14 Libri domenica 2 luglio 2011 Nicola Mirenzi C he la war on drug sia fallita, l’hanno cominciato a pensare di recente anche le Nazioni Unite. La lotta senza quartiere agli stupefacenti, più che sconfiggere il traffico e il consumo di droghe, ha rivelato l’impotenza della repressione di fronte all’intreccio fatale tra economia legale ed economia illegale. A differenza di quello che comunemente si pensa, i due comparti non sono affatto entità separate. Anzi. Sembra proprio che l’una non possa vivere senza l’altra. Soprattutto in tempi di crisi economica, quando servono i soldi liquidi e gli unici capaci di fornire i contanti sono loro: i trafficanti. «Il traffico di droghe è il terzo comparto economico del pianeta, dietro petrolio e armi», si legge nel libro curato da Matteo Tacconi, Narconomics (Lantana, 17,50 euro). Un volume agile e ben scritto che esplora il commercio internazionale delle droghe mettendolo nel contesto giusto, quello dell’economia capitalista globalizzata. «Non c’è attività sana dell’economia globale che non sia inquinata da narcodollari, narcoeuro e narcorubli: banche, conti offshore, palazzi, alberghi, casinò, ristoranti e tutto quello che può tornare utile a trasformare il nero in bianco». Soldi a palate Più che la guerra alla droga, come proclamano altisonanti i leader politici, sembra proprio che sia la droga a fare la guerra agli Stati: «I traffici narcotici, nonostante l’eradicazione delle piantagioni di cocaina e oppio, le operazioni di polizia in grande stile e la montagna di quattrini investite dalle potenze e dai loro alleati, di qualsiasi stazza, non conoscono battute d’arresto. La quantità di droga che circola a livello globale non è mai diminuita. I forzieri dei mercanti di narcotici sono stracolmi più che mai». Il volume inchiesta in questione è frutto del lavoro collettivo di Stefania Bizzarri (giornalista), Cecilia Ferrara (giornalista) Enza Roberta Petrillo (analista politico) e Matteo Tacconi (giornalista). I quali hanno studiato a lungo i percorsi che le droghe fanno prima di arrivare sulle strade delle nostre città, indagando a fondo le connessioni e i legami tra la struttura fuorilegge delle mafie mondiali e quella perfettamente in regola del turbocapitalismo finanziario. «Il comparto narcotico tiene in piedi parecchie economie mondiali, che altrimenti crollerebbero a picco», scrivono . Documentando il tutto con rapporti delle organizzazioni internazionali, L’economia miliardaria del pianeta droga Una montagna di quattrini, che vengono fuori dallo stesso identico posto: l’Afghanistan. È qui che viene prodotta la stragrande maggioranza dell’oppio, la sostanza da cui si ricava l’eroina. Dall’America Latina parte invece la cocaina alla conquista di Stati Uniti ed Europa. Tutti i numeri del commercio di droghe nel volume “Narconomics” indagini della magistratura, analisi di esperti del settore. Ma quali sono i pilastri che tengono in piedi l’economia della droga? Principalmente sono due. La cocaina e l’eroina. In entrambi i casi si parla di numeri da capogiro: «A livello mondiale la domanda relativa alla più letale delle droghe pesanti [l’eroina] s’è attestata, negli ultimi tempi, sulle 340 tonnellate annue. Le persone direttamente coinvolte nei traffici e impegnate a spostare brown sugar da un capo all’altro del mondo sono circa un milione. Quelle che ne fanno regolarmente uso, almeno dieci… Il volume di denaro relativo alla sola vendita al dettaglio: 55 miliardi di dollari». Un fatturato superiore ai prodotti interni lordi di alcuni paesi europei quali Lussemburgo, Slovenia, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Bulgaria. Ma che non è tutto. Il giro di soldi che si produce con il riciclaggio di questo denaro è di gran lunga superiore a questa cifra - anche se è difficile misurare con esattezza di quanto. Alcuni analisti stimano che si tratti del 2 per cento dell’intero Pil mondiale. Altri azzardano cifre ancora più alte. Di sicuro, è una montagna di quattrini. Che - a conti fatti - vengono fuori dallo stesso identico posto: l’Afghanistan. È qui che viene prodotta la stragrande maggioranza dell’oppio, la sostanza da cui si ricava l’eroina. E il salto di qualità che i trafficanti afghani hanno fatto negli ultimi anni è stato quello di arricchire la produzione dell’oppio con la moltiplicazione