Mons. Luciano Monari Nel Vangelo di Luca c’è una frase che ci sorprende e ci inquieta. Il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla terra? Fa pensare, si può leggere in prospettiva escatologica, in relazione agli ultimi tempi di prova in cui le persone saranno vagliate in profondità. In quei tempi l’amore di molti si raffredderà e anche la fede dovrà subire un vaglio, una prova. Ma forse si può andare anche oltre, la fede in se stessa è così, non è mai garantita una volta per tutte. Il progresso della scienza avviene in modo cumulativo, conserva i traguardi raggiunti, la scienza è un patrimonio che si accumula di generazione in generazione. Non è però sempre così per la fede, ogni generazione deve ricominciare daccapo, rinnovare ogni volta la sua adesione di fede. Gli Ebrei al mar Rosso vorrebbero tornare indietro, perché sono in una situazione minacciosa. Mosè li invita alla fede e Israele attraversa il mare, compiendo un atto di fede immenso nella potenza di Dio e nella misericordia. Ma attraversato il mare, compiuto l’atto di fede, non è finito il problema: c’è il deserto, si rinnova la tentazione del rimpianto del passato, della paura di andare avanti. L’atto di fede di ieri è una ricchezza, ma non garantisce l’atto di oggi e di domani. Lo statuto delle fede rimane problematico. Per di più oggi la fede cristiana deve affrontare una serie di sfide. La prima sfida è l’ignoranza religiosa, sorprendente perché viene dopo che la Chiesa ha fatto, negli ultimi decenni, uno sforzo catechistico impressionante. Che qualcuno possa dire in che consiste il mistero della trinità è complicato, la fede nei novissimi si mescola con strane fedi in reincarnazione e altre forme simili. Questa è una delle ragioni che ha spinto il Papa a indire l’Anno della fede. La seconda sfida nasce dal confronto con altre religioni, con cui dobbiamo confrontarci che lo vogliamo o no. Sono religioni non elementari, che hanno sviluppato la loro esperienza con un riflessione teologica e filosofica sofisticatissima. Dobbiamo respingerle a priori? Se le consideriamo, cadiamo nel dubbio della fede? La fede è solo una identità storica? Oppure ci si forma una religione à la carte, in cui scelgo alcuni aspetti dell’una e dell’altra? La terza sfida nasce dal confronto con la visione scientifica della realtà. Oggi si torna spesso ad una contrapposizione tra creazionismo ed evoluzione. Questa è un’alternativa sciocca dal punto di vista oggettivo, ma torna sempre, come il contrasto tra progetto intelligente e caso; si pensa che chi è credente deve credere nel progetto intelligente, che non è vero del tutto. Il problema vero è l’approccio scientifico alla realtà in quanto tale. Fang Li Zhi, l’astrofisico cinese morto ad aprile, una delle menti dietro alla rivolta di piazza Tien An Men, fa derivare la sua concezione di diritti umani dalla scienza. La scienza inizia col dubbio mentre in Cina erano possibili solo credenze fisse; deve avere indipendenza di giudizio. La scienza è egalitaria, la visione personale non ha la precedenza; ha bisogno di un flusso libero di informazioni e non può fiorire in una realtà che vi impedisce l’accesso. Le verità scientifiche sono come i diritti umani e non cambiano se si attraversa un confine politico. Questa visione ci pone qualche problema: noi abbiamo credenze fisse all’inizio del cammino, abbiamo differenze di autorità. Un commentatore su un blog dice dello scienziato:“Alcuni lo chiamano il Sacharov della Cina, ma appare piuttosto come Galileo e la Chiesa romana, un astrofisico contro un’autorità potente e arbitraria, che lo perseguita, ma lui coglie la verità nel modo giusto”. Questo rivela una percezione attuale: se chiedo che immagine ha la Chiesa, oggi tra i giovani, esce una ritratto di oscurantismo, una realtà in cui non si può pensare e parlare liberamente; si ricordano Galileo o Giordano Bruno, l’intolleranza, la repressione delle affermazioni individuali. Non è solo l’apertura psicologica, ma è il modo di avvicinarsi alla realtà proposto dalla scienza che in alcuni aspetti si allontana dal nostro. C’è il problema