PROGETTO FORMAZIONE INSEGNANTI DI RELIGIONE TRENTO 2013-2014
LA RELAZIONE EDUCATIVA ALLA PROVA DEI TEMI DIFFICILI DELL’IRC
ALCUNI NODI CRITICI E TEMI DIFFICILI
NELLA PROFESSIONE DELL’INSEGNANTE DI RELIGIONE
I. IL VALORE DELLA RIFLESSIONE SULLA PRASSI
Nella nostra attività di insegnanti c’è il rischio di rimanere intrappolati in un
sapere di senso comune in possesso di tutti gli insegnanti, in una serie di
automatismi, di categorie organizzative scontate (obiettivi, metodi, contenuti), di
saperi impliciti o nella assolutizzazione della propria esperienza o sarebbe meglio
dire della propria routine. In questi ultimi tempi mi è arrivata più volte dagli
insegnanti un’osservazione del tipo “mi servirebbe uno stimolo, una spinta; sto
cercando una molla”. Queste parole mi suonano bene, fanno parte dei cammini di
formazione permanente e possono dar il via ancora una volta a curiosità e
passione, coinvolgimento e cambiamento, ad un mettersi al ritmo di un mondo che
cambia.
In effetti, se consideriamo bene la nostra professione, è così: “educare significa
essere implicati in un agire pratico ad alto tasso di problematicità” (Luigina Mortari)
dentro il quale si deve rispondere a situazioni aperte, non ci si può bloccare, non è
sufficiente la teoria, e non ci sono ricette: ci vuole la riflessione sulla prassi.
Allora si tratta di prendere in mano questa problematicità, trasformarla in
dubbio, in domande, farla diventare una risorsa per l’insegnante così da passare
dall’essere perplesso alla riflessione sulla sua prassi, sugli alunni, sulla scuola.
Se i problemi e le sfide trovano spazio in noi allora ci troviamo in possesso di
una molla e di una spinta ad un processo di formazione personale che può
contagiare e trovare risorse in un gruppo e diventare prassi scolastica rinnovata.
A me pare evidente che è importante per la crescita professionale, e non solo,
proprio questo: porsi domande, allargare lo spazio dell’interrogarsi, raccogliere
perplessità e dubbi; è essenziale poi anche stare sui problemi, meditare su ciò che
è successo in aula e, dopo questo primo tipo di riflessione, svilupparne altri magari
in gruppo (i gruppi di progettazione) per dare maggiore solidità al proprio operato
progettuale e di aula. Solo dentro un processo di questo tipo si può parlare di
esperienza che diventa saggezza e competenza, e ci si rende capaci di decidere
sull’azione migliore da intraprendere.
Impegnarsi in un pensiero riflessivo non è immediatamente piacevole, richiede
passione e comporta sicuramente fatica: bisogna mettersi in ascolto e dar un
nome all’esperienza, evidenziarne i vari aspetti costitutivi, mettere a fuoco pensieri
passati per la testa e le emozioni vissute, le procedure adottate su due piedi, fare
ipotesi interpretative.
Sono individuabili degli aiuti che facilitino il dialogare con se stessi, il meditare
sulle proprie esperienze, il riconsiderare eventi che possiamo catalogare tra gli
“incidenti critici” della nostra professione?
Hanno già una lunga storia i contributi offerti al professionista e all’insegnante
sul tema dell’«apprendere dall’esperienza» (D. A. Schön, M. Foucault, D.
Demetrio). L. Mortari in particolare offre agli insegnanti una serie di tecniche
formative riflessive che mi paiono particolarmente utili1 anche a noi e alla nostra
problematica di oggi.
Afferma che per riflettere sulla prassi e migliorala ci si può servire del: diario di
bordo; dell’autobiografia formativa (storia dei propri apprendimenti significativi); i
gruppi di riflessione; analisi di incidenti critici; dialogare con letteratura pedagogica
critica; elaborare teorie.
Valorizziamo qualche suggerimento sul diario di bordo e sulla lettura dei casi
critici:
Il diario di bordo fa in modo che i vissuti lascino traccia e permettano una
riflessione in un tempo in cui è difficile trovare il tempo quieto del pensare. E’ una
scrittura quotidiana che da sempre “ha l’obiettivo di incrementare
l’autocomprensione e, quindi, diventare più consapevoli di sé, non solo sul piano
cognitivo ma anche rispetto alla propria geografia e storia emotiva”.
