Il narcoterrorismo

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indice
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
NARCOTERRORISTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Talebani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Farc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Hezbollah . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Boko Haram . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Aqim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
IL CONTRASTO AL FENOMENO DEL NARCOTRAFFICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
C’ERA UNA VOLTA IL NARCO-STATO DELLE FARC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
HEZBOLLAH, IL LIBANO E LE METAMFETAMINE . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
CANNABIS COAST TO COAST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
IL RITORNO DELL’EROINA NEGLI STATI UNITI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
L’EROINA IN EUROPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
LE ROTTE EUROPEE DELL’OPPIO, L’AFGHANISTAN AL CENTRO DI TUTTO . . . . . . . . . . . . . 27
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introduzione
Resta il fatto che ovviamente è solo l’interesse a unire tali
gruppi i quali pertanto, a fasi alterne, continuano a combattersi tra loro anche violentemente.
L LEGAME TRA FORMAZIONI
I
TERRORISTICHE E NARCOTRAFFICANTI
NON È UN FENOMENO NUOVO, PERÒ È
In ogni caso, il commercio internazionale di droga è un
mercato oltremodo florido e la fonte di guadagno illecita
più veloce al mondo. Per questa ragione, i terroristi non
disdegnano di stringere accordi con chi traffica in questo
particolare settore. I guerriglieri, infatti, quale che sia la
loro ideologia, hanno costante bisogno di denaro liquido
per finanziare la propria lotta. E non c’è miglior introito
(non tracciabile) del denaro legato agli stupefacenti.
Un ottimo “deal” anche per i narcotrafficanti, cui le milizie offrono molteplici garanzie: manovalanza fidata, protezione armata e l’espansione del proprio raggio d’azione.
Trattandosi di forze antisistema, i terroristi sono in grado
di tenere lontani o fronteggiare meglio di chiunque altro
gli eventuali interventi repressivi delle forze di polizia. Anche per questo, l’abbraccio con le organizzazioni terroristiche rappresenta un’opportunità d’oro per i trafficanti,
che in questo modo possono fare a meno d’impegnare i
propri uomini nei servizi di sicurezza, reimpiegandoli nelle attività connesse con il traffico e lo spaccio. Una distribuzione costante e spedita, inoltre, non è un dettaglio, ma
un principio economico di rilevanza assoluta.
SEMPRE PIÙ RILEVANTE E DIFFUSO.
Una pericolosa relazione d’interdipendenza che si sostanzia nella reciproca soddisfazione di specifici bisogni:
le formazioni terroristiche richiedono grandi somme di denaro per finanziare le proprie imprese, condizione che può
essere facilmente assolta dai narcotrafficanti i quali in cambio ricevono ciò di cui hanno maggior bisogno, cioè protezione e territori sicuri dove poter operare impunemente.
Questa tendenza si manifesta dagli anni Duemila a oggi
pressoché con modalità simili in tutte le aree di crisi del
mondo, e ciò vale particolarmente nelle regioni caratterizzate da società e istituzioni instabili, dove il vuoto di
potere statuale viene immancabilmente sostituito dalla
presenza di forze ribelli e/o antisistema. Da qui sono originate mafie che agiscono e amministrano territori (anche
molto estesi) alla stregua di un vero e proprio “Stato nello
Stato”, imponendo sulla popolazione locale un controllo
capillare e la riscossione delle imposte. L’esazione forzata
di tasse avviene in primis nei confronti dei contadini che
coltivano le piante da cui sono estratti i principi attivi delle droghe (come nel caso di marijuana, cocaina ed eroina)
e nei confronti dei piccoli clan che gestiscono i laboratori
per la produzione di stupefacenti sintetici (come nel caso
di amfetamine e metamfetamine).
A soddisfare questa condizione provvedono le formazioni terroristiche, che nei teatri di crisi mondiali rappresentano il solo interlocutore che può garantire una
continuazione delle attività criminali, grazie all’uso indiscriminato della violenza. Del resto, disporre di territori
sicuri dove poter produrre la droga senza intoppi, è un
fattore indispensabile per mantenere il monopolio sul
mercato di riferimento e battere la concorrenza. In questo
modo, le organizzazioni di narcotrafficanti si assicurano
i “servizi logistici” indispensabili.
Afghanistan, Siria, Libano, Nigeria, Colombia sono solo
alcuni dei paesi dove il fenomeno è più manifesto, poiché
legato a condizioni storiche che hanno permesso alle organizzazioni criminali e terroristiche di radicarsi e strutturarsi
nel tempo. Fino ad arrivare al punto in cui sono oggi, quando
cioè - si potrebbe dire col progressivo venir meno delle ideologie che hanno generato queste forze - assistiamo a una sovrapposizione di finalità di scopo che portano organizzazioni
terroristiche e criminali a non essere più distinguibili tra loro.
Ciò che, però, si sta verificando ultimamente in seno alle
formazioni terroristiche è una mutazione dello schema appena descritto, che si va costituendo come un fattore strutturale comune a molte realtà anche divergenti tra loro:
segue
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sempre più spesso i combattenti si trasformano essi stessi
in narcotrafficanti, generando cartelli della droga autonomi in grado di rispondere direttamente e più efficacemente
alle proprie esigenze. Anziché assicurare protezione ai produttori di droga in cambio di denaro, gestire l’intera filiera
permette loro di abbattere i costi e assicurarsi così maggiori
entrate. Del resto, se le droghe non fossero illegali pressoché in tutto il mondo, alcune delle formazioni terroristiche
odierne si potrebbero quasi definire come società imprenditoriali che puntano al controllo dell’intero mercato: dalla
produzione, ai servizi, fino alla distribuzione.
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che questo potesse costituire un argine al fenomeno. Lo
scopo era riconvertire i campi ad altre colture e al contempo garantire il lavoro ai contadini per eliminare i narcotrafficanti. Questo sistema, però, non funzionò e oggi
l’Afghanistan è tornato a essere il primo produttore di oppiacei al mondo proprio grazie ai Talebani, che si sono
sostituiti ai narcotrafficanti e ormai controllano e gestiscono l’intero mercato. Anche in Colombia era stata sperimentata una cosa simile, ma sebbene si fosse verificata
un’iniziale diminuzione delle aree coltivate a coca tra il
1997 e il 2000, già nel 2004 la produzione era tornata
maggiore rispetto allo stesso 1997.
Questo processo varia a seconda della forza e delle ragioni che motivano le formazioni terroristiche: è accaduto
in Colombia, ad esempio, dove le FARC, le Forze Armate
rivoluzionarie della Colombia, un’organizzazione marxista-leninista, non hanno più ragioni di proseguire la propria battaglia ideologica, specie da quando è stato siglato
l’accordo di pace con il governo di Bogotà. Ragion per cui
molti ex guerriglieri si sono riciclati come narcotrafficanti.
Mentre, invece, ciò non si è verificato negli stessi termini
in Libano con Hezbollah, dove il “Partito di Dio” sciita
che si pone come alternativo al governo laico di Beirut,
essendo d’impostazione islamica considera il commercio
di droga come “Haram”, cioè contrario ai precetti della
religione coranica. Tuttavia, questo non impedisce loro di
gestire comunque il commercio attraverso infingimenti e
uomini di paglia.
Nel 2009 Antonio Maria Costa, direttore esecutivo
dell’UNODC, l’Ufficio per i narcotici e il crimine delle Nazioni Unite, fu tra i primi a lanciare l’allarme: «È diventato
sempre più difficile distinguere chiaramente i gruppi terroristici dalle comuni organizzazioni criminali perché le
loro strategie tendono sempre più a sovrapporsi. Se non
recidiamo il legame tra crimine, droga e terrorismo, il
mondo assisterà alla nascita di un ibrido e cioè di organizzazioni terroristiche della criminalità organizzata».
Giunti nel 2016, l’ibrido di cui parla Costa non solo persiste ma si estende senza soluzione di continuità nel mondo, lasciando una traccia così estesa tale che da
somigliare a una specie di Tropico del Cancro della droga.
Vale per i Talebani in Afghanistan come per i gruppi rivoluzionari in America Latina, per Boko Haram in Nigeria
come per Al Qaeda nel Maghreb Islamico, per Abu Sayyaf
nelle Filippine come per Hezbollah in Libano e Siria. Da
questo quadro emerge, dunque, con chiarezza come oggigiorno non si possa più distinguere chiaramente il terrorismo dal narcotraffico, ma si debba piuttosto parlare
più correttamente di «narcoterrorismo
Il narcoterrorismo non è nuovo agli osservatori internazionali. In Afghanistan, dopo l’invasione americana dell’ottobre 2001, l’Amministrazione Bush Jr promosse la
distruzione dei campi di papavero da oppio locali da cui
si ricavava l’eroina, finanziando l’allora governo del presidente Karzai con miliardi di dollari, nella convinzione
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talebani
La figura dei talebani emerge nei primi anni Novanta nel nord del Pakistan, in concomitanza con il ritiro delle truppe
sovietiche dall’Afghanistan, costrette alla resa dalla resistenza dei mujaheddin. Si tratta di un gruppo di etnia a maggioranza Pashtun, formatosi nelle scuole coraniche (madrase) e guidato sin dall’inizio dalla guida spirituale Mullah
Omar, morto nell’aprile del 2013 e sostituito prima da Akhtar Mohammad Mansour e successivamente dall’attuale leader Haibatullah Akhundzada.
Il primo vero salto di qualità dei talebani arriva nell’autunno del 1994, quando con i finanziamenti dell’Arabia Saudita
- che da tempo faceva pressione su quest’area dell’Asia Centrale affinché prevalesse una visione radicale dell’Islam
sunnita - i talebani assumono il comando del Paese imponendo una rigida applicazione della Sharia (la legge islamica)
con esecuzioni pubbliche, l’obbligo per gli uomini di farsi crescere la barba e per le donne di indossare il burka, il divieto per tutti di guardare la televisione e ascoltare musica e per le ragazze sopra i dieci anni di andare a scuola.
Inizialmente gli “studenti” guerriglieri hanno presa sulle popolazioni al confine tra l’Afghanistan e il Pakistan ponendosi
come l’unica forza in grado di garantire la sicurezza, il controllo dell’ordine pubblico e la continuità dei commerci. Si
impossessano prima della provincia di Herat, al confine con l’Iran, nel settembre del 1995. Poi, un anno dopo, rovesciano
il regime del presidente Burhanuddin Rabbani e del suo potente ministro della Difesa, Ahmed Shah Masood, mettendo
infine le mani su Kabul. Nel 1998 controllano quasi il 90% di tutto l’Afghanistan.
