Statine: così fan tutte? (ovvero esiste la proprietà transitiva per i

Foglio di
informazione
professionale
N.115
28 marzo 2003
Statine: così fan tutte?
(ovvero esiste la proprietà transitiva per i farmaci della stessa classe?)
I farmaci in commercio vengono suddivisi in classi. I criteri di appartenenza variano da classe a classe. In certi casi,
funge da discriminante una proprietà biochimica specifica posseduta dal farmaco, come la capacità di bloccare un
determinato sistema enzimatico: gli inibitori del 3-idrossi-3-metilglutaril coenzimaA (le statine) sono un esempio. Per
altre classi viene richiesto l’effetto su organi di animali: gli estrogeni sono in grado di indurre crescita uterina ed
epitelizzazione vaginale nei roditori. Questa modalità piuttosto eterogenea di raggruppare i farmaci è utile soprattutto
per fini didattici, di ricerca e di marketing, ma presenta degli inconvenienti. Ritenere che i farmaci di una stessa classe
siano equivalenti e intercambiabili è arbitrario e, talora, azzardato.
La scelta di un farmaco all’interno di una classe dovrebbe basarsi sulla dimostrazione di un beneficio clinico, sulla
sicurezza, e a parità dei primi, sul minor costo. Tuttavia, per i singoli componenti raramente sono disponibili
informazioni complete che consentano di valutarli in modo comparativo. Il concetto di “effetto di classe” viene usato
proprio per compensare la mancanza di questi dati. Quando l’efficacia di un farmaco capostipite è stata documentata su
esiti significativi (beneficio clinico) come la mortalità o su eventi clinici importanti (es. riduzione del rischio di infarto o
di ictus) si tende a generalizzare il merito a tutti i membri della classe. Quando, poi, si sospetta un effetto indesiderato
grave o un rischio particolare, si fa di tutto per distinguere il farmaco per il quale sono emersi problemi di sicurezza
dagli altri componenti della classe. La FDA statunitense utilizza il termine “effetto di classe” quando “all’interno di una
classe, tutti i farmaci vengono giudicati strettamente correlati per struttura chimica, effetti farmacologici, attività
terapeutica ed effetti indesiderati”. Le agenzie regolatorie dei vari Paesi approvano i farmaci basandosi soprattutto su
studi di confronto con placebo. In tali studi, l’efficacia è un indicatore esclusivamente qualitativo che ci dice se il
farmaco è superiore o meno al placebo. Le agenzie regolatorie non si preoccupano di verificare se i farmaci di una
classe sono quantitativamente equivalenti in termini di efficacia o sicurezza. La selezione di un farmaco risulta molto
difficile per terapie croniche che mirano a prevenire lo sviluppo di una malattia e delle sue complicazioni. Per provare
che un farmaco è in grado di incidere sulla mortalità, così come per completare il suo profilo di sicurezza, occorrono
anni. Inoltre, solo i confronti “testa a testa” su efficacia e sicurezza nell’ambito di studi randomizzati di ampie
dimensioni possono fornire informazioni comparative attendibili sugli effetti preventivi. Purtroppo, informazioni di
questa natura non vengono richieste dalle autorità regolatorie né vengono fornite dalle ditte produttrici. Esistono fattori
che ostacolano la realizzazione di studi comparativi. Il costo, innanzitutto. Inoltre, per dimostrare che un nuovo farmaco
è equivalente ad un altro è necessario arruolare un numero di pazienti più alto di quello richiesto per dimostrare la
maggiore efficacia di un farmaco rispetto al placebo. Perché mai, poi, una ditta dovrebbe rischiare di vedere il proprio
farmaco superato da un “concorrente”? Per le ditte risulta più economico, e più sicuro, affidarsi alla intraprendenza e
alla forza di persuasione del marketing. La storia degli ultimi 10 anni è piena di farmaci “me-too” (copie), con una
documentazione scientifica povera -calcio-antagonisti, FANS, statine, beta-bloccanti- che hanno scalato i vertici delle
classifiche di prescrizione in virtù di abili strategie di marketing. Le difficoltà di scelta nell’ambito di una classe
aumentano quando i farmaci sono stati registrati sulla base di end-points “surrogati”∗ come la riduzione della pressione
arteriosa, del colesterolo o della emoglobina glicosilata (ipoglicemizzanti orali) presumendo per deduzione (inferenza)
che ne possa derivare un beneficio per il paziente. La stessa FDA sembra preoccupata del modo con cui il concetto di
“effetto di classe” viene utilizzato nella competizione commerciale tra le ditte.