La pratica dello scrivere il diario professionale concorre: a sviluppare capacità
di analisi dettagliata dell’osservazione; alla capacità di indagare i processi cognitivi
e a metterli in parola; a mettere a fuoco le contraddizioni in cui ci si trova; e a dare
espressione alle proprie emozioni.
Che cosa scrivere nel diario? Vi si possono metter varie tipologie di dati:
descrizioni di situazioni e raccolta dati (tramite osservazione, intervista,
conversazione) assieme a prime interpretazioni in vista del significato; narrazioni
di episodi, eventi; valutazioni immediate sui metodi messi in atto, sugli strumenti
adottati, sui propri interventi, sulla gestione dei rapporti …; intuizioni a caldo;
espressione delle emozioni sperimentate; ipotesi per l’agire futuro.
Gli incidenti critici sono “brevi descrizioni di eventi problematici che,
producendo sorpresa, stimolano la riflessione”. Niente che non possa già far parte
del proprio diario di bordo ma da considerarsi soprattutto come materiale per un
laboratorio riflessivo con il compito di ricostruire le situazioni problematiche
vissute, portare alla luce i presupposti che fanno fa sfondo all’attività cognitiva del
professionista, problematizzare ogni interpretazione e analizzare criticamente le
differenti interpretazioni.
II. ASPETTI PROBLEMATICI NELL’AMBITO DELLA PROGETTAZIONE E
PROCEDURA DIDATTICA
Mi metto ora davanti a quanto della prassi dell’insegnante di religione è arrivato
davanti ai miei occhi attraverso formulazioni di UA, Protocolli di tirocinio,
progettazioni annuali, collaborazioni, ecc. e in relazione ad un’area geografica
abbastanza ampia (Bolzano, Trento, Verona, Vicenza, ecc.).
A me pare che gli aspetti su cui interrogarsi, i nodi critici da dipanare
nell’ambito della didattica e delle sequenze di lavoro: 1. Le categorie progettuali a
scuola; 2. La concezione, il modello di IRC adottato; 3. Le attività proposte ossia la
regia dell’ora di religione.
C’è un altro capitolo o area di problemi da considerare, non più dell’ambito
progettuale didattico, ma di quello procedure e contenutistico che riguarda i temi
difficili. In un secondo momento tratterò del modo di affrontare i temi difficili a
scuola indicando attenzioni e passaggi di una procedura didattica adatta.
1
L. Mortari, Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci, Roma 2007, 88125.
2
1. Le categorie progettuali a scuola
Quali categorie sono vincoli a cui l’insegnante è soggetto perché normativi e
quali sono frutto della elaborazione dell’insegnante? Che valore ha ciascuna
categoria? In che rapporto stanno e devono stare tra di loro? Che cosa significa e
che valore ha un Obiettivo Formativo e una Competenza?
- Spesso non appare distinzione tra ciò che è normativo e ciò che è frutto di
elaborazione da parte dell’insegnante che progetta il suo intervento o da parte di
un gruppo che condivide una progettazione di Istituto.
- Va considerato con maggior attenzione il rapporto delle categorie progettuali
tra di loro obiettivi, contenuti, metodi (gerarchico, logico, funzionale)
- Gli Obiettivi Formativi rispettandone la funzione di guida alla progettazione
dell’UA è opportuno contengano la duplice dimensione esperienziale e teologica
- Per quanto riguarda le competenze, si devono concretamente richiamare le
competenze nazionali disciplinari; importante è poi rifarsi alla definizione data in
Europa di competenza; la cosa più importante da fare è associare le UA a
competenze nazionali e formulare i possibili indicatori di competenza, e riflettere
pure sulle ricadute di questa scelta a livello di precisazione degli obiettivi, di
mediatori e di attività d’aula, e a livello di verifica.
Un bel lavoro da fare per scolarizzare adeguatamente la disciplina è il riflettere
sulle 8 competenze chiave europee e evidenziarne il contributo dell’IRC; anche la
certificazione delle competenze sarà fatta con questo punto di riferimento.