In questi anni il ruolo del vicino Stato del Pakistan è stato sempre molto ambiguo, anche se ormai non vi sono dubbi
sul fatto che molti degli afghani che inizialmente hanno aderito al movimento talebano sono stati istruiti nelle madrase
pakistane. Il Pakistan è stato inoltre uno dei soli tre Paesi, insieme ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ad aver
riconosciuto il governo dei talebani dalla metà degli anni Novanta fino al 2001. Ed è stato l’ultimo Paese a interrompere
i rapporti diplomatici con loro.
La storia dei talebani, così come quella del mondo, cambia dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001. Il 7 ottobre
dello stesso anno, una coalizione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti invade l’Afghanistan e la prima settimana di dicembre il regime talebano crolla. Da allora però, nonostante il costante invio di truppe e le migliaia di
morti, l’area resta una polveriera, con governi deboli, confini porosi o inesistenti e in balia delle spinte dei talebani e
degli altri gruppi terroristici ancora fortemente operativi in quest’area.
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farc
Le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC) sono ancora oggi la più organizzata, attiva e pericolosa formazione guerrigliera operante in Colombia. Protagoniste da quasi cinquant’anni di una guerra civile che ha causato decine
di migliaia di vittime, dal 2012 hanno accettato di avviare un dialogo con il governo del presidente Juan Manuel Santos
e, in quest’ambito, hanno partecipato a incontri che si sono tenuti a Cuba, con rappresentanti delle istituzioni di Bogotà.
Il 26 settembre 2016, il governo ha infine siglato la pace con la leadership delle FARC.
Le FARC oggi contano circa 3mila miliziani e 8mila combattenti rurali, il cui mantenimento costa alla formazione rivoluzionaria qualcosa come 200 milioni di dollari l’anno. Per questo, anche se l’organizzazione ha notevolmente diminuito
il ricorso ai sequestri di persona come fonte di autofinanziamento, non ha potuto fare a meno dei proventi derivanti dal
traffico di droga e dalle estorsioni, pena l’estinzione “per fame”. Pur essendo un gruppo fortemente politicizzato in senso
marxista-leninista, durante gli anni della Guerra Fredda le FARC non hanno mai ricevuto supporto diretto o fondi né da
Cuba né dall’URSS, riuscendo comunque ad autofinanziarsi col narcotraffico. Nonostante i colloqui di pace, fino a tutto
il 2015 in diverse regioni della Colombia si sono registrate azioni dei guerriglieri FARC contro mezzi di trasporto pubblico, impianti petroliferi, edifici governativi. Gli attacchi sono stati effettuati con automobili imbottite di esplosivo,
granate e bombe rudimentali. Tali azioni sono opera dei comandanti rurali dei distaccamenti delle FARC, oggi veri e
propri “signori della guerra”.
Le bande armate rurali delle FARC, infatti, specie dopo il successo della politica antidroga del governo - che ha
portato allo smantellamento dei cartelli di Cali, Medellin e della Valle del Nord - sono diventate ancora più potenti che
in passato, perché hanno occupato lo spazio lasciato vuoto dalle grandi organizzazioni del narcotraffico. Secondo la
stragrande maggioranza di osservatori e analisti, è presumibile dunque che gli accordi di pace appena siglati saranno
maldigeriti e il narcotraffico sarà portato avanti da quelle centinaia di distaccamenti rurali che oggi vivono (e sopravvivono) grazie alla produzione e smercio di droga.
Dunque, le FARC attualmente sembrano subire un processo di frammentazione che le sta trasformando in una
miriade di piccole formazioni armate paramilitari e autonome, le quali verosimilmente continueranno - per puro
spirito di sopravvivenza - nei loro traffici criminali. In altri termini, è difficile essere ottimisti con i guerriglieri. Le
FARC, o le micro formazioni nate dalla loro possibile polverizzazione, continueranno a costituire un problema con
il quale sarà necessario fare i conti ogni qualvolta si discute di sicurezza in quelle aree della Colombia, come la
Valle del Cauca, dove sono tuttora presenti e fortemente operative.
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hezbollah
Hezbollah (“Il Partito di Dio”), è nato come movimento di resistenza all’invasione israeliana nel 1982. Il suo leader
e segretario generale è Hassan Nasrallah, succeduto ad Abbas Al-Musawi morto nel 1992. Hezbollah è considerata
un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Egitto, Israele, Australia, e Canada. Nel luglio del 2013 l’ala militare del
movimento è stata inserita nella black list del terrorismo dall’UE e dal 2016 anche dal Consiglio di Cooperazione del
Golfo.
Nel corso degli ultimi decenni Hezbollah è riuscito nell’obiettivo di conquistare “i cuori e le menti” della popolazione del sud, la parte più povera del Libano. La forza del partito, che non può essere considerato semplicisticamente
come un’organizzazione terroristica, è stata la capacità di sostituire lo Stato - spesso assente - nell’offrire servizi e
assistenza alla popolazione: scuole, ospedali, abitazioni, servizi sociali. Uno Stato nello Stato, dunque, con il sostegno non solo della comunità sciita ma anche di quella sunnita.
L’omicidio del premier Rafik Hariri il 14 febbraio del 2005 segna la prima profonda spaccatura all’interno del
mondo musulmano libanese. Con le primavere arabe e lo scoppio della guerra civile in Siria, Hezbollah corre in
aiuto del presidente siriano Bashar Assad, sponsor e alleato (insieme all’Iran) del movimento sin dalle prime fasi
della sua costituzione, inviando le proprie milizie a combattere a fianco dell’esercito governativo contro l’opposizione
sunnita. Il coinvolgimento di Hezbollah in Siria crea un nuovo divario tra sciiti e sunniti. Nel nord del Paese, gruppi
appartenenti a entrambe le correnti religiose si fronteggiano tuttora in una guerriglia a bassa intensità, con i sunniti
che appoggiano i ribelli e gli sciiti che parteggiano per il regime.
Le conquiste militari di Hezbollah in Siria rischiano pero
̀ di trasformarsi nella perdita di quello status di forza di
liberazione nazionale che ne ha consentito la trasformazione in realtà politica di primo piano. Tra la popolazione
non sciita, infatti, si sta diffondendo sempre più l’idea che il Partito di Dio sia un corpo estraneo al Libano e molti
cominciano a vedere i suoi militanti come agenti stranieri infiltrati da Damasco, come signori della guerra o ancora
come trafficanti.
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boko haram
Ai suoi albori negli anni Novanta, Boko Haram appariva semplicemente come un gruppo impegnato in studi religiosi.
Il suo nome ufficiale è Jama’atu Ahlis Lidda’awati Sunna wal-Jihad, che in arabo significa “persone impegnate nella
diffusione degli insegnamenti del Profeta e del Jihad”. Nasce con l’obiettivo di istituire la Sharia in Nigeria. Successivamente, il nome è stato abbreviato in Boko Haram, che si può tradurre con “l’educazione occidentale è peccato”.
Boko Haram cambia aspetto e missione nel 2002, quando la sua guida viene assunta da Mohammed Yusuf e i primi
guerriglieri islamisti - stanziati in accampamenti nella giungla del nord est della Nigeria - cominciano a compiere sporadici attacchi con machete e piccole armi contro basi isolate delle forze di polizia o villaggi di contadini che opponevano resistenza alle continue richieste di cibo e alle estorsioni dei militanti.
Il 26 luglio 2009 il gruppo lancia una massiccia offensiva contro le forze di polizia negli stati settentrionali del
Paese: cinque giorni di scontri che si concludono con la morte di circa 700 insorti e la cattura e l’esecuzione del loro
leader Yusuf. La netta sconfitta di Boko Haram in quella che verrà chiamata la battaglia di Maiduguri impone al
gruppo un cambiamento di leadership e di strategia. Con la guida del nuovo capo Abubakar Shekau si passa, infatti,
dagli assalti contro la polizia a veri e propri attacchi terroristici (attentati dinamitardi e attacchi suicidi con autobombe)
contro sedi governative e contro i cristiani ritenuti rappresentanti del sud “ricco e corrotto”.
In Nigeria la contrapposizione tra islamisti e cristiani assume però soltanto superficialmente la connotazione di un
conflitto religioso. Boko Haram è infatti espressione di un Paese drammaticamente diviso tra il suo meridione, ricco di
petrolio, e un settentrione povero, sottosviluppato e malgovernato da politici corrotti. È in questo contesto sociale e
culturale che ha preso piede la credenza diffusa, abilmente sfruttata dai guerriglieri, che i guai della Nigeria - compresa
la corruzione della classe politica - dipendano dall’influenza negativa dei valori occidentali cristiani, considerati fonte
di peccato.
Nel marzo del 2015 Shekau ha dichiarato fedeltà al Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi annunciando il cambio di
nome di Boko Haram in Islamic State’s West African Province (ISWAP). Dato più volte per morto negli ultimi anni,
nell’agosto del 2016 il leader è stato sostituito da Abu Musab al-Barnawi. Per finanziare le proprie attività, Boko Haram
sfrutta il fiorente mercato del contrabbando, in particolare quello degli stupefacenti.
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aqim
Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) opera principalmente in due teatri: la regione montuosa della Cabilia, nel
nord-est dell’Algeria, e la più ampia area del Sahel, con una particolare concentrazione nel nord del Mali. I fattori
che ne hanno favorito il radicamento sono molteplici e vanno dalla presenza della popolazione locale dei Tuareg, tra
cui i jihadisti possono facilmente mescolarsi, alla presenza di importanti infrastrutture possedute o gestite da personale
occidentale. Le installazioni energetiche nelle aree desolate del sud dell’Algeria, vulnerabili ma economicamente strategiche, e la porosità dei confini fanno del Paese nordafricano un obiettivo particolarmente attraente per i jihadisti.
Inoltre, l’esperienza ventennale nell’insurrezione contro lo Stato algerino e la possibilità di infiltrare personale locale
rendono il quadro della sicurezza regionale particolarmente esposto a periodiche iniziative terroristiche. La minaccia
posta da AQIM non ha risparmiato la Mauritania e il Niger.
A guidare Al Qaeda nel Maghreb Islamico è stato inizialmente l’algerino Mokhtar Belmokhtar: dopo aver aderito
alla formazione jihadista nota come Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), che nel 2005 si
era unita ad Al Qaeda rinominandosi Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Belmokhtar diviene uno dei responsabili
militari e prende parte alla guerra civile nel settentrione del Mali abitato per lo più dall’etnia Tuareg. In tale ambito,
insieme al gruppo islamista Ansar Dine, sostiene il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, regione del Mali
confinante con l’Algeria. Belmokhtar è autore dell’attacco contro l’impianto energetico di In Amenas del 16 gennaio
2013 che si è concluso, a seguito dell’intervento dell’Esercito algerino, con la morte di 39 ostaggi e di 29 guerriglieri.