dell’individualismo, che collide col soggetto ecclesiale in quanto tale: per noi viene prima la Chiesa dell’individuo con le sue affermazioni. Balthasar, di fronte allo studio storico critico della Scrittura può dire che ha provocato devastazioni orrende: è un giudizio importante, che riguarda la scienza biblica e l’approccio empirico alla realtà. Tutto ciò rende tutt’altro che facile l’adesione alla fede. L’uomo però non può fare a meno, nella sua esperienza, della dimensione della fede. Non ci sono sistemi logici che dimostrano le loro premesse, ma sono tutti da prendere così. La scienza poi vive di fede: se non ci fosse fede nelle affermazioni gli uni degli altri, il progresso scientifico sarebbe assolutamente impossibile, perché non si può verificare ogni volta ogni affermazione. La vita comune vive di fede, anche la crisi finanziaria che stiamo vivendo dipende da un venir meno della fiducia nei mercati. La fede è dentro le strutture fondamentali dell’esistenza umana: accompagna l’esistenza dell’uomo in società Davanti alla crisi della fede oggi possiamo affermare due cose: - Stiamo vivendo una mancanza di fede, vediamo un mondo autosufficiente che vuol fare a meno di Dio, cerca di costruire il futuro secondo la volontà di potenza, senza regole che pongano limiti e blocchino le possibilità, ma è così dal tempo di Adamo. - Facciamo fatica a dire realmente la fede all’uomo di oggi. Nella lettera ai Galati si afferma che Cristo ci ha liberati per la libertà, e siamo invitati a stare saldi e a non lasciarci imporre di nuovo la schiavitù. Per san Paolo l’atto di fede ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà. Voi riuscite a dire che la fede è libertà, non un peso che ci piega, non un limite al nostro cammino di crescita? Siamo liberi a motivo delle fede in Gesù Cristo. Questo la gente non lo capisce, non ci entra dentro. Se la fede non libera, non è la fede in Dio, il linguaggio della libertà non è usato e conosciuto. Vi ho detto queste cose perché in voi ci sia la mia gioia e la vostra gioia sia piena; vi diciamo il Vangelo perché la gioia sia piena: riusciamo a far capire che la fede è pienezza di gioia? Poter vedere, ascoltare, camminare è gioia, ma la fede porta la gioia dell’uomo alla pienezza, lo rende partecipe della gioia stessa di Dio in Cristo. Questo è difficilissimo da trasmettere, è complesso far capire alla gente che desideriamo che sia contenta. Paolo nella lettera ai Corinti usa la locuzione collaboratori della vostra gioia: abbiamo il desiderio di aiutarvi a giungere una gioia autentica, degna di voi come figli di Dio. Spalancate le porte a Cristo, l’affermazione di Giovanni Paolo II e quella di Benedetto XVI per cui Cristo non porta via nulla all’uomo e gli regala tutto: questo significa che non c’è nulla di bello e grande a cui devi rinunciare a motivo della fede, ma essa ti permette di vivere ogni cosa, il rapporto, la crescita…nella pienezza di Dio. Vedere la fede come potenziamento ed arricchimento della persona è fondamentale, dà valore a un’adesione di fede vista come compimento della mia umanità Un testo di Rahner descriveva la fede come coraggio, energia per affrontare ostacoli e difficoltà, che permette alla persona di essere costante, forte, vittoriosa. Oggi la fede è vista come debolezza, se non sei capace di accettar la durezza della condizione umana, allora ti aggrappi alla fede per avere una consolazione che ti permette di non essere depresso. La consolazione c’è, mi sta bene, Cristo parla del Consolatore, ma il coraggio è decisivo, la capacità di affrontare e consapevolmente e vittoriosamente sfide e ostacoli che la vita pone. Molto si gioca nel riuscire a vivere ed annunciare l’esperienza di fede come esperienza umanizzante. Naturalmente intendo l’uomo integrale così come lo ha pensato Dio, fatto a sua immagine, compiuto in Cristo: quello è uomo in pienezza. La fede introduce in questa pienezza di esperienza umana. Sono convinto che su questo si gioca molto dell’annuncio di fede oggi e lo si può specificare in molti modi. 1. La mia esistenza è un mistero, non c’è una ragione metafisica