2. La concezione, il modello di IRC adottato
E’ utilizzato con abilità e cura spesso il modello correlativo bidimensionale
dell’IRC; ma è abbondantemente presente un modello unidimensionale, in genere
Kerygmatico. Quale modello di IRC nella scuola oggi?
Si è discusso molto. E’ confermato il valore del modello correlativo da
realizzare a livello di analogia, di sovrapposizione di struttura, tra esperienza
umana e dati della tradizione cristiana (Infanzia, Primaria) e a livello di
correlazione vera e propria tra momento della problematizzazione della vita e
ricerca di luce, senso e orientamento nella religione cristiana.
3. La regia dell’ora di religione
A volte le sequenze di apprendimento non appaiono così articolate, sia a livello
di ora che di UA, così da rispettare gli elementi soggettivi della capacità di lavoro,
attenzione, partecipazione …
E’ utile prevedere, nella progettazione del lavoro d’aula per ogni fase, una serie
di passaggi e di modalità di intervento che ci permettano di tener conto dei fattori
soggettivi dell’apprendimento (attenzione, partecipazione, energia a disposizione,
…) e realizzarne la migliore valorizzazione in vista dell’esito atteso.
In base all’esperienza, i passaggi o i momenti di intervento da mettere in atto in
progressione, dovranno assumere o avvicinarsi a questa sequenza:
- momento della negoziazione e motivazione;
3
- proposta del tema e del lavoro da fare sul materiale offerto (documento,
libera espressione, lavoro;
- fissazione o consolidamento di quanto appreso (sintesi);
- approfondimenti ulteriori utili;
- espressione con linguaggio creativo e attualizzante di quanto appreso per la
vita, compiti e progetti.
Il momento motivante si realizza all’inizio dell’ora, dopo lo spazio dato a
momenti informali sempre cordiali, e si avvale di queste possibili strategie: dichiarazione del contenuto e dell’obiettivo ipotizzato (se si suppone esista un
interesse specifico nei ragazzi); - riferimento all’esperienza dei ragazzi (se si
possono evidenziare riferimenti reali alla loro vita); - indicazione del mediatore che
sarà usato (magari mostrando un oggetto, un elemento, un simbolo che farà parte
del mediatore principale e viene anticipato all’aula per catturare l’attenzione e
stimolare il desiderio di ascoltare; anche riferendosi ad un’immagine, ad un film o
ad una musica o un canto che poi sarà oggetto di analisi); - contrattazione della
proposta (se il livello scolastico lo richiede).
La proposta del tema e delle attività degli alunni si riferisce al cuore della
proposta contenutistica relativa alla specifica fase di lavoro. Qui risulta essenziale
proporre il mediatore principale scelto e attivare le azioni che portano alla
comprensione del tema proposto, all’apprendimento di quanto importante e che
corrisponde all’obiettivo della fase di lavoro. Il lavoro sul mediatore principale
scelto comprende abitualmente, per la maggioranza dei mediatori (testo, racconto,
film, immagine), tre momenti generali: la presentazione; la decodificazione da
attivare anzitutto attraverso la libera espressione e poi le griglie di analisi; e
l’interpretazione e spiegazione da costruire con il contributo degli alunni
partecipanti ad un dialogo.
La fissazione e il consolidamento di quanto appreso avviene
soffermandosi sul lavoro fatto e passando ad un’attività che aiuti a
formulare l’apprendimento centrale raggiunto con il linguaggio più
opportuno.
Gli eventuali ulteriori approfondimenti sono sempre legati al
principale mediatore utilizzato e non prevedono l’aggiunta di un
mediatore impegnativo ed esigente ma solo il riferimento a qualche
materiale di conferma del lavoro fatto.
L’espressione personale o di gruppo di quanto appreso, si
realizza, a questo punto, con altri linguaggi rispetto a quelli
precedentemente affrontati e con la cura ad attualizzare conoscenze e
abilità in relazione a momenti della vita. La scelta terrà conto delle
preferenze degli alunni e devono essere lasciati liberi per quanto
riguarda la scelta di forme di espressione e linguaggi (testo, canto, gioco,
drammatizzazione, grafica, pubblicità, mostra, espressioni e immagini,
ecc.).
