Da Ipazia a Zahra: percorsi di libertà

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Ecco il saggio «Da Ipazia a Zahra: percorsi di libertà».
Stavo facendo una ricerca di Geografia quando mi sono imbattuta
nel progetto internazionale promosso dalI'UNESCO, che vuole
favorire piani scientifici al femminile nati dall'unione delle
donne di tutto il mondo: "Se si vuole che la Scienza sia davvero
al servizio dei bisogni reali dell'Umanità, è necessario
realizzare un miglior equilibrio nella partecipazione di
entrambi i sessi al progresso. Attualmente nell'ambito della
scienza solo il 5% delle donne sono ai vertici".
L'UNESCO ha chiamato questo progetto internazionale: IPAZIA.
Nome curioso, come sono io, d'altra parte, non sapendo chi
fosse, via a cercare sue notizie e a coinvolgere in questo la
mia classe. Ipazia nacque ad Alessandria d'Egitto nel 370 d.c. e
divenne insegnante alla Scuola Alessandrina, la più importante
comunità scientifica della storia dove avevano studiato tutti i
geni che hanno gettato le fondamenta del sapere scientifico
universale. Ipazia e i suoi allievi stavano elaborando e
scoprendo nuove teorie, leggi e strumenti scientifici, quando
Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria, ordinò a dei sicari
di uccidere questa donna straordinaria. L"8 marzo del 415 d.c.
Ipazia, la prima donna scienziata, veniva barbaramente uccisa,
perché i fondamentalisti religiosi temevano che la sua filosofìa
e la sua libertà di pensiero rappresentassero un'influenza
pagana sulla comunità cristiana d'Alessandria d'Egitto. Fermare
Ipazia, come scienziata e come donna, significò la fine del
paganesimo, il tramonto della scienza e della dignità stessa
della donna. Da questa donna vissuta 16 secoli fa, che discuteva
sulla natura del cielo e della musica, che lottava per la
ricerca libera dai dogmi, che indagava la luce e il tempo...da
Ipazia vogliamo cominciare a raccontare questa storia.
Nei secoli bui del Medioevo la Chiesa e l'Impero ostacolarono il
libero pensiero e la ricerca scientifica (pensiamo a Giordano
Bruno e a Galileo Galilei): in particolare alla donna doveva
essere impedito l'accesso, alla scuola, all'arte e alla scienza.
Ipazia rappresenta oggi il simbolo dell'amore per la verità, la
saggezza e la scienza, mentre in nome del fondamentalismo ancora
oggi si uccide e ci si fa uccidere. Sappiamo che la Costituzione
italiana tutela l'uguaglianza e anche, l'uguaglianza tra uomo e
donna. A ritroso nel tempo abbiamo scoperto che non è stato
sempre così; le donne non avevano affatto diritti, anzi non
erano proprio considerate. Concetto magnificamente espresso da
Virginia Woolf: “Da secoli è cosa nota che le donne esistono,
fanno figli, non portano la barba e raramente diventano calve ma
a parte queste cose, e altre in cui si dice siano identiche agli
uomini, sappiamo ben poco di loro”.
Il processo di emancipazione della donna si è sviluppato in
forma più accelerata nell'Ottocento, radicalmente a partire
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dalla seconda metà del ;900, fino ad arrivare alla condizione
delle donne contemporanee che hanno conquistato, fra gli altri,
il diritto di avere vite diverse le une dalle altre. Fino al
XVIII secolo, infatti, le donne sono sempre state confinate in
casa e destinate a svolgere lavori, né intellettuali né fisici,
ma a curare i bambini e restare sottomesse all'uomo. Nemmeno ai
tempi della Rivoluzione Francese gli uomini decisero di
applicare alle donne i principi di uguaglianza che si stavano
affermando allora. Quando, con la Restaurazione, fu ristabilito
il vecchio ordine sociale e politico la donna fu esiliata di
nuovo accanto al focolare: essa doveva essere una sposa fedele,
devota alla casa e alla famiglia, madre esemplare e attenta
custode delle tradizioni e della religione. Non poteva aspirare
a un ruolo diverso perché una tradizione secolare aveva sancito
"la sua inferiorità naturale".
