antitrust

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“ANTITRUST”
PROF. VALERIO IORIO
1
Indice
1
LA NASCITA DEL DIRITTO ANTITRUST NELL'ESPERIENZA STATUNITENSE ED EUROPEA
3
1.1 NOZIONE DI DIRITTO ANTITRUST------------------------------------------------------------------------------ 3
1.2 LE RAGIONI DI UN DIRITTO ANTITRUST ------------------------------------------------------------------------ 4
2
LA NASCITA DEL DIRITTO ANTITRUST NEGLI STATI UNITI ------------------------------------------ 6
2.1 LO SHERMAN ANTITRUST ACT ------------------------------------------------------------------------------------- 6
2.2 IL CASO “STANDARD OIL” -------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3
LA NASCITA DEL DIRITTO ANTITRUST IN EUROPA------------------------------------------------------ 9
3.1 LE RAGIONI STORICHE ED I PRESUPPOSTI ECONOMICI ---------------------------------------------------- 9
3.2 LA LIBERA CONCORRENZA NEL TRATTATO DI ROMA ----------------------------------------------------- 10
3.3 LA LIBERA CONCORRENZA TRA LE IMPRESE ----------------------------------------------------------------- 11
3.4 IL DIVIETO DELLO SFRUTTAMENTO ABUSIVO DELLA POSIZIONE DOMINANTE ----------------- 13
4
IL RISARCIMENTO DEL DANNO ANTITRUST NELLA DISCIPLINA COMUNITARIA ED I
CONFRONTI CON LA DISCIPLINA NORDAMERICANA---------------------------------------------------- 15
4.1 L'ANTITRUST ENFORCEMENT NEL DIRITTO EUROPEO --------------------------------------------------- 15
5
IL RISARCIMENTO DEL DANNO NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO-------------- 17
5.1 IL RAPPORTO TRA LA DISCIPLINA ANTITRUST IN ITALIA ED IL DIRITTO COMUNITARIO -----17
5.2 ANTITRUST ENFORCEMENT IN ITALIA ------------------------------------------------------------------------- 18
5.3 LA DIRETTA AZIONABILITÀ DELLE DOMANDE DI RISARCIMENTO ---------------------------------- 20
5.4 QUESTIONI APERTE E PROSPETTIVE. ---------------------------------------------------------------------------- 21
6
IL RISARCIMENTO DEL DANNO NEGLI ATTI DELLA COMMISSIONE EUROPEA ----------- 23
6.1 GLI ATTI DELLA COMMISSIONE EUROPEA : IL LIBRO VERDE ------------------------------------------- 23
6.2 IL RISARCIMENTO DEL DANNO ANTITRUST ALLA LUCE DEL LIBRO BIANCO -------------------- 24
6.3 LE PROPOSTE DEL LIBRO BIANCO NEL MERITO: DIRITTO SOGGETTIVO E LEGITTIMAZIONE
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 24
6.4 ACCESSO ALLE PROVE ED EFFETTO VINCOLANTE DELLE DECISIONI DELLE ANC ------------- 25
6.5 LA QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO ED IL PROBLEMA DEL RICONOSCIMENTO DEI
PUNITIVE DAMAGES IN EUROPA -------------------------------------------------------------------------------------- 27
2
1 LA NASCITA DEL DIRITTO
ANTITRUST NELL'ESPERIENZA
STATUNITENSE ED EUROPEA
1.1
NOZIONE DI DIRITTO ANTITRUST
Il diritto antitrust è quel complesso di norme giuridiche poste a tutela della libera
concorrenza.
L'applicazione del diritto antitrust si fonda tanto sul pilastro pubblicistico del public
enforcement, quanto su quello dello strumento privatistico del private enforcement.
L'accertamento e la repressione di comportamenti anticoncorrenziali riguardanti un
interesse pubblico sono posti in essere dalle Autorità pubbliche.
Con il termine “private enforcement” si riferisce, invece, all'applicazione della
normativa antitrust nell'ambito delle controversie civili promosse a tutela dei diritti
individuali.
Entrambi i modelli di azione si prefiggono lo scopo di contrastare le pratiche
restrittive della concorrenza.
Per diversi anni, gli illeciti antitrust hanno interessato soltanto la sfera pubblica,
tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, grazie alle Public Authorities che potevano
intervenire comminando pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti degli autori delle
violazioni. Il cittadino-consumatore, in questa prima fase di applicazione pubblica del
diritto antitrust, non aveva alcun potere di intervento diretto ed in caso di violazione della
disciplina antitrust, il suo ruolo era confinato a quello di m e r o spettatore passivo.
Soltanto recentemente anche l'ordinamento comunitario si è aperto alla possibilità, già
prevista nella legislazione statunitense, che i privati, siano essi consumatori o imprese,
possano ricorrere dinanzi al giudice ordinario del proprio rispettivo Stato membro. Ed
attualmente, lo strumento del private antitrust enforcement si configura come un pilastro
fondamentale nell'applicazione del diritto antitrust.
Il fine precipuo del presente studio è quello di analizzare, se esistono, e come si
configurano, gli strumenti di esercizio delle azioni individuali esperibili dal singolo che si
avvale della normativa antitrust per ottenere il ristoro dei danni arrecati da un
comportamento anticoncorrenziale. Lo studio della disciplina è condotto attraverso una
comparazione tra l'ordinamento giuridico nordamericano e la più recente disciplina
comunitaria.
La lezione si sviluppa in tre capitoli:
a) L'apertura del primo capitolo contiene un'analisi economica del diritto, al fine di
analizzare le ragioni dell'esistenza di una normativa antitrust. In esso si evidenziano le
prime normative antitrust in vigore negli Stati Uniti e in Europea.
b) Nel capitolo secondo procederemo all'approfondimento della normativa antitrust
comunitaria e all'indagine comparativa tra gli strumenti a disposizione del privato
nell'ordinamento statunitense ed in quello comunitario.
3
1.2 LE RAGIONI DI UN DIRITTO ANTITRUST
Il termine antitrust si riferisce a quel corpo di norme giuridiche poste a tutela ed a
protezione della competizione e concorrenza dei mercati economici. La legislazione
antitrust è, pertanto, uno strumento grazie al quale tutelare la libertà economica del mercato
e renderlo libero dai gravami che impediscono la libertà di iniziativa economica. Il tema
della libera concorrenza è, dunque, quanto mai attuale ed interessante e, intrecciandosi con
quello del benessere dei consumatori, tocca da vicino l'interesse di ciascuno di noi.
In un discorso tenutosi a New York nel Dicembre del 2002 riguardante lo
sviluppo della politica di concorrenza degli Stati Uniti, l'allora presidente della Federal
Trade commission, Timothy J.Muris commentò che grazie al diritto antitrust è possibile
stimolare la concorrenza, l'efficienza economica ed incoraggiare grandi innovazioni e
garantire il welfare dei consumatori 1.
Lo sviluppo di fenomeni legislativi controllati e pianificati di liberalizzazione e
privatizzazione - cui si è assistito nelle ultime decadi - ha portato d'altronde a valutare con
attenzione il ruolo della libera competizione all’interno del mercato considerandola come
uno strumento grazie al quale raggiungere importanti traguardi di crescita economica e
di benessere collettivo.
È comprensibile, quindi, che con il corso del tempo si sia delineata la necessità di
apprestare norme atte a preservare e proteggere la libera competizione ma è altresì
opportuno chiarire che la protezione della competizione non può essere la panacea di
tutti i mali che attanagliano la società.
Il primissimo punto su cui far chiarezza riguarda proprio la individuazione di
una definizione dello scopo che questo complesso di norme persegue: la libera
competizione del mercato.
Il sostrato da cui essa trae origine è il liberismo economico, corrente di pensiero
secondo cui il mercato è capace di autoregolarsi senza un intervento statale che ingerisca
nell'economia per indicare il quid ed il quantum della produzione. Il pensiero neoclassico,
attraverso le teorie di Adam Smith, intende la concorrenza come quella condizione grazie
alla quale chi riesce a produrre il miglior bene al prezzo più basso ottiene un compenso2.
Studi ed approfondimenti elaborati grazie ai contributi di Schumpeter e Keyenes
permettono oggi di riferirsi, invece, ad una “competizione sostenibile” o workable
competition con riferimento a quel modello di mercato che tiene conto di una serie di criteri
oggettivi e presenti nella realtà quali il criterio del comportamento dell'impresa, il
criterio della valutazione dei risultati, ed infine un criterio strutturale che tenga conto
sia delle variabili del numero e della misura della distribuzione dei venditori, sia delle
condizioni di entrata nel mercato.
In Particolare, Schumpeter riconobbe l'esistenza e l'importanza del ruolo
dell'imprenditore come attore principale all'interno delle dinamiche concorrenziali 3,
confutando così la dottrina neoclassica che tendeva a separare nettamente le dinamiche del
mercato da chi produce un determinato bene.
Il fine che le legislazioni antitrust hanno perseguito e continuano a perseguire è
quello di far si che la competizione all'interno del mercato sia effettivamente sufficiente ed
1
M.TIMOTHY, Looking Forward The Federal Trade Commission and the Future Development of U.S.
Competition Policy Remarks by Timothy J. Muris
2
O. BLACK, Conceptual foundations of antitrust, Cambridge, 2005, p. 6
3
J.A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, Torino 1990, p. 672
4
adeguata, con tutte le cautele del caso.
L'analisi del mercato oggetto di studio avverrà, dunque, con riferimento ad una
competizione già definita reale e che sia sobria di quelle caratteristiche legate ad un
modello di scuola teorico o neoclassico che non tiene conto dello stato attuale e
concreto dell'economia.
Nella ricerca del perché di un diritto antitrust, non ci si può esimere dallo studio
delle teorie dei Keynesiani, dei Post Keynesiani, di Neokeynesiani, di Classici, di
Neoclassici (o Scuola delle Aspettative Razionali), di Monetaristi, e non è stato neanche
facile districarsi tra le idee della Scuola di Chicago, della Public Choice della Virginia,
degli Sperimentalisti, dei Game Theorists, delle varie correnti della Supply Side e della, non
ultima per importanza, Scuola austriaca.