Il 22 agosto 2013 Belmokhtar ha annunciato la fusione del suo gruppo con il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa occidentale, un ramo di AQIM, e ha così dato vita a una nuova formazione denominata Al Mourabitoun (“Le
sentinelle”). Il 21 luglio 2015, in qualità di emiro di Al Mourabitoun, Belmokhtar ha giurato fedeltà ad Ayman Al Zawahiri presentando il suo gruppo come Al Qaeda in Africa Occidentale (AQAO).
Oltre all’attività terroristica condotta tra il Sahel e il Sahara, gli uomini di Belmokhtar si dedicano anche ai sequestri
di persona e specialmente di occidentali, al contrabbando di sigarette (tanto che lo stesso leader è stato soprannominato
“Mister Marlboro”), nonché al traffico di esseri umani, droga e diamanti, ricavandone ingenti profitti.
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le rotte del narcotraffico
DATI FORNITI DALL’UNODC (UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE PER IL CONTROLLO DELLA DROGA E LA PREVENZIONE DEL CRIMINE)
PRINCIPALI FLUSSI DI COCAINA
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PRINCIPALI FLUSSI DI METAMFETAMINE
PRINCIPALI FLUSSI DI EROINA
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il contraSto al fenomeno
del narcotraffico
A DRUG ENFORCEMENT
ADMINISTRATION AMERICANA, CHE
COMBATTE IL NARCOTRAFFICO PER
CONTO DEL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA
DEGLI STATI UNITI SIN DALLA SUA
ISTITUZIONE NEL 1973, HA INIZIATO A
RITENERE CHE VI SIA UNA DIRETTA E
INEQUIVOCA CONNESSIONE TRA IL
TRAFFICO DI DROGA E IL TERRORISMO A
PARTIRE DAL 2001, QUANDO IL PATRIOT
ACT HA ALLARGATO A DISMISURA
L’AMBITO DELLE INTERCETTAZIONI E
DELLE INDAGINI A USO ESCLUSIVO DEL
GOVERNO AMERICANO.
L
Uno schema seguito ad esempio anche dalla Repubblica
Islamica dell’Iran, che lungo le frontiere con Pakistan e Afghanistan ha schierato ben 30mila agenti, 10mila in più di
quelli schierati dagli americani al confine messicano, incaricati del contrasto al traffico di eroina (in vent’anni ne sono
morti già 2.700 in scontri con i narcoterroristi), e ha installato trincee di cemento, fossati, torri di osservazione,
filo spinato, recinzioni elettrificate e dispositivi di sorveglianza elettronici per una spesa che si aggira intorno ai
500 milioni di dollari l’anno.
Le organizzazioni terroristiche, dunque, foraggiano le
proprie imprese grazie soprattutto ai proventi della droga,
che permettono loro di avere entrate e risorse pressoché
illimitate, fino a confondere i mezzi con il fine. Questo
schema è una costante che non muta a seconda delle regioni del mondo sulle quali s’indaga.
Da ciò è derivata una sempre maggiore consapevolezza
del fenomeno, e una serie di atti prodotti e presentati al Congresso degli Stati Uniti hanno aiutato a focalizzare il problema. Secondo la DEA, attualmente almeno il 40% di tutti i
gruppi terroristici mondiali “mantiene legami confermati con
il commercio degli stupefacenti”.
L’esempio principe è ancora l’Afghanistan dei Talebani.
Se a fine Novecento la droga era considerata dai jihadisti
afghani contraria ai princìpi dell’Islam, presto le esigenze
della guerra scatenata contro di loro dagli Stati Uniti nel
2001 hanno mutato tali convinzioni e - vuoi per pura convenienza vuoi per causa di forza maggiore - il narcotraffico
è diventato una strategia di sopravvivenza e una priorità.
In seguito all’invasione americana, nelle aree rurali sotto
il loro controllo, i Talebani sono passati dal semplice controllo sulla produzione dell’oppio e dall’imposizione di una
tassa per la protezione del territorio, alla gestione diretta
dell’intera filiera. Un modus operandi che si è via via istituzionalizzato e che è diventato obbligatorio a partire dalla
morte del Mullah Omar (2013) e dalla comparsa del suo
successore, il Mullah Muhammad Mansour. La politica di
Mansour si è subito contraddistinta per la necessità d’imporre il controllo sui signori dell’oppio afghano, gli Ishaqzai, e attraverso un accordo ha potuto rafforzare il proprio
potere e imporre il suo volere nel paese, tralasciando in
parte la causa jihadista. I suoi successori non sembrano
aver mutato scopi e obiettivi dei Talebani.
Per quanto riguarda il mercato americano, durante la
presidenza di George W. Bush è emerso chiaramente il legame tra il traffico di droga e l’organizzazione terroristica
delle FARC in Colombia, dove il Fronte Armato Rivoluzionario ha tenuto in ostaggio per decenni un paese intero e
dove ha operato impunemente il famigerato narcotrafficante Pablo Escobar, che dalla metà degli anni Settanta
ha inondato gli Stati Uniti di marijuana e cocaina. Anche
la recente querelle intorno alla costruzione del muro al
confine tra USA e Messico paventata dal presidente in
pectore Donald J. Trump va in questa direzione: frenare
non solo l’immigrazione ma anche le fonti di approvvigionamento di denaro per i cartelli e i terroristi, ovvero
limitare il grande mercato della droga statunitense non
permettendo alla merce di entrare.
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c’era una volta
il narco-Stato delle farc
Nate nella seconda metà degli anni Sessanta come movimento di ideologia marxista a sostegno della resistenza
dei contadini poveri contro il latifondo, le FARC hanno
puntato in modo sistematico e capillare sul controllo dei
traffici soprattutto di cocaina - e in misura minore di cannabis e papaveri da oppio - solo venti anni più tardi, intorno alla metà degli anni Ottanta. Approfittando della
stretta esercitata dal governo di Bogotà (su pressione degli
Stati Uniti) sui principali cartelli della droga colombiani su tutti il cartello di Medellin guidato da Pablo Escobar e
quello rivale di Cali - in quegli anni le FARC hanno conquistato gradualmente buona parte delle rotte lasciate
scoperte dai narcotrafficanti tout court.
ELLO STATO NARCO-
D
GUERRIGLIERO COSTRUITO DALLE
FARC TRA LA METÀ DEGLI ANNI
OTTANTA E L’INIZIO DEGLI ANNI DUEMILA,
OGGI IN COLOMBIA NON RESTA QUASI PIÙ
NULLA SE NON LE ENORMI DISTESE DI
PIANTAGIONI DI FOGLIE DI COCA. UN
PATRIMONIO CHE CONTINUA A FIORIRE E
CHE CRESCE IN MANIERA INVERSAMENTE
PROPORZIONALE RISPETTO AL DECLINO
I guerriglieri guadagnavano sulla droga imponendo tasse (impuesto para la paz, imposta per la pace) sui territori
DEI GUERRIGLIERI.
segue
PRINCIPALI PRODUTTORI DI COCAINA NEL MONDO
Coltivazione illegale di coca dal 2003 al 2014 (in ettari).
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NUMERI
Stando agli ultimi dati
contenuti in un rapporto
diffuso dall’agenzia delle
Nazioni Unite UNODC
(United Nations Office
on Drugs and Crime) nel
luglio del 2016, tra il
2014 e il 2015 la
superficie destinata alla
coltivazione di coca in
Colombia è aumentata
del 39 per cento,
passando da 68mila a
96mila ettari. Sempre
secondo l’ONU, ogni tre
chili di coca sequestrati
nel mondo uno proviene
proprio dalla Colombia.
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strutture superiori. Alla luce del rallentamento degli accordi di pace, dopo la bocciatura dell’intesa sancita dal
referendum del 2 ottobre, queste formazioni potrebbero
continuare a operare come una parte “autentica” dell’organizzazione che rifiuta un’intesa con lo Stato. Oppure
potrebbero confluire, secondo uno scenario già visto nella
smobilitazione di formazioni paramilitari in altri contesti
di post-guerriglia del Sud America, in organizzazioni criminali prive di ogni finalità ideologica. È il caso di gruppi
come le Bacrim (Bandas emergentes en Colombia) e il Clan
del Golfo, sorti dallo scioglimento delle AUC (Autodefensas
Unidas de Colombia) e mostratesi capaci negli ultimi anni
di prendere possesso di molte delle rotte che collegano direttamente, o tramite i narcos messicani, la Colombia al
suo principale cliente: gli Stati Uniti d’America.
controllati a ogni singolo anello della filiera del narcotraffico: ai cocaleros (i coltivatori della pianta di coca), ai
compratori, ai cartelli che gestivano i laboratori di raffinazione e a chi spostava la droga all’interno della Colombia
e verso l’estero. Il guadagno nel complesso era di circa 450
dollari per ogni chilo di coca che veniva prodotto nelle
aree in loro possesso.
Nel periodo di massima espansione, la droga ha dunque
costituito il carburante che ha permesso alle FARC non
solo di esistere ma anche di alzare il livello dello scontro
con le istituzioni centrali. Il controllo della produzione di
coca, oltre a essere una vitale risorsa economica, è stato
anche un potente mezzo di controllo sociale in quanto ha
reso il gruppo guerrigliero un indispensabile “partner” per
i contadini e le loro famiglie che trovavano (e continuano
a trovare ancora oggi) nella coltivazione di coca il mezzo
della loro sussistenza.
Queste relazioni hanno creato nei territori tradizionali
di insediamento delle FARC una rete di appoggi e un diffuso consenso che si è perpetuato per generazioni. Allo stato attuale, con la base militante del gruppo ridotta
ormai a circa 5.800 unità, si stima che siano implicate
nel traffico di droga almeno 10-12 formazioni delle
FARC (tra i 1.500 e i 2.000 combattenti) - attive soprattutto nelle zone di frontiera con l’Ecuador, Panama e il Venezuela (Putumayo, Nariño, Cauca, Chocó,
Guaviare, Catatumbo e Guainia) - a seguito dell’allentamento del comando e del controllo da parte delle
I RAPPORTI CON LA ’NDRANGHETA
Un’indagine portata a termine nel giugno del 2015 dalla DDA
di Reggio Calabria, in collaborazione con la DEA americana,
la Guardia Civil spagnola e gli specialisti del Gico di
Catanzaro, ha permesso di fermare un traffico di cocaina
tra esponenti delle FARC e le ’ndrine calabresi degli
Aquino-Coluccio, degli Alvaro di Sinopoli e dei Pesce di
Rosarno. Nell’operazione antidroga, chiamata “Santa Fe”,
sono state sequestrate quattro tonnellate di cocaina in
procinto di essere spedite in Italia.