Questi pregiudizi, ancora nell '800, erano condivisi dai più
illustri intellettuali del tempo. Ad esempio il conte Joseph de
Maistre scrisse: tv"Non hanno creato né l'Iliade, né l'Eneide,
né il Partenone, né la chiesa di San Pietro, né la Venere dei
Medici, né il Libro dei Principi, né il Discorso sulla storia.
né Telemaco. Non hanno prodotto né l'algebra, né i telescopi, ma
fanno qualcosa di più grande di tutto questo. E sulle loro
ginocchia che si forma quanto c'è di più eccellente al mondo: un
uomo onesto e una donna onesta". E proprio nell'Ottocento,
mentre De Maistre scriveva queste righe, cominciarono ad
affermarsi alcune donne scrittrici come Jane Austen e le sorelle
Bronte che, tuttavia, continuarono a incontrare grandi
difficoltà nell'esprimere il proprio talento.
Alla fine degli anni Venti del '900 una delle fondatrici del
movimento femminista, la scrittrice inglese Virginia Woolf,
rispose idealmente agli argomenti del conte de Maistre: "I
capolavori non sono nascite isolate e solitarie: essi sono il
risultato di molti anni di un pensare in comune, di pensare
avendo accanto a sé la gran parte del popolo, sì che
l'esperienza della massa si raccoglie dietro quella singola
voce". Comunque sia, le ragazze non venivano incitate a cambiare
il loro stile di vita, perché esse inseguivano i modelli di
comportamento diffusi dai manuali per ragazze, - ironia della
sorte tutti scritti da donne! -, che circolavano già da un
secolo. In uno dei più celebri, intitolato "Donne
d'Inghilterra", l'autrice Sarah Stickney ammoniva: "Nessuna
donna che goda di buona salute deve permettere che il fratello
si prepari da solo i pasti, in qualsiasi ora del giorno, se le è
possibile farlo per lui. Nessuna donna deve permettere che il
fratello indossi biancheria frusta, che porti guanti o calze che
abbiano bisogno di essere rammendati, o che ritorni a casa senza
trovare un soggiorno pulito, un luogo dove sedersi senza doverlo
chiedere, e un invito gioioso a dividere insieme il necessario
ristoro".
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Anche un gran numero di romanzi popolari contribuì a rafforzare
il modello imposto dai "manuali per signorine". La trama, in
fondo, era sempre la stessa: l'eroina trovava la felicità nel
matrimonio e nella sottomissione al marito, che le era stato
scelto dal padre e che di solito aveva molti più anni di lei. La
pedagogista tedesca Betty Gleim nelle sue Memorie rifletteva con
amarezza sull'inutilità sociale e l'infelicità delle donne che
non riuscivano a sposarsi: " La donna non ha valore o scopo in
sé, allora tutte queste ragazze non sposate sono le più
inutili". Alcune scrittrici anticonformiste avevano anticipato i
tempi, denunciando nei loro romanzi ì matrimoni senza amore e le
violenze psicologiche contro le donne. Tra queste troviamo
George Sand, un personaggio molto originale che vestiva abiti
maschili, fumava il sigaro e, secondo i contemporanei. assumeva
atteggiamenti assai criticabili. Nella realtà, via via che il
livello di alfabetizzazione aumentava, cresceva il numero delle
ragazze che rivendicavano il diritto di sposare uomini di cui
fossero innamorate. Inoltre un numero crescente di donne sentiva
l'esigenza di uscire dalle mura domestiche per avventurarsi
nella società. Una delle occupazioni principali che assorbì gran
parte dell'energia femminile fu l'assistenza sociale: le donne
si riversavano nelle prigioni, nelle scuole e negli ospedali;
fondavano orfanotrofi e asili. Ma coloro che si dedicavano a
occupazioni jextradomestiche venivano criticate, perché "si
mostravano in pubblico da sole". Nelle famiglie decadute dei
ceti più elevati e in quelle piccolo-borghesi le donne da sempre
lavoravano per necessità, soprattutto se non erano riuscite a
sposarsi in tempo: facevano le governanti, le istitutrici, le
insegnanti.
Alla fine dell'800 le donne lavoratrici cominciarono ad
organizzare le loro lotte sociali ed a ampliare gli spazi
dell'associazione e della parola. La parola dell'incontro...