Il complesso di norme note sotto il termine di “leggi antitrust” o leggi a tutela della
concorrenza, è stato adottato ormai dalla quasi totalità dei Paesi occidentali, che hanno
abbandonato del tutto la possibilità di regolare il mercato attraverso l'imposizione di
un modello di pianificazione ed intervento statale massiccio. Ecco perché in realtà
tale complesso di norme non incoraggia direttamente la competizione del mercato, ma
previene la possibilità che il mercato degeneri in forme di monopoli o di comportamenti
contrari allo spirito della concorrenza.
Le leggi antitrust rappresentano un impegno della comunità per difendere i
meccanismi del libero mercato e condurre l'economia attraverso la, seppur indiretta,
stimolazione dei mercati.
5
2 LA NASCITA DEL DIRITTO
ANTITRUST NEGLI STATI UNITI
2.1 LO SHERMAN ANTITRUST ACT
L'origine del diritto antitrust viene concordemente fatta risalire allo Sherman
Antitrust Act, la prima legge emanata dal Congresso degli Stati Uniti ed in vigore dal 2
Luglio 1890, quando fu ratificata dal Presidente Benjamin Herrison per combattere il
fenomeno dei trusts e dei monopoli. All'indomani della guerra civile, gli Stati Uniti
d'America conobbero un boom generale in termini di espansione del territorio e di sviluppo
economico.
Ed, infatti, generalmente, le ragioni che portarono all'emanazione delle prime leggi
antitrust sono rinvenibili nella sofferenza della classe media americana, costretti a causa dei
monopoli a pagare prezzi molto alti per beni e strumenti.
A peggiorare le condizioni di un malcontento diffuso vi furono l'aggravarsi o il
presentarsi di problematiche quali lunghe ore di lavoro, lavoro infantile ed alti tassi di
interesse che opprimevano i piccoli e medi operatori in particolare agricoltori e
commercianti. Era concreto il rischio che il piccolo commercio venisse sopraffatto ed
annientato dalle grandi corporations, ed i loro trusts, che dominavano il mercato.
Lo stesso Senatore repubblicano John Sherman dell'Ohio, autore della legge che
porta il suo nome, nel suo intervento al Congresso affermò che la possibilità di affidare il
potere economico ad una sola persona risultava incompatibile con la forma di governo
democratica delle Istituzioni americane.
Inoltre, è da notare come l'espressione “antitrust” risulti oggi anacronistica. Il
“trust”, nobile istituto di common law e forse il più
caratteristico del diritto anglosassone, è un accordo con cui un soggetto disponente
(trustor) trasferisce la proprietà di uno o più beni ad un soggetto fiduciario (trustee) che
amministra tali beni o diritti acquisiti per un determinato scopo e nell'interesse di uno o più
soggetti terzi (beneficiaries). Ebbene, l'istituto del trust si prestò a diventare uno strumento
adoperato per attuare fini anticoncorrenziali.
Ed effettivamente il meccanismo era elementare quanto efficace: ai consiglieri di
amministrazione delle imprese che aderivano ad un accordo si concedeva il diritto di
partecipare e votare a vicenda nei consigli di amministrazione di ciascuna singola
impresa. In tal maniera ai consigli di amministrazione di ciascuna azienda di coloro che
aderivano al trust partecipavano a loro volta i rappresentanti di tutte le imprese concorrenti
in una determinata fetta del mercato, garantendo loro stessi una stabilità delle proprie attività
e, di fatto, addivenendo ad un accordo sui prezzi.
Si consolidarono dunque i grandi trusts, intesi come accordi tra imprese dediti a
monopolizzare intere macro-aree dell'economia, ed in particolare si andava consolidando un
vero e proprio cartello petrolifero, avente come guida l'impresa “Standard Oil”,
appartenente al magnate e grande capitalista J.D. Rockefeller, colui che per primo intuì e si
servì dell'istituto del trust per costruire il suo impero economico.
Con riferimento alla composizione normativa dello Sherman Antitrust Act, questa
è dotata di tre Sezioni il cui fulcro è costituito dalle Sections 1 e 2. La Section 1
stabilisce l’illiceità contrattuale di qualsiasi accordo o contratto in forma di trust o di
altra forma e di ogni collusione tesi a restringere il commercio fra diversi Stati dell'Unione
6
o con nazioni straniere, prevedendo una sanzione pecuniaria che varia distinguendo tra
società di capitali e persone fisiche o giuridiche.
La Section 2 stabilisce che si rende colpevole di un crimine qualsiasi soggetto
che monopolizza o si accordi con un uno o più soggetti per monopolizzare il
commercio interstatale o con nazioni straniere.
È importante sin da ora affermare che nella fase storica immediatamente
successiva all'emanazione della legge, le attività d'impresa dirette a creare un monopolio
ma non ancora attuate potevano essere represse dall'autorità giudiziaria fondando le proprie
motivazioni su valutazioni discrezionali dei giudici, prima dell'entrata nel sistema
giuridico nordamericano della elaborazione giurisprudenziale della cd. “rule of reason”.
2.2 IL CASO “STANDARD OIL”
Molte furono le critiche di generalità e troppa astrattezza rivolte alle carenti
definizioni normative dello Sherman Act. La discrezionalità dell'azione, rimessa alle singole
Corti ed al Procuratore generale presso il Dipartimento di Giustizia, ne è una prova ulteriore,
infatti “la legge non mise in moto alcun reale meccanismo per concretizzare quanto
espresso solo in linea di massima”.
Affinché la legge fosse efficacemente applicata si dovette aspettare il cambio di
passo imposto dall'amministrazione del neo eletto Presidente degli Stati Uniti Theodore
Roosevelt – la cui azione fu soprannominata di “trust-bustering” – che diede precise
istruzioni al suo Attorney General per avviare una serie di controversie nei confronti
delle grandi corporations 4. La battaglia intrapresa portò i frutti sperati, in primis
intavolando una controversia contro il gigante economico della Standard Oil. La
compagnia nacque nel 1882 e fu una delle prime multinazionali americane, allorché si
riunirono all'interno di un unico trust le varie compagnie sparse tra una dozzina di Stati
americani. Si configurò prontamente come un'operazione di successo contro un vero e
proprio colosso industriale, se si pensa che nel 1890 la compagnia era arrivata a controllare
l'ottantotto per cento della produzione di greggio negli Stati Uniti. Il caso “Standard Oil” 5 si
protrasse per oltre 10 anni, fino a giungere alla sentenza del 1911, quando fu accertato
l'uso di tattiche commerciali predatorie per la soppressione della concorrenza con ogni
mezzo: la conclusione di accordi segreti con le ferrovie per ottenere sconti e rimborsi
per il trasporto dei barili e l'uso della pratica di “beggar-thy-neighbour” o “beggar-myneighbour” che consiste nell'applicare prezzi a livello federale, abbassare i prezzi di
uno Stato dove vi è la presenza di concorrenti più competitivi e alzandolo
contemporaneamente, per compensare le perdite, in altri territori del Paese dove non vi è
concorrenza6.
La Corte Suprema decretò l'illegalità dell'operazione di monopolizzazione del
settore petrolifero da parte della Standard Oil e ne ordinò la separazione in un numero di
imprese indipendenti, per cui la Standard Oil of New York divenne l'impresa “Mobil”,
Standard Oil of California si convertì in “Chevron”, in Indiana dalle ceneri della
Standard Oil nacque l'impresa“Amoco” ed in New Jersey la “Exxon”. Tuttavia, la reale
competizione fra le imprese appena formatesi ostentò a decollare a causa del controllo
azionario che il Rockefeller de facto ancora esercitava. Affinché tali imprese potessero
4
Trust-busting: A Response to Business Concentration.
Standard Oil Co. of New Jersey United States, 221 U.S. 1 (1911).
6
L. MAUGERI. L’era del petrolio. Mitologia, storia e futuro della più controversa del mondo. Milano, 2006, p.
39
5
7
competere sul mercato in un regime di concorrenza si dovette aspettare la vendita e la
distribuzione agli eredi delle azioni possedute 7.
A partire dal caso Standard Oil la Corte Suprema degli Stati Uniti elaborò,
nell'interpretazione dello Sherman Act, la dottrina della c.d.“rule of reason” secondo cui si
configurano passibili di censura di illiceità solo le condotte che sono attuate per
restringere irragionevolmente (come la stessa composizione linguistica della regola
suggerisce) il mercato concorrenziale, rendendo non di per sé illegale il possesso del potere
monopolistico.
Negli Stati Uniti, la sentenza Standard Oil ebbe una portata storica poiché
modificò profondamente la realtà industriale del Paese. L'industria americana fu quindi
costretta a riorganizzarsi in seguito alla proibizione di accordi o sindacati tra imprese
dando vita
a massicce opere di fusioni ed acquisizioni che portarono alla creazioni di
grandi corporations 8.
7
8
J.B.TAYLOR, A.WEERAPANA, Principles of Economics, Mason (Ohio), 2011, pp. 305,306
H.JAFFE, M.B.BROWN, N.COCCHI, op. cit., p. 182
8
3 LA NASCITA DEL DIRITTO
ANTITRUST IN EUROPA
3.1 LE RAGIONI STORICHE ED I PRESUPPOSTI ECONOMICI
Mentre negli Stati Uniti il dibattito sulle fondamenta dello Sherman Act
infervorava, il vecchio continente era ben lontano dal prefiggersi obiettivi di legislazione a
favore della libera competizione.
L’evoluzione storica in Europa del fenomeno può farsi risalire al 1897, quando in
Germania la Corte di Giustizia affermò la possibilità per i tribunali tedeschi di applicare
accordi tra imprese aventi ad oggetto il prezzo di determinati beni o spartizioni di mercato
in virtù di un interesse pubblico oltre che privato9. Tuttavia il modello dei cartelli tedeschi
posteriore al 1900 risultò fallimentare rispetto a quello americano. L'economista italiano
Enrico Barone, nello studio del fenomeno, sentenziò che l'organizzazione del cartello
tedesco era assai meno saldo ed efficiente rispetto a quello americano perché manteneva
in vita imprese che invece la concorrenza avrebbe sbaragliato10. Ad ogni modo la
politica del Governo nei confronti dei cartelli o sindacati era favorevole a tal punto da
partecipare a qualcuno di codesti grandi cartelli11.