assoluta. Perché esisto e che senso ha la mia esistenza? Se mi rendo conto di essere contingente, il mondo potrebbe esistere anche senza di me. Il fatto che io ci sia un problema lo pone e io me lo chiedo. Io esisto, produco inquinamento, CO2, mangio cose e produco rifiuti, sono di peso a qualcuno… E poi vi costringo ad accettarmi, a qualcuno sono simpatico, a qualcuno antipatico: mi devi prendere per quello che sono, con capacità e limiti. Posso dare tutto questo per scontato, o rendermi conto che ciò mi chiede una giustificazione, devo trovare motivi per cui dimostro a me stesso che è giusto che io viva. Vero che potrei non esistere, ma esisto e sono così bravo, intelligente, bello, simpatico, attivo e produttivo che... volete che non esista? L’uomo, che se ne renda conto o no, vive un bisogno profondo di giustificare se stesso, di dimostrare a se stesso e agli altri che la sua esistenza è degna. Se un uomo si impegna ad accumulare soldi è perché ciò gli permette di realizzare capricci; qualcuno sa che non li userà mai, ma accumula per affermare che vale, che la sua vita è degna. Io lavoro perché produco qualcosa di degno: questo fa della vita dell’uomo una vita da servo, perchè son servo delle cose che faccio, sono costretto a farlo. San Paolo parla della giustificazione attraverso la fede: significa anche essere libero dal bisogno di giustificare la tua vita, perché è giustificata da prima, perché Dio ti ha voluto per amore, esisti perché Dio ha detto sì e non hai bisogno di giustificarti. Devi viverla al meglio, non per giustificare te stesso, ma per rispondere: questo ti rende libero, non ossessionato dal bisogno di difenderti. 2. L’uomo sta tra il desiderio e il bisogno, ogni bisogno crea però una dipendenza (cibo, abiti, relazioni sociali…). La fede è quell’atteggiamento che riconosce che ci son io, il mondo con le sue paure e seduzioni e Dio. Ci fossimo solo io e il mondo, la vita sarebbe fatta solo di paure e desiderio. Essere davanti a Dio mi libera da seduzioni e desideri. Non mi esonera da guadagnare per il pane, ma mi evita la paura di essere abbandonato a me stesso e non poter soddisfare i bisogni essenziali. Paolo dice ai Colossesi che ha imparato a bastare a se stesso in ogni occasione: “tutto posso in colui che mi dà la forza”. L’ideale di autosufficienza ha accompagnato lo diverse correnti filosofiche, come lo stoicismo (Epitteto). Qui però non è l’effetto di uno sforzo di indipendenza fatto con i miei muscoli spirituali, ma l’effetto della fiducia in Dio e dell’abbandono al suo amore. È la libertà donata nei confronti di bisogno, attaccamento, paura. 3. L’esistenza dell’uomo si misura però col peccato, con l’incapacità di vivere all’altezza della sua vocazione. L’uomo non riesce mai ad essere pienamente e totalmente umano, attento a tutto, sempre intelligente, capace di giudizi veri, sempre responsabile. Se siamo onesti, sappiamo che non ci riusciamo: il prezzo lo paghiamo noi e lo facciamo pagare anche agli altri. Le mie nevrosi sono mie, ma le pagano quelli con cui vivo. Le mie stupidità le pago io, ma le paga anche la mia diocesi. Tutto questo crea un peso enorme, e faccio portar agli altri il peso dei miei errori, li faccio soffrire per le mie scelte che non son le migliori. Questo è un discorso così pesante che l’uomo ha la tentazione di rimuoverlo, di dire che gli altri son peggiori, e giustifica se stesso trovando i difetti degli altri. È un modo disonesto, è far finta che non..., cancellare una consapevolezza del proprio errore e della propria responsabilità. Il card. Biffi affermava che non è vero che l’uomo oggi ha perso il senso del peccato, ma è quello degli altri. Il suo non lo vuole vedere perché non riesce a portarlo. Non posso cambiare il passato e aggiustare un errore del passato. Qui è solo la fede in un Dio che in Cristo riconcilia e dà la possibilità di partire con un’energia nuova che libera. Il perdono è liberante, l’annuncio della riconciliazione che in Cristo ci viene offerta genera la libertà e la gioia dell’esistenza dell’uomo. 4. Il cammino dell’uomo è da vedere come cammino di speranza. Quando