Successivamente la necessità di guadagnare si unì a una nuova
idea del lavoro, sentito ormai da tutte come un'occasione per
migliorare il proprio destino e accrescere la propria libertà.
Le donne cominciarono anche ad essere assunte come impiegate
delle poste, telefoniste. segretarie, dattilografe, commesse,
cassiere; a parità di impiego venivano pagate di meno degli
uomini, ma ormai potevano mantenersi da sole ed essere
considerate persone rispettabili anche se lavoravano fuori di
casa.
Alcune di loro riuscivano a laurearsi e a esercitare quelle
professioni che erano considerate solo "da uomini". Ad esempio
la grande scienziata Marie Curie vinse due premi Nobel, nel 1903
e nel 1911: uno per la fisica e uno per la chimica. Quando
scoppiò la Prima Guerra Mondiale e milioni di uomini partirono
per il fronte, le donne furono chiamate a sostituirli in mille
mestieri e la loro vita cambiò definitivamente: sperimentarono
nuove capacità e dimostrarono un'insospettata forza d'animo.
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Anche nel secondo conflitto mondiale le donne furono chiamate a
sostituire i loro uomini e ad assistere i soldati al fronte; ma
questa volta molte di esse arrivarono anche a imbracciare le
armi, per difendere le loro terre dagli orrori dell'occupazione
nazifascista.
Tuttavia i dati contemporanei al femminile che abbiamo raccolto
testimoniano quanto sia ancora lungo il cammino per creare una
società nella quale le donne possano manifestare pienamente il
proprio potenziale e in cui tutte possano godere di pace,
felicità e buona salute. Nonostante ancora oggi le donne siano
la fonte primaria del lavoro agrìcolo in Asia e in Africa,
nonostante siano il punto di forza della società, non sono
sufficientemente riconosciute, sono spesso sottopagate e non
considerate nei progetti di sviluppo; tuttavia solo
valorizzandola al massimo, la forza femminile genererà grande
significato, guiderà e potenzierà gli sforzi per creare una
nuova società, armoniosa e compassionevole" (D. Ikeda).
Abbiamo conosciuto Zahra una mattina in cui, nell'ambito del
nostro progetto "Dialogo interculturale". ci siamo recati in
un'aula al primo piano della nostra scuola; la classe nella
quale ci siamo imbattuti era davvero particolare: un mosaico di
volti, voci, colori diversi, armoniosamente diversi, che
seguivano una lezione di italiano. Accanto al loro maestro c'era
Zahra, la loro mediatrice interculturale. Dopo aver fatto un
gioco per conoscerci "io mi chiamo...vengo da...e porto...7', ci
siamo seduti accanto ai nuovi compagni ed abbiamo ascoltato
Zahra raccontarci la sua storia, avvolta nel suo coloratissimo
hijab.
Ciao, Salam, mi chiamo Zahra, ho 32 anni e vivo a Siena con la
mia famiglia, mio marito e i miei quattro figli. Vengo dal Mali:
il mio paese è ti più povero del mondo. Fa parte dell 'Africa
del Sahel e confina con la Mauritania, a ovest, l'Algeria a
nord, la Nigeria a est e il Burkina Faso a sud. Il Mali è un
paese pianeggiante con alcuni altopiani e con un solo fiume: il
Niger. Mi sono trasferita in Italia per studiare e per bisogno
di soldi. Secondo le persone che conosco, ho avuto molto
coraggio a lasciare da sola il mio paese, ma un evento che mi ha
molto aiutata è stato quello che mi è successo da bambina.
Infatti sono stata sostenuta a distanza da una famiglia europea
e così, grazie al loro aiuto, mi sono potuta appassionare allo
studio. Il mio villaggio era composto da poche casupole fatte di
argilla secca e paglia, dove abitavano molte famiglie.