Dunque, per quel che concerne il quadro europeo, appare assai diversa rispetto agli
Stati Uniti la ragione per cui si arrivò all'inserimento di norme a favore della
concorrenza all'interno dei Trattati dell'odierna Unione Europea.
All’indomani della seconda guerra mondiale, tra le ragioni alla base dell'istituzione
di un Trattato vi era il desiderio di iniziare un processo di trasformazioni economiche e
politiche che potesse estirpare gli assetti economici consolidati che favorirono la presa del
potere dei regimi totalitari12.
La concezione europea del diritto della concorrenza era invece di natura
“dirigistica”13, per ragioni essenzialmente dovute alla fase storica post seconda guerra
mondiale, in cui per risollevare (ed in alcuni casi iniziare da zero) l'attività industriale
sconvolta dagli eventi bellici era necessaria la mano pubblica. Nonché in quanto il
sentimento di creazione nel più breve tempo possibile di “campionari europei” e realtà
imprenditoriali in grado di competere con quelle oltre oceano e con le grandi firms
americane era una preoccupazione comune a tutti gli Stati europei14.
In ambito comunitario le primissime disposizioni a favore della concorrenza sono
note già a partire dall'anno 1952, anno in cui entrò in vigore il Trattato che istituisce la
9
A. CHANDLER JR., Dimensione e diversificazione. Le dinamiche del capitalismo industriale, Bologna, 1994,
p. 692
10
V.E.BARONE, Principi di economia politica, Roma, p. 308
11
Ibidem
12
A.CODINI, Il ruolo delle autorità garanti della concorrenza, in: M.MARTELLINI (a cura di), Dal
monopolio alla concorrenza. La liberalizzazione incompiuta di alcuni settori, Milano, 2007, p.34
13
V. G. MARENCO, Le due anime dell’articolo 86 nel Trattato Cee, Dir. com. scambi intern., 1986, p.26
14
G. BERNINI, La tutela della concorrenza e i monopoli, II, Milano, 1963, p.181
9
Comunità europea dell'acciaio e del carbone15, sottoscritto anche dall'Italia.
L'articolo 2 del Trattato CECA enuncia gli obiettivi da perseguire attraverso il
mercato comune del carbone e dell'acciaio: contribuire all'espansione economica,
all'incremento dell'occupazione ed al miglioramento del tenore di vita della società.
Il Trattato quindi introduce la libera circolazione di determinati beni e liminando le
tasse ed i diritti doganali. In particolare, ed è quello che interessa la nostra trattazione, gli
(allora) articoli 65 e 66 si occupano rispettivamente del divieto di accordi tra imprese volti a
limitare la concorrenza, e dell'abuso di posizione dominante. Al fine di tutelare la libera
concorrenza il Trattato vieta le discriminazioni in base ai prezzi, le pratiche di concorrenza
sleale e discriminatorie.
Si indicano specificatamente i tre casi che danno luogo ad una distorsione della
concorrenza: le intese, le concentrazioni e l'abuso di posizione dominante, per cui gli accordi
o cartelli tra le imprese che impediscono, limitano o alterano, direttamente o
indirettamente la libera concorrenza possono essere annullati dall'Alta Autorità16.
Le norme contenute nel Trattato CECA, giunto a scadenza naturale il 23 Luglio
2002, costituirono il primissimo punto di partenza per il lungo cammino verso lo
sviluppo di politiche antitrust in Europa, che proseguì di pari passo con il progresso della
realizzazione di un mercato unico europeo.
3.2 LA LIBERA CONCORRENZA NEL TRATTATO DI ROMA
Il dato normativo da cui partire è il Trattato Istitutivo della Comunità
Economica Europea (o CEE), il Trattato di Roma del 25 Marzo 1957 (e ratificato
dall'Italia con legge 14 ottobre 1957, n.1203). Il fine politico ultimo del Trattato di
Roma è la costituzione di un mercato unico europeo regolato da principi di libera
concorrenza e di efficienza delle imprese che porti ad una unificazione per lo meno
politica del vecchio continente17.
“L'antitrust è una parte non secondaria di questo progetto e quindi, diversamente
dall'antitrust statunitense, definisce un sistema di norme più mirato a tale obiettivo
economico”18.
D'altronde, sin dall'enunciazione dei principi nella parte prima del Trattato istitutivo
della Comunità Economica Europea, è possibile riscontrare l'intento di un “graduale
ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri” in uno sviluppo
armonioso delle attività economiche dentro la comunità, di una stabilità duratura ed un
miglioramento sempre più rapido del tenore di vita (articolo 2 del Trattato di Roma).
Ed ancora, il ben più importante articolo 3 del Trattato istitutivo della CEE ,
lettera g) , già lettera f)19, assegna alle Istituzioni comunitarie l'onere di improntare le
proprie azioni al fine
di cui all'articolo precedente, attraverso la creazione di un regime teso a
g a r a n t i r e che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune. Tale articolo
15
Trattato costitutivo della CECA, Trattato di Parigi del 18 Aprile 1951, entrò in vigore il 24 Luglio 1952. I
Paesi aderenti furono: Belgio, Francia, Rep. Fed. tedesca, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
16
URL:http://europa.eu/legislation_summaries/istitutional_affairs/treaties/treaties_ecsc_it.htm
17
F.SILVIA, Regola dell’efficienza e politica antitrust, in: “LiucPapers n. 48, Serie Economia e Impresa”, n. 48,
Dicembre 1997, Università Carlo Cattaneo – LIUC, p.2
18
bidem
19
Dal 1° maggio 1999, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, è cambiata la numerazione
degli articoli del Trattato CE
10
sembra porre l'accento sulla circostanza per cui sembra più conveniente affidare il
controllo e l'attuazione della libera concorrenza ad un vero e proprio sistema, le cui
fondamenta siano appunto i principi di concorrenza appena indicati, piuttosto che operare
esclusivamente attraverso interventi degli organi della Comunità o degli Stati membri20.
Vi è anche chi, a ragione, grazie all'esistenza dell'articolo 3 del Trattato CEE ha
definito la libera concorrenza come un valore fondamentale dell'ordinamento europeo tanto
forte ed importante da doversi ritenere “costituzionalizzato” all'interno dell'ordinamento
europeo, ed italiano di conseguenza21.
Che le disposizioni in tema di antitrust occupino un ruolo fondamentale
nell'ordinamento comunitario22 è confermato dalla Corte di Giustizia Europea e dal ruolo
centrale ricoperto dall'articolo 3, Paragrafo 1, lettera g), nella risoluzione della causa
“Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF)” 23. Anche se è altrettanto vero che nella recente
giurisprudenza, la Corte di Giustizia omette il riferimento all'articolo 3 lettera g),
preferendo il richiamo all'obbligo di leale cooperazione (articolo 4, Paragrafo 3, TFUE) ed
i divieti di cui agli articoli 101 e 102 TFUE24.
3.3 LA LIBERA CONCORRENZA TRA LE IMPRESE
La creazione di un mercato comune europeo è accompagnata da una serie di
disposizioni al fine di permettere la libera concorrenza in una situazione di parità,
vietando le intese tra imprese. I riferimenti normativi sono gli articoli 101 e 102, già
81 e 8225, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Sono questi articoli a porre
le basi per una legislazione antitrust in ambito europeo.
L'articolo 101 enuncia il divieto di impedire, restringere e falsare il gioco della
concorrenza all'interno dell'Unione, attraverso accordi di imprese o di associazioni di
imprese o attraverso pratiche concordate che possano pregiudicare la libera concorrenza
nel commercio tra Stati membri. Opportunamente, lo stesso articolo provvede a
specificare tali accordi, decisioni o pratiche, incompatibili con il mercato comune che
consistono nel fissare direttamente o indirettamente il prezzo di acquisto o vendita,
limitare o controllare la produzione, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, la ripartizione
dei mercati, applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, ed ancora
subordinare la conclusione di contratti all'accettazione di prestazioni supplementari che
per loro natura non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. Tale
elencazione è il frutto di un'evoluzione storica dell'esperienza giurisprudenziale antitrust
20
F.MUNARI, Diritto privato dell’Unione europea. Le regole di concorrenza nel sistema del Trattato, in : A.
TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, Milano, 2007, pp. 214 ss.
21
S.VALENTINI, Diritto e Istituzioni della regolazione, Milano, 2005, p.9
22
D. GOTTARDI, Tutela del lavoro e concorrenza tra imprese nell’ordinamento dell’Unione Europea, in :
AA.VV., Il diritto del lavoro nel sistema giuridico privatistico. Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro
Parma, 4-5 giugno 2010, Milano, 2010, p. 42
23
Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) v. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, case C198/01, 2003, disponibile all'indirizzo: http://eur-lex.europa.eu
24
G.STROZZI, Diritto dell'Unione Europea, Torino, 2011, p. 344
25
Dal 1° maggio 1999, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, è cambiata la numerazione degli
articoli del Trattato CE. Gli articoli 85, 86 e 90 sono diventati, rispettivamente, 81, 82 e 86. Dal 1°
Dicembre 2009, poi, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, gli articoli 81, 82 e 86 sono divenuti
rispettivamente articoli 101, 102 e 106 del TFUE.
11
e ricomprende le figure createsi dall'applicazione della disciplina antitrust americana26.
Dalle circostanze normative emerge un dato inconfutabile, perché è possibile
affermare, che le disposizioni dell'articolo 81 si applicano tanto agli accordi orizzontali
(horizontal restraints) quanto a quelli verticali (vertical restraints). È opportuno sin
da ora evidenziare che
gli
accordiverticali
e
quelli orizzontali
sono
considerati nel Trattato di Roma senza distinzione alcuna. In linea di principio ed
unanimemente, si ritiene che gli accordi considerati lesivi per la concorrenza siano
quelli posti in essere tra concorrenti effettivi o potenziali, cioè imprese che operano allo
stesso livello della catena di produzione o di distribuzione e per questo definiti accordi
orizzontali. Mentre la teoria economica ritiene che gli accordi verticali, se non intrapresi
da imprese che detengono una importante parte di potere nel mercato, si
configurerebbero addirittura come tendenti ad aumentare l'efficienza del mercato stesso.
È pacifico affermare che tali accordi verticali, nelle condizioni suddette e posti in essere tra
imprese operanti a diversi livelli del processo produttivo, non costituiscono un pericolo di
falsare la concorrenza all'interno del libero mercato.