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hezbollah, il libano
e le metamfetamine
riferimento era Adham Tabaja, ritenuto un collaboratore
di Abdallah Safieddine, nome che ritorna ogni volta che
compaiono le parole “Hezbollah” e “droga” - dimostrando
come la rete internazionale degli sciiti libanesi sia ben più
estesa di quanto non si creda.
EL DICEMBRE DEL 2010 L’AGENZIA
N
FEDERALE AMERICANA DEA
(DRUG ENFORCEMENT
ADMINISTRATION) RESE NOTO CHE,
ATTRAVERSO UN CONTROLLO
I proventi di questi traffici illeciti vengono attualmente
impiegati da Hezbollah per finanziare la guerra in Siria, dal
momento che il “Partito di Dio” è pesantemente coinvolto
nel conflitto a fianco del regime siriano di Bashar Al Assad,
supportato dall’Iran e dalla Federazione Russa. Ma Hezbollah
non si limita a comprare armi con i proventi del traffico di
droga. Da tempo, il gruppo è divenuto anche produttore di
metamfetamine, in spregio della legge islamica che considera le droghe proibite perché impure e contrarie alla religione. Per questa ragione, con l’occasione della guerra
civile oltreconfine, la produzione di droghe sintetiche è stata appositamente trasferita dal Libano alla Siria.
CONGIUNTO DELL’UFFICIO DEL
DIPARTIMENTO DEL TESORO OFAC
(OFFICE OF FOREIGN ASSETS CONTROL),
SI ERA GIUNTI A ILLUMINARE
UNA RETE DI RICAVI ILLECITI
IN LIBANO DERIVANTI DAL TRAFFICO
DI STUPEFACENTI, I CUI PROVENTI
COLLEGAVANO HEZBOLLAH AI NARCOS
Da anni, infatti, nel mercato mediorientale, ad andare
per la maggiore sono le droghe sintetiche, la cui domanda
è cresciuta esponenzialmente soprattutto in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, dove il consumo di metamfetamine sostituisce le restrizioni in materia di alcol e
droghe naturali. Il motivo è semplice: pur essendo le droghe severamente ed esplicitamente vietate dalla legge islamica, lo stesso non vale per i farmaci presi per bocca, tra
l’altro più facili da occultare. È così che hanno iniziato a
diffondersi gli stimolanti illegali, conosciuti in arabo con
il nome “Abu Hilalain” (padre delle due lune crescenti).
Su tutti, ad andare per la maggiore è il Captagon, droga
sintetica che ha preso piede quasi esclusivamente in Medio Oriente e che ormai domina il mercato e anima le serate della gioventù araba sunnita.
SUDAMERICANI.
L’uomo al centro dell’indagine era Ayman Saied Joumaa, un colombiano-libanese considerato boss della droga e in rapporti privilegiati con Addallah Safieddine,
rappresentante di Hezbollah a Teheran, che fungeva da
agente di collegamento per finanziare il “Partito di Dio”.
Joumaa avrebbe ripulito i proventi del traffico di droga dei
cartelli colombiani, come La Oficina de Envigado (erede
del cartello di Medellin), che trasportava cocaina in Europa via Africa, in particolare attraverso un canale aperto in
Guinea Bissau. La ricostruzione del riciclaggio del denaro
fu resa possibile grazie alla scoperta d’illeciti compiuti dalla Lebanese Canadian Bank (LCB) e dalla consociata Prime Bank, una banca con sede in Gambia ma di proprietà
di un facoltoso libanese, noto finanziatore di Hezbollah.
Mentre in passato gli hub di produzione del Captagon
erano situati in Europa orientale, e più precisamente in
Bulgaria, a partire dal 2006 con le restrizioni e i controlli
sempre più stringenti delle polizie europee, la produzione
si è spostata in Turchia e Libano. Quest’ultimo, in seguito
alla dura politica di repressione del fenomeno voluta dal
Quella che sembrava solo una pista, in verità rivelò molto di più del network internazionale di Hezbollah. Nel febbraio 2016 il Progetto Cassandra della DEA ha annunciato
di aver smantellato un giro di traffici di droga e di lavaggio
del denaro sporco attraverso sette paesi - il personaggio di
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UN LABORATORIO CLANDESTINO DI METAMFETAMINA E IL PRODOTTO FINALE
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governo turco, è infine divenuto la centrale esclusiva del
Captagon, con laboratori diffusi principalmente nella Valle
della Bekaa, non a caso roccaforte di Hezbollah. Questo sino al 2013, quando l’intera produzione si è spostata in territorio siriano, per dissimulare le attività degli sciiti libanesi
e per controllare meglio le attività dei laboratori, riservando
alla Valle della Bekaa un ruolo di quartier generale per lo
smistamento della droga attraverso il confine.
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assenza di alternative economiche, i contadini hanno progressivamente abbandonato le coltivazioni tradizionali per
quella molto più remunerativa della cannabis, considerato
che un ettaro produce tra i 50 e i 100 kg di hashish e sul
mercato il prodotto varia dai 400 ai 700 dollari per chilogrammo. Anche qui, come in Afghanistan e Colombia, nel
1993 fu attuata una campagna di riconversione dei terreni
promossa dall’ONU, insieme a Stati Uniti ed Europa, che distrusse quasi l’80% delle coltivazioni. Ma poiché i finanziamenti promessi rimasero lettera morta, gli agricoltori
ripresero quasi subito a coltivare e produrre cannabis. Secondo stime americane, l’hashish prodotto nella Valle della
Bekaa rappresenta un giro d’affari stimato in 24 milioni di
dollari l’anno, con la produzione libanese pari a circa 30mila
kg l’anno, che corrisponde circa al 4% del totale mondiale.
Una bella fetta di denaro su cui le mafie locali, di cui Hezbollah rappresenta una parte significativa, possono contare
per arricchirsi o per finanziare altre attività più “nobili”.
La Siria, così, è divenuta il territorio ideale dove produrre
droghe sintetiche, essendo una nazione relativamente industrializzata e con numerosi impianti di produzione farmaceutica attivi prima del conflitto, subito riconvertiti in laboratori
per metamfetamine. Nonostante la guerra, ancora oggi esistono infrastrutture sufficienti per facilitare questo tipo di attività illecite: a fronte del fatto che il governo è riuscito a
tenere in piedi l’elettricità, l’acqua corrente e il funzionamento di alcune strade in molte zone del paese, il vantaggio è che
qui i controlli della polizia sono inesistenti, essendo le forze
di sicurezza impegnate sui molteplici fronti di guerra.
Per ciò che riguarda le amfetamine, invece, Hezbollah
controlla direttamente questo mercato, destinato non solo
ai giovani libanesi e siriani, ma anche e soprattutto ai jihadisti che combattono nel teatro di guerra siro-iracheno
e ai “rich kids” della penisola del Golfo, dove questa droga
ha sostituito tutte le altre, per le proprietà stimolanti ed
eccitanti che le sono proprie.
A partire dal 2013, si ritiene che il Captagon sia prodotto
ormai esclusivamente in Siria, dove non solo i sequestri
sono praticamente inesistenti a causa della guerra civile,
ma anche perché qui la manovalanza abbonda. Del resto,
non è difficile comprendere come in Siria vi siano migliaia
di persone disoccupate e disposte a tutto pur di guadagnare denaro facile in tempi di crisi.
In definitiva, dunque, anche se la produzione si è spostata
in Siria, il Libano resta il centro dei traffici internazionali di
metamfetamine e, in misura minore, di hashish e marijuana.
Il fenomeno ha prodotto così un’economia di guerra che
coinvolge anche formazioni jihadiste sunnite, che foraggiano le proprie imprese guerrigliere riscuotendo tasse ai check
point e garantendo un passaggio sicuro delle merci illegali
attraverso i territori da loro controllati, previo pagamento
di denaro. Se prima queste erano solo voci, un documentario realizzato nel 2015 da Radwan Mortada per BBC Arabic
(intitolato “Syria’s War Drug”) ha fornito le prime prove
concrete che collegano direttamente gruppi di combattimento come il Free Syrian Army al commercio di Captagon.
CAPTAGON
Captagon è il nome popolare per un tipo di amfetamine
stimolanti (ATS) il cui composto chimico è chiamato
fenethylline, un composto di amfetamina e teofillina. Il
Captagon fu commercializzato per la prima volta nel 1961 da
una ditta farmaceutica tedesca, la Degussa AG. Nel 1981, la
Food and Drug Administration (FDA), insieme a molti altri
paesi, ha vietato il farmaco a causa di studi medici che
suggeriscono come un elevato potenziale di fenethylline
porti alla dipendenza, abuso e ad altri effetti nocivi per la
salute. Le pasticche di Captagon che vengono prodotte oggi
nei laboratori libanesi e siriani mantengono solo il nome, ma i
composti chimici differiscono a seconda della formula
utilizzata e degli ingredienti con cui vengono cucinati questi
stimolanti (che vanno dalla pseudo-efedrina fino, in alcuni
casi, alla polvere di caffè). Gli effetti del Captagon vanno
dall’euforia alla diminuzione del bisogno di dormire, fino
all’abbassamento delle inibizioni e all’assenza di percezione
del pericolo e della paura. Un suo uso prolungato provoca
psicosi, paranoia, aggressività, e in alcuni casi la morte. In
Siria, il costo al dettaglio di una pasticca di Captagon
(chiamata in gergo farawla, “fragola”) varia dai 7 ai 15 dollari.
Da quest’economia di guerra è emersa anche l’espansione della coltivazione di campi di marijuana. Anche in questo caso, si tratta di piccoli imprenditori che coltivano per
conto terzi e rivendono alle organizzazioni la merce, pronta per essere spedita in tutto il Medio Oriente e oltre. Ancora oggi nella valle della Bekaa, in particolar modo nella
zona di Baalbek, si producono alcune tra le migliori qualità di hashish del mondo (il libanese giallo e il libanese
rosso). Inoltre, facilitata da un terreno agricolo particolarmente fertile e dalla guerra civile, la Valle della Bekaa è
sempre stata destinata alla coltivazione della cannabis: in
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PRINCIPALI SEQUESTRI DI CAPTAGON IN MEDIO ORIENTE CONOSCIUTI (2014-2015)
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cannabiS
coaSt to coaSt
Per la marijuana la rotta privilegiata resta quella che
collega Afghanistan e Pakistan all’Albania fino al punto
di snodo nei Paesi Bassi da dove l’erba viene dirottata nelle principali città europee. Alla fonte operano in Afghanistan Talebani, Al Qaeda e la rete degli Haqqani, mentre in
Pakistan Lashkar-e-Jhangvi e Jaish-e-Mohammed. Nella
tappa di mezzo, la località albanese di Lazaret, ribattezzata il “villaggio della marijuana”, il gruppo che ha intercettato negli ultimi anni il traffico è stato ISIS, la cui
crescita in diverse aree nei Balcani (in termini economici,
di fornitura di armi e reclutamento di nuove leve) è stata
esponenziale.
