l`italia e il sacro romano impero germanico prof . marcello pacifico

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“L’ITALIA E IL SACRO ROMANO IMPERO
GERMANICO”
PROF. MARCELLO PACIFICO
L’Italia e il sacro romano impero
germanico
Università Telematica Pegaso
Indice
1
L’ITALIA DURANTE LA CRISI DELL’IMPERO--------------------------------------------------------------------- 3
2
IL PAPATO E IL SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO ---------------------------------------------------- 6
3
ITALIA E IMPERO NELL’ANNO MILLE ----------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’Italia durante la crisi dell’Impero
All’interno del complesso quadro socio-politico dell’Europa nel X secolo l’Italia mostrò
caratteri particolari; nei suoi territori si verificarono tutti i fenomeni esistenti nel resto dell’Europa
ma ciò che la caratterizzò fu la coesistenza di localismo (esasperato particolarismo politico) e
universalismo (presenza di autorità con funzioni universali).
Il quadro politico della penisola era molto frammentato in quanto esistevano diverse entità
sul piano giuridico-politico: l’Italia settentrionale e quella centrale formavano il Regno d’Italia a cui
fu pure associata la dignità imperiale; Puglia, Basilicata, Calabria meridionale e parte della
Campania erano inserite nell’impero bizantino; i territori meridionali (ducato di Benevento, Salerno
e Capua) erano in mano ai Longobardi nel 902 gli Arabi avevano completato la conquista della
Sicilia.
I territori italiani divennero perciò luogo di scontro tra l’impero bizantino e quello
germanico che si contendevano il controllo sui territori longobardi.
La sovranità bizantina sui ducati di Gaeta, Napoli e Amalfi era teorica poiché si erano
insediate delle dinastie locali che per difendere i loro domini non avevano esitato ad allearsi con i
Saraceni.
Il papato inoltre costituiva un elemento di grande complicazione nel quadro politico italiano
poiché il papa oltre a rivendicare la sua funzione universale si ostinava a voler mantenere la sua
signoria su Lazio, Marche e Umbria. In Italia si sentì forte anche la minaccia araba: infatti dopo
aver completato la conquista della Sicilia, gli arabi si spostavano in tutto il Mediterraneo
occidentale e nel Mezzogiorno d’Italia.
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Il Regno d’Italia dopo la deposizione di Carlo il Grosso fu attribuito al marchese del Friuli
Berengario, il primo di una lunga serie di re che si susseguirono in modo rapido e caotico. Nell’889
contro di lui si mosse il duca di Spoleto Guido II il quale riuscì a sconfiggerlo e ad appropriarsi
dell’ormai inutile titolo di imperatore.
Nell’894 gli successe il figlio Lamberto II che riuscì a mantenere il potere per soli quattro
anni a causa delle pressioni sia di Berengario, il quale non aveva mai rinunciato a riconquistare il
titolo, sia del re di Germania Arnolfo di Carinzia, al quale si rivolse papa Formoso (891-896) per
sottrarsi dalla pressione che Lamberto esercitava sui domini pontifici.
Arnolfo fu riconosciuto re dai feudatari italiani e incoronato imperatore dal papa nell’896:
purtroppo però, fu colpito da paralisi e Lamberto continuò a governare fino all’898, anno della sua
morte.
Berengario riprese le sue attività e intraprese una disastrosa spedizione militare contro gli
ungari; la sua sconfitta lo rese debole e i suoi nemici gli contrapposero Ludovico di Provenza.
Tra i due nacque una forte rivalità alimentata dalla nobiltà italiana che in base ai bisogni del
momento accettava diverse autorità.
Nel 905 Berengario I riuscì a porre fine alla disastrosa situazione sconfiggendo Ludovico e
rimandandolo in Francia: sconfisse i Saraceni nel 915 e ottenne dal papa Giovanni X la corona
imperiale.
Nel 924 Berengario fu sconfitto definitivamente da Rodolfo di Borgogna; questi nel 926 fu
scalzato da Ugo di Provenza che detenne il potere fino la 946 grazie all’appoggio dei marchesi di
Toscana.
