europa, ogni anno, più di 4 milioni di pazienti sono colpiti da circa 4,5 milioni di episodi
di infezioni ospedaliere legate alla cura, che provocano 16 milioni di giorni di ulteriore
permanenza in ospedale, 37mila decessi e costano 7 miliardi l’anno.
In Italia 20 decessi al giorno per
infezioni in corsia, ogni anno colpite 400
mila persone
Da Nord a Sud nessuna struttura ospedaliera ne è
immune: parliamo delle infezioni contratte dai
pazienti in corsia, durante il ricovero. Ogni anno
ne
vengono
colpite
circa
400
mila
persone:polmoniti, setticemie e infezioni
da
catetere le più comuni. E in alcuni casi è proprio
questa la causa dei decessi in ospedale: il 2% dei
pazienti che contraggono un’infezione in corsia
muore, circa 8 mila l’anno. Praticamente, in
media, oltre 20 al giorno. I più a rischio i
pazienti deboli, immunodepressi, malati cronici. A tracciare il quadro della situazione è il
consulente dell’Istituto Superiore di Sanità Antonio Cassone, docente universitario di
Microbiologia che ha condotto per l’ISS una indagine in 50 ospedali della penisola. Grazie a
un’applicazione più forte delle norme di prevenzione e al lavoro dei team di controllo attivati nei
grandi ospedali italiani le infezioni ospedaliere sono in lieve calo, ma certo i dati restano
preoccupanti, anche se, avverte Cassone, è possibile un certo margine di errore perché per avere dati
assolutamente certi sarebbe necessario analizzare i singoli ospedali e i singoli reparti.
Comunque, in base alle ultime ricerche, il fenomeno è in diminuzione: il precedente rapporto
dell’Iss indicava infatti in 500 mila il numero dei casi di infezioni ospedaliere l’anno. Ma il pericolo
rimane sempre alto. “Altissimo”, precisa Cassone “Anche se – sottolinea – in linea con quanto si
registra negli Stati Uniti e negli altri Paesi europei”. I circa 400 mila casi di infezioni sono infatti da
rapportare agli oltre 9 milioni di ricoverati l’anno. Vale a dire una percentuale di circa il 5%, che in
alcuni reparti può però salire di molto. “Nei reparti di chirurgia o in quelli di terapia intensiva la
percentuale di infezioni sistemiche di tipo settico può salire fino all’11-12%. E – sottolinea Cassone
– non è un caso. E’ proprio in queste unità che si trovano i pazienti più deboli, con le difese
immunitarie più basse”. Nonostante il buon lavoro degli organismi di controllo si potrebbe però
fare molto di più. Almeno il 30% di queste infezioni sono potenzialmente prevenibili”,
spiega l’esperto “Per combatterle servono però misure preventive, una su tutte: il rispetto delle
misure di igiene del personale medico e infermieristico, ad esempio il lavaggio accurato delle
mani”. E ancora: “La pulizia degli ambienti, la manutenzione degli impianti di aerazione e delle
condutture dell’acqua. Ma anche – aggiunge Cassone – il rispetto di alcune regole fondamentali,
come quella di non uscire dal reparto con il camice, oppure limitare il numero dei visitatori o del
personale di altri reparti”. Importante anche fare un uso appropriato degli antibiotici. “Il ricorso
esagerato a questo tipo di farmaci – spiega Cassone – crea infatti il cosiddetto fenomeno
dell’antibioticoresistenza. I batteri presenti nell’ambiente col tempo diventano resistenti agli
antibiotici, favorendo l’entrata in circolo di queste infezioni. Quindi, antibiotici sì, ma mirati”.
Che le infezioni rappresentino un grosso pericolo lo dimostrano anche le cronache di questi giorni.
Casi già finiti sotto l’occhio attento della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori e
disavanzi sanitari, presieduta da Leoluca Orlando. I due episodi più recenti riguardano l’Aurelia
Hospital di Roma, struttura privata convenzionata, dove “in soli nove mesi (da gennaio 2009 a
settembre 2009) sono stati registrati 80 casi di infezione ospedaliera provocata dall’Acinetobacter
baumannii”, microrganismo infettivo molto pericoloso. Infezioni che – secondo i documenti raccolti
dalla Commissione – avrebbero provocato la morte di 26 pazienti. All’esame della Commissione di
Orlandoanche il caso delle sospette infezioni da Aspergillo (una muffa che può causare problemi a
carico soprattutto dell’apparato respiratorio), su cinque neonati all’ospedale Gaslini di Genova.
All’attenzione della Commissione c’è anche un decesso di una paziente, in seguito a due arresti
cardiaci che potrebbero essere ricondotti a infezione da Acinetobacter, avvenuto lo scorso 17
maggio nell’Unità di terapia intensiva del reparto di neurochirurgia del Policlinico Umberto I di
Roma, struttura che – come emerge dalle carte della Commissione – fu protagonista, al termine
degli anni ’90, di ripetuti scandali legati a drammatici casi di infezione. Tante le segnalazioni che
giungono ogni anno anche al Tribunale per i diritti del malato. Ma oltre a essere un’insidia per la
salute, le infezioni ospedaliere rappresentano anche un costo salatissimo per il Servizio sanitario
nazionale. Secondo Vilma Rigobello presidente Simpios (Società Italiana Multidisciplinare per
la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie) ”L’impatto economico sul sistema
sanitario è superiore a un miliardo di euro all’anno e l’onere maggiore è rappresentato dal
prolungamento della degenza: il 7,5-10 % delle giornate di ricovero è infatti imputabile
all’insorgenza di una complicanza infettiva”. Il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo
delle malattie (Ccm), organismo di coordinamento tra il ministero della Salute e le Regioni per le
attività di sorveglianza, prevenzione e risposta tempestiva alle emergenze, ha promosso una serie di
progetti in tema di prevenzione e sorveglianza delle infezioni ospedaliere. Iniziative che
sembrerebbero far emergere notevoli differenze tra Regioni nelle modalità di attuazione dei
programmi. “Gli ospedali più attivi – spiega Rigobello – sono prevalentemente collocati in regioni
che hanno definito programmi di intervento, quali Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia,
Toscana, Friuli”. La comunità scientifica internazionale e Istituzioni quali l’Organizzazione
mondiale della sanità e l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) da
tempo cercano di contrastare questo fenomeno con programmi di formazione, di prevenzione, di
sorveglianza epidemiologica e di controllo. “Addirittura in molti Paesi – sottolinea Rigobello – la
frequenza delle infezioni ospedaliere è uno degli indicatori della qualità assistenziale”. Nel 2005
l’Oms lanciò a livello mondiale la campagna “Clean Care is Safer Care”, con l’obiettivo di
promuovere l’igiene delle mani degli operatori sanitari in quanto misura universalmente
riconosciuta e fortemente raccomandata nella prevenzione delle infezioni ospedaliere. In Italia la
partecipazione è stata molto ampi. “Questi esempi – sottolinea Rigobello – dimostrano chiaramente
che a supporto dell’organizzazione di un ospedale è basilare la presenza e la presa in carico del
problema delle Istituzioni, in caso contrario, il fenomeno delle infezioni ospedaliere è destinato a
non migliorare”. Ma, aggiunge, “fondamentale è anche coinvolgere i cittadini perché una buona
politica di prevenzione delle infezioni richiede anche corretta informazione e partecipazione della
persona ricoverata”.
Scarica