Dopo che la Novartis, in uno spot televisivo (negli Usa è consentita la pubblicità diretta al cittadino anche per farmaci
etici), aveva affermato che la fluvastatina era efficace quanto le altre statine, la FDA ha inviato una lettera di
ammonimento alla ditta accusandola di affermazioni false e tendenziose. Mentre diversi studi hanno, infatti, dimostrato
che la pravastatina e la simvastatina sono in grado di ridurre la mortalità e gli eventi cardiovascolari non fatali, per la
fluvastatina esistono solo prove di efficacia sulla diminuzione del colesterolo. La FDA ha riconosciuto, quindi, che
•
End-points (indicatori di esito) surrogati sono parametri di valutazione intermedi rispetto al reale obiettivo della terapia: la
riduzione della pressione arteriosa è un criterio surrogato rispetto alla riduzione della patologia cardiaca o cardiovascolare.
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esistono differenze cliniche importanti all’interno di una classe di farmaci, o quanto meno delle differenze nella quantità
e qualità dei dati clinici disponibili.
Un altro aspetto da considerare attentamente è la sicurezza comparativa. I farmaci di una classe, pur condividendo una
stessa attività terapeutica, possono essere diversi sotto il profilo della sicurezza. Quand’anche riuscissimo a contare su
end-points surrogati che ci consentissero di valutare l’efficacia di un farmaco in modo attendibile, non avremmo mai la
possibilità di trovare criteri surrogati affidabili per stabilirne la sicurezza. I primi due rappresentanti dei beta-bloccanti
(pronetalolo e practololo) sono stati ritirati dal commercio non per inefficacia, ma per tossicità. Nel corso degli ultimi
20 anni, 12 FANS con accertata attività antiprostaglandinica e analgesica sono stati ritirati per ragioni di sicurezza.
L’ultimo calcio-antagonista approvato dalla FDA (mibefradil) è stato anch’esso ritirato dal commercio non per la sua
scarsa efficacia nel bloccare i canali del calcio, ma per i gravi effetti indesiderati. I farmaci producono molti effetti che
devono essere chiariti e un profilo di sicurezza incompleto può essere un rischio per la salute. I dati sulla sicurezza
comparativa, comprese le reazioni imprevedibili, provengono per lo più dalla sorveglianza post-marketing, fortemente
condizionata dalle normative vigenti, dalla attitudine dei medici a riconoscere e a segnalare le reazioni avverse più gravi
e dalla disponibilità dell’industria a rendere pubblici i propri dati. La sicurezza comparativa sul lungo periodo può
essere stabilita con precisione solo con studi clinici di grandi dimensioni e di lunga durata o con studi osservazionali
correttamente impostati. Basarsi sull’”effetto di classe” e sul costo più basso per selezionare un farmaco all’interno di
una classe può essere rischioso (cerivastatina docet). Una testimonianza ci viene dalla Nuova Zelanda. Dopo che le
autorità federali avevano deciso di sostituire la simvastatina con la fluvastatina come unica statina rimborsabile, uno
studio osservazionale condotto su 126 pazienti ha rilevato, oltre all’aumento della colesterolemia (nel 94% dei pazienti),
un incremento degli eventi trombotici nei 6 mesi successivi alla sostituzione. Dovremmo allora esigere che ogni nuovo
rappresentante di una classe venga confrontato col capostipite o con quello meglio documentato? D’altronde, quali
benefici clinici potranno derivare dalla introduzione in commercio della 5a statina, del 15° ACE-inibitore, del 12°
calcio-antagonista o del 7° sartano? Non sarebbe più utile, sia dal punto di vista clinico che economico, limitarsi a soli
3-4 principi attivi per ogni classe? La concorrenza tra le ditte porterebbe ad una diminuzione del costo dei farmaci. Se la
registrazione di farmaci “me-too” fosse subordinata alla presentazione di dati di efficacia e di sicurezza comparativa, le
ditte sarebbero costrette a sviluppare molecole veramente innovative o nuove classi di farmaci più efficaci e sicuri. Le
agenzie regolatorie dovrebbero rivedere le norme di registrazione attribuendo maggiore importanza al valore aggiunto
(vantaggio) del nuovo farmaco in termini di efficacia e sicurezza, anziché fissare semplicemente degli standard minimi
per la commercializzazione. In fondo, l’obiettivo della ricerca clinica e della registrazione di un farmaco è la salute dei
pazienti o il profitto dell’industria farmaceutica?
A cura del dr. Mauro Miselli
Bibliografia
- Furberg CD et al. Are drugs within a class interchangeable? Lancet 1999; 354:1202-4.
- Thomas M and Mann J. Increased thrombotic vascular events after change of statin. Lancet 1998; 352:1830-1.
- Prescrire Redation. Ne pas confondre statine et statine. Rev Prescr 2001; 21:745.
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