4
III. NODI CRITICI LEGATI A TEMI DIFFICILI NELL’IRC
Mi pare di poter costatare che i nodi critici più frequenti legati ai contenuti, ai
temi dell’insegnamento della religione, sono riferibili da una parte «alla critica alla
Chiesa» (ricchezza, pedofilia, immoralità, ingiustizia, poco spazio al laicato e alla
donna), e dall’altra ad una serie di temi etici oggi particolarmente controversi
(sessualità, bioetica di inizio vita e di fine vita, clonazione, adozione, procreazione,
matrimonio di omosessuali, violenza di genere, ecc.) e altri oggetto di discussione
nella società. Sono tematiche che entrano a pieno titolo nella Scuola Secondaria;
anche nella Primaria ci sono delle tematiche difficili che generalmente trovano gli
insegnanti capaci di soluzioni significative (origine del mondo e dell’uomo: lettura
della scienza e della fede; approccio e valore del testo biblico), e altre che
meriterebbero un approfondimento come il tema della sofferenza, della morte e
del lutto nei bambini e nei ragazzi.
Quando si ha a che fare con la critica alla Chiesa nel senso di riflessioni o
giudizi critici sull’operato della Chiesa e delle sue figure rappresentative allora
bisogna pensare ad accogliere il discorso; non si può lasciarlo cadere perché
anche un tema scandalo è un’occasione per maturare correttezza di giudizio etico.
Va attivata una procedura didattica che starà attenta a dare spazio alla
massima apertura alla comunicazione e alla espressione libera di pareri ed
impressioni, ma anche al rigore intellettuale che permette di formulare giudizi
smascherando pregiudizi eventuali e cogliendo la verità degli eventi.
Provo a prefigurare questo percorso attorno a dei passaggi caratterizzati da
indicazioni di metodo e contenuto senza pensare ad una sequenza lineare o
temporale obbligatoria:
1) Il momento della negoziazione: si tratta di accordarsi, di fare una specie di
contratto in relazione al tema oggetto di analisi, sul tempo da dedicarvi, sugli
obiettivi normalmente legati alla dimensione etica e valoriale, sul clima da tenere
inteso come onesta intellettuale e sulle procedure da adottare;
2) Il secondo momento che vedrei necessario è quello della libera
espressione degli alunni sul problema considerato così che ognuno esprima il
proprio punto di vista, ciò che fa parte del suo immaginario spontaneo, ma che sia
stimolato anche ad affermare, se è possibile, la fonte di riferimento (può trattarsi
della esperienza personale, di letture fatte, di documenti considerati, di notizie da
parte dell’informazione pubblica, …).
In questo momento prenderanno corpo espressioni critiche, insoddisfazioni,
verranno alla luce anche risvolti emotivi, ma anche posizioni positive,
generalizzazioni ma anche messe in guardia contro il generalizzare.
Si tratta in ogni modo di un prezioso punto di ancoraggio su ciò che una
tematica provoca in una classe.
3) Il momento della spontaneità e anche quello della documentazione spesso
inevitabilmente unilaterale e parziale deve essere seguito da un altro passo quello
del portare ordine nelle posizioni e quello del curare la veridicità delle
informazioni e dei dati. Anzitutto bisogna fare ordine tra le posizione, raggrupparle
adeguatamente, distinguere gli aspetti in gioco, mettere a fuoco gli elementi più
importanti e poi curare lo spazio dell’oggettività, della verità di dati ed esperienze
facendo attenzione a scalfire pregiudizi e stereotipi dove è possibile. Qui l’apporto
5
dell’insegnante è importante ed è da nutrire con riferimento a fonti ben informate e
precise. La lettura della realtà – si faccia attenzione a questo aspetto – non
permette una apologetica ad oltranza, o la minimalizzazione dei fatti, deve portare
sempre alla verità di una Chiesa santa e peccatrice, semper reformanda perché è
fatta di persone umane e vive nella logica della conversione, del cambiamento e
della crescita.