N MERCATO DI 80 MILIONI DI
U
CONSUMATORI ABITUDINARI PER
UN VOLUME D’AFFARI PARI A
CIRCA 9 MILIARDI DI EURO. TANTO
VALGONO I TRAFFICI ILLECITI DI
CANNABIS (MARIJUANA E HASHISH) CHE
OGNI ANNO DAL MEDIO ORIENTE E
DALL’AFRICA RAGGIUNGONO IN MODO
CAPILLARE OGNI PARTE D’EUROPA. DAL
Nel post primavere arabe i traffici di hashish hanno invece registrato maggiori cambiamenti rispetto al passato.
Il degenerare della crisi libica, il peggioramento della situazione in Libano (la Valle della Bekaa è un grande centro di produzione il cui sbocco non è solo l’Europa ma
anche i Paesi del Golfo) e l’instabilità permanente che attraversa il Sahel, hanno ridisegnato le rotte che da Medio
Oriente e Africa arrivano nel nostro continente attraversando il Mediterraneo.
DATO, PUBBLICATO NELL’EU DRUG
MARKETS REPORT 2016, EMERGE LA
VASTITÀ DI UN BUSINESS GESTITO ORMAI
NON SOLO PIÙ DALLE ORGANIZZAZIONI
CRIMINALI MA IN MANIERA SEMPRE PIÙ
DIRETTA ANCHE DAI GRUPPI TERRORISTICI.
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Nella fascia sahelo-sahariana, AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico, operativo in Mali, Mauritania e lungo i
confini meridionali di Algeria e Libia), Al Murabitoun del
signore della guerra Mokhtar Belmokhtar, i nigeriani di Boko Haram (affiliati a ISIS) e i somali di Al Shabaab (affiliati
ad Al Qaeda) muovono con ampi margini di libertà i traffici verso i porti situati nell’Africa Occidentale nei golfi di
Guinea e Benin. Da qui i mercantili, carichi di hashish nelle
stive o all’interno dei container, salpano verso le coste europee sfruttando il caos generato dalla crisi dei migranti per
eludere i controlli.
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USA nello stretto di Gibilterra nel 2002, le bombe a Casablanca nel maggio 2003 e gli attentati ai treni di Madrid nel marzo 2004. L’instabilità della Libia dalla caduta
di Gheddafi nel 2011 ha però spinto i gruppi terroristici a
puntare non più esclusivamente sull’asse Marocco-Spagna per raggiungere i mercati europei, ma anche sulle coste libiche per farne il nuovo punto di stoccaggio di
hashish.
Da Casablanca le partite di droga passano dunque per
l’Algeria, la Tunisia e arrivano fino alla parte orientale della Libia. Qui entrano in gioco le centinaia tra gruppi armati, milizie islamiste e gruppi jihadisti che operano
nell’area, compresi i qaedisti di Ansar Al Sharia e lo Stato
Islamico il quale tra il 2015 e la metà del 2016 ha instaurato attorno alle roccaforti di Sirte e Derna una provincia
del Califfato. Una posizione privilegiata che apre ai terroristi una vera e propria autostrada nel Mediterraneo, lungo la quale possono far transitare non solo droga ma
anche armi ed esseri umani. Uno snodo strategico destinato a rimanere un porto franco per molti altri anni. Anche quando le ultime sacche di resistenza di ISIS saranno
state sconfitte.
Il cambio di rotta più interessante riguarda però il Marocco e chiama in causa la Libia. Lungo il confine che separa Marocco e Algeria è sempre stata molto attiva la rete
del narcotraffico di hashis e kif (marijuana tritata). È una
tratta particolarmente calda per il narcoterrorismo. Le
quantità di queste sostanze prodotte in Marocco sono
enormi (circa 100mila tonnellate ogni anno) e attraverso
i proventi delle loro vendite (il cui valore è stato stimato
in circa 12,5 miliardi di dollari) tra il 2002 e il 2004 cellule jihadiste hanno effettuato tre attacchi altisonanti: lo
sventato attacco a navi da guerra della Marina Militare
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TREND MONDIALE DELL’USO DI CANNABIS NEL MONDO
PRINCIPALI SEQUESTRI DI MARIJUANA NEL MONDO (2014)*
*in tonnellate
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il ritorno dell’eroina
neGli Stati uniti
sono dipendenti da sostanze oppiacee di varia tipologia.
Se si considerano poi l’approccio restrittivo del sistema
sanitario americano e i problemi legati alla prescrizione
di questo genere di farmaci da parte dei medici, si ottiene
che chi fa uso di antidolorifici spesso non riesce a ottenere
legalmente la ricetta, e così finisce per assumere direttamente eroina nel giro di poco tempo, dieci anni al massimo secondo le statistiche del NIDA (National Institute on
Drug Abuse).
ECONDO L’ULTIMO RAPPORTO
S
DELLA DEA, LA DRUG
ENFORCEMENT ADMINISTRATION
AMERICANA, L’USO DI EROINA NEGLI STATI
UNITI È TRIPLICATO NEL PERIODO 20072014, ANNO IN CUI SI SONO REGISTRATE
L’uso di oppioidi come analgesici e sedativi non è una
novità. In America, questa è una creazione di Purdue
Pharma, una società farmaceutica privata del Connecticut
istituita da una famiglia di psichiatri, i fratelli Sackler. Arthur Sackler, in particolare, con le sue pubblicazioni
scientifiche ha contribuito più di tutti al successo del sedativo Valium della società farmaceutica Pfizer, che ha
portato nelle sue tasche ben 100 milioni di dollari; grazie
a ciò, gli altri fratelli Sackler, Mortimer e Raymond, hanno
potuto esplorare nuove strade per la produzione di antidolorifici. Loro hanno trasformato l’ossicodone, un antidolorifico generico inventato in Germania durante la
Prima Guerra Mondiale, in prodotti di successo come il
Vicodin, il Percocet e l’OxyContin, grazie al sistema di lento rilascio della sostanza.
435MILA PERSONE AFFETTE DA
DIPENDENZA CRONICA, ED È TUTTORA IN
PREOCCUPANTE AUMENTO.
Per il 2015, la DEA ha stimato il numero degli eroinomani americani in 600mila, mentre un’inchiesta del Time,
che raccoglie i dati della Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA) parla di un aumento del numero di consumatori ancora maggiore: i
cittadini americani affetti da dipendenza da eroina sarebbero passati dai 373mila registrati nel 2007 ai 669mila
del 2012. Infine, Forbes nel 2014 ha pubblicato una ricerca dell’Office of National Drug Control Policy, secondo
cui i consumatori cronici di eroina si aggirerebbero ormai
attorno al milione e mezzo.
L’OxyContin è stato lanciato per la prima volta nel 1995,
generando già nel 2002 un fatturato da 1,5 miliardi di dollari. Questo prodotto è stato un tale successo per i fratelli
Sackler che la rivista Forbes nel 2015 li ha incoronati come
nuovi miliardari, con un patrimonio netto di 14 miliardi
di dollari. L’affermazione dell’OxyContin sul mercato è
dovuta anche al fatto che, quando la pillola viene frantumata, viene meno il meccanismo di rilascio a tempo e a
quel punto l’antidolorifico offre un effetto simile a quello
dell’eroina. Da qui la dipendenza dal farmaco e il suo
abuso, che conduce velocemente all’overdose e dunque
al decesso per uso incauto.
Conseguentemente, anche le morti per overdose da oppiacei sono triplicate nello stesso periodo, portando i decessi dai 3.036 del 2010 ai 10.574 del 2014. Dal calcolo
sono però esclusi i decessi dovuti all’abuso di droghe sintetiche derivanti dall’oppio, che solo nel biennio 20132014 hanno registrato un incremento del 79%, portando
così il numero di decessi alla spaventosa cifra di 28mila
(nel calcolo anche le morti da droghe sintetiche, i cui numeri sono però marginali). Ed è proprio questo uno dei
più pericolosi e striscianti problemi legati alla produzione
di oppio: oggi in America una persona su 15, e almeno un
adolescente su 20, assume antidolorifici oppiacei. Questo fa
degli Stati Uniti un paese dove ben 12 milioni di cittadini
Nel 2012, il New England Journal of Medicine ha pubblicato uno studio che ha rilevato come “il 76% di coloro
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L’IMPENNATA DI OVERDOSE FATALI DAL 2000 AL 2014
OPPIACEI
EROINA
IL RAPPORTO ONU
Oltre a minare in profondità la
salute di milioni di persone, la
coltivazione di sostanze
stupefacenti rappresenta una
minaccia per l’ambiente ed è tra le
principali cause di deforestazione e
di distruzione della biodiversità: è
l’allarme lanciato dal Rapporto
Mondiale sulle droghe dell’ONU,
diffuso a Vienna, che denuncia
anche un preoccupante ritorno
dell’eroina, con quasi 30 milioni di
consumatori e il boom della
cocaina tra i nuovi ricchi dell’Asia.
Secondo il rapporto annuale
dell’UNODC, il problema
dell’ambiente è particolarmente
grave nei Paesi delle Ande in cui si
coltiva coca e in quelli asiatici
dediti alla produzione di oppio.
Dalle piantagioni illegali alla
realizzazione di piste di atterraggio
o di strade clandestine, fino alle
attività con cui i narcotrafficanti
nascondono il riciclaggio di
denaro, tutto passa attraverso il
disboscamento, osserva l’Ufficio
dell’ONU per il controllo della
droga e la prevenzione del crimine,
che esprime timori per la
sopravvivenza stessa di specie
animali e vegetali. In Colombia, ad
esempio, si stima che tra il 2001 e il
2014 siano spariti 22.400 ettari di
boschi all’anno per far posto alle
piantagioni di coca. A ciò si
aggiungono le sostanze chimiche
utilizzate per la produzione di
cocaina e oppiacei che inquinano
le campagne, o l’uso eccessivo di
acqua in zone dell’Afghanistan.
Particolarmente allarmante è, per
l’ONU, il ritorno dell’eroina fra le
droghe più diffuse, con 29,6 milioni
di consumatori globali. Insieme agli
altri oppiacei che s’iniettano,
l’eroina è la droga più pericolosa
per la salute. Gli esperti hanno
elevato al rango di “epidemia” i casi
di overdose negli Stati Uniti, e
anche in Europa la situazione è
divenuta preoccupante, nonostante
il calo della produzione del 38%
rispetto all’anno precedente. A
favorire la rinascita, i consumatori di
oppioidi sintetici utilizzati come
sedativi o analgesici che acquistano
i prodotti sul mercato nero.