La
Commissione
Europea
ha posto
rimedio
a tale
incongruenza attraverso l'emanazione del Regolamento n. 2790/99,
sostituito dal più recente Regolamento n. 330/201027, relativo
all'applicazione del Paragrafo terzo dell'allora articolo 81 del Trattato CE, in
relazione alla categorie degli accordi verticali (vertical restraints). Infatti, il divieto
espresso dalla formulazione attuale dell'articolo 101 del TFUE non si configura come un
divieto assoluto giacché non opera in presenza di determinate condizioni. Le
disposizioni di cui al Paragrafo 1 dell'articolo 101 del TFUE possono essere dichiarate
inapplicabili con riferimento a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, a
qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese ed a qualsiasi pratica
concordata o categoria di pratiche concordate che contribuisca a promuovere il progresso
tecnico od economico o a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti. In
effetti, la teoria economica ricollega per ciascuna tipologia di accordo, effetti concorrenziali
diversi anche in ragione della loro natura, per cui non si tratta di una pura distinzione
teorica, dato che la mancanza di distinzione è causa di potenziali problemi28.
Il Regolamento n. 330/2010, congiuntamente alle sue guidelines, è il riferimento
normativo da tener presente per l'applicazione o meno dell'articolo 101 ad un accordo
verticale, partendo dal principio generale per cui gli accordi verticali, nei limiti già esposti,
non si configurerebbero come pericolosi per l'attuazione di pratiche anticoncorrenziali.
Tuttavia, rimane pacifico che tali accordi possono essere oggetto di divieto qualora
determinino effetti restrittivi della concorrenza inter brand, cioè tra produttori di marche
diverse ovvero intra brand, tra i distributori di uno stesso produttore 29.
26
C.CASTRONOVO, S.MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo,Volume 3, Milano, 2007, p.207.
Regolamento (UE) n.330/2010 della Commissione, del 20 Aprile 2010, relativo
28
A.CODINI, loc. cit., p.36
27
29
J.BELLIS, E.A.RAFFAELLI, Diritto Comunario Della Concorrenza, Milano, 2006, p.142
12
3.4 IL DIVIETO DELLO SFRUTTAMENTO ABUSIVO DELLA
POSIZIONE DOMINANTE
L'articolo 102 del TFUE sancisce la incompatibilità ed il divieto dello sfruttamento
abusivo della posizione dominante che una impresa detiene nel mercato comune o su una
parte sostanziale di esso, qualora possa risultare pregiudizievole al commercio tra Stati
membri. Si evince, quindi, una volontà di rendere passibile di illiceità non una
posizione di preminenza sul mercato, bensì lo sfruttamento abusivo di tale posizione
dominante. La stessa disposizione, attraverso la tecnica legislativa già sperimentata con
riferimento all'articolo 101, provvede a specificare in cosa possono consistere tali pratiche
abusive. In particolare esse si concretizzano nell'imporre direttamente o indirettamente
prezzi d'acquisto, di vendita o altre condizioni di transazioni non eque, nel limitare la
produzione o lo sviluppo tecnico danneggiando i consumatori, nel determinare uno
svantaggio per la concorrenza applicando condizioni dissimili per prestazioni equivalenti,
ed infine nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione di prestazioni
supplementari che non presentano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi per loro
natura.
È da subito evidente come il legislatore comunitario non si sia preoccupato di
definire la fattispecie di “posizione dominante” all'interno della norma. Tale nozione è
perciò da rinvenirsi nell'applicazione dell'articolo 102 del Trattato TFUE da parte della
giurisprudenza comunitaria. A partire dal caso “United brands” 30, si è potuti arrivare alla
definizione grazie alla quale un'impresa gode di una posizione dominante quando si trovi
“in una posizione di potenza economica [...] in grado di ostacolare la permanenza di
una concorrenza effettiva sul mercato in questione ed ha la possibilità di tenere
comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti, ed in ultima
analisi dei consumatori”31.
Ebbene risulta strumentale ad uno scopo di chiarificazione del suddetto concetto,
intendere per posizione dominante quella
posizione che un'impresa occupa qualora “detenga una quota tale da renderla
controparte obbligatoria degli altri operatori che vengono posti inevitabilmente in uno
stato di dipendenza”32. Gli ex articoli 81 ed 82, in combinato disposto con gli articoli 3 e
10 del Trattato CE, rivestono altresì un ruolo fondamentale nell'affermazione
giurisprudenziale del principio di astensione da parte dei singoli Stati membri nell'adottare
misure incompatibili con la disciplina antitrust europea, confermando la centralità della
concorrenza nel sistema del Trattato33.
Difatti, normalmente, in ambito europeo prevale la pratica di emanare regole la cui
applicazione è lasciata alle Autorità competenti dei singoli Stati membri, invece
l'applicazione del diritto in campo antitrust è di competenza prioritaria delle Istituzioni
comunitarie. 34
La redazione del Trattato di Roma rimane comunque una tappa fondamentale nel
30
United brands company e united brands continentaal v. Commissione delle comunità europee – banana
chiquita. – causa 27/76, 14 febbraio 1978
31
United brands company e united brands continentaal v. Commissione delle comunità europee – banana
chiquita. – causa 27/76, 14 febbraio 1978. Disponibile all’indirizzo: http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61976CJ0027:IT:HTML
32
S.SORRENTINO, Abuso di posizione dominante e di dipendenza economica, in:
V. CUFFARO, Responsabilità civile, p.177
33
F.MUNARI, loc.cit., Paragrafo 3
34
Ibidem
13
cammino di crescita di una disciplina antitrust in Europa e certamente ha posto le
fondamenta per la creazione del Mercato Unico Europeo, ma si configura comunque
come un semplice documento programmatico, per cui per un vero sviluppo delle
politiche comunitarie e di concorrenza è stato necessario aspettare i successivi
interventi che hanno portato a risultati importanti35.
35
A.CODINI, loc.cit., p.34
14
4 IL RISARCIMENTO DEL DANNO
ANTITRUST NELLA DISCIPLINA
COMUNITARIA ED I CONFRONTI CON
LA DISCIPLINA NORDAMERICANA
4.1 L'ANTITRUST ENFORCEMENT NEL DIRITTO EUROPEO
L’odierna Unione Europea fonda le proprie basi in uno dei pilastri fondamentali,
ossia il mercato comune, configurabile come libero e competitivo grazie alle norme
antitrust contenute nei Trattati istitutivi.
Ancora oggi l'applicazione concreta delle previsioni normative contenute negli
articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) risulta
un tema di estrema attualità, principalmente in quanto l'applicazione del diritto antitrust
(in particolare l’antitrust enforcement) in Europa si basa su di un sistema fondato su un
doppio binario, cioè su un criterio distintivo in ragione della situazione giuridica soggettiva
tutelata.
Unanimemente si ritiene che la legislazione dell'Unione Europea sia stata
storicamente caratterizzata da un'applicazione del diritto antitrust sotto i termini di public
enforcement. Infatti in Europa, tradizionalmente, il controllo sul rispetto della normativa
antitrust è sempre stato compito destinato alla Commissione Europea ed alle Autorità
pubbliche, e soltanto a tali Istituzioni spettava il controllo nella repressione delle
condotte anticoncorrenziali.
Nell'applicazione pratica degli ex articoli 81 ed 82 del Trattato CE costituiva un
impedimento il nucleo di norme del Regolamento n.17 del 1962, caratterizzato dalla
previsione normativa di un sistema accentrato che imponeva la notificazione alla
Commissione Europea e l’autorizzazione da parte di questa di tutti gli accordi passibili
di sanzione, così come era previsto inoltre dal Paragrafo terzo dell'articolo 81 del
Trattato CE.
Il processo di modernizzazione delle regole antitrust comunitarie, confluito
nell'emanazione del Regolamento n. 1/2003, si è concretizzato in due importanti misure. In
primo luogo, riservando all’Autorità dello Stato (NCA, National Competition Authority)
la vigilanza antitrust ed alle Corti dei singoli Stati membri la diretta applicazione degli
allora articoli 81 ed 8236. In secondo luogo la nuova e diversificata applicazione degli
articoli menzionati, alla luce del Regolamento n.1/2003, ha portato ad una rivalutazione e
ad una valorizzazione del private enforcement, nella sua accezione più pura di
applicazione della normativa a favore della concorrenza nell'ambito delle
controversie civili promosse davanti a giudici nazionali.
Era auspicabile, e solo questione di tempo, che l'attenzione delle Istituzioni
comunitarie si concentrasse sull'uso degli strumenti privatistici. Tale processo di
evoluzione dell'enforcement della disciplina antitrust raggiunse un importante risultato
grazie alla determinazione dell'articolo 6 del Regolamento n.1/2003 concernente
l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 101 e
36
Desumibile dalla combinata lettura degli articoli 3,6e7 del Regolamento n.1/2003
15
102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Tale articolo stabilisce
infatti che “le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 101 e 102
del TFUE”, anche se vale la pena ricordare che nell'applicare tali articoli il ruolo dei giudici
nazionali è stato sempre riconosciuto, seppur tale competenza finiva
con
l'essere
ridimensionata per l'eccezione del regime autorizzativo di cui all'ex articolo 81
Paragrafo terzo, al posto del quale oggi è previsto il regime della c.d. esenzione legale.
Pertanto l'emanazione del Regolamento n.1/2003 ha permesso il superamento del
sistema autorizzativo grazie all'introduzione di un controllo decentrato ed a posteriori.
Grazie a tali previsioni è stato possibile liberare i giudici nazionali dallo stato di
“cattività” e porli sullo stesso livello delle Autorità pubbliche nell'applicazione decentrata
delle norme.
16
5 IL RISARCIMENTO DEL DANNO
NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO
ITALIANO
5.1 IL RAPPORTO TRA LA DISCIPLINA ANTITRUST IN
ITALIA ED IL DIRITTO COMUNITARIO
La legge di ratifica del Trattato CE n. 1203 del 195737 comportò l'immissione nel
nostro sistema giuridico delle disposizioni contenute negli articoli 81 e 82 del Trattato CE
ed in maniera più pregnante rispetto alla legge esecutiva del precedente Trattato
istitutivo della CECA che già aveva disciplinato le intese, le concentrazioni e l'abuso di
posizione dominante38. Sino all'entrata in vigore della Legge n. 287 del 10 Ottobre 1990,
in mancanza di una disciplina antitrust nazionale, si riteneva dovessero applicarsi per
analogia le disposizioni sugli atti di concorrenza sleale contenute nel nostro Codice Civile,
di cui agli articoli 2598 – 2601.