si è giovani la memoria ha poco da ricordare, la speranza molto da attendere (Leopardi). Dopo ci rendiamo conto che le possibilità che ci rimangono sono meno e calano un po’ ogni giorno. Ogni giorno cancello una possibilità che avevo: o uno non lo vede o lo considera deprimente, a meno che non ci sia una speranza più grande del tempo che ho da vivere e delle possibilità concrete che posso realizzare nella mia vita. Il legame tra fede e speranza è strutturale. In Ebrei 11, 1 e in Efesini si afferma che la condizione dei pagani è essenzialmente di essere estranei ai patti della promessa, di essere senza speranza. Pagano è chi non ha davanti a sè un Dio vivo e vero, capace di vincere la morte e di dare una speranza che rimanga salda anche oltre la morte. Tutto questo sta dentro l’annuncio della fede oggi. Tutto quello che abbiamo detto finora siamo capaci di esprimerlo con un linguaggio teologico. Abbiamo bisogno di un linguaggio laico della fede, capace di esprimere la fede dentro al vissuto laicale delle persone. Consideriamo la medicina: che cosa, come uomo di fede, posso dire a un medico? Ora diciamo solo l’etica medica, ma in positivo, ci deve essere qualcosa che ha a che fare col regno di Dio, la speranza nella vita eterna, la fede. Il problema è che se l’esercizio della medicina non ha nulla a che fare con le cose dette prima, la fede, in tutto il tempo in cui il medico fa il medico è irrilevante. Nella Evangelii Nuntiandi era già evidenziata come dramma decisivo la frattura tra fede e vita. Se vogliamo affrontare davvero il problema della fede oggi, il nodo è rapporto tra fede e vita, se una fede è irrilevante nel resto della vita, se è possibile vivere il resto della vita senza la fede, la fede prima o poi non mi sostiene. Abbiamo bisogno di questo e non è impossibile. L’aspetto miracoloso non è quello fondamentale: Cristo ha guarito, è intervenuto per far vivere. Cristo ha guarito non per gloriarsi della potenza, ma per una scelta di amore, di far vivere una persona; un medico cristiano sperimenta lo stesso. Il medico usa il farmaco e non il tocco della mano, ma la motivazione e il senso sono quelli: ti curo perché tu possa esprimere in pienezza le tue capacità. Se voglio che un medico possa essere medico cristiano, devo legare la fede alla sua esperienza, alla sua tecnica, capacità, motivazione. Quello che vale per il medico, vale per tutto il vissuto, che deve trovare una luminosità più grande a motivo della fede che annunciamo. Questa è la sfida che abbiamo davanti, che riguarda soprattutto il vissuto laicale. Sono i laici a doversi assumere queste responsabilità, che vivono le situazioni dall’interno e le possono esprimere in un’ottica di fede. Il sacerdote accompagna, annunciando la Parola. Oggi quello che ci fa problema è il vissuto giovanile e femminile. - Il mondo giovanile è cambiato tanto: è un vissuto che non posso fare mio oggi, ma che è importante che un giovane possa leggere e interpretare con le sue esperienze, in un’ottica di fede. Il rapporto con famiglia, i genitori, con la scuola, lo studio e la scelta di carriera e lavoro, il modo di vivere la corporeità: tatuaggi o no, abito firmato o no, seguire la moda o no: sono cose da vivere in modo cristiano, non solo dal punto di vista della morale, ma del significato che danno all’esperienza del giovane ed alla sua vita. E’ un discorso aperto,; dire regole è difficile ma diventa fondamentale. - Per il vissuto femminile, vediamo oggi una crisi delle donne giovani, universitarie. Fanno fatica a ritrovarsi oggi nell’esperienza della fede. Il mondo femminile prima si identificava facilmente nella Chiesa, ma oggi questo non c’è più; ci lamentiamo che i bimbi non vanno a messa, ma accade perché non ci vanno mamme e nonne. Questo è un impoverimento ecclesiale enorme; serve un’attenzione particolare sul vissuto femminile: tocca alle donne di fede riuscire a coniugare l’esperienza femminile di oggi con la fede in Cristo e nella Parola. La sfida che abbiamo davanti oggi passa anche da qui, altrimenti la fede si appiccica, rimane un po’ alla vita e poi si scioglie.