Il vero, il giusto, il bello ed il sublime in Kant

annuncio pubblicitario
Zammeru Maskil una testimonianza cattolica nel web
Il vero, il giusto, il bello ed il sublime in Kant
Inviato da Milko
martedì 08 maggio 2007
Ultimo aggiornamento martedì 08 maggio 2007
Lo studio di Kant attorno ai limiti della conoscenza vuole essere un vero e proprio tribunale della ragione, dove la ragione
processa se stessa, in modo da vigilare sull'innata tendenza umana a travalicarne i limiti – il razionalismo, ovvero
la tendenza a costruire verità metafisiche per mezzo del solo pensiero razionale, senza riscontro nella realtà concreta.
Se la ragione umana ha spesso superato i limiti dell'esperienza, generalizzando e forzando impropriamente alcuni casi
specifici in modo da affermare verità indimostrabili, per Kant è bene vigilare su queste tendenze razionaliste in modo da
negare ogni metafisica – che per lui non è scienza – e dedicarsi invece alla ricerca delle reali possibilità del
conoscibile. La ragione sottopone a giudizio se stessa in modo da definire le sue capacità di giudizio attorno alle cose, i
suoi limiti e i modi in cui può esprimere giudizi attorno alla realtà.
Il nucleo centrale della filosofia di Kant è l'affermazione che il
contenuto della conoscenza umana non può corrispondere alle cose come
sono in se stesse.
Il contenuto della coscienza non permette di
conoscere le cose in modo che corrispondano al vero, poiché la
coscienza opera sulla realtà un processo di mediazione e tale
mediazione impedisce necessariamente l'accesso alla fonte autentica
della realtà e quindi del vero.
La ragione, attraverso la mente, opera
sulla realtà una serie di interpretazioni secondo schemi logici che, di
fatto, impediscono di attingere alla vera conoscenza della realtà, non
solo ma, riprendendo alcune osservazioni del filosofo Enrico Castelli
(1900 – 1977), questi schemi logici vincolano anche la libertà, per
cui, paradossalmente, vero libero, sempre secondo Castelli, è colui che
è privo di schemi logici, ovvero il folle.
La realtà inconoscibile è chiamata da Kant cosa in sé, la quale risulta
pensata dalla mente come noumeno, oggetto del pensiero, ovvero oggetto
intelligibile, contrapposto all’oggetto della sensibilità, cioè al
fenomeno.
Da questo si evince che la realtà che l'uomo percepisce attraverso la
mente è un fenomeno, ovvero ciò che appare, sotto il quale esiste
un'ulteriore realtà, chiusa in sé e alla conoscenza.
Da questo, si può ben osservare come Kant critichi fermamente il
concetto di metafisica, infatti, se essa è il tentativo di conoscere la
realtà autentica delle cose (cose in sé), attraverso la razionalità
espressa dalla coscienza, per Kant, come si è poco sopra notato, ciò
non può avvenire, poiché si può solamente entrare in contatto con il
fenomeno sensibile costituito dal mondo.
In Kant, anche il concetto di Dio è parte di quelle cose in sé, per cui
Dio non è dimostrabile né indimostrabile, Egli è semplicemente al di là
delle possibilità conoscitive umane.
Quanto detto implica che la filosofia kantiana sul vero e sulla realtà,
come anche su altri concetti, come vedremo, conduce ineluttabilmente al
rischio di un forte soggettivismo,1
poiché se la cosa in sé rappresenta il vero e l’oggetto del pensiero il
noumeno, allora il vero diventa inaccessibile e l’empatia con la realtà
è soltanto apparente, cioè fenomenica; qui il rischio si amplifica,
poiché accanto al soggettivismo si insinua un altro pericolo, assai
percepibile ai tempi odierni, ovvero il relativismo.
http://www.zammerumaskil.com
Realizzata con Joomla!