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Il suo progetto di dare contenuto effettivo al titolo imperiale causò malumori tra i feudatari:
questi gli contrapposero il marchese di Ivrea Berengario, che godeva dell’appoggio del re di
Germania Ottone I di Sassonia.
Ugo fu sconfitto e nel 950 Berengario II fu incoronato re d’Italia; l’anno successivo
Adelaide (la vedova di Lotario, figlio di Ugo) si rivolse a Ottone I perché era perseguitata da
Berengario. Ottone I colse l’occasione per inserirsi nelle vicende politiche italiane così nel 951
sposò la donna e scese in Italia dove si impose a tutti i feudatari, compreso Berengario, il quale
riuscì a conservare il regno in qualità di vassallo.
Il papa Giovanni XII, sentendosi in pericolo, chiese aiuto a Ottone: questi nel 961 tornò in
Italia e sconfiggendo definitivamente Berengario II cinse sia la corona regia che quella imperiale.
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2 Il papato e il Sacro Romano Impero Germanico
Il papato senza il sostegno del potere imperiale aveva perso il suo ruolo privilegiato
all’interno della Cristianità occidentale; ben presto si provò a dover fronteggiare l’aristocrazia
romana che divenne arbitra dell’elezione papale, che perse la sua dignità usurpando il patrimonio
fondiario della Chiesa mentre la città di Roma diventava sempre più povera e spopolata.
Sul soglio pontificio si succedevano pontefici che portavano sempre più in basso la dignità
papale (ben 21 papi) tra 887 e il 962.
In quel periodo a Roma aveva grande influenza la famiglia dei conti di Tuscolo. Marozia,
discendente dei Tuscolo, nel 932 aveva sposato il re d’Italia Ugo di Provenza sperando che il figlio
di questa, Giovanni XI, potesse fargli ottenere la corona imperiale.
Il fratello del papa, Alberico, popolare per fermare questa incoronazione e fino al 954
governò sapientemente la città e il papato con il titolo di «principe e senatore dei Romani».
Alberico non permise a nessun sovrano di entrare a Roma per essere incoronato come
imperatore per cui l’impero dal 924 era rimasto vacante; solo suo figlio, salito al seggio pontificio
con il nome di Giovanni XII, permise nel 962 a Ottone I di ricevere da lui la corona imperiale.
Ottone tuttavia nel 963 lo fece dichiarare decaduto da un sinodo.
Per Ottone di Sassonia essere incoronato imperatore rappresentava il coronamento di una
lunga e intensa attività politico-militare intrapresa prima di lui da suo padre, Enrico Uccellatore
(919-936).
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Ai tempi di Enrico il regno dei Germani era costituito dai ducati di Sassonia, Franconia,
Svevia, Baviera e Lorena; non si sa con certezza se questi territori avessero una comune base etnica
ma quel che è certo che i funzionari pubblici e l’aristocrazia riuscirono a dar vita a grandi
formazioni politico-territoriali e a far nascere nella popolazioni una coscienza di appartenenza
popolare.
Durante il regno di Ottone, nel X secolo, la coscienza nazionale tedesca si radicò ancor di
più anche perché Ottone si impegnò ad esercitare la sua autorità in modo omogeneo in tutti i ducati
e inoltre molti dei suoi familiari erano a capo dei ducati.
Ottone godette dell’appoggio dei vescovi che il re coinvolse nel governo delle contee e delle
città dotandoli anche di nuclei armati e in cambio chiese maggiore rigidità dei costumi religiosi
cercando inoltre di riavviare gli studi nelle abbazie e nei monasteri.
Il re si configurò come vero capo religioso della Chiesa tedesca avendo piena libertà nella
nomina di vescovi e abati che venivano scelti tra i membri delle famiglie a lui più fedeli.
L’incoronazione a Roma nel 962 fu paragonata dai contemporanei a quella di Carlo Magno
poiché si ripresentarono le condizioni per la ricostituzione di un saldo impero basato su uno stretto
connubio tra Stato e Chiesa, sulla ripresa di un’attività culturale, religiosa e su un riordinamento
dell’apparato statale.