(Fonte: ONU Italia)
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che cercano aiuto dalla dipendenza da eroina ha iniziato
abusando di narcotici farmaceutici, soprattutto di OxyContin”, disegnando una linea diretta tra il marketing aggressivo
dell’OxyContin condotto dalla Purdue Pharma e la successiva epidemia di eroina negli Stati Uniti. Sempre la DEA rivela
che milioni di pazienti americani fanno affidamento su farmaci come OxyContin, Vicodin, Percocet o Lortab per il sollievo dal dolore, diventandone presto dipendenti.
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medico e oggi i medici possono prescriverne l’uso per un
massimo di 30 giorni rispetto ai precedenti sei mesi. Ma
quest’accortezza non è bastata a fermarne né la domanda né l’abuso, al contrario ha generato spaventosi giri di
ricette false gestite dalla criminalità comune e la produzione di falsi farmaci simili nel principio attivo e poco costosi,
che vengono spacciati per strada non meno dell’eroina.
Molti di questi contengono Fentanil, il nuovo e più pericoloso analgesico sintetico in voga tra i tossicodipendenti.
L’agenzia antidroga nel 2004 ha tentato di ottenere una
revisione delle licenze del Vicodin, ma la Food and Drug
Administration ha respinto tale richiesta nel 2008, sostenendo come la combinazione di idrocodone nel farmaco
avesse meno principio attivo e meno probabilità di un suo
abuso da parte dei pazienti rispetto ad altre droghe della
categoria “Tabella II”. La FDA ha cambiato la sua posizione nel 2013, dopo che il rapporto tra l’abuso di questo farmaco e le overdosi è cresciuto. A ottobre 2014, infine, il
governo federale ne ha riconosciuto il rischio inserendo
il farmaco sotto la categoria “Controlled Substance Act”,
il che ha significato riconoscerne l’alto potenziale di abuso. Nonostante ciò, il Vicodin è tuttora accettato a livello
La pericolosità dell’abuso di Fentanil è confermata dai
decessi per overdose e dai sequestri, in costante aumento
lungo l’intero 2015. Il problema principale degli oppiacei
sintetici come il Fentanil e l’Acetylefentanil è che sono
molto più forti della stessa eroina e possono causare overdose anche nei consumatori più esperti, perché sono circa
cento volte più potenti della morfina. Secondo la DEA, la
minaccia del consumo di eroina è particolarmente elevata
nelle zone nord-est, nel Mid-Atlantic e nel Midwest degli
Stati Uniti, dove le agenzie governative deputate al contrasto di sostanze stupefacenti hanno compiuto i maggiori
sequestri di eroina.
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seguiti alle elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016,
che hanno portato a 8 gli Stati dove l’uso di marijuana è
del tutto legale.
IL MESSICO, LA CENTRALE
DELLA PRODUZIONE AMERICANA
La maggior parte dell’eroina entra negli Stati Uniti attraverso il confine sud-ovest del Messico. Un tempo era
la Colombia il primo produttore di papavero da oppio in
America e la principale via di smercio verso il nord del
continente (e, in misura assai minore, verso Perù, Brasile
e Argentina). Ma oggi, grazie alla lotta al narcotraffico e
agli accordi di pace tra il governo di Bogotà e le FARC, c’è
stata una significativa inversione di tendenza e una diminuzione drastica di produzione di oppio (anche se non
vale altrettanto per la coca).
La riconversione dei campi di marijuana con campi di oppio trova inoltre giustificazione nei guadagni possibili per i
contadini messicani: se, infatti, per ogni chilo di marijuana
pressata ed essicata i campesinos ricavano circa 15 dollari
(280 pesos), per ogni chilo di pasta di oppio il guadagno è
pari quasi a 800 dollari (15mila pesos).
CHI SI CONTENDE
IL MERCATO IN MESSICO
I campi più estesi si trovano nello stato di Guerrero e nel
cosiddetto “Triangolo d’Oro” tra gli Stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango. Secondo la DEA, solo nel biennio 20132014 questi campi sono aumentati del 62%. Il cartello della
droga messicano che ha il controllo dei traffici d’eroina e
possiede il know-how necessario per produrla e venderla
in grandi quantità è quello di Sinaloa. Il cartello era guidato
da Joaquin “El Chapo” Guzman, catturato nel gennaio del
2016 dopo una spettacolare evasione (l’ennesima) dal carcere di massima sicurezza di Altiplano nel luglio del 2015.
Nel suo dossier del 2015 la DEA ha definito il cartello di
Sinaloa “il fornitore più attivo” di sostanze illecite negli
Stati Uniti, classificandolo tra le nove grandi organizzazioni
criminali internazionali che operano nel Paese.
Se oggi la coltivazione di papavero da oppio e la produzione di eroina sono in costante calo in Colombia dal
2001, anno in cui la coltivazione raggiunse un picco di
6.540 ettari per poi arrivare al minimo storico con soli
1.100 ettari coltivati nel 2009 (portando la produzione da
11,4 tonnellate di eroina pura a 2,1 tonnellate), in Messico la coltivazione stimata di papavero da oppio è cresciuta del 40%, con un potenziale di produzione di
eroina pura stimata in almeno 26 tonnellate che interessa
oltre 10.500 ettari di terra, secondo il censimento del
2012. Questo ne fa dunque il principale fornitore di eroina per gli Stati Uniti.
Tuttavia, questi dati sottostimano la vera portata dell’oppio messicano attualmente in produzione. Nel periodo 2014-2015, infatti, il governo del Messico
con il sostegno dell’UNODC ha condotto la prima
indagine congiunta sul peso specifico della produzione di papavero da oppio in Messico. Le aree
sottoposte a questo tipo di coltura, per lo più situate nelle zone montuose della dorsale occidentale, risulterebbero intorno ai 28.100 ettari. Un
dato confermato dai sequestri di pasta di oppio
effettuati in Messico, aumentati del 500% dal
2013 a oggi, parimenti all’eradicazione dei campi
e ai sequestri della droga già trattata voluti dal governo, che sono aumentati rispettivamente del
47% e del 42%.
LA ROTTA AMERICANA DELL’EROINA
Le meccaniche che sottendono a questo aumento smisurato di offerta proveniente dal Messico sarebbero legate in parte al processo di legalizzazione
della marijuana in corso negli Stati Uniti, dove 37 stati
hanno introdotto a vario titolo la liberalizzazione
della cannabis e 4 di questi (Alaska, Colorado, Oregon e Washington) hanno già legalizzato ogni forma di consumo. Senza considerare i referendum
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In Messico, Sinaloa non ha comunque il controllo totale
del mercato dell’eroina. A fargli concorrenza è il potente
cartello di Jalisco-Nuova Generazione (CJNG). I due cartelli sono attualmente in competizione per il controllo della produzione dei traffici a Guerrero, Michoacan, Colima,
e Bassa California. Recentemente, il cartello di Jalisco ha
lanciato la sfida a “El Chapo” rapendo uno dei suoi figli
per poi liberarlo.
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anche se l’andamento del mercato e la crescente richiesta
negli USA già nel breve periodo spingeranno i narcos messicani a organizzare spedizioni più sostanziose (e al contempo più rischiose).
A COSA È DOVUTA L’ASCESA
DEL MESSICO
Nella lotta ai narcos negli ultimi anni il governo messicano - sia quello dell’attuale presidente Enrique Pena Nieto che quello del suo predecessore Felipe Calderón hanno puntato a catturare o eliminare i vertici dei cartelli
(e in buona parte ci sono riusciti) senza però occuparsi
della bonifica dei terreni in cui vengono coltivati papaveri
da oppio e della loro conversione a uso agricolo.
COME VIENE TRASPORTATA L’EROINA
Per decenni l’eroina bianca colombiana ha dominato a
est del Mississippi, mentre quella marrone messicana a
ovest. Adesso, con il sorpasso che il Messico ha effettuato
ai danni della Colombia, la maggior parte dell’eroina che
entra negli Stati Uniti passa attraverso il confine sudovest, principalmente dal Texas. Gradualmente i fornitori
colombiani sono stati costretti a spostarsi sempre più verso
l’East Coast, sfruttando soprattutto la frontiera con la California. L’eroina viene trasportata soprattutto in piccole quantità nascoste a bordo delle auto o attraverso tunnel
sotterranei (foto sotto). Il suo valore nettamente superiore
rispetto a quello di cocaina o marijuana consente di effettuare spostamenti di forniture molto meno ingombranti,
Infine, un altro aspetto da considerare rimanda a un effetto inatteso della guerra alla droga condotta dal governo
messicano. Colpiti ai vertici, molti dei cartelli sono stati
costretti a riorganizzarsi, ristrutturando non solo le gerarchie interne ma anche diversificando la loro offerta. Se
l’eroina è tornata in auge, e oggi rappresenta la principale
voce d’esportazione dei narcos messicani, è anche per
questo motivo.
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l’eroina
in euroPa
La terza, manifestatasi a metà degli anni Duemila, è sembrata di minor impatto, poiché soppiantata da un
vertiginoso aumento delle droghe sintetiche e della cocaina.
Ma, a ben vedere, il fenomeno resta ancora alto.
N EUROPA SI SONO REGISTRATE VARIE
I
ONDATE DI DIPENDENZA DA EROINA:
LA PRIMA HA INVESTITO MOLTI PAESI
Il traffico di oppiacei in Europa è alimentato dalla vicinanza dell’Afghanistan, primo produttore al mondo di papavero da oppio, e dall’offerta delle organizzazioni
criminali africane e mediorientali che, complici le guerre
in corso, si foraggiano grazie proprio al traffico di stupefacenti e hanno ormai creato un network lucrativo cui
non intendono rinunciare. Tra queste, vi sono anche formazioni militanti jihadiste come Boko Haram (Nigeria),
ISIS (Siria e Iraq), Talebani (Afghanistan), che vanno a
costituire il fenomeno noto come “Narcoterrorismo”.
DELL’EUROPA OCCIDENTALE DALLA METÀ
DEGLI ANNI SETTANTA, MENTRE LA
SECONDA HA INTERESSATO
SOPRATTUTTO L’EUROPA CENTRALE E
ORIENTALE DALLA METÀ ALLA FINE DEGLI
ANNI NOVANTA.