Generata: 30 March, 2010, 12:20
Zammeru Maskil una testimonianza cattolica nel web
Oltre alla ragione pura vi è nella filosofia kantiana spazio per una
ragione pratica – l’etica e la ragione propria che guidano le azioni
umane nella vita quotidiana. Per quanto osservato sopra, una volta
negata la possibilità di una comunione universale, di un mondus
intelligibilis, viene introdotta l’ipotesi di un’unità morale.
Il giusto kantiano è ciò che non prescinde dalle regole dettate dalla
ragione: l'etica, per essere giusta, deve seguire i percorsi della
ragione.
La ragione pratica è tutto ciò che è possibile per mezzo della libertà
umana.
Per libertà umana si intende la libertà di arbitrio tipica
dell'essere umano. Pratica è quella conoscenza che non ha in sé nulla
di assoluto in quanto collegata alle singole circostanze della vita (la
morale, l'etica, l'interpretazione delle azioni degli individui).
L’aver smascherato l’infondatezza delle pretese della metafisica,
avendo dimostrato che i suoi ragionamenti sono puramente sofistici
(dialettici), consente a Kant, di dare un fondamento alla morale e
quindi al giusto. L’uomo agisce in base ad imperativi; essi sono
generalmente ipotetici, come dire se vuoi questo fai quello. Questi,
però, essendo meramente pratici ed utilitaristici, non consentono una
definizione di ciò che è giusto.
Kant allora introduce il concetto di imperativo categorico: un
comportamento è da considerarsi giusto in modo categorico (cioè senza
possibilità di smentita) quando è universalizzabile, giusto in ogni
momento e in ogni situazione umana. Questo comportamento diventa allora
vincolante per la morale di tutti gli uomini, una sua mancata
applicazione significherebbe agire in modo immorale.
L'idea è che l'uomo possa farsi guidare dalla ragione non solamente nel
campo delle scienze ma anche nel campo della pratica morale,
dell'etica. In particolare, l'imperativo categorico, che deve guidare
l'uomo come necessità volontaria, non è una costrizione ma un aderire
ad una legge razionale, che l'uomo stesso ha formulato per mezzo della
propria ragione.
Esempi di imperativi categorici sono l'obbligo di volere la pace – la
guerra come principio etico universale porterebbe solo alla distruzione
di ogni cosa –, o l'imperativo di tendere sempre allo sviluppo del
proprio talento – una società che permettesse agli uomini di
abbandonarsi al solo ozio subirebbe un naturale regresso.
Occorre, inoltre, aggiungere che un’azione giusta, o che aspiri ad avvicinarsi il più possibile alla pura legge del
dovere, è possibile
solo se la conoscenza delle cose in sé, dei noumeni, resta
impenetrabile. Ove l’uomo potesse conoscere direttamente Dio, nessuno
potrebbe più scegliere di uniformarsi all’imperativo categorico,
nessuno più sarebbe, quindi, libero.
In conclusione, il giusto per Kant implica essenzialmente una morale
della libertà e insieme dell’autonomia. Proprio per questo secondo il
grande filosofo non è la religione che può regolamentare il giusto,
bensì è il giusto, discendente dalla libera ragione dell’uomo, che
regolamenta la religione: è la morale che motiva la religione e non
viceversa.
Accanto alle prime due critiche sulla ragione – pura e pratica –, Kant
aggiunge una terza critica, che funge da termine medio fra uso
teoretico ed uso pratico della ragione, il giudizio. In particolare,
rivolgiamo la nostra attenzione al giudizio estetico, che coinvolge i
concetti di bello e di sublime. In questo modo, non consideriamo la
http://www.zammerumaskil.com
Realizzata con Joomla!
Generata: 30 March, 2010, 12:20
Zammeru Maskil una testimonianza cattolica nel web
natura sotto il profilo delle sue leggi meccaniche o delle utilità che
da essa possono derivarci – il giudizio estetico è infatti
disinteressato –, bensì come l’espressione di una libera armonia.