Gli atti di concorrenza sleale, contenenti i comportamenti vietati, rientravano nella
categoria dell'illecito contrattuale. Ed infatti, il risarcimento spettava in base all'articolo
2600 c.c. ed il danno era liquidato facendo ricorso ai normali criteri di cui all'articolo 2056
c.c.
Si riteneva che la contrarietà ai principi di correttezza professionale di cui
all'articolo 2598 comma III c.c. contenesse l'elemento per la determinazione dell'illiceità,
essendo il diritto all'avviamento dell'impresa il diritto assoluto oggetto di tutela.
Una siffatta impostazione portava a non prendere neanche in considerazione l'idea
che oltre ai soggetti protetti dalle norme di concorrenza sleale, potessero esistere
ulteriori soggetti passibili di subire un danno antitrust: gli utenti finali, i consumatori.
La competitività andava configurandosi, pertanto, come un bene giuridico da
tutelare, nozione in realtà non già estranea all a conoscenza giuridica italiana. Nella
redazione della nostra Carta fondamentale già si era compresa l'importanza del bene
giuridico della competitività e si affidò all'articolo 41 il ruolo di tutelare tale bene contro
le aggressioni ai diritti di libertà dell'individuo da parte di qualsiasi aggregazione o entità,
benché privata39.
Proprio in previsione dell'attuazione dell'articolo 41 della Costituzione a tutela e
garanzia del diritto di iniziativa economica, è stata emanata la legge n. 287 del 10 Ottobre
1990, recante: “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”. Essa rappresenta il
punto di arrivo della legislazione italiana in tema di antitrust a seguito di un
notevolissimo ritardo rispetto alle esperienze di altri Stati europei, che si dotarono di una
legislazione antitrust già a partire dall'immediato dopoguerra40.
Chiaramente il mercato di riferimento della normativa italiana è quello nazionale e
37
Legge n. 1203 del 14 ottobre 1957, “Ratificata ed esecuzione [degli] Accordi internazionali firmati a Roma il
25 marzo 1957”
38
G.M.BERRUTI, La concorrenza sleale nel mercato. Giuridizione ordinaria e normativaantitrust, Milano,
2002, pp. 2,3
39
Ibidem
40
Germania, Francia, Belgio e Olanda approvarono le rispettive leggi antitrust già verso la fine degli anni
sessanta
17
non quello comune europeo. Da ciò si deduce che il diritto comunitario antitrust è
applicabile principalmente alle fattispecie configurabili come pregiudizievoli del
commercio interstatale. In tali ipotesi sono richiamabili le norme di cui agli articoli
101 e 102 TFUE.
Il diritto nazionale è invece applicabile con riferimento alle fattispecie che
limitano i propri effetti pregiudizievoli al territorio di un singolo Stato membro41. Per cui
l'applicazione della normativa italiana è residuale e si applica ai comportamenti che non
interessano il mercato europeo. Opera, cioè, un meccanismo di c.d. “doppio binario”,
vale a dire di un doppio regime processuale che impone al consumatore di stabilire se la
condotta anticoncorrenziale restringe la concorrenza nel solo mercato italiano ovvero se
pregiudica il commercio tra gli Stati membri42. Un accertamento che appare necessario allo
scopo di determinare il regime applicabile all'azione esperita43.
In particolare, la l. 287/90 si occupa, sul modello degli articoli 101 e 102 del
TFUE, di intese o accordi o pratiche concordate tra imprese restrittive della concorrenza
(articolo 2 della l. 287/90). Spetta all'Autorità pubblica AGCM far rispettare la legge sulla
concorrenza vigilando anche sugli abusi di posizione dominante (articolo 3 della l.
287/90) comprendenti fattispecie quali l'imposizione e la discriminazione di prezzi, la
restrizione della produzione e gli impedimenti agli sbocchi, agli accessi al mercato
nonché agli investimenti o al progresso tecnologico di altri operatori del mercato.
Le operazioni di concentrazione che comportano la costituzione o il rafforzamento
di una posizione dominante sono invece trattate nell'articolo 5 della l. 287/90. Operazioni di
concentrazione che se normalmente sono dedite ad eliminare o ridurre in misura
sostanziale e duratura la concorrenza, eccezionalmente possono essere autorizzate dalla
competente Autorità “per rilevanti interessi generali dell'economia nazionale nell'ambito
dell'integrazione europea”44.
È questa forse la particolarità e la debolezza della disciplina italiana, che si
preoccupa di attuare un'applicazione dell'antitrust enforcement in chiave pubblicistica in
maniera puntuale relegando al solo articolo 33 della l. 287/90 la determinazione della
competenza giurisdizionale nel risarcimento del danno.
5.2 ANTITRUST ENFORCEMENT IN ITALIA
Ciascuno dei 28 Stati membri della Unione Europea possiede un proprio sistema
di norme procedurali che regola le azioni civili antitrust proposte presso le rispettive
giurisdizioni, ciascuno con le proprie particolarità e differenze rispetto agli altri Stati
membri 45. In merito alla giurisdizione, in Italia l'applicazione del diritto antitrust si
fonda su di un criterio definibile di “doppio binario” basato sull'autonomia dei
procedimenti.
All'Autorità garante per la concorrenza (AGCM) compete l'accertamento delle
41
42
43
F.MUNARI, loc.cit., Paragrafo 4.3
M.GIANNINO, Le azioni individuali dei consumatori nel diritto antitrust italiano.
Ibidem
44
B.LIBONATI, L’Autorità e la cultura antitrust in Italia, in: P.BARUCCI, C.RABITTI BEDOGNI (a cura di),
op.cit., p. 57
45
M.CARPAGNANO, Quot regiones, tot mores. Analisi comparata di alcuni casi recenti in Europa in materia di
private antitrust enforcement, in: G.A.BENACCHIO, M.CARPAGNANO (a cura di), op. cit., Milano, 2009, p.
243
18
condotte anticoncorrenziali lesive di un interesse pubblico, mentre le attribuzioni del
giudice ordinario sono tese alla tutela dei diritti dei singoli, senza possibilità di confusione
dei procedimenti in ragione della diversità dell'interesse tutelato, pubblico o privato46.
È possibile dunque affermare che le azioni di risarcimento del danno contenute
nella normativa italiana antitrust si configurano come mezzi di tutela giurisdizionale
autonomi e concorrenti rispetto all'eventuale procedimento amministrativo azionato
dalla public Authority 47.
Il Tar del Lazio, nel caso “Merck (Principi attivi)” 48, ha chiarito la distinzione tra
la tutela dei diritti soggettivi dei singoli direttamente lesi dalla violazione degli articoli del
Trattato della Comunità Europea, la cui competenza appartiene alla Corte di Appello, e la
tutela pubblicistica di antitrust enforcement, finalizzata alla conservazione di un assetto
concorrenziale del mercato quale l’interesse pubblico la cui tutela ha rilevanza
costituzionale49.
In altre parole l'AGCM agisce di sua iniziativa in difesa di un interesse pubblico di
rilevanza comunitaria, in funzione di un potere attribuitole espressamente dalla legge n.
52/1996, articolo 4.
Nella stessa pronuncia il Tar ha sottolineato come il Regolamento n. 1/2003 abbia
incrementato il ruolo dell'Autorità nazionale di applicare in via decentrata il diritto
comunitario antitrust in virtù di un interesse pubblico50.
D'altronde, prima ancora del dato giurisprudenziale, è la legge di riferimento sulla
normativa antitrust a stabilire la competenza giurisdizionale, seppur nelle sue scarse
disposizioni in tema di
risarcimento del danno azionabile da parte del singolo.
Infatti l'articolo 33 della legge 287/90 51riserva alla competenza esclusiva del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio i ricorsi avverso i provvedimenti
amministrativi emanati sulla base delle disposizioni della legge medesima. Mentre il
comma II dell'articolo 33 attribuisce alla Corte d'Appello competente per territorio la
competenza giurisdizionale per conoscere le azioni di nullità e di risarcimento del danno
(nonché i ricorsi volti ad ottenere provvedimenti di urgenza).
La giurisprudenza, rivelatasi in un primo momento oscillante in merito al tema
delle azioni follow-on, oggi risulta consolidata nel ritenere sufficiente l'allegazione
dell'avvenuto accertamento di infrazione da parte dell'AGCM per il privato attore che
agisce per il risarcimento dei danni, pur non configurandosi come obbligatoria ai fini
dell'accertamento52.
A tal proposito è emblematica la sentenza della Cassazione, sez. III Civile, n.
2305 del 2007 53 da cui si evince che la Corte d'Appello ben potrebbe pronunciarsi
anche in carenza di un provvedimento emanato dall'Autorità garante, potendo
autonomamente valutare l'esistenza o meno degli elementi contenuti nella legislazione
46
47
48
A. SANTA MARIA, Diritto commerciale europeo, Milano, 2008, p. 673
Ivi, p. 675
Tar Lazio, sez. I, sent. n.1713/2006, Merck (Principi Attivi)
49
Principali
sviluppi giurisprudenziali
in
materia di
concorrenza.
50
Ibidem
51
Articolo 33 l. 287/1190: Competenza giurisdizionale; I “I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi
adottati sulla base delle disposizioni di cui al titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. Essi devono essere proposti davanti al Tribunale amministrativo regionale
del Lazio. “II” Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti
di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV , sono promossi davanti alla
corte d’appello competente per territorio.”
52
Ibidem
53
Sent. Cass. civ., sez. III, n.2305 del 2 febbrario 2007
19
anticoncorrenziale italiana.
Il giudice ordinario potrebbe pronunciarsi pertanto in contrasto con un
provvedimento procedente dell'AGCM e nei confronti del quale non è giuridicamente
vincolato. Tuttavia un conflitto del genere, possibile nella teoria, risulta perdere importanza
nella pratica “in funzione dell'indiscutibile valore di “precedente” che l'accertamento
compiuto dall'Autorità preposta nel nostro sistema alla tutela della libertà di concorrenza e al
rispetto delle regole antitrust, finisce per rappresentare agli occhi del giudice civile”54.