Come
fu
anche
per
l’impero
carolingio,
il
nuovo
impero
trasse
ispirazione
dall’universalismo dell’antica Roma a dalla missione di protettori della Cristianità e del papato.
Ottone risedette in Italia dal 961 al 964, negli anni di questa sua permanenza cercò di
risollevare le condizioni del papato avvilito dai troppi anni senza una guida forte e in mano
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all’aristocrazia romana. Per prima cosa depose Giovanni XII e si prese l’incarico di garantire la
correttezza dell’elezione papale.
Nel 966 Ottone ritornò in Italia e rimase per ben sei anni; nel 967 fece incoronare imperatore
il figlio Ottone II e dopo si diresse verso sud per conquistare i territori longobardi e bizantini.
Con i Longobardi non ebbe grosse difficoltà visto che i principi di Benevento e Capua si
riconobbero suoi vassalli; a Bari invece nel 968 fu sconfitto e trattò con l’imperatore orientale
Niceforo Foca con scarsi risultati. Altre trattative si svolsero con il successore di Niceforo,
Giovanni Zimisce, il quale nel 972 riconobbe il titolo a Ottone e acconsentì alle nozze tra e Ottone
II e la principessa Teofane la quale portava come dote i territori bizantini dell’Italia meridionale.
Ottone I morì nel 973 lasciando una costruzione politica abbastanza stabile grazie
all’appoggio dei vescovi che aveva ottenuto grazie alla sua lunga residenza in Italia; ma per suo
figlio Ottone II governare non fu così facile visto che dovette affrontare molte situazioni difficili: in
Germania i duchi di Lorena, Svevia e Baviera volevano recuperare la loro indipendenza; in Italia la
situazione si complicò in quanto a Roma l’aristocrazia aveva ripreso potere uccidendo il filo
imperiale Benedetto VI e eleggendo Bonifacio VII
nella parte meridionale della penisola i Longobardi stavano organizzando rivolte, i Saraceni
avevano iniziato a fare le loro incursioni e i Bizantini non si curavano più dei patti stipulati tra
Ottone I e Zimisce.
Nel 980 Ottone scese in Italia e arrivò a Roma; nel 982 fu sconfitto dai Saraceni in Calabria
e nel 983 morì a soli 28 anni.
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Il suo erede, Ottone III, era ancora piccolo e la reggenza spettò prima alla madre Teofane e
poi alla nonna Adelaide; nel 996 compì 16 anni e poté raccogliere l’eredità del padre. Con lui si
rinvigorì il carattere universale dell’impero e il suo connubio con la Chiesa.
Come primo atto Ottone III nominò pontefice un suo parente, Gregorio V (996-999) e
quando questi morì nominò il suo maestro che prese il nome di Silvestro II (999-1003).
Per tenere sempre saldi i rapporti con il pontefice Ottone III si trasferì a Roma; il suo
programma di restaurazione dell’impero prevedeva la sottomissione di tutte le podestà terrene
riproponendosi di guidare la Cristianità alla felicità terrena e alla salvezza eterna.
I suoi progetti furono però utopistici e si scontrarono: con le pretese dell’aristocrazia tedesca
scontenta per la poca considerazione avuta dall’imperatore, con i grandi feudatari italiani che non
gradirono la perdita della loro indipendenza e con l’aristocrazia romana che non accettava di aver
perso la supremazia sul papato.
Il risultato di questo clima così teso furono varie rivolte: nel 999 ci fu quella dei feudatari
capeggiati da Arduino di Ivrea e nel 1001 quella dei Romani che costrinse Ottone a lasciare Roma.
Nel gennaio 1002 Ottone III moriva a soli 22 anni senza lasciare eredi.
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3 Italia e Impero nell’anno Mille
Il successore di Ottone III fu il cugino Enrico II il quale scelse di concentrare i suoi sforzi
nella restaurazione del potere imperiale in Germania contro gli aristocratici tedeschi e le nuove
incursioni degli Slavi. Anche Enrico si avvalse dell’appoggio dei vescovi e favorì una riforma
religiosa indirizzata al rigore e allo studio.