Nell’Analitica del bello, Kant fornisce una quadruplice definizione
categoriale: se bello è ciò che piace in quanto oggetto del giudizio di
gusto, per qualità esso sarà disinteressato, per quantità universale,
ancorché aconcettuale, per relazione sarà libero da scopi estranei, per
modalità sarà necessario.
Kant distingue, poi, fra bello libero e bello aderente: il primo non
necessita alcun concetto relativo a ciò che rappresenta l’oggetto, è il
bello più puro, come la musica senza tema (fantasie musicali), gli
arabeschi, le greche, i frattali,2
che non mirano a far immaginare niente e non sono la riproduzione di
un’immagine, sono le forme di bellezza più pure, in quanto non
presentano il pericolo di inquinamento dell’emozione estetica da parte
di un interesse; il secondo, che è afferente all’oggetto, è meno puro
di quello libero poiché cerca di rispondere alla perfezione di un
modello; è dunque tipizzato, cioè legato al concetto della cosa di cui
è immagine, mentre invece il bello libero non pretendendo di riprodurre
alcuna immagine, non è tipizzato.
Se il bello deriva dal libero gioco tra sensibilità ed intelletto,
nell’Analitica del sublime Kant sottolinea come quest’ultimo derivi dal
libero conflitto tra sensibilità e ragione. Si ha pertanto quel
sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato sia
dall’assolutamente grande ed incommensurabile, sia dallo spettacolo dei
grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che suscitano nell’uomo il
senso della fragilità e finitezza. Il sentimento del sublime ha quindi
una duplice morfologia, il sublime matematico, di fronte alla serie dei
numeri o all’illimitatezza del tempo e dello spazio a perdita d’occhio,
espresso ad esempio dalla grandiosità del mare o del cielo, ed il
sublime dinamico, di fronte alla potenza della natura, espressa in un
uragano o in una grande cascata.
Il bello ed il sublime hanno delle somiglianze, in primo luogo perché
entrambi piacciono a se stessi, in secondo luogo perché entrambi
provengono da un giudizio di riflessione. Accanto a queste, si notano
altresì chiaramente le differenze: una prima, manifesta, è che il bello
deriva da forma e qualità, mentre il sublime da mancanza di forma e da
quantità; una seconda è che, considerando il sublime degli oggetti
naturali, troviamo nella bellezza naturale che l'oggetto sembra come
predisposto per il nostro giudizio e perciò costituisce essa stessa un
oggetto di piacere, mentre nel sentimento del sublime l’oggetto può
apparire in contrasto, nella forma e nella grandiosità, con la nostra
immaginazione, pur risultando tanto più sublime, quanto maggiore è tale
grandiosità.
Bibliografia
-
AA. VV., Le garzatine, Filosofia, 2005, Garzanti 3a ed.
-
AA. VV., materiale reperito in Internet
-
Carlo Sini, I filosofi e le opere, 1980, Principato 3a ed.
-
Dizionario Enciclopedico Treccani, 1979, Ist. Encicl. Ital.
-
Roberto Rossi, Introduzione alla filosofia, 2001, EDB
http://www.zammerumaskil.com
Realizzata con Joomla!
Generata: 30 March, 2010, 12:20
Zammeru Maskil una testimonianza cattolica nel web
NOTE:
1) Questa conversione dall’oggetto al modus cognoscendi del soggetto
viene chiamata la rivoluzione copernicana di Kant. Anche l’arte subisce
l’influsso di questo cambiamento di riferimento, la rappresentazione
della natura perde il riferimento oggettivo, divenendo mera
interpretazione dell’artista, che fornisce un ordine personale ai
fenomeni; immediata conseguenza di tutto questo è l’arte astratta.
2) Oggetti geometrici che possono essere divisi in parti, ognuna delle
quali è simile all'oggetto originale. Più specificatamente,
rappresentazione grafica di funzioni matematiche dette olomorfe,
soddisfacenti particolari condizioni (ad esempio, un frattale molto
noto prende il nome di insieme di Mandelbrot).
http://www.zammerumaskil.com
Realizzata con Joomla!
Generata: 30 March, 2010, 12:20
Scarica