4) Un altro momento utile didatticamente è quello della problematizzazione
del tema nell’ottica della proposta di IRC, in rapporto alla proposta del Vangelo
(Che senso attribuisce al denaro il Vangelo?). Le tematiche critiche diventano
allora occasione di cogliere nel Vangelo appelli a comportamenti non esauriti in
una prassi, in un tempo, ma soggetti a conversione, a decisioni, e bisognosi di
continua spinta ideale evangelica.
Un altro ambito in cui arrivano difficoltà all’insegnante di religione oggi specie
nella Secondaria è quello degli attuali nuovi temi etici. Non creano problemi tanto
l’etica della solidarietà, della pace e unità tra i popoli, quanto piuttosto i temi della
sessualità, dei trapianti, della bioetica di inizio e di fine vita, del matrimonio tra
omosessuali, della procreazione, della adozione, ecc.
La domanda che dobbiamo farci a proposito di questi temi è anzitutto quella
relativa all’apprendimento etico nell’IRC. Come va collocato l’apprendimento
dell’etica nell’IRC? Quali valori annunciare e quali obiettivi perseguire? Cosa vuol
dire educazione etica nel contesto della pluralità di visioni, della conflittualità e del
pluralismo anche tra credenti?
La riflessione quando si ragiona sull’etica a scuola riguarda valori, norme e
atteggiamenti comprendenti l’aspetto comportamentale e li considera presenti e da
sostenere per il bene delle persone, delle famiglie, della società e della Chiesa.
Obiettivo che la riflessione etica può perseguire a scuola è la capacità di
sostenere discorsi sui valori e loro realizzazione, la capacità critica verso i
comportamenti presenti nell’ambiente e la capacità di motivare le proprie decisioni
anche in relazione al cristianesimo riguardo a cosa fare, cosa ha valore, che cosa
è desiderabile per me e per gli altri.
Naturalmente questo obiettivo non riguarda solo l’insegnante di religione ma di
certo nell’IRC ha un posto evidente e per noi il discorso ha come punto di
riferimento la tradizione biblico cristiana e la riflessione della Chiesa che si colloca
sia a livello di valori assumibili anche da altri che a livello del suo proprium cioè la
rivelazione e i valori da essa scaturenti. Il contesto è segnato da pluralismo dei
valori e delle norme, da cambiamenti nel tempo (con predominanza dell’obiettivo e
desiderio dell’autorealizzazione) e da parte dei giovani dall’esigenza di libertà e
autonomia.
A livello di proposta generale di educazione etica mi pare opportuno far
riferimento ai quattro modelli che danno conto del panorama completo delle
iniziative e mentalità in ordine all’educazione all’etica. Sono presentati dal prof. G.H Ziebertz in questo modo:
1) La trasmissione dei valori. Gli adulti scelgono valori e comportamenti
legittimati dalla tradizione ma anche nuovi se sostenuti dal gruppo sociale di
appartenenza ed offrono contributi a livello cognitivo (informazioni, riflessioni),
6
affettivo e comportamentale (interiorizzare, imitare modelli, …) per aiutare gli
alunni o i figli ad interiorizzarli.
2) La chiarificazione dei valori. Secondo questo modello non si parte da
valori e norme precostituiti ma dai valori già interiorizzati dagli alunni. Si considera
quindi il singolo alunno o gruppi omogenei di alunni e si aiuta a riflettere sulla
propria tradizione etica, a portare alla luce i valori della propria tradizione, a
problematizzarli e e ricostruirli come ingredienti della propria identità e
realizzazione di sé. In questo modello nessun valore è considerato significativo
senza la libera scelta personale.
3) Lo sviluppo dei valori. Questo modello valorizza la teoria della sviluppo
etico di Kohlberg2 che individua sei passaggi che l’uomo deve percorrere nel suo
sviluppo etico. Si tratta di fasi legate, le prime due, alle sanzioni; le intermedie alla
conformità e al rispetto delle regole e le ultime due presentano le caratteristiche
della morale autonoma fino al far propri principi etici astratti. Chi segue questo
modello utilizza una serie di storie-dilemma, a partire dalle quali si rende conto
della fase in cui si collocano i ragazzi e sviluppa con i giovani una discussione
sulle decisioni da prendere e i comportamenti da attuare. L’insegnante cerca di
capire a quale livello di crescita morale si trovano i giovani e, con delle
argomentazioni prepara il loro cambiamento, li stimola al gradino superiore verso
la Regola d’oro o il Principio categorico dell’agire morale.