delle raffinerie di eroina, prima del tutto assenti. Nel caso afghano ciò che salta immediatamente agli occhi è l’equazione: «Più guerra, più eroina». Infatti, dopo l’11 settembre 2001 e l’attacco americano all’Afghanistan, i traffici illeciti sono di gran lunga cresciuti. Ciò che rimane sempre uguale sono al contrario le rotte che la merce percorre per arrivare in Europa. Le quali passano inevitabilmente dalla Turchia, il Paese di cerniera tra oriente e occidente: il cui ruolo è raccontato nel volume con dovizia di particolari e ricostruendo anche l’evoluzione dei padrini locali - i cosiddetti baba - bravissimi a infilarsi nella tratta delle droghe e a sfruttare la penetrazione degli emigrati turchi nel vecchio continente. All’altro capo del mondo - in America Latina - si produce invece l’altro grande lubrificante dell’economia mondiale: la cocaina. Il cui smercio è stato a lungo prerogativa dei colombiani, ma pian piano è sempre più passato sotto il controllo dei messicani. Il mercato della cocaina si regge però su un dato sociale. Cioè «la crescita vertiginosa dei consumatori, stimati dalle Nazioni Unite, a livello mondiale, in almeno 19 milioni». Anche in questo caso le cifre dei guadagni sono astrono- miche. Le stime dicono che per la sola vendita a dettaglio negli Stati Uniti e nell’Unione Europea si arriva a 88 miliardi di dollari. Però anche qui i soldi si moltiplicano grazie al riciclaggio. Con il quale si finanzia la cosiddetta economia legale, in realtà contaminata sino al midollo dai traffici illeciti. E in effetti la funzione capitalistica del fiume di denaro che si genera dal traffico della cocaina è proprio in questo passaggio dall’illegalità alla legalità. Grazie al quale i soldi guadagnati dal traffico di droga entrano nel circuito dell’economia regolare, dando liquidità e ossigeno a una quantità sterminata di attività che fanno parte della nostra vita quotidiana. Alberghi, ristoranti, banche. I boss di Calabria La cocaina, inoltre, è ciò che ha reso la ‘ndrangheta quella che oggi è: la mafia più potente d’Europa. I boss calabresi hanno cominciato a trafficare con i colombiani negli anni Novanta, quando la mafia siciliana era sotto la pressione dello Stato italiano, dopo la stagione delle stragi. Nel vuoto di potere gli ‘ndranghetisti hanno guadagnato terreno e soprattutto hanno guadagnato la fiducia dei cartelli colombiani. I quali hanno cominciato a fidarsi ciecamente di loro. Perché, mentre Cosa nostra veniva minata dalla nascita del fenomeno del pentitismo, la ‘ndrangheta risultava impermeabile al fenomeno dei collaboratori di giustizia. Per via di un’organizzazione meno verticistica e basata su rapporti di sangue. Dunque, sicura. L’altro grande punto di forza della mafia calabrese è l’affidabilità nei pagamenti. Non succede mai che gli ‘ndranghestisti ritardino nel liquidare i narcotrafficanti: «Quando i narcos dialogano con le cosche - spiega Giuseppe Furciniti, comandante della Guardia di finanza - sanno non solo che la droga verrà sempre pagata, ma che nessuno di loro avrà interesse a svelare i traffici o i contatti». È questo il mix vincente. Leggendo le pagine di questo volume, tuttavia, torna alla mente un’antica questione. Che il libro non ripropone, perché si occupa d’altro, ma su cui varrebbe la pena riflettere quando si ragiona di traffico di droga. È il tema della legalizzazione delle sostanze stupefacenti. Perché è davvero impressionante il volume d’affari che la proibizione fa lievitare. E dietro la maschera della rimozione legislativa, in fondo risiede la forza delle organizzazioni criminali. Le quali agiscono e si rafforzano nell’illegalità, rifornendo uno stuolo di consumatori sempre più rapaci. Perciò la domanda che ci dovremmo porre, dopo aver analizzato a dovere i meccanismi del narcotraffico, è: Cosa succederebbe se il consumo delle droghe fosse regolato improvvisamente? Se la produzione e la diffusione delle sostanze fosse sottoposta a una disciplina precisa? Se invece dell’ideologia del divieto adottassimo il pragmatismo della distribuzione normata? Sicuramente assesteremmo un colpo durissimo al narcotraffico così come oggi è. Ma di certo l’economia turbocapitalista perderebbe di certo quel sinistro lubrificante che gli fa tanto comodo. È forse per questo che l’argomento non è all’ordine del giorno?