5.3 LA DIRETTA AZIONABILITÀ DELLE DOMANDE DI
RISARCIMENTO
La tematica del private enforcement, soprattutto se azionata da parte dei
consumatori, risulta di primaria importanza nel caso dei cartelli restrittivi della
competenza. Proprio il consumatore finale potrebbe infatti lamentare che dalla presenza
di un cartello tra imprese sia derivata una limitazione della capacità di scelta. Egli
potrebbe avere interesse che dal possibile acquisto di un prodotto comprato a prezzi
maggiori, e quindi falsati rispetto a quelli praticati in un mercato che si definisca
competitivo, possa ottenere un rimborso della maggiorazione di prezzo ingiustamente
pagata, oltre che un eventuale accertamento dell'esistenza di ulteriori danni subìti.
A tal proposito, merita considerazione la sentenza “Unipol/Ricciardelli” 55, c.d.
“caso RC Auto”, in cui la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto alcuni
contrasti interpretativi circa la relazione tra le conseguenze giuridiche delle intese restrittive
della concorrenza e la diretta azionabilità delle domande di risarcimento promosse da parte
dei singoli consumatori dinanzi al giudice ordinario.
Nel caso di specie, si stabilì che la competenza per tali azioni promosse da parte
dei singoli consumatori spetta alle Corti di Appello, secondo quanto stabilito nel già
menzionato articolo 33 della l. 287/90, riconoscendo così la legittimazione ad agire per
il risarcimento del danno derivante da un cartello restrittivo della concorrenza già accertato
dalla competente Autorità AGCM56.
Merita di essere citato testualmente il passaggio della sentenza, che recita: “la legge
antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato,
ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo
carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente
alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”57.
Su tali basi si giustificò l'esistenza di una legittimazione ad agire da parte dei
consumatori “a valle” nei confronti degli assicuratori “a monte”, perché estremamente
collegati da un nesso funzionale. Vale la pena soffermarsi ancora sulla pronuncia in
oggetto, per ottenere dall'orientamento giurisprudenziale un quadro giuridico sul tema del
private enforcement e sull'azionabilità da parte del singolo di controversie presso il
giudice ordinario volte adottenere un ristoro in virtù del danno subìto derivante dalle
modificazioni della libera concorrenza sul mercato. Infatti, presupposto per l'azione
risarcitoria è la declaratoria di nullità, la Cassazione a Sezioni Unite, nel caso di specie,
si è orientata verso la dichiarazione di nullità dei contratti conclusi tra imprese colludenti e
54
A. SANTA MARIA, op.cit., p.674
Sent. Cass. civ., SS.UU., n. 2207 Unipol/Ricciardelli del 4 febbraio 2005
56
Principali
sviluppi giurisprudenziali in
materia di
concorrenza.
57
Cit. della Sent. Cass. civ. , SS.UU., n. 2207 Unipol/Ricciardelli del 4 febbraio 2005
55
20
consumatori finali.
Per la prima volta, inoltre, viene affermata l'antigiuridicità del danno causato
dall'intesa anticoncorrenziale: “[...] poiché la violazione di interessi riconosciuti rilevanti
dall'ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex articolo
2043 c.c. [giacché] colui che subisce danno da una contrattazione che non ammette
alternative per l'effetto di una collusione a monte, ancorché non sia partecipe ad un
rapporto di concorrenza con gli autori della collusione, ha a propria disposizione, l'azione di
cui all'articolo 33 della l. 287/199058”.
La Cassazione, dunque, afferma che il danno ingiusto di cui all'articolo 2043 del
Codice Civile si configurerebbe a seguito della ingiusta restrizione della libertà di scelta
del consumatore frutto di illecite intese tra imprese .
5.4 QUESTIONI APERTE E PROSPETTIVE.
L'esperienza giurisprudenziale appena analizzata, seppur configurandosi come
importante ed innovativa, ha mantenuto in piedi alcune problematiche giuridiche. Una fra
tutte è l'individuazione delle modalità di quantificazione del danno subìto dall'autore.
Permangono difficoltà nel nostro ordinamento giuridico circa la problematicità
della valutazione del lucro cessante in relazione all'articolo 2043 del Codice Civile. Il
nostro sistema di private enforcement, d'altra parte, sconta ancora un'impostazione di un
diritto fortemente legato alle controversie commerciali fra imprenditori. 59.
Ed ancora, è da segnalare la carenza di strumenti che consentano di
incentivare la proposizione di azioni da parte del singolo. Si veda, a tal proposito, la
differenza con il frutto dell'esperienza americana della class action, strumento che
risulta oramai consolidato tanto nel sistema giudiziale quanto nella prassi statunitense.
Inoltre, la competenza esclusiva ed in unico grado della Corte di Appello comporta
inevitabilmente un aumento delle spese processuali a carico degli attori-consumatori.
Tale aggravio dei costi si verrebbe a configurare solo laddove l'azione sia soggetta
al regime processuale ordinario, con riferimento evidentemente a controversie promosse
sulla base del diritto nazionale. Contrariamente, le cause promosse sulla base del diritto di
matrice comunitaria sono soggette ad un trattamento più favorevole, in primo luogo perché
soggette al doppio grado di giudizio nel merito, con tutte le garanzie di giustizia nel caso
concreto che ne derivano e secondariamente perché risultano meno dispendiose giacché la
proposizione di tali cause dinanzi alla competenza del Giudice di Pace o di quella del
Tribunale consente un abbattimento dei costi processuali.
È pertanto auspicabile la rimozione dell'attuale meccanismo del doppio regime
operante tra cause comunitarie e cause nazionali in quanto determina una disparità di
trattamento che appare ingiustificata60.
Inoltre, sarebbe auspicabile che il nostro Paese si dotasse di strumenti di
monitoraggio delle azioni giudiziali antitrust proposte presso il giudice ordinario. Sarebbe
58
Cit. punto 1.i della Sent. Cass. civ. ,SS.UU., n. 2207 Unipol/Ricciardelli del 4 febbraio 2005
E.L.CAMILLI, Il contributo del giudice ordinario all'evoluzione del diritto anitrust: la giurisprudenza nel
2006, in: AA.VV., Concorrenza e mercato. Rassegna degli orientamenti dell'autorità garante , Milano, 2007,
p.85
60
R.INCARBONA e C. PONCIBÓ, The Corte di Cassazione: Takes "Courage". A recent ruling opens limited
rights for consumers in competition cases, in: “European Competition Law Review”, n.8, 2005, p. 445.
59
21
in tal modo possibile apprezzare da subito un incremento ovvero un decremento del numero
complessivo delle azioni proposte. Il Regno Unito si è infatti dotato di un sistema ufficiale
di “alert” che rendiconta da subito il numero e la media di azioni giudiziali incardinate per il
risarcimento del danno antitrust, consentendo di analizzare l'andamento del numero di cause
pendenti 61.
In altri Paesi europei, e nello stesso Regno Unito, esiste inoltre un supporto utile per
tale indagine rappresentato dalla stampa specializzata in temi economici e giudiziari.
Nelle pagine del “The Guardian” o del “Mlex” hanno trovato spazio le azioni giudiziali
proposte nei casi di applicazione delle normative antitrust ed in alcune occasioni tali testate
giornalistiche hanno perfino pubblicato il dispositivo integrale della sentenza62.
Sulla scorta di tali considerazioni, è possibile tracciare un primo quadro
complessivo: nonostante l'assenza di meccanismi processuali volti a facilitare la
proposizione delle domande giudiziali per l'accertamento del danno derivante da illecito
antitrust (ed il conseguente risarcimento) e la presenza di ostacoli costituiti dalle scelte
legislative o da interpretazioni giurisprudenziali infelici, il private antitrust enforcement
risulta piuttosto praticato nelle aule giudiziarie italiane, contrariamente a quanto ritenuto
normalmente63.
61
M.CARPAGNANO, Vent'anni di applicazione giudiziale delle regole di concorrenza in
Italia: 1990-2010, in: AA.VV., Concorrenza e mercato. antitrust, regulation, consumer
welfare,intellectual property, Milano, 2011, p. 286
62
63
Ibidem
Ibidem
22
6
IL RISARCIMENTO DEL DANNO
NEGLI ATTI DELLA COMMISSIONE
EUROPEA
6.1 GLI ATTI DELLA COMMISSIONE EUROPEA : IL LIBRO
VERDE
L'evoluzione della normativa antitrust non può prescindere dalla conoscenza dei
rilievi introdotti dalla Commissione Europea nel 2005, quando è stato reso pubblico il
“Libro Verde sulle azioni di risarcimento del danno per la violazione di norme antitrust
comunitarie”64.
Specificatamente, obiettivo chiave del Libro Verde sulle azioni di risarcimento del
danno antitrust è la rimozione degli ostacoli che si frappongono alla proposizione delle
azioni per il risarcimento del danno derivante da illecito antitrust negli ordinamenti
nazionali e giungere pertanto ad un modello uniforme di riconoscimento del diritto dei
singoli di agire dinanzi alle giurisdizioni nazionali.
All'emanazione del Libro Verde seguì un periodo di consultazione pubblica al
fine di migliorare l'applicazione del diritto della concorrenza e agevolare i meccanismi per
l'introduzione delle azioni di risarcimento del danno .
Dal Documento ufficiale65 presentato dalla Commissione Europea si evince
che l'applicazione del diritto della concorrenza è un asse portante della “Strategia di
Lisbona”, il cui obiettivo è la crescita economica dell'Unione e la conseguente creazione
di posti di lavoro per i cittadini europei . Un mercato interno aperto ed una concorrenza
forte rappresentano la migliore garanzia per il conseguimento di tali risultati e
favoriscono la capacità di innovazione delle imprese che operano in Europa. Vi è una presa
di coscienza che l'applicazione della normativa antitrust, sia in chiave di public che di
private enforcement, costituisce uno strumento essenziale per creare e continuare ad
operare in una economia competitiva.