Trascorrevo quasi tutte le mie giornate nello stesso modo:
prendevo tutte le mattine la canoa per attraversare il fiume in
poco tempo e recarmi a scuola che si trovava dall'altra parte
del fiume ed era una piccola struttura di legno con due sole
classi di quasi trenta alunni in tutto. Appena entrava in
classe, l'insegnante salutava i suoi alunni e cominciava la
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lezione. Come tutti gli altri alunni, facevo merenda con della
frutta raccolta prima di recarmi a scuola.' Alla fine delle
lezioni riprendevo la canoa per tornare a casa e mangiare quello
che c'era insieme alla mia famiglia. Il pomeriggio mi divertivo
a studiare e ad aiutare mamma a fare dei lavoretti artigianali
come dei vasi di terracotta, vestiti con la lana delle pecore;
solitamente raccoglievo frutta e bacche da mangiare. Con il
passare dei mesi continuavo ad andare a scuola e imparare sempre
più cose; nel frattempo, spesso mi turbava la morte di alcuni
del mio villaggio (per denutrizione, per presenza di insetti
portatori di malattie e per mancanza di aiuto medico) e provavo
un sentimento molto profondo per loro. Più persone vedevo morire
e più aumentava la mia voglia dì fare qualcosa per aiutarle.
Così, all'età di venti anni, spinta dalla voglia di imparare per
aiutare, presi la decisione di emigrare in Europa per continuare
i miei studi e specializzarmi in Medicina Pediatrica. Partii su
un camion di trasporto merci diretto in Tunisia; dal Mali
attraversai l'Algeria, un viaggio faticosissimo sotto al sole,
per arrivare a Tunisi dove salii, con altre persone, su una
piccola imbarcazione clandestina che sarebbe dovuta sbarcare
nelle prime isole del territorio italiano o direttamente in
Sicilia -questo non lo sapevamo; l'unica cosa certa era che quel
viaggio era costato l'inimmaginabile alla mia famiglia e al mio
piccolo villaggio che aveva creduto in meli viaggio durò quattro
giorni e avevo molta paura perché d'ora in poi avrei condotto
una vita diversa; sarebbero cambiate molte cose ma quello che
più temevo era di non essere accettata dalla società italiana
perché di un altro paese, di un 'altra religione, con l'aspetto
fisico diverso e con altre usanze. Appena sbarcata in Sicilia
cercai un mezzo che mi portasse nel centro Italia dove avrei
preferito cominciare i miei studi. Mi informai e scoprii che
l'unico mezzo, gratuito ma clandestino, era un pullman
organizzato che si . dirigeva a Firenze. Questa era la mia
occasione per iniziare una nuova vita. Un altro pensiero che mi
tormentava era la mancanza di soldi; dovevo trovare un lavoro
per mantenermi agli studi. Dopo il secondo stressante viaggio
finalmente mi trovai in un luogo giusto e decisi, così, di
organizzarmi insieme ad altre studentesse non italiane che avevo
conosciuto durante il viaggio. Affittammo un piccolissimo locale
nel quale trascorsi meravigliose giornate con le mìe amiche:
erano tre, tutte straniere e comunicavano con una lingua ibrida
nata dalla mescolanza delle nostre lingue d'origine, della
conoscenza comune della lingua inglese e dell'italiano. I loro
nomi erano: Marziei che proveniva dall’Iran ed era musulmana.
Irina polacca cattolica, Nadia, rumena ortodossa: davvero un bel
quadretto interreligioso!
Marziei aveva i capelli neri come chicchi di caffè, un corpo
abbronzato e leggero illuminato da occhi profondi. Perseguitata
e minacciata nel suo Paese d'origine dove, come giornalista,
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aveva osato criticare pubblicamente le malefatte della politica
governativa, aveva ottenuto asilo politico in Italia.
Irina era un bella ragazza, alta, bionda e molto magra. Si era
laureata in Chimica giovanissima, ma purtroppo il suo stipendio
non bastava per sostenere tre figli ed un marito disoccupato.
Così era venuta in Italia per trovare un lavoro più
remunerativo. Questa ricerca le aveva fatto conoscere uomini dai
sorrisi sottili e dalle parole suadenti che quasi l'avevano
fatta finire sul marciapiede; era scappata in tempo. Alla fine
di un percorso tutto in salita, si era trasferita a Firenze su
consiglio di una rubiconda fruttivendola che abitava sul suo
pianerottolo.