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In Europa, l’importazione di eroina si suddivide in due
tipi: il più comune è la “brown sugar” (da cui l’omonima
canzone dei Rolling Stones), ossia la forma chimica base
dell’eroina, prodotta quasi esclusivamente in Afghanistan
- il maggiore produttore di oppio al mondo - e, in misura
assai minore, in Pakistan e in Iran. Molto meno comuni sono invece la “bianca” (o Elephant) e la “rosa” (o Penang
Pink), storicamente provenienti dal Sud-est asiatico, principalmente da Thailandia e Malesia, e contrabbandate generalmente sotto forma di sali. La “brown sugar” recentemente
è stata prodotta anche in Europa orientale (Bulgaria, Romania e Albania), sia pure in piccole quantità.
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e il 2013 dieci Paesi hanno effettuato stime ripetute relativamente al consumo ad alto rischio di oppiacei, che indicavano tendenze relativamente stabili. Il che significa,
in altre parole, che il calo si è arrestato e, dunque, vi è un
conseguente lieve aumento o consolidamento del fenomeno. In particolare, questo è dovuto a due fattori: la comparsa dei nuovi trafficanti, appunto i “narcoterroristi”, che
hanno riversato sul mercato pasta di oppio a prezzi competitivi; e il parallelo aumento degli oppiacei sintetici, come già segnalato per l’America.
In Europa il paese con il più alto tasso di consumo di
oppiacei è la Federazione Russa: la comparsa dell’eroina,
in particolare, è corrisposta al crollo dell’Unione Sovietica.
Da allora, il paese ha conosciuto una crescita del numero
di tossicodipendenti che si è arrestata solo agli inizi degli
anni Duemila. Oggi in Russia si calcola che siano circa
due milioni i cittadini dipendenti da eroina, un numero
spaventoso che ne fa il più grande consumatore di oppiacei non solo europeo ma mondiale. Conseguenza di ciò è
anche in questo caso la vicinanza con l’Afghanistan le cui
rotte del narcotraffico dirette a nord passano proprio dalla
Russia, coerentemente con la continuità territoriale eredità dei tempi dell’Unione Sovietica. Qui finiscono circa
70 tonnellate di pasta da oppio ogni anno, commercializzate e rivendute sul mercato regionale per un valore di
circa 13 miliardi di dollari.
In Europa gli schiavi dell’eroina, più correttamente definiti “consumatori problematici di oppiacei” sono all’incirca 1,3 milioni di età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, il 3,5% di tutti i decessi dei cittadini europei di età compresa tra 15 e 39 anni è dovuto a overdose
da stupefacenti: in circa 3/4 dei casi si riscontra la presenza di oppiacei. Il consumo illecito di oppiacei in Europa è
ancora responsabile di una percentuale sproporzionatamente alta della mortalità e della morbilità dovuta al consumo di droga. Non solo. Oltre a essere la principale
responsabile delle overdosi europee, l’eroina è anche la sostanza stupefacente responsabile del 45% delle richieste di
trattamento della tossicodipendenza nell’Unione Europea:
solo nel 2012 si sono sottoposti a terapie sostitutive ben
700mila consumatori regolari di oppiacei, il 26% dei quali
si è sottoposto a trattamento per la prima volta.
Per quanto concerne gli oppiacei sintetici, invece,
quest’ultima tendenza non è stata ancora sufficientemente indagata. Nel 2012, ancora secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, in 17 paesi
europei (dunque nella maggioranza dei casi) più del 10%
dei consumatori di oppiacei che per la prima volta si è sottoposto a trattamento specialistico della tossicodipendenza,
lo ha fatto per via dell’abuso di oppiacei diversi dall’eroina. Tra questi, a fare la parte del leone sono stati il metadone, la buprenorfina e il fentanil. In paesi come
l’Estonia, addirittura, queste droghe sono ormai gli oppiacei più comuni e la maggior parte dei pazienti consuma direttamente fentanil, mentre in Finlandia la maggior
parte dei consumatori di oppiacei assume la buprenorfina
come droga primaria.
Il calo generale dei sequestri di eroina effettuati in Europa denota come il fenomeno del consumo di eroina sia
minore che in America, ma non per questo meno allarmante, ed è in controtendenza in paesi come la Turchia,
dove invece i sequestri sono in aumento. Meno sequestri,
infatti, non significa che vi siano meno consumi, poiché a
modificare le statistiche intervengono diversi fattori: l’abuso di farmaci oppiacei legali, se più contenuto rispetto agli
Stati Uniti, è il nuovo indicatore che segnala una parziale
ripresa dei consumi generali; inoltre, la sensibile diminuzione nel consumo di eroina pura registrata nell’ultimo
quindicennio, si è oggi arrestata.
Se tra il 2002 e il 2010 il numero di sequestri di eroina
in Europa si era mantenuto relativamente stabile (circa
50mila l’anno), nel 2012 era notevolmente diminuito,
scendendo fino a 32mila sequestri (pari a circa 5 tonnellate di eroina) e segnando il punto più basso registrato
negli ultimi 15 anni. Questa tendenza, che segnalava un
netto calo dei consumi, si è però interrotto e già nel 2015
la Relazione europea sulla droga rivelava come tra il 2006
IL RICICLAGGIO: IL CASO ROMANIA
Tutto l’affare dell’eroina, così come per qualsiasi altra
attività criminale, non sarebbe profittevole senza un’alta
capacità di riciclaggio del denaro sporco: senza il servizio
di “lavanderia” la criminalità non potrebbe, infatti, utilizzare gli enormi proventi della droga. In questo caso, occorrerebbe un’intermediazione simile a quella operata dal
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sette filiali delle maggiori banche spagnole. La città, inoltre, è punto nevralgico dell’immigrazione clandestina in
Spagna, gestita da gruppi terroristici nordafricani. Stessa
identica situazione si verifica nell’altra enclave spagnola
di Ceuta, protesa nello stretto di Gibilterra verso la Spagna.
Entrambe sono punto vitale di passaggio della droga dei
cartelli internazionali: dalla cocaina sudamericana sbarcata sulle coste dell’Angola alle tonnellate d’hashish dei
signori della guerra del Sahel.
ricettatore che trasforma i proventi dei reati in denaro. A
livello locale, i piccoli criminali possono riciclare il denaro
della droga con acquisti e successive rivendite di merci o
immobili, con ditte e operazioni commerciali fantasma,
ma questo corrisponde soltanto a una piccola quota dell’intero ammontare. La maggior parte dei capitali da riciclare passa direttamente nel circuito finanziario: tramite
banche o istituti finanziari off-shore, tramite i circuiti ufficiali, fondi d’investimento o talvolta direttamente attraverso banche che già trattano capitali illegali frutto di
evasione fiscale e di fondi neri. La Romania, in questo caso, è il paradiso dei narcotrafficanti che commerciano in oppio. Per la permeabilità delle sue frontiere, uno dei maggiori
punti di approdo dell’eroina che attraversa il Mar Nero dalla
Turchia è proprio la costa rumena: da lì passa infatti la via
della droga che taglia verso ovest, in direzione di Ungheria
e Serbia e raggiunge poi il cuore dell’Europa. La città di
transito e smistamento principale è Timisoara.
Nel rapporto sulla droga UNODC 2009, è stato evidenziato come il denaro della droga sia stato utilizzato persino
nei salvataggi di banche durante la grande crisi del 2008.
Secondo il rapporto, infatti, “I prestiti interbancari sono stati finanziati con i soldi che hanno avuto origine dal traffico
di droga e altre attività illegali […] segno che alcune banche
sono state salvate in questo modo […] In un momento di
grandi fallimenti bancari, i banchieri sembrano credere che
il denaro non abbia odore”. A solo titolo di esempio, va ricordato lo scandalo finanziario della banca americana di
servizi finanziari Wachovia: la quarta bank holding company americana per quantità di asset è stata forzatamente
acquisita da Wells Fargo nel 2008 su mandato governativo
per evitarne il fallimento. In quell’occasione, ha riciclato
consapevolmente (cioè conoscendone la provenienza) i
proventi del traffico di cocaina dei cartelli messicani per
qualcosa come 380 miliardi di dollari.
Sede di svariate fabbriche, Timisoara è una città benestante secondo gli standard rumeni. I suoi 320mila abitanti, tuttavia, sono un numero davvero esiguo per
giustificare il numero particolarmente alto d’istituti bancari, assicurazioni, finanziarie e società di consulenza internazionale. Ma la città, si è detto, è centro nevralgico per
lo smistamento dei proventi della droga, così come per il
traffico verso l’Europa di armi e donne da avviare alla prostituzione, con altrettanto profittevoli capitali da gestire.
Una situazione di analoghe operazioni finanziarie si riscontrano a Melilla, microscopica enclave spagnola sulla
costa mediterranea del Marocco. Qui la popolazione conta
neanche 80mila abitanti, è tendenzialmente povera e con
un alto tasso di disoccupazione, eppure sono presenti ben
Il governo americano, seguendo la linea di non incriminare le grandi banche “too big to fail”, ha pertanto punito
la Wachovia con una sanzione di soli 160 milioni di dollari versati al Tesoro, nonostante negli Stati Uniti le pene
per dei semplici corrieri della droga oscillino tra i dodici
e i vent’anni di carcere.
SEQUESTRI DI OPPIACEI NEL MONDO (2004-2014)
SEQUESTRI DI OPPIACEI IN EUROPA (2004-2014)
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le rotte euroPee
dell’oPPio, l’afGhaniStan al
centro di tutto
dodici anni), nonostante l’eradicazione delle piantagioni
del 3% operata sotto direzione dell’UNODOC. Del resto,
il papavero essiccato porta mediamente ai coltivatori 240
euro al chilo, quando un chilo di fagioli garantisce un
guadagno di appena 2 euro.
ECONDO IL WORLD DRUG REPORT
S
2011 DELL’UNODC (UNITED
NATIONS OFFICE ON DRUG AND
CRIME), IL 95% DELL’EROINA CIRCOLANTE
Gi ettari coltivati in Afghanistan sono così aumentati
dai 123mila del 2010 ai 209mila del 2013, anno record in
cui la produzione è stata la maggiore di tutti i tempi, portando la produzione a inglobare altre tre province finora
“poppy free”, ovvero libere da papaveri: il tasso di aumento più sensibile si è registrato in quella di Nangarhar.
A contribuire a questa impennata, negli anni vi è stato
anche un aumento della redditività dei terreni, che ha
portato il totale della produzione annuale a circa 5.800
tonnellate. L’equivalente, una volta raffinato l’oppio, di
circa 600 tonnellate di eroina.
NEL MONDO PROVIENE DALL’OPPIO
COLTIVATO IN AFGHANISTAN. DA MOLTI
ANNI L’AFGHANISTAN HA SOPPIANTATO
NELLA PRODUZIONE DI OPPIO IL
COSIDDETTO TRIANGOLO D’ORO:
THAILANDIA, LAOS E BIRMANIA, DOVE
RIMANE LA RESTANTE PARTE DELLA
PRODUZIONE ECCETTUATE ALCUNE
Oggi l’oppio contribuisce al PIL afghano con 16,34 miliardi di dollari, su un totale di 27,36 pari al 60%. Quello
del papavero è praticamente l’unica industria nazionale
in Afghanistan, diventato a tutti gli effetti un narcostato.