Il Libro Verde costituisce un importante momento di dialettica e
di
consultazione
pubblica,
ma
è
pur
sempre
un
Documento meramente
“programmatico”, la cui utilità e il cui raggiungimento dello scopo potranno essere
compresi ed analizzati solo attraverso lo studio dei successivi atti emanati dalla
Commissione Europea, che si caratterizzano per una maggiore completezza della trattazione.
64
Libro Verde dell'Unione Europea “Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust
comunitarie”(presentato dalla Commissione) {SEC(2005) 1732} Bruxelles, 19.12.2005 COM(2005) 672
definitivo
65
Disponibile all'indirizzo:http://eur-ex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0672it01.pdf
23
6.2 IL RISARCIMENTO DEL DANNO ANTITRUST ALLA LUCE
DEL LIBRO BIANCO
Il processo consultivo iniziato nel 2004 con lo studio Ashurts, che segnalava una
situazione non favorevole per quanto concerne l'utilizzo dello strumento rimediale
privato, si concluse con l'adozione del Libro Verde nel 2005. A questo seguì la
pubblicazione il 2 Aprile 2008 del Libro Bianco 66 della Commissione Europea, che arricchì
il panorama giuridico comunitario in tema di antitrust enforcement allo scopo di precisare
alcuni aspetti particolari della disciplina a favore della libera concorrenza.
Il Libro Bianco ha tradotto in percorso di riforma i principi elaborati grazie alla
consultazione pubblica avviata dall'emanazione del Libro Verde, conformemente a quel
processo di decentralizzazione dell'enforcement dell'antitrust avviato grazie al
Regolamento n. 1/2003.
Innanzitutto, il risarcimento del danno deve risultare completo, coprendo almeno il
valore reale della perdita subita che si concretizza nel danno emergente, lucro cessante e
relativi interessi. Si prospetta inoltre l'indicazione di misure di armonizzazione tra il
diritto comunitario e quello interno, elaborate nel rispetto delle tradizioni giuridiche
europee. Ed infine, un terzo principio desumibile dal quadro generale del Libro Bianco
stabilisce che il rafforzamento dello strumento rimediale privatistico non deve sostituire il
lavoro delle Autorità amministrative e delle singole Authorities, bensì integrarlo.
.
6.3 LE PROPOSTE DEL LIBRO BIANCO NEL MERITO:
DIRITTO SOGGETTIVO E LEGITTIMAZIONE
La prima problematica che il Libro Bianco affronta è quella relativa alla
legittimazione ad agire. La Commissione accoglie con favore al punto 2.1 del suo
elaborato le determinazioni giurisprudenziali già contenute nel caso “Courage”, ribadite
ed ampliate nella sentenza “Manfredi” 67 secondo cui chiunque abbia subìto un danno
causato dalla violazione di norme per la concorrenza deve poter chiedere il risarcimento del
danno dinanzi alla Corte del giudice nazionale. La sentenza “Courage”, come già
scritto, stabiliva che: “la piena efficacia dell’articolo 81 CE [ora 101 TFUE] e, in
particolare, l’effetto utile del divieto sancito al n. 1 di tale articolo sarebbero messi in
discussione se chiunque non potesse chiedere il risarcimento del danno causatogli da un
contratto o da un comportamento idoneo a restringere o a falsare il gioco della
concorrenza ”.
Per cui, mentre in passato il diritto soggettivo protetto consisteva nella tutela
dell'avviamento dell'impresa, oggi tanto la giurisprudenza europea quanto quella italiana
riconoscono l'esistenza di un diritto soggettivo ultra individuale della libertà contrattuale che
si concretizza in quel diritto spettante in capo a ciascun cittadino- consumatore di
godere dei benefici della competizione commerciale libera. Grazie a tale principio, il
66
Libro Bianco “In materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust
comunitarie” {SEC(2008) 404 SEC (2008) 405 SEC (2008) 406} Bruxelles, 2.4.2008 COM(2008) 165
definitivo
67
Vincenzo Manfredi e altri v. Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA e altri , cause da C-295/04 a C-298/04, 2006
24
Libro Bianco riconosce la legittimazione attiva in capo ai soggetti che hanno avuto un
rapporto diretto con l'autore dell'illecito antitrust.
Inoltre, sulla base del successo giuridico dello strumento delle class actions nel
sistema giuridico americano, la Commissione favorisce meccanismi per l'aggregazione di
singole istanze da parte di più vittime dello stesso illecito antitrust. Le inefficienze a tal
riguardo sono note e sono costituite in primis dallo scoraggiamento dei singoli
consumatori nell'intentare un procedimento giudiziario per cause dal valore
relativamente basso. A tal fine i suggerimenti della Commissione68 sono atti a favorire la
combinazione dei meccanismi delle azioni di classe rappresentative, intentate da soggetti
qualificati (si pensi alle associazioni dei consumatori), con quelli complementari delle
azioni collettive con modalità opt-in.
A tal riguardo sembra opportuno operare un parallelismo con la normativa italiana
ed il “nuovo” articolo 140bis del Codice del Consumo, la cui rubrica riporta proprio la
dicitura “Azione di classe”. Ivi si stabilisce che le azioni collettive risarcitorie possono
essere esperite in conseguenza di pratiche commerciali scorrette e di comportamenti
anticoncorrenziali da cui sia derivata una lesione di diritti soggettivi ad una pluralità di utenti
o consumatori.
L'articolo 140bis del Codice del consumo contempla una forma di tutela
risarcitoria anche in relazione alle ipotesi di illecito antitrust nei casi che rientrano
nell'ambito di applicabilità e di interesse del Libro Bianco della Commissione Europea69.
Inoltre, il comma 14 del succitato articolo afferma che la sentenza che definisce il giudizio fa
stato anche nei confronti degli aderenti, fatta salva l'azione individuale dei soggetti che non
aderiscono all'azione collettiva, definendo la portata delle sentenze collettive risarcitorie
limitata ai soli aderenti all'azione. Ciò risulta in linea con quanto stabilito dal criterio
individuato dalla Commissione nella legittimazione delle azioni collettive con modalità optin, “nelle quali le vittime decidono espressamente di aggregare in una sola azione le
proprie richieste individuali di risarcimento del danno subìto” 70.
L'azione collettiva introdotta dal legislatore italiano si configura solo in parte
come un'azione collettiva strutturata come nelle guidelines del Libro Bianco, cioè a
dire con il meccanismo dell'adesione, rientrando interamente negli schemi continentali
dell'azione promossa dagli Enti legittimati ex ante o ex post71.
Pertanto le azioni di classe introdotte dal sistema comunitario (e sulla scia di
questo, dal legislatore italiano) non introducono uno strumento assimilabile a quello
della class action statunitense azionabile in caso di illecito antitrust.
6.4 ACCESSO ALLE PROVE ED EFFETTO VINCOLANTE
DELLE DECISIONI DELLE ANC
La Commissione propone delle misure anche in tema di accesso alle prove,
considerando l'esistenza di una asimmetria informativa che caratterizza l'accesso alle
prove da parte dell'attore- consumatore. Partendo dal presupposto per cui gli elementi di
68
Cfr. par. 2.1. del Libro Bianco, disponibile all'indirizzo:
http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/files_white_paper/whitepaper_it.pdf
69
A.SANTA MARIA, L'azione collettiva risarcitoria conseguente a comportamenti anticoncorrenziali fra
libro Bianco e legge italiana, in: B. NASCIMBENE, F. ROSSI DAL POZZO, Il private enforcement delle
norme sulla concorrenza, Milano, 2009, pp. 82 ss
70
Cfr. par. 2.1. del Libro Bianco, disponibile all'indirizzo:
http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/files_white_paper/whitepaper_it.pdf
71
A.SANTA MARIA, loc. cit., pp. 82 ss
25
prova decisivi sono molto spesso occultati o difficilmente reperibili per colui che
introduce il giudizio, il Paragrafo 2.2 del Documento della Commissione contiene
proposte per garantire in tutto il territorio comunitario un livello minimo di
divulgazione degli elementi di prova nelle cause aventi ad oggetto il risarcimento del
danno derivante da illecito antitrust.
Tuttavia, dall'altra parte è interesse delle imprese evitare gli effetti negativi in
termini di obblighi di divulgazione ampi od onerosi. In merito a tali fondate
preoccupazioni la Commissione opera una sintesi tra le due opposte esigenze cercando di
prevenire il rischio di possibili abusi attraverso un controllo giurisdizionale rigoroso circa
la fondatezza dell'azione introdotta e la proporzionalità della richiesta di divulgazione.
Sulla falsariga del modello delle
c.d. discovery procedures dell'ordinamento statunitense, i giudici dei singoli Stati
membri europei dovrebbero avere il potere di disporre alle parti in causa o ai terzi di
adoperarsi per divulgare le precise categorie di prove ritenute rilevanti72.
Tale potere delle singole Corti nazionali è subordinato all'esistenza di precise
condizioni o circostanze tassative che si concretizzano: (1) nella circostanza per cui
l'attore dimostri sufficientemente di non essere in grado di presentare le prove richieste
attraverso diversi mezzi; (2) nella sussistenza di motivi
plausibili che siano fondanti per la richiesta; ed infine (3) nella rilevanza,
necessità e proporzione del provvedimento di divulgazione nel caso di specie.
Per cui la proposta della Commissione opera nella direzione di favorire le c.d.
“follow-on actions”, soddisfacendo l'onere della prova della sussistenza dell'illecito
antitrust laddove esista già un'istruttoria conclusa da parte dell'Autorità garante per la
concorrenza.
È infatti preferibile che il public process si concluda e che i suoi risultati
vengano poi utilizzati come un valido supporto per il private enforcement, di maniera che
in caso di parallelo svolgimento di un procedimento amministrativo e di uno civile per
danni antitrust, la strumentalità del primo non vada pregiudicata73.
Sul piano nazionale, l'articolo 33 della l. 287/1990 regola la dicotomia esistente
tra il public ed il private enforcement prevedendo un'autonomia ed indipendenza del giudice
ordinario, a cui spettano le azioni di risarcimento del danno, rispetto agli interventi
dell'AGCM, i cui provvedimenti sono di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo74. Coerentemente con quanto auspicato nel Libro Bianco è possibile
osservare, salvo rarissimi casi, che il giudice ordinario in Italia è sempre giunto a
conclusioni concordanti con gli esiti istruttori dell'Autorità garante. D'altronde, se ciò
non si verificasse sarebbe compromessa l'efficacia dell'antitrust enforcement 75.