Nadia era la più simpatica del gruppo, ma anche la più giovane,
aveva compiuto la maggiore età da poco; aveva raggiunto un
fratello e una sorella che qui lavoravano da un paio di anni e
che le avevano trovato un 'occupazione come domestica. Fra noi
si era già creato un forte affiatamento ed una grande
solidarietà, ci aiutavamo a vicenda sempre con la massima
disponibilità.
Le nostre orìgini, i nostri costumi, le nostre culture, le
nostre tradizioni e le nostre religioni così diverse, anziché
dividerci, ci avevano unite ancor più fortemente.
Zahra era un fiume, un fiume di parole che cancellavano ogni
distanza e che ci avrebbero sempre più coinvolti in
un'esperienza indimenticabile.
Ero eccitata dall'idea di realizzare il mio sogno e così mi
iscrissi alla Facoltà di Medicina; studiavo e lavoravo la sera
come cameriera in un ristorante e anche se avevo ancora qualche
problema con la lingua ero felice di aver trovato forme di
comunicazione nuove e inattese. Ciò che dà l'incontro con
l'Altro: il coraggio di esporci ed esprimerci per quello che
siamo. Più passava il tempo e più andavo avanti negli studi
anche se ogni tanto non riuscivo a superare qualche esame; ma in
questi casi mi bastava impegnarmi di più per superarli. Tutto
filava liscio fino al giorno in cui, sull’autobus, alcune
persone mi guardarono con disprezzo. Allora andai per sedermi
vicino ad una signora che, appena mi aveva vista, aveva
frettolosamente posato la borsa sul sedile; così chiesi
gentilmente ali 'anziana se poteva spostare la borsa, ma quella
mi rispose: "NO, TU NON TI PUOI SEDERE QUI PERCHÉ SEI NEGRA E I
NEGRI VENGONO DA NOI SOLO PER RUBARE E UCCIDERE". Stordita, mi
avviai verso l'uscita per scendere alla fermata seguente, anche
se ero ancora molto lontana da casa. Quella notte non dormii
molto: tra diverse tazze di cioccolata, i pensieri, prima bui e
ùisti, lasciarono poi il posto alla consapevolezza che quelle
parole nascevano dalla paura, la paura dell'Altro che nasce
dall’ignoranza...
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Qualche anno dopo, raccontandoci la sua storia, Zahra lasciava
tradire emozioni ancora molto intense.
Io ero sempre più felice perché il mio sogno si andava
realizzando; infatti ero ali 'ultimo esame dalla laurea. Mi
applicai con tutto l'impegno che avevo e dovevo dare il massimo
per coronare il desiderio di diventare medico. Così, con estrema
soddisfazione, superai l'esame finale senza alcun problema. E
passato moltissimo tempo da quando ho lasciato il mio paese per
venire a studiare in Italia; mi sono ambientata e, anche se a
volte mi accorgo di venir guardata male dalle persone, ho
imparato la lingua italiana e anche la medicina. Ora ho una
famiglia, quadro figli, vivo a Siena e lavoro come infermiera in
un ospedale. Finalmente il mio sogno si è avverato completamente
anche perché ho fondato un Associazione onlus "L 'aquilone di
Ipazia " e con i fondi ricavati tornerò in Mali insieme ad
un'equipe di medici per un ospedale che accoglierà tutti,
soprattutto i bambini.
Da Ipazia a Zahra, il volo di un aquilone verso la libertà.
Essere donne ha quasi sempre costituito una difficoltà per
quelle che volevano realizzare le proprie capacità e affermarsi
nella società. Spesso ostacolate in questi tentativi di
esprimersi, le donne, nel corso dei secoli, hanno a volte messo
da parte i propri talenti, a volte invece hanno combattuto con
fierezza, altre ancora hanno dedicato le proprie energie alla
cura delle famiglie, alla crescita e alla protezione dei figli o
dei malati. Non per questo sono meno degne di lode e di
rispetto, anzi.
Per il futuro noi ci auguriamo davvero che sia possibile
esprimersi in tutti i modi e in tutte le direzioni in cui ci
spingono i nostri desideri e la nostra sete di conoscenza. Per
poter promuovere così ciò che ci sembra importante e realizzare
i talenti che abbiamo, sia per la nostra soddisfazione che per
l'utilità ed il miglioramento del mondo in cui viviamo.