4) La comunicazione dei valori. Alla radice di questo modello di formazione
etica c’è la convinzione che i valori e le norme si acquistano attraverso lo scambio
verbale, le argomentazioni razionali, considerando sia che cosa è valido e
desiderabile per me sia decentrandosi, mettendosi dal punto di vista dell’altro per
percorrere il suo modo di ragionare pensare che cosa è valido e desiderabile per
lui (se altri sono nutriti da altri valori quale il loro modo di ragionare, argomentare e
decidersi in questo campo?). I giovani imparano i principi etici attraverso un
processo comunicativo nel quale distinguono concezioni diverse e le criticano. Le
diverse posizioni sono tematizzate e ponderate, analizzate e confrontate, e così
cresce la competenza etica degli alunni. Questo non significa che le posizioni che
eventualmente i ragazzi non nominano restano al margine; fanno parte della
tradizione della storia e vanno analizzate e questa vale anche per la tradizione
cristiana e per gli insegnamenti della Chiesa che offrono un orizzonte di significati
e principi etici da mediare nelle situazioni concrete in parte argomentabili anche
dal punto di vista della ragione (pensate al tema pena di morte, emigrazioni, …).
Se i due primi modelli sono centrati il primo sulla conformità alle concezioni
dominanti; il secondo sull’attenzione alla persona e sul fatto che i valori acquistano
significato perché ritenuti personalmente validi; gli ultimi modelli sono più attenti
alla capacità critica degli alunni e ci possono servire a mettere a fuoco una
procedura di lavoro relativa ai temi etici scottanti e problematici. Tutti due sono
attenti all’esortazione “Esaminate tutto, conservate il bene”, e aiutano ad evitare
due posizioni estreme quella della rigidità e quella del lasciare i ragazzi senza
principi e nell’abbandono morale.
2
Cfr. Kuhmerker L. – U. Gielen – R. Hayes, L'eredità di Kohlberg. Intervento educativo e clinico, Giunti Editore, Firenze
1995; CNER, Formation chrétienne des adultes. Un guide théorique et pratique pour la catéchèse, Declée de Brouwer,
Paris 1986 (trad. it., 1988), 117-126.
7
L’IRC vuol essere un contributo a sviluppare concezioni e giudizi morali, alla
capacità critica e a riflettere sul valore dei comportamenti, sulle motivazioni che
hanno consistenza davanti al foro della ragione e su quelle che sono riferibili al
proprium della religione cristiana.
Considerando come punti di riferimento sia il modello dello sviluppo che quello
della comunicazione dei valori mi pare che l’insegnante di religione potrebbe
misurarsi e progettare questi passaggi (interiorizzare, imitare modelli, …) in ordine
a problemi etici complessi e difficili: il primo accostamento al problema così come
appare nell’esperienza concreta delle persone; la libera espressione di
considerazioni ed opinioni da parte della classe verso una loro organizzazione per
affinità; problematizzazione essenziale del tema e confronto con posizioni varie e
scuole di pensiero caratteristiche del pluralismo attuale; presentazione ed analisi
della posizione che riflette la tradizione biblico cristiana e il pensiero della Chiesa
con attenzione a distinguere argomenti di ragione dal proprium della fede.
1) Primo accostamento al problema così come appare nell’esperienza concreta
delle persone.
Credo che su temi di questa portata e attualità non serva motivare la classe. Il
tema è motivante di per sé. Ci si può servire del racconto che ci mette di fronte a
casi di vita, storie ed esperienze non in modo ascetico ma richiamando contesti
realistici, circostanze, fini, intenzioni, sentimenti in gioco, dubbi e dilemmi,
riferimenti a principi, tentativi di attuarli, ecc. “Il significato dell’azione può essere
percepito solo all’interno della storia in cui tale azione si iscrive” (P. Cattorini). Un
importante contributo può venire dal film3, dalle così dette storie-dilemma, dal
giornale e dalla cronaca. Si consideri anche che nella narrazione non si è mai
neutrali del tutto e bisogna evitare materiali che usano un linguaggio capzioso e
non rispettano la sobrietà. Compito dell’insegnante è quello di aiutare ad
evidenziare gli aspetti in gioco nelle varie situazioni e i dilemmi a cui si è
confrontati, le soluzioni ipotizzate. P. Cattorini ci aiuta con una serie di domande:
“Chi è il soggetto dell’azione? Per quali motivi la compie e dietro quali pressioni?