Nel nostro ordinamento giuridico la Corte di Cassazione ha chiarito a partire dal
caso n.3638/200976che il provvedimento dell'AGCM rappresenta un elemento di prova
determinante ai fine dell'accertamento del diritto al risarcimento del danno in tema di
illeciti antitrust.
72
Cfr. par. 2.2 del Libro Bianco, disponibile all'indirizzo:
http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/files_white_paper/whitepaper_it.pdf
73
P. CASSINIS, I nuovi poteri dell'Autorità nell'ambito della dialettica tra public e private
enforcement, in: “Contratto e Impresa/Europa”, n. 2, 2006, p.719
74
G.ROMANO, loc.cit., p.74
75
Ivi, p.75
76
Sent.Cass.civ., sez. I, n. 3638/2009 del 04 Novembre 2009
26
6.5 LA QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO ED IL
PROBLEMA DEL RICONOSCIMENTO DEI PUNITIVE DAMAGES IN
EUROPA
Il Libro Bianco cerca di dare una sistemazione armoniosa al problema delicato
della differenza di approcci adottati dai diversi Stati membri in merito al criterio della
colpa e la sua importanza nella dimostrazione del danno una volta accertata la violazione.
Tale problematica interessa da vicino il nostro Paese, in quanto il criterio soggettivo
della colpa nel nostro ordinamento giuridico assume un ruolo fondamentale essendo una
condizione necessaria per richiedere il risarcimento del danno. Nel Paragrafo 2.4 del
Libro Bianco, intitolato “Criterio relativo alla colpa”, la Commissione assume una posizione
netta avverso l'utilizzo del criterio della colpa che finisce per penalizzare le vittime degli
illeciti antitrust, ed orienta il sistema giuridico dei Paesi membri, almeno con riferimento
al risarcimento del danno antitrust, verso un modello funzionale alla presunzione della
colpa una volta che la vittima abbia dimostrato una violazione degli articoli 101 e 102 del
Trattato TFUE.
Ben più importanti risultano le proposte contenute nel Libro Bianco in merito alla
quantificazione del risarcimento del danno. Il Libro Bianco conferma quanto stabilito
nella già citata sentenza “Manfredi” riconoscendo alle vittime un risarcimento completo
del valore della perdita subita. Quest'ultima consiste, pertanto, nella perdita
effettivamente causata dall'illecito, ma anche nel mancato guadagno e nel pagamento degli
interessi, come esplica la massima della Corte di Giustizia : “[...] dal principio di effettività
e dal diritto di chiunque a chiedere il risarcimento del danno causato da un contratto o da
un comportamento idoneo a restringere o a falsare il gioco della concorrenza discende
che le persone che hanno subìto un danno devono poter chiedere il risarcimento non solo
del danno reale (damnum emergens), ma anche del mancato guadagno (lucrum cessans),
nonché il pagamento di interessi”77.
Bisogna altresì ricomprendere nella quantificazione del danno la svalutazione
monetaria e la perdita della possibilità per il danneggiato di disporre dei capitali nel
lasso di tempo tra il verificarsi dell'illecito e l'indennizzo. E che il lucro cessante rivesta un
ruolo chiave nella quantificazione del danno è confermato dal seguente passaggio della
medesima sentenza: “Infatti l’esclusione totale del lucro cessante dal danno risarcibile
non può essere ammessa in caso di violazione del diritto comunitario poiché, soprattutto
in tema di controversie di natura economica o commerciale, una tale esclusione totale del
lucro cessante si presta a rendere di fatto impossibile il risarcimento del danno”78.
Tuttavia il Libro Bianco abbraccia la definizione di risarcimento del danno
intendendola come mera compensazione della perdita subìta, abbandonando la soluzione
dei “double damages” prospettata dal precedente Libro Verde e rinunciando
all'elaborazione di un risarcimento modulato sul concetto di profitto illecito79.
A proposito di double damages merita menzione la presa di posizione coraggiosa
di un Giudice di Pace italiano che riconobbe un danno nella misura del doppio della perdita
subìta concretamente in virtù di un illecito aumento di prezzi a seguito della formazione di un
77
Vincenzo Manfredi e altri v. Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA e altri, cause riunite da C- 295/04 a C298/04, 2006, cit., punto 95, disponibile all'indirizzo: http//curia.europa.eu
78
Vincenzo Manfredi e altri v. Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA e altri, cause riunite da C- 295/04 a C298/04, 2006, cit., punto 96, disponibile all'indirizzo: http//curia.europa.eu
79
N.TROCKER, loc.cit, p.45
27
cartello80.
Pertanto, l'innovativo percorso giurisprudenziale seguito da alcuni giudici di merito
minori ha permesso di riconoscere il c.d. danno punitivo ad un attore-consumatore81.
Ciò costituisce una “parentesi anomala” nell'eterno dibattito circa l'ammissibilità dei
punitive damages nell'ordinamento comunitario ed interno.
Di punitive damages e dell'applicazione della loro chiara funzione di
compensazione, di sanzione e di deterrenza si è discusso molto in ambito comunitario.
Unanimemente si ritiene che la Corte di Giustizia Europea, nella già citata sentenza
“Manfredi”, abbia ritenuto che i danni punitivi non sono contrari all'ordinamento
comunitario ma, ciò nonostante, possono urtare le singole tradizioni giuridiche degli Stati
membri. Pertanto, si ritengono ammissibili solo in quegli Stati nei quali sono
legislativamente previsti, come in Inghilterra, dove si parla di exemplary damages.
Nel nostro ordinamento giuridico l'impossibilità di un riconoscimento dei danni
punitivi è stata dichiarata dalla nostra Corte Suprema, presso cui si impugnò una sentenza
della Corte d'Appello di Venezia82. La Corte di Cassazione sancì categoricamente
l'impossibilità di portare a termine il processo di delibazione di una sentenza di condanna
al risarcimento dei danni punitivi dello Stato nordamericano dell'Alabama, per contrarietà
al nostro ordine pubblico interno ed ai principi fondamentali del nostro ordinamento
giuridico83. La giurisprudenza italiana mantiene una posizione di chiusura nei confronti
dell'ammissibilità dei punitive damages .
E ’ possibile, in conclusione, affermare che dalle considerazioni operate emerge un
dato significativo: negli Stati Uniti il dibattito sul private enforcement è certamente più
avanzato che in Europa, sia per ragioni storiche, sia per ragioni legate alla presenza nel
sistema americano di strumenti a disposizione dei privati, che garantiscono un livello di
deterrence non indifferente. I due ordinamenti giuridici, quello statunitense e comunitario,
presentano significative differenze in tema di antitrust, e diverse peculiarità, a cominciare
proprio dagli strumenti che il legislatore americano ha predisposto per incentivare
l'instaurazione di controversie, quali le class actions, che permettono l'aggregazione
degli interessi di una pluralità di vittime di illeciti antitrust, l'ammissibilità del pactum de
quota lite, le c.d. discovery procedures, ed infine la “treble damages action”, riconosciuta
dal Clayton Antitrust Act, che sancisce il riconoscimento dei danni punitivi ed un
risarcimento pari al triplo del danno subìto. Discorso a parte per i danni punitivi, gli
strumenti appena indicati non sono assenti nel modello di private enforcement europeo più
recente, tuttavia sono configurati diversamente, al punto che risultano sottoutilizzati dai
potenziali legittimati.
Pertanto, è possibile operare le seguenti considerazioni finali: il private antitrust
enforcement negli U.S.A., grazie anche agli strumenti giuridici appena citati, risulta
consolidato, a tal punto che la giurisprudenza americana deve irrigidire i requisti di
legittimazione, per scongiurare un possibile effetto di “overdeterrence”. Mentre il diritto
comunitario, che ha preso in considerazione solo recentemente l'importanza dello
strumento privatistico grazie al lavoro della Commissione Europea, si muove sul piano di
prevedere forti innovazioni in tema di risarcimento del danno derivante da illecito
antitrust, al fine di assicurare strumenti di incentivazione sempre migliori ed un'ampia
legittimazione per i soggetti lesi.
Tuttavia, nel corso della trattazione si evince spesso un dato significativo: non
80
Giudice di Pace di Bitonto, sent. 21 maggio 2007
A.GIORGETTI, V.VALLEFUOCO, Il contenzioso di massa in Italia, in Europa e nel mondo.Profili di
comparazione in tema di azioni di classe ed azioni di gruppo, Milano, 2008 , p.71
82
Sent. C.d.App. Venezia, Parrot v. Fimez Spa, 15 ottobre 2001
83
Sent. Cass. Civ., sez. III, n. 1183, 19 gennaio 2007
81
28
mancano punti di contatto tra i due ordinamenti. In particolare in quella fase delicata e
problematica della quantificazione del danno. Ed infatti, i metodi di quantificazione del
danno subìto sono gli stessi nei due ordinamenti come i metodi consigliati per la
valutazione del quantum nella risoluzione delle controversie dinanzi ai giudici nazionali dei
singoli Stati.
Inoltre, con riferimento alla tematica del risarcimento del danno antitrust in Italia, è
possibile giungere alla conclusione per cui il private enforcement risulta sostanzialmente
praticato nelle aule giudiziarie italiane, contrariamente a quanto normalmente ritenuto,
pur evidenziandosi una serie di criticità all'interno del nostro ordinamento giuridico.
Non mancano tuttavia sfide per il futuro, in quanto le singole normative nazionali,
secondo quanto previsto dall'odierno diritto internazionale, possono difficilmente
fronteggiare le distorsioni della concorrenza a dimensione extra-nazionale. É evidente che
tale tematica interessa in maniera particolare il vecchio continente, per la conformazione
politica della stessa Unione Europea.
È interesse di tutti i soggetti privati, in particolar modo dei cittadini-consumatori,
che si arrivi ad una convergenza ed uniformità delle normative antitrust e della loro modalità
di attuazione, per far si che i sistemi giuridici dei singoli Stati attuino le migliori garanzie per
quanto concerne i diritti e le misure in favore degli utenti finali, affinché questi
ultimi siano messi in grado di poter esperire le
opportune azioni giudiziarie di private enforcement volte al risarcimento
del danno.
29
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