In Italia intanto nel 1002 venne incoronato re a Pavia Arduino d’Ivrea che si faceva
portavoce di tutti coloro che non avevano mai gradito né lo stretto legame dell’imperatore di
Germania con il Regno d’Italia né l’eccessivo potere dei vescovi.
I grandi feudatari si divisero il regno ma costituivano sempre una minoranza a confronto dei
grandi feudatari ecclesiastici che appoggiavano Enrico II che nel 1004 valicò la Alpi e riconquistò
la corona di re d’Italia. Arduino tentò per ben dieci anni di riconquistare la corona ma alla fine
dovette arrendersi.
Nel 1014 Enrico II si era fatto incoronare imperatore dal papa Benedetto VIII; sia Benedetto
VIII che il suo successore Giovanni XII appartenevano all’aristocratica famiglia romana dei
Tuscolo e ciò dimostra come gli imperatori tedeschi avessero difficoltà a contrapporsi
all’aristocrazia romana e non avessero un potere effettivo in Italia.
La situazione politica del regno era complicata anche perché a causa delle continue
incursioni saracene e ungare, la vitalità delle città legate ai loro valori tradizionali e la presenza di re
continuamente in armi, non avevano permesso la formazione dei grandi principati capaci di
coordinare le forze signorili locali.
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Le città italiane si erano notevolmente accresciute durante il regno di Ottone; tutti i vescovi
risiedevano nelle città e contavano molto nelle comunità cittadine per dare basi solide alle loro
attività politiche.
Le comunità cittadine erano ben liete di appoggiare le attività dei vescovi e dell’imperatore
poiché questo consentiva loro di avere libertà di movimento e di essere coinvolti attivamente nella
vita politica locale.
Il nuovo imperatore Corrado II (1024-1039) cercò di affermare l’autorità imperiale in
Lombardia che negli anni Trenta del XI secolo stava attraversando momenti di tensione a causa dei
contrasti tra il vescovo di Milano Ariberto d’Intimiano che, insieme all’alta nobiltà, cercava di
impedire la trasmissione ereditaria dei feudi minori per impedire la crescita della piccola nobiltà.
Corrado II giunse in Italia nel 1026 e si schierò con i valvassori (la piccola nobiltà)
nonostante la nobiltà maggiore fosse filoimperiale e nel 1037 emanò la Constitutio de feudis con la
quale assicurava ai valvassori l’ereditarietà dei feudi.
Nota anche come “Edictum de beneficiis regni Italici”, la “Constitutio de feudis” è un editto
emanato da Corrado II il Salico, Imperatore del Sacro Romano Impero, il 28 maggio 1037 a
Milano, volto a smorzare le proteste dei feudatari minori che nel frattempo si erano ribellati contro
l’arcivescovo di Milano, da tempo alleato dei grandi feudatari laici e ecclesiastici e a regolare
l’ereditarietà dei feudi minori a quasi un secolo e mezzo di distanza di un altro celebre editto, il
“Capitolare di Quierzy” emanato nell’877 da Carlo II il Calvo, in base al quale venne disposto il
passaggio per via ereditaria dei feudi maggiori.
La “Constitutio de feudis”, quindi, estendendo ai vassalli di rango inferiore i benefici di cui
già da molto tempo usufruivano i maggiori feudatari, parificava le gerarchie sociali feudali, poiché i
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vassalli minori potevano essere giudicati da loro pari e soprattutto trasmettere i loro diritti di feudo
ai propri figli, anche in caso di donne e minori, contribuendo, oltre a tutto, a quel processo di
scomposizione del sistema feudale che oramai sembrava inarrestabile, in particolare nelle zone,
come dell’Italia centrale e settentrionale o della Germania affacciata sul Mar Baltico, dove era più
dinamico e vivace il risveglio civile e commerciale delle città.
E' stata la progressiva individualizzazione del rapporto uomo/terra che ha portato alla
rinascita delle città intorno al Mille: cosa che, senza Capitolare di Quierzy e Constitutio de feudis,
sarebbe stata impossibile.