PRODUZIONI IN MESSICO E NELLE AREE
MEDIORIENTALI OGGI CONTROLLATE
DALLO STATO ISLAMICO.
Le province afghane dove è maggiore la coltivazione sono quelle del Sud e dell’Ovest, cioè quelle dove è debole
il controllo delle truppe NATO, anche se circa 220 ettari
coltivati a papavero sono presenti proprio nella provincia
della capitale Kabul. Mediamente, da ogni ettaro si possono ricavare fino a 15 o anche 20 chili di oppio nelle annate buone.
Se l’Afghanistan in passato era solo un paese esportatore, con l’arrivo dei Talebani è divenuto anche raffinatore
dell’oppio grezzo in eroina, grazie a laboratori dove lavorano i migliori “chimici” del settore, soprattutto turchi e
iraniani. Mentre l’anidride acetica utilizzata per la sintesi
dell’eroina è fornita da Europa (Francia, Germania), Russia e Cina. Questi laboratori raffinano oggi la quasi totalità
dell’oppio prodotto e producono quindi la quasi totalità
dell’eroina poi immessa nel mercato.
La redditività della produzione - raddoppiata da 4.900
a 10.700 dollari per acro a seguito dell’aumento del prezzo
dell’oppio, triplicato dal 2009 a oggi - ha portato negli ultimi anni sempre più contadini a scegliere la produzione
del papavero, con un incremento dell’area coltivata del 7%
(ma le piantagioni sono aumentate del 36% negli ultimi
Una volta prodotta, l’eroina giunge sui mercati di destinazione per varie vie di contrabbando. E per ogni paese
dove transita produce un aumento esponenziale della tossicodipendenza e dell’HIV, nonché della criminalità (solo
in Afghanistan, nel 2012 i consumatori regolari di droga si
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LA COLTIVAZIONE DI OPPIO IN AFGHANISTAN
Faryab
Sar-e Pol
Badakhshan
Badghis
Nangrahar
L’INCREMENTO
DELLA COLTIVAZIONE
AREA PER AREA
2013 vs. 2014
Kabul
Ghor
Non coltivate nel 2014
Meno del 50%
Diminuzione da 1% a 49%
Crescita da 1% a 49%
Crescita superiore al 50%
Farah
Zabul
Helmand
Kandahar
LE CONSEGUENZE PER LA SANITÀ
Per capire il danno a lungo termine dell’abuso di oppiacei, e
di eroina in particolare, bisogna segnalare due tendenze:
l’aumento dell’età media e l’aumento dei decessi. Tra il 2006
e il 2013, l’età media dei tossicodipendenti in trattamento in
Europa per abuso di oppiacei è cresciuta di 5 anni. Durante
lo stesso periodo, l’età media dei decessi indotti da oppiacei
è aumentata da 33 a 37 anni. Il che, secondo l’Osservatorio
per le droghe europeo, è dovuto alla poli-assunzione prolungata
di oppiacei da parte di chi ha raggiunto un’età compresa tra i
40 e i 50 anni, complici cattive condizioni di vita e di salute,
il consumo correlato di tabacco e alcol e il deterioramento
legato all’età del sistema immunitario. Questi soggetti sono
esposti a una serie di problemi sanitari cronici, tra cui problemi
cardiovascolari, polmonari, infezione con il virus dell’epatite
che può esporre maggiormente questi soggetti al rischio di
cirrosi o altri problemi epatici. Ciò crea un impatto crescente
sui servizi di trattamento e di sostegno sociale.
aggiravano intorno a 1,3 milioni su una popolazione di
23 milioni). Data la natura tribale del potere e della divisione del territorio in Afghanistan, ogni transito di droga
è gestito da tribù locali. Le più potenti sono gli Afridi che
controllano il Passo del Khyber, attraverso cui scorre una
vera e propria “drug pipeline”. Come ogni altra merce,
l’eroina è soggetta alla spartizione del guadagno lungo la
strada dalla produzione al consumo. Le principali vie
d’uscita della droga dall’Afghanistan sono a Nord, a Ovest
e a Sud.
La via del Nord - Passa per i tre paesi centro-asiatici confinanti: Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan. Quando si
sono liberate le frontiere alla caduta dell’Impero sovietico,
è stata prontamente ripristinata l’antica via della seta per
il transito di una merce assai più preziosa. La stima della
quantità di droga afghana che transita su questa via è approssimata tra un 50% e un 60% del totale. Non c’è però
dubbio che il passaggio stia crescendo d’importanza.
I costi relativi al trattamento della tossicodipendenza
continuano a derivare per lo più da problemi radicati nelle
“epidemie” di eroina degli anni Ottanta e Novanta.
Nonostante un decennio di calo nei consumi, la dipendenza
da eroina si caratterizza per una storia clinica in cui i
tossicodipendenti sono soggetti a cicli di ricadute e trattamenti
invasivi. L’Unione Europea ha investito molto nelle terapie
sostitutive per la dipendenza da oppiacei ma, nonostante
questo, i tossicomani sono ancora tre quarti di milione.
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Il Tajikistan dalla fine dell’Unione Sovietica prima e
dalla guerra civile del 1992-1997 poi, è divenuto per l’impervietà del territorio, la miseria della popolazione, la
scarsa forza e presenza dello Stato, il principale corridoio
verso l’emergente mercato russo e il tradizionale mercato
europeo. Dal distretto di Ishkashim attraverso il fiume
Amu Darya, piegando per la città di transito di Chorug
per la sola grande strada dalla provincia di Badakhshoni
Kuhi che porta fino a Os e alla Ferghana Valley in Kirghizistan: la droga afghana può da lì andare a Ovest, verso
il Mar Caspio, l’Azerbaijan e la Georgia. O a Nord, attraversando il Kazakhstan verso la Russia dove nel 1999 è
giunta fino a Novosibirsk e Irkutsk, in Siberia. Anche il
Turkmenistan è divenuto uno dei maggiori passaggi per
gli oppiacei afghani: la maggior parte dei sequestri sono
avvenuti a Kushka, principale posto di frontiera tra i due
paesi.
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dalla Turchia è tale che il suo flusso è controllato da qualcosa come 140 gruppi criminali. La mafia turca, anche
per le ramificazioni nei paesi ove vi è emigrazione dal
paese, è il principale network internazionale del traffico
di oppio.
LA CORRUZIONE
Data l’enorme quantità di denaro mosso dal traffico di
eroina, e quindi la sua forte capacità di corruzione, la sua
repressione non è lineare. Nell’importante snodo di Mand
in Baluchistan, ad esempio, il ras locale - Imam Deen, primo tra i ricercati dalla narcotici pakistana - si muoveva
tranquillamente in città, così come nella capitale Quetta,
dove era solito intrattenersi per gestire i necessari appoggi
politici. Una storia che ricorda da vicino quella dei narcos
sudamericani.
In Afghanistan, secondo il rapporto UNODC, i Talebani
pretendono dai contadini una tassa del 5% del ricavato
totale dell’oppio prodotto nei loro territori (che corrisponde a oltre un quarto del totale dei loro finanziamenti, che
provengono soprattutto da donazioni dal mondo musulmano), mentre ai produttori va circa il 20%. Il restante
75% è spartito tra funzionari di governo, polizia, mediatori e trafficanti locali, ma soprattutto signori della guerra
e milizie locali.
La via del Sud - Considerata la via principale fino a che
non è cresciuta quella del Nord, transita per il Pakistan
attraverso i 1.200 chilometri di frontiera del Baluchistan
con due delle province afghane a maggior produzione di
eroina, Helmand e Kandahar. Dal Pakistan raggiunge la
Cina via terra, mentre arriva in Africa, Oceania e America
via mare (ma anche via area dall’aeroporto di Karachi).
Un’altra parte percorre via mare la Costa Arabica, per
l’Iran e la Turchia, e da lì raggiunge il mercato europeo.
Punto di snodo fondamentale della “golden route” della
droga è la città di Mand, nella regione del Baluchistan che
affaccia sul Mar Arabico, e a meno di venti chilometri dal
confine con l’Iran.
Nel magma di forze anti-talebane supportate dalla NATO, nessuna è immune dal prendere parte al traffico di
droga. L’Afghanistan è un tutt’uno inestricabile con
l’eroina, tanto che le forze NATO anti-talebani sono
spesso costrette, per ottenere la collaborazione dei contadini, ad affiggere cartelli in cui dichiarano di non voler
distruggere le piantagioni di papavero, così come era stato stabilito e fatto (inutilmente) in precedenza dall’Amministrazione statunitense in seguito all’invasione del
paese. Tra i vari signori della guerra, una figura preminente è quella del generale Nazri Mahmad: oltre a controllare una porzione significante di territorio coltivato
a oppio, ha ottenuto persino un contratto per provvedere
alla sicurezza del Team di Ricostruzione Provinciale tedesco (PRT), che operava nel contesto della ricostruzione del paese promossa dall’Occidente. Significativo, nel
contesto dell’ambiguo contrasto al narcotraffico afghano, che dal 2006 non si siano più avute importanti condanne per grandi trafficanti di droga: i processi, infatti,
non giungono a termine per ragioni di corruzione o per
interventi dall’alto dell’apparato governativo. È così che
da allora tanto i signori della guerra, quanti i capi tribali
e i ras locali, sono divenuti praticamente immuni alle
pene detentive.
La via dell’Ovest - È quella verso l’Iran. Offre infinite
possibilità d’infiltrazione per il lungo e doppio confine
con Afghanistan e Pakistan, e per gli oltre duemila chilometri di coste. Una porzione della droga si ferma nel paese per il consumo interno ma la maggior parte prosegue
per la Turchia, passaggio obbligato per giungere in Europa. Due vie minori portano in Africa: dal Nord della penisola arabica all’Egitto, attraverso il Golfo Persico e
risalendo verso il Mar Rosso. Le province orientali turche
dell’Hakkari, del Van e di Igdir, confinanti con la provincia iraniana dell’Azerbaycan-e-Khavari, sono punto principale di transito della droga verso Ovest: da Istanbul per
l’Europa centrale, e verso il Nord dell’Anatolia per arrivare in Ucraina e Russia.
Il Sud Italia, l’Albania, la Serbia e il Montenegro sono
le ultime tappe della rotta balcanica per lo smistamento
in Europa di una quantità di eroina pari al 30% di quella
prodotta in Afghanistan. La quantità di droga di passaggio
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