Quali ne saranno le conseguenze più o meno prevedibili? In quale ambiente, in
quali circostanze ed entro quali rapporti si iscrivono? Quali componenti emotive
(non solo cognitive ed intenzionali) connotano quel modo d’agire e quello stile
operativo? Quali altri conflitti morali e psicologici apre tale decisione e quali
responsabilità solleciterà in futuro? Come muteranno le vite degli attori coinvolti?
Quale finale potrebbe chiudere verosimilmente o coerentemente tale vicenda?”4.
2) Libera espressione di considerazioni ed opinioni da parte della classe verso
una loro organizzazione per affinità e verso la formulazione di soluzioni.
Le classi devono avere il loro spazio di reazione in cui gli alunni collaborano alla
comprensione della storia e dei suoi elementi in gioco ed esprimono le loro
opinioni, prendono posizione ed argomentano i loro pareri. Qui va posta
attenzione ai condizionamenti, ai pregiudizi e agli stereotipi che devono essere
3
cfr. P. Cattorini, Bioetica e film. Racconti di malattia e dilemmi morali, Franco Angeli, Milano 2006; cfr.
proposte di film per la scuola su tematiche più ampie di quelle qui considerate A. Agosti e M. Guidorizzi,
Cinema a scuola. 50 film per bambini e adolescenti, Erickson, Gardolo (TN) 2011; G. Mocchetti, Educare
con il cinema, Itaca, 2 voll., Castel Bolognese (RA), 2009-2010.
4
Ibidem, 8.
8
analizzati e criticati. Qui emerge la propria teoria etica o visione del mondo e lo
scambio aiuta ad affinare le proprie concezioni.
3) Problematizzazione essenziale della tematica e confronto con posizioni varie
e scuole di pensiero caratteristiche del pluralismo attuale. In questo passaggio
sono utili anche i riferimenti a personaggi modello della storia o dell’attualità
soprattutto se si riesce a far emergere i dilemmi che hanno attraversato, le scelte
che hanno percorso, i motivi espressi e gli esiti raggiunti (non riducendo il loro
vissuto all’applicazione di principi e norme).
4) Presentazione ed analisi della posizione che ha radici nella tradizione
biblico cristiana e nel pensiero della Chiesa verso un confronto che distingue
argomenti di ragione dal proprium della fede. E’ essenziale il riferimento puntuale
alla parola di Dio anzitutto per considerare se il dilemma in questione non è già
presente nella Bibbia e se non riceve già significati e orientamenti, e nello stesso
tempo con la tensione alla ricerca della via buona, dell’azione buona che un
credente è chiamato ad attuare per risolvere il dilemma, il problema. Questo è
anche il momento del confronto con le prese di posizione della Chiesa per
analizzarne le peculiarità, le motivazioni e l’orizzonte di senso in cui si collocano.
Si tenga sempre presente che nella fede cristiana l’”imperativo”, cioè il momento
etico, esortativo, della conversione è preceduto da un “indicativo” cioè dalla
narrazione dell’agire di Dio verso l’uomo, dal racconto del dono dell’amore di Dio
all’umanità.
In questo passaggio metodologico in particolare, l’insegnante non è neutrale, al
contrario afferma le sue posizioni, le motiva a livello di ragionevolezza e di fede, si
riferisce a momenti della sua autobiografia, presenta dei testimoni cristiani di valori
e di scelte concrete di vita e atteggiamenti corrispondenti.
Se i problemi e i processi per affondarli ed elaborare soluzioni sono la molla
della professione insegnante, ne abbiamo visti almeno di tre tipi: quelli emersi
nell’ambito della progettazione e delle azioni organizzate d’aula, quelli legati ai
temi-scandalo, e quelli dei dilemmi morali. Non manca il frumento da macinare
anche per quest’anno.
p. Matteo Giuliani
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