Quei due provvedimenti legislativi, infatti, togliendo alla figura dell'imperatore il suo
carattere di sacralità e di equidistanza, rispetto agli opposti interessi particolari, avevano in un certo
senso reso "prosaica" la vita della comunità medievale. Se a livello locale la comunità era gestita da
un signorotto che fino a poco tempo prima aveva avuto un rapporto di dipendenza nei confronti del
proprio sovrano e che ora invece si comportava come se nel proprio feudo egli fosse una sorta di
imperatore minore, allora tutti potevano agire nei suoi confronti com'egli aveva agito nei confronti
del suo sovrano, e cioè strappandogli progressivamente il potere politico.
Già il passaggio dal Capitolare di Quierzy alla Constitutio de feudis aveva dimostrato questa
tendenza in rapporto alla classe nobiliare. Ora la tendenza poteva estendersi sul piano dei rapporti
tra classe feudale e borghesia, e i documenti che sancivano questa tendenza all'esproprio dei poteri
politici erano senza dubbio gli Statuti comunali. Non poteva esistere un documento unico, come
appunto i due già citati, poiché non esisteva più un'autorità unica, il cui riconoscimento non andasse
al di là della pura forma, ma esistevano tante autorità locali (conti, visconti, marchesi, duchi,
baroni), il cui potere non era solo formale ma molto reale.
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Le città borghesi, appoggiate dai vescovi-conti voluti dagli Ottoni di Sassonia, tolsero potere
ai signorotti locali e cominciarono a ridimensionare ulteriormente quello degli stessi sovrani
imperiali. La chiesa romana infatti voleva porsi come unico sovrano imperiale e, per poterlo
diventare, doveva prima, con l'aiuto delle città (che nell'Alto Medioevo costituivano l'anello debole
del sistema agrario feudale), eliminare progressivamente le pretese del sovrano concorrente.
Corrado II aveva anche deciso di deporre l’arcivescovo di Milano ma la popolazione
cittadina si oppose vittoriosamente alle truppe imperiali costringendo Corrado a ritornare in
Germania.
Anche il sud della penisola italiana nel corso del X secolo conobbe un processo di ripresa
economica e demografica soprattutto in Campania e Puglia, regioni tra le più urbanizzate del tempo.
Città come Amalfi, Gaeta, Napoli, Salerno, Bari, Taranto e Reggio si erano sviluppate molto
grazie ai commerci con il mondo bizantino e i contatti con quello arabo; in queste città (sia
bizantine che longobarde) erano nati nuovi ceti sociali legati alle attività commerciali e artigianali e
pian piano emergeva sempre di più una coscienza cittadina che era consapevole di poter avere un
ruolo politico.
Le differenze tra città bizantine e longobarde erano più nette fuori dei centri urbani: nelle
zone longobarde ci fu la tendenza alla creazione di signorie fondiarie e territoriali per iniziativa dei
funzionari pubblici che tendevano a radicarsi sul territorio e sottrarsi ai poteri del principe.
Il potere di questi funzionari non aiutava alla diffusione di un clima di sicurezza e proprio
per questo anche al Sud si assistette al fenomeno dell’incastellamento.
Le aree bizantine di Puglia, Basilicata e Calabria erano organizzate in tre aree, Longobarda,
Lucania e Calabria poste ognuna sotto il controllo di uno stratega bizantino e nel X secolo per
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creare un ancora più stabile rapporto con Bisanzio esse furono inserite nel catepanato d’Italia con
sede a Bari.
I Bizantini cercarono anche di avere l’appoggio dei vescovi e di sottometterli all’autorità di
Costantinopoli concedendo titoli onorifici ai membri del ceto dirigente locale; potenziarono ancor di
più l’efficiente struttura amministrativa e cercarono di far diffondere i modelli culturali e spirituali
del mondo bizantino.
Tutto questo fu messo in atto con il solo obiettivo di dare stabilità alla dominazione
bizantina nel sud Italia che di certo appariva molto diversa se confrontata alle formazioni politiche
successive al regno carolingio.
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Bibliografia
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