Accertamento induttivo: la sentenza della Cassazione Internet diventa fonte di prova per il Fisco La sentenza della Corte di Cassazione n. 9732/2015 legittima il ricorso ad Internet tra i metodi per l’accertamento induttivo, come fonte di prova. Il pronunciamento conferma l’orientamento della giurisprudenza secondo cui, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, è possibile accertare un maggior reddito sulla base delle cosiddette “presunzioni semplici”. La decisione si fonda sul principio contenuto nell’art. 2729 del codice civile sull’utilizzabilità delle presunzioni semplici e precisa che, diversamente da quanto accade per le presunzioni legali (come gli Studi di Settore): L’orientamento della giurisprudenza è che il giudice possa far discendere il proprio convincimento esclusivamente da presunzioni semplici, fondandolo anche su un’unica presunzione di tale tipologia, anche contrastante con eventuali altri elementi acquisiti nel corso del procedimento a patto che gli indizi presunti siano ritenuti “gravi precisi e concordanti“, tali da dichiarare non attendibili i suddetti altri elementi ulteriori. In questo modo la prova per presunzione semplice diventa una prova completa, dotata del medesimo valore probatorio degli altri espedienti e prevalente nel convincimento del giudice. Sentenza Cassazione Nel caso in esame l’Amministrazione finanziaria aveva accertato ad una società immobiliare (sotto la sentenza completa) i cui redditi apparivano formalmente esigui e la contabilità in regola, elementi di fatto in palese contrasto quali un alto numero di inserzioni promozionali su Internet per gli immobili da vendere, agende dense di numerosi appuntamenti e block notes pieni di appunti. Elementi “gravi, precisi e concordanti” che apparivano in netto contrasto con l’estremamente ridotto numero di incarichi ufficialmente ricevuti e risultanti ai fini fiscali e che hanno giustificato la rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria dei redditi dichiarati dalla società e dai suoi soci. Il ricorso presentato dalla società è stato rigettato, per gli stessi motivi, prima dai giudici di merito e poi dalla Sezione Tributaria della Cassazione. Trattandosi di presunzioni semplici i contribuenti avrebbero dovuto dimostrare l’inesistenza del nesso causale tra le presunzioni operate dall’Amministrazione finanziaria e l’accertamento del maggior reddito. Il ruolo di Internet Elemento di particolare interesse, da sottolineare, è il fatto che quale indizio utile all’avvaloramento delle presunzioni siano state anche delle informazioni ricavate su Internet, le quali sono state considerate elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che hanno giustificato l’accertamento induttivo. Fonte: Cassazione – sentenza n. 9732/2015. Induttivo: i metodi legittimi per la Cassazione Le sentenze della Corte di Cassazione e le varie tipologie di accertamenti induttivi legittimati. Con la sentenza n.9732/2015 ha confermato l’ammissibilità di diversi metodi per ricostruire i ricavi dell’azienda in caso di accertamento induttivo tra i quali quello di analizzare il numero di tovaglioli utilizzati, listino prezzi, l’acqua minerale e le inserzioni pubblicitarie sulle riviste di settore. E questo anche nel caso in cui le scritture contabili risultino formalmente regolari. Il caso Il caso in esame riguardava una società d’intermediazione immobiliare le cui provvigioni percepite nell’esercizio dell’attività erano state ricostruite dal Fisco induttivamente sulla base delle inserzioni pubblicitarie pubblicate su una rivista di settore. Dunque alla società era stato notificato un avviso di accertamento a fini IVA e IRAP. Chiamata in causa, la Cassazione ha confermato la legittimità del recupero operato dal Fisco. Metodi indagine legittimi In altri casi la Corte aveva stabilito la legittimità di altri metodi di indagine per la ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi d’impresa fondata sulla base della valutazione dei consumi unitari di determinate materie sussidiarie o beni di consumo. Ad esempio con la sentenza n. 9884/2002 veniva dichiarato legittimo l’accertamento induttivo basato sul calcolo del consumo unitario dei tovaglioli impiegati, poiché “il numero di questi, rappresenta un fatto noto capace, anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente, cioè del tutto legittimamente (senza che intervenga la mediazione di alcun “terzo fattore” o l’applicazione di alcuna presunzione di secondo grado), presumere il numero di pasti effettivamente forniti dall’impresa di ristorazione, così da ricostruirne i ricavi in sede di accertamento analitico-induttivo di tali specifiche poste”. In linea con tale sentenza anche la n. 18475/2009 con la quale la Corte ha ribadito la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo basato sul numero dei tovaglioli utilizzati (il cosiddetto “tovagliometro“) nel caso in cui dalle indagini effettuate emergano gravi incongruenze. Da sottolineare che tale elemento, può essere utilizzato anche dal contribuente, oltre che dal Fisco, per fornire la prova contraria all’accusa di evasione. Con la sentenza n. 17408/2010 la Suprema Corte arrivava a conclusioni simili per il consumo unitario di acqua minerale. Legittimi anche gli accertamenti basati su: • la percentuale di ricarico applicata dal contribuente sul costo del venduto rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza (sentenza Cassazione n. 1007/2009); • le risposte pervenute all’Amministrazione finanziaria ai questionari inviati ai clienti (sentenza n. 22122/2010); • le inserzioni pubblicitarie immobiliari (sentenza n. 9732/2015). Fonte: sentenza n.9732/2015 – Corte di Cassazione.